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SARTRE E BRENTANO: «COGITO PRE-RIFLESSIVO» E «COSCIENZA INTERNA»


Author(s): Silvano Sportelli
Source: Rivista di Storia della Filosofia (1984-), Vol. 53, No. 3 (1998), pp. 495-521
Published by: FrancoAngeli srl
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/44023367
Accessed: 02-12-2019 00:30 UTC

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SARTRE E BRENTANO:
«COGITO PRE-RIFLESSIVO» E «COSCIENZA INTERNA»

di Silvano Sportelli

1. Brentano, Husserl, Sartre

La concezione sartriana della coscienza, com'è noto, ha la su


principale in Husserl. La nozione di intenzionalità ha immed
suscitato l'entusiasmo di Sartre, che ha visto in essa la prova
possibilità, per un soggetto, di porsi idealisticamente a partir
solo rapporto con sé. La forte tradizione cartesiana propria d
sofia francese in cui egli si era formato non poteva, peraltr
predisporlo favorevolmente verso un filosofo che si richiamav
tamente a Descartes. Sartre, però, attribuisce alla coscienza,
carattere dell' intenzionalità , anche quello della preriflessivit
suo presentarsi sempre, al tempo stesso che come coscienza
nale», anche come coscienza «pre-riflessiva», come «cogito pre-
riflessivo». Ora, il rilievo particolare che nella sua concezione della
coscienza egli riserva al «cogito pre-riflessivo» richiama invece piutto-
sto Brentano che Husserl. Nonostante Sartre rifiuti l'immanenza alla
coscienza dell'oggetto intenzionale - collocandosi così su questo pun-
to più vicino all'autore delle Ricerche logiche -, tra il suo «cogito
preriflessivo» e la «coscienza interna» di Brentano ci sono infatti evi-
denti analogie1, anche se non è facile dire se ci sia stata un'influenza
diretta del secondo sul primo2.

1. Si veda su questo anche K. Hartmann, Grundzüge der Ontologie Sartres in ihrem


Verhältnis zu Hegels Logik. Eine Untersuchung zu «L'être et le néant », Walter de
Gruyter & Co., Berlin, 1963, cap. I, § 4, pp. 21-30.
2. Mi sembra improbabile che nel periodo dei suoi studi a Berlino (1933-1934) Sartre
non abbia letto, con Husserl e Heidegger, anche Brentano. Anzi si può forse collocare

Rivista di storia della filosofia n. 3, 1998

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Brentano, d'altra parte (e anche questo si sa), è la fonte diretta


della nozione d'intenzionalità di Husserl. Il quale però non fa proprie,
con questa, anche le nozioni brentaniane di «fenomeno psichico» e
di «coscienza interna» (con cui egli indica normalmente la coscienza
riflessiva). Il pensiero del padre della fenomenologia, tuttavia, si svol-
ge attraverso varie fasi. E se nelle Ricerche logiche rifiuta la nozione
di «fenomeno psichico», e con essa la relazione della coscienza con
un oggetto immanente, e distingue tra contenuto vissuto e oggetto,
escludendo con ciò che quest'ultimo possa essere qualcosa di «vissu-
to»3, nelle Idee introduce la nozione di «noema», usandola talvolta
in un modo da far pensare a qualcosa di simile all'oggetto immanente
di tipo brentaniano.
A differenza di quanto aveva fatto con la nozione di intenzionalità,
però, Sartre, come non accoglie l'«oggettualità immanente» di Brenta-
no, così non segue Husserl riguardo alla nozione di «noema». Se nella
teoria husserliana, così come risulta dall'insieme delle Ricerche logiche
e delle Idee, la coscienza presenta come suoi caratteri, Y intenzionalità
e il noema , Sartre trattiene solo la prima, mentre rifiuta, e proprio
perché «irreale», il secondo. Egli evita così, con più evidenza e chiarez-
za di Husserl, la riaffermazione dell'oggetto immanente (w-esistente,
cioè esistente nella coscienza) di Brentano. In verità, già in quest'ulti-
mo è presente l'ambiguità che accompagnerà le definizioni dell'inten-
zionalità che saranno proposte dopo di lui. Nonostante abbia cercato
continuamente di chiarire il suo pensiero, non è mai stato in grado
di proporre uno statuto dell'oggetto intenzionale univoco e definitivo.
È addirittura giunto ad affermare - ciò che ha fatto pensare a una
seconda fase del suo pensiero - la coincidenza dell'oggetto immanente
e dell'oggetto reale4.

anche Sartre in quella che lui stesso chiama «una dialettica - e assai complessa -
da Brentano a Husserl e da Husserl a Heidegger: influenze, opposizioni, accordi, nuove
opposizioni, incomprensioni, malintesi, rinnegamenti, superamenti, ecc.» ( Questioni di
metodo , in Critica della ragione dialettica (1960), Il Saggiatore, Milano, 1963, voi.
I, p. 42). Quasi mai, tuttavia, fa riferimento a lui, e quando lo fa normalmente lo
associa a Husserl. Scrive, per esempio, ne L'Essere e il Nulla (1943), Mondadori, Mila-
no, 1958, p. 62: «D'altra parte una delle direzioni della filosofia contemporanea sta
nel vedere nella coscienza umana una specie di fuga da se stessa: tale è il senso della
trascendenza in Heidegger; P intenzionalità di Husserl e di Brentano ha anch'essa in
molti punti il carattere di un distacco da sé».
3. Cfr. Ricerche logiche , V, § 2, Il Saggiatore, Milano, 1968, vol. II, pp. 140-142.
4. Scrive, per esempio, Brentano, in una lettera a A. Marty del 17 marzo 1905
( Warheit und Evidenz (1930), Felix Meiner Verlag, Hamburg, 1974, p. 88): «Se, nella
nostra rappresentazione, vediamo un cavallo, la nostra rappresentazione ha come pro-
prio oggetto immanente non un «cavallo rappresentato» ma un cavallo».

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Tuttavia, oltre alla no


coscienza, Sartre man
precisamente la nozion
pre-riflessivo». È ver
coscienza di essere im
corrente di Erlebnisse
della coscienza irriflessa»5. Ma lui non la tematizza come uno dei
caratteri strutturali della coscienza, e non ne esplicita l'idoneità a con-
futare la possibilità di una «coscienza inconscia», come invece fanno
tanto Brentano che Sartre. Questa confutazione, infatti, che costituisce
uno degli scopi della Psicologia da un punto di vista empirico , è anche
un corollario essenziale del cogito pre-riflessivo sartriano. In Brentano
e in Sartre cambiano solo i bersagli polemici, che per il primo, che
scrive prima di Freud, sono alcuni psicologi e filosofi dell'8006, men-
tre per il secondo è la stessa psicoanalisi freudiana7. Le somiglianze
che presentano la nozione di «coscienza interna» di Brentano e quella
di «cogito pre-riflessivo» di Sartre è quanto intendiamo qui esaminare.

5. Idee /, § 77, Einaudi, Torino, 1965, p. 166. «Ogni io vive i suoi Erlebnisse ,
nei quali è, in diversi modi, realmente ed intenzionalmente rinchiuso. Il fatto che egli
li viva non significa che li abbia «nello sguardo», essi e ciò che contengono, e che
li afferri nel modo dell'esperienza immanente. Ogni Erlebnis che non sia «nello sguardo»
può diventare «veduto», per una possibilità ideale, in quanto una riflessione dell'io
si diriga su di esso, che divenga così oggetto per l'io» (Ivi, § 77, p. 164).
6. Si tratta di psicologi e filosofi quali H. Maudsley, G.T. Fechner, W. Wundt,
H.L. von Helmholtz, H. Ulrici, F.E. Beneke, G.H. Lewes, J. Mill, J. Stuart Mill,
W. Hamilton, J.F. Herbart, E. von Hartmann.
7. Va però ricordato che da studente, Freud, animato da un forte interesse per la
filosofia, pur avendo scelto gli studi di medicina, non solo seguì, negli anni 1874-76,
come uditore, dei corsi di lezioni e dei seminari di Brentano (che proprio nel 1874
iniziava il suo insegnamento all'Università di Vienna), ma anche lo conobbe personal-
mente. È quindi anche possibile supporre che una qualche influenza la dottrina di
Brentano l'abbia esercitata su Freud. Qualche traccia brentaniana può essere vista,
per esempio, nella distinzione riproposta da Freud tra fenomeni fisici e psichici, e nel
suo rifiuto di ogni spiegazione fisiologica della vita psichica, nel problema del rapporto
oggettuale e delle sue diverse modalità, e nel concetto di investimento oggettuale (su
cui può aver agito la stessa teoria dell'intenzionalità). Ma va da sé che sull'inconscio
le posizioni non potevano essere che opposte, anche se si può ritenere che il pensiero
di Brentano sia stato, per il giovane Freud, uno dei primi incontri, pure se in senso
negativo, col problema dell'inconscio. Cfr. E. Funari, Il giovane Freud. Sigmund Freud
e la Scuola di Vienna , Guaraldi Editore, Rimini-Firenze, 1975, pp. 136-144; si può
inoltre vedere P. Merlan, Brentano e Freud , «Journal of History of Ideas», 6, 1945,
pp. 375-377; 10, 1949, pp. 451-453; e anche una lettera dello stesso Freud a H. Gomperz
del 9 giugno 1936.

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2. L'intenzionalità

Visto che è da questa che tutto ha inizio, cominciamo con la ben


nota definizione brentaniana dell'intenzionalità.

