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FILOSOFIA TEORETICA

PRIMA PARTE
I. ORIGINI DELLA FILOSFIA TEORETICA

1. TALETE
L’acqua è il principio di tutte le cose. Tutto ciò che esiste è fatto di acqua e dunque
l’acqua esiste in un senso più fondamentale di tutte le altre cose. Se non ci fosse
l’acqua non ci sarebbe nient’altro e se invece non ci fossero tutte le altre cose
l’acqua esisterebbe ugualmente.

La struttura di tale tesi è X è il principio di tutte le cose.

La tesi di Talete si può considerare come l’inizio della metafisica intesa come la
ricerca filosofica che verte su ciò che esiste in maniera fondamentale.

La filosofia teoretica è ancora da venire perché essa non si accontenta di individuare


il principio fondamentale di tutte le cose, ma ambisce a spiegare in che modo si
generino tutte le cose. Essa è il tentativo di dipingere un’immagine del mondo che
risulti completa.

Talete argomenta dicendo che l’acqua è il principio di tutte le cose, ma non spiega in
che modo da essa si generino le altre cose. Perciò l’immagine del mondo resta
incompleta.

2. ANASSIMANDRO E ANASSIMENE
Per Anassimene il fondamento di tutte le cose è l’aria, mentre per Anassimandro è
l’àpeiron. Essi non si accontentano di individuare X, ma cercano di spiegare in che
modo tutte le altre cose si generino da X.

Anassimandro ipotizza un movimento rotatorio per effetto del quale nascono e


periscono tutte le cose, secondo necessità e secondo l’ordine del tempo.

Anassimene spiega la derivazione di tutte le alte cose da processi di condensazione


e di rarefazione.
3. I LIMITI DELLA FISICA DI MILETO
Le spiegazioni precedenti non dicono nulla su come si generino l’esperienza e il
pensiero.

Per esperienza si intende un processo mentale essenzialmente ricettivo e


soggettivo. Essa è la capacità di sentire.

Per pensiero si intende un’attività mentale spontanea che ha luogo a un livello di


astrazione superiore. Esso è la capacità di intendere e di volere.

4. PITAGORA
A esso si deve il riconoscimento del ruolo della matematica nella comprensione
delle strutture fondamentali della realtà. Il mondo obbedisce a leggi matematiche
afferrabili dal pensiero umano.

La musica permette alla filosofia pitagorica di scorgere una connessione fra il mondo
fisico e il dominio dell’esperienza soggettiva.

La filosofia pitagorica riesce a colmare il divario esplicativo che separa i fenomeni


fisici da quelli psichici.

Ponendo le strutture matematiche a fondamento della realtà, i pitagorici tracciano


un’immagine del mondo nella quale anche l’esperienza soggettiva sembra poter
trovare un posto.

5. LA PRESA DI COSCIENZA DELLA FILOSOFIA TEORETICA


A Eraclito dobbiamo la prima caratterizzazione esplicita della filosofia teoretica:
“comprendere la ragione per la quale tutto è governato attraverso tutto”. A
Parmenide dobbiamo la prima caratterizzazione esplicita del filosofo teoretico: “chi
in tutti i sensi tutto indaghi”. Essi introducono un radicale cambiamento di
prospettiva nella ricerca filosofica. Con essi arriva in primo piano l’esperienza
soggettiva e il pensiero, mentre arretra sullo sfondo il mondo fisico.

6. ERACLITO
Per Eraclito il principio fondamentale della realtà è il divenire. Noi ci troviamo presi
all’interno di una serie temporale inarrestabile, il divenire.

Comprendere il divenire significa “comprendere la ragione per la quale tutto è


governato attraverso tutto”. La ragione è la legge del divenire.
7. PARMENIDE
Il suo punto di partenza è il pensiero razionale rigoroso. Tale pensiero obbedisce al
principio fondamentale per cui “l’essere è e non può non essere”. Ciò vale a dire
che il pensiero non tollera contraddizioni. Pertanto, il pensiero accetta di attribuire
l’esistenza solo a ciò che esiste necessariamente, ciò che “è e non può non essere”.
Ciò per Parmenide è il principio fondamentale della realtà: esiste soltanto ciò che “è
e non può non essere”.

Qualunque oggetto percepiamo è ma potrebbe anche non essere.

Può esistere solo ciò che si lascia afferrare dal pensiero razionale.

L’essere è ingenerato, imperituro, indivisibile, unico, immobile e immutabile.

Con Parmenide la filosofia teoretica tenta di spiegare come mai la nostra immagine
intuitiva del mondo sia così sbagliata tramite la teoria dell’errore.

8. LE STRATEGIE PROIETTIVE E I LORO LIMITI


Nel corso del V sec a.C. la filosofia teoretica ha preso consapevolezza di sé.

Il compito della ricerca è di tenere conto dell’esperienza e del pensiero. La strategia


di Eraclito consiste nel mostrare che tutto cambia e fluisce. La strategia di
Parmenide consiste nel mostrare che ciò che esiste è immutabile al pare delle verità
afferrabili del pensiero rigoroso. Entrambe queste strategie proiettano sul mondo
nella sua interezza alcune caratteristiche che si riscontrano negli oggetti
dell’esperienza e del pensiero. Sia Eraclito che Parmenide hanno il problema di
spiegare perché quel che vale per l’esperienza dovrebbe valere anche per il mondo
nella sua interezza.
II. SISTEMI CLASSICI DI FILOSOFIA TEORETICA

1. IMMAGINI DEL MONDO NEL V SEC A.C.


La concezione della natura di Democrito ambisce a includere anche l’esperienza e il
pensiero in un’immagine complessiva del mondo costruita a partire da una pluralità
di minuscole entità chiamate atomi.

Platone pone al centro della sua immagine del mondo le idee afferrabili del
pensiero.

Aristotele adotta una strategia che riprende quella di Eraclito: la realtà del divenire,
del mutamento e del movimento.

2. DEMOCRITO
Democrito pone come principio fondamentale gli atomi. L’atomismo democriteo
oltrepassa i limiti di una semplice teoria fisica per porsi come sistema fisicalista di
filosofia teoretica che cerca di spiegare tutto in termini fisici.

Tutto quel che esiste deriva dai movimenti degli atomi nel vuoto: le cose iniziano a
esistere quando gli atomi si aggregano per costituirle. Gli esseri viventi si
distinguono dalle altre cose per il possesso di un’anima, anch’essa formata da
atomi.

L’esperienza si genera quando gli atomi dell’anima sono colpiti da flussi di atomi
provenienti dalle cose. I flussi di atomi provenienti da una certa cosa producono
nell’anima una rappresentazione di quella cosa. Dunque la rappresentazione ci
mette in contatto con la cosa da cui deriva.

Democrito introduce la distinzione tra proprietà reali delle cose (proprietà primarie)
e qualità che dipendono solo dal nostro modo di percepirle (proprietà secondarie).

Per Democrito le cose hanno solo proprietà primarie ma, sebbene ciò, l’anima
percepisce le proprietà primarie miste a quelle secondarie. Perciò l’esperienza
percettiva è sempre ingannevole. Per capire come sono fatte realmente le cose
occorre un ragionamento che attribuisca alle cose solo e proprietà primarie che
derivano dalla distribuzione degli atomi nello spazio.

Gli atomi possono solo essere pensati e non percepiti. Il ragionamento ci permette
di riconoscere che le cose sono aggregati di atomi spazialmente separati gli uni dagli
altri da interstizi vuoti.
Come si possono generare l’esperienza e il pensiero dai semplici movimenti di
particelle di materia? Democrito concepisce gli atomi come “corpuscoli sferici
invisibili di natura tale da non poter star mai fermi, e tali per cui muovendosi fanno
muovere tutto il corpo”. L’esperienza e il pensiero non sembrano lasciarsi descrivere
in termini spaziali.

Come può derivare, da entità meramente spaziali, qualcosa di essenzialmente non


spaziale?

3. PLATONE
L’esperienza non fornisce un’immagine adeguata della realtà. Solo il pensiero
razionale è in grado di comprendere la realtà per come essa è veramente.

Platone ritiene che a realtà debba possedere un’articolazione e una complessità che
sfuggono sia a una concezione monolitica dell’essere come quella di Parmenide sia a
una dottrina basata sulla matematica come quella di Pitagora.

Per Platone un principio razionale è una norma (chiamata idea) che prescrive come
le cose devono essere. Queste idee sono valori perché, nel prescrivere le cose come
devono essere, ci forniscono i criteri per valutarle. Un’idea non si può ridurre alle
cose particolari che la semplificano.

Osservando quel che accade non potremmo mai afferrare un’idea; al limite
potremmo osservare degli esempi di quell’idea, che però non ci permettono di
cogliere l’idea stessa nella sua completezza.

Platone trae la conclusione che quel che osserviamo con i nostri occhi non è il livello
fondamentale della realtà ma solo una sua manifestazione superficiale. Con i nostri
occhi possiamo osservare solo come le cose sono.

Platone chiama mondo sensibile il mondo che ci viene presentato dall’esperienza e


sostiene che le cose del mondo sensibile sono configurate secondo idee che non si
trovano all’interno del mondo sensibile medesimo, bensì a un livello superiore di
realtà, che egli chiama mondo intelligibile.

Cose e idee sono differenti:


Tutte queste entità sono cose concrete e quindi reali nel contesto del mondo
sensibile. Tuttavia in questo mondo ci sono anche cose che sembrano concrete, ma
che non lo sono. Quel che vediamo nell’immagine è una semplice apparenza. La
differenza tra cose e immagini è utile, secondo Platone, per comprendere la
relazione che intercorre fra il mondo sensibile nel suo complesso e il mondo
intelligibile.

Una certa cosa stabilisce come deve essere fatta un’immagine per poter raffigurare
proprio quella cosa. Un’idea stabilisce come deve essere una cosa nel mondo
sensibile pe contare come esemplificazione di quell’idea.

La relazione che lega il mondo sensibile al mondo intelligibile è di imitazione,


analoga a quella che lega le immagini alle cose che esse raffigurano. Su questa
analogia si basa il mito della caverna in cui gli esseri umani sono paragonati a
prigionieri incatenati in una caverna e convinti che le ombre proiettate sul fondo
della caverna siano la realtà. Platone caratterizza la relazione fra mondo sensibile e
mondo intelligibile in termini di manifestazione e partecipazione: le cose,
nell’imitare le idee, manifestano nel mondo sensibile le idee stesse e dunque
partecipano della natura delle idee.

L’immagine platonica del mondo risulta su due livelli con il mondo sensibile
governato e plasmato dal mondo intelligibile. A questa concezione duale
corrisponde una concezione duale dell’essere umano costituito da un corpo e
un’anima che fa esperienza delle cose del mondo sensibile ma è in grado di
sollevarsi a contemplare le idee del mondo intelligibile.

Lo strumento principale per indagare la struttura del mondo intelligibile è la


dialettica. Nel Fedro essa è un metodo di studio delle idee mediante due
procedimenti complementari: l’unificazione, procedimento di ricondurre a un’unica
idea gli elementi sparsi e la suddivisione, procedimento di dividere per specie. Nel
Parmenide e nel Sofista la dialettica si impone come disciplina che permette di
indagare le connessioni che legano fra loro le idee, svelando l’intelaiatura del mondo
intelligibile. Il filosofo dialettico deve esaminare le idee seguendo le nervature del
mondo intelligibile.

L’esito è che tutte le idee del mondo intelligibile si possono ricondurre a cinque idee
fondamentali, che nel Sofista Platone chiama “generi sommi”: Essere, Identità,
Differenza, Stasi, Mutamento. Essere, identità e differenza sono esemplificate da
tutte le cose e da tutte le idee.
Differenza tra Parmenide e Platone:

Questo è il tema principale del Timeo. In questo dialogo Platone si serve del mito del
demiurgo, divinità che crea il mondo plasmando la materia in base alle idee. Con
esso Platone mostra come il mondo sensibile, cioè il cosmo, si generi per
applicazione delle idee del mondo intelligibile a una materia informe. Le idee
impongono allo spazio indeterminato un ordine spaziale e temporale in virtù del
quale il cosmo risulta una “immagine mobile dell’eternità”. Il cosmo è immagine
dell’eternità in quanto imitazione delle idee eterne, immagine mobile perché vi
scorre il tempo. In questo senso il cosmo è un immenso organismo vivente che
possiede un corpo e un’anima.

4. ARISTOTELE
Egli rifiuta la distinzione fra mondo sensibile e mondo intelligibile. Il mondo sensibile
è semplicemente il mondo.

La sua immagine del mondo si basa su due distinzioni: particolare-universale e


sostanza-accidente.

1. La distinzione tra particolare e universale permette di fare a meno del mondo


intelligibile, facendo coincidere il mondo sensibile di Platone con il mondo
nella sua interezza.
2. La distinzione tra sostanza e accidente permette di riconoscere
un’articolazione interna al mondo sensibile.

Il mondo di Aristotele è costituito da sostanze particolari, alle quali ineriscono


accidenti particolari. Per descrivere e classificare quel che esiste è opportuno tener
conto anche di sostanze universali che sono istanziate da sostanze particolari e di
accidenti universali istanziati da accidenti particolari.

Per stabilire com’è fatto ciò che esiste occorre stabilire com’è fatta una sostanza

particolare. Essa è caratterizzata come un sinolo, cioè una combinazione


inestricabile, di materia e forma.

1. La materia è il supporto che costituisce una certa sostanza, rendendone


possibile l’esistenza.
2. La forma è ciò che rende una certa sostanza quel che è. È la forma che tiene
insieme la materia.
La forma è dunque un peculiare principio di organizzazione delle parti
materiali che fa sì che una certa sostanza individuale sia la cosa che è.

Altra importante distinzione è quella tra potenza e atto.

La materia comporta l’esistenza di una certa sostanza soltanto in potenza.

Il conferimento di una forma alla materia comporta il passaggio dall’essere in


potenza all’essere in atto, cioè la realizzazione effettiva di una delle forme insite in
quella materia. Per spiegare come avvenga il conferimento di forma alla materia
Aristotele introduce le nozioni di causa e fine.

Perché la materia prenda una nuova forma generando una nuova sostanza, occorre
una causa che agisca sulla materia in vista di un certo fine.

Materia, forma, causa e fine sono le nozioni necessarie per spiegare l’essere di
qualsiasi sostanza. Si parla infatti di “dottrina delle quattro cause”, intendendo che
per rendere ragione di come e perché una certa sostanza esista, alla causa in senso
proprio vanno aggiunti: la materia, la forma e il fine. La dottrina si può formulare
ponendo le seguenti quattro domande:

1) “Che cosa l’ha prodotta?”;

2) “Di che cosa è fatta?”;

3) “Come è fatta?”;

4) “Perché è stata fatta?”.

Nell’opera la Fisica la teoria della sostanza è utilizzata per costruire un’immagine del
mondo in grado di tener conto del divenire, che Aristotele intende come
mutamento delle sostanze, cioè come loro transizione dalla potenza all’atto.

Per Aristotele il mutamento ha una realtà più fondamentale di quella dello spazio e
del tempo. Le nozioni di spazio e di tempo si ricavano dalla realtà del mutamento,
inteso come movimento.

Lo spazio è definito come “il primo limite immobile del contenente”.

Il tempo è definito come “il numero del mutamento secondo il primo e il poi”. Per
Aristotele esso è il nostro modo di ordinare i mutamenti che osserviamo.

Le sostanze e i loro mutamenti esistono indipendentemente da una mente (o anima)


che li osservi, mentre i numeri e il tempo dipendono dal nostro modo di osservare le
cose.

Le sostanze che la Fisica ha mostrato essere soggette al mutamento sono


localizzabili nel tempo e nello spazio e si possono raggruppare in tre famiglie
principali: sostanze inorganiche, sostanze viventi e sostanze artificiali.

