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Giuliana Mancuso
Il giovane Scheler
(1899-1906)
PRESENTAZIONE
1
LW, p. 98 (la trad. di questo e degli altri passi che verranno citati è mia, ove non
diversamente segnalato; i corsivi sono dell’autore, ove non diversamente segnalato).
2
Formalismus, GW II, p. 71 (trad. it. leggermente modificata, p. 78).
3
DPG, GW VII, p. 261.
12 PRESENTAZIONE
4
Pedroli 1952, p. 1.
5
Arana 1982, p. 15.
PRESENTAZIONE 13
1. UN NUOVO PUZZLE
1
Holzhey 1986, vol. II, p. 278. Dietro la V puntata, oggetto del poco lusinghiero
commento di Natorp, c’è Hans Vaihinger, tra le altre cose nel 1897 fondatore delle «Kant-
Studien», alla cui redazione Scheler lavorò per un anno e mezzo, grazie all’interessamento
di Rudolf Eucken. Scheler, peraltro, non si distinse certo come redattore-modello: in un
periodo di crisi finanziaria e organizzativa della rivista, «Max Scheler, l’assistente-redattore
del quasi cieco Vaihinger, durante il giorno mostrava una tale indolenza che si dovette
urgentemente trovare qualcun altro a cui affidare la conduzione» della rivista (Sieg 1994,
p. 212; si veda anche la nota 103).
16 CRITICA ASSIOLOGICA DELLA COSCIENZA
scheleriana. Sono del resto due aspetti che si può far fatica a distinguere,
quando si consideri che essere ‘docente affermato’ e essere ‘neokantiano’
erano due concetti spesso coestensivi nell’accademia tedesca a cavallo
tra XIX e XX secolo 2; il che spiega anche perché Natorp giudichi qui il
giovane studioso sulla base di Die transzendentale und die psychologische
Methode, l’opera del 1900 in cui il ventiseienne Scheler più sistematicamente
si confronta con il nocciolo teorico e operativo dell’indirizzo marburghese,
ossia, appunto, il metodo trascendentale.
Il passo di Natorp non solo apre uno squarcio sul rapporto che la
riflessione giovanile scheleriana intrattiene con la tradizione neokantiana
– e marburghese in particolare –, ma fornisce anche altre due informazioni
centrali per collocare Scheler nel panorama filosofico tedesco dell’epoca: si
tratta del nome di un luogo, Jena, e di quello di un docente attivo nell’ateneo
della piccola cittadina turingia, vale a dire Rudolf Eucken. È infatti sotto la
protezione del di lì a poco (1908) vincitore del premio Nobel per la lette-
ratura che Scheler termina i suoi studi ed esordisce sulla scena accademica,
ed è Jena a vedere le pubblicazioni dei primi testi del filosofo: dal 1899 al
1904 escono a suo nome due voluminose monografie, due lunghi articoli
e due recensioni a un’opera del maestro Eucken; a questi testi va aggiunto
il lungo frammento di un’opera sulla logica progettata in due volumi, alla
quale Scheler lavorò tra 1904 e 1906, quando decise di ritirare l’opera dalla
stampa e abbandonò Jena per Monaco. Negli anni successivi non pubblicò
più nulla e quando riprese a farlo, nel 1911, i suoi scritti erano ormai di
chiara impostazione fenomenologica.
I testi ai quali Scheler lavorò tra 1899 e 1906 durante il soggiorno a Jena
circoscrivono in modo ben definito il corpo della sua produzione giovani-
le, una produzione dalla fisionomia peculiare, in gran parte difficilmente
integrabile con l’immagine di Scheler ormai sedimentatasi nei manuali e
nella stessa letteratura specialistica. Il che non significa che in questi testi
non ci siano elementi interpretabili come anticipazioni degli interessi che
mossero il futuro «filosofo dei valori» o come avvisaglie delle soluzioni
teoriche adottate dal «fenomenologo della vita emotiva» o dall’embriagado
de esencias 3 (alcuni tra i topoi sui quali la letteratura scheleriana più vo-
lentieri indugia); anzi, per le letture che adottano una tale impostazione
‘retroattiva’, la difficile integrabilità dell’opera giovanile con quella suc-
cessiva non ha costituito in realtà un problema così grande: individuando
gli elementi che possono reggere l’impostazione retrospettiva, lavorandoli
per smussarne le scomode spigolosità, tali letture ne hanno infine ricavato
2
Cfr. Köhnke 1993.
3
Ortega y Gasset 1928.
UN NUOVO PUZZLE 17
tessere perfettamente compatibili con quel mosaico che fin dall’inizio vo-
levano comporre, liquidando tutto il resto con l’estremamente funzionale
etichetta di ‘errore di gioventù’.
Il fatto che sia stato proprio Scheler il primo a rimodellare il suo pas-
sato utilizzando una procedura del tutto analoga 4 non credo, in ogni caso,
ci debba obbligare a fare altrettanto, soprattutto quando si consideri che
pochi sono gli elementi della filosofia giovanile scheleriana a soddisfare il
criterio retrospettivo e molti quelli che non lo soddisfano e che quindi in
tal modo vanno persi. Piuttosto che andare in cerca del già noto, mi sembra
utile allora smetterla di giocare al solito vecchio puzzle con pezzi che hanno
tutta l’aria di formare un altro mosaico e, fuor di metafora, considerare
i testi giovanili di Scheler anzitutto nel contesto storico-filosofico che è
loro proprio.
2. IL CONTESTO JENESE
Scheler iniziò i suoi studi universitari nel 1894, iscrivendosi alla facoltà
di filosofia presso l’ateneo di Monaco, per passare già nel semestre estivo
alla facoltà di medicina, continuando tuttavia a seguire lezioni di filosofia,
tra le quali quelle di Theodor Lipps. L’anno seguente si trasferì a Berli-
no, dove si immatricolò ancora come studente di medicina, per quanto
tra le lezioni frequentate nel suo anno di permanenza ce ne siano state
anche di filosofia (seguì tra gli altri Wilhelm Dilthey e Georg Simmel).
Nel 1896, all’età di 22 anni, mise fine una volta per tutte al progetto di
intraprendere l’esotica carriera di medico di bordo – quale curiosamente
pare volesse diventare 5 – e si trasferì a Jena per frequentarne la celebre
facoltà di filosofia. Qui terminò gli studi, diventando a tutti gli effetti
l’allievo prediletto di Rudolf Eucken, il quale insegnava nella cittadina
turingia dal 1874 (l’anno in cui nacque Scheler), quando subentrò a Kuno
Fischer sulla cattedra di logica e metafisica. Tra i colleghi di Eucken – che
nell’ateneo jenese insegnò per quarantasei lunghi anni – vanno senz’altro
menzionati Gottlob Frege (che a Jena aveva studiato e già compiuto un
4
Si veda p. es. Vorrede zur zweiten Auflage (1922) di Methode, GW I, pp. 201-203;
si veda inoltre infra, cap. II, § 3., p. 145; cap. III, § 1., pp. 156-160.
5
Cfr. Henckmann 1998 (a), p. 17. Tra le pochissime fonti secondarie sulla filosofia
giovanile di Scheler, l’articolo di Henckmann ha costituito il mio imprescindibile punto
di partenza; per questa ragione verrà spesso citato nel corso del testo. Per la ricostruzione
delle vicende biografiche degli anni jenesi si vedano anche Henckmann 1998 (b), pp. 16-
20, e Mader 1980, pp. 18-30.
18 CRITICA ASSIOLOGICA DELLA COSCIENZA
6
Hoßfeld et al. 2005, p. 97.
7
«Come Eucken, che in linea di principio è il mio antipodo, abbia potuto arrivare
fin qui, per i colleghi del posto è un mistero! È un buon oratore e un bravo kantiano
[…], ha anche scritto molti ‘bei libri’ a proposito di ‘fini elevati’ ecc., ma non ha prodotto
un solo lavoro originale di valore», scrive sprezzantemente Haeckel in una lettera del
30 novembre 1908, citata in Hoßfeld et al. 2005, p. 98.
8
Ibidem.
IL CONTESTO JENESE 19
9
Si veda l’utilissimo Dathe 1997, p. 2. Le lezioni di Eucken frequentate da Scheler
avevano per titolo Idee guida del presente, Etica, Esercitazioni filosofiche (semestre in-
vernale 1896/97); Filosofia del XIX secolo; Discussione delle questioni di principio della
logica (semestre estivo 1897); Essenza della religione (semestre invernale 1897/98).
10
Über den Sprachgebrauch des Aristoteles. Betrachtungen über die Praepositionen,
Berlin, Weidmann, 1868; Über die Methoden und die Grundlagen der aristotelischen Ethik,
Frankfurt am Main, Mahlau & Waldschmidt, 1870; Über die Bedeutung der Aristotelischen
Philosophie für die Gegenwart (discorso accademico inaugurale, tenuto il 21 novembre
1871 a Basilea), Berlin, Weidmann, 1872; Die Methode der aristotelischen Forschung in
ihrem Zusammenhang mit den philosophischen Grundprinzipien des Aristoteles dargestellt,
Berlin, Weidmann, 1872.
11
Si veda la lettera a Christoph Ernst Luthard del gennaio 1874, citata in Graf 1997,
p. 57.
12
Lettera a Moritz Seebeck, citata in Graf 1997, p. 64.
13
Eucken 19252 (1888).
20 CRITICA ASSIOLOGICA DELLA COSCIENZA
testi nei quali Eucken presenta l’ossatura della sua proposta filosofica. Se il
concetto centrale di tale proposta è appunto quello di una ‘vita spirituale’,
che si tratta di afferrare e praticare come organica unità di piano biolo-
gico e piano spirituale, il suo obiettivo programmatico sta nel garantire e
salvaguardare questa sorta di unità bipolare dalle pretese riduttivistiche
del monismo imperante, sia esso di indirizzo oggettivistico-naturalistico o
soggettivistico-intellettualistico.
La decisa opzione anti-positivistica del pensiero di Eucken non deve
tuttavia far dimenticare il fatto che egli stesso ebbe a definire la sua proposta
filosofica come una forma di «‘positivismo’ che vuole abbracciare l’intera
realtà» 14: l’istanza che muove questo «positivismo spirituale» 15 è in fondo
la stessa istanza generale che porterà Husserl a scrivere che, «se ‘positivismo’
è la fondazione assolutamente libera da pregiudizi di tutte le scienze sul
‘positivo’, cioè su quello che si afferra originalmente, allora siamo noi [scil.
fenomenologi] i veri positivisti» 16 – un tema sul quale, per inciso, insisterà
anche lo ‘Scheler fenomenologo’, per esempio in uno dei manoscritti di
teoria della conoscenza coevi alla stesura del Formalismusbuch, laddove
la filosofia fenomenologica verrà definita come «la forma più radicale di
empirismo e positivismo» 17. L’anti-positivismo euckeniano va quindi inteso
soprattutto come presa di posizione a sostegno della autonomia della vali-
dità ideale contro le pretese riduzionistiche in senso materialistico di certo
positivismo, non come chiusura pregiudiziale nei confronti della filosofia
che lavora programmaticamente a contatto con le scienze particolari: in
questo senso Eucken guardava a se stesso non certo come a un «tradizio-
nalista metafisico» avverso alla scienza, bensì come a un «sostenitore di
una modernità autentica e consapevole, capace di integrare» le acquisizioni
dei saperi empirici «in una metafisica dello spirituale» 18.
14
Eucken 1922, p. 76.
15
Graf 1997, p. 55.
16
Husserl 1913, p. 45 (trad. it., p. 47); in Husserl 1927, p. 10, il fondatore dell’in-
dirizzo fenomenologico scrive che la filosofia di Eucken e la fenomenologia sono due
strade diverse per raggiungere lo stesso obiettivo, ossia per «superare la distinzione
essenziale tra l’uomo nella natura e l’umanità nello spirito, per scorgere l’unità della vita
spirituale che si manifesta via via nel corso della vita dell’umanità e per ricondurla alle
fonti originarie».
17
PuE, GW X, p. 381.
18
Graf 1997, p. 71.
II
1. UN ESAME DIFFICILE
Negli anni trascorsi a Jena da studente Scheler non si era limitato a fre-
quentare lezioni e a sostenere esami, ma aveva contribuito attivamente alla
vita culturale universitaria, fondando nell’autunno 1896 insieme a Julius
Goldstein, un altro allievo di Eucken, la «Philosophische Gesellschaft zu
Jena» 1. La società si riuniva la sera «nel suo locale, il Café Rein», per di-
scutere temi come Il parallelismo psicofisico 2 o Il principio più adeguato per
1
Cfr. Henckmann 1998 (a), p. 19. Come scrive Henckmann, della «Philosophische
Gesellschaft» si sa molto poco. Nella biblioteca dell’università di Jena ho potuto con-
sultare i Berichte citati infra, ma non mi è stato possibile trovare altro materiale, se non
successivo al periodo in cui Scheler fu attivo a Jena. Tuttavia, a colmare questa lacuna,
posso segnalare le ricerche del già citato Uwe Dathe, il quale nel corso di una ricerca
sullo storico Alexander Cartellieri ha recentemente trovato nell’archivio della biblioteca
di Jena i verbali redatti a mano relativi alle sedute della società che vanno dal 26.05.1903
al 17.05.1906. Il dottor Dathe, che ringrazio di cuore per avermi fornito queste preziose
informazioni, al momento in cui scrivo non è ancora riuscito a stabilire nulla sulla pro-
venienza di questi verbali. Tra di essi si trova in ogni caso il resoconto dettagliato di una
conferenza di Scheler, scritto di suo pugno.
