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Edith Cognigni, Claudia Santoni1

LA DIFFERENZA COME RISORSA:


PLURILINGUISMO E NARRAZIONE PER UNA SCUOLA INCLUSIVA

1. Introduzione

Il presente contributo propone una riflessione teorica sulla pluralità delle va-
lenze formative e autoformative della narrazione di sé in ambito educativo quale
dispositivo privilegiato di sensibilizzazione alla diversità linguistico-culturale e alla
sua valorizzazione in un’ottica di educazione plurilingue e interculturale. L’ap-
proccio interdisciplinare – tra la sociologia e le scienze del linguaggio – è finalizza-
to a specificare perché e come, attraverso quali attenzioni e strumenti, la pluralità
linguistico-culturale possa costituire un’effettiva risorsa nella scuola di oggi.
Le riflessioni teoriche avanzate sono riferibili, in particolare nei succitati ambi-
ti disciplinari, agli ultimi orientamenti della letteratura scientifica sulla narrazione
in contesto migratorio e sul tema dell’interculturalità, utili spunti critici per un’a-
nalisi delle attuali politiche linguistiche educative a favore della promozione della
diversità linguistica e dell’integrazione degli alunni stranieri nella scuola italiana.
La valorizzazione della pluralità identitaria passa infatti, a nostro parere, attraverso
la promozione di pratiche educative nei contesti scolastici attente alla differenza
nelle sue diverse manifestazioni (di lingua, cultura, genere, ecc.). Il rischio che si
corre non riguarda solo e strettamente la non attuazione dell’inclusione sociale a
scuola, strategia prioritaria anche nei recenti documenti ministeriali in materia, ma
il concretizzarsi di forme di discriminazione, sia in forma diretta che percepita, che
vadano a colpire la diversità nelle sue molteplici e possibili espressioni. La scuola è
dunque un luogo non neutro che può essere generatore di discriminazioni e di ste-
reotipi, in particolare per le seconde generazioni, per le quali quella dell’istruzione
scolastica rappresenta una tappa cruciale della crescita identitaria.

1 
Il contributo è stato concepito e redatto in stretta collaborazione dalle autrici. In particolare,
Claudia Santoni si è occupata della stesura dell’Introduzione e dei parr. 1 e 3; Edith Cognigni dei
parr. 2 e 4 e delle Conclusioni.

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Nella seconda parte del contributo si discuterà quindi come le narrazioni con-
sentano di esplicitare e interpretare fenomeni di inclusione e/o di esclusione vissuti
nel contesto scolastico e socioculturale alla luce dei diversi “capitali” (linguistici,
culturali, di mobilità) di cui gli alunni con background migratorio sono testimoni,
nonché il rapporto soggettivo che ciascun apprendente possiede nei confronti del-
le sue diverse lingue-culture.

2. Educare a scuola nella complessità identitaria

Negli anni recenti si è innescato un rapporto stretto tra il cambiamento so-


cietario e la modificazione dell’ambiente scolastico. Il dato consequenziale alla
trasformazione della nostra società in termini multiculturali sussiste dunque in
un’elevata complessità linguistico-culturale nelle classi scolastiche, fin dal percorso
della scuola primaria. L’elemento della differenza, nel passaggio alla società post-
moderna, diviene dominante a livello sia strutturale che culturale e ciò richiede
nuove chiavi interpretative per leggere i cambiamenti, a partire dalla necessità di
dover tener conto della molteplicità dell’appartenenza identitaria. Tra le sfide che
deve affrontare una società di immigrazione c’è quella dell’inserimento scolastico
degli alunni e delle alunne che non hanno appreso come prima lingua quella che
viene insegnata nelle scuole italiane2.
Come ha risposto la scuola italiana alla sfida del pluralismo? Il nostro sistema
educativo è divenuto maggiormente significativo? La risposta a queste domande
è articolata, può però essere interessante mettere in campo come prima istanza
conoscitiva alcuni elementi di analisi su come la scuola si presenti oggi e verso
quale prospettiva pedagogico-educativa dovrebbe tendere, accettando la sfida del
pluralismo e dell’interculturalità. È pensando proprio all’avvenuta trasformazione
della società in termini multiculturali che diversi studiosi di ambito sociologico
hanno deciso di riflettere in modo più organico sulle possibili inadeguatezze del
sistema scolastico italiano e sulla persistenza di disuguaglianze, sia in entrata sia
in uscita, che rendono difficile la valutazione dei rendimenti dell’istruzione per le
nuove generazioni3.
Nonostante l’aumento notevole dei tassi di partecipazione scolastica nel XX
secolo, le disuguaglianze a scuola sono ancora molto alte e si connettono alle carat-
teristiche ascritte degli individui quali l’origine sociale, la provenienza geografica
e anche l’identità di genere. L’espansione della partecipazione scolastica non ha
quindi condotto in modo automatico – come ipotizzato dal pensiero funzionalista –
ad una maggiore democratizzazione dei sistemi scolastici, e quindi al prevalere del