Nel De anima Aristotele si focalizza sulle sostanze viventi. Esse hanno vita e con ciò
si intende il fatto di nutrirsi. Il nutrimento è inteso qui in senso ampio. Dalla facoltà
del nutrimento dipende quello della riproduzione. In virtù del loro avere vita queste
sostanze sono composte da un peculiare sinolo di materia e forma.
1. La materia di una sostanza vivente è il suo corpo che è munito di organi che
svolgono precise funzioni.
2. La forma è la sua anima che si occupa dell’organizzazione dei suoi organi
materiali che ne rende possibile la vita.
L’anima può attuare anche le funzioni della percezione e dell’azione e infine
la funzione dell’intelletto. Mentre la percezione ci fa conoscere solo realtà
individuali, l’intelletto ci permette di accedere alla conoscenza degli
universali.

5. IL COLLO DELLA CLESSIDRA: DA EPICUREO A GIORDANO BRUNO


In epoca ellenistica e romana, la scuola epicurea riprende la concezione atomista di
Democrito. La scuola stoica invece sviluppa la concezione del mondo come
immenso organismo vivente, riprendendo la teoria di Platone. Parallelamente si
assiste alla fioritura dello scetticismo che mette in questione la possibilità della
filosofia teoretica di costruire immagini del mondo, contestando la pretesa del
soggetto d’esperienza di conoscere la realtà.

In tarda epoca romana sorge la scuola neoplatonica il cui principale esponente è


Plotino. Il neoplatonismo ambisce a superare l’antagonismo tra immagine platonica
e immagine aristotelica componendole in una nuova immagine del mondo. Plotino
concepisce perciò un livello fondamentale della realtà, l’Uno, informe e indicibile, a
partire dal quale, mediante un processo detto emanazione, si produce un secondo
livello, l’Intelletto e quindi un terzo livello, l’Anima.

In epoca cristiana la ricerca filosofica è segnata dal tentativo di conciliare immagini


del mondo platoniche, aristoteliche e neoplatoniche con l’esistenza di un Dio
creatore dell’universo.

Agostino si interroga sul ruolo degli esseri umani in un mondo creato e governato da
Dio. Egli introduce una sottile distinzione tra tempo oggettivo e tempo soggettivo.

A questa distinzione corrisponde la tensione fra l’ordine assoluto che Dio impone
alla storia e la capacità dei soggetti di agire liberamente: da una parte la
provvidenza prevede e determina tutto ciò che accade; dall’altra il libero arbitrio
che rende gli esseri umani artefici del proprio destino.
Giovanni Scoto Eriugena cerca di conciliare neoplatonismo e cristianesimo
mediante un’immagine del mondo articolata in quattro livelli:

1. La natura che non è creata e che crea;


2. La natura che è creata e che crea;
3. La natura che è creata e che non crea;
4. La natura che non è creata e che non crea.

Anselmo D’Aosta riformula in chiave cristiana la tesi platonica della realtà delle idee
(realismo platonico), intendendole come essenze delle cose create e situandole
nella mente di Dio che è definito “l’essere di cui non si può pensare nulla di
maggiore”. Da ciò Anselmo trae la conclusione che Dio esiste perché, se non fosse
così si potrebbe pensare qualcosa di “maggiore” di Dio. Questo argomento prende il
nome di “prova ontologica dell’esistenza di Dio”.

Abelardo propone un’immagine del mondo tale per cui l’universale non ha una
realtà a sé stante e funziona come un termine concettuale di cui si avvale il pensiero
umano: “ciò che si può predicare di molti”.

Roscellino, appartenente ai nominalisti, sostiene che l’universale non ha nessun


corrispettivo nella realtà ed esiste esclusivamente come proferimento linguistico.

La riscoperta dell’aristotelismo nel mondo latino culmina nell’opera di Tommaso


D’Aquino che ambisce a conciliare l’immagine del mondo aristotelica con le tesi
cristiane sulla creazione divina del mondo e sull’immortalità dell’anima individuale.
Egli accetta la tesi di Aristotele per cui l’anima è la forma del corpo, ma ritiene che le
singole anime debbano poter esistere autonomamente dai corpi di cui sono forma.
L’anima è capace di coscienza immediata di sé e di conoscenza degli universali e ciò
la rende essenzialmente autonoma dal corpo di cui è forma. In opposizione al
nominalismo Tommaso attribuisce agli universali tre livelli differenti di realtà:

1. l’universale si dà come pura essenza nella mente di Dio;


2. come forma di una sostanza individuale;
3. come concetto che l’intelletto umano ricava per astrazione dall’incontro con
le sostanze individuali.

Guglielmo di Occam considera gli universali come segni utili a raggruppare individui
che presentano somiglianze rilevanti. Egli propone un principio metodologico
chiamato “rasoio di Occam”: l’immagine del mondo deve essere costruita con
parsimonia, evitando di postulare entità superflue e ipotesi che non hanno riscontro
nell’esperienza.
In analogia con l’Uno di Plotino, Cusano caratterizza Dio come unità originaria in cui
tutti gli opposti coincidono e concepisce la natura come uno spazio infinito nel quale
l’unità divina si dispiega nel molteplice attraverso un processo chiamato explicatio.

Bruno situa il divin nella natura stessa, considerata nella sua unità e infinità,
approdando così a un’immagine del mondo al tempo stesso panteista e monista.
III. FILOSOFIA TEORETICA E IMMAGINE SCIENTIFICA DEL
MONDO (ISM)

1. L’AFFERMAZIONE DELL’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO


Fra Cinquecento e Seicento una nuova immagine del mondo prende forma:
Immagine scientifica del mondo (ISM). Essa sarà oggetto di significativi
perfezionamenti e sarà rivoluzionata nella prima metà del Novecento.

L’entrata in scena della ISM risale al 1514, anno in cu Copernico propone il suo
modello astronomico eliocentrico in cui la Terra non è più al centro dell’universo e
ruota intorno al Sole. Nel 1609 Galilei fornisce un riscontro empirico dell’ipotesi di
Copernico osservando i satelliti di Giove. Sempre nel 1609 Keplero perfeziona il
modello eliocentrico evidenziando la forma ellittica delle orbite dei pianeti intorno
al sole.

L’impatto della ISM è radicale. Quel che si delinea è una concezione meccanicistica
della realtà in cui vi sono corpi materiali che si muovono nello spazio in base a leggi
fisiche. Un’immagine del mondo in cui l’umanità si ritrova fuori dal quadro. L’essere
umano è un corpo materiale che si muove in base a leggi come tutti gli altri corpi.

Nel 1687 Newton pubblica i Philosophiae naturalis principia mathematica in cui il


movimento dei corpi viene ricondotto a tre principi fondamentali:

1. Un corpo sottoposto a forze resta in quiete o continua a muoversi di moto


rettilineo uniforme;
2. Una forza applicata a un corpo produce un’accelerazione proporzionale alla
massa del corpo (F=ma);
3. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Newton ricorre alla nozione di forza per tenere conto della posizione di un corpo
nello spazio e il tempo. La causalità, dunque, risulta riconducibile a leggi
matematiche.

Agli occhi di Newton il mondo appare come un meccanismo perfetto. Dio è


concepito come un progettista che crea e mette in moto il grande meccanismo del
mondo.

2. CARTESIO
La filosofia teoretica del Sei-Settecento può essere vista come un confronto con la
ISM. La scienza è giunta a concepire una nuova immagine del mondo che sembra
poter fare a meno del contributo della filosofia. Si pone dunque ai filosofi teoretici la
questione di ripensare il ruolo della loro disciplina.

Cartesio sostiene che lo spazio e la materia su cui si applicano le leggi fisiche sono
pura estensione, il che significa che i corpi materiali hanno solo caratteristiche
geometriche come la forma e la grandezza e non qualità sensoriali come il colore o
l’odore. Questa distinzione permette di fondare a ISM su misure oggettive
(proprietà primarie). Inoltre la riduzione dei corpi materiali alle loro proprietà
primarie rende possibile la spiegazione dei fenomeni fisici in termini matematici: se i
corpi hanno solo proprietà geometriche il loro comportamento può essere descritto
mediante la geometria. La fisica viene quindi ricondotta alla geometria e la
geometria viene ricondotta alla matematica (matematizzazione della fisica).

Cartesio si interroga anche sui suoi fondamenti filosofici. Si chiede che cosa
garantisce che la ISM sa un’immagine veridica del mondo. È un atteggiamento
scettico che, nelle Meditazione metafisiche, egli definisce dubbio metodico e che
sfocia nell’esperimento mentale del “demone ingannatore”. In questo esperimento
si ipotizza che tutte le nostre osservazioni empiriche siano solo l’effetto di una
divinità dispettosa (demone ingannatore) che agisce sulla mente provocando
impressioni illusorie. Il dubbio più radicale comporta una certezza. Se so di star
pensando allora so anche di essere qualcosa che pensa = dubito, dunque penso;
penso, dunque sono (cogito ergo sum).

Vi è un’entità secondo Cartesio della cui esistenza siamo certi. Questa entità è il
soggetto pensante. Esso è inesteso, immateriale e non-spaziale: ciò che è esteso
non pensa, ciò che pensa è inesteso. Ma la ISM ha posto solo per corpi materiali
spazialmente stesi, quindi il soggetto pensante reta escluso dalla ISM.

Ne I principi della filosofia Cartesio insiste sul fatto che la ISM è un’immagine
incompleta del mondo. Nella ISM vi sono solo corpi materiali, la cui natura
spazialmente estesa è definita da Cartesio res extensa e vi sono soggetti pensanti, la
cui natura inestesa è definita res cogitans. Si giunge così al dualismo cartesiano.

L’incompletezza della ISM non sembra poter trovare un posto per l’entità che
conosciamo con la massima evidenza e certezza.

3. ORIGINI DEL RAZIONALISMO


Il razionalismo concepisce la ragione umana come uno strumento di conoscenza.
Cartesio è il punto di origine del razionalismo: il suo sistema dualista, costruito per
via deduttiva a partire dall’evidenza del cogito, fornisce un fondamento saldo della
ISM.
Spinoza e Leibniz condividono il modo di procedere deduttivo di Cartesio, ma si
discostano dal suo pensiero. Spinoza contrappone al dualismo di Cartesio un
monismo tale per cui esiste un’unica sostanza, di cui estensione e pensiero sono
semplici attributi. Leibniz propone un pluralismo tale per cui esiste una pluralità di
sostanze le quali non hanno estensione spaziale.

4. SPINOZA
L’evidenza intuitiva su cui faceva leva Spinoza è il pensiero come parte di una
totalità che egli chiama “Dio oppure Natura”. Il Dio di cui parla egli è il mondo
stesso. Questa è l’unica sostanza di cui la ragione riconosce con certezza l’esistenza.

Nell’opera Ethica ordine geometrico demonstrata Spinoza si propone di effettuare


questa deduzione: “tutte le cose derivano dall’eterno decreto di Dio con la stessa
necessità con cui dall’essenza del triangolo deriva che la somma dei tre angoli è
uguale a due retti”. Egli ricava dalla nozione di Dio un’immagine del mondo in cui
trova posto anche la mente umana. L’etica di Spinoza è una riflessione sul ruolo
dell’uomo nel mondo.

Spinoza parte da una definizione di sostanza come “ciò il cui concetto non ha
bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale debba essere formato”. Se pensiamo
ad un oggetto materiale, cioè ce ne formiamo un concetto, dobbiamo pensare
anche un mondo in cui questo oggetto si ritrovi. Dunque né gli oggetti materiali né i
soggetti pensanti possono essere sostanze. L’unica sostanza è il mondo stesso: Deus
sive Natura.

Spinoza definisce attributo “ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come
costituente la sua stessa essenza”. I due attributi che l’intelletto umano è in grado di
percepire nella sostanza divina sono estensione e pensiero.

Vi è invece un’unica sostanza che si presenta come pensiero o come estensione: il


mondo, Deus sive Natura.

Il completamento della ISM richiede l’aggiunta di una seconda immagine che


raffiguri lo stesso soggetto; ovvero l’unica sostanza.
I due attributi dell’unica sostanza sono legati fra loro da una relazione: “l’ordine e la
connessione delle idee è uguale all’ordine e alla connessione delle cose”. Cioè, tutto
ciò che si trova al livello del pensiero ha un corrispettivo al livello dell’estensione.

Spinoza si trova a dover spiegare come sia possibile che un mondo nel quale vi è
un’unica sostanza ci appaia popolato da una moltitudine di cose. Perciò egli
introduce la nozione di modo, che definisce come “ciò che è in altro per mezzo del
quale è anche concepito”. Un modo può esistere ed essere pensato solo come parte
di una totalità. Ogni cosa è la combinazione di un modo dell’estensione che Spinoza
chiama corpo di quella cosa e di un modo del pensiero che Spinoza chiama idea di
quella cosa. “Un modo dell’estensione e l’idea di quel modo sono la stessa cosa ma
espressa in due modi”.

Spinoza sviluppa la distinzione aristotelica tra forma (idea) e materia (corpo). L’idea
spinoziana si può interpretare come un principio di organizzazione che fa si che un
certo corpo materiale costituisca una certa cosa. L’idea è un principio di
conservazione (conatus) che Spinoza chiama sforzo. “Quando questo sforzo si
riferisce alla sola Mente si chiama Volontà; quando invece si riferisce alla Mente e al
Corpo si chiama Appetito che non è altro che l’essenza stessa dell’uomo”. Alla
nozione di appetito si affianca quella di desiderio che si riferisce per lo più agli
uomini. “Il Desiderio è l’appetito unito alla coscienza di sé”.

Lo sforzo di conservazione si manifesta in forma di esperienza, cioè come una


successione di stati mentali alla quale corrisponde una successione di stati corporei.
Egli considera quattro tipi di stati mentali:

1. Le impressioni che corrispondono a interazioni fra gli altri corpi e il nostro;


2. Gli affetti che consistono nei desideri che realizzano lo sforzo di
conservazione (esiti positivi: piacere; esiti negativi: dolore);
3. Le idee adeguate che permettono alla ragione umana di elevarsi al di sopra
dell’esperienza animale;
4. Le intuizioni mediante le quali l’intelletto può riconoscere la sostanza
medesima nella sua necessità ed eternità.

5. LEIBNIZ
Nella Monadologia egli costruisce la sua immagine del mondo procedendo in
maniera deduttiva. Per Leibniz l’evidenza fondamentale è quella per cui “è
necessario che ci siano sostanze semplici, poiché vi sono dei composti”, dove per
semplice si intende qualcosa senza parti.

Le sostanze semplici da cui tutto è formato sono entità senza dimensione spaziale
che egli chiama monadi, cioè gli elementi delle cose. Esse non possono interagire
una con l’altra e sono soggette al mutamento, esse inoltre sono entità temporali ma
non spaziali. Il tempo è solo un derivato del mutamento.

Alle monadi Leibniz applica il principio dell’identità degli indiscernibili in base a


quale “non ci sono mi in natura due esseri perfettamente identici”. Ogni monade
deve distinguersi da tutte le altre monadi per una caratteristica sua propria. Questa
caratteristica distintiva è la successione dei suoi “stati transitori”. Leibniz chiama gli
stati transitori dell’anima umana “percezione” e osserva che il passaggio da una
percezione all’altra si compie per effetto di un impulso che si chiama appetizione.

L’anima umana è il caso paradigmatico di monade, essa è un tipo di monade


particolarmente sofisticato in quanto nelle anime “la percezione è più distinta e
unita a memoria”. Le monadi grezze, quelle che costituiscono i corpi fisici sono
invece costituite da puri stati di percezione. Fra le monadi grezze e quelle sofisticate
che chiamiamo anime sussiste solo una differenza di grado. Tutte condividono il
tratto essenziale, cioè l’essere costituite da una successione di percezioni. La
monade è vista come una peculiare prospettiva del mondo.

L’universo, il mondo fisico spaziotemporale raffigurato dalla ISM, si rivela l’effetto


congiunto di una serie infinita di prospettive coordinate, corrispondenti a infinite
monadi. Perciò i fatti fisici si riducono a phenomena bene fundata: apparenze
condivise, che le monadi producono e percepiscono coordinatamente in virtù della
loro stessa natura.

