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ISTITUTO SUPERIORE PER FORMATORI

Collegato all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana

ANALISI DELLE DINAMICHE DI GRUPPO DEL


SEMINARIO MAGGIORE “SAN PEDRO” E LE
SUE INFLUENZE NEL RENDIMENTO
ACADEMICO DEI SEMINARISTI

Palacios Cedeño Gabriel Humberto

Tesi di Laurea

Relatore: Prof. Luca BALUGANI

Brescia, 2018
INTRODUZIONE

Husserl diceva che la sola esperienza non è scienza. Pensiamo in questo senso che questa
indagine ci abbia fatto provare questa frase “sulla nostra pelle”, per il fatto di aver offerto una
esperienza positiva di aiuto ai seminaristi nell’epoca in cui facevamo parte dell’equipe
formativa; essa ci ha fatto capire che oltre ad avere sperimentato la gioia dei ragazzi per essere
riusciti (in maggioranza) a superare i loro limiti accademici, c’era anche in noi la sensazione di
avere compiuto il nostro dovere di formatori. Ma dopo questa tappa vissuta dentro all’equipe
formativa e avendo avuto l’opportunità di studiare presso l’Istituto Superiore per Formatori
mentre frequentavamo il corso di studi a Roma, è venuta la curiosità di capire, al di là dei
risultati raggiunti, il modo in cui si era svolto l’intervento accademico attraverso le conoscenze
acquisite nell’Istituto. Poi una volta cominciata la ricerca, man mano che questa andava avanti,
è emersa la complessità della questione e di come tanti aspetti non erano precedentemente
conosciuti e pertanto non potevamo averne tratto il massimo profitto. Ci siamo anche accorti
che abbiamo fatto alcuni errori nel confronto con i seminaristi, e che il risultato dell’intervento
doveva essere analizzato e integrato dentro la dinamica di un progetto formativo che non
avevamo a disposizione in quel momento.
Oltre alla curiosità legata all’aspetto più scientifico e fenomenologico dell’intervento,
c’era anche la preoccupazione di capire se questo tipo d’aiuto poteva servire anche in altri
momenti e se veramente avevamo aiutato i seminaristi con un intervento che veniva inserito nel
percorso ideale più ampio della formazione sacerdotale.
In questo modo si è proposta, come primo passo della ricerca, l’elaborazione di un
quadro concettuale che ci ha permesso di dialogare con i diversi approcci scientifici sul tema
della dinamica di gruppo e, allo stesso tempo, con la ricchezza della teologia e l’esperienza
ecclesiale. Perciò cercheremo di mettere in luce i contributi della psicologia sociale e della
antropologia della vocazione cristiana, valorizzando l’integrazione della dimensione
intrapsichica (l’accompagnamento durante la formazione nel Seminario, dimensione spirituale,
studio personale) e della dimensione interpersonale (vita comunitaria, pastorale, studio), che
possano servire come griglia per l’analisi delle dinamiche di gruppo del Seminario.
Come secondo passo proponiamo lo studio fenomenologico dell’esperienza di
rafforzamento della dimensione accademica con un gruppo di seminaristi, portato avanti,
nell’anno 2013, dal Seminario San Pedro, individuato come la dimensione che generava

1
maggiore difficoltà. Con questo studio ci si propone di valorizzare i passi fatti a partire dalla
teoria presentata inizialmente, individuando gli aspetti positivi e negativi di questa esperienza.
In conclusione, abbiamo pensato anche alla formulazione di alcune proposte che
potrebbero servire all’equipe formativa del Seminario in vista di una necessaria elaborazione
di un progetto formativo che possa integrare i diversi aspetti studiati e che possa anche servire
da guida per l’accompagnamento dei seminaristi.

2
CAPITOLO I

L’ANTROPOLOGIA DELLA VOCAZIONE CRISTIANA

1. ABBOZZO DI UNA ANTROPOLOGIA DELLA VOCAZIONE CRISTIANA

La fede cristiana sin dall’inizio del suo cammino (a partire dall’evento originario della
Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo) ha ritenuto, come parte intrinseca della
natura umana, la sua capacità, concessa come un dono dalla creazione, di ascoltare e di
rispondere all’appello di Dio in modo tale che possa diventare partner della Nuova Alleanza
(Ger 31,31; Ez 36,26) che Dio stesso ha voluto stabilire tra sé e l’uomo.
Tuttavia, l’appello divino alla persona umana non cade su un terreno neutro, ma trova
nella personalità dell’uomo due realtà antropologiche, che fanno parte della natura umana.
In primo luogo c’è nell’uomo la possibilità e la capacità di autotrascendersi
teocentricamente1, cioè di oltrepassare sistematicamente sé stesso, per proiettarsi al di là della
sua situazione presente e raggiungere Dio come obiettivo ultimo. Questa tendenza
all’autotrascendenza teocentrica impegna l’uomo, nel senso che egli deve confrontarsi con
valori oggettivi autotrascendenti, cioè morali e religiosi, che egli incontra nella sua vita.
In secondo luogo, l’appello divino trova un’altra realtà antropologica: si tratta di
limitazioni di varia natura insite nella persona umana, le quali, in ultima analisi, possono più o
meno ostacolare la libertà dell’uomo nel vivere la sua tendenza antropologica
all’autotrascendenza teocentrica.

1
Repole suggerisce di parlare anche di una autotrascendenza dell’uomo verso un cristocentrismo trinitario. Questo
suggerimento lo presenta come una forma di superamento del rischio di un certo astrattismo al pensare la
dimensione ideale dell’Io. La prospettiva di un uomo che è creato sin dall’inizio nella relazione intrinseca con
Cristo, orienta invece a pensare che ciò verso cui primariamente e concretamente ci trascendiamo non sono tanto
dei valori, ma dei “volti”. Cfr. R. REPOLE, Antropologia teologica e psicologia della personalità umana: incontri
suggestivi, in Tredimensioni 4 (2007), 247.

3
Questa percezione della realtà umana ci porta a chiederci il modo in cui far crescere la
libertà così che l’uomo diventi più libero e possa accogliere la chiamata. In questo senso il
nostro obiettivo è quello di evidenziare come, partendo da una visione cristiana della persona
umana, arricchita attraverso un approccio interdisciplinare, si possano accompagnare i processi
di discernimento che l’uomo è invitato a fare verso una possibile vocazione alla vita religiosa
e sacerdotale. Con la finalità di esporre una teoria che prenda in considerazione queste
premesse, presenteremo in modo sintetico i principali punti dell’antropologia della vocazione
cristiana, ricerca realizzata dal sacerdote gesuita Luigi Maria Rulla2.
Rulla incomincia la sua riflessione sottolineando il carattere dialogico della vocazione
cristiana, visto come un incontro di persone: Dio e l’uomo. Questo incontro dialogale è
caratterizzato da provvidenziali convergenze tra i contributi portati da Dio e quelli possibili
all’uomo nello stabilire il dialogo.
La domanda che sorge dopo questa prima affermazione è sul come presentare queste
convergenze tra elementi antropologici e teologici per la vocazione cristiana. Rulla sceglie un
metodo interdisciplinare, in cui ogni scienza risponde alla domanda sull’uomo e sulla sua
vocazione a partire da diverse prospettive. Ad esempio i fondamenti di antropologia filosofica
vogliono rispondere alla questione su come deve essere il sistema motivazionale dell’uomo
affinché egli possa entrare nel dialogo vocazionale, per rispondere a Dio che continuamente lo
chiama. Quanto agli elementi teologici, questi rispondono a due domande: a che cosa l’uomo è
chiamato da Dio nella vocazione cristiana, e come gli elementi che caratterizzano la chiamata
divina possano convergere con le domande fondamentali che l’uomo si pone nella sua
motivazione. Alle scienze menzionate, Rulla aggiunge la prospettiva dell’antropologia
scientifica di natura psicosociale. Questa differenzia più chiaramente come e in che misura il
sistema motivazionale dell’individuo è disposto al dialogo con Dio3.
Di seguito presenteremo questa proposta dell’antropologia della vocazione cristiana in
due momenti: dapprima si tratterà della chiamata di Dio e perciò si procederà dal linguaggio
teologico verso la tematica antropologica, specie quella motivazionale; poi si considererà la
risposta dell’uomo, e perciò dall’antropologia si andrà verso i suoi elementi corrispondenti,
presenti nel messaggio biblico.

2
Questa sezione è una sintesi del capitolo nove dell’opera principale di Rulla. Per un maggiore approfondimento
citerò le pagine del libro dove questi temi sono sviluppati. L.M. RULLA, Antropologia della vocazione cristiana
vol.1: Basi interdisciplinari, EDB, Bologna, 1997, 217-335.
3
Cfr. Ibid., 218-221.

4
1.1 Fondamenti di antropologia filosofica

1.1.1 La vocazione come «chiamata» di Dio

Sinteticamente, la proposta di Rulla per una antropologia filosofica che ha come punto
di partenza la comprensione della vocazione come chiamata di Dio all’uomo, dice quanto
segue: l’uomo ha la possibilità (in virtù di una grazia antecedente) di autotrascendersi
teocentricamente, che radica tale capacità nella libertà, che è capacità dialogica di amore per
Dio e per il prossimo. Poiché l’uomo è autotrascendente e libero, è chiamato al dialogo con
Dio, sia nel senso che il dialogo diventa possibile, sia nel senso che l’uomo è chiamato a
prendere posizione di fronte a Dio. Come effetto collaterale dell’esercizio della
autotrascendenza e delle libertà teocentriche l’uomo si autorealizza4.
A partire da questa affermazione si potrebbero formulare due conclusioni: a) esistono
due punti di contatto, di incontro tra Dio e l’uomo nella chiamata vocazionale:
l’autotrascendenza e la libertà, ed entrambe convergono verso e fondano l’amore; b)
L’autotrascendenza e la libertà si influenzano a vicenda, sono interdipendenti e convergenti:
l’autotrascendenza teocentrica sostiene e orienta la libertà; a sua volta, la libertà è
primariamente e inevitabilmente rivolta alla autotrascendenza verso Dio, di cui è il fondamento;
cioè più l’uomo è libero più egli può autotrascendersi primariamente nei valori morali e
religiosi, distinti dai valori naturali5.

1.1.2 La vocazione come risposta dell’uomo

Quali sono le possibilità di risposta alla chiamata di Dio che il sistema motivazionale
dell’uomo presenta? A partire della sua ricerca qui presentata in modo sintetico, Rulla ci indica
che l’uomo è più o meno limitato nella sua libertà effettiva e nella sua capacità di
autotrascendenza, come conseguenze delle dialettiche che esistono fra il suo Io-ideale e il suo
Io-attuale. Le più importanti di queste dialettiche sono state identificate come quelle che
costituiscono la prima e la seconda dimensione. Inoltre ci indica che il sistema motivazionale
dell’uomo è ostacolato, nella sua risposta alla chiamata vocazionale, non solo per le limitazioni
intrinseche della sua libertà e così della sua autotrascendenza, ma anche perché detto sistema
nel suo tendere verso Dio è mediato dai processi di simbolizzazione. Ora, ci sono due
limitazioni del sistema simbolico per quanto riguarda la autotrascendenza teocentrica. Una è

4
Cfr. Ibid, 221-224.
5
Cfr. Ibid.

5
descritta come simbolizzazione regressiva e la seconda limitazione proviene dalle forme
concrete del nostro linguaggio e del nostro agire religioso6.
Possiamo concludere in questa parte che, comunque, la possibilità e potenzialità che
l’uomo ha di una risposta di amore senza limitazioni, senza restrizioni, senza riserve può
diventare attuazione solo per il dono gratuito dello Spirito.

1.2 Elementi teologici

1.2.1 La chiamata di Dio

A che cosa Dio chiama l’uomo nel dialogo vocazionale? A che tipo di amore? Possiamo
sintetizzare queste risposte, che contengono allo stesso tempo gli elementi teologici di una
antropologia della chiamata di Dio7, nei seguenti punti:
1) La vocazione divina è un appello che chiama la persona umana nella sua totalità.
Questo implica una disponibilità incondizionata e illimitata a tutto ciò a cui Dio
volesse inviare chi da lui è chiamato. Si è perciò chiamati alla libertà per la
autotrascendenza dell’amore teocentrico.
2) Seguendo il modello di Cristo, la vocazione è un “sì” personale a Dio che poi può
essere usato in una maniera funzionale; come Cristo, ogni cristiano deve farsi della
volontà salvifica universale del Padre, cioè la persona del cristiano deve diventare
proprietà di Dio per un dono totale al mondo. L’aspetto istituzionale della vocazione
viene in un secondo momento.
3) La totalità di disponibilità della persona si può concretizzare nei due valori oggettivi
terminali di unione con Dio e sequela di Cristo (amando come Gesù ci ha amati),
come pure nei tre valori strumentali rappresentati da un cuore povero, casto e
ubbidiente quale quello di Cristo. Sono questi i cinque valori ripetutamente proposti
in modi diversi in vari documenti del concilio Vaticano II.

