Ghezzi
Nuovo Contatto C1
Corso di lingua e civiltà italiana per stranieri
LOESCHER EDITORE
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Ristampe
5 4 3 2 1 N
2017 2016 2015 2014 2013
ISBN 9788858303115
Soluzioni
01 Italia in controluce p. 10
02 Ritratti p. 15
03 Italiano in movimento p. 18
04 Economia e lavoro p. 24
06 Fratelli d’Italia p. 34
09 Italia mondo p. 49
10 Corpo e anima p. 53
Scelte metodologiche
L’impostazione didattica del corso si basa sull’approccio comunicativo, orientato all’azione che
privilegia lo sviluppo della competenza pragmatico-comunicativa e della componente socio-
culturale. Ogni unità ruota infatti attorno ad alcuni temi che intendono fotografare le diverse sfac-
cettature dell’Italia contemporanea attraverso i cambiamenti in atto nella società e nella cultura, in
modo da fornire una rappresentazione non stereotipata ma multiforme e dinamica della realtà ita-
liana; inoltre l’esplorazione della lingua e della cultura viene proposta in prevalenza attraverso task
comunicativi, cioè attività orientate sul processo di comunicazione e negoziazione di significati che
richiedono una messa in gioco creativa e strategica di risorse cognitive e affettive che coinvolgono
l’apprendente in un uso autentico e attivo della lingua.
I percorsi tematici sono strutturati in una serie di compiti che hanno l’obiettivo di sviluppare le ma-
croabilità linguistiche (ricezione, produzione e interazione orale e scritta) privilegiando per appren-
denti di livello medio-alto l’abilità interattiva e il canale scritto, competenze in cui, a questo sta-
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Indice
All’inizio del volume è presente un indice dettagliato che evidenzia la struttura multisillabica del cor-
so. Le quattro colonne dell’Indice sono infatti divise in:
• Percorsi e temi, in cui vengono presentati in modo sintetico i diversi argomenti trattati nei singoli
percorsi di cui si compone l’unità;
• Generi testuali e abilità, in cui sono elencati i testi che fungono da input linguistico del percorso in-
sieme alle principali abilità comunicative sviluppate; le icone segnalano se si tratta di testi scritti ,
audio o video ;
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Unità
Il manuale è suddiviso in 10 unità tematiche e multisillabiche caratterizzate da un titolo evocativo e
motivante (come per esempio Italiano in movimento, Cibo per la mente, Fratelli d’Italia, Voce alle
emozioni) che racchiude sotto un ampio cappello i temi declinati nei singoli percorsi dell’unità, a
loro volta indicati da numeri e titoli specifici (vedi oltre Struttura delle unità).
Appendice
Le ultime pagine a colori del volume, alla fine delle 10 unità, compongono la sezione Appendice, con i
testi e i materiali per svolgere alcune attività delle unità che rimandano a questa sezione.
Le pagine in bianco e nero del volume contengono la Sezione esercizi, la Sintesi grammaticale, il
Glossario dei riferimenti culturali, le Soluzioni della Sezione esercizi, l’Indice analitico degli elementi
grammaticali.
Sezione esercizi
In questa sezione, per ogni unità, sono disponibili esercizi di rinforzo o ampliamento del lessico, della
grammatica e delle competenze testuali focalizzati nei diversi percorsi. Sono inoltre presentati al-
cuni schemi che riprendono e riassumono in modo sistematico gli aspetti della concordanza verbale
all’indicativo e al congiuntivo, già affrontati nelle unità e centrali per questo livello di competenza.
Per questi esercizi, laddove necessario, viene indicato il rimando alla sezione della Sintesi grammati-
cale di riferimento.
Sintesi grammaticale
La Sintesi grammaticale è uno strumento di consultazione che riassume e integra in modo sistema-
tico i principali argomenti della grammatica dell’italiano, in particolare gli aspetti grammaticali trat-
tati in questo e nei volumi precedenti del corso Contatto.
Glossario dei riferimenti culturali
Il Glossario contiene brevi descrizioni/spiegazioni di alcuni aspetti culturali citati nei testi e può quin-
di costituire, sia per lo studente che per l’insegnante, un comodo e snello strumento di informa-
zione, data la grande varietà dei temi trattati nelle unità e la ricchezza di riferimenti socio-culturali a
cui si fa cenno nei testi proposti. Il rimando al Glossario è indicato, all’interno del testo in cui com-
pare il riferimento culturale, con un asterisco. Il Glossario è organizzato per unità e le voci sono pre-
sentate in ordine alfabetico.
Oltre alle tappe del percorso, agli studenti vengono forniti diversi supporti utili alla realizzazione del
compito (schemi procedurali, fraseologia, liste di espressioni utili, connettivi, strategie di apprendi-
mento ecc.).
p. 15 pp. 16-18
Percorso 2
L’Italia fotografata Percorso 3
La psicologia
dall’Istat degli italiani tra
2a Risposta aperta. stereotipi e scienza
2b Dall’elenco: l’insicurezza creata dalla crisi 3a 1 La divisione fra Nord, Centro e Sud non è sempre
economica; i dati sull’occupazione giovanile; chiara e condivisa. Geograficamente si considerano
l’invivibilità delle città italiane; la crescita del web, del Nord: la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Liguria, la
soprattutto in campo culturale; la diminuzione dei Lombardia, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, il
matrimoni religiosi. Trentino Alto Adige, l’Emilia Romagna; del Centro:
Vengono citati anche: la paura della recessione; il la Toscana, l’Umbria, le Marche, il Lazio e l’Abruzzo
traffico e lo smog; il desiderio di cultura; l’aumento (che storicamente si considera del Sud perché
dei lettori di giornali on-line; l’importanza di avere faceva parte del Regno delle due Sicilie); del Sud: il
Internet gratis in alcune zone; il cambiamento della Molise, la Campania, la Puglia, la Basilicata e la
famiglia. Calabria. La Sardegna è geograficamente al centro,
2c 1 anni Settanta: 500 mila; oggi meno di 250 mila. ma viene in genere considerata parte del
2 in passato oltre 90%; oggi 63%. Mezzogiorno come la Sicilia.
3 Per una generale laicizzazione del Paese ma anche 2 Risposta aperta.
perché ci sono molti secondi matrimoni (quindi 3b 1 d; 2 f; 3 a; 4 h; 5 e; 6 i; 7 g; 8 c; 9 b.
molti divorzi). I secondi matrimoni non possono 3c 1 I sardi sono chiusi e diffidenti perché hanno
essere religiosi perché la Chiesa non ammette il sempre dovuto difendersi dalle invasioni di diversi
divorzio (se non in casi molto particolari). popoli, quindi erano più attaccati alla terra (e al
4 civili, maggioranza, grandi città. porceddu, cioè il maiale) che al mare.
5 Non esiste più “la” famiglia, come nel modello 2 Perché nel 1400 hanno conosciuto un periodo di
tradizionale; oggi esistono famiglie ricostituite o grande povertà; per difendersi dai pirati dovevano
allargate (quando i genitori separati hanno nuovi nascondersi nell’entroterra e avevano solo poco
compagni con altri figli), famiglie di fatto (basate latte e farina.
cioè su convivenze e non su matrimoni). 3 Il difetto dei lombardi, e anche di altri abitanti del
2d 1 Secondo la sociologa la famiglia allargata fa Nord, è di avere sempre fretta ed essere scontenti,
ancora molto discutere e quindi molte persone chiusi.
hanno criticato questo spot perché presentava la 4 I pugliesi hanno alcune caratteristiche degli arabi
famiglia allargata come idilliaca. (come l’essere parsimoniosi e attaccati alla terra)
2 Nell’immagine del primo matrimonio perché per molto tempo sono stati un emirato arabo.
presentata nello spot gli sposi scendono dai 5 Ci sono voluti 7 anni; sono stati usati libri delle
gradini di una chiesa e la sposa è vestita con biblioteche (ma c’era pochissimo materiale) e
l’abito bianco tradizionale; il secondo matrimonio soprattutto il Dizionario dei dialetti italiani.
è invece civile e gli abiti sono eleganti ma non 3d riservatezza, testardaggine, permalosità, diffidenza,
tradizionali. tirchieria, simpatia, discrezione, efficienza,
3 Non è possibile che l’uomo si sia realmente laboriosità, scontentezza, allegria, cordialità,
sposato tre volte, vista l’età dei figli (il primo furbizia, sfrontatezza, scetticismo.
sembra avere 12/13 anni, la più piccola 4/5); in
3e Risposta aperta.
Italia infatti per ottenere il divorzio sono necessari
3 anni a partire dalla data della separazione 3f Risposta aperta.
ufficiale. Il fatto che vengano chiamate tutte
“mogli” è probabilmente collegato alla difficoltà
della società italiana di accettare le coppie di fatto
pp. 19-23
(e il termine “compagno/compagna” che di solito
si usa tra le persone non sposate). Percorso 4
La pubblicità
4a Risposta aperta.
4b Risposta aperta.
4c 1 c; 2 e; 3 a; 4 b; 5 d.
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01
Traccia 1
Intervistatrice: Allora, ci può riassumere i dati salienti dell’Annuario?
Giornalista: Certo. Si parla dell’Italia che si impoverisce e che è in recessione, ma soprattutto dell’I-
talia che ha paura di questi fenomeni, quindi la paura è un elemento prioritario rispetto alla realtà
oggettiva nella quale gli italiani si trovano; sono più spaventati dalla realtà che non dagli effetti
che questa realtà produce. Un altro elemento molto forte è quello della disoccupazione giovanile,
che tra tutti i disagi che gli italiani vivono è quello percepito come più forte. Un terzo è l’insoffe-
renza verso le grandi città, intese come spazi scarsamente vivibili: il traffico, lo smog, lo stress del-
la vita quotidiana. Questo fa soffrire molto gli italiani che vorrebbero una vita più serena. All’inter-
no di questo quadro ci sono alcuni fenomeni sia di tipo culturale sia di tipo antropologico che
possiamo approfondire…
Intervistatrice: Sì, molte delle domande che sono pervenute dai nostri ascoltatori, stanchi di sentire
parlare della crisi economica, sono relative alla cultura. Ai nostri ascoltatori ha colpito molto che tutto
quello che è legato al web continua a correre, mentre quello che è legato alla carta continua a scen-
dere. I numeri confermano questo fenomeno?
Giornalista: Sì, i numeri confermano questa tendenza. Cosa succede? Succede che gli italiani hanno
un grande desiderio di cultura e questo desiderio è sancito ormai da molte indagini di questi anni. Vo-
gliono la cultura, ma come? Sotto forma di elementi diciamo immateriali, cioè lo spettacolo, il mu-
seo, le grandi mostre-evento e soprattutto il web, il web è il grande fattore di novità. Un numero dice
tutto: nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni l’89% degli italiani si collega ogni giorno al web e comun-
que più di metà degli italiani è connesso ogni giorno con la rete. Per l’informazione, ad esempio, l’e-
ditoria on-line sta decollando di più… certo, se guardiamo i numeri assoluti non si tratta ancora di
numeri enormi, di percentuali gigantesche come nei giornali generalisti, però sono soprattutto i gio-
vani a leggere i giornali on-line, quindi in prospettiva il giornale on-line sarà il vero mezzo di informa-
zione generalista, accessibile a tutti. È vero, però, che bisognerebbe incentivare la diffusione del digi-
tale, fare investimenti seri sulla banda larga, ci sono ancora delle zone del Paese che non sono
raggiunte. E poi una cosa molto importante sarebbe Internet gratis in alcune zone della città. Per
esempio la provincia di Roma ha fatto alcune sperimentazioni nei parchi cittadini, dove Internet è
gratis… ecco, negli aeroporti ancora non lo è.
Intervistatrice: Mi piacerebbe trattare ancora qualche altro aspetto, riguardo a questo Annuario Istat:
penso ad esempio a quello che riguarda la famiglia, i matrimoni.
Giornalista: Allora, l’Annuario fotografa e ribadisce un trend ormai consolidato. Esaminiamo un
dato orientativo: negli anni Settanta c’erano circa 500 mila matrimoni l’anno, adesso siamo scesi
sotto la metà di questa cifra, quindi gli italiani si sposano molto meno. E poi una volta oltre il 90%
dei matrimoni era un matrimonio religioso, ora siamo arrivati al 63%, sintomo che ci dice due co-
se: da una parte una generale laicizzazione del Paese, dall’altra il fatto che ci sono molti secondi
matrimoni, e i secondi matrimoni possono essere solo civili. Se però questo dato generale lo an-
diamo a declinare sul territorio, ci rendiamo conto che il 63% dei matrimoni religiosi è una media
soltanto nazionale, ma nelle grandi città i matrimoni civili sono ormai diventati la maggioranza. È
il caso per esempio di Milano, il caso di Roma, è molto diffuso questo fenomeno nel Triveneto. E
quindi la configurazione della famiglia sta cambiando tanto, non esiste più la famiglia tradiziona-
le – una coppia che si sposa e fa dei figli –, esistono delle famiglie ricostituite, esistono le famiglie
allargate, le famiglie di fatto, esistono delle convivenze che vanno avanti in maniera stabile senza
evolvere mai in un matrimonio.