Le anime umane sono definite “spiriti” in quanto sono capaci di conoscere il sistema
dell’universo.

6. LA STRADA VERSO L’EMPIRISMO


Pur condividendo lo stesso metodo di costruzione dell’immagine del mondo,
Cartesio, Spinoza e Leibniz producono tre immagini del mondo differenti e in
contrasto: un’unica sostanza per Spinoza; due tipi di sostanze per Cartesio; infinite
sostanze tutte dello stesso tipo per Leibniz.

Questo è il problema del razionalismo: non è possibile appianare tutte queste


differenze perché esse non dipendono dall’applicazione del metodo.

Un’alternativa all’impasse razionalista consiste nell’evitare premesse intuitive


costruendo l’immagine del mondo soltanto a partire dai dati dell’esperienza.

7. HOBBES
Nel De corpore e nel De homine Hobbes concepisce la filosofia teoretica come un
progetto di rifinitura e perfezionamento della ISM.
La res extensa di cui si occupa la fisica è tutto ciò che ci occorre per costruire
un’immagine completa del mondo. Hobbes critica l’argomento cartesiano del
cogito.

Hobbes definisce il corpo come “tutto ciò che coincide con qualche parte dello
spazio”. I corpi sono le uniche entità che esistono e la loro proprietà fondamentale è
il movimento mediante il quale un certo corpo funziona come una causa in grado di
produrre un effetto su un altro corpo.

Nel De homine Hobbes si occupa di come possono trovare posto l’esperienza e il


pensiero in un’immagine del mondo in cui vi sono solo corpi in movimento?
L’esperienza percettiva come effetto dell’azione causale del corpo percepito sul
corpo percepente.

Tutti gli altri stati mentali derivano dalla sensazione: “nulla è concepito nella mente
umana che non sia stato prima generato dagli organi del senso”. Un ruolo cruciale è
svolto dall’immaginazione che Hobbes caratterizza come una “sensazione
illanguidita”, considerandola un tutt’uno con la memoria: “immaginazione e
memoria sono una cosa sola che per ogni aspetto sotto il quale è considerata
prende nomi diversi”.

Hobbes caratterizza il pensiero come un processo di ricerca di cause o effetti.


Questa forma elementare di pensiero può essere potenziata mediante il ricorso al
linguaggio che permette di estendere la “connessione delle cause e degli effetti” da
casi particolari a casi generali. Secondo lui il pensiero che si esercita mediante il
linguaggio consiste in una forma di calcolo, cioè una manipolazione di segni in base
a regole. Pensare è calcolare. Se è così e il calcolo è riconducibile a movimenti
corporei allora anche il pensare è riconducibile a movimenti corporei.

L’essere umano è un automa sofisticato, cui si ispirano le altre macchine che gli
uomini costruiscono. La differenza tra soggetto vivente e automa artificiale è di
origine:

8. LOCKE
Nel Saggio sull’intelletto umano tratta il problema di come perfezionare la ISM. Con
egli si consolida la consapevolezza che, data un’immagine del mondo in cui non vi
sono che corpi in movimento, e interazioni causali, l’esperienza dev’essere un
effetto prodotto dall’interazione causale fra corpi, e il pensiero deve essere
riconducibile all’esperienza.

Si giunge così al nucleo epistemologico dell’empirismo: ogni pensiero deriva


dall’esperienza.

Le unità fondamentali dell’esperienza sono le idee semplici e sono di due tipi:

1. Idee di sensazione, che derivano dagli organi di senso; esse ci mettono in


contatto con le altre cose del mondo, ma non tutte allo stesso modo;
2. Idee di riflessione, che derivano dalla percezione di sé; esse ci confermano la
nostra esistenza.

Il pensiero consiste nell’elaborazione delle idee semplici al fine di produrre idee più
sofisticate divise in due categorie:

1. Idee complesse, che unificano una pluralità di idee semplici;


2. Idee generali, che servono a classificare le altre idee.

Le idee ci permettono di conoscere con certezza quello che esiste.

Locke introduce nella sua teoria la distinzione tra proprietà primarie e proprietà
secondarie che costituisce uno dei presupposti fondamentali della ISM. Non è chiaro
il criterio secondo il quale avviene questa distinzione che può essere tracciata solo a
livelli più sofisticati di pensiero. Per Locke le uniche certezze sono quelle che
ricaviamo al livello basilare delle idee semplici, dunque la distinzione non può essere
fondata con certezza.

9. BERKELEY
Le idee semplici, in quanto stati percettivi elementari, possono metterci in contatto
solo con le loro qualità sensibili. Dunque se solo le idee semplici ci mettono in
contatto con il mondo, e queste ci presentano solo sé stesse, si deve trarre la
conclusione che il mondo è costituito proprio dalle idee semplici. Secondo Berkeley
esiste solo ciò che è percepito.

Non vi sono proprietà primarie, tutte le proprietà sono qualità secondarie,


dipendenti dall’esperienza del soggetto.

Questa posizione è etichettata sia come immaterialismo, in quanto nega l’esistenza


di corpi materiali, sia come idealismo, in quanto sostiene che esistano solo idee. La
filosofia di Berkeley viene etichettata a sua volta come solipsismo, in quanto isola il
soggetto d’esperienza in sé stesso, e scetticismo, in quanto così facendo gli
impedisce qualsiasi possibilità di conoscenza di ciò che potrebbe esistere al di là dei
suoi dati psichici.

Per Berkeley il mondo è perfettamente conoscibile: il mondo è tutto ciò che appare.

10 HUME
Egli individua gli elementi basilari dell’esperienza: i dati psichici fondamentali e li
chiama impressioni identificandoli con stati esperienziali muniti di peculiare
vividezza e immediatezza (emozioni). Dalle impressioni deriva una seconda
categoria di stati mentali chiamati idee che sono caratterizzati come impressioni
indebolite (ricordi).

Secondo Hume l’esperienza e il pensiero consistono di impressioni, idee e loro


associazioni che formano idee complesse. Le associazioni si basano su tre principi:

1. Somiglianza;
2. Contiguità;
3. Causalità, che permette di unificare idee che si susseguono.

Hume ritiene che solo le impressioni possano fornire conoscenze indubitabili.

Per analizzare un’idea complessa occorre prima scomporla nelle idee semplici che la
costituiscono e poi ricondurre queste alle impressioni dalle quali derivano. L’analisi
si applica in particolare alla nozione di sostanza. La sostanza pensante non è altro
che un fascio di impressioni e idee. La sostanza estesa, invece, si riduce a
un’astrazione derivata da una molteplicità di singole esperienze spaziali.

La causalità non è altro che una regolarità nel succedersi di certi tipi di idee. I nessi
causali non costituiscono conoscenze indubitabili, ma rappresentano solo
successioni temporali ricorrenti, corroborate dalla regolarità e dall’abitudine. La
causalità non è altro che successione unita ad abitudine.

Nessuna immagine del mondo sembra più in grado di far fronte allo scetticismo
humiano.

L’affermazione per cui l’esperienza percettiva è causata dal corpo materiale


percepito si riduce all’affermazione per cui abitualmente l’esperienza percettiva si
associa all’idea di un corpo materiale che la produce.

Solo le esperienze elementari, le impressioni, sono immuni al dubbio scettico.


L’unica conoscenza indubitabile è che vi sono impressioni.
11 LA BANCAROTTA DELLA FILOSOFIA TEORETICA
HUSSERL caratterizza lo scetticismo humiano come “la bancarotta della filosofia e
della scienza […] una vera e propria bancarotta della conoscenza obiettiva”.

In HUME è l’anima che con le sue “impressioni” e le sue “idee” produce l’intero
mondo, il mondo stesso, e non solo un’immagine di esso.

12 KANT
Se si vuole confutare lo scetticismo humiano, non basta richiamarsi alle evidenze
dell’esperienza, ma occorre esaminare le condizioni che la rendono possibile.
Questa disamina è messa in atto nella Critica della ragion pura.

L’esperienza non si riduce a un semplice aggregato di sensazioni o impressioni. Essa


può avere luogo solo nel quadro di una struttura articolata che ne costituisce il
presupposto indispensabile. Questa struttura è chiamata il trascendentale.

Strawson nel Saggio sulla critica della ragion pura di Kant ha articolato il
trascendentale in sei principi:

1. L’esperienza deve consistere in una successione temporale;


2. Gli elementi di questa successione devono essere unificati da un soggetto
d’esperienza;
3. L’esperienza deve poter concernere oggetti distinguibili dall’esperienza
stessa;
4. Gli oggetti distinguibili dall’esperienza sono oggetti spaziali;
5. Gli oggetti spaziali devono trovarsi in un sistema spaziotemporale unitario;
6. Il sistema deve consistere la permanenza di oggetti e la causalità fra oggetti.

1- L’esperienza ha una struttura temporale. Il tempo è la condizione che rende


possibile l’esperienza. Tempo come “forma del senso interno”.
2- Kant afferma che l’esperienza richiede un soggetto unitario. La mia esperienza
non potrà mai essere la tua esperienza. Non si può concepire un’esperienza
che faccia a meno di un soggetto che la prova. Questo soggetto è definito
trascendentale nel senso che la sua unica caratteristica appurabile è di
rendere possibile l’esperienza, unificandola.
3- L’esperienza è un rivolgersi verso oggetti distinti dall’esperienza medesima.
Un’esperienza completamente chiusa in sé stessa non è concepibile. Perché
l’esperienza sia la mia esperienza devo esperire innanzitutto un contrasto tra
come stano le cose e la prospettiva dalla quale io le percepisco. La mia
esperienza è la mia prospettiva sugli oggetti.
4- La spazialità è la dimensione che rende gli oggetti distinguibili dalle particolari
esperienze e quindi indipendenti dall’esperienza stessa. Affinchè l’oggetto
risulti distinguibile dalla successione temporale che costituisce l’esperienza,
occorre che esso si trovi in qualche posto anche quando il soggetto lo perde
di vista. Spazio come “forma del senso esterno”
5- Ciò che permette all’esperienza di costituirsi come tale è la peculiarità della
sua successione temporale che deve avere un ordinamento suo proprio,
differente dall’ordinamento degli oggetti esperiti. L’ordinamento oggettivo
richiede uno spazio unitario in cui gli oggetti differenti possano disporsi
indipendentemente dal fatto di essere esperiti o meno. Ma l’ordinamento
oggettivo richiede anche un tempo unitario in cui gli oggetti possano evolvere
in maniera autonoma. L’ordinamento del mondo oggettivo ha una
dimensione spaziale e una temporale. L’esperienza si rivela in una traiettoria
soggettiva che si dipana all’interno di un mondo oggettivo costituendosi come
una successione temporale di visuali su questo stesso mondo.
6- L’esperienza non sarebbe differenziabile dai suoi oggetti se questi non fossero
in grado di persistere anche quando l’esperienza si volge altrove.

Ogni mutamento degli oggetti nel tempo richiede una causa rintracciabile nello
spazio. L’ordinamento spazio temporale oggettivo si rivela un ordinamento causale.
La causalità per Kant è il “cemento dell’universo”. La causalità è un presupposto
indispensabile dell’esperienza.

12 IL PROLEMA DEL NOUMENO


Il trascendentalismo di Kant ha riscattato la filosofia teoretica dalla “bancarotta”. Il
mondo oggettivo torna ad essere percepibile dall’esperienza e raffigurabile dalla
conoscenza. Kant lo definisce mondo fenomenico e ritiene che la ISM sia la migliore
immagine del mondo fenomenico di cui disponiamo. Ciò perché la ISM è costruita
conformemente alla regola che impone al pensiero di mantenersi nei limiti dettati
dall’esperienza (principio di significanza).

Nella concezione kantiana il mondo fenomenico è il mondo la cui struttura si


accorda con i requisiti fondamentali dell’esperienza. Se il mondo fenomenico non
fosse strutturato così com’è non vi potrebbe essere esperienza. A struttura è
ricavata dalle esigenze dell’esperienza: il mondo fenomenico è il mondo come
dev’essere perché l’esperienza sia possibile.

Il limite estremo del mondo fenomenico è il soggetto trascendentale, da cui dipende


la struttura stessa. Se si prova a includere l’esperienza e il pensiero nella ISM, ci si
scontra con questo limite.
L’esperienza fa capo al soggetto trascendentale che non ha una localizzazione nel
mondo fenomenico.

La causalità vige all’interno dell’ordinamento spaziotemporale del mondo


fenomenico, ma l’esperienza si trova al di fuori di questo ordinamento. L’esperienza
consiste in una differenziazione da questo ordinamento, che la rende possibile ma
non la può includere. Il mondo fenomenico è tale per cui l’esperienza risulti possibile
come successione temporale distinta dall’ordinamento spaziotemporale e causale
del mondo fenomenico, dunque l’esperienza non può essere inclusa in questo
ordinamento.

Nemmeno la ISM è in grado di raffigurare l’esperienza e il pensiero all’interno del


mondo fenomenico. A tal proposito Kant parla di dimensione noumenica: si
potrebbe ipotizzare che il mondo fenomenico e il soggetto trascendentale siano solo
il modo in cui si manifestano due entità di livello più fondamentale, cioè mondo
noumenico e soggetto noumenico. Si tratta di entità che non possono avere una
dimensione spaziale e temporale, perché l’ordinamento spaziotemporale coincide
con il mondo fenomenico. Si può ipotizzare che il mondo fenomenico e il soggetto
trascendentale siano un prodotto dell’interazione fra il mondo noumenico e il
soggetto noumenico, poiché prodotto e interazione sono nozioni causali, e la
causalità è un ordine interno al mondo fenomenico spaziotemporale.
IV. FILOSOFIA TEORETICA POST-KANTIANA

1. LE ORIGINI DELL’IDEALISMO TEDESCO


La ISM è pienamente legittimata come raffigurazione del mondo fenomenico. La
sfida che si presenta a essa consiste nel trovare una qualche via di accesso alla
dimensione noumenica. Kant suggerisce che l’agire morale e l’apprezzamento
estetico possono approssimarci alla dimensione noumenica in una maniera che è
preclusa all’esperienza cognitiva.

Il tentativo di sviluppare questi spunti kantiani per accedere alla dimensione


noumenica contrassegna la scuola filosofica dell’Ottocento più influente: l’idealismo
tedesco.

2. FICHTE
Nel Fondamento dell’intera dottrina della scienza egli radicalizza la posizione di Kant
per cui il senso di libertà che si accompagna all’azione ci fornisce un accesso alla
dimensione noumenica.

L’anello mancante che permette di spiegare la genesi del mondo fenomenico a


partire dalla dimensione noumenica è l’azione libera. Questa azione del soggetto
noumenico (Io) pone il mondo noumenico (Non-io), e questo atto si manifesta come
capacità d’azione libera da parte di una pluralità di soggetti trascendentali
all’interno del mondo fenomenico (Non-io divisibile).

Fichte ricava la struttura del mondo nella sua totalità a partire dalla possibilità
dell’azione libera. Noi siamo capaci di agire liberamente, dunque la fonte di questa
capacità deve risiedere nella dimensione noumenica. Interrogarci su come sia
possibile la libertà permette di capire com’è fatto davvero il mondo.

3. SCHELLING
Egli privilegia l’ipotesi della terza Critica kantiana per cui l’accesso alla dimensione
noumenica risulterebbe possibile mediante l’esperienza estetica. Nel Sistema
dell’idealismo trascendentale Schelling si focalizza sull’opera d’arte come oggetto
paradigmatico dell’esperienza estetica. Nell’opera d’arte si manifesta la relazione fra
dimensione noumenica e mondo fenomenico.

Il mondo fenomenico, chiamato natura, è un’opera d’arte in fieri in cui emerge


progressivamente la forza creativa della dimensione noumenica, chiamata spirito.
Dunque il sorgere della vita organica, dell’esperienza e del pensiero sono il punto di
arrivo di un processo creativo che costituisce l’intera natura come manifestazione e
progressiva presa di coscienza dello spirito.