1.2.2 La risposta dell’uomo8

Abbiamo visto che l’uomo è chiamato alla libertà per l’autotrascendenza dell’amore,
ma quanto libero è l’uomo di autotrascendersi? Sinteticamente Rulla risponde con le seguenti
affermazioni:

6
Cfr. Ibid, 225-226.
7
Cfr. Ibid, 227-266.
8
Cfr. Ibid, 266-285.

6
1) nell’uomo esistono due dimensioni, che mediano la risposta dell’uomo all’azione
della grazia nella vocazione; esse sono la prima dimensione, che è una dialettica
conscia, e la seconda dimensione che è una dialettica risultante dall’equilibrio o
squilibrio tra le forze consce autotrascendenti e le forze inconsce opposte alla
autotrascendenza teocentrica;
2) sembra che la grazia abitualmente non tocchi le forze inconsce, ma agisca solo
tramite quelle consce. In altre parole, le forze inconsce e non autotrascedenti
tendono a persistere nella loro opposizione all’autotrascendenza.
Con l’intento di passare dalle affermazioni di antropologia filosofica e psicologica a una
prospettiva teologica riguardante la risposta vocazionale dell’uomo, possiamo chiederci se la
rivelazione offra alcuni fondamenti a quanto si è detto. Rulla ci propone la lettura del testo di
Gal 5,16-179 che secondo il suo parere propone elementi utili per una antropologia teologica
che tocca i seguenti punti:
a) anche se in grado diverso nei singoli individui, è presente in ogni cristiano una lotta
interiore che si manifesta come inconsistenza tra quello che lui vorrebbe essere o
abitualmente fare (Io-ideale) e quello che lui è o abitualmente fa (Io-attuale); queste
inconsistenze sono consce (come parte della prima dimensione) o inconsce (come
parte della seconda dimensione);
b) le inconsistenze inconsce limitano la libertà effettiva della persona;
c) questa limitazione non tocca la santità soggettiva ma quella oggettiva, come pure
l’efficacia apostolica che da essa dipende;
d) ci sono perciò due modi, che coesistono nella persona, di rispondere alla chiamata
alla libertà per la autotrascendenza dell’amore di Gal 5,13-14; quello inconscio della
prima dimensione e quello in parte subconscio della seconda dimensione; il primo
implica la dialettica di virtù o di peccato (Gal 5,16); il secondo implica una dialettica
che può portare a errori, a limitazioni non colpevoli o, se si vuole, al bene apparente
(Gal 5,17);
e) quest’ultima dialettica è presente nonostante l’azione dello Spirito.
È importante notare che nella prospettiva paolina l’aspetto interiore dell’uomo è quello
che conta maggiormente, perché è solo con la trasformazione dell’aspetto interiore della

9
Ecco il testo scritturistico della lettera ai Gal 5,16-17: «16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non
sarete portati a soddisfare il desiderio della carne.17 La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha
desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.» (La
Bibbia. Testo ufficiale della CEI, Marietti, Torino, 2008)

7
liberazione della persona che diventano operanti anche la liberazione esterna, terrena, sociale,
politica, economica, storica.
Riassumendo ciò che finora abbiamo detto, possiamo affermare che la visione
dell’uomo nella sua risposta a Dio richiama la misteriosa bellezza e dignità della
collaborazione, della unione dinamica tra Dio e l’uomo per la realizzazione dei più profondi
desideri del cuore umano che sono rivolti all’autotrascendenza dell’amore. La dignità
dell’uomo perciò richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè
indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno e per mera coazione esterna.
Ne segue che c’è una relazione tra la vita psichica dell’uomo e la sua vita spirituale
intesa come santità soggettiva, come santità oggettiva e come sua efficacia apostolica. Ma quale
relazione?
A questa domanda sovente si tendono a dare due risposte che sono opposte e non hanno
tra loro alcuna relazione: l’uomo è sostanzialmente libero e perciò la mancata crescita spirituale
è dovuta alla mancata corrispondenza alla grazia, cioè è peccato. Oppure: c’è una relazione
stretta, quasi totale, per cui l’uomo non è del tutto libero e perciò la mancata crescita è la
conseguenza di psicopatologia.
La teoria antropologica qui esposta dice che esiste qualcosa di intermedio tra questi due
estremi: in aggiunta alle limitazioni della prima dimensione ci sono anche -e più forti- quelle
della seconda dimensione; quest’ultima non è peccato, né patologia e non suppone una libertà
quasi totalmente presente o assente, ma diversi gradi di libertà effettiva, i quali toccano l’aspetto
oggettivo della santità e della efficacia apostolica. Inoltre, questa seconda dimensione è
presente in tutti gli uomini, anche se in grado e in forme diverse. Infine, pur non essendo né
peccato né psicopatologia, essa influenza in modo rilevante la santità e l’efficacia apostolica
oggettive.

1.3 Prospettive di antropologia scientifica10

Arriviamo dunque alla terza tappa: finora sono stati presentati i fondamenti di
antropologia filosofica e poi quelli di antropologia teologica, che convergono con i fondamenti
filosofici verso un’antropologia della vocazione cristiana. Resta ora da considerare la vocazione
cristiana secondo un’antropologia che tenga conto della psicologia sociale.
Si cerca così di mostrare come la convergenza finora provata tra i due primi passi possa
estendersi anche a un’antropologia psicosociale della vocazione. Inoltre, si vuole passare dai

10
Cfr. Ibid, 286-335.

8
principi filosofici e teologici circa la natura dalla vocazione alla loro applicazione esistenziale
secondo le diverse disposizioni motivazionali proprie dei vari individui.

1.3.1 La teoria della autotrascendenza nella consistenza

A) Quadro generale della teoria


Il messaggio centrale
Seguendo l’ordine in cui Rulla ha presentato il suo lavoro, possiamo dire che il
contributo centrale della teoria dell’autotrascendenza nella consistenza può riassumersi in una
frase: salvo il primato e la prevenienza insostituibili della grazia divina, i dinamismi, le forze
psico-sociali dell’uomo, consce e subconsce, influenzano la libertà per l’autotrascendenza
dell’amore e così possono toccare il processo vocazionale in modi e gradi diversi.
Quanto alle forze psico-sociali, Rulla le distingue in tre tipi, ma in questa sezione
saranno considerate solamente le forze intrapsichiche11.
Le strutture
Di seguito faremo una breve presentazione.
Io ideale:
- Ideali istituzionale (II): si tratta della percezione da parte della persona degli ideali che
la vocazione cristiana propone a chi vuole essere membro della comunità cristiana. Si noti che
gli Ideali Istituzionali comportano diversi ruoli o comportamenti come sono concepiti o
percepiti dall’individuo; perciò detti ruoli non corrispondono necessariamente ai ruoli come
sono proposti dalla rivelazione cristiana o dalle istituzioni religiose.
- Ideali personali (IP): sono gli ideali che l’individuo sceglie per sé stesso, cioè quello
che egli vorrebbe essere o realizzare nella linea degli Ideali Istituzionali.
L’io ideale che comprende gli ideali istituzionali (II) e gli ideali personali (IP) si può
descriver come «l’ideale-personale-in-situazione» (IP-II).
Io attuale:
- Io Manifesto (IM): è il concetto di sé, cioè la conoscenza che la persona ha di sé stessa
e dei suoi atti, ciò che essa pensa di essere o di fare abitualmente.
- Io latente (IL): si tratta delle caratteristiche della personalità che possono essere
rivelate dai tests o da altri strumenti di tipo «proiettivo». Si ritiene in genere che questi strumenti
proiettivi, nella loro peculiare validità, rivelino aspetti reali della persona, che possono essere
differenti dalle caratteristiche che la persona pensa di possedere o vorrebbe possedere.

11
A fin di raggiungere il nostro scopo che riguarda anche l’esperienza del gruppo, più avanti approfondiremo il
condizionamento esercitato dalle pressioni di vari gruppi e quello legato all’influenza esercitata dalle istituzioni.

9
- Io sociale: è l’Io preso come oggetto sociale.
I contenuti
I contenuti considerati sono i valori, i bisogni, e gli atteggiamenti. Nel trattare dei valori
consideriamo la distinzione tra di essi in naturali e autotrascendenti, e per entrambi in oggettivi
e soggettivi. Ci sono inoltre almeno 5 valori autotrascendenti che si possono ritener come il
substrato dei ruoli cui aspira un cristiano: unione con Dio, sequela di Cristo e un cuore povero,
casto e ubbidiente alla luce dell’esempio di Cristo.
Questi 5 valori sono considerati come termini ultimi di riferimento per
«l’autotrascendenza dell’amore» propria della vocazione cristiana. Per questo essi vengono
presi come criteri discriminanti per due valutazioni:
1) distinguere i bisogni e gli atteggiamenti dell’uomo in dissonanti o in neutri nei
riguardi della vocazione cristiana;
2) operazionalizzare, cioè rendere possibile una verifica di ricerca per individuare
l’effettiva presenza o meno delle consistenze o inconsistenze vocazionali.
A partire dalle ricerche di Rulla sul tema dei bisogni, è stata stilata una classifica di 14
bisogni che sono stati divisi in due parti secondo il criterio dei 5 valori suddetti: sette sono stati
considerati dissonanti o non neutri per la vocazione e sette neutri o meno dissonanti12.
È importante notare che nella ricerca i quattordici bisogni/atteggiamenti sono stati
scoperti negli individui sia a livello conscio che inconscio.
Le dialettiche dell’Io
Tra le dialettiche che sembrano essere fondamentali per un’antropologia psico-sociale
della vocazione, ci sono quelle che sono state definite come consistenze o inconsistenze. Esse
sono costituite o dall’accordo (consistenze) o dall’opposizione (inconsistenze) tra l’Io ideale e
l’Io attuale per un aspetto specifico della persona.
Le tre dimensioni
Come aspetto preliminare bisogna dire che in questo caso il termine “dimensione”
indica la natura e la relazione di unità, di strutture che entrano nella costituzione del soggetto,
del self, e lo dispongono verso un certo modo di operare13.
Allora le tre dimensioni si sviluppano e si formano con la crescita del bambino come
conseguenza della interazione coi valori che egli incontra; da questa interazione si sviluppano

12
Bisogni/atteggiamenti vocazionalmente dissonanti: aggressività, castità o bisogno di gratificazione sessuale,
sfiducia in sé, evitare il rischio, esibizionismo, dipendenza affettiva, umiltà-orgoglio. Bisogni/atteggiamenti
vocazionalmente neutri: successo, affiliazione, aiuto agli altri, conoscenza, dominazione, ordine, reazione dopo
l’insuccesso.
13
Cfr. L.M. RULLA, Antropologia della vocazione cristiana vol.1: Basi interdisciplinari, 164.

10
tre disposizioni diverse verso i valori: le tre dimensioni. L’uomo inoltre è influenzato da tre
classi di valori: quelli naturali, quelli autotrascendenti e quelli naturali e autotrascendenti
congiunti. Poiché ci sono tre classi di valori oggettivi, nell’uomo si sviluppano tre disposizioni
del self che si trascende; esse derivano dall’incontro delle domande dei valori oggettivi con le
domande dell’intenzionalità conscia dell’uomo.
Sinteticamente si potrebbe presentare lo studio di Rulla sulle tre dimensioni come segue:
a) la prima dimensione è quella che deriva dall’azione delle strutture consce e
precisamente dall’accordo più o meno grande tra l’Io ideale conscio e l’Io attuale
prevalentemente conscio. Poiché le strutture in dialettica sono entrambi consce, c’è
la libertà e responsabilità da parte della persona per quanto riguarda la sua resistenza
o meno alla autotrascendenza. Perciò questa dimensione è quella che dispone alla
virtù o al peccato;
b) la seconda dimensione è quella che deriva dall’azione concomitante delle strutture
consce e inconsce. In particolare essa tiene in conto sia l’accordo più o meno grande
tra l’Io ideale e l’Io attuale sia l’opposizione più meno grande tra l’Io ideale e l’Io
attuale inconscio; perciò, essa considera qual è l’effetto sulla libertà per
l’autotrascendenza risultante dall’equilibrio tra le forze consce e inconsce, o
dall’influenza sul conscio da parte dell’inconscio che è vocazionalmente dissonante.
Qui non è più direttamente questione di virtù o peccato, di bene o male morale,
perché la libertà e la responsabilità sono più o meno limitate dall’inconscio; invece
è questione di armonia o di disarmonia nell’individuo del conscio con l’inconscio.
Questa dimensione si può chiamare del bene reale o del bene apparente a seconda
che prevalga l’armonia o la disarmonia. Secondo un’altra prospettiva, si può
chiamare la dimensione dell’errore non colpevole;
c) la terza dimensione è quella che caratterizza la normalità o la patologia ed è la prima
che si manifesta. Questa si sviluppa prevalentemente per la forza motivante dei
valori naturali. In essa la libertà effettiva è molto piccola per cui prevale l’inconscio.
È il self dell’autotrascendenza egocentrica o filantropica.
Questo incontro tra i valori autotrascendenti e l’intenzionalità conscia e continuamente
trascendente dell’uomo è ciò che sta alla base della possibilità di una vocazione dell’uomo da
parte di Dio. Ma in questo unico self che è l’uomo, esiste una “dialettica di base” in cui ci sono
due componenti: c’è non solo il self come trascendente, ma anche il self come trasceso.
L’ultimo aspetto da sottolineare, in questa sezione, è l’influenza che le tre dimensioni possono

11
avere sulla libertà dell’uomo, che è un fattore fondamentale della vocazione cristiana, vista
come chiamata «alla libertà per l’autotrascendenza nell’amore».
Il Processo di simbolizzazione
Altro grande contributo di questa teoria riguarda il processo di simbolizzazione proprio
dell’uomo. Infatti, il sistema vocazionale dell’uomo favorisce od ostacola la sua risposta alla
chiamata vocazionale non solo come conseguenza dei suoi influssi possibili sulla libertà, ma
anche sull’autotrascendenza per l’amore della persona, anche perché il sistema, nel suo tendere
verso Dio, è mediato dai processi di simbolizzazione.
Nel dialogo vocazionale si sono potuti distinguere due tipi di simboli:
1) i due simboli polari, cioè l’uomo coi suoi valori soggettivi ecc. da una parte, e Dio
o i valori oggettivi o altre persone ecc. dall’altra;
2) i simboli come elaborazione esprimono il tipo di relazione che esiste tra i due poli o
il tipo di elaborazione della relazione esistente tra i due poli.
Tipi di consistenze o inconsistenze intrapsichiche
Rulla considera che c’è consistenza quando un individuo è motivato da bisogni che sono
in accordo con i valori vocazionali, oppure l’Io-ideale è in accordo con l’Io-attuale, conscio o
subconscio. Invece ritiene che c’è inconsistenza quando un individuo è motivato da bisogni che
sono in dissonanza con i valori vocazionali oppure l’Io ideale è in contraddizione con l’Io
attuale, subconscio. In questa maniera distingue quattro tipi di consistenze o inconsistenze
intrapsichiche, basandosi sulla natura delle relazioni che possono esistere tra i valori, terminali
e strumentali, gli atteggiamenti e i bisogni.
Ecco i quattro tipi:
1) Consistenza Sociale (CS): quando un bisogno è compatibile con i valori e anche con
gli atteggiamenti dell’individuo. Questo bisogno può essere conscio o subconscio.
Questa consistenza viene chiamata sociale, perché l’individuo è socialmente ben
adattato, contrariamente a ciò che succede nell’altro tipo di consistenza.
2) Consistenza Psicologica (CP): quando un bisogno conscio o subconscio è
compatibile con i valori, ma non con gli atteggiamenti dell’individuo.
3) Inconsistenza Psicologica (IP): quando un bisogno subconscio è in disaccordo con i
valori e gli atteggiamenti.
4) Inconsistenza Sociale (IS): quando un bisogno subconscio è in disaccordo con i
valori della vocazione cristiana, mentre gli atteggiamenti obbediscono ai bisogni più
che ai valori.