Ogni fenomeno psichico è caratterizzato da ciò che gli scolastici medioevali


chiamarono Pin/esistenza intenzionale [intentionale Inexistenz ] (ovvero menta-
le) di un oggetto [Gegenstand] > e che noi, anche se con espressioni non del
tutto prive di ambiguità, vorremmo definire il riferimento a un contenuto
[die Beziehung auf einen Inhalt ], la direzione verso un obietto [die Richtung
auf ein Objekt ] (che non va inteso come una realtà), ovvero P oggettività
immanente [die immanente Gegenständlichkeit ] . Ogni fenomeno psichico con-
tiene in sé qualcosa come oggetto, anche se non ciascuno nello stesso modo.
Nella presentazione qualcosa è presentato, nel giudizio qualcosa viene o accet-
tato o rifiutato, nell'amore qualcosa viene amato, nell'odio odiato, nel deside-
rio desiderato, ecc.
Tale in/esistenza intenzionale caratterizza esclusivamente i fenomeni psichi-
ci. Nessun fenomeno fisico mostra qualcosa di simile. Di conseguenza possia-
mo definire psichici quei fenomeni che contengono intenzionalmente in sé
un oggetto8.

Brentano afferma qui che ogni fenomeno psichico è «diretto verso»


un «oggetto» {Objekt). Non però l'oggetto «reale», l'oggetto che esiste
effettivamente fuori della coscienza, ma l'«oggettività immanente»,
cioè il «contenuto» ( Inhalt ) dell'atto psichico. Distingue, dunque, tra
«oggetto reale» e «oggetto intenzionale» (identificato all'«oggetto im-
manente»). Il concetto brentaniano di fenomeno psichico, così come
è qui formulato, combina dunque insieme tre aspetti distinti: la «dire-
zione verso» (il «riferimento» «intenzionale» a) un oggetto; la presen-
za immanente (come semplice oggetto «intenzionale») di questo ogget-
to nella coscienza; la distinzione tra l'esistenza «intenzionale» (o men-
tale) dell'oggetto e la sua esistenza «reale».
A sua volta anche Husserl - che usa l'espressione «Erlebnis inten-
zionale» anziché quella di «fenomeno psichico» - , vede nell'«inten-

8. F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkt [I ed. 1874], Felix Meiner


Verlag, Hamburg, 1973, Erster Band, Buch 2, Kapitel I, pp. 124-125; tr. it., La psicolo-
gia dal punto di vista empirico , Laterza, Roma-Bari, 1997, vol. I, pp. 154-155. Su
questo passo si vedano le osservazioni di Husserl: Ricerche logiche , vol. II, V, §§
10 e 11, pp. 158, 162-163. Si può qui osservare che le variazioni che Brentano apporta
alla sua teoria nelle successive edizioni (quella, del 1911, del Libro II, dal titolo Von
der Klassifikation der psychischen Phänomena a cui aggiunge alcune note e saggi supple-
mentari, e quella, completa e includente ulteriori saggi, del 1925) non hanno influenza
sul discorso che stiamo svolgendo.

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zionalità» il riferirsi
ai loro oggetti.

L'aggettivo determinati
della classe di vissuti [...
secondo la modalità dell
[...] (Ricerche logiche , V, § 13, vol. II, p. 168).

E la definisce come la proprietà della coscienza di essere «coscienza


di qualche cosa»9.
Husserl aggiunge tuttavia un'altra nozione, quella di «noema». Ai
molteplici dati del contenuto reale (reell), noetico, dell' Erlebnis, corri-
sponde sempre una molteplicità di dati in un correlativo «contenuto
noematico», o «noema» (cfr. Idee I, § 88, p. 200; cfr. anche pp.
187, 186).

La percezione, ad es., ha il suo noema, il suo senso di percezione, ossia


il percepito come tale. [...] Il correlato noematico, che è detto qui [...] «senso»
[Sinn], è sempre da assumere esattamente quale si trova «immanentemente»
al Y Erlebnis della percezione, del giudizio, del godimento, ecc. (Ivi, p. 201).

Il noema, o, meglio, il suo «strato nucleare» o il suo «senso oggetti-


vo» ( Idee I, § 90, p. 204) viene ad essere così lo stesso «oggetto
intenzionale», che non coincide più, come nell'Appendice ai §§ 11
e 20 della V delle Ricerche logiche , o nel § 90 di Idee 710, con l'«og-
getto reale». Anche a causa della distinzione tra l'atteggiamento natu-
rale e l'atteggiamento fenomenologicamente «ridotto», che consiste
appunto nel mettere in parentesi l'oggetto «reale», rimane così pro-

9. Cfr. Ricerche logiche , V, § 11, vol. II, p. 163. «Noi intendemmo per intenzionalità
la proprietà degli Erlebnisse di essere «coscienza di qualche cosa». Questa mirabile
proprietà [...] ci venne incontro dapprima nell'esplicito cogito : un percepire è percepire
di qualcosa, poniamo di una cosa spaziale; un giudicare è giudicare di un rapporto-di-
«cose»; un valutare è valutare di un rapporto-di- valore; un desiderare è desiderare
di un rapporto-di-desiderio, ecc. L'agire va all'azione, il fare al fatto, l'amare all'amato,
il godere al goduto, ecc. In ogni attuale cogito , uno «sguardo» uscente dall'io puro
si dirige all'«oggetto» di quello che di volta in volta è il correlato di coscienza, alla
cosa spaziale, al rapporto-di-«cose», ecc., e realizza la coscienza, diversissima secondo
ogni caso, di esso» (Idee /, § 84, pp. 186-187).
10. Dove Husserl, tra l'altro, esplicitamente nega che si trovino «di fronte due realtà»,
l'oggetto «reale», «l'albero là nel giardino», e «un secondo albero immanente», una
«immagine interna», una «copia», dell'albero reale (cfr. Idee /, § 90, p. 205).

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blematico lo sta
porto con l'ogge
Ma come recepi
volta dell'intenz
ma scritto nel 1933-34 a Berlino:

Immaginate ora una serie di esplosioni che ci strappino a noi stessi, che non
lascino neppure a un «noi stessi» il tempo di formarsi dietro di esse, ma
che ci gettino invece al di là [...] tra le cose. [...] Avrete colto il senso profondo
della scoperta che Husserl esprime in questa famosa frase: «Ogni coscienza
è coscienza di qualche cosa». [...]
Husserl chiama «intenzionalità» la necessità per la coscienza di esistere come
coscienza d'altro da sé11.

Poi naturalmente Sartre ritorna sull'intenzionalità nelle varie opere


successive, e dunque anche ne L'Essere e il Nulla , dove sottolinea
che l'intenzionalità «significa che non c'è coscienza che non sia posi-
zione di un oggetto trascendente, o, se si vuole, che la coscienza non
ha «contenuto»» ( L'Essere e il Nulla , p. 16)12.
Che cosa appare allora di nuovo, o di diverso, in Sartre? Che la
distinzione (tanto brentaniana che husserliana) tra «oggetto intenzio-
nale» e «oggetto reale» è risolutamente negata. E che, se per Husserl
gli elementi fondamentali dell'atto di coscienza sono (almeno nelle
Idee) tanto Y intenzionalità quanto, correlativamente, il noema 13, per

11. Un'idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l'intenzionalità, in Che


cos'è la letteratura ?, Il Saggiatore, Milano, 1960, pp. 279-280.
12. Cfr. anche, sulla coscienza non posizionale, L'Essere e il Nulla , p. 18, e La
trascendenza dell'Ego. Arturo Berisio Editore, Napoli, 1971, pp. 57 e 59.
13. La nozione di «noema» (con la correlativa nozione di «noesi») è introdotta da
Husserl, come già abbiamo detto, soltanto nelle Idee. «[P]oiché Y Erlebnis intenzionale
è coscienza di qualcosa [...] possiamo domandarci che cosa significhi questo «di qualco-
sa»» (Idee I, § 88, p. 200). Il «noema» è presentato così come componente non reale,
presente a titolo di «senso», del vissuto intenzionale: «ogni Erlebnis intenzionale ha
- e appunto questo costituisce l'elemento fondamentale dell'intenzionalità - il suo
«oggetto intenzionale», ossia il suo senso oggettivo. In altre parole: avere senso è il
carattere fondamentale di ogni coscienza» (Ivi, § 90, p. 204). Per Husserl il noema
non cambia per il fatto che «il corrispondente «oggetto reale» esista o non esista nella
realtà». Inoltre «il pieno noema consiste in un complesso di momenti noematici, nel
quale il momento specifico del senso forma soltanto una sorta di necessario strato
nucleare, su cui sono essenzialmente fondati gli altri momenti, che abbiamo potuto
indicare appunto per questo come, ma in senso esteso, momenti di senso» (Ivi, § 89,
pp. 205 e 204). Per l'uso husserliano dei termini « Bedeutung » e «Sinn» - entrambi
traducibili con «senso» - sia nelle Ricerche logiche che nelle Idee, cfr. J. Nath Mohan-
ty, The Concept of Intentionality , Warren H. Green, Inc., St. Louis, Missouri, U.S.A.,
1972, pp. 100-101.

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Sartre e Brentano

Sartre - come abbiamo già detto - il noema, come «un nulla che
ha solo un'esistenza ideale, un tipo d'esistenza che si avvicina a quello
del lekton stoico»14, è, se deve essere il correlato delle noesi, inaccet-
tabile.

Husserl definisce precisamente la coscienza come una trascendenza. Effettiva-


mente, proprio questo egli afferma; ed è la sua scoperta essenziale. Ma dal
momento in cui fa del noema un irreale, correlativo alla noesi , ed il cui
esse è un percipi, egli vien meno alle premesse (L'Essere e il Nulla , p. 27;
cfr. anche pp. 132-133).