Ecco… quindi questo è il fenomeno che abbiamo sotto gli occhi, ed è un dato molto importante per
la politica, ogni volta che si deve affrontare il tema di che cosa fare per la famiglia, perché ci si deve
rendere conto che non esiste più “la” famiglia, ma ci sono diversi modelli di famiglia ormai consolida-
ti nella nostra società.
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Matrimoni
Sociologa: La famiglia allargata è stata raccontata molto bene, in maniera esemplare da uno spot televi-
sivo di una marca automobilistica che presentava un signore che usciva dalla macchina, dietro vari
bambini, e che raccontava della composizione della sua famiglia. Lo spot naturalmente presentava l’i-
dea, la famiglia allargata come famiglia felice, idilliaca… Naturalmente ha anche sollevato moltissime
questioni, un dibattito, insomma, ha avuto anche moltissime critiche perché culturalmente la famiglia
allargata, che è semplicemente la somma di due o più famiglie tradizionali, in realtà ancora nell’accet-
tazione sociale non è così penetrata.
Spot: Lui è Daniele, mio figlio, è nato dal matrimonio con Elena, la mia prima moglie. Adesso lo porto
in piscina. Poi vado a prendere Marco e Luca, i figli della mia nuova moglie. Li prendo e corro dalla
mia terza figlia, la piccola Sofia, la figlia della mia attuale moglie. Poi vado a riprendere Daniele. Infine
torniamo tutti a casa, prima di riaccompagnare… Arturo, il figlio del vicino.
Traccia 3
Giornalista: Ecco, la Sardegna è stata associata al centro…
Professore: Sì, anche perché la Sardegna, appunto, proprio le caratteristiche psicologiche sono pecu-
liari, nel senso che pur essendo un popolo che lascerebbe pensare ad origini marinare, ma non lo è
affatto, perché ha dovuto difendersi appunto dalle invasioni dei popoli che arrivavano dal Nord Afri-
ca, quindi la Mauritania, dall’Italia, dalla Francia e dalla Spagna, quindi è un popolo che ha pensato
sempre a u purceddu, ha pensato sempre alla terra, giammai a tutte le coste, non è un popolo mari-
naro, ecco… La Sardegna d’accordo che ha avuto sempre timore della invasività altrui, però culto del-
le tradizioni, la riservatezza, però a volte anche la testardaggine, la permalosità, la diffidenza, ecco, se
noi per esempio prendiamo appunto proprio un fatto storico della Liguria, si è sempre detto, ma co-
me mai i liguri sono proverbialmente tirchi?
Giornalista: Sì, così arroccati, ma forse anche la posizione geografica che richiede questo tipo di atteg-
giamento…
Professore: No, no, le dico subito, prima avevano fiorenti traffici con Costantinopoli, fino al 1400, do-
podiché, poi dopo Venezia ha soppiantato tutto, son diventati i cugini poveri e quindi a questo punto
con i pirati che arrivavano dal mare all’improvviso… niente, dovevano riparare sulle colline di Recco,
quindi ecco la focaccia di Recco, molto fina, perché una famiglia riparava sulle colline dell’interno,
appunto, proprio con una capretta e un sacco di farina, per cui a questo punto il latte e la farina do-
vevano bastare, appunto, per un intero mese, per una famiglia intera di padre, madre e figli, natural-
mente.
Giornalista: Ecco professore, allora, così, se dobbiamo dividere dividiamo, purtroppo lo facciamo allo-
ra anche con pregi e difetti. Ci sono degli stereotipi tipici del Nord, del Centro e del Sud dei quali pro-
prio non riusciamo, così, a fare a meno?
Professore: Sì, dunque, dobbiamo tener presente che il Trentino Alto Adige è determinato dall’essere
considerato i tedeschi d’Italia, quindi con una comunicazione per nulla… voglio dire, con apparente
empatia comunicazionale, solo apparente, naturalmente; ognuno ha il suo modo di comunicare sin-
tonia e simpatia – però, i tedeschi d’Italia, ecco. Il Piemonte è caratterizzato da un carattere sabaudo,
quindi il senso del dovere, della discrezione, l’efficienza ecc. La Lombardia è caratterizzata dal “volere
è potere”, quindi la laboriosità, l’autostima; stiamo parlando sempre del Nord e quindi di tutte queste
caratteristiche che contraddistinguono il Nord.
Giornalista: Caratteristiche che apparentemente sembrano tutte caratteristiche, chiamiamole così,
positive, belle, ma ci saranno anche vizi, dei difetti del Nord, ce ne sono tanti, immagino…
Professore: Eh beh, sì, voglio dire, per esempio la scontentezza, il mugugnio…
Giornalista: Siamo sempre arrabbiati, questo è il senso…
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Pubblicità 1
Spot 1
Cameriere: Buonasera signora… Dottore… Vorrei permettermi di suggerire consommé d’Orléans, po-
tage souassonaise o crêpe burie. Bouches-à-la-Gauloise, dartoi-à-la-reine, marmite lyonnaise, soupe
Colbert, gelée de bouillon, bouillon royal, crêpe Valesca-à-la-sauce-suprême.
Donna: Rigatoni.
Cameriere: Ah… E noi come un’eco rispondiamo: Barilla…
Camerieri: Barilla…
Tutti: Barilla, Barilla…
Slogan: Barilla vi fa sentire sempre al dente.
Spot 2
Le penne Barilla raccontano ogni giorno, con la tua fantasia, una lunga storia di sapori.
Dove c’è Barilla c’è casa.
Spot 3
Dove c’è Barilla c’è casa.
Spot 4
È la nostra linea di partenza: è la famiglia. A volte ti protegge, altre ti incoraggia. A volte non vedi l’ora
di averne una, altre… nessuna. Pensi che da soli si arrivi più lontano, ma quando sei seduto lì in mezzo
ti accorgi che per sentirsi davvero liberi bisogna avere radici.
Lasagne emiliane Barilla, la gioia di stare insieme.
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Traccia 5
Aids: se lo conosci lo eviti. Se lo conosci non ti uccide.
Dai una mano anche tu. Per essere utile agli altri non serve volare, basta volere.
Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere.
Intervistatrice: Le avrete sicuramente riconosciute. Sono solo alcune delle più famose campagne di
Pubblicità Progresso. Immagini e slogan che da quarant’anni accompagnano i cittadini italiani. Vero e
proprio specchio dei cambiamenti della società attraverso le sue paure, le sue aspirazioni, i suoi ideali.
Nata nel 1971 come associazione no profit, poi diventata fondazione con lo scopo di promuovere
una corretta comunicazione sociale e stimolare la coscienza civile ad agire per il bene comune, Pub-
blicità Progresso si avvale di creativi, registi, designer e agenzie che prestano il loro lavoro gratuita-
mente. Ha promosso, fra le altre, campagne contro il razzismo, il rumore, il fumo, l’inquinamento,
per la donazione di sangue, la tutela dei disabili, la sicurezza sul lavoro. Campagne che in molti casi
hanno fatto epoca, ci dice il presidente Alberto Contri.
Contri: Ci sono campagne che sono storiche come quella del sangue, ma subito dopo quella del verde
del ’72, fu la prima, tutto sommato, critica indiretta al consumo eccessivo e alla distruzione dell’am-
biente. Poi ci fu quella famosissima Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere, che potremmo tra-
smettere anche oggi. Ma ce n’è una che vedendola fa venire i brividi perché nel ’77 si vede l’alluvione
del Po e si dice: se andiamo avanti così, prima o poi tutta l’Italia sarà alluvionata. Potevamo girarla l’al-
tro ieri vedendo le scene di Genova, piuttosto che del Sud Italia. E poi quelle che abbiamo fatto cam-
biando anche un po’ non soltanto l’idea di occuparci quindi dei minorati e di chi è in difficoltà ecc.,
ma anche di progetti positivi. Abbiam fatto una splendida campagna a favore dell’alfabetizzazione
informatica che è stata poi imitata dall’Ibm in tutto il mondo. Insomma, ne abbiam fatte di tutti i co-
lori e adesso ci stiamo apprestando a fare forse la più difficile campagna della nostra storia: a qua-
rant’anni dalla campagna sulla ricerca di sangue, faremo una campagna sulla donazione degli orga-
ni, che è la cosa più difficile che c’è, e ci stiamo cimentando con una super band di creativi che
abbiamo messo assieme. Super gruppo per realizzare questa campagna.
Intervistatrice: Ci può anticipare qualcosa su questa prossima campagna?
Contri: Sarà una campagna che certamente farà leva sull’emotività, perché è inutile far ragionare su
questo tema, perché se uno deve pensare per un attimo alla propria morte, al 90% c’è un meccani-
smo di ripulsa, comunque c’è un feedback negativo. Può sembrare una cosa assurda, ma in termini
tecnici noi dobbiamo far diventare di moda diventare donatori e per fare questo oltre che a far leva
sulle emozioni, useremo ovviamente moltissimo i social network. Stiamo studiando tutta una serie di
attività sui social network, su Facebook. Stiamo cercando di convincere la direzione europea di Face-
book a mettere fra i parametri degli amici essere o meno donatori, il che avrebbe una potenza emula-
tiva gigantesca. Quindi sarà una campagna cross mediale, come si dice, come giustamente insegna-
no ai tempi della comunicazione di oggi.
Intervistatrice: Qual è il segreto di una campagna di comunicazione sociale di successo? Quale leva bi-
sogna toccare per raggiungere la sensibilità?
Contri: Beh qui… il discorso è lungo. Però dovremmo dire che innanzitutto dobbiamo abbattere gli
stereotipi. Non è vero, e lo diciamo con molta serenità ma anche molta assertività, che bisogna dare
un pugno nello stomaco per farsi ricordare. A volte, se noi guardiamo proprio nella nostra mediateca,
è vero che ci sono Paesi che ancora sono molto cruenti quando fanno vedere per esempio una cam-
pagna per gli incidenti stradali, per la prevenzione degli incidenti stradali, ma noi abbiamo stuoli di
psicologi che ci dicono guarda che quando fai vedere le lamiere contorte o magari il sangue che goc-
ciola sull’asfalto, il meccanismo che avviene immediatamente è un meccanismo di rimozione. Uno
vede queste immagini così forti e dice ma io guido benissimo, cioè quello a me non succede. Mentre
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Gioco d’azzardo
Giornalista: Ed è sempre più diffuso il gioco d’azzardo in Italia, un enorme giro d’affari e i medici consi-
gliano cautela: potrebbe diventare una vera e propria malattia. Manuela Lucchini.
Pupo: L’invito a non giocare è ipocrita. Direi di giocare con moderazione e senza l’illusione che il gioco
possa risolvere i vostri problemi, perché non sarà mai così.
Lucchini: Gioco d’azzardo: Pupo ha rovinato ben dieci anni della sua vita. Oggi giocare è facile: scom-
messe, casinò, slot machine, lotterie e perfino poker da giocare in casa con Internet. Un dato? Dal 1
gennaio 2008 al 30 agosto dello stesso anno sono stati movimentati 34 miliardi di euro, 709 euro per
ogni cittadino italiano. Sì giocare, ma come dice la campagna per la sensibilizzazione sul gioco re-
sponsabile voluta dai monopoli di Stato e presentata da Snai, bisogna giocare per vincere. Il gioco
compulsivo può essere considerato una malattia?
Sorrentino: Sì. È una vera e propria malattia perché è un disturbo del controllo degli impulsi. Il giocato-
re d’azzardo patologico prova un desiderio irresistibile, un’attrazione straordinaria per giocare ed è
disposto a far tutto pur di provare lo sballo.
Mine vaganti
Nonna: L’hai toccata tu la pasta quando esce dalle macchine?
Tommaso: No.
Nonna: È calda, morbida. Nicola ogni tanto la toccava e si metteva a ridere da solo. La conosceva bene
lui quella pasta. L’avevamo cresciuta io e lui.
Tommaso: Domani vado in fabbrica e la tocco pure io la pasta.
Nonna: No, no, non la toccare. Tommaso, se uno fa sempre quello che gli chiedono gli altri non vale la
pena di vivere.