12
Per Rulla questi quattro tipi di consistenze-inconsistenze sono degli utili poli di
riferimento; infatti in essi le consistenze e le inconsistenze sono centrali per la loro stessa natura,
cioè sono funzionalmente significative per l’insieme della motivazione di ciascuna persona e
perciò per il suo adattamento e sviluppo nella vocazione cristiana.
Centralità delle consistenze-inconsistenze e costituzione delle dimensioni
Il concetto di centralità ci permette di capire che ci sono alcune consistenze e/o
inconsistenze più importanti per la motivazione e per la dinamica globale dell’individuo. Ma
quali sono questi elementi che rendono centrali alcune consistenze o inconsistenze?
La proposta di Rulla è presentare questi elementi in un quadro dinamico che ha
l’autotrascendenza per l’amore teocentrico come punto di riferimento:
1) un attributo dell’Io, del Self può determinare una consistenza o inconsistenza
funzionalmente significativa, se è importante per il raggiungimento dei fini
vocazionali che la persona si propone;
2) lo stesso attributo deve essere di importanza centrale, come un oggetto di attrazione
o di repulsione affettiva da parte dell’Io attuale della persona;
3) tuttavia, perché una consistenza o inconsistenza sia ritenuta come funzionalmente
significativa, bisogna considerare l’adeguatezza o l’inadeguatezza del controllo
delle forze usate dall’individuo nel suo sforzo per il raggiungimento degli scopi
vocazionali.
Maturità o meno nelle dimensioni
Si può dire, in consonanza con la teoria finora descritta, che la prima e la seconda
dimensione indichino tanto più maturità quanto minore è, in ciascuna di esse, la contraddizione
complessiva tra l’Io ideale e l’Io attuale e, viceversa, esse indichino tanta minore maturità
quanto più grande è questa contraddizione14. Inoltre, si possono distinguere i più maturi dai
meno maturi per le tre dimensioni; per la prima dimensione i maturi indicano una disposizione
alla virtù e i meno maturi una disposizione al peccato; per la seconda dimensione i maturi sono
quello portati al bene reale mentre i meno maturi sono inclinati al bene apparente; infine, per la
terza dimensione i primi corrispondono a quelli che si possono indicare come normali e i
secondi ai cosiddetti devianti o casi con manifestazioni di natura patologica.

14
Altra osservazione che fa Repole tocca questa proposta dell’Antropologia della Vocazione Cristiana nel senso
che propone una possibile rilettura dei bisogni dell’uomo e, alla radice, una maggiore visione cristica della maturità
umana. Cfr. R. REPOLE, Antropologia teologica e psicologia della personalità umana: incontri suggestivi, 247.

13
Il carattere strutturale della teoria
Una delle qualità essenziali della teoria è l’approccio strutturale seguito da essa nello
studio dei fenomeni della vocazione. Il proposito è quello di valutare sia l’approccio di
contenuto percepito dall’utilizzo che si fa in questa teoria degli stadi di Eriksson (che informano
su che cosa motiva l’individuo), sia l’approccio strutturale che forniscono gli stadi di Kohlberg
e di Piaget (questi dicono come è motivata la persona a proposito dei suoi problemi di fiducia,
di autonomia o di colpa).
Contenuto e struttura nella teoria
La teoria dell’autotrascendenza nella consistenza combina lo studio del contenuto con
quello della struttura. Tuttavia, quando il contenuto della personalità è utilizzato per studiare
eventi vocazionali, la perseveranza o l’abbandono di essa, è adoperato solamente in relazione
alla struttura della personalità. Questo vuol dire che è la struttura o la dialettica tra le strutture
dell’Io che indica la funzione di quel contenuto nella motivazione vocazionale di una persona.
Perciò il modello adottato è strutturale.
Anzitutto si fa una valutazione di ciò che il soggetto pensa e prova, se è o no preoccupato
dal problema dell’aggressività, del sesso, della dipendenza affettiva ecc. Poi si studia se
aggressività, sesso ecc. motivano il soggetto secondo una dialettica che è consistente o
inconsistente, in accordo o in disaccordo con i cinque valori fondamentali oggettivi e
autotrascendenti propri della vocazione cristiana quali quelli rivelati dalle parole e dall’esempio
di Cristo.
È molto importante sottolineare che il metodo strutturale proposto è fondato su parecchi
concetti transituazionali e transculturali e che li include: anzitutto i cinque valori fondamentali
della vocazione, che sono rivelati.
Un’altra caratteristica della teoria legata al suo carattere strutturale è che ci sono due
tipi di approccio strutturale nello studio della vocazione: la tipologia di variabili o la tipologia
di individui. Il primo modello serve per lo studio dei gruppi di individui, mentre il modello per
gli individui può essere utilizzato per valutare ogni individuo singolarmente riguardo alla sua
maturità.

2. I MODELLI FORMATIVI

Con questa indagine Rulla ha ottenuto come risultato la presentazione della teoria
dell’autotrascendenza teocentrica nell’amore, che ha avviato un processo di riflessione e
approfondimento (anni settanta e ottanta) sul fenomeno della vocazione cristiana in modo più

14
generale e sulla vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata in modo più specifico. Avendo
sempre presente la prospettiva interdisciplinare, è necessario, a questo punto del nostro studio,
identificare il tipo di formazione che si offre al giovane odierno. L’idea è quella di analizzare
la proposta che arriva da parte dell’istituzione ecclesiale, identificando gli aspetti positivi ed
eventuali limiti. Perciò ci proponiamo, nelle prossime pagine, di presentare brevemente i diversi
modelli usati per la formazione, provando ad individuare anche i loro limiti. Ci servirà di guida
il lavoro di Amedeo Cencini15.

2.1 Il Modello della perfezione

Questo è un modello dove ciò che si cerca è la perfezione. È il modello operativo del
santo perfetto che possiamo chiamare anche della “canalizzazione”, che prevede che le forze
vitali dell’uomo, ambigue come sono, si accettino solo nella misura in cui assecondano un
progetto elaborato per mezzo della ragione. Di conseguenza esiste il rischio che alcune
dimensioni che non entrano nello schema di ciò che chiamiamo perfezione, come la sessualità,
siano represse, negate o cancellate, più o meno emozionalmente.

Infatti questa strategia sembrerebbe più assertivo-direttiva che pedagogica nel senso che
si preoccupa più di indicare l’obiettivo finale che delineare gli itinerari metodologici. La
formazione diventa perciò pesante e pochi riescono a viverla bene. I formatori cadono nella
pretesa di dire tutto e alla fine corrono il rischio non dire niente.

Si crea inoltre una pretesa irrealistica, nel senso che questo modello si propone il controllo
dell’energia pulsionale al punto da conformarla ai valori, con il rischio della sua cancellazione;
ma in realtà impoverisce la vita psichica dell’aspirante alla santità.

Come risultato di questa proposta, il seminarista o novizio accoglie il suggerimento di


percepire che la santità-perfezione è una conquista ascetica che si basa sull’impegno personale
della volontà, prospettiva non in linea con il concetto cristiano di salvezza. Di conseguenza si
deve cancellare tutto ciò che è contrario all’idea di perfezione. Essa tuttavia presenta alcuni
aspetti positivi, come la chiarezza al momento di presentare il metodo e l’obiettivo, che
favorisce un certo rigore che potrebbe rendere possibile la lotta personale.

15
A. CENCINI, L' albero della vita. Verso un modello di formazione iniziale e permanente, Milano 2005. Il nostro
scopo è presentare un riassunto dei modelli formativi così come Cencini li descrive. Bisogna precisare che in realtà
estende la sua riflessione anche all’ambito della Formazione Permanente, che sarebbe molto interessante prendere
in considerazione nel momento dell’elaborazione di un progetto educativo per un Seminario. Tuttavia in questo
lavoro ci soffermeremo soltanto su questi modelli.

15
2.2 Modello dell’autorealizzazione

Modello tipico degli anni immediatamente successivi al Vaticano II, nato come reazione
al modello della perfezione e di segno opposto. Questo modello consiste nel far coincidere
l’identità personale con le proprie doti e qualità (a livello fisico, psichico e morale), presumendo
di essere artefici di sé e delle proprie fortune (l’individuo che s’è fatto da sé), e nel perseguire
la realizzazione dei propri talenti e capacità come scopo primario della vita, condizione e
garanzia della stima di sé.
Porre la propria autorealizzazione come obiettivo d’un percorso formativo può
significare, secondo Cencini, trasferire nell’ambito psicologico quanto prima era riferito e
applicato a quello spirituale. Questo invita a pensare che in realtà l’autorealizzazione e la
tensione autoperfezionista non siano termini contrapposti, dal momento che l’autorealizzazione
sottolinea l’aspetto psichico e del tutto immanente del soggetto mentre il secondo si muove
nell’ambito trascendente e spirituale ma spesso con la stessa logica e in vista del medesimo
obiettivo: la logica di un io autore di sé.
Come conseguenza positiva di questa formazione si sperimenta il ricupero della centralità
del soggetto di fronte a quella concezione un po’ massivo-passiva e omologante del gruppo,
che consentiva, a seconda dei casi, d’intrupparsi nel collettivo o imboscarsi per evitare certi
appelli. Inoltre si propone un’attenzione a tematiche importanti sul piano psicologico ma con
inevitabili riflessi su quello spirituale, come l’autoidentità, la stima o la stessa realizzazione di
sé, ecc.
Come aspetti contraddittori, può trasformare il talento in un limite nel senso che le qualità
personali vengono caricate oltremodo d’importanza cosicché la stessa scelta vocazionale viene
fatta a partire dai propri talenti. Di conseguenza il talento diventa, paradossalmente, un limite
alla propria realizzazione.
Un altro aspetto negativo ha origine dalla possibile dipendenza dal ruolo e dal risultato.
Vuol dire che una persona corre il rischio di diventare dipendente dal ruolo quando la sua stima
dipende da esso e dal contesto in cui può manifestare le sue doti, cercando così quel risultato
positivo che gli dia un consenso sociale, vivendo in questa maniera l’insuccesso come un
fallimento personale. Questa ricerca della propria autorealizzazione non raggiunge alcuna
realizzazione e finisce per produrre la sensazione contraria, quella di non poter mai acquisire la
certezza definitiva della propria positività. E così la tensione verso la propria autorealizzazione
produce o rischia di produrre senso e complesso d’inferiorità.

16
2.3 Modello dell’autoaccettazione

È un modello senz’altro più obiettivo e realistico, rispetto ai due modelli precedenti. Il


termine viene dall’ambito psicologico e psicoterapeutico, e consiste nell’importanza di
guardarsi con occhio benevolo, senza le autocondanne del modello della perfezione, che
lentamente conducono a una bassa autostima o addirittura al rifiuto di sé, o alle frenesie
narcisiste del modello dell’autorealizzazione.
Secondo questo modello tutta la propria realtà interiore va anzitutto riconosciuta, dunque
identificata anche e soprattutto nella sua componente negativa, quella che non è subito in linea
con il corrispettivo “io ideale”. Per tale motivo è evidente l’importanza di questa fase in un
cammino autenticamente educativo, dove la prima cosa da fare è, per l’appunto, conoscere le
inconsistenze, cioè, l’identificazione delle proprie debolezze consentendo un lavoro di
purificazione e conversione.
Tuttavia è importante dire che accettare e accettarsi vuol dire anzitutto non pretendere di
eliminare la propria componente negativa, e tanto meno ritenere di poter programmare tempi
brevi per risolvere ogni problema. Il modello dell’accettazione sottolinea l’esigenza di
riconoscere, nei propri limiti, il segno del limite esistenziale, della propria creaturalità, qualcosa
che è destinato a rimanere per sempre e che non avrebbe senso combattere con l’intento e la
certezza di sradicarlo. L’idea sarebbe che il limite mi possa aiutare a vivere e a convivere coi
limiti altrui, senza mai scandalizzarmi, senza ritenermi superiore a nessuno.
Anche questo modello potrebbe avere dei rischi. Per esempio una probabile chiusura
dell’io dentro di sé e una lettura solo immanente della propria realtà, facendo sì l’accettazione
di sé a provocare una sorta di tacito e pratico assenso alla propria negatività, ciò che la
psicologia moderna chiama situazione egosintonica. A questo aspetto si aggiunge il fatto che
esiste nell’attualità una cultura accomodante e confusionaria, che comporterebbe, assieme
all’atteggiamento egosintonico nei confronti delle proprie debolezze, la perdita anche della
motivazione a cambiare. Conseguenza di questo è la possibile mediocrità, già che il modello
dell’autoaccettazione rassicura e tranquillizza, non provoca né mette salutarmente in crisi, e fa
intendere che sforzarsi potrebbe anche far male alla salute e risultare artificioso.

17
2.4 Modello dell’integrazione16

Un netto superamento degli altri modelli è costituito dall’idea dell’integrazione.


L’immagine che ci propone Cencini per capire l’idea dell’integrazione è quella d’un cerchio o
d’un movimento concentrico che ingloba e integra il reale attorno a un punto centrale. La
strategia, dunque, dell’integrazione percorre tutt’altra strada rispetto alla perfezione, e va al
tempo stesso ben oltre l’obiettivo sia dell’autorealizzazione che dell’autoaccettazione: è la
strategia dell’enucleazione, che implica la presenza di un centro capace di raccogliere attorno
a sé la realtà circostante, attirandola e dandole senso, purificandola e arricchendola, dandole
nuovo orientamento e valorizzandola al massimo. Non parte con l’idea di abolire niente della
propria umanità, semmai si propone di far girare tutti gli impulsi della vita attorno a questo
centro vivo come satelliti attorno a un pianeta.
Il suo sforzo sta nell’equilibrare tra loro questi impulsi e riorientarli, dosandoli sempre in
vista dell’obiettivo finale e centrale. In questo senso non presume di cancellare nulla né s’illude
di poterlo fare, anzi ha motivo di sperare che un po’ alla volta la negatività, così accolta e
provocata, confrontata e filtrata, perda la sua virulenza e si comporti come una belva
addomesticata.
Per capire come funziona questa dinamica nella persona, Cencini identifica due fasi: una
negativa che implica la rinuncia che vuol dire di no a certe pretese istintuali, e la fase positiva
dove la persona riesce a cogliere in questo contrasto un senso fondamentale della vita e del suo
cammino formativo. E se, nonostante i suoi sforzi, la persona ritrova e riconosce ancora dentro
di sé la radice del suo male, non solo accetta la propria impotenza, ma vi coglie addirittura una
misteriosa presenza della potenza della Grazia. Questa è l’esperienza grata e intensa di chi ha
lottato soprattutto col suo egocentrismo e s’è progressivamente liberato dai suoi sogni
perfezionisti, divenendo sempre più spazio libero per Dio.
Ma questo non è tutto. Cencini identifica anche due dinamismi: dal centro alla periferia e
dalla periferia al centro. L’idea è che l’energia accettata e progressivamente liberata può
rinforzare il polo positivo, al punto tale da fare diventare la persona padrone delle sue energie.
Per arrivare a questa integrazione, bisogna saper riconoscere ed “esperimentare” gli angeli e i
demoni che vivono nella nostra vita.
L’elemento decisivo, in un progetto formativo che s’ispira al modello dell’integrazione,
è costituito dal polo centrale, da quel valore, idea, esperienza, convinzione che il soggetto ha

16
Il modello integrativo è sostanzialmente l'idea di fondo del volume di F. IMODA, Sviluppo umano. Psicologia e
mistero, Piemme, Casale Monferrato 1993.