- Nella materia inorganica lo spirito si manifesta attraverso le forze fisiche;


- Negli organismi viventi lo spirito emerge come soggettività;
- Negli esseri umani lo spirito prende coscienza di sé in forma di pensiero e si
appropria della natura.

4. HEGEL
Nella Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio Hegel tratta la relazione tra
spirito e natura in tre momenti:

1. Logica: considera lo spirito come pura struttura razionale chiamata da Hegel


idea;
2. Filosofia della natura: mostra come l’idea si dispiega “alienandosi” nel mondo
naturale;
3. Filosofia dello spirito: riguarda “l’idea che dal su alienamento ritorna in sé”.

La logica di Hegel si pone come un’indagine sull’essere.

Nell’assimilare logica e ontologia Hegel segue l’esempio di Aristotele dal quale si


distingue:

- Aristotele pone alla base della logica il principio di non contraddizione;


- Hegel pone alla base della logica la contraddizione stessa che è concepita
come un momento negativo o dialettico che opponendosi a una situazione
iniziale la fa evolvere a un livello superiore.

Compito della filosofia teoretica è raffigurare il mondo come dispiegamento della


negazione dialettica. Questa si applica ala relazione fra i tre momenti: idea, natura,
spirito. Nell’immagine del mondo di Hegel, un’unica razionalità soggiace alla natura
in forma di idea e riaffiora dalla natura in forma di spirito.

I tre momenti sono a loro volta articolati in triadi animate dalla negazione dialettica.
Il momento dello spirito si divide in:

- Soggettivo: l’essere umano in quanto individuo capace di esperienza e


pensiero;
- Oggettivo: il pensiero razionale dei singoli individui si sedimenta in istituzioni
sociali;
- Assoluto: la razionalità giunge alla piena consapevolezza di sé. Esso è diviso in
arte, incarna la razionalità in oggetti materiali; religione, proietta la razionalità
in entità soprannaturali; filosofia, idea che si dispiega nella natura
riconoscendosi come spirito.

5. SCHOPENHAUER
Nel Mondo come volontà e rappresentazione la dimensione noumenica è concepita
da Schopenhauer come una forza cieca e bruta.

L’esperienza è confinata al mondo fenomenico, il “mondo come rappresentazione”.


Egli ritiene che vi sia una forma peculiare di esperienza che fa eccezione a questa
regola: l’esperienza del proprio corpo. Gli altri corpi ci appaiono come individui
localizzati nell’ordinamento spaziotemporale; il mio corpo si manifesta come
tensione, appetito, impulso ad agire. È solo in maniera riflessiva che io posso
riconoscere il mio corpo come un individuo spaziotemporale; la conoscenza
immediata del mio corpo rivela una forza vitale incessante: la volontà.

I corpi con cui la volontà si manifesta hanno una localizzazione spaziotemporale nel
mondo fenomenico, ma la volontà non ha una localizzazione e quindi non
appartiene al mondo fenomenico. La volontà è unica, irrazionale, coincide co la
dimensione noumenica il mondo fenomenico è solo la manifestazione superficiale
“mondo come volontà”.

Egli sostiene che la volontà si dispiega nella varietà del mondo fenomenico per il
tramite delle idee che non hanno una localizzazione e sono molteplici. Le idee sono
emanazioni della volontà e ciò è rivelato dal fatto che la volontà spinge i singoli
individui a riprodursi in modo da garantire la preservazione nel mondo fenomenico
della specie alla quale appartengono. Perciò la volontà si rivela come istinto brutale
di sopravvivenza e di sopraffazione reciproca e dunque fonte di dolore.

Schopenhauer ritiene che l’uomo sia in grado di resistere alla tirannia della volontà.
Esistono, tuttavia, due strategie per permettere all’uomo di sottrarsi:

1. Estetica: consiste nella contemplazione delle opere d’arte che sono capaci di
sottrarre gli esseri umani al loro ruolo di vettori della volontà nel mondo
fenomenico. L’arte permette di osservare mondi di cui non siamo parte e di
riconoscere il manifestarsi della volontà mediante le idee.
2. Etica: consiste nel mettere un freno agli appetiti egoistici nel mondo
fenomenico stesso. Agire eticamente vuol dire trattare gli altri come alleati
nell’unica battaglia per cui valga la pena combattere, quella che oppone tutti
gli individui alla volontà che li opprime.
Il vertice del percorso che si può compiere mediante l’estetica e l’etica è un totale
distacco dalla condizione stessa di individuo. Questo distacco è chiamato noluntas,
che il latino vuol dire “negazione della volontà”.

6. I LIMITI DELL’IDEALISMO
Le diverse versioni dell’idealismo sono accumunate dal tentativo di accedere alla
dimensione noumenica a partire da un’evidenza intuitiva che permette al soggetto
di varcare i confini del mondo fenomenico.

Per Fichte si tratta dell’intuizione di sé come libero agente.

Per Schelling si tratta dell’intuizione dell’opera d’arte come espressione di una forza
creativa.

Per Hegel si tratta dell’intuizione della contraddizione come legge narrativa


razionale della storia dell’essere.

Per Schopenhauer si tratta dell’intuizione del proprio corpo come epicentro di una
volontà cieca e bruta.

Ciascun sistema idealistico richiede all’origine un atto di fede nell’evidenza intuitiva


che rende possibile il passaggio dal mondo fenomenico alla dimensione noumenica.

7. HELMHOLTZ
Egli si propone di naturalizzare il soggetto trascendentale kantiano, cioè di trattarlo
come un corpo vivente munito di un peculiare apparato fisiologico che rende
possibile l’esperienza e il pensiero.

Gli oggetti del mondo fenomenico divengono segni che manifestano la struttura del
mondo reale. Perché gli oggetti esperiti possano contare come “segni” del mondo
reale, occorre che la causalità non sia confinata nell’ordinamento spaziotemporale
del mondo fenomenico ma operi anche nella dimensione noumenica. Il segno è tale
in quanto effetto della causa che lo ha prodotto: S è un segno di X poiché X ha
causato S.

Per designare la causalità specifica della dimensione noumenica si usa il termine


affezione. Il mondo fenomenico che ci appare nell’esperienza è il risultato
dell’affezione esercitata dagli enti fisici del mondo reale. Se si accetta questa
concezione la scienza penetra nella dimensione noumenica che si rivela costituita da
interazioni fra enti fisici. Quando queste interazioni coinvolgono un corpo vivente
producono l’esperienza come prospettiva soggettiva. L’esperienza è il punto di
partenza che permette alla scienza di risalire dal mondo fenomenico al mondo reale.
8. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: ELETTROMAGNETISMO,
ATOMISMO, EVOLUZIONISMO
Le ricerche di Faraday e Maxwell introducono nella ISM una nuova entità, il campo,
che si estende nello spazio senza occuparlo materialmente. Ciascun punto spaziale
interno al campo si contraddistingue per la capacità di esercitare una forza su
qualsiasi corpo che passi per quel punto.

Nel 1864 Maxwell pubblica le equazioni che governano il comportamento del


campo elettromagnetico, stabiliscono cioè i suoi valori nei vari punti dello spazio al
passare del tempo.

La ISM ora è formata da due tipi di entità: i corpi e i campi.

I campi spiegano in che modo i corpi sono sottoposti a forze. Lo studio dei campi
permette di fornire spiegazioni efficaci per evidenze sperimentali che ponevano
problemi a un modello meccanicistico.

Altro perfezionamento della ISM è dovuto alla teorica atomica della materia
proposta da Dalton nel 1803. A elementi chimici differenti corrispondono atomi di
massa differente.

Altro perfezionamento alla ISM è dovuto ai grandi passi della biologia. Lamarck
sostiene che le specie biologiche siano soggette a un’evoluzione che dipende dalle
condizioni ambientali. Nell’Origine delle specie Darwin individua il legame tra
evoluzione e processi riproduttivi. Di generazione in generazione, se l’ambiente
rimane invariato, le caratteristiche degli individui più adatti all’ambiente si
impongono come caratteristiche dell’intera specie. La specie evolve così
selezionando le caratteristiche dei suoi esemplari più adatti all’ambiente. Si parla
dunque di selezione naturale.

9. IL POSITIVISMO
I progressi delle scienze naturali sono accompagnati dal sorgere di un orientamento
filosofico che propone l’estensione del metodo scientifico allo studio della società e
della cultura. Con Comte questo orientamento prende il nome di positivismo.

L’immagine del mondo proposta da Spencer si basa su un’estensione del concetto di


evoluzione del regno biologico all’intera realtà.

Mill concepisce il mondo come un sistema governato da leggi ferree che la ragione
umana è in grado di riconoscere mediante l’induzione, cioè mediante
generalizzazioni basate su una serie di esperienze. Tutto ciò che accade, accade in
conseguenza di tali leggi. La sua concezione dunque è un0immagine deterministica
del mondo.

10 ALTERNATIVE REALISTE ALL’IDEALISMO E AL POSITIVISMO


Bolzano, Brentano e Frege si oppongono all’idealismo rifiutandone la tendenza a
subordinare la dimensione oggettiva al dispiegarsi del soggetto. Si oppongono alla
ISM ritenendo che il dominio dell’essere non possa venir confinato al mondo fisico.
Le loro filosofie delineano una sfera di oggettività più robusta.

11 BOLZANO E FREGE
Essi praticano a filosofia in stretta prossimità con la logica basandola sulla nozione di
proposizione. Le proposizioni sono strutture logiche cui è attribuibile un valore di
verità e corrispondono a ciò che pensiamo mediante i nostri atti psichici.

Essi concepiscono le proposizioni come entità ideali, indipendenti dagli atti psichici
dei soggetti che le pensano e dai linguaggi che le esprimono.

Questa concezione è spesso etichettata come antipsicologismo: gli stati psichici non
riguardano la natura delle proposizioni e delle idee, ma soltanto il nostro modo di
conoscerle.

La nuova logica ambisce a porsi a fondamento dell’oggettività del pensiero in


generale.

Gli esseri umani sono capaci di esperienza soggettiva e di pensiero oggettivo; il


pensiero oggettivo è possibile perché esso consiste nell’afferrare idee e proposizioni
che esistono indipendentemente dagli stati psichici soggettivi. Se così non fosse, non
ci sarebbe modo per soggetti diversi di pensare esattamente la stessa cosa. Affinchè
un pensiero oggettivo risulti possibile, ci deve essere un regno oggettivo di idee e
proposizioni situato al di là dell’esistenza degli atti psichici (terzo regno).

12 BRENTANO
Egli sceglie la psicologia come campo principale della propria ricerca. Nell’opera La
psicologia dal punto di vista empirico formula la tesi per cui la caratteristica
fondamentale della vita psichica è l’intenzionalità, cioè il rivolgersi del soggetto a un
oggetto in base a un’attitudine intenzionale (modo). Queste attitudini possono
essere:

- Percezione;
- Ricordo;
- Desiderio;
Gli stati intenzionali sono costituiti da una struttura ternaria soggetto-attitudine-
oggetto e si possono dividere in tre categorie:

1- Rappresentazione: l’oggetto è semplicemente presentato;


2- Giudizio: l’oggetto è affermato o negato;
3- Sentimento: l’oggetto è valutato.
V. LA FILOSOFIA TEORETICA NEL PRIMO NOVECENTO
1. MOORE E RUSSEL
Essi ribadiscono l’importanza di una sfera oggettiva che non si lasci assoggettare
dall’idealismo ma nemmeno risulti riducibile alla ISM.

Russel compie il tentativo di estendere questa sfera di oggettività al dominio


morale.

Moore sostiene che gli enunciati valutativi, che attribuiscono un valore, non sono
riducibili a enunciati descrittivi. Egli definisce “fallacia naturalistica” la convinzione
di poter effettuare una simile riduzione, in quanto gli enunciati descrittivi riguardano
il regno naturale, mentre gli enunciati valutativi vertono su una sfera di oggettività
irriducibile al dominio della natura. Nelle sue lezioni si fa strada l’esigenza di
distinguere le proposizioni dai fatti che le rendono vere oppure false.

Loro due ritengono che siano i fatti a svolgere un ruolo cruciale nel connettere le
verità logiche a ciò che vi è nel mondo. Per costruire un’immagine del mondo
occorre fare luce sulla nozione di fatto.

Essi concepiscono i fatti come relazioni fra oggetti. Ma le nozioni di relazione e di


oggetto richiedono un chiarimento. Gli oggetti sono concepiti come entità delle
quali è possibile avere una conoscenza diretta e immediata che Russel definisce
acquaintance. Cioè gli oggetti non sono scomponibili in fatti, ma si combinano nei
fatti come gli atomi fisici si combinano nelle molecole “atomismo logico”.

Né Moore né Russel riescono a fornire una caratterizzazione soddisfacente della


nozione di relazione.

2. WITTENGEIST
Egli si chiede come dev’essere il mondo perché il pensiero sia possibile e suddivide
la trattazione in sette sezioni:

1. Taglio schopenhaueriano: “il mondo è tutto ciò che accade”;


2. “Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose”, “lo stato di cose è un
nesso di oggetti semplici”; vi sono oggetti che possono combinarsi
producendo stati di cose; alcuni stati si realizzano, cioè sussistono come fatti;
il mondo è la totalità dei fatti;
3. Il pensiero è definito come “l’immagine logica dei fatti” per immagine si
intende una combinazione di elementi che corrispondono a un oggetto. Il
penare consiste nel produrre immagini che raffigurano fatti o stati di cose. Se
lo stato di cose raffigurato si rivela sussistente allora quel pensiero è vero,
altrimenti è falso.
4. “Il pensiero è la proposizione munita di senso”; “la totalità delle proposizioni è
il linguaggio”. Pensiero e linguaggio condividono la stessa struttura, immagine
o proposizione; l’unica differenza è che il linguaggio si manifesta
esteriormente mentre il pensiero si compie di atti interiori.

Un’immagine appropriata del mondo consiste in una formulazione logica della ISM.

Il compito della scienza naturale è quello di identificare gli oggetti e mostrare come
si combinano fra loro a formare i fatti.

“I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”. L’immagine del
mondo è un’immagine limitata e circoscritta al mio mondo.

Per Kant il mondo fenomenico era limitato dal “noumeno”; per Schopenhauer il
mondo era limitato dal “mondo come volontà”. Per Wittengeist invece si intravede
un soggetto che ricorda il soggetto trascendentale kantiano: “il soggetto non
appartiene al mondo, ma è un limite del mondo”.

“come dev’essere il mondo perché il pensiero logico sia possibile?”. Esso si rivela
essere un modo limitato. La logica è in grado di applicarsi solo a un mondo di fatti
limitandosi a fornire alle scienze naturali il linguaggio con cui descrivere i fatti, la
logica governa il funzionamento del pensiero e del linguaggio e fissa i limiti di ciò che
possiamo pensare e dire: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.

3. CARNAP
Egli usa la logica per costruire un’immagine del mondo e ritiene che l’immagine del
mondo che si ricava tramite la logica sia esaustive e che corrisponda alla ISM. Il
metodo di Carnap consiste nell’individuare una base di nozioni primitive a partire
dalle quasi siano ricavabili logicamente tutte le altre nozioni. Queste nozioni sono sia
fisiche (base fisicaliste) sia da un insieme di nozioni fenomeniche (base
fenomenista). Egli sceglie una base fenomenista, ponendosi l’obiettivo di mostrare
che le nozioni con cui si descrive il mondo fisico sono ricavabili logicamente dalle
nozioni con cui si descrive l’esperienza soggettiva.

Sul compito della fisica e sull’applicazione del principio di massima semplicità,


Carnap fa esplicito riferimento al “demone laplaciano”, ovvero la mente
sovraumana capace di ricostruire la totalità del mondo a partire dallo stato attuale e
dalle leggi fisiche. Per raggiungere questa conoscenza il demone avrebbe bisogno di
un “libro” che descrive lo stato attuale dell’universo, ma anche di un “libro” in grado
di “stabilire una connessione fra il dominio della percezione e il dominio che
costituisce l’oggetto della teoria fisica”. “Questi domini sono distinti” poiché “il
primo contiene i contenuti della sensazione”.