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02
Traccia 6
Protagonista della tela è la moglie del mercante d’arte Léopold Zborowski, amico e sostenitore dell’autore.
Hanka, il cui nome italianizzato compare in alto a destra, si staglia su uno sfondo appena accennato, essen-
ziale, tipico dei ritratti di Modigliani, nei quali l’attenzione si concentra sulla figura umana, secondo il perso-
nale “umanesimo” dell’artista. Tutta l’arte di Modigliani, in effetti, è una riflessione sull’uomo, anche se
spesso quell’uomo è una donna. Non conta ciò che la figura ha intorno: di solito una porta o una parete, al
massimo una sedia o un tavolino che non vogliono descrivere un ambiente, ma hanno solo un valore cro-
matico e spaziale. Non conta nemmeno quello che sta facendo: di solito non compie nessun gesto, non è
occupata in nessuna azione. Esiste, e questa è la cosa più importante. L’effigiata indossa un abito scuro
dall’importante colletto bianco con bottone a cabochon. Questa parte del vestito, che avvolge e incornicia
il collo, ne accentua qui la lunghezza, aprendosi da un lato come una sorta di coda di pavone stilizzata. Sul
collo poggia il volto ovale dal forte valore scultoreo, simile a certe maschere africane, esaltato da un caldo
color terracotta. L’occhio privo di sclera, iride e pupilla, caratteristico di Modigliani, guarda verso l’interno e
vuole esprimere l’anima dell’effigiata, come teorizzavano i simbolisti, con i quali egli era entrato in contatto
a Parigi: scopo dell’artista era non tanto fornire un ritratto vero e proprio, in senso accademico, quanto una
rappresentazione dell’individuo in cui fisionomia e interiorità fossero fuse insieme.
Traccia 7
Però! Zanardi da Castel Maggiore, un titolo strano ma indovinato, perché se leggi la storia di Zanardi ti
viene davvero da dire: «Però, quel Zanardi da Castel Maggiore!». Dal libro al dvd cambia il titolo, A
Modo Mio, ma non il risultato, perché dopo aver visto il film dici: «Beh sì, Zanardi vive proprio a modo
suo». Mai banale, sempre concreto, il sorriso a volte malinconico del sognatore che sa già che la sua
soddisfazione piena arriverà con un’altra impresa e non con quella appena compiuta. La battuta sem-
pre pronta: noi appassionati lo conosciamo così. Forse la moglie Daniela potrebbe farne un ritratto di-
verso, ma non concede i segreti di una vita condivisa con un uomo che l’ha resa più forte, più innamo-
rata. Zanardi, mai banale, dicevamo, anche nel giorno che gli ha cambiato il corpo, non lo spirito. Era il
15 settembre del 2001. Il mondo era scosso dalle torri fumanti di New York, dagli attentati in America,
dalla guerra all’Afganistan, dichiarata proprio quel 15 settembre dal presidente Bush. Zanardi era in
Germania per una gara. Non dovevano correre, poi hanno deciso di farlo. «Il destino» si dice. Ed ecco
che un pilota di origini italiane, da un cognome che, con il senno di poi, ha un non so che di sinistro, Ta-
gliani, gli taglia il corpo in due aprendo un bivio nella sua vita. Il mondo dei motori, non diverso dagli al-
tri, già si emozionava e commuoveva per le storie che arrivavano dall’America. Quando si è saputo an-
che di Zanardi, il mondo dei motori, cinico e spietato, ha pianto. Zanardi, mai banale. Ancora oggi molti
scienziati si chiedono come un uomo sia riuscito a sopravvivere con meno di un litro di sangue in corpo.
Beh! Perché lui è Zanardi da Castel Maggiore! La ripartenza, la sofferenza, la voglia, o meglio, la consa-
pevolezza di essere normale anche senza le sue gambe. «Almeno non lavo i calzini!» dice. Poi, ecco il ri-
torno in auto, il ritorno alla vittoria. Adesso c’è l’esigenza di una sfida diversa. Dopo l’argento ai mon-
diali, ecco Londra 2012, per esserci, ma soprattutto per vincere! Perché nello spirito lui non è cambiato.
E poi, beh, ok spingere un hand bike, ma la sensazione che ti possono dare oltre 500 cavalli che ti spin-
gono da dietro… beh, siamo sicuri che Zanardi tornerà in auto. Ovviamente “a modo suo”.
Traccia 8
Zanardi
Giornalista: Zanardi, glielo chiedo papale papale, diretto, lei adesso che rapporto ha con il suo fisico,
dato l’incidente…
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Traccia 9
Vitali
Devo dire che io non sono ancora convinto di conoscere così bene non solo la gente, le persone, ma an-
che il luogo dove sono nato, dove sono cresciuto, dove tuttora vivo e dove vivrò fino alla fine dei miei
giorni. Ed è questa una cosa che mi dà l’esatta misura di come siano estremamente indefiniti i confini
del mondo… Io che non sono ancora riuscito a conoscere perfettamente quello che passerebbe per es-
sere un mondo piccolo, ma che per me è un mondo estremamente grande e ancora per molti versi mi-
sterioso. Trovo ragioni di verità in questa cosa quando continuo a scoprire continuamente storie da rac-
contare che hanno profonde radici in questo piccolo pezzo di terra. È questa una delle ragioni per le
quali, intanto, non vedo proprio motivo di evadere al di là di questi confini.
Provate a sedervi in panchina e a trovarvi vicino il vostro amico cadavere e ditemi se non vi viene voglia
di raccontarne la storia.
Ci sono due momenti ben precisi. Uno è quello che riguarda l’uscita del libro: a distanza generalmente
di 20-30 giorni dall’uscita di ogni nuovo libro si anima una specie di processione che ha come meta pro-
prio l’ambulatorio. Questi processionanti, ormai ben noti a me, hanno generalmente iniziato la lettura
del libro e vengono da me per farmi notare due generi di cose. La prima è che secondo loro hanno capi-
to di chi voglio raccontare la storia ed è una cosa che mi lascia sempre stupefatto perché io non faccio
biografie di nessuno, racconto delle cose verosimili ma assolutamente non vere. Il secondo genere di
osservazioni però è molto più produttivo dal punto di vista narrativo perché suona in genere così: guar-
da che però non è andata come hai scritto tu.
64
03
Traccia 10
Intervistatrice: Da che altre lingue attinge l’italiano, a chi è debitore?
Telmon: In questo momento o nel tempo?
Intervistatrice: In questo momento.
Telmon: In questo momento direi principalmente all’inglese, quasi esclusivamente all’inglese, però se
poi andiamo a guardare un pochino più attentamente e inforchiamo gli occhiali, magari, e la lente
d’ingrandimento e guardiamo a fenomeni particolari della lingua, allora vediamo che per esempio,
tanto per dire, ritornano in superficie i dialetti. Per esempio guardiamo il giovanilese e vediamo che
da un lato gli antichi gerghi che magari pescano addirittura nel Quattrocento o nel Trecento o anche
soltanto i dialetti dei nonni in qualche modo vengono reintrodotti attraverso lessemi particolari, uso
particolare di un certo lessema, con un certo significato specifico e così via. È un… credo che questo
sia sempre avvenuto. Oggigiorno si parla di linguaggio giovanile, in realtà è assurdo pensare che sia
un fenomeno di oggi; il linguaggio giovanile è sempre esistito: c’è un periodo della vita che va dall’a-
dolescenza, non so, ai venticinque anni, durante i quali, diciamo, il gruppo sociale dei giovani tende a
crearsi una sorta di suo proprio gergo, perché è un gergo, non è una lingua vera e propria, non ha le
regole grammaticali dei giovani, anche se usano termini come “taroccare” o altro, in realtà le regole
grammaticali continuano a essere quelle dell’italiano. Dunque è proprio un tipico gergo, una lingua
parassita, se vogliamo, che aggiunge parole sue ma si serve della struttura dell’italiano. Ebbene, dicia-
mo, questa tendenza, questa azione di crearsi un proprio gergo, quella classe che dicevo, dai quindici
ai venticinque anni, l’ha avuta sempre. Io mi ricordo quando ero studente, avevamo anche noi il no-
stro modo, non era necessariamente intenzionale o non c’era l’intenzione di non farsi capire, così co-
me non c’è l’intenzione di non farsi… la funzione è piuttosto quella di saldare un gruppo, riconoscer-
si come gruppo, principalmente.
Intervistatrice: Quindi, secondo lei, non stiamo andando verso un progressivo impoverimento della
lingua italiana?
Telmon: No, assolutamente, lo escludo, io non so… Lo studio della storia della lingua o delle storie del-
le lingue porta a capire che non esiste un arricchimento, un impoverimento, esiste, esistono delle ne-
cessità storiche che portano a focalizzare, magari, certi settori e a passare… oggigiorno sì, effettiva-
mente, non so, “sarchiare” non è certamente uno dei verbi che ritornano più spesso in bocca agli
italiani, perché appartiene a un’attività agricola, per di più a una attività agricola legata alla manualità
là dove invece anche l’agricoltura si è andata affidandosi alla meccanizzazione.
Però, sono largamente compensate queste tendenze all’oscuramento di settori del lessico a favore di
altri e così via…
Traccia 11
Intervistatrice: Andiamo sulla gestualità, e quindi le chiedo subito se è un luogo comune che gli italia-
ni gesticolino più degli altri oppure è proprio vero…
Telmon: Sì, lo è. Quello che ho potuto constatare facendo, così, studiando la questione della gestualità
e della gesticolazione è che non esistono popoli o comunità che non facciano uso della gestualità. La
differenza tra gli italiani da un lato e, diciamo, principalmente gli anglosassoni oppure gli europei del
Nord e così via, sta nella diversa considerazione, nella diversa valenza che viene attribuita al gesticola-
re. E qui si potrebbe effettivamente instaurare una sorta di parallelismo tra la gesticolazione, o la ge-
stualità, e il parlare, l’uso dei dialetti.
Dicevo prima che i dialetti sono stati investiti di un forte stigma sociale, di una caratterizzazione nega-
tiva perché identificati con situazioni di disagio maggiore dal punto di vista sociale. Una cosa analoga
si è verificata anche nei confronti della gestualità. Questo significa che popolazioni, popoli come
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Traccia 12
Vedi traccia 10 e traccia 11.
Scialla!
Bruno: A posto? Allora, io ieri sono stato a parlare con la professoressa Di Biagio.
Luca: Infame, che t’ha detto?
Bruno: E cosa mi doveva dire? Che è un disastro mi ha detto.
Luca: Non è vero. Quella esagera sempre, dai!
Bruno: Luca ascolta, io ho preso un impegno con tua madre. Le ho promesso che mi sarei occupato di
te, va bene? Allora, da oggi le regole cambiano. Ti sveglio io la mattina, colazione abbondante, ti ac-
compagno a scuola.
Luca: No!
Bruno: Sì! Quando torni a casa pranzi, fai un pisolino se vuoi e poi il pomeriggio studiamo insieme tre
ore.
Luca: Tre ore? Ma che sei impazzito? E io quando esco, scusa?
Bruno: Quando hai finito di studiare. Però alle 8 a casa, ceni e poi a dormire, se no non reggi il carico.
Luca: Ma che siamo in gabbia? Non se ne parla proprio.
Bruno: Lo sai cosa mi ha detto la Di Biagio? Che hanno già deciso di bocciarti. E lo sai perché? Perché
non sei all’altezza di quella scuola.
Luca: T’ha detto così?
Bruno: Così ha detto. Luca, noi abbiamo tre mesi di tempo per farle rimangiare queste parole. Non so-
no tantissimi, ma se ci riusciamo, pensa che soddisfazione, eh?
Luca: D’accordo, però tre ore no, due.
Bruno: Va bene. Affare fatto. Dai, dai…
Luca: Aspetta, un’altra cosa. Non mi puoi accompagnare fino a sotto scuola.
Bruno: Perché?
Luca: Ma perché la gente penserebbe che sei mio padre.
Bruno: E allora? Ti vergogneresti di me forse?
Luca: Forse non hai capito. È il fatto che tu m’accompagni sotto scuola, no? È da soggettoni… dai!