18
interiorizzato e sta facendo sempre più suo e al quale, al tempo stesso, ispira la sua condotta e
le sue aspirazioni, come fosse perno e fulcro della sua vita; stiamo parlando in concreto della
persona del Figlio, del suo mistero di Morte e Resurrezione, della sua Pasqua, dei suoi
sentimenti, del suo cuore di Servo e Buon Pastore. Questo riferimento teologico-spirituale è
anche il polo nevralgico che funziona da elemento integratore e che dovrebbe essere il cuore
stesso della vita sacerdotale e consacrata, il suo centro vitale. A questa centralità teologica di
Cristo deve corrispondere sempre più una centralità, per così dire, psicologica o
psicopedagogica, che non è altro che quel processo di “ricapitolazione” e “rappacificazione” di
cui parla Paolo.
Per completare questa sezione riproduciamo un unico quadro sintetico che ci propone
Cencini su questo modello formativo dell’integrazione:

Modalità psico- Icona biblica Area Cammino da Oltre…


spirituale intrapsichica attivare
Internalizzazione I sentimenti Io attuale Identificazione La sequela
del Figlio col Servo o il imitativa
Buon Pastore
Relazione La libertà dello Io relazionale Centralità La perfezione
Spirito dell’altro
Integrazione Il disegno del Io ideale Ricapitolazione I modelli della
Padre della vita attorno realizzazione e
alla croce accettazione
dell’io

3. PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA ANTROPOLOGICO NEL CONTESTO ATTUALE DELLA


POSTMODERNITÀ

L’uomo che è chiamato da Dio vive oggi in un nuovo e più complesso contesto sociale e
culturale in cui prova a rispondere alla sua chiamata nonostante i propri limiti e grazie alle sue
potenzialità. A partire da questa premessa, ci proponiamo di individuare alcune caratteristiche
di questa epoca denominata “postmodernità” e che influisce direttamente sul modo di essere e
di agire dell’uomo contemporaneo. Riteniamo inoltre che sia importante conoscere questo
“uomo reale” che la teologia ha definito come capace di ricevere la rivelazione, di ascoltare la
chiamata di Dio. Includeremo, a questa visione più generale dell’uomo postmoderno, uno studio
sulle caratteristiche che potrebbero incidere di più sui giovani che oggi si accostano a le diverse
case di formazione, e anche nei giovani religiosi e preti che ormai fanno parte del clero e delle
congregazioni.

19
3.1 La postmodernità. Aspetti generali

La principale difficoltà che incontriamo al riguardo è che non si può definire con facilità
cosa sia la postmodernità17. Anzi si potrebbe dire, come afferma Luis Gonzalez, che ricercare
una definizione di postmodernità sarebbe una pretesa poco postmoderna18. Eppure possiamo
dire che ci sono dei elementi che la caratterizzano e che andiamo a descrivere nei paragrafi
successivi.
La prima caratteristica che scopriamo è che la postmodernità è un’epoca di disincanto di
fronte alla modernità. Paradossalmente, si potrebbe dire che esista allo stesso tempo, in ogni
società, la necessità di riconoscersi moderna. In realtà il malessere di fronte alla modernità si
era sperimentato già dal secolo XIX con movimenti come il Romanticismo. Altri gruppi durante
il secolo XX manifestarono, ciascuno secondo il loro stile, questo disagio: Hippies, Flower
Power, Beatniks, ecc. Ciò che sperimentavano e rifiutavano era il fatto che la modernità aveva
portato l’uomo a una alienazione, solitudine e frustrazione. Berger ha definito questa dinamica
come la perdita metafisica della casa (homelessness)19. La novità del XXI secolo la si individua
nel fatto che questa delusione non appartiene più soltanto a un piccolo gruppo, ma si è
generalizzata.
Un’altra caratteristica, legata all’precedente, è quella secondo cui l’uomo postmoderno
rifiuta l’idea di progresso, fortemente sostenuta dalle scienze durante il secolo XX, le quali
hanno portato l’umanità verso un pessimismo che considera impossibile cambiare o migliorare
la situazione attuale. Quindi un postmoderno non proverà mai a superare la modernità20.
In questa linea di disincanto troviamo anche la proposta, da parte degli intellettuali, di
una postmodernità secondo cui la storia dovrebbe essere superata perché in realtà è una
invenzione degli storici, e considerano che nel mondo reale ci sono degli eventi che non hanno
connessione tra di loro. Di conseguenza sparisce anche il desiderio moderno di vedere, alla fine
della galleria buia della storia, la luce abbagliante della utopia. Dunque ciò che esiste è soltanto
il presente, il luogo dove è possibile la realizzazione umana. Promuovono così quella antica
frase latina: “Carpe diem”, ovvero “Cogli l’attimo”.

17
Lyotard definisce l’epoca attuale postmoderna e sostiene che è caratterizzata dal venire meno della pretesa,
propria dell'epoca moderna, di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o
religiosi e dalla conseguente apertura verso la precarietà di ogni senso. J. LYOTARD, La condición postmoderna,
Catedra, Madrid 1987.
18
L. GONZALEZ-CARVAJAL, Luces y sombras de la cultura actual, Sal Terrae, Santander 2017, 189.
19
BERGER, P. and LUCKMANN, T., The Social Construction of Reality, Penguin, London 1967.
20
Cfr. L. GONZALEZ-CARVAJAL, Luces y sombras de la cultura actual, 190.

20
Questo modo di pensare presenta una nuova caratteristica. La postmodernità è il tempo
dell’“Io”, dell’intimismo. Se i moderni erano ossessionati dalla produzione, i postmoderni lo
sono dal consumo. La morale puritana ha ceduto il passo all’edonismo, godere di una buona
mensa, il piacere sessuale, conservare una bella apparenza giovanile, vacanze di lusso. Infine
se nella modernità il mito greco che si imponeva come una immagine della realtà culturale era
quello di “Prometeo”, oggi sembra che l’immagine che si impone sia quella di “Narciso”, che
innamorato di sé stesso non ha occhi per il mondo esteriore21.
Si potrebbe dire che la postmodernità, con la cancellazione della Storia, abbia dato un
colpo mortale all’etica. Di fronte a questa situazione sarà l’estetica che si sostituirà all’etica,
intendendo l’estetica non in rapporto con la bellezza, ma con ciò che mi piace. Perciò nella
postmodernità niente è proibito, sparisce qualsiasi tipo di limite. “Vivi felice!”: questo sarà
l’unico imperativo categorico22.
A partire da una certa riflessione filosofica si potrebbe dire che questo periodo
postmoderno sta assistendo alla nascita dell’homo sentimentalis scalzando l’homo sapiens,
modello della modernità. Allora l’homo sentimentalis non è semplicemente colui che “sente”,
ma colui che antepone i sentimenti alla ragione. In qualche maniera la modernità aveva già
iniziato a superare una fiducia ingenua al riguardo della ragione. Infatti Paul Ricoeur ci fa notare
gli approcci dei “maestri del sospetto”. Marx ha sottolineato come gli interessi economici
perturbino la ragione. Freud ci ha permesso di scoprire un mondo oscuro e inconsapevole che
rimaneva inosservato. Ma entrambi credevano che fosse possibile purificare la ragione da questi
elementi perturbanti. La postmodernità invece, già non vuole più credere nella ragione, non
riesce più a fidarsi più di essa23.
L’impero dello debole, del “light”, si impone con la negazione dei “grandi discorsi”, che
al massimo sono trattati con indifferenza. In questa maniera si sperimenta una sorte di
sradicamento del pensiero, favorendo l’apparizione di un pensiero debole e frantumato. Questo
non significa che tutti i valori vengano cancellati, ma quelli che erano considerati valori supremi
e che rappresentavano le grandi forme di vedere il mondo. Secondo l’opinione dei postmoderni,
possedere un pensiero debole ha due grandi vantaggi: superare l’ambizione di percorrere un
senso unico e totalizzante della vita comporta una scommessa spietata del tutto o niente, invece

21
Ci sono tante le opere che studiano il narcisismo dandogli un approccio psicologico come sociologico: A.
LOWEN, Il narcisismo. L’identità rinnegata, Feltrinelli, Bergamo 2017 (edizione originale in lingua inglese, 1983);
M. BENASAYAG – G. SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Bergamo 2017. (edizione originale in lingua
francese, 2003); poi abbiamo anche articoli della rivista 3D: E. PAROLARI, Vizioso, intrigante e/o ammalato? in
Tredimensioni, 1(2004) 2, 158-171.
22
Cfr. L. GONZALEZ-CARVAJAL, Luces y sombras de la cultura actual, 191.
23
Cfr. Ibid, 192.

21
chi poco scommette, poco perde; il pensiero debole favorisce inoltre la tolleranza come valore
che impedisce la ripetizione dolorosa di eventi come il Gulag, Hiroshima, Auschwitz o la
ghigliottina francese24.
Questo pensiero debole ha permesso a sua volta l’individualizzazione frantumata della
persona che invece di cercare un “Io” integrato, favorisce una pluralità dionisiaca di
personaggi25. Infatti abbiamo raggiunto un momento che potrebbe essere definito come un
elogio alla schizofrenia. Tutto ciò che nella modernità si sperimentava come conflitto, nella
postmodernità si vive senza dramma, né furore né passione. In questo modo l’individuo rinuncia
ai compromessi profondi e seri per non sentirsi vulnerabile, nascondendo così la sua vera
identità sotto un profilo di internet ed evitando una relazione reale attraverso un rapporto
virtuale persino nell’ambito sessuale26.
Come ultima caratteristica postmoderna che consideriamo in questo lavoro, analizziamo
il tema della religione e di Dio. Su questo aspetto abbiamo delle novità, rispetto alla modernità
che, soprattutto negli ultimi due secoli, aveva riconosciuto come atteggiamento normale di un
uomo moderno, la negazione del fenomeno religioso e di conseguenza la cancellazione
dell’idea “dio” che, difesa dalle religioni, tanti mali aveva suscitato nel mondo. La modernità
aveva contribuito così alla crescita della secolarizzazione. Tuttavia in questi ultimi anni è
successo il contrario, da una parte per la reazione postmoderna al razionalismo e dall’altra per
il recupero del “senso di mistero”27.
Dobbiamo dire, tuttavia, che in questo nuovo contesto in realtà hanno preso maggiore
forza gli elementi esoterici, favorendo pure un ritorno al mondo dei maghi e le streghe. Una
possibile spiegazione del fenomeno potrebbe essere trovata nell’espressione di Freud “vendetta
delle cose riprese”. Stiamo parlando di una società che si sente pericolosamente frustrata e che
perciò sta diventando più aperta a delle soluzioni messianiche, carismatiche e fanatiche.
Assistiamo infatti ad una proliferazione di gruppi religiosi e sette estremiste che si

24
Cfr. Ibid, 193.
25
Come approfondimento di questo tema abbiamo il lavoro di Sequeri che è citato da Fabrizio Rinaldi: «… diversi
autori considerano che in Occidente la cultura dominante si orienti verso modalità di pensiero, di azione e di
relazione che sottendono una visione individualista e a tratti narcisista del vivere umano. Ad esempio il
giovanilismo: l’attenzione posta sul mondo giovanile non si traduce in un impegno da parte degli adulti a offrire
alla generazione successiva migliori opportunità di crescita e maturazione, al contrario, l’essere giovane viene
percepito come un modello di vita realizzato in sé stesso, a cui tutti, indipendentemente dell’età devono anelare».
Cfr. P. SEQUERI, Contro gli idoli postmoderni, Torino 2011, 15-30. Op. cit. in F. RINALDI, Vocazione Cristiana
come dialogo. Tra teologia e psicologia, Bologna 2017, 221.
26
Cfr. L. GONZALEZ-CARVAJAL, Luces y sombras de la cultura actuaI, 194.
27
Cfr. Ibid., 195.

22
caratterizzano per il tentativo di mettere insieme tanti elementi odierni: psichico, mistico,
parascientifico, spirituale e terapeutico28.
Allora possiamo dire che è tornato Dio al pensiero comune, ma con la novità che adesso
è lui a doversi adattarsi al mondo costruito dagli uomini. Perciò deve accontentarsi di dare
origine alla religione “light”. Inoltre il credente postmoderno potrebbe dire, dato il suo carattere
frammentario, che crede in alcune cose del dogma ma non in tutto l’insieme. In questa maniera
troviamo delle persone che credono nel Paradiso e non nella Risurrezione29.

3.2 I giovani preti postmoderni

Ci chiediamo adesso: “Da queste caratteristiche dell’uomo postmoderno, quali hanno una
maggior incidenza nell’ambito della formazione?” In questo contesto di postmodernità,
possiamo constatare l’esistenza di una generazione che sta rispondendo alla chiamata del
Signore come veri figli di questa epoca, cioè, che sono impregnati dalla loro cultura, svolgendo
il loro pensiero a partire da categorie epistemologiche diverse a quelle che erano presenti al
momento di elaborare i modelli formativi. Balugani nel suo articolo ‘I preti del futuro: tra
tradizione e postmodernità’30 fa notare in che modo questa generazione di seminaristi e di preti
stanno rispondendo alla loro vocazione come postmoderni e cerca di individuare gli aspetti
della postmodernità che influenzano di più in questo modo di rispondere.
Un primo elemento ad analizzare è il ritorno al clericalismo, di una sorte di risorgimento
del tradizionalismo nei preti del nuovo millennio. Allo stesso tempo, come ci indica Balugani,
ci sono dei giovani assolutamente in linea con i loro coetanei, con ciuffo e occhiali alla moda,
amanti del buongusto estetico. Allora sorge la domanda: “Si tratta di giovani antitetici ai primi
o parenti di secondo grado sotto mentite spoglie?” 31. Lo scopo di queste pagine sarà quello di
comprovare se il tronco o la radice di entrambi rami non sia la stessa domanda: quella
dell’identità.
Si percepisce, secondo il nostro autore, che il giovane di oggi ha un diminuito senso di
appartenenza, una diffusa percezione di precarietà che rende difficile dare una continuità alla
propria vita, una comunicazione interpersonale che rende più massa e social che non individui
in relazione e anche una educazione che li ha fatto diventare un piccolo “Narciso”.