Per Husserl, infatti - come ci ricorda Sartre citando lo stesso filo-


sofo tedesco - non solo Y esse del noema «consiste esclusivamente
nel suo percipi », ma questa proposizione non va nemmeno «intesa
nel senso di Berkeley», poiché nel caso di Husserl «il percipi non
contiene Yesse come parte reale» ( Idee /, § 98, p. 224). Per Sartre
questo significa essere inconseguenti rispetto alla definizione della co-
scienza come trascendenza. Affermare che la coscienza è coscienza
di qualche cosa non può che significare infatti che «la trascendenza
è struttura costitutiva della coscienza, cioè [che] la coscienza nasce
rivolta a un essere che non è essa» ( L'Essere e il Nulla , p. 27). Riassu-
mendo: Sartre accetta l'intenzionalità come «direzione verso», presen-
te sia in Brentano che in Husserl, ma rifiutando ogni immanenza alla
coscienza, non può accettare né l'«oggettualità immanente» (intenzio-
nale) di Brentano (questione che tuttavia, come tutto ciò che riguarda
Brentano, Sartre non affronta esplicitamente), né - ciò contro cui
invece esplicitamente si pone - la nozione di «noema», cioè la conce-
zione dell'oggetto intenzionale avanzata da Husserl proprio per supe-
rare le difficoltà sollevate dalla posizione di Brentano.
Due interpreti di Husserl, è stato scritto15, cercando di «rendere
il vocabolario tecnico di Husserl con altri termini», «hanno involonta-
riamente rivelato una ambiguità sistematica che attraversa l'intera co-
stellazione della terminologia del noema». Si tratta di D. Follesdal16,
che (partendo dalla distinzione di G. Frege tra senso e denotazione)
interpreta il noema percettivo come un concetto, e di A. Gurwitsch,

14. Idee per una teoria delle emozioni , Bompiani, Milano, 1962, p. 132.
15. H.L. Dreyfus, Husserl's Perceptual Noema, in Dreyfus (ed.), Husserl, Intentiona-
lity and Cognitive Science , MIT Press, Cambridge, Mass., 1982, pp. 97-98.
16. Cfr. Brentano and Husserl on Intentional Objects and Perception , in H.L. Drey-
fus (ed.), Husserl ', Intentionality and Cognitive Science , pp. 32-41, e Husserl's Notion
of Noema , «Journal of Philosophy», 66, 1969, pp. 680-687, ora anch'esso in H.L.
Dreyfus (ed.), Husserl, Intentionality and Cognitive Science , pp. 74-80.

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502 Silvano Sportelli

che (partendo dalla psicologia della Gestalt) lo considera come un


oggetto di percezione. Se le cose stanno così, si può senz'altro dire
che Sartre (pur rifiutando la nozione di «noema», ed essendo su tale
questione più schematico e approssimativo) è più vicino a una conce-
zione oggettuale del noema come quella di Gurwitsch. Il quale vede
nel noema (percettivo), nel «percepito come tale» {Idee /, § 88, p.
201), «la cosa percepita esattamente ed esclusivamente come essa si
presenta alla coscienza attraverso un particolare atto di percezione»17.
Una percezione, spiega Gurwitsch,

è non soltanto una percezione di una cosa determinta, ma anche una percezio-
ne determinata di questa cosa, cioè una percezione attraverso la quale la cosa
appare in una presentazione, e non in un'altra. [...] La percezione è un atto
che si caratterizza essenzialmente mediante l'intenzionalità; è un atto che pos-
siede una funzione oggettivante tale che il soggetto, quando vive un atto di
percezione, si trova di fronte a un oggetto (p. 146)18.

In questo modo il noema non solo non costituisce un elemento


reale ( reell) dell'atto, come ritiene anche Husserl, ma è soltanto logica-
mente e non ontologicamente distinto dall'oggetto reale. Quest'ultimo,
infatti, non è altro che l'insieme di tutti i noemata , cioè di tutti gli
«adombramenti» attraverso cui esso è inteso. Husserl, invece, non

17. A. Gurwitsch, Théorie du champ de la conscience , Desclée De Brouwer, Bruges,


1957, p. 144 (corsivo mio). Cfr. anche p. 143. Il noema, aveva in precedenza scritto
Gurwitsch {On the Intentionality of Consciousness , in M. Farber (ed.), Philosophical
Essays in Memory of Edmund Husserl , Harvard University Press, Cambridge, Mass.,
1940, pp. 74-75), «è l'oggetto nel modo in cui, esattamente nel modo in cui e soltanto
nel modo in cui, il soggetto che percepisce ne è consapevole, come egli lo intende
in questo concreto ed esperito stato mentale». Cfr. anche Husserl's Theory of the
Intentionality of Consciousness , in H.L. Dreyfus (ed.), Husserl , Intentionality and Co-
gnitive Science , pp. 59-71.
18. Scrive ancora A. Gurwitsch: «La nozione [...] di noema è uno sviluppo dei
risultati descrittivi delle Logische Untersuchungen , opera nella quale Husserl restava
ancora neir «atteggiamento naturale» [non fenomenologico]». E Gurwitsch continua:
«Quando parla della percezione, Husserl impiega spesso il termine «apparenza» («Er-
scheinung»), e talvolta il termine «immagine» («Bild»). Questi sono dei sinonimi del
noema percettivo. Non si tratta di una entità mediatrice, di una «apparenza» da inter-
pretare come segno di una realtà nascosta, o di una «immagine» che si dovrebbe riferire
a un «originale» inaccessibile per ogni altra via. Queste teorie «realiste» della percezione
sono state esplicitamente criticate e rigettate da Husserl. Quando Husserl impiega il
termine «apparenza», la differenza tra questa apparenza e la cosa stessa non è una
differenza tra ciò che è in effetti dato nella percezione e una realtà che si nasconde
dietro, ma piuttosto quella che esiste tra una presentazione particolare di questa cosa,
e la totalità dei suoi aspetti possibili» (pp. 151-152).

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Sartre e Brentano 503

sembra a volte distin


so (l'oggetto reale), e
contenuto ideale) dell
È vero però che anch
l'inteso «in quanto ta
ma, e del suo rapportarsi all'oggetto dell'atto, opposte a quella di
Gurwitsch. È quel che fanno studiosi di derivazione analitica come
Smith e Mclntyre, che (sulla scia di D. Follesdal) vedono un'analogia
tra il Sinn noematico di Husserl e il Sinn di Frege:

Il noema di un atto (includente il senso) non è l'oggetto ma il contenuto


ideale dell'atto: il noema, e in particolare il senso, non è ciò verso cui è
diretto, ma ciò attraverso cui l'atto intende il suo oggetto 19 .

Gurwitsch può condividere l'affermazione di Husserl secondo cui


l'albero reale può bruciare, mentre non lo può l'albero percepito20,
ma non può evitare le difficoltà che derivano allora dalla sua interpre-
tazione. Come può il noema, il senso percettivo dell'atto - si chiedo-
no Smith e Mclntyre (Ivi, pp. 158-159) - , essere l'oggetto «in quanto
percepito» se ne è solo una parte, e come può esistere quando non
c'è un tale oggetto? Come può l'oggetto stesso essere identico a un
sistema di noemata, e come può in quanto tale bruciare se un noema
non lo può?
Anche Sartre evidentemente viene a scontrarsi con difficoltà di que-
sto tipo. Egli tuttavia rifiuta di considerare l'oggetto intenzionale come
«noema» proprio nella misura in cui il noema è presentato come una
«irrealtà», come «un correlativo irreale della noesi», un correlativo
irreale di una noesi essa solo «reale». Certo, affermando Yirrealtà
del noema, Husserl non vuole esprimere altro che il suo non essere
una componente reale (reell) del vissuto intenzionale. Ma egli esclude
anche che il «noema» possa essere il raddoppiamento mentale dell'og-
getto reale.

19. D.W. Smith e R. Mclntyre, Husserl and Intentionality . A Study of Mind , Mea-
ning, and Language y D. Reidei Publishing Company, Dordrecht, 1982, p. 134 (corsivo
mio). Cfr. anche p. 160.
20. «L'albero ut sic , la cosa in natura, è tutt'altro da questo albero-percepito come
tale, che come senso della percezione appartiene inseparabilmente alla singola percezio-
ne. L'albero ut sic può bruciare, dissolversi nei suoi elementi chimici, ecc. Ma il senso
- il senso di questa percezione, cioè qualcosa che appartiene necessariamente alla sua
essenza - non può bruciare, non ha elementi chimici, forze, proprietà reali» ( Idee
/, § 90, p. 203).

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504 Silvano Sportelli

Io percepisco la cosa, l'oggetto di natura, l'albero là nel giardino:


questo e niente altro è l'oggetto reale delP«intenzione» percipiente.
Un secondo albero immanente, od anche un'«immagine interna» del-
l'albero reale, che sta là fuori davanti a me, non è dato in nessun
luogo; e il supporre ipoteticamente qualcosa di simile conduce all'as-
surdo. La copia come parte reale nella percezione psicologico-reale
sarebbe di nuovo un reale, un reale che fungerebbe come immagine
per un altro reale {Idee /, § 90, p. 205).