Traccia 13
Van De Sfroos
Dialetto Traduzione in italiano
Pulènta e galèna frègia Polenta e gallina fredda
e un fantasma in söe la veranda e un fantasma sulla veranda
barbèra cume petròli barbera come petrolio
e anca la löena me paar che sbanda… e anche la luna mi sembra che sbandi…
cadrèga che fa frecàss una sedia che fa rumore
e buca vèrta che diis nagòtt e una bocca aperta che non dice niente,
dumà la radio sgraffigna l’aria solo la radio che graffia l’aria
e i pensée fànn un gran casòtt… e i pensieri che fanno un gran casino…
66
Scùlta el veent che pìca la pòrta Ascolta il vento che picchia alla porta
in cràpa una nìgula e in bràsc una sporta ha in testa una nuvola e in braccio una borsa
el diis che g’ha deent un bel regàal dice che porta un bel regalo
me sa che l’è el sòlito tempuraal… credo sia il solito temporale…
Scùlta i spiriti e scùlta i fulètt Ascolta gli spiriti e ascolta i folletti
ranpèghen in söel müür e sòlten föe di cassètt si arrampicano sul muro e saltan fuori dai cassetti
g’hann söe i vestii de quand sèri penènn indossano i vestiti di quand’ero piccolo
i ne vànn e i ne vègnen cun’t el büceer del vènn… vanno e vengono con il bicchiere del vino…
Scùlta el veent che pìca la pòrta Ascolta il vento che picchia alla porta
in cràpa una nìgula e in bràsc una sporta ha in testa una nuvola e in braccio una borsa
el diis che g’ha deent un bel regàal dice che porta un bel regalo
me sa che l’è el sòlito tempuraal… credo sia il solito temporale…
Scùlta i spiriti e scùlta i fulètt Ascolta gli spiriti e ascolta i folletti
ranpèghen in söel müür e sòlten föe di cassètt si arrampicano sul muro e saltan fuori dai cassetti
g’hann söe i vestii de quand sèri penènn indossano i vestiti di quand’ero piccolo
i ne vànn e i ne vègnen cun’t el büceer del vènn... vanno e vengono con il bicchiere del vino…
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04
Traccia 14
Guida alpina
Renzo: Renzo Luzi, 53 anni, sono nato a Senigallia in provincia di Ancona, sono nato al mare. Strana-
mente, un uomo di mare che fa la guida alpina è un po’ strano, ma… lo so. Nella vita succede di tutto.
Intervistatore: E come mai da Senigallia sei venuto in Piemonte?
Renzo: Mah… mio papà, il classico emigrante nel ‘62, i miei erano contadini, non c’era tanto da man-
giare quindi mio papà con tutta la famiglia… siamo immigrati a Torino, in Val di Susa per la precisio-
ne, in un paesino vicino a Susa.
Intervistatore: Quando e come hai deciso di fare la guida alpina?
Renzo: Ci sono arrivato in maniera abbastanza traumatica. Diciamo che vabbè, sono venuto su con i
miei nel ’62 da un ambiente di mare, e poi fino all’età di 18-19 anni, così, adolescenza come tutti gli
altri ragazzi, moto, discoteca, ragazze, bar ecc. Non sapevo neanche dell’esistenza dell’alpinismo… E
poi finito il militare un ragazzo – un ragazzo insomma, non è più ragazzo perché ha la mia età – che
lui arrampicava, mi ha convinto ad andare ad arrampicare, una volta mi ha portato con lui ad arram-
picare. E poi così abbiamo riparlato assieme, dice: «Ah no, tu ti devi iscrivere, devi andare in monta-
gna». Mi ha iscritto, a mia insaputa, a un corso di alpinismo che organizzava un fortissimo alpinista
arrampicatore, Giancarlo Grassi, si chiamava, e mi ha iscritto a un suo corso di alpinismo. E poi di lì,
boh, piano piano la cosa ha incominciato a prendermi e poi ho incominciato a conoscere altri alpini-
sti, e poi così… Boh, lavoravo all’Enel, non era un lavoro monotono perché ero sempre in giro, però a
me ‘sta cosa mi stava stretta, sentire – io avevo 22 anni, così, 23 anni – sentivo i vecchi colleghi di la-
voro che parlavano della pensione, di quando andare in pensione e a me ‘sta cosa mi… (fa il segno di
strozzarsi). E allora ho detto basta, io devo fare la guida alpina! E di lì ho cominciato gli esami e poi,
così, nell’82 mi sono licenziato e ho incominciato questa, quest’avventura.
Intervistatore: Che tipo di formazione esattamente serve per fare la guida alpina?
Renzo: Intanto chi si avvicina e vuole incominciare gli esami per fare la guida alpina deve essere un alpi-
nista. E mediamente uno è un autodidatta, impari a andare in montagna o con degli amici, o con del-
le guide anche, o con i corsi del Cai, però poi sei tu che devi imparare, che devi andare, devi fare.
Quando poi sei un alpinista, allora decidi di trasformare questa passione in mestiere. E poi di lì comin-
cia la trafila, devi fare proprio dei corsi, esami, degli esami pratici in cui vai in montagna. I corsi dura-
no, diciamo da quando tu cominci a dare gli esami a quando tu finisci, passano circa quattro anni.
(in lontananza) Renzo: Com’è Andrea?
Andrea: Bene, bene.
Renzo: Ok.
Intervistatore: E una volta che è diventato un mestiere, come funziona la guida alpina come mestiere?
Renzo: Una volta che sei diventato guida alpina, che hai il patentino, e poi lì diventa dura, perché devi
farti conoscere. Perché devi piacere alla gente. Voglio dire, il rapporto che poi si crea con il cliente, sì è
un rapporto di lavoro, che lui ti paga e tu lo accompagni in montagna, però poi se non c’è una sim-
patia, un piacere nello stare assieme, cioè si crea però poi anche un rapporto d’amicizia, no? Quando
vai a fare certe salite difficili, vai con una persona sola… Io sono andato a fare delle salite molto diffi-
cili qui sulle Alpi e anche sono andato in Canada, in Norvegia, cascate di ghiaccio, e lì si deve instaura-
re un rapporto anche di simpatia, di amicizia, di fiducia reciproca tra queste due persone. Perché è ve-
ro che io vado da primo di cordata, arrampicando devo essere totalmente sicuro di quello che devo
fare, però se mi succede qualcosa il cliente deve saper fare qualcosa per chiamare i soccorsi, no? E se
cado mi deve anche tenere la corda e quindi ci deve essere un rapporto di conoscenza con i clienti
che si affidano a te.
(in lontananza) Renzo: Libera!
Intervistatore: Quali sono le caratteristiche che fanno di una guida alpina una buona guida alpina?
68
Traccia 15
Restauratore
Emilio: Mi chiamo Frati Emilio, da giovane sono stato a Carrara, centro nazionale della scuola sul mar-
mo e ho fatto l’Accademia a Carrara. Fatto l’Accademia, ho lavorato presso un’azienda artigiana di
Carrara dove si fa scultura e si fa mosaico e si fa tutto ciò che è il lavoro del marmo, quindi, mi sono
specializzato a Carrara; dopodiché ho vinto un concorso nazionale all’Opificio delle pietre dure di Fi-
renze, ho lavorato presso l’Opificio delle pietre dure di Firenze per parecchi anni, sono andato in pen-
sione, dopodiché, siccome io sto a Siena, son venuto sempre qui a restaurare il pavimento del duo-
mo, e ora io continuo, fino a che posso, a restaurare il pavimento del Duomo e tutto ciò che quello è
marmo. Dunque, la tecnica del marmo qui, bisogna conoscere molto bene la materia, oltre al dise-
gno, la tecnica e tutto quanto. Bisogna conoscere tutte le cave di marmo in cui è stato cavato il mar-
mo per il duomo di Siena.
Intervistatrice: Quali sono le doti di un bravo restauratore di marmo, a che cosa deve fare attenzione,
cosa deve essere capace di fare bene?
Emilio: Prima di tutto bisogna averci, oltre alla passione, averci, come si può dire, esse(re) nati per queste
cose qui, uno deve nascere. Io ho fatto un sacrificio di sei anni fra la scuola e una bottega artigiana a
Carrara perché mi piaceva fare questo. Se non avevo proprio questa tonalità, questa volontà di farlo,
non sarebbe possibile; proprio bisogna metterci il cuore, bisogna essere proprio votati a questa cosa lì,
senno’, perché quando uno s’è fatto… questo è un lavoro che quando si deve fare un lavoro preciso,
un lavoro di restauro, bisogna studiare la notte, invece di dormire, bisogna pensare a come farlo, la
notte prepararsi psicologicamente e il giorno poi mettere in opera quello, insomma, quello che c’è da
fare già preparato e molto migliore. Questa è una dote che ci vuole perché sennò come si fa?
Intervistatrice: Quante ore al giorno lavora?
Emilio: Io lavoro 12 ore al giorno, quasi, no, tutti i giorni no. Perché qui lavoro la mattina e faccio 5 ore,
pomeriggio lavoro a casa, c’ho, come le dicevo, una mia botteghina e mi metto lì e lavoro finché non
viene la mi’ moglie che mi chiude l’uscio e mi porta via. Sennò io non me ne accorgo nemmeno
quando è tardi.
Intervistatrice: Quanto ci vuole a fare, a rifare un pezzo di pavimento, un metro di pavimento come
quello che vediamo?
Emilio: Ora dipende, se rifarlo tutto nuovo mi ci vuole poco, ma per far quello vecchio, restaurar il vec-
chio, mi ci vuole tanto, io non so, un metro lineare di questo qui mi ci vuole quasi una settimana, ché
devo fare, vede, tutte queste virgole di marmo giallo, che è un materiale molto fragile che bisogna
sta(re) attenti a non romperlo, poi devo rifare la margherita, vede, il marmo rosso, rifarlo tutto come
questo qui, sicché poi devo incastonarlo, devo poi rispianarlo, devo lucidarlo e questo comporta un
po’ più tanto tempo.
Intervistatrice: Che cos’è la cosa più bella che ha restaurato, la cosa che le ha dato più soddisfazione?
Emilio: Mah… a me ne hanno date tante, tutte non saprei, non saprei quale dire. A Siena ci sono cento
chiese, comprese quelle di contrada, una più bella d’un’altra. Ho lavorato in tutte le chiese, ho lavora-
to in tutti i musei delle contrade, in tutti i posti c’è marmo, capirà, da tutte le parti c’è il marmo.
69
Circuito chiuso
Segretaria: Scusi per l’attesa. È un test attitudinale. Deve compilarlo.
Selezionatore: Hai superato brillantemente tutti i test. Vedo che hai famiglia, e questo dà stabilità. Hai
grande esperienza e alla voce “contratto” scrivi anche “a progetto”: questo significa che sei dispera-
to. La tua disperazione è la nostra forza.
Moglie: Carlo, reagisci.
Selezionatore: Tu accetterai qualsiasi condizione. Questo è il nostro benefit aziendale, lo potrai utiliz-
zare il giorno in cui non avremo più bisogno di te.
Traccia 17
Intervistatore: Oggi i nostri giovani espatriati in Germania hanno fior di qualifiche, lauree ed espe-
rienze internazionali alle spalle. E in Italia? Per avere un lavoro al mio livello e relativa esperienza
devi essere un uomo e non una donna, avere un’esperienza di almeno 30 anni ed essere amico di
qualcuno. Questa, Monica, la tua sferzante denuncia alla nostra trasmissione. Siamo proprio
un’anomalia, noi?
Monica: Purtroppo devo rispondere di sì. Ho lavorato in America, in Germania, a contatto con le altre
diverse culture occidentali e devo dire che sì, purtroppo l’Italia è un’anomalia, e nel contesto interna-
zionale ci distinguiamo, e in questo non proprio in modo positivo.
Intervistatore: Iniziamo come sempre dalla tua storia di studi… ti iscrivi a Economia aziendale: che co-
sa ti porta verso l’economia?
Monica: Beh, io avevo fatto il liceo linguistico e vedevo Economia come una facoltà che mi avrebbe
aperto diverse opportunità diciamo… a livello aziendale.
Intervistatore: E che bilancio dai dell’esperienza universitaria nel complesso?
Monica: A questo do un bel 9, meritato. Devo proprio dire che l’esperienza universitaria per me è stata
ottima, e poi ho avuto dei professori… veramente che mi hanno stimolato, saputo ispirarmi.
Intervistatore: E a questo punto, anzi a un certo punto, quando ti manca solo la laurea, devi scegliere
lo stage in azienda per svolgere la tesi. E allora raccontiamo subito la carica che ti trasmettono nei col-
loqui due aziende italiane.
Monica: Certo Silvio, proprio la carica. Allora, avevo 22 anni, quindi andai mi ricordo tutta carica, tutta
grintosa, e piena di motivazione a fare un colloquio con un’azienda italiana piuttosto importante do-
ve mi dissero, testuali parole: «Non volare troppo alto perché qui in stage si fanno solo delle fotoco-
pie». E io dico… ok, le fotocopie, non ho niente in contrario con le fotocopie, ma perché spegnermi
l’entusiasmo e la carica in quella maniera?