28
Cfr., Ibid., 196.
29
Cfr., Ibid., 198.
30
L. BALUGANI, I preti del futuro: tra tradizione e postmodernità, in Rivista di Pastorale Liturgica 327(2/2018),
10-15.
31
Cfr., Ibid., 11.

23
L’adolescenza è la tappa centrale della vita, afferma Balugani citando a Erikson, e noi
stiamo accudendo a un prolungamento di essa: «Da un lato vi è la tendenza a integrare le forze
interiori e quelle esterne; all’estremo opposto vi è invece la dispersione, con il senso di
instabilità e di disorientamento che l’individuo prova inevitabilmente»32. È in questa tappa che
i grandi amori sono un tamponamento della confusione crescente in cui amare è conversare con
i simili, mentre chi è diverso viene escluso e trattato in modo intollerante perché viene avvertito
come minaccioso33.
In questo modo se la costruzione dell’identità fallisce, accanto a una dispersione tipica
della disorganizzazione borderline34, può avvenire «la perversa preferenza per l’identità
negativa, e cioè un misto di elementi d’identità socialmente inaccettabili e tuttavia
testardamente riconosciuti come tali». Ma oggi che cosa è socialmente accettabile o
inaccettabile? Con questo concetto di identità negativa sullo sfondo, Balugani riprende la
domanda sull’influenza di essa nel giovane presbitero.
Si individua in questo modo la presenza di modelli fittizi, riconosciuti nella forma in cui
i giovani presbiteri si manifestano. Aspetti come il neotradizionalismo provocano che, alla fine
dei conti, questi preti finiscano trasformandosi in sostenitori del relativismo, prendendo dal
passato qualcosa che fornisca una pseudo-identità, lasciando poi cadere la gran parte. Prendere
solo una parte, quella che piace perché dà un’identità, è proprio una caratteristica della
postmodernità. Ma, chiarisce Balugani, che ciò che viene imitato è un facsimile, frutto di una
ricostruzione approssimativa, comunque fatta da un giovane postmoderno e per questo
condizionate dalla sua prospettiva35.
Avendo come idea sottostante che i preti siano più postmoderni che tradizionalisti,
Balugani prova a rintracciare tre caratteristiche del giovane postmoderno: la scelta, la ricerca
del piacevole, il riferimento affettivo a qualcuno.
Di fronte alla sete di libertà degli anni sessanta, oggi non si fa rivendicazione, ma rifiuto
di ciò che è imposto a favore di ciò che si può scegliere. Di conseguenza, il prete tradizionalista,
sceglierà a quale papa ispirarsi, quale messa in latino adottare, farà un’accurata selezione tra le

32
H.W. MAIER, L’età infantile. Guida all’uso delle teorie evolutive di E.H. Erikson, J. Piaget e R.R. Sears nella
pratica psico-pedagogica, Franco Angeli, Milano 1983, 70. Op. cit. in L. BALUGANI, I preti del futuro: tra
tradizione e postmodernità, 11.
33
«L’amore degli adolescenti è in gran misura un tentativo di definire la propria identità per mezzo della proiezione
dell’immagine confusa del proprio Io su un’altra persona» (E.H. ERIKSON, Infanzia e società, Armando, Roma
1966, 245).
34
Cfr., L. BALUGANI, Quale maturità per la vita di coppia? Il contributo di Otto Kernberg, in Tredimensioni 3
(2005) 259-260.
35
Cfr., L. BALUGANI, I preti del futuro: tra tradizione e postmodernità, 12.

24
pianete da indossare e non digiunerà dalla mezzanotte prima di celebrare l’eucaristia. Di tutte
le tradizioni si preoccuperà di scegliere quelle che gli sono più confacenti36.
Tutto questo perché il criterio ultimo è ciò che piace. Non nella sfera dell’edonismo ma
mossi dalla percezione che il futuro è incerto, c’è poco da aspettarsi e allora, perché non
approfittare di quello che piace rispetto a ciò che non piace? Anche il prete tradizionalista
persegue quello che gli piace rispetto a quello che ‘si deve fare’37.
La terza caratteristica è sul fatto che tutto viene compiuto per qualcuno. In questo punto
ciò che esperimenta il prete giovane è il bisogno del consenso. Qualunque sia la sua attività
nella pastorale, ciò che vorrà è che ci siano le persone che fondamentalmente si mostrano
favorevoli a quello che lui pensa o cerca, e se ci sono ostacoli o confronti, rischia di cadere in
depressione e chiederà al vescovo essere trasferito. Non c’è dunque un prete giovane
tradizionalista e uno alla moda: ci sono due giovani postmoderni, che hanno imboccato sentieri
diversi a partire dallo stesso crinale38.
L’ultimo aspetto che tratta Balugani è sull’importanza delle figure di riferimento, tenendo
conto della difficoltà che ha ogni persona nel darsi una identità. Dentro dell’ambiente della
formazione sacerdotale, l’adulto davvero importante è il formatore in Seminario, poi c’è anche
quel parroco presso cui il giovane prete è mandato, dopo sé per diversi situazioni questi figuri
non riescono a donarli un senso, un’identità se la deve dare, e allora alcuni Rituali sembrano
offrine una39.
Comunque, ciò che si rivela fondamentale è capire che la funzione paterna ci è necessaria
per crescere, ma che non solo è necessaria all’inizio della vita. Un ruolo chiave di
accompagnamento nei primi passi del presbiterato perciò lo assorbe ‘il parroco’, che come il
padre, interrompe quella diade simbiotica tra madre e bambino, passando da un ambiente
rassicurante (il Seminario-madre) a una pastorale ricca di difficoltà.
Facendosi aiutare da X. Lacroix40, Balugani cita alcune caratteristiche di questo “nuovo
padre”. La prima caratteristica è il gusto per la novità in cui si capisce che un padre
generalmente induce ad assumere rischi, a innovare e procedere, incoraggia e ricompensa meno
della mamma, destabilizza e si pone in zona di frontiera. La seconda caratteristica tratta
sull’immagine del padre come un iniziatore di battaglie, che sa che non potrà mai proteggere al

36
Cfr., Ibid., 13.
37
Cfr., Ibid.
38
Cfr., Ibid.
39
Cfr., Ibid., 14.
40
Cfr. X. LACROIX, Passatori di vita. Saggio sulla paternità, EDB, Bologna 2005, 133-165. Op. cit. in L.
BALUGANI, I preti del futuro: tra tradizione e postmodernità, 14.

25
figlio di tutto. La terza caratteristica si riferisce alla figura del pontefice, che vuol dire che un
padre cura e custodisce il passaggio del figlio alla cultura così come all’invisibile. Come quarta
caratteristica abbiamo che il padre è il testimone della legge perché è il terzo rispetto alla madre
e al figlio, introducendo il principio di alterità. Alla fine si presenta la caratteristica della
trasgressione, che mostra che sebbene il padre è immagine della legge, è allo stesso tempo colui
che insegna a relativizzarla, attraverso la fantasia e il rischio.

4. QUADRO CONCETTUALE DELLA PSICOLOGIA SOCIALE

Dopo aver iniziato questo percorso teorico presentando sinteticamente la proposta


dell’Antropologia della Vocazione Cristiana e collocandola alla base della nostra riflessione,
abbiamo evidenziato anche le difficoltà che troviamo nell’ambito della formazione sacerdotale
riferendoci anzitutto alla problematica del modello formativo. Poi, provando far riferimento al
nostro contesto culturale, abbiamo voluto presentare le caratteristiche della postmodernità che
influiscono nei giovani preti e seminaristi, che possiamo ormai chiamare preti e seminaristi
postmoderni.
In questa sezione della nostra indagine cercheremo di approfondire gli aspetti trattati
nell’Antropologia della vocazione cristiana che, senza dimenticare l’aspetto di gruppo, si era
interessata principalmente della dimensione intrapsichica della persona. È per questo che in
questo punto del quadro concettuale vogliamo mostrare l’importanza di una giusta analisi
nell’ambito formativo delle dinamiche di gruppo, tenendo come punto di partenza il paradigma
dell’intersoggettività.

4.1 Il punto di partenza: l’intersoggettività

Presentata la teoria dell’autotrascendenza teocentrica nell’amore descritta nella


Antropologia della Vocazione Cristiana da Luigi Maria Rulla, che è stata pubblicata nel 1985,
ci chiediamo da quella data sono stati formulati lavori che convalidano o ampliano questo
grande contributo. Le conclusioni di Rulla più o meno sono arrivate a un punto da cui si partiva
verso un cammino più rivolto alla dimensione intrapsichica affermando che, una volta che l’io
sia maturo, sarà capace di relazionarsi adeguatamente con l’altro.
Più recentemente, si è proposta anche un’altra chiave d’interpretazione che così afferma:
ti puoi comprendere se guardi «intorno» a te perché se è vero che tu sei una singolarità
irripetibile, è anche vero che tu non esisti se non in un contesto che non si limita ad accogliere
il tuo io già fatto, ma, in interazione con quello, contribuisce a formarlo. Il rischio che avverte

26
Manenti, che si è occupato di questa problematica, è che se l’approccio intrapsichico viene
assolutizzato, rischia di cadere nel mito della mente isolata, quel mito che attribuisce
all’individuo un’esistenza autonoma, separata dal mondo della natura fisica e dal mondo dei
legami sociali, dipingendolo come un io completo in sé, che si affaccia sul mondo esterno dal
quale resta fondamentalmente separato se non estraneo41.
Le radici filosofiche di questo recente approccio intersoggettivo risalgono allo
strutturalismo e alla filosofia di Heidegger. Allo strutturalismo (soprattutto di Levi-Strauss e
M. Foucault) che, con il suo accento su ciò che sta «intorno» all’io, consiglia di procedere come
il geologo che non guarda le erbe in superficie, ma studia la natura dei suoli su cui quelle
crescono, dato che in definitiva da quella dipende la presenza dell’una o dell’altra specie
vegetale. Alla filosofia di Heidegger42, che anziché concentrarsi sulla dicotomia soggetto-
oggetto propone una lettura del soggetto come unità che tuttavia si rivela a sé stessa solo
nell'incontro con gli altri «esseri» e soprattutto con l'Essere. Le radici psicologiche
dell'approccio intersoggettivo le troviamo, invece, nelle teorie di Winnicott, Bion e Kohut.
Dell'intersoggettività si è più volte interessata la prestigiosa rivista «The International Journal
of Psychoanalysis»43.
Per Alessandro Manenti, il termine “intersoggettivo” parla di relazione, ma in un modo
ben specifico. Il fenomeno a cui allude si situa all’estremo di un continuum che al suo lato
opposto inizia con la dimensione relazionale dell’io e passa attraverso l’interpsichico e
l’interpersonale. L’intersoggettività afferma in questa maniera che i partecipanti all’esperienza
dell’incontro avuto tra di loro si ritrovano con una identità di sé nuova: identità che non
avrebbero senza quell’incontro perché da quello è forgiata. Accettare di lasciarsi cambiare da
un incontro è molto di più che provare empatia, accoglienza, comprensione, accettazione44.

4.2 La cultura, il gruppo e la formazione

La più recente bibliografia al riguardo della Cultura e delle culture e la sua influenza
nella formazione, ci fa vedere già dall’inizio che questo tema sia attuale e pertanto di molto
interesse. Inoltre il nostro riferimento al tema della intersoggettività indica la possibilità di
trovare nell’incontro con l’altro una identità nuova di sé, e se a questo aggiungiamo che l’altro

41
Cfr.A. MANENTI, Intersoggettività, in Tredimensioni 3 (2006), 277. 

42
Una lettura di indole mistica-spirituale da una prospettiva cristiana su questa intuizione di Heidegger viene
realizzata da Michel de Certeau. Questo gesuita francese mette l’accento principalmente sul fatto che l’io non
potrebbe mai raggiungere la sua realizzazione senza gli altri e senza l’Altro. M. DE CERTEAU, Mai senza l’Altro,
Qiqajon, Torino 1993.
43
Cfr. A. MANENTI, Intersoggettività, 278.
44
Cfr. Ibid., 278-279.

27
porta anche le caratteristiche della sua cultura che si incontrano con le nostre caratteristiche
culturali, possiamo anche ipotizzare che l’influenza della cultura nella costruzione dell’identità
della persona è significativa. Per approfondire questo tema ci serviranno come guida le
riflessioni riportate in alcuni articoli della rivista Tredimensioni45.
La premessa da cui partiamo è che l’interculturalità e la costatazione di essere in un
cambiamento d’epoca, che produce di conseguenza numerosi cambiamenti culturali, sono due
aspetti che devono essere trattati con la dovuta attenzione nella formazione. Il passo successivo
è quello di precisare, senza pretesa di esaustività, cos’è la Cultura. Tripani sostiene che la
cultura sia quella serie di risposte che un dato popolo dà ai problemi e alle domande del vivere.
A quali «domande del vivere»? A quelle che riguardano la gestione di tutti gli aspetti della vita:
bisogno di sopravvivere, di difendersi, di relazionarsi, di produrre, bisogno di senso, di affetto
e di trascendente... Non esiste popolo che non abbia cercato di dare risposte ai problemi
fondamentali della vita (nascita, morte, uomo e donna, sessualità...); l’elaborazione delle
risposte dipenderà in parte anche dall'ambiente in cui quel popolo vive (la varietà di vocaboli
con cui gli esquimesi descrivono la neve non la si trova nelle lingue dei popoli del deserto, che
hanno poca familiarità con la neve). L’elaborazione, poi, si evolve: sempre sorprende constatare
la dimensione dinamica delle culture, in tensione, in molti luoghi, tra tradizione,
modernizzazione e messaggio evangelico. L'esistenza dei cambiamenti culturali è forse una
delle maggiori sfide delle culture stesse46.
Questa definizione di cultura ci permette di cogliere il suo problematico legame con la
formazione: «Che posizione bisogna prendere quando le diverse risposte culturali escono dal
loro isolamento ed incominciano ad incontrarsi?» Possiamo cadere nella tentazione di
rispondere, dicendo che queste differenze culturali si limitano a differenze relative solo a certe
abitudini, come per esempio nel mangiare. Oppure immaginare che esiste una differenza tale
per cui sarebbe realmente impossibile propiziare una vera comunicazione tra soggetti di diverse
culture.
Ciò che ci può aiutare per una sintesi più positiva è l’affermazione che la Tripani
propone per trattare il tema: «Ogni persona è da un certo punto di vista come tutti gli altri, come
alcuni altri, come nessun altro»47. Questa espressione ci fa vedere che esiste un universale, un
“culturale”, un unico: natura, cultura, psicologia. C'è la comune umanità, il «siamo tutti uguali».