2
Titolo del Referat della dottoressa Francken, tenuto nella decima seduta del seme-
stre estivo del 1898, quando, nota il segretario della società, «per la prima volta venne
ammesso alla seduta un buon numero di donne», Semester-Bericht über die Thätigkeit der
Philosophischen Gesellschaft zu Jena im Sommer-Semester 1898 (d’ora in poi SS 1898),
steso dal segretario Th. Genthe, p. 3 (ho consultato la copia presente nella Thüringer
Universitäts- und Landesbibliothek Jena – d’ora in poi ThULB – con la segnatura Hist.
lit.VI, 103/10, sotto la quale rientrano anche i Berichte citati di seguito).
54 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
3
Titolo della relazione del dottor Unbehaun, in Semester-Bericht über die Thätigkeit
der Philosophischen Gesellschaft zu Jena im Winter-Semester 1898/99 (d’ora in poi WS
1898/99) steso da Fr. Heller, p. 2.
4
«Durante il semestre passato sono stati presi in prestito dalla biblioteca in tutto
21 libri, precisamente dai signori Dr. Scheler, Dr. Medicus […]» (SS 1898): ogni Bericht
contiene un Bibliotheks-Bericht, in cui vengono documentate le nuove acquisizioni,
ripartite in acquisti e in donazioni.
5
SS 1898, p. 3; poco sopra l’autore spiega implicitamente il criterio per la distin-
zione tra membro ordinario e straordinario, laddove scrive: «Un membro ordinario, il
dottor Fritz Medicus, nel corso del semestre è passato nelle file dei membri straordinari,
essendosi trasferito a Halle».
6
Anche se in WS 1898/99 viene registrato come residente a Berlino.
7
WS 1898/99, p. 2. Louis-Auguste Sabatier (1839-1901), teologo protestante fran-
cese: molto probabilmente Scheler relazionò sulla sua opera Equisse d’une philosophie
de la religion, Paris, Fischbacher, 1897.
8
Liebmann 1884.
9
Semester-Bericht über die Thätigkeit der Philosophischen Gesellschaft zu Jena im
Winter-Semester 1899/1900, steso da F. Brodführer, p. 1 s.
UN ESAME DIFFICILE 55
10
Citato in Dathe 1997, p. 5.
56 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
11
Cfr. Eucken 1885, p. 45.
12
Ivi, p. 74.
13
Ivi, p. 98.
14
Ivi, p. 99.
15
Cfr. Eucken 1896.
UN ESAME DIFFICILE 57
così singolare per la ricerca filosofica e una conoscenza così buona dei
fondamenti scientifici della filosofia, che io nutro favorevoli aspettative
per la carriera scientifica dell’abilitando e che quindi […] ne appoggio
l’ammissione all’esame di abilitazione» 16.
Il talento di Scheler per la filosofia non deve tuttavia essere sembrato
poi così particolarmente singolare a Otto Liebmann, correlatore della tesi
di abilitazione, e tanto meno pare che l’esaminatore abbia giudicato così
buona la conoscenza dei «fondamenti scientifici della filosofia» mostrata
dal candidato. Al fine di comprendere la tensione che caratterizzò l’esame
sostenuto da Scheler per ottenere la libera docenza, bisogna a questo punto
spendere qualche parola su Liebmann, «uno tra i primi che con impres-
sionante energia si erano richiamati al criticismo dimenticato» 17, colui che
con il suo Kant und die Epigonen 18 aveva lanciato lo slogan in grado di
cogliere l’esigenza diffusa in gran parte della filosofia tedesca degli anni
sessanta del XIX secolo: also muß auf Kant zurückgegangen werden 19. La
vulgata vuole che con il primo libro di Liebmann si inauguri ufficialmente
il neokantismo, anche se «è ovvio» che tale movimento «non è nato im-
provvisamente nel 1865 dalla penna del giovane venticinquenne […] come
Atena dalla testa di Zeus» 20. In realtà, la palma di «iniziatore ufficiale del
neokantismo» Liebmann se la contende almeno con il suo maestro di Jena
Kuno Fischer e con Eduard Zeller – solo per fare due nomi tra i papabi-
li –, a testimonianza del fatto che in generale quello dell’«inizio» è spesso
un mito retroattivo e che, nel caso particolare, Liebmann con il suo libro
aveva semplicemente dato voce a un’esigenza diffusa e già ben avvertita.
Aveva studiato filosofia e matematica, prima a Jena, sotto Fischer appunto,
per trasferirsi poi a Lipsia, dove ebbe modo di seguire le lezioni di Gustav
Theodor Fechner e Moritz Wilhelm Drobisch, e infine a Halle. Conseguì
l’abilitazione in filosofia a Tubinga e divenne professore a Strasburgo nel
1872, dove rimase dieci anni prima di essere chiamato a Jena, nel cui ateneo
insegnò per circa trenta anni, fin quasi alla morte.
Dalla sua opera giovanile, la prima e la più celebre, cercò in seguito
per così dire di emanciparsi, rifiutando quella palma di iniziatore del neo-
16
Citato ivi, p. 5 s. L’esame di abilitazione prevede infatti una fase preliminare in
cui vengono valutati i titoli del candidato (pubblicazioni ecc.) e soprattutto lo scritto
presentato come tesi di abilitazione; superata questa fase, si viene ammessi all’esame vero
e proprio, consistente in un esame orale e in una lezione di prova.
17
Windelband 1910, p. III.
18
Liebmann 19122 (1865).
19
Così si chiude, a mo’ di litania, ognuno dei capitoli dedicati da Liebmann agli
«epigoni» di Kant, ossia Fichte, Schelling, Hegel (indirizzo idealistico), Herbart (indirizzo
realistico), Fries (indirizzo empirico), Schopenhauer (indirizzo trascendente).
20
Orth 1994, p. 17.
58 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
kantismo che tanto spesso gli è stata invece attribuita; per esempio, nella
terza edizione di quella che è la sua opera principale per mole e ambizio-
ne, chiarisce il senso del suo giovanile also muß auf Kant zurückgegangen
werden nei termini seguenti:
Intendevo dire che solo con questa inversione di rotta saremmo risaliti
per le false piste finora percorse fino a raggiungere il punto di partenza,
dal quale sarebbe stato quindi possibile ripartire per fare nuovi progressi.
Con ciò si è data precisa espressione a un pensiero che a quei tempi era,
per così dire, nell’aria e che io non mi attribuisco quindi in nessun modo
come merito personale. 21
Sempre nella stessa sede, poco più avanti, aggiunge che «la presente opera
occupa una posizione non all’interno, bensì all’esterno dell’ambito delimitato
dall’autorità di Kant» 22, il che pare inevitabilmente contraddire quanto
sostenne Windelband nel 1910, laddove questi scrisse che «si potrebbe
chiamare Liebmann il più fedele tra tutti i kantiani» 23. Il caposcuola del
neokantismo sudoccidentale si sottrae alla contraddizione ricorrendo a una
delle più caratteristiche figure ricorrenti di tutta la letteratura neocriticista:
in base a questo topos, che potremmo chiamare ‘dello spirito e della lettera’,
Liebmann – prosegue Windelband – senza dubbio basa la sua riflessione
sulla convinzione del fatto che «lo spirito della filosofia trascendentale sia
immortale», il che d’altra parte non gli impedisce di ritenere che «certamente
bisogna correggere molte, forse tutte le singole e letterali formulazioni dei
concetti […] che in Kant sono storicamente condizionati» 24. Per salva-
guardare lo spirito del criticismo Liebmann si è spinto molto oltre nella
sua correzione della lettera kantiana; in particolare, ai fini della presente
indagine, è utile soffermarsi su due aspetti di questa decisa operazione er-
meneutica, proprio perché vanno a opporsi direttamente all’interpretazione
euckeniana della filosofia critica: si tratta della «cosa in sé» e della dottrina
della libertà intelligibile. La tesi portante di Kant und die Epigonen è che
le false piste sulle quali ha finito per muoversi la filosofia post-kantiana si
dipartono tutte da un errore fondamentale che affligge il criticismo dall’in-
terno, vale a dire la dottrina della cosa in sé, interpretata da Liebmann come
imperdonabile concessione al dogmatismo: la sua proposta è allora quella
di sbarazzarsi del noumeno e di ogni tentazione trascendente per limitare
l’operato filosofico in senso puramente immanente ai dati dell’esperienza
spazio-temporalmente determinata. Il che comporta, conseguentemente,
21
Liebmann 19003, nota a p. 231.
22
Ivi, p. 232.
23
Windelband 1910, p. III.
24
Ivi, p. IV.
UN ESAME DIFFICILE 59
25
Liebmann 1866, p. 59.
26
Liebmann 19032, p. 236.
27
Cassirer - Heidegger 1990, p. 100.
60 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
Tra questi due fuochi si trovò allora Scheler e con lui il suo scritto di
abilitazione, troppo ‘teorico-conoscitivo’ e a tratti specialistico per entu-
siasmare il relatore Eucken e al tempo stesso troppo ‘noologico’ e univer-
salizzante per avere la misurata approvazione del correlatore Liebmann.
L’unico punto di contatto tra le valutazioni dei due si registra in effetti sul
limite oggettivo della tesi di Scheler, vale a dire la mancata elaborazione
di una parte propositiva: come Eucken, ma con tono decisamente meno
indulgente, anche Liebmann ritiene infatti che il lavoro di Scheler «offra
più critica e postulati per il futuro che non risultati compiuti e positivi,
cercando quindi di formulare un programma che dovrebbe dimostrarsi
pienamente giustificato solo con un’effettiva realizzazione di ciò che qui
viene semplicemente preteso» 29. Per il resto, se Eucken rimprovera a
Scheler di perdersi in troppe Seitenuntersuchungen, Liebmann da parte
sua depreca la tendenza universalizzante che affligge la tesi dell’abilitando
(tendenza che, per inciso, costituisce una caratteristica peculiare delle opere
28
Wundt M. 1922, p. 472.
29
Citato in Dathe 1997, p. 6.
UN ESAME DIFFICILE 61
di Eucken), scrivendo con un certo sarcasmo: «I più diversi ambiti del sapere
e le più diverse sfere rappresentative – matematica, scienza della natura,
storia, giurisprudenza, economia politica, religione e così via – formano
il materiale su cui si sviluppa la sua trattazione e conferiscono al lavoro
l’impronta di una variopinta poli-storia e pan-storia». Quanto al valore
delle critiche che Scheler muove ai due principali indirizzi metodologici
del tempo, Liebmann scrive che «la sua critica del ‘metodo psicologico’
è sotto molti aspetti persuasiva; la sua critica del ‘metodo trascendentale’
contiene certamente qualcosa che coglie nel segno, anche se egli solleva
qui alcune obiezioni sulle quali c’è il dubbio che si possa mai riuscire a
dire qualcosa di risolutivo».
La parte più severa del giudizio di Liebmann riguarda i rilievi critici di
Scheler alla dottrina trascendentale dello spazio e del tempo: «[…] mesco-
lando caoticamente gli elementi più eterogenei», in questa sezione l’autore
«si perde qua e là in meri giochi di parole e omonimie, confondendo l’uso
metaforico dei termini con ciò che viene inteso sensu proprio». Liebmann
conclude quindi la sua valutazione con il seguente responso: «Nel comples-
so sono del parere che la facoltà ammetta il dottor Scheler al colloquio e
all’abilitazione, dovendogli tuttavia imporre espressamente come dovere il
miglioramento e la revisione di singoli passi del suo lavoro» 30.
Il contrasto con Liebmann sulla interpretazione della filosofia tra-
scendentale doveva ripresentarsi nuovamente all’esame orale, tenutosi il
30 giugno del 1900. Dopo un colloquio con il relatore Eucken, da questi
giudicato «veramente soddisfacente» 31, la conduzione dell’esame passò al
correlatore, secondo il quale lo scritto di abilitazione di Scheler offrirebbe
una valutazione del metodo trascendentale «che a volte presenta degli errori
e non arriva sempre a cogliere la profondità dei problemi»; in particolare,
l’abilitando non sarebbe riuscito a dimostrare quella che secondo Liebmann
è una sua convinzione, ossia che il perno della filosofia kantiana vada
individuato nel «problema dell’unificabilità della libertà con la necessità
causale di natura»; inoltre, prosegue il severo esaminatore, «non sembra»
che a Scheler «sia ben chiara l’opposizione di principio tra determinismo e
indeterminismo e il fondamentale significato che essa ha per la filosofia» 32.
Fatte queste premesse certo non incoraggianti, Liebmann chiese quindi a
Scheler di chiarire quale fosse «l’autentico perno e problema cardinale della
concezione kantiana del mondo», dando per scontato che tale perno non
fosse da cercare nella direzione indicata da Scheler nella Habilitationschrift
30
Citato ibidem.
31
Citato ibidem.
32
Citato ibidem.