Al fine di ottenere il sapere assoluto reso possibile dal determinismo, il demone ha


bisogno di un libro che metta in connessione la teoria fisica con l’esperienza
soggettiva. La costruzione logica del mondo, chiamato anche come Aufbau, si può
vedere come un tentativo di fornire al demone laplaciano questo libro.

4. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: LA RELATIVITA’ RISTRETTA


5. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: LA RELATIVITA’ GENERALE
6. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: LA MECCANICA
QUANTISTICA
7. I NUOVI PROLEMI DELL’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO
8. IL NUOVO CONFLITTO FRA IMMAGINE SCIENTIFICA E IMMAGINE
MANIFESTA
9. BERGSON
Egli ritiene che la ISM si un’immagine fallace del mondo poiché basata su una
concezione fallace del tempo che egli chiama “tempo spazializzato”. Il tempo è una
semplice successione di istanti che possono essere messi in corrispondenza con i
punti spaziali di una linea. Il tempo è durata, cioè un fluire continuo di momenti che
si compenetrano risultando inestricabili l’uno all’altro. Questa concezione di tempo
come durata tiene conto dell’esperienza soggettiva. La concezione del tempo come
durata è indispensabile per spiegare la vita nella sua generalità.

La mente è qualcosa che fluisce, ciò conduce allo spiritualismo.

In Materia e memoria e in L’evoluzione creatrice Bergson trae la conclusione che la


durata è la dimensione temporale fondamentale del mondo nella sua interezza. Il
mondo è un immenso processo unitario, denominato slancio vitale, che evolve
verso grandi crescenti di spontaneità e creatività. All’interno di questo processo gli
organismi viventi aprono nuove prospettive in virtù della loro capacità di percezione
e azione. Gli organismi viventi stentano a cogliere l’unitarietà dello slancio vitale che
viene suddiviso dagli organismi in una molteplicità di corpi a sé stanti. La percezione
e l’azione restano ancorate alle esigenze pratiche. La memoria rivela il presente
percepito come lo snodo attraverso il quale lo slancio vitale procede dalla totalità
organica del passato verso nuove prospettive future di creatività e libertà.

10 HUSSERL
Per Husserl l’esperienza e il pensiero si basano sull’intenzionalità, ovvero sul
rivolgersi del soggetto a un oggetto.
Gli stati intenzionali sono individuati dal loro contenuto, cioè dalle caratteristiche
che l’oggetto rivela al soggetto.

Egli utilizza il concetto di intenzionalità per compiere un’esplorazione del dominio


dell’esperienza e del pensiero condotta in base ad un atteggiamento denominato
epochè, che consiste nel sospendere qualsiasi immagine precostituita del mondo, e
considerare esclusivamente ciò che si manifesta al soggetto mediante gli stati
intenzionali. Da qui il nome fenomenologia che verte sui fenomeni, ossia su ciò che
si manifesta al soggetto.

Per Brentano al cuore dell’esperienza e del pensiero vi è l’intenzionalità. Husserl


mette a frutto questa scoperta analizzando la natura intenzionale dell’esperienza e
del pensiero per ricavarne un’immagine del mondo che non derivi da presupposti,
bensì scaturisca dalla natura stessa degli “strumenti” che ci mettono in contatto con
il mondo.

Gli stati intenzionali si distinguono secondo vari criteri; le due distinzioni cruciali
sono:

a. Indipendenti e dipendenti:

Gli stati dipendenti si innestano su quelli indipendenti e dunque non possono


accedere direttamente al mondo.

b. Posizionali e neutrali:

Gli stati neutrali dipendendo dall’arbitrio del soggetto non possono avere un
legame diretto con il mondo.
Tanto gli stati dipendenti quanto quelli neutrali restano confinati nella sfera del
soggetto.

Sono gli stati posizionali indipendenti a mettere il soggetto in contatto con il mondo.
Fra questi Husserl istituisce una gerarchia mediante la nozione di riempimento: uno
stato intenzionale è riempiente se fa sì che l’oggetto risulti intuitivamente evidente,
conducendo il soggetto in prossimità dell’oggetto stesso. Il caso paradigmatico è la
percezione.

Nell’opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale il mondo


che si manifesta al soggetto mediante gli stati intenzionali riempienti viene
denominato mondo della vita. Esso è un regno di evidenze originarie. Ciò che è dato
in modo evidente è “esso stesso” dato nella percezione, oppure è ricordato nella
memoria.

Per la comprensione del mondo della vita è cruciale l’analisi della temporalità. Egli
mostra il carattere essenzialmente temporale della percezione e che si rivela
articolata in tre componenti:

1. Apprensione: che coglie l’oggetto al presente;


2. Ritenzione: che tiene traccia dei momenti passati:
3. Protensione: che anticipa i momenti futuri.

Il mondo della vita è un mondo temporale articolato in tre momenti:

1. Presente fluente che si manifesta nell’apprensione;


2. Passato stratificato nella ritenzione e nel ricordo;
3. Futuro aperto anticipabile dalla protensione e dall’immaginazione.

Il mondo della vita si pone come un’alternativa radicale all’immagine scientifica del
mondo. Per Husserl il mondo della vita è semplicemente il mondo.

L’analisi fenomenologica della sfera soggettiva mostra che vi sono stati intenzionali
capaci di mettere il soggetto direttamente in contatto con gli oggetti del mondo e
con la struttura temporale del mondo.

Per Husserl la ISM non raffigura il mondo di cui è immagine, bensì lo costruisce. Il
“mondo-scientifico-obiettivo” si rivela una produzione umana che non potrà mai
raffigurare il mondo nella sua interezza.
11 HEIDEGGER
Per Heidegger l’intenzionalità si traduce in un essere nel mondo”, una “apertura al
mondo” tale per cui l’essenza stessa del soggetto intenzionale, ribattezzato esserci è
la sua esistenza. Tratti tipici dell’esistenza sono:

- “l’essere insieme” con altri soggetti,


- l’utilizzare una varietà di oggetti,
- trovarsi sempre in una certa “situazione emotiva”.

Fra gli stati emotivi un ruolo cruciale è svolto dall’angoscia che non si rivolge a un
oggetto specifico. Essa non mette il soggetto in relazione con degli oggetti, ma con
la sua propria esistenza, svelandola come cura, cioè come qualcosa che si
comprende e si forgia da sé.

L’esistenza come cura si articola in tre modi:

1. l’essere “gettato nel mondo”;


2. l’essere “presso” le cose;
3. l’essere “in vista di” sempre nuove possibilità, nella prospettiva di un
“progetto”.

L’esistenza si rivela strutturata dalla temporalità che ricalca la struttura ternaria


della “cura” articolandosi in tre dimensioni:

1. passato che radica il soggetto in un mondo storico in cui si trova


irrimediabilmente “gettato”;
2. presente che vincola il soggetto agli oggetti circostanti;
3. futuro che dischiude le possibilità da cui scaturisce il “progetto”.

La struttura temporale della “cura” permette di trasformare l’esistenza da


“inautentica” in “autentica”, cioè proiettata verso il futuro. L’esistenza autentica
richiede al soggetto di farsi carico di tutto ciò che l’apertura alle possibilità future
comporta.

La Critica della ragion pura è una lettura privilegiata in cui la facoltà della sensibilità
ha un peso maggiore. L’obiettivo di Heidegger è risolvere l’opposizione kantiana fra
intuizione e pensiero a favore del primo termine: “il pensiero sta al servizio
dell’intuizione”. “L’intuizione costituisce l’essenza autentica del conoscere”.

Per Heidegger le immagini del mondo costruite su base logica sono destinate al
fallimento.
Dal primato della sensibilità sull’intelletto consegue l’essenziale finitezza del
soggetto, cioè il suo dipendere da oggetti che gli si impongono dall’esterno.

Dallo “stato di assegnazione” del pensiero all’intuizione, Heidegger ricava lo stato di


assegnazione del soggetto al mondo: “esistenza significa stato di assegnazione
all’ente come tale”

Heidegger sostiene una tesi di estrema radicalità per cui il soggetto viene a
coincidere con il tempo: “il tempo e l’io penso sono la stessa cosa”. La temporalità
non è solo una caratteristica essenziale del soggetto: il tempo e il soggetto rivelano
di essere la stessa cosa.

Il tempo è nel mondo solo nella misura in cui i soggetti sono nel mondo.

Il mondo di Heidegger è un blocco atemporale che ospita zone di temporalità in


corrispondenza dell’esistenza dei soggetti. L’esserci “apre” l’ente facendo scorrere il
tempo al suo interno.

Da una parte il soggetto e il tempo sono la stessa cosa, dall’altra parte il tempo non
appartiene al mondo nella sua interezza. Eppure il soggetto pare destinato a
concepire il mondo esclusivamente in termini temporali. Heidegger mostra che la
nozione di essere che domina la storia della filosofia è la nozione di una “persistenza
nella presenza”, cioè una nozione eminentemente temporale. Il problema
dell’essere diviene così il problema di pensare qualcosa che non è essenzialmente
temporale da parte di un soggetto che è essenzialmente temporale, anzi, che è il
tempo stesso.

L’immagine heideggeriana del mondo resta da designare.


VI. LA FILOSOFIA TEORETICA DAL SECONDO NOVECENTO A
OGGI
1. STRAWSON
Strawson riprende da Kant la tesi per cui i particolari hanno il loro posto in un
sistema spaziotemporale unitario. Fra i particolari Strawson considera i corpi
materiali che sono i particolari di base, cioè possono essere reidentificati senza
riferimento a categorie diverse dalla propria. Per identificare un corpo materiale è
sufficiente indicare la sua localizzazione spaziotemporale, mentre per identificare
altri tipi di particolari occorre passare per l’identificazione di corpi materiali.

Egli chiama persone i particolari dei quali si è inclini a dire non tanto che sono,
quanto piuttosto che hanno corpi materiali. La persona è un particolare al quale si
possono attribuire sia caratteristiche tipiche dei corpi materiali sia caratteristiche di
altro tipo che corrispondono a stati mentali di esperienza o di pensiero. Il possesso
congiunto di entrambe le categorie conferisce alle persone una capacità creativa che
permette loro di arricchire il mondo di nuovi particolari e di conoscere il mondo in
cui si trovano: le caratteristiche materiali forniscono alle persone una posizione da
cui osservare, mentre le caratteristiche mentali forniscono una prospettiva con cui
osservarlo.

Il progetto di Strawson prende il nome di metafisica descrittiva perché costruisce


l’immagine del mondo a partire dalla descrizione della “struttura dello schema
concettuale entro il quale noi operiamo”. La metafisica descrittiva si contrappone
alle metafisiche revisioniste, le cui immagini del mondo richiedono una radicale
revisione dell’esperienza ordinaria. La metafisica descrittiva va di pari passo con il
realismo diretto la cui tesi fondamentale è che la percezione ha la capacità di
mettere il soggetto in contatto diretto con il mondo e con le cose che lo popolano.
Esso assicura che la “struttura dello schema concettuale entro il quale noi
operiamo” sia anche la struttura del mondo.

La metafisica descrittiva giunge a disegnare un’immagine manifesta del mondo


ricavata a partire dall’ipotesi del realismo diretto che risulta in netto contrasto con
la ISM.

La scienza non ci fornisce un punto di vista genuino sul mondo, ma ci fornisce un


punto di vista supplementare sul mondo che ci permette di fare luce sulla
composizione materiale degli individui con cui entriamo in contatto. È la percezione
a informarci su che cosa c’è nel mondo.
2. SELLARS
Egli fornisce una caratterizzazione della filosofia teoretica in base al suo obiettivo
primario: “dire come le cose stanno insieme, cioè fornire un’immagine complessiva
della realtà”.

Vi sono due tipi di immagine in competizione fra loro:

1. Immagine manifesta che si basa sulle entità di cui si ha esperienza diretta e


sulla loro categorizzazione a partire da intuizioni condivise;
2. Immagine scientifica che si basa sulla postulazione di entità impercettibili che
si collegano alla realtà osservabile mediante esperimenti e misure.

Sellars concepisce l’immagine manifesta come il raffinamento filosofico


dell’immagine del mondo secondo il senso comune (o immagine originaria). Egli ha
reso giustizia all’immagine manifesta, ed è progressivamente riuscita ad isolarla
nella sua forma pura. Ciò è avvenuto individuando gli “schemi concettuali”. Qui si
annida un problema: gli schemi concettuali non sono strutture innate bensì l’esito di
processi sociali: non vi è un pensiero al di fuori di standard condivisi di correttezza e
rilevanza, che collegano ciò che io penso a ciò che si deve pensare. Il contrasto fra io
e si è essenziale. Gli schemi concettuali sono le regole generali del “gioco” del
pensiero che derivano dall’interazione sociale. L’immagine manifesta si rivela
incapace di tenere conto dei processi sociali che danno luogo alla formazione degli
schemi concettuali, poiché l’immagine manifesta del mondo presuppone gli schemi
concettuali e non è in grado di spiegare come si passi da una situazione in cui questi
schemi non sono in vigore a una situazione in cui lo sono.

Sellars ritiene che l’immagine scientifica del mondo sia preferibile all’immagine
manifesta.

L’immagine scientifica del mondo può risultare completa solo se riesce a includere
al proprio interno un’immagine scientifica dell’uomo. I due problemi principali con
cui la ISM si scontra sono:

1. Carattere qualitativo dell’esperienza: si tratta di individuare processi


neurofisiologici capaci di spiegare perché quelle esperienze hanno il carattere
qualitativo che le contraddistingue;
2. Carattere normativo del pensiero: ci si trova fare i conti con il problema
dell’irriducibilità del si deve all’è.

La normatività risulta inestricabile dalla socialità. Per completare la ISM occorre


tener conto dei legami sociali e dei loro effetti normativi.
3. KRIPKE
In Nome e necessità egli mette in luce una differenza fra la spiegazione scientifica
dei fenomeni naturali e la presunta spiegazione scientifica delle esperienze
soggettive. La spiegazione scientifica basata sulla distinzione apparenza/realtà coglie
quel che vi è di essenziale nei fenomeni naturali, ma non quel che vi è di essenziale
nelle esperienze soggettive.

In Wittgenstein su regole e linguaggio privato egli evidenzia l’irriducibilità del


carattere normativo di pensiero e linguaggio alle descrizioni oggettive della scienza.

Nel mondo fisico non si possono trovare fatti in grado di spiegare l’uso di un termine
da parte di una persona per significare qualcosa. Questo perché il significato di un
termine stabilisce come quel termine deve essere usato, mentre considerando il
mondo fisico si trovano solo casi in cui quel termine è usato o potrebbe essere
usato.

Il si deve, la normatività, è l’esito di un processo sociale irriducibile a fatti fisici. Nel


mondo fisico vi sono individui che si comportano in certi modi; solo a livello delle
interazioni sociali si può passare dal comportarsi al doversi comportare, ovvero il
modo in cui la comunità impone che ci si comporti. Solo in un quadro sociale è
possibile distinguere gli usi corretti di un certo termine da quelli scorretti.

La mossa Wittgensteiniana che Kripke definisce “l’inversione del condizionale”: non


“andiamo d’accordo perché seguiamo le regole” bensì “seguiamo le regole perché
andiamo d’accordo”.

Da ciò Kripke fa derivare la critica wittgensteiniana alla nozione di “linguaggio


privato”: senza dimensione pubblica non vi possono essere regole; ma senza regole
non vi può essere linguaggio, dunque non vi può essere un linguaggio privato.

4. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: SVILUPPI DELLA


RELATIVITA’ E DELLA MECCANICA QUANTISTICA
5. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: LA STORIA DELL’UNIVERSO
6. L’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO: EVOLUZIONISMO E
GENETICA
7. SCIENZE COGNITIVE, NEUROSCIENZE E IL PROBLEMA DELLA
SOGGETTIVITA’
8. IL COMPLETAMENTO FILOSOFICO DELL’IMMAGINE SCIENTIFICA
DEL MONDO
9. LA DIFESA FILOSOFICA DELL’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL MONDO
10 LA CHIARIFICAZIONE FILOSOFICA DELL’IMMAGINE SCIENTIFICA
DEL MONDO
11 ALTERNATIVE FILOSOFICHE ALL’IMMAGINE SCIENTIFICA DEL
MONDO
SECONDA PARTE
I. CHE COS’E’ LA FILOSOFIA TEORETICA
La filosofia teoretica è sia una teoria di come conosciamo le cose (epistemologia),
sia una descrizione delle cose che conosciamo (ontologia).

La filosofia teoretica manifesta una tendenza imperialistica a impossessarsi di ogni


campo del sapere, non solo filosofico.

La vocazione enciclopedica pone il problema dei rapporti tra filosofia e scienza, che
va inteso nel senso secondo cui la nascita della scienza moderna ha determinato il
definirsi di una nuova identità della filosofia. È necessario essere consapevoli che c’è
una filosofia pre-newtoniana, non ancora distinta dalla scienza, e una post-
newtoniana, che ricava la sua identità dai diversi atteggiamenti che prende nei
confronti della scienza. Da questo punto di vista si può considerare il rapporto con la
scienza come l’elenco degli atteggiamenti che la filosofia può prendere, ossia una
metodica.

Oggi nessun filosofo sarebbe disposto a sostenere che la scienza è la soluzione di


tutti i problemi e la risposta a tutti gli interrogativi. I limiti della scienza si possono
capire con un semplice esperimento. In un giornale quanti sono gli articoli in cui la
scienza assolve un ruolo? quasi nessuno. Questo non significa che la filosofia sia in
grado di risolvere i problemi delle prime pagine del giornale. Il vero vantaggio
consiste nel venir meno della convinzione che essere filosofi significhi appiattirsi
completamente alla scienza oppure manifestare forme di antiscientismo di diversa
radicalità, ma ugualmente insincere.

Oggi non tutto ciò che è vero è scientifico, soprattutto se con “scienza” intendiamo l
fisica.

Il fatto che sia sempre più evidente che la scienza non è sistematicamente la misura
ultima della verità e della realtà non comporta minimamente che si debba dire
addio alla realtà. “Se Dio è morto, tutto è possibile”. Ciò significa che anche la
filosofia ha qualcosa di importante e di vero da dirci a proposito del mondo.

1. ESEMPLARITA’
Kant afferma che il filosofo non esiste, esiste solo l’ideale del filosofo. Non abbiamo
un’essenza della filosofia, ma solo alcuni caratteri che segnalano la presenza di
filosofia.

Ci sono tre individualità esemplari, ognuna caratteristica di un’epoca della filosofia:


1. Aristotele: filosofia come contemplazione;
2. Kant: filosofia come costruzione;
3. Nietzsche: filosofia come decostruzione.

La questione della esemplarità si collega con quella del rapporto tra filosofia e
biografia.

È lecito supporre che la filosofia abbia un peculiare rapporto con l’individualità del
filosofo. Questo rapporto può essere valutato:

- positivamente come rivendicazione dell’Unico rispetto alla Totalità;


- negativamente come espressione di idiosincrasie.

I concetti si radicano in una certa storia e geografia.

I filosofi analitici sono più inclini a servirsi dei concetti in questa forma, mentre i
filosofi continentali tendono a sostituire i concetti con i nomi propri o a identificarli
con essi.

2. STORIA
La filosofia non si dà senza la storia, ma non si riduce alla storia, e la storia manifesta
il progetto di trovare un filo conduttore cimentandosi in un genere narrativo unico
per quattro motivi:

1. Eterogeneità dei concetti: una storia della filosofia privilegia coloro che hanno
sviluppato una teoria sbagliata;
2. Ruolo canonizzante rivestito dalla narrazione: l’identità della filosofia viene da
una genealogia, cioè da un racconto che parla di papà Parmenide, dello zio
Kant, e da Derrida, il fratello cattivo;
3. Ruolo filosofico rivestito dal racconto che è capace di attualizzare dottrine
remotissime. Nella storia della filosofia non ci sono solo tutte le risposte
giuste, ma anche quelle sbagliate perché non c’è teoria assurda o insensata
che non sia stata sostenuta da un filosofo;
4. Il racconto della filosofia non è una pacifica successione di patriarchi biblici,
ma un movimentato romanzo di famiglia. Ridurre i filosofi alle loro teorie è far
loro un grave torto (autobiografie).

Sono proprio i personaggi e le loro dispute a far emergere gli oggetti della filosofia.

Rinunciando alla narrazione completa o agli esperimenti oulipiani si possono


individuare tre ripartizioni:
1. Contemplazione: i filosofi antichi pensavano che il mondo fosse eterno e che
non ci fosse alcun costruttore, quindi non si aveva idea di un dio creatore; la
contemplazione si limita a guardare e spiegare il mondo così com’è;
2. Costruzione: dottrina che spiega come a partire dal soggetto conoscente può
essere conosciuto il mondo che è pieno di inganni, perciò per essere sicuri del
mondo che conosciamo dobbiamo agire come dei costruttori;
3. Decostruzione: smontare ciò che gli umani hanno fatto ad altri umani
danneggiandoli. Le cose non sono come sembrano;
4. Resta in auspicio un quarto punto, quello dell’emergenza: dal mondo alla
mente: il mondo ci viene incontro limitando tutte le nostre possibilità.

II CONTEMPLAZIONE: IL PARADIGMA ARISTOTELICO


Socrate aveva svalutato i fenomeni naturali privilegiando l’interiorità. Platone
aveva detto che quello che si presenta alla nostra esperienza è apparenza,
mentre la verità vera sta da un’altra parte. Aristotele appunta la sua attenzione
su ciò che si presenta: c’è una verità in ciò che appare e in questo mondo
sensibile, mondo in cui non c’è spazio per le idee.

Le idee non sono né modelli, né principi di movimento; inoltre non si sa che cosa
siano esattamente, quindi facciamo a meno delle idee.

Questa condanna ci fa capire che Aristotele ha superato la diffidenza verso il


mondo sensibile ed è disposto a riconoscere la positività e la ricchezza del
mondo.

Platone scrive nella Repubblica come dev’essere ordinato uno stato ideale a
partire dall’idea; Aristotele scrive ne La costituzione degli ateniesi, dove rende
conto della costituzione reale di Atene e della sua storia. Platone condanna l’arte
come copia dell’idea e Aristotele compone invece il primo trattato di estetica.
Platone dice che della vita non si può avere scienza; e Aristotele cataloga e studia
i viventi più umili con la stessa attenzione che i suoi predecessori riservavano al
cielo.

Le idee non esistono; esistono solo gli individui, collocati in uno spazio e in un
tempo determinato, e composti in modo inscindibile di materia e forma. Non c’è
entità che non abbia una forma, una identità, una vita. L’individuo vivente
diviene il grande modello del conoscibile. La struttura del sapere diviene una
enciclopedia filosofica che insieme renda conto della positività, della ricchezza e
dell’articolazione del reale.
1. IL GENIO E IL PROFESSORE
Con Aristotele nasce l’immagine del filosofo-professore.

Aristotele nasce nel 384/3 a.C. a Stagira. La madre era macedone e il padre era
greco, per questo motivo Aristotele non godette mai dei pieni diritti civili e politici
nella città in studiò e insegnò. Egli era un borghese provinciale figlio di uno
scienziato. Dalla professione del padre egli deriva l’importanza del modello della
medicina nella sua filosofia. Orfano di padre fu affidato a Prosseno di Atarneo. Nel
367/6 egli entrò nell’Accademia di Platone ad Atene.

La sua prima opera risale al 362 ed è il dialogo Grillo, una difesa della retorica come
dialettica razionale. La polemica prosegue nel 363 con il Protreptico, una difesa
dell’insegnamento dell’Accademia che era stato attaccato da Isocrate.

Alla morte di Platone lascia l’accademia e va ad Atarneo dove diventa amico del
tiranno Ermia. Dopo l’uccisione del tiranno ne 343/2 Filippo II, re di Macedonia, gli
affida l’educazione del figlio, Alessandro Magno.

Tornato ad Atene nel 335/4 Aristotele apre la sua scuola, il Liceo. La sua attività di
insegnamento enciclopedico, in cui era affiancato da numerosi collaboratori, durò
sino al 324/3. In quest’anno si seppe della morte di Alessandro Magno e Aristotele,
legato al partito macedone, fu accusato di empietà. Per sottrarsi al processo si
trasferì a Calcide nella casa materna. Qui morì nel 322/1.

2. IL PROVINCIALE E IL COSMOPOLITA
La nascita provinciale, che fece si che Aristotele non fosse mai un cittadino a pieno
titolo ad Atene, spiega perché la sua unità di misura politica non sia più la polis, ma
lo stato. Questa nascita provinciale fu la premessa per uno sguardo sul mondo più
aperto di quello di Platone.

Viaggiando a lungo Aristotele acquisisce uno sguardo più cosmopolitico e meno


carico di pregiudizi aristocratici.

Aristotele era più culturalmente disposto e attrezzato a cogliere i valori positivi di


quella trasformazione del mondo, l’ellenismo, nella quale la cultura si mescolerà con
altre tradizioni. Il mondo greco nell’ellenismo avrà una conseguenza capitale:
superare i particolarismi che avevano caratterizzato il limitato mondo delle poleis.
3. UN EROE BORGHESE
Pare che Aristotele giustificasse la decisione di lasciare Atene per sottrarsi alla
probabile condanna dicendo di voler evitare che gli ateniesi commettessero un altro
crimine contro la filosofia. Con un anacronismo potremmo dire che Aristotele è un
eroe borghese. La formazione borghese traspare nello stile. Il filosofo-professore fu
prosaico nella vita e amante della prosa in letteratura e in filosofia.

I filosofi scrivevano per lo più in versi. Aristotele amava leggere silenziosamente e ci


ha lasciato dei trattati concepiti per una lettura silenziosa. Si tratta di dispense senza
grandi preoccupazioni stilistiche.

Si tratta di tutto un altro concetto del sapere che pone al centro della pratica
dell’insegnamento un professore nel senso moderno del termine e al centro della
ricerca la biblioteca. È nel liceo di Aristotele che si ha la prima forma di ciò che
diventerà l’insegnamento nel sapere occidentale moderno.

4. IL CORPO E L’ENCICLOPEDIA
Un’altra considerazione sullo stile. Quella che viene proposta dall’attività di ricerca
di Aristotele e dei suoi allievi è una vera e propria enciclopedia, che costruisce un
modello del sapere ancora in vigore oggi. Aristotele indirizza le sue ricerche
nell’ambito della fisica, della psicologia, della biologia, della medicina e dell’arte. Egli
è il “maestro di coloro che sanno”.

Questo sapere ha un grande centro espansivo, la nozione di vita. L’elemento


costitutivo dell’universo per Aristotele è la sostanza che gli appare modellarsi sulla
forma del corpo vivente.

III. DALLA LOGICA ALLA BIOLOGIA


I libri con cui si apre l’enciclopedia aristotelica si chiamano organon, cioè strumento.

Quella che chiamiamo “logica aristotelica” va considerata come una metodologia


della ricerca. La dialettica è lo strumento principale. Aristotele eredita da Platone
l’idea che si tratti di una scienza della divisione che consiste nel trovare il genere
prossimo e la differenza specifica. La dialettica è un’attività del distinguere e tagliare
seguendo le venature naturali. La dialettica è una dissezione della realtà.

1. L’ESPRESSIONE
Il primo risultato della dialettica è la finzione dei dieci “generi sommi” o categorie
elencate nell’opera Categorie. Esse sono i termini che hanno significato anche senza
essere messi in una proposizione e sono ottenute per via dialettica:
1. Sostanza;
2. Quantità;
3. Qualità;
4. Relazione;
5. Luogo;
6. Tempo;
7. Giacere;
8. Avere o possedere;
9. Agire;
10.Patire.

La decade era il numero perfetto.

Il punto decisivo delle categorie sta nel fatto di essere principi epistemologici di
classificazione del mondo e principi ontologici.

Le categorie prese singolarmente non costituiscono un’affermazione.

Perché qualcosa sia vero o falso occorre che sia posta in connessione. L’atto mentale
del congiungere si chiama “giudizio”. Esso è vero quando congiunge nel pensiero ciò
che è realmente congiunto, o si disgiunge ciò che è realmente disgiunto; falso invece
quando si congiunge nel pensiero ciò che nella realtà è disgiunto, o si disgiunge ciò
che nella realtà è congiunto.

L’espressione linguistica del giudizio è la proposizione.

2. IL RAGIONAMENTO
I due libri degli Analitici primi trattano del ragionamento, cioè del processo per cui si
passa da una proposizione all’altra in modo conseguente e secondo dei nessi precisi.
La struttura evolutiva conferma il nesso tra ontologia ed epistemologia: prima
abbiam dei termini isolati, poi dei termini congiunti e infine delle congiunzioni tra
congiunzioni in processi di ragionamento la cui necessità sta nelle strutture
soggiacenti dell’essere.

Aristotele chiama sillogismo il ragionamento perfetto che si compone di tre


proposizioni: due premesse e una conclusione. I due termini che vengono congiunti
nella conclusione sono l’estremo minore (il soggetto) e l’estremo maggiore (il
predicato). Il termine che connette i due estremi è detto termine medio (copula è)
proprio perché opera una mediazione tra i due estremi.
3. LA SCIENZA
Gli Analitici secondi si presentano come una vera e propria teoria della scienza. Qui
Aristotele si pone due problemi diversi ma connessi:

1. Esplicitare il fondamento ontologico dei sillogismi;


2. Cerca di sviluppare una teoria della scienza che possa servire da guida
nell’applicazione dei sillogismi come strumenti di ricerca e di indagine del
reale.

Le vie per il cui tramite si ottiene conoscenza sono due:

1. L’induzione: dal particolare si giunge all’unversale;


2. L’ intuizione: il coglimento immediato di principi primi. Essa sta al centro di
principi come il principio di non contraddizione, che suona come “non è
possibile affermare e al tempo stesso negare un medesimo attributo di un
medesimo oggetto”, e di altri principi che ne dipendono: il principio di identità
e il principio del terzo escluso.

Aristotele elabora una teoria della scienza che nasce dalla sensazione e dalla
memoria e ascende sino alla scienza come conoscenza delle cause e come capacità
di insegnamento. Egli propone una evoluzione che suppone tre tappe:

1. Percezione;
2. Memoria;
3. Intelligenza che permette di cogliere la definizione.

Queste funzioni forniscono già i presupposti per il sapere e consentono di fare


previsioni.

Aristotele descrive un organizzarsi del sapere a partire dall’essere, in base a una


sorta di auto-organizzazione dell’esperienza.

Il fermarsi di una impressione nel mondo ingenera un “nesso discorsivo” nel


pensiero, e dai ricordi consegue un’unica esperienza: dalla sensazione si sviluppa ciò
che chiamiamo ricordo dal quale si sviluppa poi l’esperienza.

4. L’ERRORE
Una teoria della scienza è incompleta sino a che non spieghi la possibilità dell’errore.
I Topici propongono una teoria dell’argomentazione.

Si ha a che fare con i sillogismi dialettici, quelli che hanno premesse solamente
probabili perché fondati sull’opinione. La dialettica non è solo metodo di
discussione, ma anche di ricerca, perché consente di sviluppare le aporie, cioè i
problemi.

Negli Elenchi sofistici Aristotele tratta dei sofismi, cioè degli argomenti fallaci, cioè i
cosiddetti “paralogismi” adoperati dai sofisti e dei modi per confutarli.

5. IL MONDO TERRESTRE
Per Aristotele la fisica rappresenta la conoscenza della natura nella totalità dei suoi
aspetti.

Le spiegazioni di Aristotele sono fedeli all’apparenza. Aristotele diventa un


percettologo ante litteram: ci spiega il modo in cui noi percepiamo il mondo
esterno. Aristotele fornisce delle descrizioni fenomenologicamente perfette della
nostra percezione dei fenomeni naturali e a sua prospettiva è valida nella cosiddetta
fisica ingenua, cioè del modo in cui percepiamo il mondo esterno.