2 
Ambrosini 2011.
3 
Barbieri/Fullin 2014, Bonini 2012, Recalcati 2014.

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La differenza come risorsa: plurilinguismo e narrazione per una scuola inclusiva

merito e delle capacità sullo status originario dei singoli4. Si assiste così al rarefarsi
della presenza di minori provenienti da classi meno agiate, mano a mano che si
analizzano le presenze all’interno dei livelli più alti della stratificazione educativa.
A tal proposito la letteratura sociologica ha avanzato in questi decenni diverse spie-
gazioni ed elaborazioni teoriche che è utile ricordare. La teoria della deprivazione
culturale5, la teoria della centralità dell’insegnante6, la teoria della scelta (o azione)
razionale7. Tutte queste proposte teoriche, comprese le successive elaborazioni che
tentano di allargare il campo di analisi dalla scuola all’accesso alla società8, cercano
di dare conto di una disparità che agisce su almeno due livelli: quello verticale (i
livelli di scolarità raggiunti dai soggetti di diversa origine sociale e culturale) e quello
orizzontale (indirizzi formativi scelti a parità di ordine e grado di istruzione).
Riguardo proprio all’influenza dell’appartenenza etnico-culturale nel sistema
scolastico, e dunque alla questione della presenza delle seconde generazioni a scuo-
la, può essere utile ricordare i dati sull’inserimento degli alunni stranieri nei per-
corsi scolastici secondari. Guardando alla nostra realtà territoriale provinciale, una
delle realtà italiane a più elevata presenza migratoria, emerge che sei minorenni
stranieri su dieci di quelli residenti in provincia di Macerata sono nati in Italia. La
loro presenza nelle scuole si è assestata al 13,9% del totale degli alunni e il maggior
incremento nel biennio 2011/2012 – seppur contenuto rispetto ai bienni preceden-
ti – si deve soprattutto alla nazionalità indiana. Analizzando la distribuzione delle
presenze, gli istituti scolastici con il maggior numero di alunni stranieri risultano
proprio quelli tecnico-professionali; a conferma dunque di una forte canalizzazione
della popolazione minorile immigrata all’interno sia degli istituti professionali, che
accolgono circa il 45,6% del totale delle presenze straniere in prevalenza maschili,
che di quelli tecnici, dove invece sono maggioritarie le femmine9.
Permane dunque l’urgenza di interrogarsi sul perché determinati attributi di
tipo ascrittivo ancora condizionino in modo determinante sia i percorsi che gli esiti
dell’istruzione dei singoli soggetti; tra questi attributi risultano preminenti, in par-
ticolare l’essere migrante (scarse opportunità nella scelta degli indirizzi formativi)
e l’essere uomo o donna (influenza familiare e sociale sui destini scolastici).Ciò
detto, va da sé che esiste la possibilità che in alcuni soggetti possano sommarsi più
dimensioni identitarie originarie riconosciute come minoritarie. Tale condizione
può amplificare la distanza sociale tra gli individui in relazione, per esempio tra i
figli di immigrati e i loro coetanei italiani, fino a rafforzare la percezione di forti
diseguaglianze di prospettive nelle opportunità educative, formative, lavorative.