62 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
poi dell’intera facoltà, documenta allora non solo le tensioni tra opposte
concezioni della filosofia kantiana (e della filosofia in generale) presenti
all’epoca nella comunità universitaria jenese ma, per quanto riguarda più
specificamente Scheler, dà il polso del conflitto che percorre la sua stessa
opera giovanile: il conflitto tra la tendenza universalizzante rimproveratagli
da Liebmann – una tendenza che Scheler aveva in comune con Eucken e
che senz’altro riconosceva come sua caratteristica peculiare 33 – e la con-
sapevolezza del fatto che questa tendenza andava arginata e disciplinata,
per non correre il rischio di uscire dall’ambito della «filosofia scientifica»
e di finire in quello della «letteratura filosofica un tempo definita edifi-
cante» 34. In effetti, dopo i Beiträge e l’articolo su Arbeit und Ethik (sul
quale torneremo in seguito) 35, entrambi pubblicati nel 1899 e di contenuti
e toni spiccatamente euckeniani, nella produzione di Scheler si riscontra
da un lato l’allontanamento dagli ambiti già abbondantemente esplorati
dal maestro, dall’altro un nuovo incedere, più pacato e analitico, sotto
l’aspetto metodologico: per quanto Liebmann abbia trovato eccessivamente
generalizzante l’impostazione della Methodenschrift e fin troppo ricco il suo
contenuto, mi pare infatti che da un punto di vista sinottico – del quale
Liebmann non poteva ovviamente beneficiare – tale scritto segnali invece
in Scheler la crescente volontà di rendere più ‘scientifica’ la sua concezione
della prassi filosofica.
Questa impressione trova una conferma se si considera l’attività di
libero docente svolta da Scheler fino al 1906 sia all’interno della facoltà
di filosofia 36 sia nell’ambito dei corsi estivi «für Damen und Herren» or-
ganizzati dall’ateneo jenese 37. Per gli studenti della facoltà Scheler tenne
lezioni principalmente sugli argomenti che caratterizzavano la riflessione
filosofica in ambito neokantiano, vale a dire la logica, la filosofia di Kant, i
tratti fondamentali della teoria della conoscenza, le teorie dell’astrazione, il
problema del metodo, la presentazione dei diversi orientamenti della filosofia
contemporanea in ambito teorico-conoscitivo, il rapporto tra «scienze della
33
In una lettera a Eucken non datata (ma quasi certamente del 1906), sulla quale si
avrà modo di soffermarsi estesamente in seguito nel corpo del testo, Scheler scrive: «[…]
io ho inevitabilmente la tendenza mentale [Geistesrichtung] a concatenare tutto con tutto
e niente mi risulta più difficile che isolare i problemi» (in Feyl 1960-1961, p. 284).
34
Sono parole che lo stesso Scheler nel 1922 poco elegantemente riserverà al suo
maestro Eucken, senza peraltro fare cenno al fatto di essere stato suo allievo a Jena, in
DPG, GW VII, p. 273.
35
Si veda infra, cap. IV, § 2.
36
Cfr. Dathe 1997, p. 9.
37
Cfr. Ferienkurse in Jena für Damen und Herren (1901-1910), consultabili alla ThULB
con la segnatura Hist.lit.VI, 195; cfr. anche Dathe 1997, pp. 10-11, e Henckmann 1998
(a), pp. 27-28.
64 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
38
Methode, GW I, p. 200.
39
Ivi, p. 199.
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 65
40
Ivi, p. 199 s. Si veda Kant 17872 (1781), KGS III, p. 15 (trad. it., p. 48; corsivi
miei): «[…] in quel tentativo di mutare il procedimento finora seguito dalla metafisica, e
precisamente operando in essa una radicale rivoluzione sul modello di quella dei geometri
e dei fisici, sta il compito di questa critica della ragion pura speculativa. Essa è un trattato
del metodo e non un sistema della scienza stessa».
41
Windelband 19249 (1884), vol. I, p. IV, laddove troviamo scritto: «[…] tutti noi
che facciamo filosofia nel XIX secolo siamo discepoli di Kant. Ma il nostro odierno
‘ritorno’ a lui non può essere il semplice rinnovo della forma storicamente condizionata
nella quale egli espose le idee della filosofia critica. Quanto più profondamente si coglie
l’antagonismo che sussiste tra i diversi motivi del pensiero di Kant, tanto più vi si trovano
i mezzi per elaborare i problemi che egli ha creato con le sue soluzioni. Comprendere
Kant significa andare oltre Kant».
42
Methode, GW I, p. 200.
66 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
Da quando Kant nella Critica della ragion pura, che, come è noto, non
voleva essere tanto un sistema filosofico, quanto un «Trattato del me-
todo», cercò di opporre allo psicologismo dei suoi contemporanei una
concezione nuova della conoscenza e del compito della filosofia, il pro-
blema del metodo rimase sempre all’ordine del giorno. Risolverlo significa
infatti decidere la propria posizione nella filosofia o rispetto a essa. Ha
impedito una soluzione felice il fatto che la dottrina di Kant […] non si
sia presentata abbastanza definita e netta perché il concetto del metodo
critico, che essa intendeva creare, fosse al sicuro da ogni malinteso […].
L’esame di Kant sulla ‘origine’ delle rappresentazioni andava parzial-
mente di pari passo con le indagini già note e la sua abitudine al modo
allora in uso di trattare i problemi non gli aveva permesso di esporre con
chiarezza la fondamentale differenza che pure egli stesso aveva statuito
fra ‘origine’ e ‘giustificazione’. […] Di Kant stesso, perciò, fu la colpa,
se il suo nuovo concetto della apriorità si ridusse presto all’antica idea
della priorità psicologica […]. 43
43
Windelband 1883, p. 99 ss. (trad. it., p. 129 ss.).
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 67
44
Methode, GW I, p. 201.
45
Windelband 1907, p. 9 ss. (trad. it., p. 23 s.).
68 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
46
Ivi, p. 10 (trad. it., p. 23).
47
Ivi, p. 11 (trad. it., p. 24).
48
Methode, GW I, p. 204. Questa preoccupazione di Scheler potrebbe far venire
alla mente quanto Heidegger dirà a Davos nel 1929, nel corso del celebre dibattito con
Cassirer, laddove egli ricostruirà la genesi del neokantismo a partire dall’«imbarazzo in
cui la filosofia viene a trovarsi rispetto al problema di che cosa propriamente le rimanga
nel complesso delle conoscenza. Intorno al 1850 la situazione è tale che tanto le scienze
dello spirito quanto quelle della natura hanno preso possesso della totalità del conoscibile,
per cui sorge la questione: che cosa rimane ancora alla filosofia, se la totalità dell’ente è
stata spartita tra le scienze? Le rimane soltanto più la conoscenza della scienza, non la
conoscenza dell’ente […]» (in Appendice II. Dibattito di Davos tra Ernst Cassirer e Martin
Heidegger, in Heidegger 1981, p. 219). Per lumeggiare il contesto in cui si inseriscono
le considerazioni scheleriane non credo però sia il caso di scomodare Heidegger e le sue
valutazioni sulla filosofia tedesca della seconda metà del XIX secolo, e questo non solo
per non cedere alla tentazione dello sguardo retrospettivo che valuta il ‘prima’ alla luce
del ‘dopo’, ma soprattutto perché tali valutazioni hanno la loro indispensabile premessa
nella assunzione di una ‘differenza ontologica’ tra essere ed ente, che non mi pare poter
trovare rispondenza alcuna in un orizzonte teorico come quello della filosofia giovanile
scheleriana.
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 69
sempre più il pregiudizio che la filosofia non serva ai loro scopi o che
addirittura esse ne vengano disturbate nel loro lavoro. 49
49
Zeller 1877, p. 489 s.
50
Comte 1949, vol. I, p. 71, citato da Scheler in Methode, GW I, p. 204.
51
Methode, GW I, p. 207.
52
Ibidem.
53
Ivi, p. 205.
54
Ibidem.
70 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
anticipazioni, che per prime aprono alla ricerca nuovi ambiti della realtà» 55.
È quindi il metodo a determinare la selezione e la configurazione dei dati
d’esperienza e non viceversa, il che comporta una concezione del corso
della scienza non certo come passivo accumulo di dati, quanto piuttosto
come spontaneo processo di determinazione e costituzione dell’oggettività
scientifica; all’interno di tale processo, la natura viene interrogata sulla base
di ipotesi creativamente formulate dallo scienziato e in un certo senso co-
stretta entro i confini di queste ipotesi, venendo così indotta a confermare
o a confutare le congetture dello scienziato, il quale dunque non si lascia
governare passivamente dalla natura, ma guida la natura, in modo tale che
essa risponda alle sue domande 56. Se si vogliono individuare le condizioni
che conferiscono universale validità alle leggi scientifiche, bisognerà allora
astrarre dall’effettività di questo processo di incessante determinazione,
per risalire ai principi «in virtù dei quali soltanto», scrive Kant nella pri-
ma critica, «è possibile che i fenomeni concordanti possano valere come
leggi» 57, principi che non risiedono nella natura, quanto piuttosto nella
ragione dello scienziato che la interroga. E l’individuazione di tali principi
secondo Scheler può spettare soltanto alla riflessione filosofica sul metodo,
la cui capacità di astrazione e generalizzazione la rende in grado di «portare
sempre di nuovo alla chiara luce del giorno questi giudizi a priori» – si noti
il termine utilizzato da Scheler –, «questi sfondi della ricerca positiva» 58.
L’interrogazione filosofica sul problema del metodo è del resto l’unica
strada percorribile per evitare l’«anarchia metodologica» che deriverebbe
dall’«assolutismo dei metodi delle scienze particolari», vale a dire la tendenza
che porta ognuno dei diversi metodi delle singole scienze a volere imporsi
sugli altri nella propria determinatezza e particolarità; d’altra parte, occu-
pandosi della questione del metodo in stretta connessione con le scienze,
la filosofia non fa altro che compiere «un dovere verso se stessa» 59, poi-
ché, evitando il confronto con i saperi determinati, si condannerebbe alla
sterilità. Sterilità in cui del resto essa rischierebbe di incorrere anche nel
momento in cui limitasse «il suo lavoro di teoria della conoscenza solo a una
parte della scienza, per esempio soltanto alla matematica, alla meccanica e
alla fisica matematica», escludendo dal suo orizzonte di interesse «storia,
55
Ivi, p. 206.
56
Riecheggiano qui le parole di Kant: «[…] la ragione scorge soltanto ciò che essa
stessa produce secondo il proprio disegno», essa deve «procedere innanzi coi principi
dei suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie
domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, con le dande», Kant 1787 2 (1781),
KGS III, p. 10 (trad. it., p. 42).
57
Ibidem.
58
Methode, GW I, p. 207.
59
Ivi, p. 209.
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 71
Questa esigenza viene del resto chiaramente esplicitata nella sezione seguen-
te, intitolata Visione d’insieme dei metodi filosofici nella filosofia moderna, nel
corso della quale Scheler enuclea le caratteristiche formali e contenutistiche
che la riflessione filosofica contemporanea accorda al metodo. Quanto alle
prime, Scheler le ravvisa nell’autonomia che il metodo deve conservare
rispetto a presupposti contenutistici inindagati, nella sua esclusività e nella
forza creatrice che esso deve possedere. Ma è possibile individuare anche tre
nuclei contenutistici attorno ai quali si muovono i principali orientamenti
metodologici in filosofia: i primi due sono riconducibili alla questione relativa
a quella che Scheler chiama «la codeterminazione del metodo filosofico da
parte della matematica e della storia» 62. Ciò che Scheler vuole dire è che si
può tracciare una distinzione tra indirizzi di pensiero per i quali la filosofia
deve procedere more geometrico – e la filosofia moderna prekantiana, tanto
sul versante razionalistico, quanto su quello empiristico, è secondo Scheler
tutta orientata in questo senso – e altri indirizzi per i quali è invece la storia
a costituire il modello di riferimento per l’indagine filosofica. È a questo
punto che Scheler, riflettendo sulla profonda differenza tra metodo storico
e metodo matematico, esplicita a chiare lettere l’esigenza cui si faceva ri-
ferimento poco sopra, in un passo che, per la sua efficacia di penetrazione
problematica, vale la pena riportare in tutta la sua estensione:
Storia e matematica sono scienze diametralmente opposte [Polarwissen-
schaften]. L’ideale sarebbe senza dubbio una teoria della conoscenza
che fosse in grado di accordarle. Ma quali contrasti sarebbero qui da
ricondurre a un’unità! Qui come punto di partenza una piccola serie,
60
Ibidem.
61
Gigliotti 1983 (a), p. 14.
62
Methode, GW I, p. 212.
72 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
63
Ivi, p. 213 s.
64
Ivi, p. 214.
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 73
65
Ivi, p. 215.
66
Ibidem.
67
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 476 (trad. it., p. 559). Poche pagine più in là si
trova un altro passo qui richiamato implicitamente da Scheler, laddove Kant scrive che
«la filosofia non ha assiomi, e non è in grado di imporre in modo così assoluto i suoi
principi a priori, ma è costretta a render conto del proprio diritto attraverso una rigorosa
deduzione», ivi, p. 481 (trad. it., p. 563).
68
Methode, GW I, p. 215.
69
Kant 1786, KGS IV, p. 470 (trad. it., p. 12).
74 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
70
Methode, GW I, p. 215.
71
Ivi, p. 217.
72
Guerra 200013, p. 88.
73
Kant 1797, KGS VI, p. 231 (trad. it., p. 35).
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 75
a una legislazione esterna» 74, come appunto quella giuridica. Solo tenendo
presente tutto ciò, si possono comprendere quali siano le ragioni dell’incon-
gruenza rilevata da Scheler nel fatto che gli scritti kantiani di filosofia della
storia non rivelino alcun debito nei confronti della metodologia storica:
infatti, posto che il filo conduttore della filosofia kantiana della storia è
il diritto e il diritto rimanda alla legge morale, come correttamente scrive
Scheler nell’opera sul metodo, la legge morale, a sua volta
non è condizione di una esperienza reale (come sono per esempio le
categorie e i principi), bensì condizione di una esperienza possibile, la
quale da parte sua è essa stessa un problema. La legge morale è stata
‘esposta’, non ‘dedotta’. Se deve essere costretta all’interno della «via
trascendentale» (per usare parole di Cohen), allora si può dire soltanto:
la legge morale è condizione del problema di un regno dei fini. 75
74
Ivi, p. 219 (trad. it. leggermente modificata, p. 21).