Intervistatore: Infatti, perché c’è questa tendenza, Monica, a spegnere l’entusiasmo?
Monica: Ah, purtroppo, questo ancora non lo capisco, lo trovo molto controproducente per le aziende
e non riesco a capirli, a capire le motivazioni, assolutamente…
Intervistatore: In America non è così e ci arriviamo, perché arriva il salvagente dall’America. Ha il volto
di tuo fratello, da poco trasferitosi a Boston, che ti crea un contatto con una multinazionale statuni-
tense. E allora raccontiamolo questo colloquio negli Stati Uniti.
Monica: Il colloquio è stato telefonico, ovviamente. Mi dissero: «Sarai basata nel dipartimento marke-
ting ma ti faremo fare un’esperienza in tutte le aree aziendali, dalla produzione agli acquisti alla fi-
nanza, per darti un’idea completa: è meglio comprendere quelle che sono le tue attitudini e poten-
zialità per un futuro sviluppo in azienda…». Quindi, direi, leggermente diverso rispetto al colloquio in
Italia.
Intervistatore: E arriviamo al giorno del tuo espatrio, 1999. Ovviamente hai già voltato le spalle al Bel-
paese e alle sue molto peculiari politiche retributive. Sei mesi di stage per concludere la tesi. Cosa vai
a fare oltreoceano, ma soprattutto, com’è l’impatto con Boston?
70
Traccia 18
Vedi traccia 17.
Traccia 19
Giornalista: Più giovani alla laurea, più assidui alle lezioni, maggiormente in corso rispetto al passato.
Non solo: si è estesa l’esperienza di stage svolti durante gli studi, così come le opportunità di studio
all’estero nelle lauree specialistiche. Ecco l’identikit dei laureati 2011 raccontati dall’ultima indagine
AlmaLaurea. È il professor Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, a presentare l’indagine.
Cammelli: C’è un miglioramento delle performance dei laureati di ogni livello, almeno nell’esame che
noi abbiamo realizzato dal 2001, 2004 in avanti. E da un lato, dall’altro, vediamo che l’analisi com-
piuta come solitamente si fa, attraverso l’utilizzazione di valori dico riassuntivi – quelli che chiamiamo
“valori medi”, sostanzialmente – dice pochissimo. Il problema è che le differenze non sono tanto le-
gate ad ateneo e ateneo, quanto avvengono perfino all’interno del medesimo corso di laurea. Vedia-
mo differenziali, cioè distanze tra l’uno e l’altro caso così rilevanti che ci fanno riflettere, pongono un
problema di carattere generale, che è: come migliorare la valutazione degli esami e delle prove dei ra-
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Colloquio
Selezionatore: Dunque, allora, questo è il contratto base di una polizza totale che prevede ogni tipo di
infortunio.
Artemio: Sì.
Selezionatore: Questa è la penna. Lei deve venire a casa mia e convincermi a firmare. Prego.
Artemio: A che ora ci vediamo?
Selezionatore: Dove?
Artemio: Eh, a casa sua. Non mi ha invitato a casa sua?
Selezionatore: Ma era un esempio!
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05
Traccia 20
Dicono che leggere i libri fanno bene, ma non tutti la pensano come loro. Io, per esempio. Perché leggere è
tempo buttato via. Ieri con quel tempo ho andato al zoo a vedere le mandrie. In Italia sono milioni la gente
come io che non leggono mai un libro. E poi penso che se uno sarebbe un vero uomo non leggeva. Io non
leggo da sempre e ho sempre stato benissimo così... E allora, amici, leggete meno libri che puoi!
La dobbiamo rifarla?
Era buona!
Traccia 21
Merini
Giornalista: Chi è il poeta nella società di oggi?
Merini: Ah, il poeta, secondo me – io alle volte lo spiego ai miei ragazzi, ai miei amici – è un unicorno. È
una persona speciale, un diverso, una persona che va in paradisi artificiali e no, che ha un suo paradi-
so interiore e che lo vorrebbe far vedere agli altri ma non può, perché è un paradiso ristretto e anche
universale. È duro da spiegare ma il paradiso del poeta, secondo me, è la solitudine: una grande, inte-
riore, mistica solitudine, in cui lavora e perdona, spesso, perché il perdono è una cosa necessaria alla
vita, è una cosa che aiuta a vivere.
Traccia 22
L’uccello di fuoco
della mia mente malata,
questo passero grigio
che abita nel profondo
e col suo pigolio
sempre mi fa tremare
perché pare indifeso,
bisognoso d’amore,
qualche volta ha una voce
così tenera e nuova
che sotto il suo trionfo
detto la poesia.
Traccia 23
Paolo: Sai Elena, ho deciso di dare una svolta ai nostri incontri solo “culinari” e questa sera ti voglio rac-
contare quando sono andato al Museo di arte moderna di Alzano.
Elena: Ah, bello!
Paolo: Un’esperienza nuova. Mi ha trascinato Marina perché io, sai, non sarei mai andato, ed è stata
una cosa… mh, abbastanza scioccante.
Elena: In che senso scioccante?
Paolo: Scioccante perché l’approccio a questo tipo di installazioni mi ha creato davvero dei problemi,
cioè, sinceramente…
Elena: Addirittura dei problemi?
74
Traccia 24
Vedi traccia 23.
Itis Galileo
«Ma ho detto: ma non è possibile! Son nati lo stesso anno, le stesse passioni. A voi che anche a Shake-
speare piacesse Copernico non credo proprio… e Galileo? E Galileo cosa? Scusa come vuoi che sapesse
uno famoso a Londra di uno precario a Padova? Ma dai…»
Itis Galileo sta per Istituto tecnico industriale. Come dire che io a raccontare la prendo un po’ bassa, non
dal liceo… un po’ sotto. È un modo… mah, è un modo per provare a tenere insieme un personaggio,
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Traccia 25
Conduttore: Itis Galileo è uno spettacolo scritto da Marco Paolini e recitato da Marco Paolini e da Fran-
cesco Niccolini*, è in scena nei teatri italiani in questa stagione, in cui si racconta – in questo spetta-
colo – la vicenda scientifica e umana di Galileo Galilei: uomo, scienziato, un po’ tecnico, grande,
grandissimo divulgatore. Ripercorriamo alcuni momenti dello spettacolo insieme a Paolini in questo
servizio curato da Ilaria Canoppio.
Paolini: «Guato il cielo con un instrumento da me creato. Trum trum trum frum frum frum scium pum!
Un canùn, un cannone occhiale!»
Canoppio: Nel 1609 Galileo Galilei realizza su un modello olandese il cannone occhiale e lo vende al doge
di Venezia come strumento di difesa. Esso permette infatti di avvistare le navi nemiche molto prima che
arrivino al porto. Ma Galileo, contemporaneamente, ha un’intuizione: alza il cannocchiale al cielo e per
tutto l’inverno osserva le stelle. Osserva e misura. E poi, ancora più importante, si mette a scrivere.
Paolini: «Galileo si ferma il 15 gennaio, smette di guardare, si mette a scrivere e dice “No! Scrivo!”. Il
risultato: un libretto. Trenta pagine, trenta paginette, però il 15 di marzo è già in edicola. Si chiama
Annuncio celeste, anzi, lo faccio in latino, così lo vendo all’estero subito: Nuncius sidereus!»
Canoppio: È una rivoluzione. Galileo non solo mette in discussione la dottrina aristotelica e il sistema
tolemaico in cui la terra è immobile e il sole le ruota attorno, ma anche e soprattutto comunica al
mondo le sue scoperte e permette a tutti di verificarle con i propri occhi.
Paolini: «Grandi cose, e dico grandi, io metto sotto la vostra attenzione. Grandi non solo per la novità
nei secoli, ma per la perfezione dello strumento da me impiegato! Gran cosa, eh, vedere le stelle in
numero dieci volte maggiore di quanto finora visibile col solo occhio umano. Gran cosa vedere il cor-
po della luna trenta volte più grande! La sua superficie non “lissia”, ma rugosa. Tutte queste cose fu-
rono scoperte da me, grazie all’uso di un cannocchiale che ho inventato io, dopo aver avuto l’illumi-
nazione dalla grazia divina… è meglio metterlo.»
Canoppio: Ma come nasce l’idea di uno spettacolo ispirato a Galileo Galilei? Lo abbiamo chiesto a
Marco Paolini, autore e attore dello spettacolo Itis Galileo di cui avete sentito alcuni spezzoni.
Paolini: La genesi di uno spettacolo non è mai lineare. Non si può dire che nasca da un progetto perché
a volte nascono da delle distrazioni: stai facendo una cosa e ti viene fatta una proposta, una sugge-
stione. Quindi, in occasione dell’anno galileiano, il sindaco di Padova mi ha proposto di occuparmi
del Dialogo sopra i massimi sistemi esattamente come, tra l’altro, a un certo punto racconto nello
spettacolo. Ne ho approfittato per cominciare a fare delle letture e delle discussioni insieme a France-
sco Niccolini, che è coautore di questo lavoro. Evidentemente rappresenta proprio una sfida anche al
linguaggio del teatro che invece sembra nato per nutrirsi più di poesia che non… o di filosofia, che
non di fisica. Ma proprio per questo è più interessante la fisica.
Canoppio: Da un punto di vista scientifico in che cosa sta il valore di Galileo?
Paolini: Io credo che il valore di Galileo non stia in un’astratta capacità di vedere. Cioè sta, mi sembra,
in una capacità di astrarre, di astrarre da ciò che si vede, perché tutti sono capaci di vedere il sole che
letteralmente si muove nel cielo; mentre la capacità di astrazione di Galileo è quella di… è la stessa
dei grandi intuitivi, di Einstein, che osservando delle cose riescono a porsi delle domande in maniera
problematica, che sono formulate in modo semplice.
«Galileo Galilei da vecchio è libero perché ha una testa in grado di guardare alle cose senza bisogno di
accontentare nessuno. Quello che fa Galileo Galilei tra i 70 e i 79 anni è straordinario perché fonda la
disciplina che noi oggi chiamiamo scienza, perché fonda sul dubbio che nasce dalla verifica di esperi-
menti, che mette in discussione le certezze della fisica di prima. Il risultato è un libro straordinario: Di-
scorso sopra due nuove scienze.»
* è un errore dello speaker, sarebbe “recitato da Marco Paolini e scritto da Marco Paolini e Francesco Niccolini”
(Da Radio 24, Moebius, Scienza del vento di Federico Pedrocchi, 12/02/12)
76
Traccia 27
Bignardi: Quindi, cosa è stato più difficile? Non avere che cosa?
Severgnini: (Non) È stato più difficile, è che… dove ti veniva… allora, scrivi e noi siamo abituati a scri-
vere e controllare perfino l’ortografia su Google di un nome che non ricordi bene. Non lo puoi fare!
Dovevo cercare una città americana e ho dovuto tirare fuori l’atlante… soffiando la polvere perché
l’atlante aveva la polvere. Devo anche dirti, e questa è la sorpresa, che io ho scritto un lunghissimo
pezzo, era una pagina intera del “Corriere della Sera” in cui raccontavo come sono cambiati gli italia-
ni quando, sai, quando Monti era in America, e ho fatto più in fretta, perché non ero distratto ed ero
molto concentrato a scrivere. Se sapevo una cosa o avevo un’informazione la usavo, se no parlavo
d’altro. In qualche modo ero molto concentrato su quello che facevo.
Bignardi: Cosa pensi di quello che diceva Beppe della necessità di… ogni tanto scollegarsi, fare spazio
nel cervello?
Scilla: Allora, fare…
Bignardi: Ti senti estraneo a questo ragionamento?
Scilla: Beh, un po’ sì. Nel senso… per me è come se mi dicessero: voglio stare una settimana senza
macchina. Perché? Così vai più lento per arrivare al lavoro, vai più lento per arrivare da questa parte.
Severgnini: A Milano lo stiamo facendo anche per altri motivi. Si fa, però insomma…
Scilla: No, nel senso… proprio per coprire le distanze. Io, per esempio, un ragazzo come me non ha il
fax. Cioè, come faccio a mandarti un fax? Quindi vado alla copisteria a mandare un fax oppure…
non lo so, come faccio a dire a quella persona che vive in America: «Oh! Tutto a posto?».
Severgnini: Ha ragione.
Scilla: Non so proprio come fare!
Bignardi: È come per noi se ci dicessero “stai senza telefono”.
Severgnini: Io il fax ce l’ho e non lo usavo da moltissimi anni! Infatti quando ho messo il foglio si è
commosso il fax, perché ha ragione lui, perché in una casa di un ragazzo di vent’anni il fax non c’è. Io
ne ho cinquanta e la casa… e il fax c’è.