4 
Parsons 1970.
5 
Bourdieu/Passeron 1970.
6 
Rosenthal/Jacobson 1972.
7 
Boudon 1979, Becker 2003
8 
Pisati 2000, Schizzerotto 1994.
9 
Istat 2013.

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Per provare a rendere il percorso scolastico più paritario tra minori autoctoni
e stranieri occorrerebbe dunque agire anche sul livello di percezione di questi ul-
timi, per esempio, facendo emergere le potenzialità delle seconde generazioni che,
fortemente socializzate alla cultura italiana, rappresentano sempre più una sorta
di nuovi-italiani10 dal percorso esemplare. Ragazzi e ragazze che anticipano la con-
dizione futura giovanile italiana, immersa sempre più nel globale: ampio bagaglio
culturale e sociale, disponibilità alla mobilità spaziale, capacità di attingere dalla
complessità.
Sulla rilevanza, qui sopra richiamata, dell’appartenenza di genere all’interno del
sistema delle diseguaglianze nell’istruzione è importante ricordare che, a fronte di
un evidente cambiamento avvenuto per la disparità di stampo verticale11 che negli
ultimi trent’anni si è ribaltata – il diploma di maturità e il titolo di studio universi-
tario sono più elevati tra le donne che non tra gli uomini –, si sta consolidando una
segregazione in base al genere nelle scelte formative post-obbligo. Questa disugua-
glianza distributiva a livello di stratificazione educativa si riflette poi nella diminu-
zione di chance occupazionali e di carriera per le donne: gli indirizzi professionali
scelti sono quelli meno remunerativi e con minori opportunità di lavoro12. Per spie-
gare e comprendere questa perversa dinamica vi sono diversi elementi valutativi
(sociali, psicologici, culturali) e che rendono plausibile ipotizzare che le ragazze
siano ancora molto esposte all’influenza dei modelli tradizionali di socializzazione
ai ruoli di genere. Anche in questo caso, la promozione a scuola di un’attenzione
pedagogico-educativa rivolta alla valorizzazione dell’identità di genere e al rispetto
delle differenze13 può facilitare la de-costruzione di stereotipi culturali.
Determinante è stato dunque il percorso che ha svolto il sistema scolastico
rispetto alla necessità di introdurre strategie educative innovative per rispondere
proprio alla sfida della multiculturalità, cercando di strutturare la relazione edu-
cativa in classe sul riconoscimento e sul rispetto delle differenze. Tale strategia
formativa si colloca però ancora oggi all’inizio di un traguardo che deve prevedere
la piena acquisizione di un approccio pienamente interculturale, e il cui l’obiettivo
prioritario non sia quello del dare strategie compensative di sostegno ai soli alunni
stranieri ma di promuovere progetti significativamente interculturali, diretti a tutti
gli allievi, di diversa origine culturale14.

10 
Dalla Zuanna/Farina/Strozza 2009.
11 
I dati sui rendimenti scolastici – in particolare le elaborazioni Istat su dati MIUR – confer-
mano il maggiore successo scolastico delle femmine, che si manifesta attraverso un numero infe-
riore di ripetenze, limitati casi di abbandono scolastico, voti più elevati e migliori risultati agli
esami di licenza media, di Stato e di laurea (MIUR 2012).
12 
Zajczyk 2007.
13 
Ruspini 2003.
14 
Schimmenti/D’Atena 2008, Susi 1995.

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La differenza come risorsa: plurilinguismo e narrazione per una scuola inclusiva