Ma anche per questo Sartre - che peraltro enuncia come «prova


ontologica» dell'essere-in-sé21 il fatto che, in quanto trascendenza, «la
coscienza nasce rivolta a un essere che non è essa» {L'Essere e il
Nulla , p. 27) - , ritiene inutile e anche pericoloso il noema. Esso
appare infatti (anche per le ambiguità dello stesso Husserl su questo
punto) una specie di intermediario tra la coscienza e l'oggetto trascen-
dente inteso dall'atto intenzionale. Fare del noęma «un irreale, correla-
tivo alla noesi , ed il cui esse è un percipi», significa venir meno alla
premessa della coscienza come trascendenza (cfr. L'Essere e il Nulla ,
p. 27)22.
Sempre allo scopo di eliminare dalla coscienza ogni contenuto Sartre
respinge anche quelle entità immanenti costituite dai dati sensibili e
affettivi, «contenuti di sensazione» che Husserl chiama « hyle »23, o
«dati materiali o iletici, o semplicementi materie [Stoffe]». I contenuti
sensoriali sono inseparabili dalle apprensioni intenzionali che ne costi-
tuiscono il principio organizzativo, e fanno delle sensazioni dei tra-
scendenti.

È vero che le cose si presentano di profilo - e cioè, in parole povere mediante


apparizioni. Ed è anche vero che ogni particolare apparizione rimanda ad
altre apparizioni. Ma ciascuna di esse è già di per se stessa un essere trascen-
dente, non una materia impressionale soggettiva - una pienezza d'essere ,
non una carenza - una presenza , non un'assenza. Invano si tenterà un gioco

21 . L'argomentazione ha qualche analogia con la «confutazione dell'idealismo» di Kant.


22. Sartre, in altri termini, riduce la relazione noesi-noema alla relazione coscienza-
oggetto. Quando percepisco un albero, l'albero è l'oggetto (l'oggetto intenzionale) del
mio atto percettivo, anche se l'albero mi si dà sotto un certo profilo (e questo, che
per Husserl è il noema, non può essere separato dall'oggetto dell'intenzione).
23. Si tratta di «certi Erlebnisse che secondo il loro genere superiore diremo «sensua-
li», ossia «contenuti di sensazione», come dati di colore, di suono, di tatto e simili,
che ci guarderemo dal confondere con i momenti fisici apparenti, come colorazione,
ruvidezza, ecc., come pure i momenti sensuali della sfera degli «impulsi»» ( Idee /,
§ 85, p. 190; cfr. anche p. 222).

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Sartre e Brentano 505

di bussolotti, fondando
sionale e la sua oggettiv
né il trascendente dall'i
Nulla , p. 27).

Questi «dati neutri»,


vità nella noesi » per
non può agire su nien
dogli il suo nulla di essere» {L'Essere e il Nulla , p. 24).
Negli scritti precedenti, come per esempio ne L'immaginazione , Sar-
tre è più vicino a Husserl. Non nega la hyle, nega tuttavia anche
qui (diversamente dal filosofo tedesco, ma presentando la propria po-
sizione come corrispondente a quella di Husserl) il suo essere parte
del vissuto intenzionale24. Vuole infatti evitare l'illusione d'immanen-
za di chi crede di poter «costituire il mondo con contenuti di coscien-
za» C L'immaginazione , Bompiani, Milano, 1962, p. 125). Tuttavia non
esclude i «contenuti di coscienza», cioè i dati visivi, tattili, ecc., «che
fanno parte della coscienza come elementi soggettivi immanenti» (Ivi,
p. 126). Ma non li considera come Y oggetto della coscienza. La co-
scienza, cioè, non si dirige su di essi, ma attraverso di essi coglie
P oggetto. Il dato iletico è dunque trascendente e funziona come analo-
gon :

Questa impressione visiva che fa presentemente parte della mia coscienza non
è il rosso. Il rosso è una qualità dell'oggetto, una qualità trascendente. Questa
impressione soggettiva che, senza dubbio, è «analoga» al rosso della cosa,
non è che un «quasi-rosso»: e cioè è la materia soggettiva, la «hyle» sulla
quale si applica l'atto intenzionale, che si trascende e che cerca di afferrare
il rosso fuori di sé (Ivi, p. 126).

Ciò vale anche nel caso dell'immagine mentale . Essa non è più un
contenuto psichico, ma, in quanto immagine di qualche cosa, è il
risultato di un «atto intenzionale immaginante» e di una «hyle» «ani-
mata» da esso (cfr. Ivi, pp. 126-127).

[L] 'immagine è un atto il quale concerne nella sua corporeità un oggetto


assente o inesistente, attraverso un contenuto fisico o psichico che non si

24. «Tutti i momenti iletici appartengono aìVErlebnis concreto come parte reale»
( Idee /, § 98, p. 222).

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506 Silvano Sportelli

dà in proprio, ma a titolo
specificazioni avvengono s
rimane sempre la medesim

L'immagine, in altri t
coscienza», ma una «coscienza una e sintetica in relazione con un
oggetto trascendente» ( L'immaginazione , p. 128). Naturalmente la ma-
teria (i dati psichici funzionanti come analogon) è scelta «fra gli oggetti
del mondo interno»26. Ma è solo se è vista come trascendente - ciò
che per Sartre non significa qui «esteriore» - rispetto alla coscienza
che la hyle può essere considerata, con Husserl, come una «materia»
«animata» da momenti noetici (cfr. Idee /, § 98, p. 222).

Questa necessità per la materia dell'immagine mentale di esser già costituita


in oggetto per la coscienza, la chiameremo trascendenza del rappresentante.
Ma trascendenza non significa esteriorità: esteriore è la cosa rappresentata,
non già il suo analogon mentale. L'illusione d'immanenza consiste nel trasferi-
re al contenuto psichico trascendente l'esteriorità, la spazialità e tutte le qualità
visibili della cosa. Tali qualità, quel contenuto non le possiede: le rappresenta,
ma alla sua maniera ( Immagine e coscienza , pp. 90-91).

Ma la critica radicale che ne L'Essere e il Nulla 27 Sartre svolge

25. Immagine e coscienza , Einaudi, Torino, 1960, p. 39.


26. Se si immagina una chimera, non si deve semplicemente distinguere l'inesistente
chimera, ridotta poi a un nulla, dai contenuti psichici considerati come la sola realtà.
«Husserl - afferma Sartre - restituisce al centauro la sua trascendenza nel seno stesso
del suo nulla. Nulla quanto si vorrà: ma per ciò stesso non è nella coscienza» {L'immagi-
nazione, p. 127). Per un'analisi critica della teoria sartriana dell'immagine mentale
si veda G. Piana, Elementi di una dottrina dell'esperienza , Il Saggiatore, Milano, 1979,
pp. 128-134.
27. Scrive, per esempio, a p. 392: «Si riconoscerà senza dubbio che noi non incontria-
mo mai in noi quell'impressione fantasma e rigorosamente soggettiva che è la sensazio-
ne, si ammetterà che io non percepisco altro che il verde di questo quaderno, o di
quelle foglie, ma mai la sensazione di verde, e neanche il «quasi-verde» che Husserl
pone come materia iletica che l'intenzione anima in verde-oggetto; ci si dichiarerà facil-
mente convinti del fatto che, presupponendo che la riduzione fenomenologica sia possi-
bile - e questo resta da dimostrare - essa ci porrebbe di fronte ad oggetti posti
tra parentesi, come puri correlativi di atti posizionali, ma non di residui di impressioni».
Scrive ancora Sartre: «Tale è la nozione di sensazione. È evidente la assurdità. Prima
di tutto, è puramente inventata. Non corrisponde a niente di ciò che io provo in me
stesso o su altri. Noi non abbiamo mai percepito altro che l'universo oggettivo; tutte
le nostre determinazioni personali presuppongono il mondo e sorgono come delle rela-
zioni col mondo. La sensazione, invece, presuppone che l'uomo sia già nel mondo,
perché esso è provvisto di organi sensibili ed essa appare in lui come pura cessazione

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Sartre e Brentano 507

nei confronti dei dati


ti posizioni sartriane.
di coscienza, afferma
menti svanirebbe in t
mabile e resistente p
giunge:

Dando alla hyle insieme i caratteri della cosa e della coscienza, Husserl ha
creduto di facilitare il passaggio dall'una all'altra, ma, in sostanza, non fa
altro che creare un essere ibrido che la coscienza rifiuta e che non può far
parte del mondo ( L'Essere e il Nulla , p. 25).

In questo modo, tuttavia, Sartre trasforma la divisione husserliana


tra sfera reale ( reell) e sfera intenzionale28 nella divisione tra coscien-
za e essere-in-sé, e il riferimento della coscienza al suo oggetto come
una relazione d'essere. Presupposti ontologici, questi, che rafforzano
il suo rifiuto di considerare, nell'ambito di una epistemologia, l'ogget-
to intenzionale come senso noematico. La coscienza implica l'essere
del mondo. Essa esige, cioè, che «l'essere di ciò che appare non esista
solo in quanto appare. L'essere transfenomenico di ciò che è per la
coscienza è esso stesso in sé» ( L'Essere e il Nulla , p. 8).

dei suoi rapporti col mondo. Nello stesso tempo, questa pura «soggettività» si dà come
la base necessaria sulla quale bisognerà ricostruire tutte quelle relazioni trascendenti
che la sua apparizione ha appena fatto scomparire» (p. 391). «La sensazione, nozione
ibrida tra il soggettivo e l'oggettivo, concepita a partire dall'oggetto, ed applicata poi
al soggetto, esistenza bastarda che non si sa se viva di fatto o di diritto, la sensazione
è un puro sogno degli psicologi, e bisogna rifiutarla deliberatamente da ogni seria
teoria sui rapporti della coscienza col mondo» (Ivi, p. 392).
Anche Merleau-Ponty si oppone alla nozione di hyle, e, a proposito della sensazione,
scrive: «Ogni sensazione è già impregnata di un senso, inserita in una configurazione
confusa o chiara, e non c'è nessun dato sensibile che rimanga immutato quando io
passo dal sasso illusorio alla macchia di sole vera» (Fenomenologia della percezione ,
Il Saggiatore, Milano, 1965, p. 387; il corsivo è mio). Ma lo stesso Husserl aveva
scritto: «Le sensazioni e anche gli atti che le «apprendono» o «appercepiscono» vengono
vissute [erlebt], ma non si manifestano oggettualmente [gegenständlich]; [...]. Gli oggetti
d'altro lato si manifestano, vengono percepiti, ma non sono vissuti» (Ricerche logiche,
V, § 14, vol. II, p. 174).
28. La divisione, in altri termini, tra ciò che nell'atto è un «vissuto, cioè ciò che
forma una sua componente reale [reell]», e ciò che «è in esso» in un senso improprio
(«intenzionale)» (Husserl, Ricerche logiche , V, § 2, vol. II, p. 143). «La manifestazione
della cosa (il vissuto) non è la cosa che si manifesta [...]. Noi «viviamo» le manifestazio-
ni come appartenenti al nesso della coscienza, mentre le cose ci si manifestano come
appartenenti al mondo fenomenale. Le manifestazioni stesse non si manifestano, esse
vengono vissute» (Ivi, p. 142).