Bignardi: Ma tu il problema della dipendenza te lo poni?
Scilla: Sì, assolutamente! Perché comunque ci sono tweet colti, tweet di un certo spessore e il tweet
mio che oggi fotografo il sushi. Cioè, è molto più di condivisione il modo in cui io parlo. A me piace
pensare che il web è casa e che poi quando esco non so dove vado. Mi sento al sicuro io quando sto
per assurdo su Internet.
Bignardi: Quindi è la tua condizione naturale…
Scilla: Sì.
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Traccia 28
Va, pensiero, sull’ali dorate;
Va, ti posa sui clivi, sui colli
Ove olezzano tepide e molli
L’aure dolci del suolo natal!
Traccia 29
Garibaldi
Spalla: 5 maggio 1860, da Quarto partono 1083 volontari…
Dix: La spedizione dei Mille… tsz! Allora, mi dica lei, obiettivamente, secondo lei si parte per un’impre-
sa del genere in mille? Va beh, dice, però sai, siamo Goldrake, Mandrake, Batman e Robin, l’Uomo
Invisibile… quando siamo in Sicilia ci ha promesso che ci raggiunge quello pelato con l’orecchino…
come si chiama? Mastro Lindo!
Nooo! Commercianti, avvocati, notai, farmacisti… Francesco Crispi viene con la moglie. Uno di
Chioggia di 78 anni viene col nipote di 12 con la pistola giocattolo. Soffrivano tutti il mare, appena
escono vomitavano tutti… Dice però, va beh, una delle due navi la comanda il capitano Achab… No!
Nino Bixio!
Spalla: Bixen?
Dix: Bixio.
Spalla: Bixiu?
Dix: Nino Bixio. Lo conoscon tutti. Il luogotenente di Garibaldi, un tipo rissoso che prendeva a pugni
chiunque gli passasse a tiro. Partono con due piroscafi scassati. Uno trainava l’altro e… rubati. Allora,
io dico, che Italia mi devo aspettare da una spedizione che parte con due piroscafi rubati? Va beh, ma
almeno le armi ce le hai? Le armi ce le hai o no? No, non c’ha nemmeno quello. Cioè: c’ha un miglia-
io di fucili scassati e arrugginiti, ma le armi buone no!
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Traccia 32
Tanto tempo fa la Follia decise di invitare tutti i sentimenti per un’insolita riunione conviviale. Raccoltisi
tutti intorno a un caffè, per animare l’incontro la Follia propose: «Si gioca a nascondino?».
«Nascondino? Che cos’è?» domandò la Curiosità.
«Nascondino è un gioco» rispose la Follia. «Io conto fino a cento e voi vi nascondete. Quando avrò ter-
minato di contare comincerò a cercarvi e il primo che troverò, sarà il prossimo a contare.» Accettarono
tutti, ad eccezione della Paura e della Pigrizia che rimasero a guardare in disparte.
«1, 2, 3...» la Follia cominciò a contare. La Fretta si nascose per prima, dove le capitò. La Timidezza, esi-
tante come sempre, si nascose in un gruppo di alberi. La Gioia corse festosamente per il giardino, non-
curante di un vero e proprio nascondiglio. La Tristezza incominciò a piangere perché non trovava un an-
golo adatto per occultarsi. L’Invidia ovviamente si unì all’Orgoglio e si nascose accanto a lui dietro a un
sasso. La Follia proseguiva la conta mentre i suoi amici si nascondevano. La Disperazione era sconforta-
ta vedendo che si era già a 99. «100!» gridò la Follia. «Adesso verrò a cercarvi!»
La prima a essere trovata fu la Curiosità, perché non aveva potuto impedirsi di uscire per vedere chi sa-
rebbe stato il primo a essere scoperto. Guardando da una parte, la Follia vide l’Insicurezza sopra un re-
cinto, che non sapeva da quale lato avrebbe potuto nascondersi meglio. E così di seguito furono sco-
perte la Gioia, la Tristezza, la Timidezza e via via tutti gli altri.
Quando tutti finalmente si radunarono, la Curiosità domandò: «Dov’è l’Amore?». Nessuno l’aveva vi-
sto… Il gioco non poteva considerarsi concluso, così la Follia cominciò a cercarlo. Provò in cima a una
montagna, lungo il fiume, sotto le rocce, ma dell’Amore nessuna traccia. Setacciando ogni luogo, la
Follia si accorse di un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a frugare fra i rami spinosi, quando a
un tratto sentì un lamento. Era l’Amore, che soffriva terribilmente perché una spina gli aveva appena
perforato un occhio. La Follia non sapeva che cosa fare, si scusò per aver organizzato un gioco così stu-
pido, implorò l’Amore per ottenere il suo perdono e commossa dagli esiti di quel danno irreversibile, ar-
rivò al punto di promettergli che l’avrebbe assistito per sempre. L’Amore, rincuorato, accettò la promes-
sa e quelle scuse così sincere.
Così da allora l’Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.
Traccia 33
Conduttore: Oggi grazie alla storia di Marta, che è bellissima, si parla delle sorprese. Ecco, oggi si parla
della migliore sorpresa che abbiate mai organizzato. Avete presente? Quelle per cui ci mettete dei
mesi, dovete elaborarle, c’è proprio una strategia d’azione, dovete tirar su le persone che vi diano
una mano, dovete incastrare orari, fare in modo di avere oggetti giusti al posto giusto nel momento
giusto.. ecco, quel tipo di sorpresa, quella per cui la persona a cui l’avete fatta, che fosse un familiare,
un amico, un fidanzato, ecco, quella sorpresa lì se la ricorda per sempre. E quella sorpresa racconta di
voi e di quello che c’è tra di voi. Raccontateci la vostra: potete telefonarci in diretta nella seconda par-
te, oppure lasciarci un messaggio… E ora ascoltiamo il messaggio di Marta che ci racconta della sua
sorpresa.
Marta: … il ripresentarsi del male mi faceva temere maggiormente per il mio futuro. Ecco, fu a questo
punto che mio marito mi propose di fare un viaggio organizzato, non insieme, come al solito, con
un’amica, altrimenti chi avrebbe badato al nipote che dal giorno del divorzio dei genitori passava quasi
tutta la giornata con noi? Ammetto che all’inizio rifiutai, ma poi mi decisi a partire per la Terra del Fuo-
co. Ma come potevo lasciare Andrea da solo per due settimane? Il nostro è da sempre un amore spe-
ciale, ci lega un legame profondo fatto sempre più di attenzioni, pensieri, gentilezze costanti. Tra noi si
è sempre fatto a gara a chi offre all’altro il meglio in ogni momento della vita. Sì, certo, abbiamo avuto
i nostri dissapori, ma sempre risolti senza liti o insulti, semplicemente confrontando le nostre opinioni e
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Traccia 34
Vedi traccia 33.
Traccia 35
Errori dei genitori
Presentatrice: Buonasera e ben ritrovati a Genitori si diventa. Oggi parliamo di un tema caro davvero a
tutti, ossia gli errori dei genitori. Perché come sappiamo, come sentiremo tra l’altro dalle interviste,
non esistono genitori perfetti, e sottolineo per fortuna, ma tutti facciamo degli errori, basta cercare di
non farli particolarmente grandi.
Donna 1: Ogni genitore cerca di dare il meglio, di fare il meglio per i figli, poi per i figli i genitori sbagliano
sempre. L’importante è poi il risultato, cioè una volta che i figli sono cresciuti, che hanno maturato certe
convinzioni o certi valori che i genitori hanno trasmesso, e allora ti dicono grazie, è stato bellissimo.
Uomo 1: Ah io in generale non lo so esattamente, nel caso nostro siamo troppo permissivi, troppo…
non abbiamo regole, non gli diamo sufficienti regole e non le manteniamo.
Uomo 2: Domanda difficile per una persona che non ha figli… e quindi vede la cosa dall’esterno…
guarda…
Giornalista: D’impatto.
Uomo 2: No, d’impatto, proprio la mancanza di rispetto nei confronti delle persone, forse, non so, la
generazione nostra era leggermente diversa, era più portata ad avere molto più rispetto.
Uomo 3: Bisognerebbe ascoltarli un po’ di più forse, e invece loro si chiudono, perché un po’ non han-
no fiducia in noi, soprattutto, e un po’ sai com’è, l’età, i giovani pensan sempre che i padri sono vec-
chi, anche se abbiam vent’anni di differenza tra e me e mio figlio, però… Questo penso sia l’unica
difficoltà che c’è in un rapporto fra genitori e figli.
Donna 2: Non lo so, forse vogliono tante cose subito da questi figli, vogliono… che devono studiare
subito, devono essere pronti di fare tutte quelle cose, non so quali sono errori più gravi.
Traccia 36
Genitori & figli
Padre: Luigi… Luigi… Luigi… oh oh!
Figlio: Oh… ma sei impazzito?
Madre: Sono tre volte che ti chiamo.
Figlio: E se uno non ti sente lo prendi a calci nel culo?
Padre: Senti, io e te dobbiamo parlare.
Figlio: Bell’inizio papà.
Padre: Va beh ti chiedo scusa dai. Senti Luigi, tu sei un ragazzo intelligente, però succede che spesso
anche le persone intelligenti sbaglino, no? Ecco io sento il dovere di dirti che stai sbagliando. Perché
se no, non si capisce come mai un ragazzo come te, al primo anno di università, che ha superato bril-
lantemente tre esami, si debba mettere in fila tutt’una mattinata per fare un provino del cazzo.
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Traccia 37
Vedi traccia 36.
Traccia 38
Giornalista donna: Sono state scritte storie bellissime sull’amicizia tra gli animali e gli uomini, un lega-
me profondo, tenero, indissolubile; lo ha mostrato recentemente la ragazza australiana Nicole Gra-
ham che è rimasta abbracciata nel fango al suo cavallo Astro sprofondato nelle sabbie mobili, salvan-
dolo con la tenacia della sua presenza e del suo affetto. Un legame che ha ispirato spesso il cinema e
il web. È nato anche un film dalla storia del leone Christian, comperato a Londra negli anni Settanta
da due amici australiani e poi reintegrato in una riserva africana. Quando i due ragazzi a distanza di
anni vanno in Africa a cercarlo, Christian li riconosce e butta loro le zampe al collo.
Celebre anche la vicenda dell’uomo che sussurra ai leoni, Kevin Richardson, un celebre zoologo che
ha vissuto con incredibile familiarità con 39 leoni in un parco vicino a Johannesburg.
Un’altra incredibile storia è quella di Hachiko, diventato un simbolo di fedeltà. Hachiko è un cane
giapponese a cui si è ispirato il film con Richard Gere, un cucciolo di razza Akita che, abituato ogni se-
ra ad andare a prendere il suo padrone alla stazione, non accetta l’idea della sua morte improvvisa e
per tutta la vita continua ogni giorno ad attenderlo nello stesso luogo.
Le storie di animali sono le più visitate su Internet. Cliccatissimi i filmati di Huggies, l’orso polare che in
uno zoo di Rhenen, in Olanda, ha messo al mondo due orsetti gemelli, e di Miss Snooks, la volpe coc-
colona che non si allontana mai dall’uomo che l’ha trovata abbandonata nella campagna inglese.
Due amici inseparabili proprio come il baio Astro e Nicole, la ragazza che sussurra ai cavalli.
Giornalista uomo: E veniamo al cinema. Dopo aver conquistato gli spettatori francesi, arriva nelle no-
stre sale il film Quasi amici, storia di un’amicizia molto particolare. Venti milioni di spettatori in Fran-
cia, è il successo di Quasi amici, il film evento sulla natura dell’amicizia fra due persone apparente-
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Traccia 39
Intervistatore: Dicevo, voglio parlare oggi di un problema che coglie molte famiglie. Molte famiglie le
coglie impreparate e molte altre famiglie lo considera una benefica scuola di vita quando un ragazzo
viene a casa e racconta, e lo raccontano sempre con grande reticenza e con grande vergogna, di es-
sere stato implicato in un episodio di bullismo. Due sono le categorie da quel punto di vista, la vittima
del bullo e il bullo o i fiancheggiatori del bullo. A seconda della collocazione del proprio figlio in que-
sto quadro di rapporto violento, le famiglie possono, se illuminate, rabbrividire e prendere subito
provvedimenti, possono gioire se loro sono state a loro volta scuola di bullismo per il figlio bullo o ap-
prendista bullo o facente parte della corte del bullo, possono entrare nel più profondo disagio se il fi-
glio è vittima di bullismo, possono ancor peggio infierire sul figlio vittima del bullismo dicendo “devi
imparare, la vita è fatta di questo, sei uno sfigato, datti da fare, impara, combatti, menali, chi mena
per primo mena due volte” e via dicendo. Ma io vorrei a questo punto portare il contributo di chi
questo problema l’ha studiato veramente. Gabriella Aleandri, buongiorno.