75
Methode, GW I, p. 217. Il riferimento di Scheler è a Cohen 19102 (1877), p. 181
(trad. it., p. 167).
76
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 524 (trad. it., p. 608).
77
Kant 1785, KGS IV, p. 427 (trad. it., p. 57 s.).
78
Kant 1788, KGS V, p. 46 s. (trad. it., p. 185 s.).
76 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
Kant, dunque, in riferimento alla filosofia pratica, parla di azioni che nella
storia degli uomini potrebbero, forse, incontrarsi; di leggi di ciò che deve ac-
cedere, anche se non accadrà mai; della inesistenza di una qualsiasi esperienza
che possa essere portata a conferma della realtà obiettiva della legge morale
e della conseguente impossibilità di una deduzione di tale legge. E non è un
caso che, a proposito di questi temi, Scheler faccia qui il nome di Cohen, la
cui più grande preoccupazione nella Fondazione kantiana dell’etica è appunto
che si veda nell’a priori pratico kantiano nulla più che l’espressione di una
«possibilità avulsa dai fatti» 79: «l’uso morale della ragione» indicherebbe
allora «soltanto i principi della possibilità dell’esperienza (analiticamente)
possibile, e non di una esperienza (sinteticamente) reale» 80.
E Scheler dà esattamente corpo ai timori di Cohen, nel momento in
cui sostiene che la filosofia kantiana della storia è del tutto priva di senso
storico proprio perché il suo ‘filo conduttore’ ultimo è quella legge morale
della quale non è possibile trovar conferma alcuna nell’esperienza reale.
Scrive infatti:
Poiché […] il metodo kantiano della filosofia pratica rifiuta seccamente
l’esperienza storica dell’uomo non soltanto come elemento che partecipa
alla configurazione del principio morale, ma anche come dato per una
deduzione trascendentale, anche la sua filosofia della storia è, propria-
mente e correttamente parlando, quella parte della sua intera opera che
è la più estranea al modo di pensare storico. 81
La maggior incidenza sulla filosofia critica del metodo storico e delle sue
istanze si registra invece, secondo Scheler, nell’ambito della teoria kantiana
della conoscenza, il cui rivoluzionario nucleo concettuale sta notoriamente
nella svolta copernicana, in base alla quale Kant invita a fondare l’oggettività
conoscitiva «muovendo dall’ipotesi che siano gli oggetti a dover regolarsi
sulla nostra conoscenza» 82 e non viceversa. In base a questa ipotesi, la
fondazione della conoscenza non va cercata direttamente nell’essere degli
oggetti d’esperienza, bensì nella conoscenza stessa, poiché appunto non sono
gli oggetti a condizionare la nostra conoscenza, ma è la nostra conoscenza
con le sue strutture e funzioni a condizionare gli oggetti, o meglio, a deter-
minarne la costituzione in quanto oggetti di ogni nostra esperienza possibile.
Procedendo da questo mutato modo di pensare, secondo il quale «noi
tanto conosciamo a priori delle cose quanto noi stessi poniamo in esse» 83,
79
Gigliotti 1989, p. 107.
80
Cohen 19102 (1877), p. 15 (trad. it., p. 23).
81
Methode, GW I, p. 217.
82
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 12 (trad. it., p. 44).
83
Ivi, p. 13 (trad. it., p. 45).
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 77
84
Ivi, p. 207 (trad. it., p. 71).
85
Methode, GW I, p. 217.
86
Ivi, p. 217 s.
87
Kant 1800, KGS IX, p. 149 (trad. it., p. 143).
88
Kant 1783, KGS IV, p. 274 (trad. it., p. 67). Si veda anche la nota ivi, p. 276 (trad. it.,
p. 287 nota 3), dove Kant precisa: «[…] il metodo analitico, in quanto si oppone al sin-
78 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
tetico, è tutt’altra cosa che un complesso di giudizi analitici: esso vuol dire soltanto che si
parte da ciò che è oggetto della questione, come dato, per risalire alle condizioni che lo
rendono possibile. In questi casi si può anche far uso di puri giudizi sintetici, come ce ne
dà esempio l’analisi matematica: onde potrebbe meglio venir chiamato metodo regressivo
a differenza del metodo sintetico o progressivo».
89
Si veda Cohen 1871, p. 233 (trad. it., p. 237), laddove l’autore scrive: «[…] l’apriorità
è solo una cosa a metà, indimostrata, senza la relazione trascendentale con l’esperienza
possibile».
90
Malattia per cui «gli elementi che confluiscono in uno a formare nel ‘luogo’ del-
l’unione la effettualità dell’esperienza (e solo in quel luogo si ha l’effettiva, concreta
e reale esperienza)», nell’ambito dell’analisi regressiva – man mano che dal «‘luogo’
dell’unione» ci si allontana a ritroso – vengono isolati e presentati separatamente, «come
se avessero una loro realtà effettuale fuori dalla sintesi». Sicché, prosegue Scaravelli, ci
si ritrova nella «strana situazione di presentare con una mano gli elementi ben isolati e
ben delineati nei loro aspetti e nei loro caratteri peculiari» (per esempio da una lato la
sensibilità ricettiva, dall’altro l’intelletto spontaneo), «e con l’altra di metterli insieme
rapidamente insieme fra loro, in intima fusione, onde mostrare l’impossibilità che hanno
a funzionare separatamente» (in Scaravelli 1990, p. 63, in part. nota 16).
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 79
espressione a una delle istanze più radicate nella riflessione dei neocritici-
sti, in base alla quale il piano trascendentale delle condizioni di possibilità
«dev’essere riconosciuto e affermato soltanto dopo la sua realizzazione
storica», sicché «tanto le fondazioni logiche pure quanto i valori pos-
sono essere individuati dalla riflessione filosofica soltanto sulla base di
determinate dottrine scientifiche e di determinati beni culturali» 91. Ed
è particolarmente significativo ai fini della presente indagine che Scheler
veda la maggior incidenza del metodo storico sulla filosofia criticistica,
nonché uno dei più grandi meriti di Kant, proprio nell’individuazione del
fatto storico della scienza matematica della natura come Ausgangsdatum e
nel conseguente andamento regressivo dell’indagine che da qui si diparte;
scrive infatti Scheler:
[…] quel momento […] che tradisce un riferimento del suo metodo a
un modo storico di pensare noi lo ravvisiamo nel fatto che […] termine
di paragone della ragione diventa un sistema dato di azioni storiche di
pensiero; nel fatto che, in tal modo, appare per la prima volta la possibilità
di commisurare la ragione a una realtà e non, viceversa, di commisurare
ogni realtà a una ragione dogmatica. […] È e rimane grandissimo merito
di Kant l’aver esposto di nuovo allo spirito umano, tramite la svolta me-
todologica presentata, […] la sua peculiare essenza, senza presupporla
dogmaticamente, ma definendola soltanto a partire dalle sue proprie
opere, venute alla luce successivamente nel corso della storia. 92
91
Gigliotti 1983 (a), p. 13.
92
Methode, GW I, p. 218 s.
80 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
93
Ivi, p. 219.
94
Ibidem.
95
Ivi, p. 212 s.
96
Ivi, p. 220.
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 81
dell’altro dei due metodi, come ritengono alcuni interpreti della filosofia
critica, poiché a ben vedere ciò che in effetti egli «ha rigorosamente rifiu-
tato non è il metodo psicologico e genetico in generale, quanto piuttosto
specificamente il metodo empirico-psicologico» 97. Addirittura, il cosiddetto
metodo «trascendental-psicologico» sarebbe, secondo Scheler, un «elemento
necessario dell’argomentazione kantiana». Con ciò Scheler non intende
contestare in alcun modo il fatto che «con la dimostrazione dell’apriorità
trascendental-psicologica di un concetto o di una intuizione non sia ancora
data loro la legittima autorizzazione di fondare una conoscenza oggettiva»;
in altri termini, Scheler non vuole sostenere che per risolvere il quesito
trascendentale sia sufficiente constatare l’apriorità dello spazio, del tempo
e delle categorie, come fa Kant rispettivamente nella Esposizione metafisica
e nella Deduzione metafisica della prima critica; infatti, se ci si arrestasse a
questo punto dell’indagine, si avrebbe un’apriorità esclusivamente sogget-
tivo-psicologica, alla quale mancherebbe la legittimazione di condizione
dell’oggettività dell’esperienza che soltanto l’Esposizione trascendentale e
la Deduzione trascendentale sono in grado di fornire rispettivamente alle
intuizioni pure di spazio e di tempo e alle categorie. Scheler, dunque, è
d’accordo con Kant, quando nella prima critica afferma che i concetti
puri «abbisognano di un certificato di nascita ben diverso da quello che
ne attesti la discendenza dall’esperienza» e che l’indagine genetica sulle
rappresentazioni mette capo a una «tentata derivazione fisiologica, che
propriamente non può neppure venir detta deduzione, poiché concerne
solo una quaestionem facti», sicché va più adeguatamente chiamata tutt’al
più «spiegazione del possesso di una conoscenza pura» 98. Il che però, se-
condo Scheler, non significa che la questione genetica si risolva del tutto
nella dimensione empirico-psicologica e che tale questione non possa essere
sensatamente e legittimamente posta anche in ambito trascendentale; è in
questo senso che Scheler scrive, richiamandosi al passo kantiano appena
citato:
Le «conoscenze pure» devono avere «un diverso certificato di nascita da
quello che ne attesti la discendenza dall’esperienza»; ma di un «certificato
di nascita» hanno bisogno anch’esse. Sicuramente la «quaestio juris» non
è identica alla «quaestio facti». Ma senza la rivendicazione di un fattuale
a priori soggettivo la domanda sul suo diritto teorico-conoscitivo non
può assolutamente essere posta. 99
97
Ivi, p. 221 (corsivo mio).
98
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 101 (trad. it. leggermente modificata, p. 154).
99
Methode, GW I, p. 221.
82 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
In questo passo torna quindi uno dei motivi ricorrenti della riflessione
filosofica del giovane Scheler, vale a dire il tema della psicologia trascen-
dentale, intesa come necessaria parte complementare della riflessione sulla
costituzione dell’oggettività. Se i fatti culturali dell’esperienza attestano modi
qualitativamente diversi dell’oggettività e suoi diversi gradi di validità, il
dissolvimento funzionalistico della soggettività trascendentale in un sem-
plice titolo generale sotto cui raccogliere analoghe operazioni oggettivanti
diventa difficile proprio perché tali operazioni non sono affatto analoghe:
scienza matematica della natura e storia, ma anche etica ed estetica e con
loro tutta la compagine dei Fakta culturali, esprimono modi così diversi di
dare senso all’esperienza da rendere sempre più arduo l’«idealismo senza
soggetto» 100 del neokantismo marburghese (principale interlocutore di
Scheler nell’opera sul metodo) e da richiedere invece, in tutt’altra direzio-
ne, il ricorso a un soggetto in qualche modo ontologicamente definito 101 e
alle sue diverse facoltà, un soggetto inteso come piano unificante da cui si
dipartono le molteplici direzioni oggettivanti attestate dall’esperienza 102. Il
metodo critico non va quindi visto in alternativa a quello genetico, bisogna
piuttosto cercare di integrare i due metodi in un metodo che sia appunto
trascendentale e psicologico al contempo, evitando tanto la dissoluzione
in senso funzionale-trascendentale della soggettività, quanto la riduzione
empiristica dell’a priori all’organizzazione psico-genetica dell’uomo (come
quella operata da quell’indirizzo dello stesso movimento neokantiano che
fa capo a Lange).
Da questa panoramica sulla questione metodologica nella filosofia con-
temporanea Scheler conclude quindi che «un’armonizzazione [Ausgleich]
tra le esigenze che, in quanto forze codeterminatrici, matematica e scienza
matematica della natura da un lato e scienza della storia dall’altro pongono
al metodo filosofico, è stata raggiunta finora tanto poco, quanto una com-
posizione del contrasto tra metodo psicologico e metodo trascendentale»;
d’altra parte egli prosegue affermando che «ogni tentativo di trovare il
100
Brelage 1965, p. 97.
101
In questo senso scrive Scheler: «[…] una qualche autorizzazione, un qualche neces-
sario riferimento agli oggetti lo può possedere sempre e soltanto qualcosa che in qualche
modo è [ein irgendwie Seiendes]; una semplice autorizzazione che fosse autorizzazione di
nessuno, di nessun soggetto, non potrebbe mai operare creativamente» (Methode, GW
I, p. 220 s.).
102
Cfr. Gigliotti 1989, p. 186, laddove in riferimento a Cassirer l’autrice scrive: «[…]
si tratta in buona sostanza di stabilire se muovendosi unicamente sul versante di come
si dia la possibilità del mondo dell’oggettività, usando la nozione di soggettività sempre
soltanto correlativamente all’oggettività, e muovendo da essa, si riesca a conservare la
possibilità di non convalidare di fatto soltanto uno dei suoi modi e di giustificare invece
tutte le molteplici sue manifestazioni. O se, al contrario, risulti inevitabile il risalire ad
un trascendentale come soggetto».
UN NUOVO TRATTATO SUL METODO 83
103
Methode, GW I, p. 226.