La fisica ha come oggetti le cose che sono in movimento e che non si danno senza
materia e può includere i corpi celesti.

Aristotele inserisce un carattere dinamico dell’essere. L’essere è soggetto a


movimento e a mutamento e quest’ultimo riguarda la quantità, la qualità, la
sostanza, in processi come la generazione e la corruzione. Per Aristotele il mondo è
eterno.

La coppia fondamentale della fisica è quella di materia e forma:

1. Materia: qualcosa che diviene, il sostrato; in potenza;


2. Forma: qualcosa ciò che il qualcosa diviene, l’entità riconoscibile; in atto, cioè
è davvero qualcosa.

La sostanza è un sinolo, un complesso, di materia e forma, è natura. La forma è lo


scopo ultimo di un processo finalistico: è ciò verso cui tende la natura di ciò che si
genera.

Lo studioso della natura è ricercatore e classificatore di fini e di forme.

Il punto capitale dell’indagine aristotelica consiste nel sottolineare che Platone ha


sbagliato considerando le forme degli esseri naturali separate dalla materia, cioè
fondendo la matematica con la fisica.

Aristotele indica quattro generi di cause del divenire:

a) Materiale;
b) Formale;
c) Efficiente;
d) Causa finale.

Conoscere la natura significa conoscere queste cause.

Aristotele privilegia la causa finale, il che è un’ulteriore riprova che il paradigma


ontologico fondamentale di Aristotele è l’essere vivente.

La natura nel suo insieme è un meccanismo finalistico.

6. PSICOLOGIA
Il De anima costituisce una “seconda metafisica”.

La psicologia è la parte dell’enciclopedia aristotelica che ha maggiormente contato


per la filosofia e la scienza successiva. Questo sia per la potenza della visione che la
ispira, cioè quella di un’unione di materia e forma che si pone al di là di qualsiasi
dualismo; sia per la capacità di fornire una visione integrata delle funzioni dell’anima
che dal livello puramente vegetativo ascendono alla dimensione animale e infine al
pensiero; sia per l’accuratezza delle descrizioni fenomenologiche dei fenomeni
psichici.

7. L’ANIMA E LA VITA
Ogni vivente ha un’anima. Aristotele propone una tripartizione:

- Senso;
- Immaginazione;
- Intelletto (attivo e passivo).

La funzione unificante, che si trova in tutti e tre i livelli, è la memoria, e la mente


descritta come una tavola scrittoria su cui si fissano le impressioni.

Percezione, immaginazione e intelletto passivo derivano dal corpo.

L’intelletto attivo si sottrae alla natura psicosomatica delle operazioni dell’anima e


ognuna contiene al proprio interno le inferiori: nell’anima intellettiva è contenuta
quella sensitiva e in quest’ultima l’anima vegetativa. Dall’anima vegetativa
dipendono due funzioni: come specie e come individuo.
8. SENSO E SENSIBILI
L’anima è capace sia di muovere sia di conoscere, dunque sembra mista di
estensione e pensiero.

L’unione di materia e forma diviene anche per l’anima la chiave per risolvere il
problema. L’anima è sostanza nel senso che “è forma di un corpo naturale che ha la
vita in potenza”. L’anima è il principio delle facoltà nutritiva, sensitiva, razionale e
del movimento, e lo è come essenza e forma, non come materia e sostrato.

I sensi sono strettamente collegati all’attività psichica. Il tatto è il senso ontologico


per eccellenza, in quanto ci mette in contatto con l’essere; la vista è il senso più
epistemologico appunto perché ci permette di riconoscere le differenze che stanno
alla base delle classificazioni.

9. SENSO COMUNE, IMMAGINAZIONE E PENSIERO


“Senso comune”, per noi oggi, è equivalente di “buon senso”, ma in Aristotele indica
due fenomeni intimamente correlati. La possibilità che ci siano “sensibili comuni”,
ossia che uno stesso oggetto possa essere colto da due sensi differenti. È centrale
per Aristotele l’idea dell’esistenza di un sensorio comune, che coordina le sensazioni
separate e le unifica. La sensibilità ascende verso le funzioni superiori
dell’immaginazione e del pensiero.

Il pensiero non è la stessa cosa della sensazione e dell’immaginazione, ma è molto


attento a mostrare il debito contratto dal pensiero nei confronti di queste facoltà
inferiori.

Lo stesso intelletto viene pensato sotto la forma della memoria. L’intelletto è in


potenza tutti gli intelligibili, ma in atto nessuno, prima di pensarli.

Il pensiero dipende dalle facoltà inferiori per l’azione dei processi immaginativi
all’interno della riflessione. Avviene la partizione tra due intelletti:

- intelletto passivo riferito ai sensi, ha bisogno dell’immaginazione;


- intelletto attivo, vicino all’immaginazione che deriva dalla sensazione.

In cosa differisce il pensiero rispetto alle funzioni inferiori? Esclusivamente per un


maggio grado di astrazione: la sensazione è del particolare, la dimostrazione è
dell’universale.

Il pensiero dipende dall’immaginazione per ragioni non essenziali, ma accidentali.


10 BIOLOGIA
Gli animali hanno un vantaggio conoscitivo: si possono osservare da vicino e
“girando loro attorno”. E si possono anche aprire e sezionare, per conoscerne
l’anatomia e la fisiologia.

11 LA REALTA’ COME VITA


La vita, oltre che un oggetto di studio, costituisce il modello fondamentale della
realtà che è un composto inestricabile di materia e forma. Di qui almeno tre
elementi caratteristici dell’impianto aristotelico:

- l’importanza delle cause finali;


- l’idea dell’anima come principio vivente;
- contrapposizione fra il paradigma dell’idea e quello della sostanza come
composto di materia e forma, che trova il proprio prototipo ne corpo vivente.

La forma è la manifestazione sensibile del significato, del profondo, dello spirituale.


L’elemento intelligibile è collocato all’interno di una sfera visibile di forme e di
funzioni, ed è questa la ragione per cui Aristotele dedica molta attenzione allo
studio delle diverse forme del vivente.

12 TASSONOMIA E MORFOLOGIA
Il vivente costituisce il grande modello metafisico di tutta la filosofia aristotelica, e la
classificazione degli animali rappresenta la più grande attuazione del suo ideale
enciclopedico. È nello studio del vivente che si elabora la centralità della nozione di
sostanza che trova nell’uomo la sua rappresentazione più completa.

Aristotele definisce l’uomo come un animale sociale, e come un animale dotato di


linguaggio ed esplicita quella che è la sua convinzione metafisica di fondo rispetto a
ciò che noi siamo come parte della natura vivente.

Sulle parti degli animali può essere considerata un trattato di morfologia, cioè come
lo studio del modo in cui cause naturali di varia natura determinano la forma degli
organismi e la struttura delle loro parti. I punti di forza teorici sono tre:

1. il suo finalismo, il privilegio delle cause finali rispetto alle case efficienti;
bisogna saper riconoscere nella natura un organismo dotato di fini;
2. valorizzazione della morfologia, cioè il predominio della causa formale
rispetto alla causa efficiente e alla causa materiale. Il valore degli organismi è
determinato dalla forma che possiedono, che permette di realizzare il fine per
cui sono generati.
3. Organicismo: il vivente manifesta una complessità superiore al non vivente.
13 FINALISMO
Tuto ciò che si muove lo fa per contatto diretto con qualcosa che funge da principio
del moto. L’auto-movimento degli animali rappresenta un serissimo problema
nell’orizzonte aristotelico, e viene risolto attraverso il ricorso alla causa finale:
l’animale si muove in vista di qualcosa, perseguendo un fine. La causa del
movimento è un desiderio.

IV. DALLA METAFISICA ALLA POETICA


1. ORIGINI DELLA METAFISICA
Andronico di Rodi ha accidentalmente chiamato così le opere di Aristotele
successive agli scritti di fisica. Metafisica dunque potrebbe significare che l’opera
tratta gli oggetti che sono posti oltre la fisica. Gli oggetti della fisica sono conoscibili
per noi, quella della metafisica sono conoscibili in sé. Aristotele non ha mai parlato
né di “metafisica” né di “ontologia”, ma piuttosto ha parlato di “filosofia prima” o di
“scienza prima”, intendendo quella scienza che si occupa dell’ente in quanto ente,
cioè delle caratteristiche che hanno in comune tuti gli enti.

2. INDIVIDUI
Aristotele ha formato il suo pensiero a confronto con Platone e con l’Accademia.
Abbiamo dunque a che fare con un’impostazione ontologica che trova nella sostanza
in quanto unione vivente di materia e forma il suo principio organizzatore, e
nell’ipotesi di idee come principi separati l’obiettivo polemico fondamentale. Nella
Metafisica Aristotele ribadisce che delle forme immutabili ed eterne non rendono
conto degli enti particolari e delle loro caratteristiche peculiari. Da qui emerge
l’ontologia aristotelica. Il molteplice è composto da individui ed è l’unica cosa che
esiste. Secondo Aristotele l’inganno sta nelle idee. Con questo capovolgimento del
platonismo Aristotele diviene il creatore dell’ontologia, cioè della dottrina
dell’essere in quanto essere.

3. SAPIENZA
Nei primi tre libri della Metafisica Aristotele tratta della sapienza in quanto
conoscenza delle cause prime. La conoscenza coincide con la conoscenza delle
cause.

Nel libro I (Alpha) Aristotele illustra gli elementi caratteristici della “filosofia prima”
rispetto ad altre forme di sapere:

- studia le cause e i principi primi;


- è conoscenza dell’intero;
- ha uno scopo teoretico.

L’universale e l’eterno si stabilizza nell’idea, sottraendosi al divenire che affligge il


mondo sensibile. Aristotele espone i cinque gradi del sapere:

- tre particolari: sensazione, memoria, esperienza;


- due universali: arte, scienza.

Aristotele stabilisce così un nesso tra sapere e potere: chi conosce le cause prime
conosce tutte le cose, chi conosce le cause prime sa comandare perché per
comandare bisogna conoscere il fine.

Nel libro II (Alpha èlatton) si affrontano le questioni di principio affrontate nel libro
precedente.

Nel libro III (Beta) Aristotele elenca quindici aporie (problemi) relative alla filosofia
prima e procede alla loro soluzione.

4. ESSERE
Aristotele ha distinto le scienze particolari, la cui sfera d’indagine è circoscritta ad
aspetti settoriali della realtà, dalla filosofia prima, che studia l’essere in quanto
essere. L’idea di fondo di Aristotele è che c’è qualcosa di eterno, di immobile e di
separato, che va studiato da una scienza teoretica. L’essere “si dice in molti sensi”,
ma questa multivocità è ordinata al significato fondamentale costituito dalla
“sostanza”.

Della scienza dell’essere è parte integrante lo studio dei principi dell’essere. La


scienza della sostanza è la scienza delle dimostrazioni ed è a livello di sostanza che si
afferma il principio supremo, quello di non contraddizione.

È cercando di definire l’essere che si scopre che non è univoco (cioè dotato di un
solo significato) né equivoco (cioè dotato di molti significati irrelati tra loro), ma
possiede molti significati che si rapportano al significato dell’essere come sostanza.

Affrontando la sostanza in generale, Aristotele prende in esame i principi logici


fondamentali che stanno alla base dell’essere e del pensiero.

Formulazione canonica del principio di non contraddizione: è impossibile essere nel


falso. È il principio più sicuro di tutti. È impossibile che la stessa cosa insieme inerisca
e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto.

Il principio supremo non può essere dimostrato da un principio anteriore, ma può


venire illustrato, argomentato e difeso con una “confutazione elenchica”.
5. MOLTEPLICITA’
La metafisica è la scienza che si occupa dell’ente in quanto ente. Potrebbe essere un
problema il fatto che l’essere si dice in molti modi diversi che sono tutti in relazione
a uno fondamentale: la sostanza.

L’essere si dice in molti sensi, ma tutti hanno relazione con un unico principio.
Alcuni esseri si dice che siano in quanto sostanze, altri in quanto proprietà
della sostanza, altri in quanto conducono alla sostanza, oppure ne sono la
distruzione, o la privazione, o una quantità, oppure producono o generano
sostanze, o hanno relazione con la sostanza, o sono la negazione di una di
queste cose o della sostanza stessa.

I significati per ente sono quattro:

1- Ente per accidente;


2- Ente per sé: una cosa che veramente è;
3- Ente come vero;
4- Ente in potenza o in atto.

6. TEOLOGIA
Per qualificare lo status della filosofia prima in rapporto alle altre scienze si torna
alla partizione delle scienze:

- teoretiche che conoscono in vista della conoscenza stessa;


- pratiche, in vista dell’azione;
- poietiche in vista del prodotto di un’attività.

Le scienze teoretiche si dividono in:

- fisica: sostanze sensibili, capace di movimento;


- matematica: caratteri che si ottengono per astrazione delle sostanze sensibili;
- teologia: sostanze che di per sé sono poste al di l’à della sfera fisica, cioè Dio e
le intelligenze motrici.

7. SOSTANZA
Nei libri Zeta ed Eta Aristotele si concentra sull’essere per sé. La sostanza è anteriore
alle categorie sia in ordine al tempo sia in ordine alla nozione. Le caratteristiche
fondamentali sono:

- Separabilità: sono in sé e non in altro;


- Determinatezza: l’essere “un questo”, non c’è entità senza identità.
La sostanza è un sinolo (intero unito insieme) di sostrato ed essenza, materia e
forma. È ciò che si genera e corrompe. La forma è una sostanza prima.

Nel libro VII (Zeta) chiedersi che cos’è l’essere equivale a chiedersi cos’è la sostanza.

Aristotele caratterizza la sostanza:

- È ciò che non inerisce ad altro;


- Può esistere separatamente da altro;
- È qualcosa di determinato;
- È qualcosa di unitario;
- È atto o implica essenzialmente l’atto.

La sostanza è solo sinolo, composto di materia e forma.

Nel libro VIII (Eta) Aristotele afferma che la potenza è costituita dalla materia e l’atto
dalla forma.

Nel libro IX (Theta) Aristotele afferma che la potenza ha due significati: uno legato al
movimento e l’altro legato alle potenzialità della materia. Anche atto possiede due
valori designando anche lui il movimento e la sostanza.

Il libro X (Iota) è dedicato all’esame dei diversi significati dell’uno.

Il libro XII (Lamda) tratta della sostanza soprasensibile e ribadisce che la metafisica si
occupa della sostanza soprasensibile, alimentando la duplicità fra ontologia e
teologia. La sostanza soprasensibile è il motore immobile di tutto l’universo ed è
definita come un “pensiero di pensiero”.

8. IDEE
Il libro XIV (Ni) consiste in una critica del pensiero di Platone. In Aristotele la critica
delle idee si manifesta in più luoghi e in forma particolarmente sprezzante: “non si
tratta che di suoni privi di significato”. Le idee sono un doppione inutile delle cose.
Le idee si rivelano completamente inutili ai fini di una spiegazione empirica del
modo in cui conosciamo il reale.

Per quano riguarda la critica delle idee nella Metafisica, gli argomenti aristotelici
sono due:

- Ragionamenti usati da Platone dimostrano l’esistenza di predicati universali,


non idee;
- C’è il cosiddetto “argomento del terzo uomo”: se molti uomini hanno in
comune l’idea di uomo, allora per spiegare che l’idea di uomo ha qualcosa in
comune con gli uomini sensibili si dovrà convocare un terzo uomo e così via
all’infinito.

La ricerca delle cause rivela che spesso queste cause sono realtà sensibili, e dunque
non hanno nulla a che fare con le idee. Può accadere che alcune di queste cause
siano realtà sovrasensibili.

L’assunto di fondo di Aristotele è che le idee non sono individui, e che solo gi
individui esistono veramente.