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3. «Coscienza int

Ma se Sartre può così «svuotare» la coscienza di ogni contenuto,


e renderla trasparente da parte a parte, è perché il suo modo di inten-
dere l'intenzionalità trova un punto d'appoggio anche in un altro ca-
rattere della coscienza, pure esso presente in Brentano. Il quale, se
introduce, come abbiamo visto, la nozione di intenzionalità , che attra-
verso Husserl giunge a Sartre, introduce anche, come abbiamo accen-
nato, un'altra nozione che ritroviamo, con altro nome, nel filosofo
francese: la nozione di «coscienza interna». Con la quale Brentano
indica appunto una seconda caratteristica dei «fenomeni psichici»:

Una peculiarità ulteriore comune a tutti i fenomeni psichici è che essi vengono
percepiti solo nella coscienza interna [sie nur in innerem Bewusstsein wahrge-
nommen werden], mentre dei fenomeni fisici si può avere solo una percezione
esterna» (Psychologie vom empirischen Standpunkt , Erster Band, Buch 2,
Kapitel I, p. 128; tr. it. cit., p. 157; corsivo mio).

E spiega che «come si definisce «interna» la percezione di un'attività


psichica attualmente sussistente in noi, definiamo qui «interna» la co-
scienza che vi si riferisce» (Ivi, Buch 2, Kapitel II, p. 141, n. *; tr.
it. cit., p. 167, n. 1).
Brentano identifica dunque «percezione interna» e «coscienza inter-
na». Ma la «percezione interna» non è da lui concepita come una
coscienza posizionale, cioè basata sulla riflessione29. Così la concepi-
sce invece Husserl, che infatti rifiuta la teoria brentaniana della «co-
scienza interna». Anche se qualche volta - come vedremo tra poco
- egli usa il termine inneres Bewusstsein in senso brentaniano (come,
fin dal titolo, fa in Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins ),
normalmente lo usa nel senso di riflessione, e quindi come atto inten-
zionale primario. Se, dunque, Brentano considera la percezione interna
come coscienza interna, Husserl considera la coscienza interna come
percezione interna, cioè come «riflessione»30. Quest'ultimo, infatti, ve-

29. Per Brentano, la percezione interna e la osservazione interna (che per lui è l'equi-
valente della riflessione), «vanno distinte con precisione. Anzitutto, è proprio della
percezione interna il fatto di non potere mai diventare osservazione interna» (Psycholo-
gie vom empirischen Standpunkt , Erster Band, Buch J, Kapitel II, p. 41; tr. it. cit., p. 93).
30. «Sono vissuti o contenuti di coscienza le percezioni, le rappresentazioni fantastiche
e immaginative, gli atti del pensiero concettuale, le supposizioni e il dubbio, le gioie
e i dolori, le speranze e i timori, i desideri e gli atti del volere, ecc., così come hanno
luogo nella nostra coscienza» (Ricerche logiche , V, § 2, vol. II, p. 139). È, questo,

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Sartre e Brentano 509

de nella «percezione i
gnare, sia in generale
presenti, rivolgendosi a
V, § 5, vol. II, p. 146). E nelle Idee scrive:

vivendo nel cogito , non siamo attualmente consapevoli della cogitatio stessa
come oggetto intenzionale; ma essa lo può diventare in qualunque momento,
poiché appartiene alla sua essenza la possibilità di uno sguardo riflessivo nella
forma di un nuova cogitatio , che si dirige apprensivamente, verificandola,
sulla prima. In altre parole, ogni cogitatio può diventare oggetto di una cosid-
detta «percezione interna», e successivamente oggetto di una valutazione rifles-
sa, di approvazione o disapprovazione, ecc. ( Idee /, § 38, p. 81)31.

Husserl, peraltro, rifiuta la posizione brentaniana in modo esplicito:

In alcuni studiosi, come Brentano, si afferma un'intima relazione tra i due


concetti di coscienza sinora trattati [coscienza come unità dei contenuti co-
scienziali, e coscienza interna] in quanto essi pensano che si possa interpretare
la coscienza (o P esperienza vissuta) di contenuti nel primo senso come. una
coscienza intesa nel secondo senso. In tal caso sarebbe cosciente o vissuto
nel secondo senso ciò che viene percepito internamente (e in Brentano ciò
significa al tempo stesso, sempre: adeguatamente); coscienza nel primo senso
significherebbe ciò che in generale è presente come vissuto nell'unità della
coscienza ( Ricerche logiche , V, § 5, vol. II, p. 147).

Husserl aggiunge inoltre che il punto di vista di Brentano nasce


dall'equivoco di «intendere la coscienza come un sapere, e precisamen-

un concetto di coscienza che può anche «essere inteso in modo puramente fenomenologi-
co», anziché in modo psicologico-descrittivo, se si neutralizza «qualsiasi riferimento
all'esserci empirico-reale» (Ivi, p. 140). Husserl introduce la nozione di «coscienza inter-
na» nella Quinta Ricerca , dopo aver parlato della «coscienza come unità fenomenologico-
reale dei vissuti dell'io» (Ivi, p. 139).
31. Nell'Appendice delle Ricerche Husserl riassume il punto di vista di Brentano:
«Ogni fenomeno psichico non è soltanto coscienza, ma al tempo stesso contenuto di
una coscienza, ed è cosciente anche nel senso più ristretto della percezione. Il flusso
dei vissuti interni è quindi al tempo stesso un flusso continuo di percezioni interne,
che sono tuttavia unificate in modo particolarmente stretto con i vissuti psichici corri-
spondenti. La percezione interna, cioè, non è un secondo atto, un atto autonomo che
si aggiunge al fenomeno psichico corrispondente, ma quest'ultimo contiene, oltre al
suo riferirsi ad un oggetto primario, ad esempio al contenuto esternamente percepito,
anche «se stesso rappresentato e conosciuto nella sua totalità». Nella misura in cui
l'atto è direttamente rivolto al suo oggetto primario, esso è al tempo stesso indirettamen-
te rivolto a se stesso» (Ricerche logiche, Appendice, vol. II, p. 534).

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510 Silvano Sportelli

te come un sapere intuitivo» (Ricerche logiche , V, § 5, vol. II, p.


147). Peraltro, la distinzione brentaniana «tra una direzione primaria
ed una secondaria della percezione», non basta, secondo Husserl, per
risolvere quel regresso all'infinito, che deriva dal «fatto che la perce-
zione interna stessa è a sua volta un vissuto, e richiede quindi una
nuova percezione per la quale si ripete la stessa situazione» (Ib.), Non
è, inoltre, nemmeno possibile «dimostrare la necessità di postulare
la continuità di azione della percezione interna» (Ib.).
Husserl presenta dunque la coscienza come assorbita nel suo ogget-
to, cioè come «vissuto», «Erlebnis intenzionale», senza tematizzare
una vera e propria presenza preriflessiva della coscienza a se stessa.

Certi contenuti sono elementi costitutivi di un'unità di coscienza, della corren-


te di coscienza fenomenologicamente unitaria di un io empirico. E quest'ulti-
mo è un intero reale, realmente composto di molteplici parti, e si dice che
ognuna di queste parti viene «vissuta». In questo senso ciò che l'io e la co-
scienza vive è appunto la sua esperienza vissuta. Tra il contenuto vissuto
o cosciente e il vissuto stesso non vi è alcuna differenza (Ricerche logiche ,
V, § 3, pp. 143-144).

Ogni io vive i suoi Erlebnisse , nei quali è, in diversi modi, realmente ed


intenzionalmente rinchiuso. Il fatto che egli li viva non significa che li abbia
«nello sguardo», essi e ciò che contengono, e che li afferri nel modo dell'espe-
rienza immanente o in un'altra visione o rappresentazione immanente (Idee
/, § 77, p. 164)32.

Capita, tuttavia, che anche Husserl in altri luoghi veda ogni atto
intenzionale accompagnato da una coscienza non riflessiva:

Ogni atto è coscienza di qualcosa, ma di ogni atto si ha altresì coscienza.


Ogni vissuto è «sentito», è «percepito» in immanenza (coscienza interna [inne-
res Bewusstsein]) sebbene, naturalmente, non sia posto, intenzionato (percepi-
re, in questo caso, non significa esser-rivolti-intenzionalmente-a [...] e co-
gliere)33.