3. La diversità linguistica: una ricchezza nella e per la scuola italiana

Sotto la pressione del (super)contatto linguistico15 e culturale che si è prodot-


to nell’attuale mondo globale e post-globale, anche lo spazio linguistico naziona-
le italiano sta subendo una profonda ristrutturazione: le lingue immigrate16 dei
nuovi-italiani costituiscono un importante fattore di neo-plurilinguismo che va ad
inserirsi nel tradizionale plurilinguismo della penisola modificandone progressiva-
mente l’assetto17. In ambito educativo, in particolare, alla diversità linguistica come
tratto endogeno, che sin dagli anni Settanta costituisce una sfida per gli operatori
dell’educazione linguistica18, si affianca la pluralità linguistico-culturale di bambini
e ragazzi di origine straniera. Per il 38,5% delle nuove generazioni dai sei anni in
su la lingua prevalente in famiglia è infatti l’italiano, a fianco di un uso diffuso di
altre lingue, tra cui le principali sono il romeno, l’arabo, l’albanese e lo spagnolo19.
Nella società come nella scuola italiana di oggi, seppur in diversa misura e con dif-
ferenti modalità e qualità, il “plurilinguismo” rappresenta dunque una condizione
che accomuna gran parte degli alunni, siano essi “autoctoni” o “di cittadinanza
non italiana” nelle varie declinazioni possibili che le due categorie – spesso diffuse
nella documentazione ministeriale (v. infra) – possono assumere (alunni dialetto-
foni, alunni stranieri neo-arrivati, seconde generazioni, figli di coppie miste, ecc.).
Numerosi sono gli studi e i documenti di politica linguistica a livello europeo
in cui a più riprese si è sottolineato il valore aggiunto del bi/plurilinguismo sul
piano cognitivo e didattico20; meno evidente è se e come questo venga percepito
e vissuto come un’effettiva ricchezza da parte degli alunni e, soprattutto, dei loro
docenti21, per i quali la pluralità linguistico-culturale delle proprie classi ha costi-
tuito a lungo un patrimonio individuale accessorio quando non una criticità. Già

15 
Sul concetto di “supercontatto linguistico” si veda Barni/Vedovelli 2011.
16 
Con “lingue immigrate” si fa qui riferimento alle lingue dei gruppi di immigrati stranieri
in Italia che rispondano ai parametri di bassa fluttuazione sociale, alto radicamento nei territori
sociali locali, vitalità di uso intracomunicativo, visibilità nei panorami linguistici (cfr. Bagna/Ma-
chetti/Vedovelli 2003).
17 
Vedovelli 2014.
18 
Si fa qui riferimento alle note Dieci tesi (Ferreri/Guerriero 1998), elaborate negli anni Set-
tanta dal gruppo GISCEL per la promozione di un’educazione linguistica democratica che possa
tenere conto dell’effettivo “retroterra linguistico-culturale” degli allievi. Sebbene esse abbiano ac-
quisito negli anni credibilità internazionale e siano ancora oggi di grande attualità, sono purtroppo
ancora pochissimi gli insegnanti che le conoscono e che le applicano nell’attuale scuola italiana.
19 
Istat 2014.
20 
Si veda Cavagnoli/Passerella 2011 per una sintesi.
21 
Sulla percezione e vitalità delle lingue immigrate presso gli alunni di origine nord-africana
in contesto marchigiano si veda Alessandrini 2012; sulla percezione e la valorizzazione delle lin-
gue “altre” presenti in classe da parte dei docenti della classe plurilingue, sempre in riferimento al
contesto marchigiano, si veda Cognigni/Vecchi 2013.

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nel 2006 il MIUR poneva l’accento sull’urgenza della questione, suggerendo anche
alcune piste operative:

la considerazione del bilinguismo e del plurilinguismo come fonte di vantag-


gi cognitivi deve portare al riconoscimento e alla valorizzazione delle lingue
d’origine e del patrimonio linguistico e culturale dei ragazzi stranieri. […] È
possibile proporre e promuovere, in via sperimentale e valorizzando alcune
buone pratiche sul territorio, l’insegnamento di alcune lingue “altre” nel pro-
gramma scolastico22.