45
Soprattutto prenderò in considerazione gli articoli di: G. TRIPANI, Formazione e culture. Come tutti, come
qualcuno, come nessuno, in Tredimensioni 5 (2008), 183-196; P. MAGNA, Gli atteggiamenti dei formatori di fronte
a giovani di altre culture, in Tredimensioni 14 (2017), 165-175.
46
Cfr. G. TRIPANI, Formazione e culture. Come tutti, come qualcuno, come nessuno, 184.
47
Cfr. Ibid,185.

28
C'è la configurazione culturale, data dall'interazione di questa comune umanità con il contesto
particolare. C'è la variabilità individuale, l'irripetibilità del soggetto che non è come un altro, e
che tuttavia, nella sua unicità, riconosce alcuni che “funzionano” come lui e scopre che tutti gli
sono simili.
Ma se non si fa questa comprensione della diversità a tre livelli si corre un triplice
rischio: a) appiattire sull’unico senza tener conto del culturale, come se il contesto non spiegasse
proprio nulla; b) si riduce tutto al culturale formulando, ad esempio, discorsi basati sul «da
noi..., mentre da loro...»; c) si ritiene tutto universale, dando per scontato che tutto vale per tutti,
che le differenze sono limiti o infedeltà, che non c’è variabilità individuale o culturale
consentita48.
La Tripani fa anche cenno alla differenza culturale geografica, che presenta il problema
di capire se certi atteggiamenti rispondano veramente a situazioni in cui nella cultura si
privilegiano certe difese piuttosto che altre o stiamo parlando di caratteristiche proprie della
personalità. Inoltre c’è il problema della differenza culturale generazionale, che all’interno delle
congregazioni diventa più comune e più conflittuale49.
Proseguendo la nostra autrice affronta la possibilità di capire o far capire una cultura, e
formula tre domande che guidano la sua riflessione: “conosco a sufficienza? … amo a
sufficienza? … dialogo a sufficienza?” Per mezzo di queste domande sottolineiamo l’accenno
all’interpatia, termine coniato da Ausburger che indica la possibilità di entrare in contatto con
una cultura non solo cognitivamente, ma anche affettivamente, cogliendo la coerenza interna
che connetta i vari elementi della cultura in relazione tra loro e rispettando quella cultura con i
suoi punti di forza e le sue debolezze, ritenendola come ugualmente valida rispetto alla
propria50.
Dall’articolo più recente di Paola Magna51 evidenziamo la necessità di puntualizzare le
problematiche relative all’identificazione di una cultura e di fare una distinzione di fondo,
tenendo a mente allo stesso tempo il rapporto educativo. Ad esempio, dice la nostra autrice, che
non basta chiedersi che cosa significa od esprima la cultura. È fondamentale domandarsi:
“Come funziona? A che cosa serve?” Perciò suggerisce una domanda di fondo che dovrebbe

48
Cfr. Ibid.
49
Il tema della postmodernità è presente in questo conflitto generazionale che può provocare o l’idealizzazione
del giovane che si mostra molto capace di condurre qualsiasi missione che si li proponga, o la visione negativa che
vede a questo giovane incapace di assumere certi incarichi di responsabilità perché è esposto alla possibilità di
soffrire un burnout.
50
D. W. AUGSBURGER, Pastoral counseling across cultures, Westminster Press, Philadelphia 1986, p. 17. Op. cit.
in G. TRIPANI, Formazione e culture. Come tutti, come qualcuno, come nessuno, 189.
51
P. MAGNA, Gli atteggiamenti dei formatori di fronte a giovani di altre culture, 166.

29
accompagnare il discernimento: “Ciò che questa persona proclama come un valore della sua
cultura, come opera di fatto nella sua realtà personale e interpersonale, esprime davvero un
valore o potrebbe servire a gratificare un bisogno inconscio, incompatibile con il dono di sé
evangelico?” Di conseguenza il punto centrale sarebbe il distinguere l’atteggiamento culturale
dal valore culturale, giacché il primo, anche quando è proclamato come valore, può funzionare
come gratificazione di bisogni che non favoriscono la crescita e quindi si tratta di un bene
apparente.
Una regola da tenere presente, ci dice la Magna, è la seguente: un atteggiamento
culturalmente espresso ed accolto dal giovane opera come un valore nella misura in cui lo
persegue come un bene oggettivo, come qualcosa di importante in sé, cioè come una realtà da
cui lui per primo vuole e può lasciarsi cambiare per amore. In questo senso il cammino del
giovane dovrà essere guidato da due obiettivi fondamentali: a) gli atteggiamenti particolari della
sua vita quotidiana (anche quelli specifici di ogni cultura particolare) sono vissuti in armonia
con i valori universali del Vangelo; b) tali valori evangelici sono internalizzati, cioè vissuti
come una forza che muove dall’interno e nella direzione del bene oggettivo, quindi nel
superamento di sé e, in un certo senso, nel superamento della propria cultura particolare. Perciò
un primo passo pratico dentro la formazione di giovane di una cultura diversa da quella del
formatore, esigerebbe una serie di colloqui piuttosto frequente.
Per la nostra autrice il passo da fare dopo quello di formulare le domande è quello di
suscitare nel giovane la formazione di una identità stabile. Stiamo parlando quindi della identità
personale, che nasce del rapporto tra il proprio Io-attuale e l’Io-ideale. Questo cammino
formativo non è facile per il fatto che i giovani si trovano nella condizione di dover esporre la
parte più intima di sé, quella più fragile e quasi sempre ferita. Allo stesso tempo questo esige
da parte dei formatori un grandissimo tatto, pazienza e gradualità52.
Come terzo punto la Magna espone il problema delle relazioni multiculturali indicando
che un primo passo verso un atteggiamento del genere, sarebbe quello di relativizzare le
rispettive culture e formulando un apprezzamento realistico della cultura dell’altro. Di fronte a
questo è possibile la comunione dei valori se la persona supera il conformismo e la competitività
conflittuale. In questo senso la comunicazione diventa fondamentale giacché tocca non solo il
livello linguistico, ma anche quello emotivo, personale e culturale. Ciò implica, dice la nostra
autrice, il compito formativo di educare ad una comunicazione diretta ed efficace e di vigilare

52
Cfr. Ibid. 167.

30
che la cultura non diventi un alibi per atteggiamenti di chiusura ed egocentrismo, riconoscibili
dall’unidirezionalità e rigidità.
Un altro elemento importante nelle relazioni multiculturali è quello dello stile
comunicativo. La Magna suggerisce di esprimere questo stile comunitario non facilitativo in
due modi: come stile valutativo e come stile descrittivo.
Un ulteriore aspetto, considerato da Paola Magna, è quello della dimensione sovra-
personale di gruppo e di istituto. Il primo passo sarebbe quello di distinguere il valore
condivisibile nel quale l’istituto è chiamato ad operare. Per valore convenzionale si intende il
valore acquisito attraverso apprendimento e consuetudini, all’interno di un contesto culturale
omogeneo che ne garantisca la stabilità. Per favorire questo passaggio dell’istituzione stessa di
appartenenza, possono essere utili alcuni accorgimenti: a) fare attenzione ai vari sottogruppi
presenti nell’istituto, ai microcosmi culturali che lo compongono; b) analizzare le modalità
collettive di comunicare, di esprimere le emozioni o di risolvere i problemi, il livello di
conflittualità che si produce all’interno; c) fissare regole semplici per animare una discussione
comunitaria che abbia un riverbero positivo anche sul modo di pensarsi dell’istituto stesso,
particolarmente utili in un contesto multiculturale e nella formazione iniziale. Ad esempio53:
- incoraggiare l’esposizione dei diversi punti di vista, come pure delle diverse
aspettative, reazioni culturali, intenzioni e affetti implicati (per esempio, scrivendo il proprio
pensiero e poi leggendolo in una riunione di ascolto, dove non si discute sul pensiero degli
altri);
- chiedere precisazioni e valorizzare ogni intervento, facendo notare che anche una
prospettiva parziale sulle cose può avere una sua utilità per comprendere l’insieme della
situazione;
- invitare i sostenitori di punti di vista opposti ad esplicitare il loro pensiero, le loro
intenzioni ed eventualmente categorie culturali poco familiari al resto del gruppo. È utile
invitare ad esprimere il significato che ciascuno dà alle stesse parole che si usano;
- riassumere il dibattito, indirizzandolo al valore condiviso dell’intera comunità che
trascende le singole persone e le singole culture e che si riferisce sempre all’amore universale.
Tanto il tema dell’intersoggettività come quello della cultura e quello della formazione
(che è invitata a riflettere su questi temi ed a agire di modo che possa rispondere
adeguatamente), sono aspetti, caratteristiche e criteri che saranno ripresi al momento di valutare
l’esperienza vissuta nel Seminario San Pedro.

53
Cfr. Ibid., 170.

31
4.3 Il carattere strutturale della psicologia sociale

Se prendiamo in prestito la distinzione fatta da Rulla sul carattere strutturale e di


contenuto della Teoria dell’autotrascendenza teocentrica nell’amore, possiamo dire che tanto
lo studio delle fasi del gruppo come quello della sua struttura fanno parte di questo carattere
strutturale che è assunto dalla psicologia sociale.
Presenteremo di seguito il risultato dell’indagine sulle fasi di un gruppo visto dalla
prospettiva di Tuckman54 con un arricchimento di questa teoria grazie allo studio di Shepard e
Bennis. Verrà inoltre presentato anche il lavoro fatto da Backman che completa gli studi degli
altri autori.

4.3.1 Le fasi del gruppo

Bruce Tuckman55 pubblicò il suo modello delle dinamiche di gruppo nel 1965. Il
modello in origine era costituito da quattro fasi:
• forming (periodo della costituzione);
• storming (da storm, tempesta: periodo del conflitto);
• norming (periodo normativo);
• performing (periodo della prestazione).
Nel 1977 Tuckman ha aggiunto una quinta tappa, adjourning (periodo della
sospensione); in seguito altre fonti ne hanno aggiunta un’altra: quella di mourning (morte del
gruppo). Di seguito presenteremo brevemente ogni fase.
Forming (periodo della costituzione)
La differenza principale tra un gruppo casuale di persone e una squadra è l’obiettivo
comune della squadra. Quando gli individui sono dapprima riuniti, non hanno un obiettivo
comune. Essi possono essere in ansia riguardo al motivo per cui sono stati inseriti in questa
squadra; saranno titubanti circa il loro nuovo ambiente, insicuri in merito a ciò che possono
avere in comune con gli altri membri del team e confusi rispetto alla finalità del progetto o
programma.
A livello della vita interna del gruppo i membri iniziano ad orientarsi, ad osservare e si
domandano: “Quali comportamenti sono accettati dal gruppo e dal leader?” Quanto alla vita
esterna i membri cercano di capire quale sia lo scopo del gruppo.

54
B.W. TUCKMAN, Developomental sequence in small groups, in «Psychological Bullettin», 63 (1965), pp.384-
399.
55
Praxis – il framework collaborativo on line per il Project, Programme e Portfolio Management – ha una voce
Encyclopaedia in cui mette a disposizione una serie di brevi articoli per introdurre i più importanti concetti di
Project Management. Sito web di consulta: https://www.imlearning.it/tuckman/04/08/2018.

32
Storming (periodo del conflitto)
I diversi tipi di individui si comporteranno in modi molto differenti durante la fase di
formazione. Questo inizierà a suscitare conflitto tra individui o piccoli sotto-gruppi all’interno
del team. Gli individui più assertivi cercheranno di imporre un certo ordine definendo regole.
Ciò potrebbe portare alla messa in discussione della leadership, mentre viene stabilita una
‘gerarchia’.
Presumendo che un obiettivo comune sia stato identificato, emergeranno punti di vista
molto diversi su come tale scopo debba essere raggiunto.
Riassumendo, possiamo dire che a livello della vita interna del gruppo i conflitti sorgono
a motivo delle differenze tra i membri, delle reazioni emotive legate alle loro differenze, delle
aspettative individuali che non coincidono. Quanto alla vita esterna del gruppo vi sono diverse
reazioni emotive al compito (resistenza o entusiasmo)
Norming (periodo normativa)
Non appena i problemi e i conflitti della fase storming vengono risolti, il team comincia
a stabilizzarsi e concentrarsi su attività e questioni piuttosto che sulle personalità.
L’accettazione di valori e comportamenti comuni si sviluppa attraverso una comunicazione
aperta che promuove una revisione costruttiva e offre suggerimenti alternativi.
Il team sta cominciando a diventare un’unità coesa, che lavora veramente come una
squadra con le sue capacità di essere più grande della somma delle sue singole parti.
Nella vita interna del gruppo le norme consentono una maggiore coesione tra i membri
e chiariscono i ruoli e le responsabilità; le norme favoriscono la discussione tra i membri. A
livello della vita esterna il gruppo scopre di aver bisogno di alcune regole per lavorare insieme
Performing (periodo della prestazione)
In questa fase il team lavora come unità focalizzata. Vi è collaborazione tra i membri
del team per risolvere i problemi con un visibile cambiamento di mentalità: dall’‘io’ al ‘noi‘.
Vi è una responsabilità condivisa per l’obiettivo comune e gli individui sono abbastanza sicuri
di fornire nuove idee per risolvere i problemi che sorgono.
Gli individui mostrano flessibilità, con una maggior chiarificazione dei ruoli e una
delega dell’autorità che funzionano in modo efficiente.
Adjourning (periodo della sospensione)
Questa è la fase che si presenta non appena il progetto o programma intraprende il
processo di chiusura e la smobilitazione è vicina. Dal momento che le idee di alcuni membri
del team potrebbero concretizzarsi dopo il progetto, costoro potrebbero prestare meno
attenzione al lavoro in corso.