32. «[Gli Erlebnisse ] come coscienza di qualcosa non sussistono soltanto se sono
essi stessi oggetto di una coscienza riflettente, ma sussistono già irriflessi, come «sfon-
do», e quindi sono pronti alla percezione in un senso analogo, inizialmente, a quello
in cui lo sono le cose inosservate» ( Idee /, § 45, p. 98).
33. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo , Franco Angeli Editore,
Milano, 1981, p. 152. Scrive ancora Husserl a p. 119: «Se parliamo di percezione
interna, con questa parola si può intendere soltanto: o, 1. la coscienza interna dell'ogget-
to immanente unitario che sussiste, anche se non vi facciamo attenzione, come costituti-
va di ciò che è temporale; ovvero, 2. la coscienza interna accompagnata dall'attenzione».

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Sartre e Brentano

Anche se poi rit


percezione intern

la coscienza intern
atto, e per ciò essa

In Husserl, dunq
corrente degli Er
costituiti in unit
dei vissuti intenz
«unifica se stessa
sversali» che son
(La trascendenza
«è, secondo la leg
coscienza di esser
che il cogito pre
necessaria e suff
del suo oggetto -
di sé in quanto è questa conoscenza» (p. 16). E Sartre spiega:

Questa coscienza (di) sé [la coscienza interna, preriflessiva, non posizionale


di sé], non va considerata come una nuova coscienza, ma come il solo modo
possibile di esistere per una coscienza di qualche cosa (Ivi, p. 19).

Ma la concezione sartriana della coscienza come autocoscienza non


riflessiva se ha senz'altro avuto presenti (oltre alle lontane e non chia-
ramente esplicitate anticipazioni cartesiane) le analisi husserliane del
vissuto intenzionale e della coscienza-tempo, ha come suo antecedente
più prossimo e affine la «coscienza interna» di Brentano. Se per Sartre
la coscienza è un'esistenza, il cogito preriflessivo è il suo modo di
esistere come coscienza di qualcosa.

4. «Cogito preriflessivo» e «cogito riflessivo»

Naturalmente, come la coscienza interna breìitaniana non è una co-


scienza riflessiva, così il cogito preriflessivo non coincide col cogito
cartesiano, che invece è riflessivo. Sartre distingue molto chiaramente
il cogito preriflessivo (o coscienza preriflessiva) dalla riflessione. Per
lui, non solo Descartes, ma tutti gli autori che hanno descritto il Cogi-
to l'hanno presentato come un'operazione riflessiva. E dunque come

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512 Silvano Sportelli

una coscienza che si dir


come oggetto». Ciò che
della coscienza riflettente e della coscienza riflessa», e la «sintesi di
due coscienze di cui l'una è coscienza dell' altra». Così, scrive Sartre,
«è preservato il principio essenziale della fenomenologia: "Ogni co-
scienza è coscienza di qualche cosa"» (La trascendenza dell'Ego , p.
62). Ma mentre realizza il Cogito la coscienza riflettente non prende
se stessa per oggetto. Suo oggetto è soltanto la coscienza riflessa.

Nella misura in cui la mia coscienza riflettente è coscienza di sé stessa, essa


è coscienza non posizionale. Diventa posizionale tendendo alla coscienza rifles-
sa la quale non era coscienza posizionale di sé prima di essere riflessa (Ivi,
pp. 62-63).

La coscienza riflessiva di sé è dunque una forma di conoscenza.


Ma se si considera la coscienza non posizionale di sé non si deve
subire «l'illusione del primato della conoscenza» che ci induce a guar-
dare alla coscienza di coscienza come a una conoscenza di conoscenza
- cioè come a una idea ideae alla maniera di Spinoza. Questa non
è che «la definizione della riflessione o coscienza posizionale della
coscienza, o meglio ancora conoscenza della coscienza ». In questo
modo, infatti, non si ottiene che una coscienza che si trascende come
la coscienza posizionale del mondo, soltanto che il suo oggetto è an-
ch'esso una coscienza, la coscienza riflessa. La coscienza di sé non
posizionale - spiega Sartre - «non è coppia. Se si vuole evitare
la regressione all'infinito, essa deve essere rapporto immediato e non
cogitativo di sé a sé» (L'Essere e il Nulla , p. 17). In verità implica
anch'essa una dualità, ma una dualità che rimane «sempre evanescen-
te», cioè tale che nel porsi per l'altro, diventa l'altro (cfr. L'Essere
e il Nulla, p. 191). Nella riflessione, invece, «riflesso e riflessivo tendo-
no [...] ciascuno alla Selbständigkeit ed il niente che li separa li divide
più profondamente di quanto il nulla del per-sé non separi il riflesso
dal riflettente» (Ivi, p. 192). E ciò di cui si ha conoscenza riflessiva
è la «Psiche» (cfr. Ivi, p. 202)34.
Bisogna dunque distinguere «coscienza di sé» - la «coscienza (di)
sé» - dalla «conoscenza di sé». «La coscienza non è un modo di
conoscenza particolare, chiamato senso interno o conoscenza di sé

34. «Per Psiche intendiamo l'Ego, i suoi stati, le sue qualità ed i suoi atti. L'E
sotto la doppia forma grammaticale dell'Io e di Me, rappresenta la nostra pers
in quanto unità psichica trascendente» {L'Essere e il Nulla , p. 202).

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Sartre e Brentano 513

è la dimensione d'ess
Anche Descartes, d'altronde, se da un lato ci dà un cogito di tipo
riflessivo e personale (nelP«/o penso» c'è un Io che pensa), dall'altro
lato non solo definisce il pensiero mediante le sue diverse intenzionalità
(«E che cos'è una cosa che pensa? È una cosa che dubita, che concepi-
sce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina
anche, e che sente»)35, ma lo mostra anche come consapevolezza im-
mediata di tutto ciò che accade in esso, esprimendo così in qualche
modo anche il carattere della preriflessività.

Col nome di pensiero io comprendo tutto ciò che è talmente in noi, che
ne abbiamo immediatamente conoscenza [tout ce gui est tellement en nous ,
que nous en sommes immédiatement connaissants ]. Così tutte le operazioni
della volontà, dell'intelletto, dell'immaginazione e dei sensi, sono dei pensieri.
Ma io ho aggiunto immediatamente y per escludere le cose che seguono dai
nostri pensieri [per esempio, il movimento volontario]36.

Con la parola pensiero, io intendo tutto quello che accade in noi in tal modo,
che noi lo percepiamo immediatamente per noi stessi [immediate conscii su-
mus]' ecco perché non solo intendere, volere, immaginare, ma anche sentire
è qui lo stesso che pensare [...]. [Iļntendo parlare solo dell'azione del mio
pensiero o del sentimento, cioè della conoscenza che è in me [...]37.

Non a caso il cartesiano La Forge separa esplicitamente la riflessione


dalla coscienza immediata di se stessi.

Une substance qui pense [...] c'est une substance qui s'aperçoit de toutes
les actions & passions, & generalement de tout ce qui se passe en elle immédia-
tement & non pas par reflexion38.

Quand l'Ame aperçoit quelque objet des sens, elle n'a pas seulement la con-
noissance de cét objet, mais encore de l'opération par laquelle elle l'aperçoit,
non pas par aucune reflexion qu'elle fasse sur soy-mesme [...]39.

35. Seconda Meditazione , in Cartesio, Opere filosofiche , Laterza, Bari, 1992, vol.
II, p. 27.
36. Seconde Risposte , Def. 1, in Cartesio, Opere filosofiche , vol. II, p. 148.
37. Principi della filosofia, in Cartesio, Opere filosofiche , Laterza, Bari, 1986, voi.
III, Parte Prima, § 9, p. 25. Cfr. anche Robinet, La pensée à l'âge classique , Puf,
Paris, 1981, pp. 28 e 27. Si ricordi inoltre la distinzione tra coscienza e conoscenza
stabilita da Malebranche, anche se egli vede nella coscienza una semplice coscienza
d'esistenza: cfr. ancora Robinet, Ivi, pp. 46-47.
38. La Forge, Traité de l'Esprit de l'Homme (1666), Georg Olms Verlag, Hildesheim-
Ziirich-New York, 1984, Pref., pagine non numerate.
39. E La Forge continua: «... autrement il n'atribueroit pas aussi cette mesme chose

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514 Silvano Sportelli

Lo stesso Kant, peraltro


plica le forme a priori d
zione del tempo come forma del senso interno) dalla «coscienza di
sé», che, come dice Kant, «deve poter accompagnare tutte le mie rap-
presentazioni»41. Ma egli la vede però come un « Io penso», che, pur
se posto sul piano del diritto e non su quello del fatto, contiene un
Io formale, un Io trascendentale (ripreso, nelle sue Meditazioni carte-
siane , anche da Husserl), che Sartre parimenti rifiuta42.
Naturalmente, come abbiamo visto, anche Brentano, negando alla
«coscienza interna» il carattere «osservazionale» («posizionale», in ter-
mini sartriani e husserliani), nega il suo carattere riflessivo. Egli che,
come vedremo tra poco, individua nel «singolo fenomeno psichico»,
per esempio l'udire un suono, «due obietti differenti», il suono come
«obietto primario» dell'udire, e l'udire stesso come « obietto seconda-
rio» ( Psychologie vom empirischen Standpunkt , Erster Band, Buch
2, Kapitel II, pp. 179-180; tr. it. cit., p. 194), si esprime su questo
molto chiaramente. Una «osservazione» ( Beobachtung ), egli dice, può
dirigersi su un'altra osservazione, ma non su se stessa. Essa deve infat-
ti rivolgere la propria attenzione a un oggetto come oggetto primario,
e quindi «ciò che è solo l'obietto secondario di un atto può esservi
bensì cosciente, ma non può esservi osservato». Di conseguenza, conti-
nua Brentano,