Se si eccettua la crescente presenza nelle scuole secondarie di II grado di corsi


curricolari ed extracurricolari di alcune lingue “altre” ad alto potenziale economi-
co (cinese in particolare), l’insegnamento delle lingue immigrate nel sistema sco-
lastico italiano di base rappresenta ancora un fenomeno sporadico e circoscritto
ad alcune grandi realtà urbane, laddove in altri Paesi europei viene garantita la
possibilità di studiare la propria lingua di origine a fianco della lingua di scolarità23.
Va tuttavia detto che, nell’ultimo decennio, sono stati fatti diversi progressi ai
fini della valorizzazione dei patrimoni linguistico-culturali nella scuola di base, in
particolare rispetto all’integrazione degli stranieri neoarrivati. Nelle Linee guida per
l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri24 si sottolinea in particolare come
si siano diffuse nelle scuole consapevolezze e attenzioni quali l’importanza di cono-
scere la situazione linguistica degli alunni mediante opportune schede e colloqui
diagnostici, di promuovere la visibilità delle loro lingue di origine tramite espedienti
iconico-verbali negli spazi scolastici o attraverso l’uso di specifici sussidi e tecniche
glottodidattiche (ad es. glossari bilingui per la lingua dello studio, riferimento alla
presenza di prestiti linguistici stranieri nella lingua italiana ecc.). Nel recente docu-
mento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’in-
tercultura, dal titolo emblematico Diversi da chi?, l’attenzione si focalizza in modo
più esplicito sulla valorizzazione della diversità linguistica in ambito scolastico, cui è
dedicata una delle dieci raccomandazioni di cui si compone il documento:

la diversità linguistica rappresenta […] un’opportunità di arricchimento


per tutti, sia per i parlanti plurilingue, che per gli autoctoni, i quali possono
precocemente sperimentare la varietà dei codici e crescere più aperti al
mondo e alle sue lingue25.

22 
MIUR 2006.
23 
Cfr. Eurydice 2009
24 
MIUR 2014.
25 
MIUR 2015.

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La differenza come risorsa: plurilinguismo e narrazione per una scuola inclusiva

Sebbene da tali documenti si evinca ancora una divisione in categorie tra chi
ha un “background migratorio” e chi no, tra chi è “parlante plurilingue” e chi non
lo è, un cambiamento di prospettiva sembra lentamente prefigurarsi anche nelle
politiche linguistiche educative nazionali a favore di un approccio non unicamente
compensativo alla differenza. Riteniamo tuttavia che si debba porre maggiormente
l’accento su ciò che unisce piuttosto su ciò che divide, puntando a far percepire la
“diversità” come tratto comune, sia essa declinata in senso linguistico, culturale o
più ampiamente identitario. Sul piano dell’educazione linguistica, in particolare, si
evidenzia dunque l’urgente necessità di una didattica innovativa, non precostituita
in griglie operative rigide, ma fondata su una “creatività secondo regole” (Villari-
ni 2013), capace di tenere nel dovuto conto la reale situazione della classe e degli
specifici bisogni (linguistici) degli apprendenti al suo interno, in grado di racco-
gliere la sfida del plurilinguismo/pluriculturalismo come tratto innato di ciascun
individuo, parallelamente alla necessità di sviluppare o perfezionare le competenze
linguistico-comunicative nella lingua di scolarità.
Una delle dimensioni operative più promettenti in tal senso, citata anche nelle
Linee guida, risiede a nostro parere nella valorizzazione della «diversità linguistica
attraverso momenti di narrazione, disponibilità di testi e libri bilingui, proposte
laboratoriali di scrittura»26. La narrazione, e in particolare il racconto di sé, può
farsi veicolo privilegiato per l’espressione della propria soggettività, la condivisio-
ne di esperienze, di storie ed appartenenze linguistico-culturali diverse in cui tutti
gli alunni possano essere protagonisti. Incoraggiare a usare e trasmettere agli altri
il proprio “patrimonio” culturale e linguistico attraverso il canale della narrazione
ci pare fondamentale al fine di creare un clima di positivo scambio di esperienze e
conoscenze, in cui ciascun alunno possa sentirsi attivamente accettato e gratificato,
potenziando al contempo le proprie abilità linguistiche in italiano27.