144 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
Con l’elenco delle dodici tesi appena esposte si conclude lo scritto sul me-
todo, che segna una tappa importante e significativa nel percorso teoretico
scheleriano, già inaugurato con i Beiträge. Rispetto alla tesi di laurea del
1897 e alla disamina dei rapporti tra principi etici e principi logici offerta in
quella sede, lo scritto di abilitazione si pone senza dubbio in un rapporto di
continuità problematica, segnalata soprattutto dalla rinnovata sottolineatura
della necessità di una psicologia trascendentale. D’altra parte, sotto l’aspetto
formale e stilistico, è qui immediatamente riscontrabile un respiro più ampio
e al tempo stesso meno generico della trattazione, che sa piuttosto abilmente
mettere a servizio di un’indagine dal taglio ‘teorico’ tanto una larga parte
della ricerca filosofica (e non solo) contemporanea, quanto la storia stessa
del pensiero filosofico e di quello scientifico. In questo senso nell’opera
sul metodo mancano le lunghe digressioni storiche che appesantiscono
non di poco la struttura complessiva dei Beiträge, e le polemiche con gli
indirizzi filosofici contemporanei risultano prive di quella pedanteria alla
quale Scheler aveva mostrato di essere incline soprattutto nell’ambito del
confronto con Sigwart. È certamente innegabile, come già segnalato, un
forte squilibrio tra pars destruens e pars construens, ma la critica è con-
dotta in modo tale da anticipare le tesi conclusive; riesce quindi piuttosto
agile l’individuazione degli elementi centrali della proposta noologica, che
sono la ripresa del tema della psicologia trascendentale già presente nei
Beiträge e, soprattutto, il progetto di una riforma dell’apriorismo in senso
contenutistico e non solo formale. Da un lato, sulla matrice criticista del
concetto di a priori Scheler innesta le suggestioni provenienti dalle ampie
panoramiche storiche euckeniane sulle grandi personalità filosofiche del
passato, in modo tale che la forma-legge della rigorosa tradizione kantiana
viene a incontrarsi con la nozione piuttosto vaga di «progetti apriorici»
[apriorische Entwürfe] personali proposta dal maestro; d’altra parte, riba-
dendo costantemente la necessità di tenere sempre correlati il variegato
mondo delle produzioni culturali e l’indagine sulle condizioni della loro
possibilità (alle seconde si può arrivare soltanto a partire dalle prime),
Scheler fa sua la regressività analitica del metodo trascendentale, rifiutan-
done però la limitazione in senso scientifico e la pretesa di ultimatività.
La riforma contenutistica dell’a priori va quindi attuata in due direzioni
complementari, una soggettivo-psicologica e l’altra oggettivo-culturale, in
modo tale che andranno ammessi atti costitutivi reciprocamente irriducibili
per i correlativi e altrettanto reciprocamente irriducibili elementi oggettuali
che il molteplice e diveniente mondo del lavoro attesta.
La riforma dell’a priori che Scheler qui delinea resta senza dubbio
soltanto abbozzata, tuttavia mi sembra che il suo senso complessivo possa
LO SCRITTO SUL METODO: BILANCIO 145
316
Methode, GW I, p. 202.
317
Ibidem.
146 IL PROBLEMA DEL METODO E LA RIFORMA DELL’A PRIORI
318
Ibidem.
III
LOGICA TRASCENDENTALE 1
Dopo aver ottenuto l’abilitazione con lo scritto sul metodo, tra 1900 e 1901
Scheler inizia la sua attività di Privatdozent a Jena, dove fino al 1906 terrà
numerose serie di lezioni, lavorando inoltre, come si è detto, nell’ambito
dei corsi organizzati dall’ateneo jenese nel periodo estivo. Come scrive
Henckmann, se si considerano i corsi accademici unitamente a quelli estivi,
si può affermare (come fece lo stesso Scheler in un curriculum presentato
nel 1919 all’università di Köln) che negli anni di insegnamento a Jena
egli coprì ampiamente con le sue lezioni il vasto ambito delle discipline
filosofiche, tanto sotto l’aspetto sistematico, quanto sotto quello storico 2.
Questa intensa attività didattica si accompagna, sul versante della pro-
1
Una parte di questo capitolo è già stata pubblicata sotto forma di articolo: cfr.
Mancuso 2005.
2
Facendo riferimento a quanto detto supra, cap. II, § 1., pp. 63-64, cfr. Henckmann
1998 (a), p. 27 s., dove l’autore scrive che Scheler tenne corsi di «introduzione alla filosofia,
alla logica, alla dottrina del metodo, alla teoria della conoscenza, con particolare riguardo
alle scienze della natura e a quelle storiche, alla psicologia e all’etica; […] nella storia della
filosofia egli si è limitato alla filosofia dell’età moderna, individuando il momento chiave
nel XIX secolo, tenendo lezioni su Kant e Schopenhauer, così come sul positivismo».
Nell’ambito della didattica estiva tenne «almeno tre volte un corso di dodici lezioni di
‘Introduzione alla filosofia’», nel quale egli presentava «essenza, definizione e suddivisione
della filosofia», individuandone quattro configurazioni storico-geografiche principali
(«filosofia indiana, greco-romana, medievale e moderna»); quanto alla suddivisione della
filosofia nelle sue discipline specialistiche, il corso scheleriano cercava di offrire una «pano-
ramica enciclopedica dell’intero formato dal sistema filosofico», soffermandosi sulla logica,
l’etica, l’estetica, nonché sulla teoria della conoscenza, sulla psicologia, sulla metafisica,
sulla filosofia della religione, sulla filosofia della natura e della storia. Significativamente
l’ultima lezione del corso veniva dedicata da Scheler «al rapporto dell’età contemporanea
con la filosofia e al compito della filosofia nel presente», un compito critico e al tempo
stesso di guida, confermandosi in tal modo un «allievo di Eucken».
148 LOGICA TRASCENDENTALE
Si è già accennato alla tensione che percorre la vicenda intellettuale del gio-
vane Scheler: la tensione tra la filosofia intesa à la Eucken come «questione
di cuore», verso la quale egli si sentiva naturalmente inclinato, e la filosofia
come metariflessione sull’oggettività costituita ed esercizio di scomposizione
analitica praticata da un Liebmann o da un Cohen, che il giovane sentiva
sì come distante, ma che al tempo stesso gli si imponeva come modello
scientificamente rigoroso nonché accademicamente riconosciuto. E in effetti
– sebbene Liebmann sia stato di tutt’altro parere – rispetto alla produzione
precedente (i Beiträge e l’articolo Arbeit und Ethik sul quale si tornerà in
seguito) già lo scritto sul metodo attesta in Scheler la volontà di rendere
più conforme la sua prassi filosofica ai parametri sulla cui base la comunità
accademica valutava le prestazioni dei suoi membri e, a maggior ragione,
degli aspiranti tali, come era allora Scheler: parametri decisamente lontani
dall’ardore e dallo slancio universalizzante euckeniano e molto più vicini
alla fredda pacatezza e alla meticolosità di Liebmann. Si può ipotizzare,
d’altra parte, che questa stessa volontà ‘auto-inibitoria’ sia stata una tra le
cause del progressivo decrescere fino alla cessazione delle pubblicazioni di
3
Poi ripreso col titolo Ethik. Eine kritische Übersicht der Ethik der Gegenwart in
GW I, pp. 371-409.
4
Che Scheler lavorasse a tale progetto fin dagli anni di Jena è attestato anche da
una nota del testo sulla logica, in cui l’autore rimanda alla «mia introduzione all’etica
contemporanea, di prossima pubblicazione» (LW, p. 22 nota 2; sulla scelta di citare
dall’edizione Willer della Logik I piuttosto che dall’edizione Frings dei GW si veda infra,
p. 163 nota 34).
DA JENA A MONACO 149
Scheler. Come si è detto, dopo lo scritto sul metodo (1900) e fino al 1911,
Scheler pubblicherà solo due recensioni (1903) e un articolo per celebrare il
centenario della morte di Kant nel 1904. In questo stesso anno un numero
delle «Kant-Studien» annuncia la prossima pubblicazione di un suo articolo
intitolato Kant und die moderne Logik 5: lo studio, tuttavia, non vide mai
la luce. Nel lasso di tempo tra 1904 e 1911 – così fatalmente lungo per un
mondo come quello accademico, notoriamente retto dalla legge publish or
perish – Scheler quindi non pubblica nulla: il suo tentativo più ambizioso
sarà appunto lo scritto sulla logica, la cui stesura lo impegnerà negli ultimi
due anni di Jena e il cui ritiro dalla pubblicazione nel 1906 coinciderà con
l’abbandono della cittadina turingia per Monaco.
All’interno di questa indagine sulla filosofia giovanile scheleriana il
frammento sulla logica viene a rivestire molteplici significati. Dal punto
di vista del contenuto filosofico, si tratta del testo in cui Scheler più deci-
samente si allinea all’indirizzo marburghese del neokantismo, sul quale le
opere precedenti esprimevano ancora alcune riserve di fondo. Al contempo,
per lo storico della filosofia alle prese con il problema della periodizzazione
del pensiero scheleriano, la Logik I ha natura eminentemente liminare,
segnando in modo più che evidente la fine della fase neokantiana: ritirare
dalla pubblicazione il primo volume di un’opera di cui si sono già corrette
le bozze è un atto così radicale da non lasciare dubbi sul fatto che l’autore
non si riconoscesse più in quanto aveva scritto.
Si può dire allora che la vicenda della Logik I rappresenti proprio il
momento in cui la tensione alla quale si accennava viene a esplodere, fa-
cendosi ingestibile e imponendo, insieme ad altri fattori, la necessità di un
radicale cambiamento, come attesta una lunga lettera di Scheler a Eucken
non datata, ma che, in base al contenuto, dovrebbe risalire alla seconda
metà del 1906 e precedere di poco il ritiro del volume sulla logica 6. Come
ogni testo in cui un autore si trova a dover valutare il proprio percorso
intellettuale e a stilare una sorta di bilancio, si tratta indubbiamente di un
documento fondamentale, che tuttavia va preso con estrema cautela: una
cautela che si deve fare ancora più circospetta nel caso di Scheler, il quale
spesso in occasioni simili ha dato prova di poca attendibilità 7. La temperie
5
«Nei prossimi quaderni le ‘Kant-Studien’ pubblicheranno – salvo eventuali cam-
biamenti – tra gli altri i seguenti lavori: […] M. Scheler, Kant und die moderne Logik
[…]», «Kant-Studien» 9 (1904), retro della copertina.
6
La lettera fa parte del Nachlass di Eucken ed è stata pubblicata in Feyl 1960-1961,
pp. 283-285, da cui sono tratti i passi citati in seguito nel corpo del testo.
7
Per fare qualche esempio, nel curriculum vitae allegato alla dissertazione per la
Promotion Scheler anticipa di un anno il conseguimento della maturità, avvenuto nel 1894
e non nel 1893: cfr. il Lebensabriss del dicembre 1897, in GW I, p. 159, e Henckmann
1998 (a), p. 17 nota 22; in DPG, GW VII, p. 308, come si vedrà dettagliatamente in
150 LOGICA TRASCENDENTALE
intellettuale che egli attraversò negli ultimi anni di Jena ne esce in ogni
caso eccellentemente illuminata e per questo vale la pena soffermarvicisi
diffusamente.
La lettera presenta uno Scheler estremamente demoralizzato che confida
al maestro le sue riserve nei confronti del volume sulla logica nonché tutta
l’amarezza per le scarse prospettive di successo accademico, cercando di
giustificare la stentata produzione degli ultimi anni. Ben consapevole di aver
finora deluso Eucken – il quale dopo la Promotion e l’abilitazione aveva
cercato di coinvolgerlo in alcune iniziative con esiti poco felici 8 –, Scheler
scrive al maestro di sentire l’obbligo di chiarire le «ragioni della stagnazione
dei miei lavori», avendo cura di licenziare anzitutto il più atroce tra i dubbi
che funestano ogni intellettuale alle prese con un periodo critico, quello di
non essere tagliato per lo strano mestiere che ci si ritrova a fare:
Da lungo tempo avrei scacciato tutta la sofferenza e il dolore che in questi
anni mi hanno pervaso, se fossi riuscito a convincermi che non sono
portato alla filosofia o che non sono in grado di fare nulla di significativo
in questo ambito. La prego di non considerarmi presuntuoso o superbo,
se dico che sono profondamente convinto proprio dell’esatto contrario.
Mai come negli ultimi due anni ho sentito in me una tale crescita spiri-
tuale e psicologica; ci sono state settimane in cui mi beavo – non nella
raccolta di materiale, visto che di questo non ci si può beare – dell’espe-
rienza della creazione produttiva, un’esperienza che lei ben conosce in
quanto vero filosofo e non mero erudito. A tratti tutto si disponeva da
sé secondo una necessità interna, senza staccarsi dall’intuizione e dalla
vita, come può ben succedere al mero speculare […]. Solo davanti a Lei
posso parlare di tutto ciò senza temere che le mie parole vengano prese
per retorici luoghi comuni. Perché solo a Lei io mi sento […] in questo
profondamente … affine.
seguito, retrodata al 1901 il ritiro dalle stampe del primo volume della Logik, avvenuto
invece nel 1906. Sempre in DPG, nelle pagine dedicate alla presentazione della filosofia
di Eucken (GW VII, p. 273 ss.), tralascia di dire che il vincitore del Nobel era stato suo
maestro a Jena.