9. TRAGEDIE SENZA ROMANTICISMO


Per Aristotele l’imitazione è una delle funzioni fondamentali dell’essere umano. Non
c’è nulla di più utile, di più umano e di meno ingannevole dell’imitazione.
(imitazione come serie di attività).

Per guidare queste attività è necessario che ci siano dei racconti. Queste produzioni
non sono imitazioni delle idee e neppure semplici copie della realtà. La realtà ha la
caratteristica di essere particolare e contingente, dunque di poter fornire degli
insegnamenti molto modesti, forse nessuno.

Cosa caratterizza l’arte rispetto alla storia? La storia rappresenta il particolare e il


contingente, mentre l’arte rappresenta l’universale e il necessario.

Questa concezione molto teoretica dell’arte ha delle conseguenze:

- Messa in scena e accompagnamento musicale sono elementi di cui si può fare


a meno. La tragedia di Aristotele è l’antitesi del rito dionisiaco;
- L’eroe tragico non ha nulla di eroico inizialmente: è una persona normale a cui
accade di commettere un errore, tragico, che lo condurrà alla rovina;

quello che davvero conta nella tragedia non è il carattere dei personaggi, ma
l’intreccio. I caratteri sono creati in funzione dell’intreccio.

La tragedia quale la concepisce Aristotele è priva di romanticismo a differenza di


Edipo e Amleto.
V. COSTRUZIONE: IL PARADIGMA KANTIANO
1. DAL SOGGETTO ALL’OGGETTO
Per gli antichi il mondo è certo e conoscerlo significa dividerlo secondo le sue
articolazioni naturali. Ciò che è giusto è giusto perché è tale per chi fa la legge e
l’onnipotenza divina può mutare il passato.

Di che cosa possiamo essere veramente certi?

CARTESIO afferma che tutto quello che è intorno a noi potrebbe essere falso; l’unica
cosa sicura è che sto dubitando di tutto, dunque sto pensando, dunque c’è qualcosa
ed è una cosa pensante. Siamo certi di essere finiti, dunque dobbiamo avere un’idea
di infinito, in rapporto alla quale ci sentiamo finiti. Dio è inteso come funzione
matematica per cui esiste un X infinito tale che mi dia l’idea che io sono finito. Si
potrebbe obiettare che questa idea non corrisponde a una cosa esistente.
Argomento ontologico: idea di un essere dotato di tutte le perfezioni; deve
possedere anche la massima perfezione, cioè l’esistere.

L’impianto costruttivistico è poco strutturato e ha bisogno di un Dio che, essendo


esistente e dotato di tutte le perfezioni, è il garante della veracità delle mie
conoscenze. Si dispone dunque del cogito. Ecco il costruzionismo cartesiano: ritirarsi
nel cogito, che costituisce un fondamento, dal quale si può arrivare all’ipotesi di un
Dio esistente e verace, capace di farsi garante delle verità logiche. Applicando le
verità logiche all’esperienza si arriva a una conoscenza certa. Il movimento dal
soggetto all’oggetto.

2. RAZIONALISMO ED EMPIRISMO
Il razionalismo (Leibniz) si identificava con la “Filosofia delle scuole”. L’idea di fondo
è che noi conosciamo attraverso i concetti. Sapere cosa è un oggetto equivale a
poterne enumerare le caratteristiche che lo definiscono e lo differenziano dagli altri
oggetti. Il mondo reale rappresenta solo una possibilità che si è realizzata fra
tantissime altre, sicché una metafisica completa deve occuparsi di tutte le possibilità
che non si rivelino contraddittorie.

Per non far correre la metafisica così a briglia sciolta è di non confrontare i concetti
con altri concetti. L’idea di fondo degli empiristi (Hume) è che tutta la nostra
conoscenza sia tratta dai sensi e che dunque si possa fare a meno della metafisica.
La morale degli empiristi è che tutte le nostre conoscenze non vengono dai concetti,
ma dall’esperienza sensibile che si stratifica grazie all’abitudine e al ragionamento. E
i concetti sono solo un modo veloce e ingannevole per codificare l’esperienza. Il
problema è che senza metafisica si fa un po’ di strada, ma non tanta; se
consideriamo i risultati delle nostre esperienze, allora la filosofia, la scienza e la
morale sono destinate a svanire, giacché il mondo intero si sbriciola tra le nostre
mani. Per un empirista radicale, tutto è vano, e l’empirismo diviene l’anticamera
dello scetticismo: è futile domandarsi la natura delle cose, tanto prima o poi
potrebbero cambiare.

Lo scetticismo costituisce il punto più scabroso della prospettiva empiristica.

3. VITA E OPERE DI KANT

4. DALLA METAFISICA ALLA CRITICA


Kant nasce come razionalista.

VI. TRASCENDENTALISMO FORTE


VII. TRASCENDENTALISMO DEBOLE
VIII. FILOSOFIA NEGATIVA E FILOSOFIA POSITIVA
1. “OPUS POSTUMUM”
In quest’opera Kant si impegna nella transizione dalla speciale metafisica della
natura proposta nei primi principi alla fisica. Tre nuclei fondamentali:

1. Riflessioni su aspetti già affrontati nei primi principi e relativi alla teoria della
materia;
2. Ipotizza la presenza di un etere onnipresente che assicura la mediazione fra lo
spirito e la natura;
3. Il soggetto pone sé stesso nel porre varie forze nella materia, con una
prospettiva che è essenzialmente fichtiana.

Kant cerca di motivare il passaggio dall’epistemologia all’ontologia, dall’essere al


conoscere. In questo tentativo Kant deve trarre le conclusioni implicite nel suo
sistema e l’esito è un impianto di tipo fichtiano.

2. FICHTE: SOLIPSISMO E RIVOLUZIONE


In Dottrina della scienza si vuole mantenere un posto di riguardo per la filosofia
come super-scienza speculativa in un momento in cui le scienze positive stanno
facendo dei progressi enormi.

L’idea che la filosofia sia una mera teoria della scienza ha vinto il realismo perché è
ovvio che la scienza è naturalmente realistica, ma il costruttivismo solletica la nostra
vanità: siamo noi i costruttori e i trasformatori della nostra realtà.
Lo speculativo diventa la sfera in cui conoscenza ed esperienza divengono uguali. Il
controcanto è offerto dal pessimismo.

Per Fichte ciò che per l’Io è realtà è semplicemente qualcosa che l’Io pone di fronte
a sé come rappresentazione, quindi l’Io è il costruttore della stessa realtà che ha di
fronte a sé. La filosofia di Fichte conduce al solipsismo: esiste un solo ente in senso
proprio, ed è l’Io. Tutti gli altri io sono una proiezione dell’Io fondamentale.

La libertà significa costruire il mondo. Io sono libero nella misura in cui Io costruisco
il mio stesso mondo e l’esperienza fondamentale è quella della volontà.

3. HEGEL: IL PROPRIO TEMPO COMPRESO CON IL CONCETTO


L’opera principale di Hegel è Fenomenologia dello spirito, dove con
“fenomenologia” si intende la “scienza dell’esperienza della coscienza”. Quest’opera
è il racconto di come l’Io conosce sé stesso e la prima conoscenza della coscienza è il
dubbio circa il mondo esterno.

La certezza sensibile non ci permette di formulare delle asserzioni universali. Quello


che si chiede alla certezza sensibile sono semplici competenze e prestazioni
strumentali. Hegel è il pensatore dell’attualità e della storia.

La filosofia è il proprio tempo compreso con il concetto.

Hegel ha stabilito un nesso molto forte tra la storia e la verità. C’è qualcosa nella
storia che manifesta la verità, e riuscire a comprendere la storia non è
semplicemente fare la raccolta di fatti avvenuti, ma capire che cosa è il significato
del proprio tempo vuol dire capire qual è la direzione che prendono le nostre azioni
e i nostri pensieri.

Nell’opera I lineamenti di filosofia il centro della riflessione è il mondo umano. La


filosofia negativa è un epistemologismo, cioè una “fallacia trascendentale”: quello
che c’è esiste solo nella misura in cui è pensato e conosciuto da una epistemologia e
dipende da schemi concettuali. Le intuizioni senza concetto sono cieche, i fatti sono
carichi di teorie, non ci sono fatti, solo interpretazioni. La negatività consiste nel
negare il mondo in nome del pensiero, l’ontologia in nome dell’epistemologia.

4. SCHELLING E IL DATO DEL MITO


La certezza va cercata nell’epistemologia, in ciò che sappiamo e pensiamo e non
nell’ontologia, in quello che c’è. Con ciò si apre un abisso tra il pensiero e l’essere.
L’essere non è qualcosa di costruito dal pensiero, ma è qualcosa di dato, di offerto,
prima che il pensiero abbia inizio. Ciò che inizialmente si manifesta come pensiero
viene da fuori di noi.

Siamo immersi in questa positività del mito che non va considerato come una
semplice assenza di sapere, come una cosa facile che si supera con la critica del mito
del dato. Se così fosse i lumi si sarebbero imposti da migliaia di anni.

L’empirismo ha un campo di applicazione molto più importante e fondamentale, ed


è la storia. Noi sperimentiamo attraverso la storia lo spirito degli esseri umani.
L’esistenza dello spirito si manifesta solo nelle azioni che si manifestano nella storia.
Il pensiero è natura, cioè un inconscio che si rivela poco alla volta.

Verrà il momento della “presa di coscienza”. Ma sarà esercizio di distacco rispetto a


un’adesione precedente.

“La filosofia positiva non parte né da un essere presente, né dall’essente solo nel
pensiero. La filosofia positiva è un ontologismo. Esiste qualcosa indipendentemente
dalla conoscenza e dal pensiero.

Il mondo è una zona di negatività e di positività che genera una interazione tra
umani e mondo. La filosofia positiva consiste nel rivendicare una distinzione tra quid
sit (cosa un ente sia) e quod sit (cos’è).

Ciò che nel primo Schelling è pura resistenza diviene, nel secondo Schelling, una
positività che si rivela. Questa resistenza è il carattere proprio dell’esistenza.

La rivelazione è onnipresente. Nella teoria dell’espressione ci confrontiamo con


delle forme di iscrizione che prendono un valore a cui viene associato un significato.

La tesi di Schelling è che la natura è spirito inconscio e spiega perché il pensiero


aderisca al reale con una forza pre-teorica che non è vinta da nessuno scetticismo: il
pensiero è una parte del reale. E c’è un senso in cui, quando lo spirito indaga la
natura, sta scoprendo sé stesso perché lo spirito è un risultato della natura,
esattamente come le leggi della gravità. La mente emerge dal mondo e si confronta
con l’ambiente e con sé stessa. In questo confronto la mente elabora una
epistemologia, un sapere, che assume a proprio oggetto l’essere. Quando la mente
riesce a riconciliarsi con il mondo da cui proviene allora abbiamo la verità.
IX. MOTIVI DELLA DECOSTRUZIONE
1. NIETZSCHE, FREUD E MARX
“Ermeneutica del sospetto”: il filosofo esercita nei confronti del mondo
l’atteggiamento speculare all’uomo che gioca d’astuzia.

MARX interroga i propri oggetti come un giudice e quegli oggetti sono ciò che gli
uomini fanno le loro vivere associato. Egli scopre qualcosa che gli uomini erano soliti
nascondersi: perché gli operai sono sempre più poveri e i capitalisti sempre più
ricchi?

FREUD I mistici sapevano che l’inconscio era un fondo oscuro dell’anima non
direttamente accessibile alla coscienza. Egli fa un uso diverso dell’inconscio per
comprendere le strutture psichiche delle persone e la gestione dei loro rapporti
sociali. L’inconscio è il vero padrone delle nostre azioni.

Tre grandi ferite narcisistiche:

1- Elaborata da Copernico: l’uomo non è più al centro dell’universo perché la


Terra è semplicemente un pianeta che gira intorno al sole;
2- Elaborata da Darwin: l’uomo non è una creatura che viene direttamente da
Dio, ma è un animale che viene da una filiera biologica;
3- La conoscenza non è la sovrana assoluta che voleva la tradizione.

BERNAZZA afferma che è innata in noi la sete di dominio, è la legge della natura, e
allora tanto vale prenderne atto, altrimenti soccomberemo alla sete di dominio
altrui.

2. LA FILOSOFIA COME AZIONE


Quello che fa il decostruttore è porre una tesi, decostruirla, e decostruire anche la
decostruzione della tesi. La società è un sistema in cui l’ideologia tende ad occultare
le contraddizioni, e il compito del filosofo è di far vedere le contraddizioni.

La società si fonda sull’ideologia che fa passare per accettabili e buone delle cose
che sono inaccettabili, e la filosofia come pensiero critico deve decostruirla.

La filosofia diviene politica e azione, è decostruzione propedeutica a una


rivoluzione.

Ogni tesi che viene affermata viene anche successivamente decostruita e messa in
discussione.
3. FILOSOFIA E MESSIANISMO
Questa fiducia nell’aldilà è definita messianismo, ed è la promessa di qualcosa
che cambierà davvero la storia e la vita, viene trasferito all’interno della storia.
L’interprete del messianismo è il profeta, colui che annuncia ciò che verrà e che
non c’è ancora. (profezia= dire quello che avverrà: Marx-dittatura del
proletariato-società sena classi; Nietzsche-nuove tavole di valori; Freud-inconscio
irraggiungibile).

Il vero messia è quello che verrà dopo.

4. LA NUOVA MITOLOGIA
LUKACS è legato all’idea che sia una razionalità nella storia. La ragione diviene il
nemico da combattere in quanto forma di un mondo disincantato pieno di tecnica e
dunque sterile. La ragione dunque non è emancipazione, ma è asservimento.

Il Primo programma sistematico dell’idealismo tedesco mostra come all’interno


dell’idealismo ci siano già i germi della decostruzione.

Era necessario riuscire a creare una nuova mitologia della ragione, una che renda
sensibili ed estetiche le idee, che le renda cioè attraenti per il popolo e che dia
spazio al pensiero all’interno della nuova costruzione del mondo.

La nuova mitologia deve porsi al servizio delle idee e della ragione. La mitologia
deve divenire filosofica, così da rendere il popolo razionale e la filosofia deve
divenire mitologica così da rendere sensibili i filosofi.

Idea che sia necessario rendere sensibile il pensiero, che arte filosofia e politica
debbano allearsi in un unico progetto.

Nietzsche cerca di stringere alleanza con Wagner. La filosofia non si svolge dentro
alle aule universitarie, ma in pubblico, con tutti i media possibili e si unisce alla
religione, perché dentro alla musica di Wagner riemerge lo spirito della musica che
stava dentro alla tragedia greca, riemerge cioè il culto Dionisiaco.

LUKACS elabora una interpretazione disincantata della rivoluzione nietzschiana: gli


intellettuali sono molto sensibili alle sofferenze del genere umano e sono inclini a
lenire le sofferenze.

Essere nietzschiano è più semplice: puoi condurre la forma di vita che hai sempre
vissuto e in più proporre una rivoluzione più radicale di quella proposta da Marx.
5. LAVORO, VITA, LINGUAGGIO
FOUCAULT in Le parole e le cose sostiene che il Settecento è l’epoca in cui viene
ordinato e classificato il mondo secondo delle strutture razionali e tra Settecento e
Ottocento emergono delle “nuove positività” che sono il lavoro, la vita e il
linguaggio.

- Lavoro: Marx;
- Vita: considerevole crescita di un elemento di vitalismo; le specie viventi
hanno uno sviluppo, e gli esseri umani sono esseri viventi, il che significa che
l’umano non è solo razionale, perché la vita è il principio non razionale che
vuole esclusivamente sé stessa, e che è anche intimamente aggressiva;
- Linguaggio: come veicolo storico diventa fondamentale per la nascita di
scienze positive come la filologia. Ipotesi della grande famiglia delle lingue
indoeuropee; studio del linguaggio alla comprensione della realtà storica dei
popoli; importante per la filosofia dell’Ottocento; “svolta linguistica”.
X. DECOSTRUZIONE: IL PARADIGMA NIETZSCHIANO
XI. THINK DIFFERENT
XII. LIMITI DELLA DECOSTRUZIONE

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