4. Raccontare e raccontarsi a scuola tra pari: la nuova sfida dell’integrazione

L’utilizzo di metodi educativo-formativi più attenti alla pratica riflessiva e alla


narrazione di sé (educazione parallela) può fare dunque della differenza (lingui-
stico-culturale) una concreta risorsa per la classe. La narrazione ha assunto pie-
na cittadinanza nelle scienze sociali diventando un affidabile strumento di ricerca
qualitativa28. Narrazioni individuali, ma anche collettive, che consentano ricono-
scimento, individualizzazione, condivisione, gestione delle proprie emozioni. Sto-

26 
MIUR 2014: 19.
27 
Sull’importante ruolo della narrazione ai fini dello sviluppo cognitivo e delle abilità lingui-
stiche si vedano Quercioli 2008, Giuliano 2010.
28 
Jedlowski 2000, Czarniawska 2004, Poggio 2011.

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rie che aiutino a decodificare i processi identitari, soprattutto quelli in costruzione.


Solo così le seconde generazioni con il loro nuovo “lessico” possono divenire dei
modelli di azione anche per gli autoctoni, in quanto portatori di nuovi corsi di vita,
dal carattere globale e transnazionale29.
Se ciò non avviene è perché i contesti di vita in cui agiscono i minori migranti
producono discriminazione e quindi spesso le forme di identificazione che questi
giovani mettono in atto sono soluzioni di emergenza (per es. chiudersi nel proprio
gruppo etnico come forma difensiva). Si può dunque ipotizzare che le forme di
discriminazione nelle società aumentino quando negli spazi di socializzazione la
differenza (culturale, di lingua) diventa uno stigma piuttosto che una risorsa, cioè
un motivo di esclusione, invece di essere accolta per il suo carattere innovativo,
dinamico e fluido. Tale ipotesi è supportata da una premessa: la discriminazione è
disfunzionale per la società in quanto inibisce le potenzialità delle categorie sociali
di volta in volta discriminate30. In tutti i Paesi di immigrazione, tra cui l’Italia, i
migranti sia di prima che di seconda generazione continuano a essere i primi desti-
natari di tali azioni discriminatorie. Una delle strategie utilizzate, soprattutto dalle
seconde generazioni, per evitare o prevenire le discriminazioni è il mimetismo so-
ciale, efficace quando l’individuo non si sente accettato dalla realtà circostante31.
Per mimetismo sociale si intende:

La strategia che l’individuo utilizza quando la propria abitudinaria presen-


tazione del sé entra in crisi. A confronto con persone o con situazioni che
destabilizzano alcune parti della propria identità, il soggetto annaspa. Cer-
ca conforto in un’identità minata che limiti gli svantaggi, riduca i conflitti
dell’essere semplicemente se stesso. Per mimetizzarsi allora non basta imitare,
bisogna anche percepire, comprendere come l’altro ci vede. La necessità di
confondersi e di imitare gli altri influisce sulla formazione dell’identità che è
determinata dalle etero percezioni e si iscrive nella dialettica del rapporto di
poteri32.

Per ribaltare il meccanismo della discriminazione negativa – cioè della pena-


lizzazione di un gruppo sociale come quello dei migranti – occorre imparare a
percepire chi vive una diversa condizione d’appartenenza identitaria come porta-
tore comunque di una rete di relazioni e di un capitale sociale ricchi, interessanti
e innovativi. Altrimenti l’esito scontato è di pensare che chiunque appartenga a
gruppi culturalmente più marginali non avrà mai risorse sufficienti e/o adeguate
per emanciparsi. In sintesi, avere un capitale sociale diverso, come avviene per le

29 
Colombo/Leonini/Rebughini 2009.
30 
Zanfrini 2004.
31 
Lannutti 2014.
32 
Castells 2004: 7.

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La differenza come risorsa: plurilinguismo e narrazione per una scuola inclusiva