aux bestes, qu'on n'a jamais crû capable de réflexion; Il faut donc que ce soit immédia-
tement, parce que l'Ame agit, qu'il a crû qu'elle s'apercevoit de son operation. Personne
ne peut ignorer combien cela est conforme au sentiment de Monsieur Descartes, qui
apelle generalement pensée tout ce dont nous nous apercevons immédiatement, parce
que nous la faisons» (Ivi, Pref.). E cita Agostino: «L'animale infatti non potrebbe
aprire gli occhi e muoverli rivolgendoli a ciò che desidera vedere se non percepisse
di non vedere perché ha gli occhi chiusi oppure perché non li rivolge a ciò che vuole
vedere. Così se percepisce di non vedere quando non vede, è necessario che percepisca
anche di vedere quando vede, poiché se vede quello che desidera non ne allontana
lo sguardo, mentre continua a muovere gli occhi se non lo vede. In questo modo
sappiamo che percepisce entrambe le condizioni» (De libero arbitrio , tr. it. La libertà ,
Bur, Milano, 1996, p. 179). Scrive ancora La Forge: «Je vous diray donc que je prens
icy la Pensée pour cette perception, conscience, ou connoissance intérieure que chacun
de nous ressent immédiatement par soy mesme, quand il s'aperçoit de ce qu'il fait
ou de ce qui se passe en luy. Ainsi toutes connoissances de nostre Volonté, toutes
nos imaginations, & toutes les actions de nos sens, ne sont rien autre chose que de
différentes façons de Penser» (Ivi, cap. Ill, p. 14).
40. Cfr. I. Kant, Critica della ragione pura , tr. it. di G. Colli, Einaudi, Torino,
1957, § 25, p. 195.
41. Ivi, § 16, p. 155.
42. Cfr. Sartre, La trascendenza dell'Ego , p. 51 sgg.

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Sartre e Brentano 515

solo in un secondo atto


quale obietto primario,
la presentazione intern
questo modo vediamo che in generale non è possibile nessuna osservazione
simultanea del proprio osservare o di un altro proprio atto psichico. Possiamo
osservare i suoni che udiamo, ma non possiamo osservare l'udire i suoni,
poiché soltanto nell'udire i suoni l'udire stesso viene contemporaneamente
colto (Ivi, p. 181; tr. it. cit., pp. 194-195).

5. Impossibilità e assurdità della «coscienza incosciente»

Ma quello che qui si vuole soprattutto sottolineare, ed è la ragione


di questo scritto, è l'analoga funzione che rispettivamente hanno la
coscienza interna di Brentano e il cogito preriflessivo di Sartre: la
funzione di confutare l'inconscio. Confutazione che - lo abbiamo
già detto - se in Brentano è rivolta contro psicologi e filosofi ottocen-
teschi, in Sartre, che scrive quando la psicoanalisi è già nata, è rivolt
contro l'inconscio psicoanalitico. Anche se poi nel filosofo francese
la coscienza preriflessiva, come spontaneità irriflessa, diventa un equi-
ļ valente dell'inconscio, nella misura in cui è sì una coscienza che h
coscienza di sé, ma appunto una coscienza di sé implicita e non tetica,
e quindi non una conoscenza di sé (che può essere solo riflessiva).
Questa coscienza può conoscersi solo oggettivandosi nel mondo.
Ma qual è precisamente la funzione che Brentano assegna alla co-
scienza interna? Una volta che ha dimostrato che ciò che distingue
i fenomeni psichici dai fenomeni fisici è «l'in/esistenza intenzionale
di un oggetto», e che «tutti i fenomeni psichici [...] vengono percepiti
solo nella coscienza interna», egli conclude che la percezione interna
è «immediatamente evidente» (Ivi, Erster Band, Buch 2, Kapitel I,
p. 128; tr. it. cit., p. 157), che i fenomeni psichici possiedono «un'esi-
stenza anche effettiva oltre che intenzionale»43, (Ivi, p. 129; tr. it.
cit., p. 158), e che «nonostante ogni multiformità, compaiono sempre
come unità» (Ivi, p. 137; tr. it. cit., p. 164).
Ma, si chiede Brentano, se «non esiste fenomeno psichico che non
sia [...] coscienza di un obietto», possiamo dire anche che ogni feno-
meno psichico deve essere «obietto di una coscienza»? In altri termini,
se «tutti i fenomeni psichici sono coscienza», «essi sono anche tut-

43. «Non esiste fenomeno psichico che non sia, nel senso esposto [«coscienza come
equivalente a fenomeno psichico o ad atto psichico»], coscienza di un obietto (. Psycholo-
gie vom empirischen Standpunkt , Erster Band, Buch 2, Kapitel II, p. 143; tr. it. cit., p. 168).

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516 Silvano Sportelli

ti coscienti, o vi sono an
p. 143; tr. it. cit., p. 168
alcuna «coscienza incons
gomentazioni dei sosten
le rappresentazioni incon
nostra esperienza, e dun
- che poi sarà utilizzato
e dei fatti e comportam
na» - «che quanto non può essere esperito direttamente potrebbe
forse venire dedotto indirettamente in base a fatti empirici» [Ivi, p.
147; tr. it. cit., p. 171]) fare appello all'esperienza per smentirne la
presenza o per fornire delle prove della loro esistenza, i difensori del-
l'inconscio hanno escogitato alcune argomentazioni per dimostrare il
loro punto di vista.
Una di esse parte dall'ipotesi che «certi fatti empirici esigono l'as-
sunzione di un fenomeno psichico inconscio quale loro causa » (Ivi,
p. 147; tr. it. cit., p. 171). È la via più seguita. Ma i suoi sostenitori
non considerano che dei fatti non verificati, come le «cosiddette mani-
festazioni della chiaroveggenza - presagi, presentimenti, ecc.» (Ivi,
p. 148; tr. it. cit., p. 172) -, o non tengono nel dovuto conto la
effettiva possibilità di spiegare il fatto esaminato riferendosi a una
causa inconscia (cfr. Ivi, p. 149; tr. it. cit., p. 173).
Una seconda argomentazione si fonda sul presupposto che un fatto
empirico possa avere come effetto un fenomeno psichico che non si
dà alla coscienza (cfr. Ivi, p. 147; tr. it. cit., p. 171). Ma anche questa
via trascura le condizioni necessarie per la validità della deduzione:
il fenomeno psichico, per esempio, può essere stato dimenticato, o
può avere una causa diversa dagli altri casi esaminati.
Una ulteriore prova si appoggia sull'argomento della regressione
all'infinito, col quale, dice Brentano, si vorrebbe dimostrare «non solo
la falsità, ma addirittura l'assurdità dell'assunzione secondo cui ogni
attività psichica è cosciente» (Ivi, p. 170; tr. it. cit., p. 187). Se non
ci sono fenomeni psichici inconsci, si afferma, si deve ammettere che
ogni rappresentazione presuppone una rappresentazione di secondo
grado, e questa una rappresentazione di terzo grado, e così via all'in-

44. Brentano dichiara di usare il termine «inconscio», non in «senso attivo» (come
quando ci si riferisce a «ciò che non è cosciente di qualcosa») - nel qual caso l'espres-
sione «coscienza inconscia» sarebbe contraddittoria -, ma in «senso passivo» (come
quando ci si riferisce a «una cosa di cui non si è coscienti») (Ivi, p. 143, n. *; tr.
it. cit., pp. 168-169, n. 5).

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Sartre e Brentano 517

finito. Quindi, o si co
chiuda la regressione,
atto dell'udire è conte
(/vi, p. 171; tr. it. cit., p. 188), il che è assurdo. Ma Aristotele45,
che per primo si era reso conto del problema, aveva già mostrato
che quest'ultima soluzione può essere evitata senza dover ammettere
fenomeni psichici inconsci. Prendendo ancora come esempio l'atto del-
l'udire, Brentano scrive:

La presentazione del suono e la presentazione della presentazione del suono


costituiscono nienť altro che un fenomeno psichico singolo, che noi solo consi-
derandolo nel suo rapporto a due obietti differenti - dei quali l'uno è un
fenomeno fisico, l'altro un fenomeno psichico - abbiamo concettualmente
scomposto in due presentazioni. Nel medesimo fenomeno psichico in cui viene
presentato il suono cogliamo nel contempo il fenomeno psichico stesso, e
precisamente secondo la sua duplice peculiarità: in quanto ha in sé il suono
come suo contenuto, e in quanto è nel contempo presente a se stesso come
contenuto (/vi, pp. 179-180; tr. it. cit., pp. 193-194).

Nell'atto dell'udire, in altri termini, Brentano ammette come con-


temporaneamente presenti due oggetti: un oggetto primario , il suono
appunto, e un oggetto secondario , cioè lo stesso atto di udire. Ma
l'oggetto secondario non è colto mediante una osservazione - che,
come sappiamo, in lui equivale a una coscienza «posizionale», e dun-
que a un'intenzione primaria, diretta su un oggetto primario. Se la
rappresentazione interna si trasforma in un'osservazione si ha un'os-
servazione rivolta a se stessa, e quindi un atto riflessivo. Ma se ciò
che è solo oggetto secondario di un atto lo si può considerare oggetto
di coscienza in questo atto, non lo si può considerare oggetto di osser-
vazione nello stesso atto, poiché l'osservazione (e quindi anche la ri-
flessione) richiede che l'attenzione sia rivolta all'oggetto come a un
oggetto primario (cfr. /vi, pp. 180-181; tr. it. cit., pp. 194-195). Solo
un secondo simultaneo atto diretto sul primo come suo oggetto prima-
rio può permettere di osservarlo. Ma, come sappiamo, «la rappresen-

45. «Poiché noi percepiamo di vedere e di udire, o con la vista si deve percepire
che si vede, o con un altro senso. Ma allora il medesimo senso percepirà la vista
ed il colore che ne costituisce l'oggetto, di conseguenza o due sensi avranno il medesimo
oggetto oppure un senso avrà per oggetto se stesso: inoltre se fosse un altro senso
che percepisce la vista, o si andrà all'infinito oppure un dato senso avrà sé per oggetto,
e quindi sarà meglio riconoscere tale capacità al primo» ( L'Anima , Luigi Loffredo
Editore, Napoli, 1979, III, 2, 425Ò12-17, p. 173; cfr. anche, 2, 425b20-426a20, p. 174;
e inoltre Metafisica XII, 9).