Aleandri: Buongiorno.
Intervistatore: Gabriella Aleandri è un professore di Pedagogia generale sociale nell’Università di Ma-
cerata, ha scritto un libro, Giovani senza paura: analisi socio-pedagogica sul bullismo, uscito per Ar-
mando Editori. Quindi ha studiato attentamente, analizzando le fonti possibili, analizzando le crona-
che e il fenomeno. Ha dei punti di riferimento che lei già conosce nel quadro che si è fatta sul
problema?
Aleandri: Sì, dunque, il fatto di cronaca, riportato anche dal “Corriere della Sera” di martedì scorso, ci
dà la possibilità di riflettere su alcune caratteristiche peculiari del fenomeno bullismo in sé, che ha una
dilagazione, un’ampiezza abbastanza rilevante, tant’è che almeno un ragazzo su quattro ritiene, af-
ferma di essere stato comunque coinvolto, a vario titolo, in episodi che possono rientrare all’interno
del bullismo. Il bullismo al femminile che è... anch’esso sta conoscendo una crescita progressiva. E da
come abbiamo sentito anche nel secondo intervento, per molto tempo è stato ritenuto un bullismo
quasi esclusivamente di tipo psicologico, mentre invece dall’episodio della “Garbatella” emerge inve-
ce un bullismo di tipo diretto.
Intervistatore: Cioè dalle cattiverie tipiche delle ragazze, “sei vestita male, sei un cesso, non sei alla
moda” a quelle reali “ti spacco la faccia”.
Aleandri: Sì, a degli episodi di vera e propria violenza che, appunto, arrivano proprio ad atti di crimina-
lità. Tra l’altro anche l’ulteriore, nuovo fenomeno emergente che è quello del cyber bullismo, che ov-
viamente è un fenomeno complesso, ha varie articolazioni, qui è nato soprattutto come uno scambio
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Venezia 1945
C’era un senso di libertà, non potete rendervene conto. Le luci accese… C’era il fiume, e c’era… abbia-
mo fatto un po’ di cemento* e lì si ballava. Da tutte le parti si ballava. Era una cosa… E subito appena
finita la guerra, una gioia immensa di vivere tutti quanti. Perché… era tutto che era cambiato.
*sul prato vicino al fiume
Amarcord
Ufficiali: Plotoni, sugli attenti! Plotone, attenti! Plotone, attenti! Plotone, attenti!
Camerati! Saluto al duce! Salutiamo con animo grato e col saluto fascista!
Mussolini: Il saluto di Roma imperiale che ci addita la via del destino dell’Italia fascista!
Folla: Viva il duce! Viva!
Donna: Fatemelo toccare! Io lo voglio toccare! Viva il duce! Bello! Il duce!
Ufficiale uomo: Il 99% della popolazione è iscritta al partito. Abbiamo 1200 tra balilla e avanguardisti,
3000 giovani italiane, 4000 figli della lupa.
Ufficiale donna: È meraviglioso questo entusiasmo che ci rende giovani e antichissimi allo stesso tem-
po. Giovani perché il fascismo ha ringiovanito il nostro sangue.
Traccia 40
Parliamo ora di simboli e rituali del fascismo: il fascio littorio. Anche questa è una delle caratteristiche
dei regimi totalitari di cui parleremo sul finire della lezione, perché questa è una delle caratteristiche più
importanti di questi regimi totalitari che hanno come obiettivo quello di entrare nell’anima della popo-
lazione. Devono servirsi di tutti quelli che sono gli strumenti di comunicazione profonda, e gli strumenti
di comunicazione profonda sono sicuramente la propaganda ma non solo la propaganda… Sono i miti,
i rituali, i simboli, cioè tutti quelli che sono gli strumenti usati da tutte le religioni per penetrare nell’ani-
mo. Il fascismo e i totalitarismi si possono anche definire sotto questo aspetto delle “religioni laiche”,
per cui i simboli del fascismo sono molto importanti. Il fascio littorio che compare ovunque, dalla carta
stampata degli uffici pubblici agli edifici. Le scritte murali che sono importantissime per il fascismo. So-
no tutta una serie di slogan propagandistici in cui tutti i miti del fascismo devono essere richiamati e che
devono essere costantemente sotto gli occhi di tutti. Le adunate. Anche questo… le adunate sotto
piazza Venezia a Roma quando Mussolini si affacciava al balcone e parlava alla folla che lo acclamava e
gridava: «Duce, duce…» – … sono tutte immagini che potete ritrovare nei documentari bellissimi dell’I-
stituto Luce, che sono una fonte preziosa anche per gli storici… Tutti insieme, cioè l’idea di una moltitu-
dine che è una moltitudine coesa, e quindi si deve fare vedere anche fisicamente questa moltitudine. Il
sabato fascista, per esempio, sembra una festa più o meno innocua, ma è un obbligo il sabato fascista.
È una politicizzazione voluta delle masse. Il sabato bisogna fare qualcosa che abbia… che sia al servizio
del fascismo, al servizio della popolazione, fatto in nome del fascismo, cioè tutte le organizzazioni ven-
gono mobilitate nel sabato fascista, non si può non andare al sabato fascista, che può essere un’aduna-
ta, può essere un campeggio, ma è il sabato fascista. E poi ci sono i miti, cioè tutti i simboli e tutti i rituali
che sono in funzione dei miti. I miti del fascismo e innanzitutto il mito del duce. Il duce è stato definito
sempre con un linguaggio moderno “Mussolini Superstar” ed è stato definito così proprio perché Mus-
solini è stato costruito, volutamente costruito. Mussolini è un bravissimo regista di se stesso, quindi
Mussolini compare in tutte le immagini, compare su tutti i vecchi e i nuovi media, cioè dai giornali al ci-
nema alla radio la voce di Mussolini viene ascoltata. Ed è un mito costruito su un padre benevolo ma se-
vero, è un mito costruito sull’uomo del popolo però anche sullo statista, e un mito con tutte le sfaccet-
tature. Tanto mito che si è molto parlato, si è molto discusso fra gli storici, se si può parlare di fascismo o
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Traccia 41
Accanto a questa grande “macchina del consenso”, come è stata chiamata, cioè organizzazioni giova-
nili, lavori pubblici, assistenza, propaganda e tutta la simbologia che tende a portare consenso, però
non dimentichiamoci che il fascismo è violenza e che è in piena funzione durante tutto il ventennio la
macchina della repressione. Cioè il fascismo può esplicare tutta la propaganda possibile perché non
consente che ci sia una voce fuori dal suo coro e la macchina della repressione si potenzia, le polizie si
moltiplicano. Nasce l’Ovra, che è questa polizia politica avvolta in un grande mistero – il mistero serve
anche a fare paura. Ci sono il confino, il carcere, l’esilio per chiunque osi opporsi alla dittatura.
Partigiani
Questo è l’elemento che distingue il partigiano dal soldato: la possibilità di esprimere la propria opinio-
ne sulle scelte da fare. È una tradizione che viene da lontano. Gli storici la fanno risalire alle “camicie
rosse” di Garibaldi e soprattutto alle brigate internazionali della guerra di Spagna.
Sotto il profilo militare quelle meglio organizzate sono le Brigate Garibaldi.
Partigiano: Il partigiano era un nemico che non avevi né di fronte né di fianco, né alla schiena. Veniva
da tutte le parti, hai capito. Avevano paura, una paura tremenda. E poi secondo me loro pensavano
che noi eravamo molti e ben armati, e invece eravamo pochi e male armati.
Campagne sociali 1
Spot 1: Di quest’uomo, ti interessa sapere se assomiglia più a suo padre, a sua madre, o non t’importa?
E di lui, ti interessa sapere se di scarpe porta il 42, il 43, o non ti importa?
Campagne sociali 2
Spot 1: Di quest’uomo, ti interessa sapere se assomiglia più a suo padre, a sua madre, o non t’importa?
E di lui, ti interessa sapere se di scarpe porta il 42, il 43, o non ti importa?
E di loro, ti interessa sapere se sono eterosessuali, omosessuali, o non t’importa?
Nella vita certe differenze non possono contare. Rifiuta l’omofobia. Non essere tu quello diverso.
Spot 3: Non esistono ruoli maschili o femminili, ci sono cose da fare insieme.
Traccia 42
Donne e lavoro
Ragazza: Niente minigonne, tacchi troppo alti, abiti scollati. Evita i colori vivaci, niente trucco vistoso o
pesante. Sesto: cerca di essere te stessa, sii bella nella tua semplicità.
Quarto colloquio in 20 giorni.
1
Selezionatore: 34 anni, curriculum brillante, laurea in Economia con ottimo punteggio. Ecco, l’unica
cosa che non mi tornava era questo stop qui.
Ragazza: Sì. È quando ho avuto Mattia.
Selezionatore: Mattia?
Ragazza: Sì, ha tre anni, va all’asilo ed è già bello autonomo.
Selezionatore: Capisco però noi veramente cercavamo un profilo un po’ più commerciale rispetto al suo.
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Ragazza: Nono: trova un modo diplomatico per difendere la tua vita privata. Lascia a casa la timidezza
e soprattutto non arrenderti mai.
2
Selezionatrice: Quella è una fede nuziale, giusto?
Ragazza: Sì.
Selezionatrice: E magari vorrà dei figli. O li ha già?
(silenzio, la ragazza non risponde)
Selezionatrice: Vorrei andare in pensione tra qualche anno e sto cercando una persona che mi sostitu-
irà nel mio ruolo.
Ragazza: E quindi?
Selezionatrice: Se lo lasci dire, è impossibile fare questo lavoro con dei bimbi piccoli.
Ragazza: E lei ne ha di figli?
Selezionatrice: Sì, ma erano altri tempi.
Ragazza: Anche se le dicessi che non ne voglio, lei mi crederebbe?
Selezionatrice: No, non le crederei.
Servizio civile
Marco: Ciao ragazzi!
Amici: Ehi, Marco, è un anno che non ti si vede! Che fine hai fatto?
Marco: Mentre voi cercavate di diventare famosi, io sono diventato importante. Per loro.
(canzone) Senza andare poi così lontano, se vuoi, te la cambi la vita.
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Nuovomondo
Prendete i bagagli, i bagagli, tutti, in fila, in fila, in fila e in ordine, in ordine, soprattutto in ordine, avete
capito? Senza spingervi, dietro la linea gialla, in fila.
Guarda in basso, in alto, guarda in basso, in alto. Tranquillo, tranquillo, ci penso io.
Apra gli occhi, guardi in basso, apra gli occhi, tranquilla, deve stare ferma, non le facciamo niente, se si
muove è peggio.
Dai esci.
Il prossimo.
Il cappello.
Traccia 43
Bene, oggi vi presento un piatto greco che per quanto ne so riscuote sempre molto successo (a casa
mia così è stato) ed è una delle mie ricette greche preferite: la moussaka.
La moussaka è un piatto tipico greco a base di melanzane, carne d’agnello, patate e besciamella. La
faccio spesso in occasione di feste e compleanni perché si può preparare in anticipo e scaldarla al mo-
mento di servire.
Per rendere la moussaka un piatto meno dispendioso, potete decidere di usare la carne macinata di
manzo (anche se la ricetta originale prevederebbe quella di agnello).
Lavate e sbucciate le melanzane. Tagliatele a fettine di circa mezzo centimetro. Mettetele in uno scola-
pasta, cospargendole di sale (preferibilmente grosso). Ricopritele con un piatto e mettetevi sopra un pe-
so, in modo da schiacciare le melanzane e lasciate spurgare il loro liquido per circa mezz’ora.
Sciacquatele, strizzatele (senza romperle) e friggetele in una padella con uno spicchio d’aglio.
In un tegame fate soffriggere della cipolla con olio d’oliva e aggiungete la carne macinata. Mescolate
bene e lasciate rosolare per qualche minuto, aggiungete il vino (che farete evaporare), la passata di po-
modoro e il sale.
Aggiungete un pizzico di cannella e l’aneto e lasciate cuocere per una ventina di minuti.
Poi preparate le patate. Lavatele e sbucciatele. Tagliatele a fettine di mezzo centimetro e fatele sbollen-
tare per un paio di minuti (in modo che non risultino dure). Per una versione più saporita (e calorica) del-
la moussaka potete friggere le patate invece che bollirle.