seconde generazioni, non vuol dire non avere potenzialità ma, all’opposto, vuol
dire avere una ricchezza relazionale differente.
Con questa premessa teorica è possibile allora anche interpretare in modo ag-
giornato il concetto di integrazione, che può divenire un concetto dinamico, un
processo che non deve discendere né da scarse capacità o meriti individuali, né da
uno scarso capitale sociale di partenza.
Questa riflessione è centrale anche rispetto al ruolo che qui si è deciso di ri-
conoscere alla scuola italiana, nonostante ritardi e disfunzioni. Se l’integrazione
viene assunta nei contesti scolastici come un meccanismo educativo finalizzato a
favorire soltanto gli alunni stranieri, la socializzazione scolastica che verrà messa
in atto non riuscirà a garantire quell’interazione tra pari basata sullo scambio e
sulla contaminazione tra molteplici saperi ed esperienze, interazione fondamentale
nella crescita identitaria. In un momento storico in cui la scuola italiana presenta
delle evidenti difficoltà a garantire una socializzazione equa può risultare determi-
nante, come stimolo al cambiamento, l’introduzione nei piani formativi di metodi
educativi più attenti alla narrazione di sé e alla pratica riflessiva, soprattutto nella
scuola secondaria. Si tratta di pratiche che fanno leva sull’autonomia del minore,
sulla capacità di riflettere sulla propria costruzione identitaria (anche di genere)
per dare significato a ciò che egli compie. Tali strumenti, applicati nei gruppi classe
a scuola, fanno raggiungere importanti risultati di partecipazione consapevole33.
Raccontarsi diventa così uno strumento per elaborare e gestire le proprie emozioni
e i propri vissuti, per affinare i processi cognitivi. L’uso di narrazioni esplicite sui
problemi ed emozioni, soprattutto in adolescenza, costituisce un allenamento per
potenziare la capacità di fronteggiare i compiti evolutivi.

5. Narrare le lingue-culture: le autobiografie linguistiche in contesto plurilingue

Approccio autobiografico e racconto di vita sono largamente riconosciuti ed


utilizzati come dispositivi formativi in contesto multiculturale, soprattutto nell’am-
bito della pedagogia e dell’andragogia34. Più recente è invece l’interesse per l’auto-
biografia nel contesto delle scienze del linguaggio, dove il proliferare di definizioni
e termini e la presenza di una letteratura ormai ampia sull’argomento testimonia
come le autobiografie linguistiche (AL) siano sempre più oggetto di indagine e di
applicazione anche in ambito glottodidattico e sociolinguistico35.

33 
Batini/Del Sarto 2005.
34 
Demetrio 1995.
35 
Diverse riflessioni qui condotte, che rinnoviamo al dibattito scientifico, sono state in parte
discusse in Cognigni 2014, cui rimandiamo per una bibliografia più esauriente sull’argomento.

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Edith Cognigni, Claudia Santoni

Concepita come «un racconto più o meno lungo, più o meno completo nel
quale una persona si racconta riguardo ad una tematica particolare, quella del suo
rapporto con le lingue, nel quale ha avuto un vissuto particolare»36, l’AL ha la
potenzialità prioritaria di permettere al soggetto plurilingue di riappropriarsi della
propria storia linguistica e, attraverso questa, di riflettere sulla propria pluralità
identitaria. Si sottolinea in particolare l’importanza della dimensione emotivo-af-
fettiva su cui le AL permettono di far convergere l’attenzione di docenti e studenti,
facendo emergere in modo indiretto ma potente le rappresentazioni del soggetto
narrante circa le proprie lingue-culture e il plurilinguismo di cui è testimone, a
volte inconsapevole. L’interesse per le rappresentazioni sociali delle lingue risie-
de nella loro stretta relazione con il processo di apprendimento linguistico, che
contribuiscono a rafforzare o a rallentare a seconda dell’atteggiamento dell’ap-
prendente, nonché nella loro natura parzialmente negoziabile, che rendono le AL
strumenti dalle elevate potenzialità formative37.
Non necessariamente le AL si costruiscono attraverso la sola scrittura, ma pos-
sono fare riferimento ad una pluralità di strategie e modalità operative miranti a
far valorizzare dall’apprendente stesso il proprio repertorio linguistico nei contesti
plurilingui e multiculturali in cui tale repertorio si costruisce ed evolve38. Tra le
modalità operative più diffuse ricordiamo in particolare i “ritratti delle lingue”
(Sprachenporträts) che implicano l’uso di disegno e colori per raffigurare il proprio
repertorio plurilingue39 e i “racconti delle lingue” (récits de langues) che, definiti
anche biografie o racconti linguistici40, rappresentano delle narrazioni in forma
scritta od orale sui percorsi di apprendimento linguistico e di contatto intercul-
turale. Raccontare delle proprie lingue permette la riflessione sui meccanismi di
apprendimento linguistico, la presa di coscienza delle proprie rappresentazioni so-
ciali delle lingue, ma soprattutto facilita l’accettazione e condivisione della propria
pluralità identitaria, costituendo simbolicamente un atto di (auto)legittimazione
da parte di chi si narra e di chi ascolta. Oltre a una dimensione autoriflessiva di evi-
dente significatività, se rese oggetto di condivisione e riflessione comune in classe,
le AL acquistano dunque una rilevante funzione educativa che coinvolge la sfera
emotivo-affettiva, relazionale ed interculturale41. Tale dimensione, seppure meno
evidente, permette di esplicitare che una lingua “propria”, per quanto minoritaria
o percepita come tale nel Paese di arrivo, è anche una lingua “condivisa” nel con-
testo transnazionale della migrazione oltre che nei Paesi di origine degli alunni, ma