8
Della inefficienza di Scheler come redattore delle «Kant-Studien» già si è detto (si
veda supra, cap. I, § 1., p. 15 nota 1); egli inoltre, sempre su iniziativa di Eucken, avrebbe
dovuto partecipare con un contributo sull’etica alla stesura di un volume collettivo in
onore di Kuno Fischer; il volume uscì (cfr. Windelband 1905) senza il saggio di Scheler,
cfr. Henckmann 1998 (b), p. 18.
DA JENA A MONACO 151
sullo sfondo del contrasto tra meri eruditi, che «raccolgono materiale» e
speculano in modo vuoto e astratto, e veri filosofi, i quali intendono la
filosofia come creazione produttiva vicina all’intuizione e alla vita: Scheler
si dichiara senz’altro sicuro di rientrare, come il maestro, in questa seconda
categoria.
Se non alla mancanza di ‘autostima filosofica’, a che cosa allora si deve
la frustrazione e la scarsa produttività di questi anni? Scheler elenca tre
ragioni: la prima, di ordine strettamente personale, è «che io e mia moglie
non ci intendiamo più […], senza tuttavia avere il minimo diritto di poterle
fare di ciò una colpa». Tuttavia, prosegue il filosofo forse più rinomato
insieme ad Abelardo (e a pochi altri) per la tormentata vita amorosa, per
quanto questa sia la ragione «più essenziale tra tutte», si tratta pur sempre
di un genere di problemi «che non dipendono dal nostro arbitrio e che
non possono essere modificati solo decidendo di farlo», dei quali quindi
non ha molto senso parlare.
Scheler ha invece molto da dire sulle altre due ragioni che, secondo le
sue parole, «mi ostacolano e mi fanno soffrire»: la prima riguarda «il pro-
getto e il modo in cui si va formando il mio libro sulla logica», la seconda
consiste in «un dubbio crescente sulla possibilità che di questi tempi io riesca
a raggiungere i miei obiettivi come docente universitario». È in relazione
a questi due punti che Scheler dispiega e viene via via precisando la linea
difensiva abbozzata fin dall’inizio; quanto al libro sulla logica egli scrive:
[…] è un genere di libro con cui si vuole diventare professore straor-
dinario; il progetto che ne ho è purtroppo eccessivamente ampio, per
quanto al contempo lo sia fin troppo poco, se dovesse dare un’idea precisa
di quello che è lo stato attuale della mia evoluzione filosofica. Mentre
vi lavoravo, neanche per un attimo ho avuto di mira soltanto la logica.
In ogni momento la logica era per me solo un elemento 9 del sistema
filosofico. Già, del sistema, purtroppo. Perché io ho inevitabilmente
la tendenza mentale [Geistesrichtung] a concatenare tutto con tutto e
niente mi risulta più difficile che isolare i problemi. Lei sarà il primo
a capirlo: non Le capita forse la stessa cosa? C’è solo una grossa diffe-
renza: Lei ha intrapreso la sua grande opera quando era più maturo e
le preoccupazioni per la carriera non La mettevano più sotto pressione,
dopo che in precedenza si era occupato di indagini più circoscritte e
rigorosamente definite […]. Ma in fondo non è così grave. Pubblicherò
il mio primo volume; nella costruzione mancherà un po’ di unitarietà;
9
Henckmann fa notare come nella trascrizione della lettera di Scheler Feyl legga
erroneamente Zier («coronamento») al posto di Glied (qui tradotto con «elemento»): la
traduzione qui fornita si basa sul testo trascritto da Feyl e sulle correzioni apportatevi in
Henckmann 1998 (a), pp. 28-29, dove l’autore riporta uno stralcio della lettera.
152 LOGICA TRASCENDENTALE
10
Nella trascrizione di Feyl quest’ultima frase non è trascritta perché ritenuta illeg-
gibile; Henckmann scrive invece: «er wird fragmentarisch sein», in Henckmann 1998
(a), p. 29.
DA JENA A MONACO 153
mico viene dipinto come una sorta di «lega di birbanti contro gli uomini da
bene» 11, laddove questi ultimi sono ovviamente lo stesso Scheler e Eucken,
in lotta contro i «birbanti» eruditi che hanno saldamente in mano il ristretto
mercato della ripartizione delle cattedre, destinate, ça va sans dire, ai loro
giovani epigoni. Inasprito su questi toni e su questa linea, scrive infatti un
risentitissimo Scheler:
La mia avversione per l’infeconda oscurità dello specialismo universitario
odierno è troppo viscerale, il mio odio per molti di questi fantocci eruditi,
freddi, senza vita è troppo grande […]. Io desidero con tutto il cuore una
[…] comunità […] in cui ci sia meno arbitrio e più giustizia.
La parte senza dubbio più sorprendente della lettera è in ogni caso quella
che precede l’invettiva finale contro la casta accademica, quando Scheler
finalmente spende qualche parola sul contenuto della propria filosofia,
argomento finora solo vagamente toccato:
[…] il contenuto della mia filosofia sarà poco adatto per rendermi bene
accetto a quelle persone che oggi detengono il potere decisionale in
ambito accademico […]. Non se ne deve meravigliare. La sua filosofia,
infatti, non si adatta affatto meglio all’esercizio accademico della filosofia
di quanto non faccia la mia, vorrei dire meglio la «nostra», poiché la mia
filosofia è soltanto la sua, sotto forma diversa e con toni più appassionati.
Questo è certo, grazie a Dio […].
11
Così Leopardi definisce il mondo, in Pensieri, I.
154 LOGICA TRASCENDENTALE
pita come angusta camera da studio per i dotti. […] In un tempo come
il nostro, logorato da lotte partitiche del genere più ripugnante, una
filosofia come quella che noi vogliamo è forse in grado di procacciarsi
delle cattedre? […] Il filosofo è – così mi paiono stare le cose più passa il
tempo – un essere vivente che tanto meno è in grado di inserirsi nell’or-
ganismo dell’università di oggi quanto più egli è filosofo. Egli deve avere
tutto contro di sé, trovandosi sempre in mezzo al conflitto dei doveri,
nell’alternativa di diventare un operaio dell’erudizione o di vivere in
disaccordo col suo ambiente. A quale odiosa diffidenza, a quali odiose
occhiate di sottecchi in ogni direzione ci si deve abituare! E come soffre
là in mezzo la vita spontanea e immediata. Io penso che non si possano
chiamare in causa i nostri Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Herbart. I loro
infatti erano tempi completamente diversi: l’alessandrinismo della cultura
erudita non era ancora così esteso, l’allontanamento dell’università dalle
forze trainanti della vita non era ancora così grande, l’ambizione sfrenata
per il successo effimero non era ancora cresciuta a dismisura come accade
oggi […]. È il potere della società accademica e dello spirito corporativo
della casta dei dotti che ci piega e ci intimidisce a tal punto.
12
Köhnke 1993.
DA JENA A MONACO 155
13
Ivi, p. 433.
14
Ivi, p. 14.
15
Ivi, p. 18.
16
Secondo Köhnke, il neokantismo «sorse – lentamente e in maniera quasi imper-
cettibile –, correnti eterogenee confluirono, ma mai nemmeno uno dei partecipanti attivi
a questo processo si comprese come parte di un movimento più ampio. Esso divenne
percepibile solo quando si osservò – e non a caso a farlo furono i suoi critici – che c’era
tutta una serie di impostazioni filosofiche che tra loro, certo, erano completamente in
disaccordo, ma che comunque avevano qualcosa di comune nel fatto di richiamarsi
tutte a Kant. Qui non erano soltanto un fondatore, una data di nascita e un programma
a mancare, ma perfino il loro nome i neokantiani lo ricevettero in assegnazione da altri
come semplice etichetta» (ivi, p. 213 s., citato in Ollig 1997, p. 29).
17
DPG, GW VII, p. 279 s. (corsivo mio).
IV
1
Si vedano Dupuy 1959, vol. I, cap. II, pp. 43-57; Morra 1973 (c); Allodi 1997,
pp. 30-34; Bosio 1998; Verducci 1997, con bibliografia sul tema «lavoro ed etica» in
Scheler, nonché Verducci 2003 (a) e Verducci 2003 (b).
222 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
2
KMK, GW I, p. 354.
3
Ibidem.
DAL PENSIERO DI SOSTANZA A QUELLO DI FUNZIONE 223
L’intenzione di Scheler in questo suo scritto non sarà tanto una presentazio-
ne per sommi capi dei contenuti della filosofia kantiana, che egli presume
essere ben noti al lettore, quanto piuttosto la messa a fuoco del ruolo
svolto da tale filosofia nel complesso della «cultura spirituale dell’occidente
in generale e, in particolare, in relazione alla modernità» 4. Si tratta quindi
di individuare anzitutto il «nucleo ideale della filosofia kantiana», in forza
del quale secondo Scheler il criticismo può essere identificato tout court
con la «coscienza filosofica della modernità», e tale nucleo va ravvisato
senz’altro nella rivoluzione copernicana, nella fondamentale intuizione
del fatto che
il mondo intero, il mondo interno e quello esterno, il regno della natura
e il regno della moralità non costituiscono un ordine ‘dato’, ‘compiuto’
o in generale qualcosa che sia assolutamente fondato in sé, bensì una
dimensione incompleta, del tutto indeterminata, un eterno punto inter-
rogativo e un eterno compito. 5
4
Ibidem.
5
Ivi, p. 356.
6
Ibidem.
224 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
7
Ivi, p. 357.
8
Ivi, p. 358.
9
Ibidem.
10
Scheler, a questo proposito, chiede retoricamente se la concezione della conoscen-
za come raffigurazione della realtà non sia tutt’ora forse «ancora oggi l’opinione della
maggior parte dei ricercatori scientifici», scrivendo poi che «a questa domanda bisogna
rispondere senza dubbio con un sicuro sì»; ma egli aggiunge subito che non è questa una
grande obiezione, nel momento in cui si separa con cura «l’operato reale della scienza
dalla riflessione filosofica su questo operato» (ibidem).
11
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 10 (trad. it., p. 42).
238 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
3. SCHELER NEOKANTIANO
52
Banfi 1961, p. 47 s.
53
Se all’interno dell’opera giovanile questa insoddisfazione per la filosofia euckeniana
non viene mai chiaramente esplicitata, benché traspaia in filigrana, nel 1922, in DPG,
GW VII, p. 273 ss., Scheler la manifesterà invece a chiare lettere, dando del pensiero
del maestro una valutazione certamente non lusinghiera: pur avendo il merito «di aver
tenuto salde le esigenze della filosofia di offrire una metafisica e insieme una concezione
della vita in grado di formare l’uomo, e di averlo fatto in un tempo in cui la filosofia
correva il rischio di diventare una semplice nota a pie’ di pagina delle scienze positive
specialistiche», secondo quanto scrive l’allievo di un tempo, le argomentazioni teoriche di
Eucken sono «molto carenti»; a ragione i critici hanno rilevato «l’insufficienza di analisi
approfondite nei suoi pensieri, la mancanza di legami della sua filosofia con le scienze,
il procedimento non metodico del suo pensiero e la grande indeterminatezza e vaghezza
del caratteristico stile personale della sua esposizione»; soprattutto Eucken ha confuso
«religione e metafisica in un solo significato, inammissibile per entrambe».
54
Henckmann 1998 (a), p. 16.
SCHELER NEOKANTIANO 239
55
Tenbruck 1994, p. 71; cfr. anche Ollig 1997, p. 37.
56
Friedman 2004, p. 42.
240 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
57
Ivi, p. 46.
SCHELER NEOKANTIANO 241
58
DPG, GW VII, p. 280.
59
Ivi, p. 282.
60
Ibidem.
61
Ivi, p. 282 s.
242 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
scienza» 62; e poiché «al pensiero nulla è dato», spazio e tempo, che in Kant
erano forme pure della passiva intuizione sensibile, vengono da Cohen
inclusi in questa stessa «serie» produttiva, per essere concepiti anch’essi
come «categorie del pensiero» 63.
Quanto al neokantismo sudoccidentale, Scheler individua gli aspetti
che lo distinguono da quello marburghese anzitutto nel fatto che «mentre
la Scuola di Marburgo ha cercato di orientarsi nel modo più unilaterale
alla scienza matematica della natura, a dominare la cerchia degli interessi di
questa scuola sono soprattutto le scienze storiche e culturali» 64. In secondo
luogo, il Kant che costituisce il termine teorico di riferimento della Scuola
è «un Kant già passato attraverso J.G. Fichte» 65. Il fondatore del neokan-
tismo sudoccidentale è Wilhelm Windelband, del quale Scheler ricorda
in primo luogo l’opera di storico della filosofia, per indicare poi nella sua
distinzione tra carattere nomotetico e carattere idiografico delle scienze il
punto di partenza (poi superato) per la teoria della storia sviluppata nel
testo sui limiti della concettualizzazione scientifico-naturale 66 da Heinrich
Rickert, definito «il maggiore e più influente sistematico» 67 tra i neokantiani
del Baden. Per questa ragione è proprio la filosofia di Rickert a costituire
l’oggetto principale delle riflessioni di Scheler nello scritto del ’22, mentre a
quel Windelband che nelle opere jenesi veniva così spesso chiamato in causa
viene qui dedicato ben poco spazio. Scheler individua gli elementi portanti
della riflessione rickertiana anzitutto nella tematizzazione di un modo della
concettualizzazione opposto a quello che cerca di superare la molteplicità
data tramite il ricorso alla generalizzazione, consistente viceversa nel cer-
care di «determinare in modo sempre più preciso questa molteplicità come
‘individuo’ […] tramite la formazione di concetti individuali» 68. Su questa
base, scrive Scheler, Rickert arriva a concepire «individuo» e «universale»
come «risultato di due formazioni e modi di trattazione orientati in direzioni
contrapposte», che si esercitano però sulla stessa materia dell’esperienza,
sebbene in modo tale che «la forma categoriale dell’individuo (Rickert
la introduce come una nuova categoria nel sistema categoriale di Kant)
possiede significato ‘costitutivo’ per la realtà, mentre alla categoria di legge
spetta un significato soltanto ‘regolativo’» 69. Riportando la distinzione tra
scienze della natura e scienze storiche a questi due modi contrapposti di
62
Ivi, p 283.