33
Questo potrebbe essere un momento pericoloso per il manager concentrato su una
scadenza che si avvicina rapidamente e per gli stakeholder, che sono improvvisamente più
motivati a partecipare poiché si avvicina il momento della consegna.
La vita dei membri del team dopo la conclusione del progetto o programma è fuori dal
controllo del manager, ma le prestazioni di ogni membro del team sono influenzate dalle
preoccupazioni per il loro futuro. Deve quindi essere interesse del manager lavorare, con i
membri del team per placare le loro preoccupazioni.
Mourning (morte del gruppo)
La fase finale probabilmente è di ‘lutto’. Anche se vi saranno alcuni progetti e
programmi da cui alcuni membri del team non vedranno l’ora di allontanarsi, laddove il
progetto è stato gestito bene e un membro del team ha lavorato duramente per produrre un
grande risultato, ci sarà inevitabilmente un senso di perdita.
La fase di ‘lutto’ non è un grande problema alla fine del progetto o programma, poiché
avviene dopo la chiusura. Il suo effetto principale si ripercuote sul manager nella prima fase di
lavoro successivo, dal momento che deve mettere insieme un gruppo di persone per formare
una nuova squadra, alcune delle quali sono ‘in lutto’ per la fine dell’ultimo team. E così il
cerchio si chiude.
L’approccio migliore per motivare i membri del team consiste nello scoprire che cosa è
andato ‘bene‘ e cosa ‘male‘ riguardo all’ultimo progetto o programma, e incoraggiare gli
individui a utilizzare la loro esperienza per fare del progetto corrente un progetto migliore.

4.3.2 L’area della dipendenza e l’area dell’interdipendenza

Per approfondire l’argomento relativo alle fasi del gruppo è necessario presentare
l’indagine fatta da Sheppard e Bennis56. Essi hanno studiato un solo gruppo per più tempo,
cercando di osservare ciò che avveniva nelle diverse fasi a partire da due aree strategiche: l’area
della dipendenza e l’area dell’interdipendenza.
L’area della dipendenza è il risultato dell’osservazione della relazione con l’autorità
caratterizzata da ribellione o sottomissione, ritiro o dominazione. Nella fase della dipendenza
si verifica la dipendenza o la controdipendenza.
Sempre dentro all’area della dipendenza, la tendenza alla sottomissione si percepisce
dal fatto che all’inizio c’è ansia: i membri cercano un argomento o un tema, non per un reale
interesse, ma per placare la loro ansia. Il gruppo cerca un leader, reale o immaginario, che lo

56
W.G. BENNIS- H.A. SHEPARD, A Theory of Group Development in «Human Relations», 9 (1956) 415-437; P.
SCILLIGO, Dinamica dei gruppi, SEI, Torino1973, 70 ss.

34
aiuti a superare il disagio o che intervenga con qualche proposta. I dipendenti si adeguano
volentieri al leader perché si sentono impotenti. I controdipendenti denunciano invece
l’incapacità del leader: “Qui non si fa niente!”, manifestando rabbia e ansia
Quanto alla contradipendenza si osserva che i controdipendenti sono mossi da un senso
di onnipotenza e vedono nel leader un incapace oppure un avversario da temere o da cui
guardarsi. In questo modo il leader alla fine viene escluso/eliminato da tutti perché i dipendenti
continuano a sperare nei suoi “poteri magici”, gli altri lo ritengono inadeguato.
Come terzo aspetto individuato nella fase di dipendenza, possiamo fare la constatazione
che in ogni gruppo c’è un numero di “indipendenti”, cioè dei membri che non si identificano
nelle due correnti. Questi sono visti dal gruppo come persone più libere e assumono perciò lo
status di “leader temporanei”. Essi sollecitano inoltre la mutua responsabilità dei membri e un
coinvolgimento emotivo da parte di tutti.
L’Area dell’interdipendenza invece fa riferimento all’intimità tra i membri,
caratterizzata da competizione o cooperazione, distacco o coinvolgimento, manipolazione o
sincerità. Nella fase dell’interdipendenza si verifica il comunitarismo e l’individualismo.
Anche nell’area dell’interdipendenza ci sono degli aspetti che l’indentificano. La
risoluzione consente di superare lo stallo e fa entrare il gruppo in una fase di incanto. C’è anche
il rischio di un’atmosfera artificiale per la paura dell’intimità: “Quanto mi posso aprire? Quanto
mi posso fidare?” A questo punto i membri vivono come se indossassero delle maschere: nulla
deve turbare l’armonia ritrovata ma rimane un’insoddisfazione interiore.
Dall’incanto si passa al disincanto dove si scopre che si creano per reazione due
sottogruppi: i comunitari vogliono mantenere l’incanto, gli individualisti non lo sopportano più.
Ma entrambi si difendono dal rischio dell’intimità: i primi evitando il coinvolgimento
personale, gli altri cercandolo in modo incondizionato.
Finalmente abbiamo la validazione consensuale. In questo momento emergono i
membri maturi che fanno da ponte: riconoscono i limiti e le opportunità di ciascuno. Questi
favoriscono il dialogo, il confronto e la cooperazione tra tutti. In seguito ciascuno impara a
condividere i propri modi di pensare e di agire.
In entrambe le fasi, la crescita del gruppo dipende dalla presenza di persone libere e
mature nella dipendenza dall’autorità e nell’interdipendenza. Non è detto che le fasi e le
rispettive sottofasi vengano superate si può produrre una “fissazione” di gruppo.
Il ruolo del leader è molto importante per favorire la crescita del gruppo. Se il leader è
riuscito a sostenere la sua “esclusione” ed è stato capace di vivere la solitudine, il gruppo può
imparare ad affrontare meglio la fase dell’interdipendenza. In questo modo possiamo

35
concludere che un leader “serve” sempre, anche quando deve ritirarsi o sopportare la
frustrazione.
Un ultimo aspetto da considerare è quello dell’intimità. Questa presuppone e consolida
l’individualità di ciascun membro e favorisce un sano rapporto con l’autorità.

4.3.3 Aspetti strutturali di un gruppo

Riteniamo importante sottolineare gli aspetti strutturali che fanno parte della dinamica
di gruppo, questo perché come indicava Backman57, la struttura ci indica lo studio delle
regolarità che presentano i gruppi. In questa osservazione della struttura del gruppo ci sono
elementi di integrazione e differenziazione. Tra gli elementi di differenziazione abbiamo
l’attrazione, l’influenza sociale (funziona in forma positiva e negativa) e lo status (stima -
valore, che ha un membro all’interno del gruppo). Come elementi d’integrazione abbiamo la
comunicazione, le norme (sono le regole e anche i comportamenti considerati normali nel
gruppo) e la leadership (la figura di autorità che c’è nel gruppo).
Approfondendo gli elementi di differenziazione, Backman afferma che l’attrazione è
una forma di natura affettiva che crea la differenza in un gruppo (preferenze). Al riguardo
Backman riconosce che, usando il test di Moreno, si potrebbero riconoscere delle categorie che
influiscono al momento della scelta dei partecipanti a un gruppo di lavoro: “Se dovessi scegliere
uno dei membri del gruppo per un lavoro (particolarmente impegnativo), chi sceglieresti?” Di
solito in questa scelta il criterio affettivo prevale (viene scelta la persona con la quale ci si sente
meglio che non sempre coincide con la persona con cui si condividerebbe anche il tempo
libero). A partire da questo test si possono distinguere dentro al gruppo le persone che sono
considerate stelle (che sono gli individui scelti da una grande maggioranza di membri), gli
isolati (che vengono scelti da pochi) e le cricche (gruppo piccolo o sottogruppo che tende a
rimanere chiuso).
Backman parla inoltre di altri test sociometrici, analisi per matrici - analisi per indici e
coesione, che possono servire per capire il tipo di relazione che si realizzano all’interno del
gruppo.
I risultati sperimentali indicano che i membri di un gruppo tendono a scegliere: a) coloro
con i quali hanno maggiore opportunità di interagire; b) coloro che possiedono caratteristiche
maggiormente desiderabili dal punto di vista delle norme e dei valori del gruppo; c) sono

57
SECORD P.F. - BACKMAN C.W., Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1971, stralci dalla 3a parte, 455-668.

36
preferiti coloro che appaiono simili in quanto ad atteggiamenti e valori e; d) coloro da cui si
sentono scelti o giudicati favorevolmente.
Diverse sono anche le teorie che provano di spiegare il fenomeno dell’attrazione. Una
delle prime è definita “Teoria dell’equilibrio”, che sostiene che se c’è qualcosa che piace ad
entrambi, questo li unisce. Poi c’è la teoria della complementarietà dei bisogni che osserva che
quando c’è un individuo che ha lo stesso bisogno dell’altro ma uno dei due lo esprime in modo
più significativo, si completano (a uno piace parlare tanto e all’altro poco, allora si scelgono,
complementarietà del bisogno). Abbiamo pure la teoria della coerenza interpersonale che
sostiene che l’individuo che viene scelto è perché il suo comportamento è conforme al
comportamento che l’altro ritiene come valido (questa persona tenderà a confermare
l’immagine che l’altro ha di sé stesso). Per ultimo abbiamo la teoria dello scambio che spiega
la formazione delle amicizie nei termini seguenti: quando gli estranei si incontrano essi
esplorano le possibilità di rapporti di interazione fra loro, fanno un calcolo indicativo dei
vantaggi che possono ottenere da ciascuno di questi possibili rapporti di interazione prendendo
in considerazione solo quegli individui dai quali ritengono di poter trarre il massimo profitto
(potrebbe servire, in un gruppo cristiano, capire questa dinamica anzitutto riguardo l’azione
pastorale).
Quanto all’influenza sociale, Backman spiega che, come nel caso dell’affetto, è
anch’essa un aspetto generale del processo di interazione sociale. Considerata su una più ampia
scala, essa impronta di sé i rapporti fra le nazioni e svolge un ruolo importante nei governi e
nei partiti politici. Quanto ai fattori determinanti dell’influenza, si possono distinguere tre
classi: le risorse di un individuo (qualità, aspetti del comportamento, ricchezza), i rapporti di
dipendenza (chi ha meno risorse tenderà a dipendere da chi ne ha di più), la possibilità di trovare
alternative (esempio: l’influenza diminuisce quando aumenta la concorrenza).
Ci sono alcune strategie per superare il disequilibrio che presenta l’influenza sociale
nella vita del gruppo: a) ritirarsi dal rapporto “Tu per me non conti”; b) far credere di aver
trovato un’alternativa migliore: “Mi trovo meglio con Alfonso piuttosto che con te”; c) creare
un nuovo status differenziale: “Penso che tu sia il migliore del gruppo”, così che un altro mi
possa apprezzare; d) formare una coalizione per il controllo: “Qui comando io”.
Come terzo elemento strutturale dentro della categoria alla differenziazione Backman
parla dello Status. Per “status” intendiamo il valore che un gruppo tende ad assegnare ai suoi
membri. Lo status dipende dal grado in cui le caratteristiche personali o il comportamento di
un individuo contribuiscono all’affermazione dei valori del gruppo o alla soddisfazione dei suoi
bisogni/scopi/obiettivi.

37
Tra i fattori che determinano lo status abbiamo: a) le qualità o aspetti piuttosto rari e per
questo motivo invidiabili; b) il rapporto tra costo e beneficio (viene apprezzato chi ha lavorato
maggiormente o ha sopportato tante fatiche o ancora ha corso dei rischi); c) i titoli di merito (si
riferiscono alla storia personale e/o al curriculum vitae).
Dopo gli elementi di differenziazione, Backman presenta gli elementi di integrazione
tra i quali emerge in primo luogo la comunicazione, che ha, come afferma Bales, una
dimensione ascensionale. Questo vuol dire che la comunicazione si indirizza verso la persona
che ha uno status più elevato. Di conseguenza la comunicazione tende a essere diretta con la
persona dello stesso status. Ma se lo status è incerto o diseguale (l’altro viene valutato inferiore)
si preferisce evitare la comunicazione.
Il secondo aspetto che favorisce l’integrazione sono le norme. La norma è uno standard
che rivela l’aspettativa di un comportamento condivisa dai membri di un gruppo in base alla
quale essi giudicano l’adeguatezza o meno dei loro sentimenti e del loro comportamento e la
validità dei loro sentimenti e delle loro percezioni. Una norma rivela quindi una triplice
dimensione: cognitiva (giudizio), conativa (definisce se il comportamento è giusto o sbagliato)
e affettiva (sentimenti). Inoltre le norme sociali sono il risultato di un grado di consenso, in
assenza di riferimenti chiari (effetto autocinetico). La conformità alle norme offre dei vantaggi
ad alcune categorie di persone: a) a coloro che hanno un bisogno di accettazione sociale (bassa
stima di sé); b) a coloro che hanno un bisogno di approvazione sociale (ricerca del prestigio).
Rimane ancora da considerare un terzo elemento all’interno dell’integrazione che è
quello della leadership. Il leader ha un ruolo funzionale (realizzare gli obiettivi di un gruppo) e
un ruolo socio emotivo (tenere alto il morale del gruppo). Le funzioni di un leader sono: a)
contribuire alla definizione degli obiettivi; b) guidare il gruppo verso la realizzazione degli
obiettivi; c) migliorare la qualità dei rapporti; d) favorire la coesione del gruppo.