36 
Perregaux 2002: 83, trad. nostra.
37 
Castellotti/Moore 2002.
38 
Molinié 2006.
39 
Cfr. Krumm 2001, Favaro 2013, Cognigni 2014.
40 
Sulle (auto)biografie linguistiche o racconti delle lingue si vedano in particolare Gohard-
Radenkovic/Rachédi 2009, Lévy 2008, Stratilak 2010, Thamin/Simon 2011.
41 
Cognigni 2009.

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La differenza come risorsa: plurilinguismo e narrazione per una scuola inclusiva

soprattutto che può divenire una lingua “condivisibile”, un mezzo per conoscere
e farsi conoscere attraverso la via privilegiata della narrazione di sé. Concepite
come dispositivo formativo e autoformativo, le AL costituiscono dunque ben oltre
che uno strumento diagnostico per conoscere i repertori linguistici degli alunni
stranieri – visione riduttiva che spesso si associa all’impiego delle AL nella scuola
italiana – ma rappresentano il primo passo di un processo di coscientizzazione
mirante a far percepire la coesistenza di più lingue-culture a livello individuale e
sociale come un plusvalore.

6. Conclusioni

Come abbiamo cercato di sottolineare in questo contributo, l’elevata presenza


di nuovi-italiani nella società attuale chiama i responsabili delle politiche linguistiche
educative e gli esperti di formazione degli insegnanti a interrogarsi su come la valo-
rizzazione dei patrimoni linguistico-culturali dei discenti possa spingersi al di là della
sola formazione di base o della prima accoglienza dell’alunno straniero neoarrivato,
per divenire tratto costitutivo della scuola italiana e riguardare così tutti gli alunni.
Le riflessioni proposte indicano almeno una dimensione operativa all’interno
delle quale sia possibile intrecciare riflessione sociologica e glottodidattica ai fini
della creazione di un contesto scolastico inclusivo. Tale dimensione consiste nella
raccolta e condivisione di storie e biografie, sia individuali che collettive, grazie alle
quali veicolare bisogni, desideri, discriminazioni ma anche competenze e potenzia-
lità inespresse o che la scuola non ha sempre modo o interesse di certificare. In tale
direzione, partire dal racconto di sé e delle lingue può facilitare la costruzione di
uno “spazio di parola” in cui ciascuno possa ri-negoziare la propria pluralità iden-
titaria. Narrazione e autobiografia linguistica, dunque, non solo come “pre-testi”
per raccontare di sé ma soprattutto come contesti di co-costruzione di competenze
interculturali, spazi-terzi in cui dare forma a «nuove identità possibili»42. La strada
indicata vuole dunque contribuire a rafforzare nei contesti scolastici la presenza di
spazi di confronto interculturale in cui tutti i minori vengano riconosciuti come per-
sone empowered, con risorse (anche se latenti).

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