63
Ibidem.
64
Ivi, p. 286.
65
Ibidem.
66
Rickert 19295 (1902).
67
DPG, GW VII, p. 286.
68
Ivi, p. 287.
69
Ibidem.
SCHELER NEOKANTIANO 243
Scheler prosegue nella sua severa critica, scrivendo che nel neokantismo
sudoccidentale, «proprio come in Fichte, la natura è in fondo soltanto
70
Dunque non soltanto regolativa.
71
Ibidem.
72
Ivi, p. 288.
73
Rickert 19286 (1892). In DPG Scheler cita la terza edizione dell’opera (Tübingen,
P. Siebeck, 19153).
74
DPG, GW VII, p. 289.
75
Ibidem.
76
Ibidem.
244 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
77
Ivi, p. 290.
78
Ivi, p. 281.
79
Ivi, p. 284.
80
Scheler si riferisce a Natorp 19212 (1903) e 1914, nonché a Cassirer 1902, 19112 e
1920.
81
DPG, GW VII, p. 284 s.
82
Colpisce in particolare il giudizio positivo su Cassirer, del quale Scheler riassume
Substanzbegriff und Funktionsbegriff, definita la sua «principale opera teoretico-cono-
scitiva»; quanto a Cassirer 1916 e 1921, Scheler li giudica «belli, in parte anche veri e
profondi» (DPG, GW VII, p. 285).
SCHELER NEOKANTIANO 245
83
DPG, GW I, p. 273.
248 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
sicché ciò che colpisce in essa è «la distanza non solo dal Kant ‘storico’,
ma dallo stesso Kant ‘sistematico’ del Cohen degli anni ’80» 84. Rispetto
al Kant «storico», nella Logik quella reinterpretazione dinamicizzante dei
rapporti tra i «due tronchi dell’umana conoscenza» già avviata da Cohen
nelle precedenti opere si radicalizza al punto tale da portare alla negazione
della distinzione stessa tra intuizione pura e pensiero puro, con l’elevazione
di spazio e tempo al piano della attiva determinazione categoriale; non solo,
ma rispetto al Kant «sistematico» – ossia il Kant reinterpretato da Cohen
nella Kants Begründung der Ethik (1877), nello scritto sul metodo infini-
tesimale (1883), nella seconda edizione della Kants Theorie der Erfahrung
(1885) e nella Kants Begründung der Ästhetik (1889) –, il tema della origi-
naria e dunque costitutivamente incessante produttività del pensiero puro
in relazione al divenire del processo scientifico-conoscitivo fa sì che venga
in primo piano «l’intreccio di logica e storia, di dimensione categoriale e
processualità dell’impresa scientifica»: in questo quadro non si tratta più
«di costruire un sistema di categorie in sé concluso e dedotto da un prin-
cipio speculativo, bensì di accogliere entro una connessione funzionale,
dinamica, aperta» 85 i motivi concettuali che hanno informato di sé la storia
del pensiero scientifico, indicandone le linee direttrici di sviluppo.
Se si tiene presente la profonda innovazione rappresentata dall’opera
del 1902 rispetto alla riflessione coheniana anteriore, si può comprendere
perché Scheler abbia tentato di elaborare la propria transzendentale Rich-
tigkeitslogik sulla sua base, abbandonando quindi le riserve precedente-
mente nutrite nei confronti della filosofia trascendentale cohenianamente
reinterpretata. La Logik der reinen Erkenntnis, infatti, in primo luogo
elimina le ipoteche sensiste e psicologistiche che ancora gravavano sulla
filosofia kantiana, a causa di quella che, nello scritto sul metodo, Scheler
riteneva l’ambigua dottrina dell’estetica trascendentale; inoltre, e soprattut-
to, l’opera del 1902 corregge proprio quell’aspetto della reinterpretazione
coheniana della filosofia trascendentale che aveva attirato su di sé le più
severe critiche di Scheler anzitutto nello scritto di abilitazione, vale a dire
il divario tra esperienza possibile ed esperienza reale, l’incapacità del pia-
no trascendentale delle condizioni di possibilità di far fronte alla storicità
dell’impresa scientifica.
Senza dubbio la Logik I presenta in larga parte un tratto comune al-
l’intera produzione scheleriana degli anni di Jena, ossia il prevalere di
ricostruzioni critiche di altre posizioni filosofiche sull’elaborazione positiva
e sistematica di una proposta personale. Ciononostante l’ampio frammento
84
Ferrari 1988, p. 63 s.
85
Ivi, p. 67.
SCHELER NEOKANTIANO 249
86
Si veda Willer 1975, pp. 280-285, dove il curatore della riedizione in ristampa
anastatica del frammento della Logik tenta, sulla base di quanto Scheler preannuncia
nelle pagine rimasteci, una ricostruzione dei contenuti del secondo volume che avrebbe
dovuto comporre l’opera: tra essi, una dottrina del giudizio; il confronto con alcune teorie
dell’evidenza; una teoria delle proposizioni esistenziali; una teoria degli assiomi della logica;
un capitolo sull’errore; una dottrina delle categorie; una trattazione di spazio e tempo;
una dottrina dei concetti; una dottrina del sillogismo; una parte dedicata al concetto di
scopo.
250 IL NEOKANTISMO GIOVANILE DI SCHELER
invece alla storicità delle forme oggettivate dell’esperienza, nello scritto sul
metodo si è visto Scheler auspicare, più che articolare sistematicamente,
un nuovo apriorismo, nel quale si tratta di rinunciare alla pretesa che l’a
priori possa «valere per ogni ‘esperienza possibile’», per accontentarsi in-
vece «della validità per una cultura storicamente determinata» 87, in modo
tale che si dovrà ammettere una serie di contenuti culturali a priori, tanti
quanti sono stati, sono e saranno gli ambiti dell’esperienza che necessita-
no di giustificazione. Tanto il progetto di una psicologia trascendentale,
quanto quello della riforma dell’apriorismo resteranno tuttavia in uno stato
preparatorio che non troverà ulteriori sviluppi significativi negli anni che
seguirono il biennio 1899-1900. Si resterebbe quindi sostanzialmente delusi,
se nel percorso filosofico seguito da Scheler negli anni di Jena si cercassero
vere e proprie risposte alle due domande alle quali tale percorso è stato
qui ricondotto; piuttosto sono proprio queste due domande, il fatto stesso
che nei Beiträge e nello scritto sul metodo non abbiano trovato risposte
adeguate, insieme al tentativo ambizioso ma alla fine abortito della Logik,
a restituire il significato complessivo della riflessione filosofica del giovane
Scheler: una riflessione che si inserì problematicamente e criticamente
all’interno del paradigma trascendentale inaugurato da Kant, e poi svolto
dalle diverse figure del neokantismo, e che dunque va compresa in rela-
zione a questo paradigma, ai suoi ‘rompicapi’ e alle sue ‘anomalie’. Il che
è quello che si è cercato di fare qui, evitando di cedere alla tentazione di
interpretare questa parte della filosofia scheleriana come semplice preludio
interlocutorio della successiva produzione fenomenologica di Scheler, la
comprensione della quale potrebbe soltanto beneficiare di un approccio,
esattamente inverso a quello finora dominante la letteratura secondaria,
che veda nel ‘dopo’ tracce del ‘prima’.
87
Methode, GW I, p. 253.
V
1. NEOKANTISMO E FENOMENOLOGIA
1
In direzione opposta, volta a sottolineare la continuità problematica e le profonde
interconnessioni tra i due indirizzi, si muovono i seguenti studi, tra quelli che più mi
sono serviti per la presente indagine: Brelage 1965; Kern 1965; Gigliotti 1989; Besoli et
al. 2001.
2
Stein 19993, p. 228.
3
Cohen 19142 (1902), p. 56. Si veda anche Natorp 1918 (b), p. 45, dove l’autore
sostiene che Husserl non sempre riesce a sottrarsi all’accusa, «(che sotto altri aspetti
respinge a ragione), per cui egli farebbe ritorno alla scolastica».
NEOKANTISMO E FENOMENOLOGIA 255
4
Münch 2000, p. 521.
5
La valutazione del primo volume di Ideen come tradimento idealistico delle istanze
contrapposte avanzate nelle Ricerche logiche si fissa fin da subito nella ricezione dell’opera
husserliana da parte dei fenomenologi monacensi e gottinghesi: a questo proposito cfr.
Avé-Lallemant 1975 (a); per contro, sulla filosofia fino alle Ricerche logiche rispetto al pen-
siero husserliano seguente, si veda Husserl 1999. Un’analoga avversione per la prospettiva
trascendentalistica si registra recentemente p. es. in Dieter Münch, il quale spiega la ‘svolta’
sulla base di «fattori esterni alla filosofia» e relativi alla biografia di Husserl, sostenendo
che essa sarebbe «inaccettabile dal punto di vista della sua precedente concezione della
filosofia», col proposito, questo sì filosofico, di «demitologizzare lo Husserl trascendentale
per potersi collegare di nuovo all’opera precedente» (Münch 2000, p. 504). Sul versante
opposto si veda p. es. Franzini 2002, p. XIII nota 2 («è il concetto stesso di svolta che
non si adatta al metodo ‘stratificato’ del lavoro di Husserl»); si veda anche English 2006,
p. 336, dove, pur mostrando in tutta la sua complessità l’itinerario che condusse Husserl
alla trascendentalizzazione della fenomenologia, si sostiene che «la fenomenologia sia e
non possa che essere trascendentale». In Costa 2002, p. 435, il primo volume di Idee è
definito al tempo stesso «un punto di arrivo, un momento di svolta e l’inizio di un nuovo
percorso di pensiero». In Lavigne 2005, p. 720, si ricostruisce il divenire del pensiero
husserliano dalle Ricerche fino al primo volume delle Idee, con l’obiettivo di dirimere
l’annosa questione interpretativa che vede i sostenitori della ‘svolta’ opposti a quelli della
‘continuità’, mettendo in luce le diverse opzioni filosofiche implicite nelle due letture e
giungendo alla conclusione seguente, che mi pare condivisibile: «[…] si può dire allora
che nel 1901 Husserl sia già idealista […] ma che la fenomenologia che egli pratica non
lo sia necessariamente. Husserl aderisce, all’epoca delle Ricerche logiche, a un idealismo
tendenziale, frutto di convinzione personale, ma per lui il legame tra questa interpretazione
personale e i risultati scientifici del metodo fenomenologico non è ancora stabilito».
6
P. es. cfr. Husserl 19132 (1901), vol. XIX/1, p. 221 (trad. it., vol. I, p. 489), dove
riguardo alla distinzione tra contenuti astratti e contenuti concreti, Husserl sostiene
espressamente che la distinzione ha «un valore ontologico», supera cioè l’ambito dei
fenomeni di coscienza, visto che «sono possibili anche oggetti che si trovano di fatto al
di là di una manifestazione accessibile a qualsiasi coscienza umana in generale. In breve
questa distinzione […] entra nel quadro di un’ontologia formale a priori». Si veda, insieme
a questi paragrafi che chiudono la Seconda ricerca, soprattutto l’intera Terza ricerca. Infine
si veda il passo della Quinta ricerca in cui Husserl, confrontandosi con Natorp, scrive di
non riuscire «affatto a scoprire questo io primitivo come necessario centro di riferimento.
Tutto ciò che io posso notare, e quindi percepire, non è altro che l’io empirico», Husserl
19132 (1901), vol. XIX/1, p. 374 (trad. it., vol. II, p. 151).
256 IL PRIMA E IL DOPO: DUE PROPOSTE INTERPRETATIVE
delle Ricerche logiche nel senso di un realismo ontologico, Ingarden indica quel passo
del capitolo dei Prolegomeni intitolato L’idea della logica pura – Husserl 19132 (1900),
p. 230 s. (trad. it., p. 235 s.) – che si è visto essere al centro della critica di Scheler nella
Logik I (cfr. supra, cap. III, § 2.4.3.): Ingarden racconta (Ingarden 1975, p. 8) che nel
1927, quando disse a Husserl che per le sue ricerche aveva letto tra l’altro il capitolo
dei Prolegomeni in questione, questi esclamò: «Oh, ma perché l’avete letto, lì mi sono
sbagliato a tal punto!». Sul fatto che alcune formulazioni di Husserl abbiano suscitato
NEOKANTISMO E FENOMENOLOGIA 257
ebbero ottimi argomenti per sostenere che nel 1913 fosse stato piuttosto
Husserl a fraintendere se stesso e quanto da lui sostenuto nelle Ricerche,
così come oggi, tra coloro che si occupano di ontologia formale, c’è chi
può ben vedere nell’opera husserliana del 1900-1901 «il più importante
contributo all’ontologia realistica (aristotelica) in epoca moderna» 9.