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518 Silvano Sportelli

tazione interna concom


tanto si deve concludere che

la coscienza che accompagna la presentazione del suono è una coscienza non


tanto di questa presentazione, quanto del complessivo atto psichico in cui
il suono viene presentato e in cui esso stesso è contemporaneamente dato.
A prescindere dal fatto che esso presenta il fenomeno fisico del suono, Tatto
psichico dell'udire, in virtù della sua totalità, diventa nel contempo oggetto
e contenuto di se stesso (Ivi, p. 182; tr. it. cit., p. 195).

In ogni fenomeno psichico, quindi, si danno contemporaneamente


due oggetti differenti: un oggetto primario, e un oggetto secondario,
l'oggetto appunto della coscienza interna. E questa non può che essere
una confutazione evidente dell'esistenza di atti psichici inconsci.
Al di là della questione dello statuto ontologico dell'oggetto inten-
zionale e primario, che per Brentano è immanente, mentre per Sartre,
che rifiuta ogni immanenza, non può che essere trascendente, ciò che
appare con evidenza è dunque che la «coscienza interna» del filosofo
tedesco e il «cogito pre-riflessivo» di Sartre hanno una identica funzio-
ne: negare l'esistenza di ogni «coscienza incosciente». Scrive Sartre:

se la mia coscienza non fosse di essere coscienza del tavolo, sarebbe coscienza
di questo tavolo senza aver coscienza di esserlo o, in altre parole, una coscien-
za che ignora se stessa, una coscienza incosciente - il che è assurdo (L Essere
e il Nulla , p. 16)46.

Vale a dire che il tipo di esistenza della coscienza è d'essere coscienza di


sé. E prende coscienza di sé in quanto è coscienza di un oggetto trascendente.
Tutto è chiaro e lucido nella coscienza: l'oggetto le è di fronte con la sua
opacità caratteristica, ma essa è, secondo la legge della sua esistenza, unica-
mente e semplicemente coscienza di essere coscienza di questo oggetto. Si
deve aggiungere che questa coscienza di coscienza - ad esclusione dei casi
di coscienza riflessa [...] - non è posizionale (La trascendenza dell'Ego , pp.
59-60).

In altri termini, «la condizione necessaria e sufficiente perché una


coscienza conoscente sia coscienza del suo oggetto, è che sia coscienza

46. «Se la coscienza immaginativa di albero, per esempio, non fosse cosciente che
quale oggetto della riflessione, ne risulterebbe che sarebbe (allo stato irriflesso) inco-
sciente di sé, il che costituisce una contraddizione. Essa deve quindi, pur non avendo
altro oggetto che l'albero immaginato ed essendo da parte sua un oggetto solo per
la riflessione, contenere una certa coscienza di sé. Diremo che possiede di per sé una
coscienza immanente, e non-tetica» (Immagine e coscienza , pp. 25-26).

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Sartre e Brentano 519

di sé in quanto è questa conoscenza» ( L'Essere e il Nulla , p. 16).


E mettendo in luce, come Brentano, l'importanza e il ruolo della co-
scienza interna o non posizionale, Sartre, ancora come il filosofo tede-
sco, ne mostra anche la capacità di interrompere la regressione all'infi-
nito.

[L]a riduzione della coscienza alla conoscenza implica P introduzione nella co-
scienza del dualismo soggetto-oggetto, che è tipico della conoscenza. Ma se
si accetta la legge della coppia conoscente-conosciuto, si rende necessario un
terzo termine, affinché il conoscente divenga a sua volta conosciuto; e si
presenta il dilemma: [1] o arrestarsi a un termine qualunque della serie: cono-
sciuto/conoscente-conosciuto/conoscente conosciuto del conoscente/ecc.; ed
in questo caso l'intero fenomeno nella sua totalità precipita nell'ignoto, e,
da ultimo, urta contro una riflessione non-cosciente di sé; [2] oppure afferma-
re la necessità di una regressione all'infinito (idea ideae ideae ecc.), il che
è assurdo. [...]. È chiaro dunque che non bisogna introdurre nella coscienza
la legge della coppia. La coscienza di sé non è coppia. Se si vuole evitare
la regressione all'infinito, essa deve essere rapporto immediato e non cogitati-
vo di sé a sé (L'Essere e il Nulla , p. 17).

«Che sarà questa coscienza di coscienza?» (Ib.), si chiede Sartre.


La risposta è: coscienza preriflessiva o «cogito preriflessivo» (Ivi, p.
18). A differenza di Brentano, però, che differenzia qualitativamente
la coscienza interna secondo diverse modalità (rappresentativa, cogniti-
va e affettiva)47, Sartre lascia non specificato il cogito preriflessivo,
distinguendo invece, alla maniera di Husserl, i diversi tipi di atti inten-
zionali (percezione, giudizio, desiderio, ecc.).

47. Cfr., sui diversi tipi di coscienza interna concomitante, Brentano, Psychologie
vom empirischen Standpunkt , Erster Band, Buch 2, Kapitel III, pp. 195 sgg.; tr. it.
cit., pp. 205 sgg. J.N. Mohanty (cfr. The Concept of Intentionality , pp. 16-21) interpre-
ta diversamente queste pagine di Brentano, dove si mostra che «i fenomeni psichici,
quando sono oggetto di una coscienza, sono coscienti [...] in più modi» (Ivi, p. 195;
tr. it. p. 229). Tra l'altro, Mohanty, considerando la conoscenza, o coscienza cognitiva,
«simultanea» (peraltro vista come percezione interna) si mette in contraddizione (del
resto, consapevolmente: cfr. pp. 20-21) con quanto afferma lo stesso Brentano: «Se
la rappresentazione interna si trasforma in osservazione interna, l'osservazione risulterà
rivolta a se stessa. [...] In questo modo vediamo che in generale non è possibile nessuna
osservazione simultanea del proprio osservare, oppure di un altro proprio atto psichico»
(Psychologie vom empirischen Standpunkt , Kapitel II, pp. 180-181; tr. it. cit., pp.
194-195).

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520 Silvano Sportelli

6. La coscienza pre-riflessiva come «nulla»

Sartre però, mosso anche da esigenze ontologiche, procede su que-


sta via ben oltre le acquisizioni di Brentano. Già il carattere intenzio-
nale della coscienza implica che l'attività noetica del soggetto sia
sempre diretta verso altra cosa che il soggetto considerato come tale,
cioè come attività. E appunto questo «carattere di un distacco da
sé» della coscienza, questa «specie di fuga da se stessa», è ciò che
Sartre vede nell' intenzionalità di Husserl e di Brentano (cfr. L'Essere
e il Nulla , p. 62). La coscienza si esaurisce infatti nei suoi oggetti,
ma senza essere tuttavia questi oggetti. Ma, come abbiamo visto,
la coscienza intenzionale è per Sartre, al tempo stesso, coscienza
(di) sé, coscienza pre-riflessiva o cogito pre-riflessivo . E questo signifi-
ca che «l'essere della coscienza, in quanto coscienza, è di esistere
a distanza da sé» - «niente di distanza» in cui Sartre vede il « nulla »
costitutivo della coscienza (cfr. Ivi, p. 122), e il fondamento della
sua libertà .

[L]a presenza a sé presuppone che una fessura impalpabile si sia infiltrata


nell'essere. Se è presente a sé, significa che non è del tutto sé. La presenza
è una degradazione immediata della coincidenza, perché presuppone la separa-
zione. Ma se ora ci domandiamo: che cosa separa il soggetto da sé, siamo
costretti a riconoscere che non è niente . [...] [Njiente può separare la coscienza
(di) fede dalla fede, perché la fede non è nient 'altro che la coscienza (di)
fede. Introdurre nelP unità di un cogito preriflessivo, un elemento qualificato
esteriore a questo cogito, sarebbe frantumarne l'unità, distruggerne la traspa-
renza; vi sarebbe allora nella coscienza qualcosa di cui essa non sarebbe co-
scienza e che non esisterebbe in sé come coscienza (L'Essere e il Nulla , pp.
121-122)48.

In questo modo Sartre non porta, a differenza di Heidegger, la


questione dell,«origine del nulla» fuori della realtà umana. «L'uomo
è l'essere per cui il nulla viene al mondo». E può essere questo proprio
perché è «il suo proprio nulla» (Ivi, p. 59): «la realtà umana non
può staccarsi dal mondo - nella domanda, nel dubbio metodico,

48. «[L]a fessura intracoscienziale è un niente al di fuori di ciò che nega, e può
possedere dell'essere solo in quanto non la si vede. Questo negativo, che è nulla d'essere
e potere annullatore insieme, è il nulla. [...] Ma il nulla che sorge nell'intimo della
coscienza non è. È stato [être été , dove il verbo «essere» ha senso passivo]. [...] Così
il per-sé deve essere il proprio nulla (L'Essere e il Nulla , p. 122).

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Sartre e Brentano 521

nel dubbio scettico, n


ra, distacco da se stes
continuamente a non
tion ), in quanto «ann
tra l'essere del per-sé

49. «Il per-sé non è il mo


l'in-sé in generale, ma il
dover non essere questo t
della negatività» ( L'Esser

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