A questo punto potete assemblare la vostra moussaka. Imburrate una teglia, versate il ragù di carne,
stendete le patate e infine uno strato di melanzane, mettendoci un pizzico di sale. Versate la besciamel-
la che avrete già preparato e che deve essere densa e cospargete il tutto di pecorino.
Cuocete la moussaka in forno preriscaldato a 180° per una ventina di minuti, o fino a che la superficie
non risulterà dorata.
Lasciatela intiepidire per una quindicina di minuti, poi tagliatela in quadrati e servitela.
Buona moussaka a tutti!
Dimenticavo… Se la preparate in anticipo, vi conviene tagliarla prima di riscaldarla: in questo modo sarà
più facile servirla e non rischierà di rompersi.
Traccia 44
Cittadinanza
Giornalista: Siamo adesso al nostro spazio di approfondimento, viaggio del Tg2 per capire come ac-
quisire la cittadinanza italiana da parte degli immigrati. Sonia D’Ottavio.
D’Ottavio: Anche in Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, il principio cardine del diritto di
cittadinanza è lo ius sanguinis: è naturalmente cittadino italiano chi nasce da genitori italiani; e poi ci
sono le eccezioni basate sullo ius soli, il diritto di territorio, quello che vige in Francia e in base al quale
chi nasce a Parigi è francese dalla nascita. Anche in Italia cittadini si può diventarlo avendo alcuni re-
quisiti: se ci si sposa, se si risiede per un certo numero di anni nel nostro Paese, si acquisiscono i diritti
civili e politici. Quanto ai figli degli stranieri nati in Italia, la cittadinanza arriva al compimento del di-
ciottesimo anno di età dopo aver vissuto da noi continuativamente e se si hanno genitori regolar-
mente residenti; quasi un percorso ad ostacoli, anche perché una volta fatta la domanda la pratica
burocratica può durare dai due ai tre anni. In Italia, dunque, al rigore dello ius sanguinis si aggiungo-
no le difficoltà di una legge complicata che per molti oggi andrebbe rivista. A cominciare dal capo
dello Stato che auspicò la modifica del diritto di cittadinanza dei figli degli immigrati nati in Italia.
Traccia 45
Giornalista: … a parlare di cittadinanza, questa volta con una storia che arriva da Pesaro. Monia Ven-
turini.
Venturini: Giulia ha 9 anni ed è nata a Pesaro. La mamma e il papà, che adesso hanno una piccola im-
presa di costruzioni, si sono trasferiti qui dalla Moldavia nel 2000. Nel 2009 è nato Filippo, il piccoli-
no. In casa Tijo sono entusiasti dell’iniziativa della provincia che ha deciso di concedere la cittadinanza
onoraria a 4563 bambini nati nel pesarese negli ultimi dieci anni. Una cosa simbolica perché questa
non è l’America e qui vige ancora la legge del sangue: «è italiano solo chi nasce da genitori italiani.
Un gesto importante. L’idea è venuta a Matteo Ricci, presidente della provincia dopo le parole del
presidente Napolitano che aveva detto: «è una follia che i figli di immigrati nati in Italia non siano cit-
tadini», invitando il Parlamento ad occuparsene. E così Ricci, giocando d’anticipo, ha pensato a una
cerimonia festosa dove i bambini riceveranno un attestato di italiani onorari, una copia della Costitu-
zione e la maglietta della Nazionale di calcio. Ispirato dalle parole del presidente, ma anche dalla sto-
ria della sua regione, che è stata terra di emigranti.
Ricci: Questa è la storia anche della mia famiglia, in particolar modo di mio nonno che negli anni Cin-
quanta insieme al mio babbo sono partiti per il Belgio a lavorare nelle miniere… perché è importante
per programmare il futuro in un momento come questo sapere quali sono le nostre radici, da dove
provenivano.
Traccia 46
18 Ius Soli
Giornalista: Queste le prime immagini del film documentario 18 Ius Soli, proiettato durante l’assem-
blea d’istituto del liceo scientifico ad Arezzo. Il lungometraggio, realizzato dal regista Fred Kuwornu,
nato a Bologna da madre ghanese e padre italiano, affronta i diritti di cittadinanza di ragazzi di origi-
ne straniera, ma italiani a tutti gli effetti. Diciotto storie di ragazzi con diverse culture, nati in Italia.
Un’occasione per ricordare la campagna nazionale “Italia sono anch’io”, la raccolta di firme promos-
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Traccia 47
Vedi traccia 46.
Traccia 48
Il 12 settembre 1920 un uomo basso dalla Toscana scese da un bastimento a Ellis Island. Il suo nome era
Giuseppe Pietri, il mio bisnonno. Giuseppe era di un paesino in provincia di Pisa, ma decise di andare in
America nella speranza di realizzare una nuova vita per la sua famiglia. Partì da solo prendendo un ba-
stimento che si chiamava “America” da Genova a New York. Aveva 37 anni ed era meno di 5 piedi di
altezza. Era sponsorizzato dal cognato Pasquale Bartesaghi. Quando arrivò a New York, divenne un cal-
zolaio di successo. Quando ebbe abbastanza soldi, pagò per il viaggio per la sua famiglia in America.
Pochi anni dopo anche sua moglie Anna e la figlia Lucia arrivarono a New York. Meno di cento anni do-
po la nipote di Anna, suo marito e il figlio andarono in Italia e visitarono il luogo da cui Giuseppe prove-
niva. Questo ha completato il viaggio della famiglia.
Intervistatrice: Come mai hai deciso di lasciare il tuo Paese per trasferirti in Italia?
Egiziano: Perché se rimanevo in Egitto dovevo fare obbligatoriamente il servizio militare, della durata
di tre anni. E perché la vita là costa molto.
Intervistatrice: Qual era la tua attività in Egitto?
Egiziano: Studiavo Giurisprudenza all’università.
Intervistatrice: Con ciò che guadagni riesci a mandare qualche soldo a casa?
Egiziano: Sì, poco, ma riesco a mettere da parte qualcosa da inviare alla mia famiglia.
Intervistatrice: Come mai hai scelto Roma come città nella quale trasferirti?
Egiziano: Avevo un contatto con una persona che mi ha offerto un posto di lavoro in una pizzeria.
Intervistatrice: Perché molti scelgono di emigrare in Italia?
Egiziano: Secondo me perché è il Paese europeo più vicino.
Intervistatrice: Te la immaginavi diversa l’Italia?
Egiziano: Sì, un po’, più facile e più accogliente.
Intervistatrice: Hai fatto nuove amicizie in questi tre anni?
Egiziano: No, le persone con cui passo il tempo sono le stesse che conoscevo già prima di trasferirmi in
Italia, i miei compaesani. Ho stretto amicizia con pochi, anzi pochissimi italiani.
Intervistatrice: Hai mai notato atteggiamenti razzisti nei tuoi confronti?
Egiziano: Sì, c’è stato qualcuno che ha avuto comportamenti poco amichevoli nei miei confronti, ma
non per questo penso che gli italiani siano un popolo di razzisti. Non si può generalizzare…
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Traccia 49
E ora le Olimpiadi di Londra: dopo la delusione di ieri sera sui quattrocento stile libero – dove è arri-
vata soltanto quinta – Federica Pellegrini è tornata in gara stamattina sui duecento stile libero. È una
Pellegrini convalescente dopo lo shock della sconfitta: ma stamattina si è ripresa, è prima nella sua
batteria e ha vinto la semifinale; di nuovo sicura di sé, ha detto: «La voglia di spaccare il mondo ce
l’ho, anche se penso di aver bisogno proprio di un anno di stacco e dopo vedremo se avrò ancora
voglia di nuotare o no».
Sa che avrebbe potuto fare nettamente meglio, ma è affaticata, perché stare in piscina per molti anni,
essere sempre ovunque la regina logora eccome. E si comprende allora la sua voglia di una pausa nel
dopo Londra, come ha annunciato ieri in TV, quando ha detto di volersi prendere un anno di riposo.
Proprio di pochi minuti fa è invece l’aggiornamento sul tiro a segno, il tiro con la carabina da dieci
metri: è appena arrivata una medaglia d’argento, l’ha vinta Niccolò Campriani. L’atleta italiano, un
venticinquenne, ingegnere, laureato negli Stati Uniti, di Firenze, è stato in testa fino al penultimo ti-
ro. Ha perso davvero per un soffio la medaglia d’oro e la vittoria è andata al romeno Moldoveanu.
Campriani era uno dei grandi favoriti, il primo italiano a vincere un titolo mondiale nella storia del ti-
ro con la pistola.
Con questa vittoria l’Italia è al terzo posto del medagliere. «Magari continuasse così» ha detto il Presi-
dente del Coni Petrucci.
C’è un grande entusiasmo: a far gioire gli italiani ci sono le medaglie di ieri di Diego Occhiuzzi, argento
nella sciabola, e Rosalba Forciniti, calabrese, bronzo nel judo.
Rosalba Forciniti è diventata subito un bel personaggio, “verace”, come dicono a Napoli. La dedica al
papi, la maglietta spiritosa, le telefonate del corregionale Rino Gattuso e del numero uno dello sport
italico, Petrucci. La confessione che potrebbe lasciare il judo se le proponessero una carriera in TV, tutto
in una giornata. D’altra parte, non si può dire che la sua medaglia il carabiniere cosentino non l’abbia
conquistata con coraggio, visto che ha combattuto con la mano sinistra fasciata per una frattura.
Un’altra grande soddisfazione è l’argento di Diego Occhiuzzi, che tifa per la squadra partenopea e ci ri-
porta a un altro grande Diego di Napoli, Maradona. Il nuovo fuoriclasse della sciabola italiana ha battu-
to anche l’amico rivale Aldo Montano e si è arreso in una grande giornata solo al grande favorito del
torneo, un inarrivabile ungherese: Szilagyi. È contento, dice, una medaglia alle Olimpiadi è il massimo, e
va bene anche l’argento, davvero in finale ha tirato molto bene.
Insomma, una grande Italia, fatta grande dal suo Meridione. Parola di Gianni Petrucci.
Traccia 50
Questa storia
Questa storia è un libro che è nato nella mia mente alcuni anni fa. Era un periodo che giravo intorno alle
automobili, al mondo delle prime automobili, mi affascinava questo momento aurorale di una cosa che
avrebbe poi rivoluzionato la nostra vita. Erano pionieri, erano pazzi, tra le altre cose facevano queste
gare, anzi facevano molte gare.
In particolare mi affascinava molto quest’idea di dove facevano queste gare, perché naturalmente per
anni e anni loro le han fatte nelle strade normali, per cui l’arrivo di queste gare era l’incursione quasi del
miracoloso, della magia, no?, nella quotidianità della gente.
Una volta ero a Imola e lì c’è il circuito e mi parlavano di questa gente che aveva inventato questo circui-
to, che aveva voluto fare questo circuito e mi sono immaginato questa acrobazia mentale che doveva
essere stata tanto tempo fa l’idea di fare un circuito. Era un’astrazione mentale. Era immaginare che si
potesse riassumere la follia di una gara nell’ordine di una figura chiusa, studiata appositamente per
quel gesto, di una strada fatta solo per gareggiare.
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Traccia 51
Intervistatrice: Si dice che le medicine alternative non sostituiscono la medicina ufficiale, ma la inte-
grano, apportando benefici al paziente senza gli effetti collaterali dei farmaci tradizionali.
Farmacologo: La medicina è solo una, non ha bisogno di aggettivi. Possiamo chiamarle alternative,
non convenzionali, complementari, integrate. Il concetto non cambia: o una cura funziona, o non
funziona. Non si possono usare due pesi e due misure. I farmaci devono seguire un iter lungo e seve-
ro prima di essere approvati con specifiche indicazioni terapeutiche. I rimedi omeopatici, fitoterapici e
varie forme di agopuntura possono essere commercializzati senza passare attraverso una valutazione
obiettiva.
Intervistatrice: Cosa risponde a chi invoca la libertà di scelta terapeutica?
Farmacologo: Le risorse economiche sono limitate. Il Servizio sanitario nazionale dovrebbe offrire solo
cure di dimostrata efficacia e, a parità di benefici, rimborsare le cure più vantaggiose. In medicina l’ef-
ficacia di un intervento non si basa sulle impressioni, ma su prove solide, studi scientifici e sperimen-
tazioni cliniche, validate dalle autorità regolatorie. Le medicine alternative, semplicemente, non ri-
spondono a questi requisiti: sono completamente prive di prove. Sia chiaro: è una critica che vale
anche per la medicina “ufficiale”. Se un trattamento non è supportato dalle evidenze, va eliminato
dal prontuario, con beneficio della salute dei cittadini e dei soldi pubblici.
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