Personalmente ritengo che l’opera con cui si inaugura il progetto fe-
nomenologico sia di natura tale da prestarsi, più di quanto accade normal-
mente, a operazioni ermeneutiche di segno contrapposto, anzitutto per la
struttura e la storia stessa del testo: si può ricordare in proposito come
alcuni di coloro che salutarono nello Husserl dei Prolegomeni il campione
dell’anti-psicologismo di impronta realistica avessero iniziato a insospettirsi
già nel leggere le sei ricerche del secondo volume, per poi vedere in Ideen I
la conferma dei loro cattivi presagi 10. Tuttavia, fatta salva la legittimità di
prendere dall’opera di un autore quello che più serve ai propri scopi (co-
me si fa oggi soprattutto in area ‘analitica’ con Husserl e in generale con
la storia della filosofia tutta), ritengo che, intesi nel loro complesso, i due
volumi delle Ricerche non possano essere letti all’interno dell’opposizione
in senso prekantiano tra idealismo e realismo. Non credo, insomma, che
nel motto della fenomenologia alle cose stesse si possa ravvisare una svolta
realistica verso l’oggetto 11 rispetto all’idealismo trascendentale allora im-
perante, per poi contrapporle la successiva evoluzione di Husserl come
una ‘contro-svolta’ idealistica verso il soggetto, perché, su questa base, la
stessa fenomenologia ‘descrittiva’ delle Ricerche risulterebbe difficilmente
comprensibile. Nelle intenzioni del suo fondatore la fenomenologia si pone
infatti al di là della contrapposizione tra soggetto e oggetto, e individua
il proprio ambito tematico nella correlazione intenzionale che definisce
la struttura del vissuto di coscienza: proprio per questo non mi pare si
colga nel segno deprecando o salutando nelle Ricerche la riproposizione
di un realismo ontologico. Non è il caso in questa sede di addentrarsi
l’impressione che egli nelle Ricerche logiche avesse voluto «sfuggire allo psicologismo logico
solo tramite un platonismo logico», ma che d’altra parte già la Quinta e la Sesta ricerca
abbiano poi incrinato a fondo tale impressione, introducendo il tema della costituzione
(cfr. Ströker 1987, p. 51).
9
Smith - Mulligan 1982, p. 37.
10
Si veda quanto detto infra a proposito di H. Conrad-Martius.
11
Cfr. Gadamer 1963, p. 117. A questo proposito si veda quanto scrive Brelage 1965,
p. 114: «Anche la fenomenologia di Husserl risale ai principi, alle origini. Ma per lui
ha carattere di principio la cosa data intuitivamente nel modo della autodatità per ogni
conoscenza soltanto pensante. In questo senso, e non come programma di una filosofia
realistica, va intesa l’esigenza di tornare ‘alle cose stesse!’», sicché la teoria husserliana
della conoscenza «non è un puro intuizionismo» e «il suo ideale della conoscenza non è la
pura intuizione senza pensiero […], bensì l’intuizione come riempimento delle intenzioni
di pensiero».
258 IL PRIMA E IL DOPO: DUE PROPOSTE INTERPRETATIVE
nella intricatissima selva degli studi dedicati alla ricostruzione delle fasi
conosciute dalla filosofia husserliana e nemmeno si vuole affermare che le
innovazioni teoriche (la riduzione anzitutto) successive alla stesura delle
sei ricerche fossero già contenute nell’opera precedente; semplicemente,
già la fenomenologia descrittiva ivi dispiegata e l’assunzione fondamentale
che vi sta alla base – in forza della quale, come è stato scritto, «la decisione
su che cosa sia in ultima analisi un oggetto di una specie qualsiasi, e in che
senso esso sia, può essere presa solo tramite l’analisi delle sue maniere di
datità o manifestazione nella coscienza» 12 – mi sembrano escludere una
interpretazione della posizione husserliana in senso realistico. Le riflessioni
successive alla pubblicazione delle Ricerche e il primo libro di Idee in cui esse
trovano sistematizzazione non mi paiono allora ‘rovesciare’, bensì chiarire,
approfondire, dinamicizzare (e inevitabilmente modificare e complicare)
l’impostazione dell’opera con cui si inaugura il progetto fenomenologico:
tali riflessioni, approfondendo il problema della fondazione e giustificazio-
ne della conoscenza, non fanno che tornare «sul metodo e sui temi delle
Ricerche logiche stesse, ribadendo la necessità di portare al centro della
riflessione la questione fondativa della tradizione scientifica della filosofia
occidentale, cioè il problema del trascendentale» 13.
In questo quadro, ben diverso da quello che si prospettava ai «giovani
fenomenologi» di cui parla Stein nel passo citato in precedenza, i rappor-
ti tra neokantismo e fenomenologia assumono un’altra forma: non più
paradigmi incommensurabili, ma figure, per quanto ben distinte, di uno
stesso paradigma, quello inaugurato dal progetto kantiano di una critica
della ragione, dall’interrogazione sulle condizioni soggettive che rendono
possibile le diverse forme in cui l’esperienza si presenta oggettivata. Il che
non significa allora voler cancellare la contrapposizione di neokantismo e
fenomenologia; significa piuttosto sostenere che il senso autentico della loro
contrapposizione può essere colto solo all’interno del paradigma iniziato da
Kant, del quale i due indirizzi portano a espressione tensioni contrapposte
e implicite già nella filosofia kantiana che vi sta alla base.
L’elemento in forza del quale neokantismo e fenomenologia possono
essere indicati come espressioni di uno stesso paradigma filosofico sta in
ciò che accomuna il modo in cui i due indirizzi intendono i loro ambiti di
indagine e il lavoro da compiere su di essi. Vincolare il lavoro filosofico ai
Fakta culturali, come fa il neocriticista, che li scompone regressivamente
risalendo alle loro condizioni di possibilità, oppure ai vissuti di coscien-
za, da portare a datità evidente nell’intuizione, come fa il fenomenologo,
12
Bernet - Kern - Marbach 1989, p. 262.
13
Franzini 2002, p. XVII.
NEOKANTISMO E FENOMENOLOGIA 259
14
Husserl 1907, p. 12 (trad. it., p. 51).
15
Husserl 19132 (1901), vol. XIX/1, p. 48 (trad. it., vol. I, p. 308).
16
Brelage 1965, p. 116.
260 IL PRIMA E IL DOPO: DUE PROPOSTE INTERPRETATIVE
17
Kant 17872 (1781), KGS III, p. 75 (trad. it., p. 125).
18
Cohen 19142 (1902), p. 27.
19
Husserl 1929, p. 262 (trad. it., p. 314).
20
Cohen 19102 (1877), p. 35 (trad. it., p. 40).
21
Natorp 1912 (b), p. 201.
22
Husserl a Natorp, 18 marzo 1909, in Husserl 1994, p. 110 s.
NEOKANTISMO E FENOMENOLOGIA 261
quale afferma che l’intelletto non può intuire nulla, né i sensi nulla pensare,
il tentativo marburghese è in un certo senso quello di far intuire l’intellet-
to 23, mentre la sfida accettata dalla fenomenologia è cercare di mostrare
come i sensi possano pensare. Entrambe le filosofie, dunque, distruggono
«l’equilibrio stabilito da Kant tra intuizione e pensiero» 24, connettendo
in senso operativo i centri nevralgici del paradigma kantiano: intuizioni e
concetti, sensibilità e intelletto in entrambe le prospettive vanno intesi come
titoli generali sotto cui confluiscono i diversi momenti in cui si articola la
costituzione dell’oggettività, sicché la ricomposizione di estetica e logica
trascendentali si pone come naturale conseguenza di questa operazione
che priva i «tronchi dell’umana conoscenza» delle sue radici sostanziali,
sciogliendole in processi costitutivi.
Si potrebbe pensare, tuttavia, che questa riconduzione di neokantismo
e fenomenologia all’interno del paradigma kantiano riesca felicemente con
la fenomenologia husserliana, mentre lo stesso invece non accada e non
possa accadere con la fenomenologia à la Scheler, nel quale si è sempre
ravvisato uno dei principali critici da parte realistica della ‘svolta’ che mo-
nacensi e gottinghesi deprecarono in Ideen I; Edith Stein racconta infatti
che «Scheler naturalmente era aspramente contrario alla svolta idealistica
e si esprimeva quasi con tono di superiorità» 25 nei confronti di Husserl.
Quanto ai rapporti via via più conflittuali tra i due, Spiegelberg scrive che
«la tensione era destinata a salire nel momento in cui Scheler, il quale aveva
lasciato l’atmosfera neokantiana di Jena, realizzò che Husserl, sempre più
attratto dal trascendentalismo kantiano, stava andando nella direzione
opposta» 26.
23
Non certo nel senso in cui Kant parla dell’intuizione intellettuale, atto che, come
è noto, non è compatibile con il criticismo. In proposito si veda quanto Ferrari 2003,
p. 67, scrive in riferimento a Cohen e alla sua logica dell’origine, che notoriamente «co-
mincia con il pensiero»: «[…] ciò non comporta affatto […] che Cohen si affidi ad una
taumaturgica ‘creazione’ della realtà o a una sorta di attualismo fichtiano-gentiliano»,
poiché l’elevazione dell’intuizione spazio-temporale a categoria dell’intelletto va pur
sempre pensata come finalizzata alla fondazione del pensiero scientifico, in un quadro
che è sempre trascendentale e quindi mai immediatamente ontologico.
24
Holzhey 2001, p. 9.
25
Stein 19993, p. 236. Edith Stein ha contribuito non poco a far sì che l’immagine di
Scheler come filosofo delle essenze radicalmente avverso all’idealismo trascendentale si
depositasse e cristallizzasse nella ricezione del pensiero del filosofo; a questo proposito
si veda Stein 1932, p. 11, dove l’autrice scrive che non solo Scheler ha respinto l’ideali-
smo trascendentale, «ma non ha nemmeno mostrato alcuna comprensione per l’intera
problematica della costituzione». Che le cose non stiano affatto così, che la valutazione
della Stein abbia mancato il bersaglio – e che proprio a partire dalla considerazione delle
opere giovanili sia possibile vederlo – è la tesi di questo studio. Sulla inadeguatezza della
valutazione steiniana di Scheler si veda Sepp 1998, p. 725 s.
26
Spiegelberg 1960, vol. I, p. 231.
ANTROPOLOGIA E METAFISICA 279
(il newtonianesimo), almeno dal Cohen preso di mira da Scheler nel suo
scritto di abilitazione.
Nella sua opera giovanile Scheler tenta quindi a sua volta di andare con
Kant oltre Kant. Nei Beiträge kantianamente si chiede: «Che cosa rende
possibili i diversi modi dell’oggettività (oggettività conoscitiva e oggettività
etico-assiologica)»? La risposta la può dare una critica assiologica della
coscienza che, partendo dal fatto etico e da quello conoscitivo, risalga
alle loro diverse condizioni di possibilità in una «coscienza normale»
che va mostrata già attiva nella «sintesi vivente» della coscienza empi-
rica. La psicologia trascendentale è il cuore di questa critica assiologica
della coscienza, perché a essa spetta il compito di discriminare nella vita
immediata di coscienza ciò che è fatto psicologico ed è riducibile alla
coscienza empirica da ciò che è organo assiologico e rimanda invece al
Normalbewußtsein. In seguito, rispetto alla domanda posta nei Beiträge
limitatamente a conoscenza e moralità, nello scritto sul metodo Scheler
amplia la domanda di partenza dell’indagine filosofica, chiedendosi: che
cosa rende possibile la Arbeitswelt intesa come l’insieme delle connessioni
generalmente riconosciute tra le opere della cultura umana? La rispo-
sta va data, per Scheler, elaborando una metafisica critica intesa come
filosofia dello spirito. Lo spirito è tuttavia un concetto problematico,
un’incognita del tutto indeterminata, e per questo la metafisica può essere
soltanto critica e non dogmatica. Questa metafisica richiede anzitutto una
critica noologica non più della coscienza, ma di una nozione più ampia
e complessa, quella di geistige Lebensform o Persönlichkeit: il metodo
noologico, in quanto metodo trascendentale-regressivo, dovrà partire dal
fatto complesso della Arbeitswelt e risalire alle condizioni a priori che la
hanno resa possibile realizzandosi concretamente in una forma spirituale
di vita; ma il metodo noologico non è solo trascendentale-regressivo, bensì,
al contempo, anche trascendentale-psicologico; esso è quindi attrezzato
per passare dalla critica noologica della geistige Lebensform alla metafisica
critica come filosofia dello spirito e per cogliere nella forma spirituale di
vita quelle determinazioni che possono essere attribuite all’incognita del
puro spirito. Se il punto debole della filosofia trascendentale è lo iato tra
esperienza possibile ed esperienza reale, il giovane Scheler assegna alla
psicologia trascendentale il compito di colmare questo iato. Essa infatti è la
disciplina che consente di cogliere il piano trascendentale delle condizioni
di possibilità a partire da unità processuali reali, viventi e storicamente
determinate come pretendono di essere la lebendige Synthese dei Beiträge
e la geistige Lebensform dello scritto sul metodo. Solo in tal modo il piano
trascendentale delle condizioni di possibilità potrà essere colto non in un
soggetto disincarnato, a-temporale e poco differenziato al suo interno
come la kantiana Vernunft, ma in un polo soggettivo unitario e complesso
ANTROPOLOGIA E METAFISICA 281
96
Ivi, p. 59 (trad. it., p. 134).
97
Cfr. Cusinato 1999, pp. 120-122, e soprattutto, sul nesso tra meta-antropologia
scheleriana e teoria della conoscenza, in una prospettiva che tiene conto della produzione
giovanile, Raulet 2002.