38
CAPITOLO II
STUDIO FENOMENOLOGICO DEL RAFFORZAMENTO DELLA
DIMENSIONE ACCADEMICA CON UN GRUPPO DI SEMINARISTI DEL
SEMINARIO SAN PEDRO DI PORTOVIEJO (ECUADOR)

1. SITUAZIONE DEL SEMINARIO MAGGIORE SAN PEDRO

Creato nel 1992, il Seminario Maggiore San Pedro è stato fin dalla sua istituzione molto
apprezzato dalla Arcidiocesi di Portoviejo58 perché rappresentava un segno prezioso del suo
sviluppo dopo tanti anni di persecuzioni politica anticlericale. La possibilità di avere un centro
di formazione di questo genere è stato, per molto tempo, un sogno impossibile da realizzare,
sebbene sia stato tra gli interessi principali della gestione pastorale dei vescovi.
Questo progetto non potrà realizzarsi fino al 1989 quando fu nominato come sesto
vescovo della diocesi José Mario Ruiz Navas, che finalmente poté realizzare questo progetto
diocesano. Il primo passo che decise di fare fu di coinvolgere tutti i preti presenti in quella
epoca (appena 8 erano nativi) e i laici più impegnati nel processo d’evangelizzazione. Riuniti
in assemblea diocesana, si iniziava il processo di fondazione con uno studio della realtà
diocesana. Questa indagine includeva anche uno studio degli aspetti culturali che potevano
favorire od ostacolare la risposta alla vocazione sacerdotale. Inoltre, c’era anche il problema
riguardante all’équipe formativa, che troverà soluzione grazie all’aiuto della Diocesi di Jaen
(Spagna), con l’invio di tre sacerdoti preparati per la formazione.
Durante i primi anni della sua esistenza, il Seminario San Pedro ha visto fiorire
paradossalmente59 di numerose vocazioni, ma la crisi contemporanea caratterizzata dalla

58
Useremo come fonte di consultazione principalmente i dati forniti da un lavoro dell’Arcidiocesi di Portoviejo
chiamato “Modello di Situazione”.
59
Tra i primi ostacoli che ha dovuto superare Mons. Jose Mario Ruiz c’era la convinzione della maggioranza di
collaboratori della diocesi che la provincia di Manabi non poteva, a causa delle sue caratteristiche culturali, avere
vocazioni al sacerdozio ministeriale.

39
secolarizzazione, dell’individualismo, della crisi economica e anche della crisi ecclesiale,
hanno fatto calare considerevolmente il numero di seminaristi. Mentre nel 2005 c’erano circa
65 seminaristi, nel 2013 erano solo 36.
Una caratteristica dei seminaristi è che la maggioranza viene dalle zone rurali. Per
esempio nel 2013, dei 36 seminaristi, 21 vengono dalle zone rurali, questo equivale al 58,33%
del totale dei seminaristi. Questo aspetto coincide con la realtà socio-culturale della provincia
che ha un 55% della sua popolazione residente nelle zone rurali60. Inoltre la loro situazione
familiare non era chiaramente l’ideale. Dei 36 seminaristi del 2013, 24 vengono da famiglie
che si trovano in situazione irregolare61.

1.1 Situazione etnico-culturale della provincia di Manabi

Si può pertanto i seminaristi che frequentano il Seminario portano con sé soprattutto una
mentalità tipica della campagna, originata principalmente da gruppi etnici come i meticci,
mulatti, indigeni, afroecuatoriani e montuvios. Questi gruppi sono localizzati in precise zone
della provincia, ma si incontrano tutti nelle città62, nelle quali portano le loro culture. Ogni
gruppo presenta delle caratteristiche che favoriscono od ostacolano la risposta del giovane alla
chiamata di Dio nel cammino sacerdotale.
Di seguito presenteremo brevemente questi gruppi63:

Meticci

Si caratterizzano per essere un gruppo che vive una grande religiosità popolare. Oltre
ad essere il gruppo più numeroso (69,7% in Manabí64), ha delle tradizioni e dei modi di pensare
che risentono in parte delle tradizioni dei popoli europei (spagnoli principalmente, tedeschi e
italiani), dei popoli indigeni (principalmente delle culture manteña e caras) e dei popoli
afroecuadoriani. Questo sincretismo culturale ha provocato alcuni problemi in quanto alla
identificazione di questo gruppo e anche sulla sua capacità o no di sviluppare un senso di
appartenenza65. Perciò possiamo notare, a seconda della maggiore o minore tendenza

60
INEC, Censimento del 2010.
61
Chiamiamo famiglie in situazione speciale: divorziati, senza matrimonio ecclesiastico, abitare con i nonni o
altro parente, solo con la madre, figli non riconosciuti dal padre ecc. Tutti questi casi sono presenti nel Seminario.
62
Nonostante sia Manabi una provincia con una maggioranza di abitanti nelle zone rurali, ha tre città sopra i cento
mille abitanti: Portoviejo 280 000, Manta 225 000 e Chone 130 000.
63
Dati ottenuti dal censimento del 2010 e dal Modello della Situazione.
64
Il territorio della provincia di Manabi coincide con il territorio della Arcidiocesi di Portoviejo. È la terza
provincia dell’Ecuador per numero della popolazione, 1 537 000 abitanti.
65
Questo tema è molto importante al momento di parlare sulla costruzione di una società (un paese), ed è altrettanto
importante quando parliamo della appartenenza alla Chiesa intesa dentro del contesto geografico e culturale in cui
abita la persona. Al riguardo Paola Magna ci offriva alcuni punti che possono servire come una guida per valutare

40
all’identificarsi con i creoli66, un atteggiamento di disprezzo ed emarginazione di fronte agli
altri gruppi etnici. Se invece si percepiscono più vicini ai gruppi indigeni e afroecuadoriani si
mostrano molto più aperti all’integrazione e alla difesa dei loro diritti. Inoltre, questo sarebbe
il gruppo più esposto alla perdita di tradizioni data l’influenza della globalizzazione e alla già
citata mancanza di identità.
Ancora all’interno di questo gruppo etnico, meritano speciale menzione i “montuvios”.
Il loro nome proviene dalla parola “erba” (monte in spagnolo) che denomina agli abitanti della
zona montagnosa del litorale ecuadoriano. Questo gruppo ha delle caratteristiche più accentuate
rispetto a quello che si può dire dei meticci in genere. Per esempio organizzano “rodeos
montuvios”, combattimenti di galli. Hanno tante manifestazioni di folclore che si esprimono
nei canti, poesie, balli, sagre ecc. A livello dei rapporti interpersonali si lasciano influenzare
facilmente dalla mentalità maschilista (sessista) e conformista. Come valori condivisi dal
gruppo hanno l’umiltà, il rispetto e il senso del lavoro. Si mostrano gentili e accoglienti e anche
superstiziosi. Nel rapporto con la natura tendono ad essere degli sfruttatori più che dei
protettori.

Indigeni manabita (cholo)

Questo gruppo non ha una identità significativa nel panorama etnico culturale
dell’Ecuador. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che i suoi membri si ritengono anche loro
meticci. Comunque hanno anch’essi delle caratteristiche come, per esempio, il fatto di essere
un popolo di pescatori, degli spendaccioni, rancorosi e testardi. Sono superstiziosi e di solito
non esprimono il loro modo di vivere a chi viene considerato un estraneo. Vivono un lutto
prolungato e possiamo dire che praticano una sorta di culto per il defunto. A livello della pratica
religiosa sono più attaccati alla ritualità che al compromesso cristiano.

una situazione conflittuale che forse ha di vedere con un problema culturale: “Per favorire questo passaggio
dell’istituzione stessa di appartenenza, possono essere utili alcuni accorgimenti: a) fare attenzione ai vari
sottogruppi presenti nell’istituto, ai microcosmi culturali che lo compongono; b) analizzare le modalità collettive
di comunicare, di esprimere le emozioni o di risolvere i problemi, il livello di conflittualità che si produce
all’interno; c) fissare regole semplici per animare una discussione comunitaria che abbia un riverbero positivo
anche sul modo di pensarsi dell’istituto stesso, particolarmente utili in un contesto multiculturale e nella
formazione iniziale”. Cfr. P. MAGNA, “Gli atteggiamenti dei formatori di fronte a giovani di altre culture”, 168.
66
Criollos di razza bianca o caucasici, sono i discendenti degli spagnoli che non si sono mescolati con altri gruppi
della popolazione. Poi nell’Ottocento come a inizi del secolo XX sono arrivati nuovi gruppi europei come tedeschi
e italiani. In Manabi un 5% della popolazione si considera bianca.

41
Mulatti (afroecuadoriani)

Anche loro sono il risultato del processo di meticciato in America. Ma sono allo stesso
tempo molto vicini alle tradizioni ed abitudini del popolo afroecuadoriano. Ciò vuol dire che
sono abili nella pesca e sono più rispettosi nei confronti della natura. Inoltre sono un popolo
religioso, infatti la maggioranza delle loro feste ruotano attorno alle celebrazioni religiose.
Hanno spesso problemi di alcolismo e sono legati alla terra e alle loro tradizioni. Presentano
molte difficoltà nell’imparare a leggere e scrivere. Rappresentano un 6% della popolazione di
Manabi.

1.2 Analisi della componente etnico-culturale nei seminaristi del Seminario San Pedro

Dei 36 seminaristi che facevano parte del Seminario nel 2013, 7 erano prevalentemente
‘cholo’ o indigena manabita, 15 erano prevalentemente ‘montuvio’, 10 erano prevalentemente
‘meticci’ abitanti delle città, 2 erano bianchi (uno era italiano), 2 erano prevalentemente
‘mulatti’.
Possiamo notare che esiste una maggioranza del gruppo ‘montuvio’, che spiegherebbe
perché certi valori, come per esempio il senso del lavoro, il rispetto e l’umiltà hanno una
considerazione speciale tra tutti seminaristi. Allo stesso tempo impongono la loro visione
maschilista, sessista e conformista. Di solito valorizzano di più lo sport e sono molto severi con
quelli che non entrano in questa dinamica. Questo è un gruppo etnico che collabora bene con
gli altri gruppi, ha una tendenza alla sottomissione e quindi sono propensi ad essere manipolati;
se sono causa di esclusione dentro al Seminario, ciò è dovuto alla poca condivisione da parte di
qualche individuo a causa del loro modo di vedere le cose, ma è una esclusione del singolo e
non del gruppo etnico concreto.
Il secondo gruppo più numeroso è quello dei meticci delle città. Abbiamo voluto fare
questa distinzione con i montuvios perché, hanno delle caratteristiche diverse, sebbene abbiano
in comune tanti aspetti. Una caratteristica è che presentano una maggiore difficoltà nello
sviluppare il senso d’appartenenza. Il secondo aspetto viene di conseguenza al primo, e si
riferisce alla tendenza ad essere influenzati dai cambiamenti culturali attuali, quindi sono
propensi ad assumere di più il profilo dell’uomo postmoderno. Di solito da questo gruppo
proviene la leadership tra i seminaristi.
Il terzo gruppo quello dei ‘cholos’, si caratterizza per una tendenza alla sottomissione,
che però la vivono con “rancore” (in questo aspetto si differenziano dai montuvios che pur
manifestando sottomissione, non arrivano al rancore). Ciò vuol dire che vivono questa
situazione con aggressività-passiva. Di solito è il gruppo che evidenzia maggiori problemi

42
nell’ambito accademico e il meno comunicativo. Inoltre si mostrano più interessati agli aspetti
liturgici.
Gli altri due gruppi sperimentano un cammino diverso. Mentre i bianchi vengono
rispettati e considerati, i mulatti sono emarginati e soffrono spesso di scherzi a sfondo razzista.
Ma dobbiamo dire che, allo stesso tempo, poiché sono molto abili nello sport, sono in parte
integrati con il gruppo dei montuvios. I mulatti hanno grossi problemi nell’ambito accademico,
mentre i bianchi sono di solito sopravalutati.

1.3 Situazione familiare

Secondo l’istituto di statistica nella provincia di Manabi la media dei membri della
famiglia va da 3 a 4.
Il fenomeno che destabilizza di più il sistema familiare è la migrazione. Tanti migranti
lasciano dietro di sé una famiglia frammentata, per cui i figli si sono obbligati a vivere senza
uno dei genitori. Il compito dei genitori, nella maggioranza dei casi, passa a essere
responsabilità dei nonni o di qualche parente vicino, e addirittura di qualche fratello o sorella
più grande. Di conseguenza la famiglia soffre una sorta di instabilità che non favorisce lo
sviluppo di un’educazione integrale nei giovani. Tuttavia è vero che questo movimento
migratorio ha permesso un sensibile miglioramento economico.
Insieme a questo fenomeno migratorio ci troviamo ad assistere al fenomeno del sorgere
di nuovi stili di famiglie. Questo significa che diminuisce il numero di famiglie che vivono
secondo il modello tradizionale. Da una parte ciò accade perché i figli senza genitori vengono
accolti nella famiglia allargata, dall’altra perché in realtà abitano sia solo con la madre oppure
(pochi casi) solo con il padre.
In quanto alla pratica religiosa, dobbiamo dire che questa è molto più vissuta da parte
delle donne ed è poca la presenza dei maschi. Per questo motivo ci incontriamo ci resta
l’impressione che la famiglia sia costituita solo dalla mamma. E poi c’è anche una sorta di
sfiducia sul tema dell’orientamento sessuale di coloro che si accostano al Seminario.
A questo aspetto si aggiunge la questione della pratica sacramentale del matrimonio. È
ancora molto basso il numero di matrimoni ecclesiastici in confronto con dei matrimoni civili.
Perciò il vescovo fondatore del Seminario ha dovuto togliere il requisito che i genitori degli
aspiranti al Seminario siano sposati religiosamente.

43
1.4 Situazione educativa

Affronteremo la questione tenendo conto di due ambiti dell’educazione: la istruzione


pubblica e la formazione religiosa.
Sul primo aspetto possiamo dire che l’Ecuador, in genere, ha conseguito un
miglioramento significativo negli ultimi anni. Tuttavia c’è una grande differenza nella qualità
educativa tra le diverse regioni (l’Ecuador ha quattro regioni: Costa, Sierra, Amazzonia e
Insulare), che è ancora più accentuata tra le zone urbane e le zone rurali. In questo senso
possiamo intuire che Manabi, sia per il fatto di appartenere alla regione Costa (la Sierra
tradizionalmente ha ricevuto più benefici), sia per avere una maggioranza di popolazione
localizzata zona rurale, è una provincia che evidenzia numerosi problemi legati al tema della
istruzione pubblica.
Quanto alla formazione religiosa negli ultimi anni abbiamo vissuto l’esperienza di una
crescita costante. Tuttavia è vero che l’aumento della popolazione procede a una velocità
maggiore rispetto all’aumento dei cristiani consacrati all’evangelizzazione. Inoltre la famiglia,
intesa come scuola originaria di formazione, vive una sua propria crisi, che la limita nel
compimento del suo ruolo.

1.5 Il giovane manabita postmoderno

A questa analisi sociologica e culturale della realtà della provincia di Manabi, si deve
aggiungere un’analisi generale di questo giovane manabita, chiamato da Dio in un contesto
postmoderno. Bisogna fare una constatazione: per ragioni diverse, i giovani che oggi si
accostano ad un seminario non hanno completato alcuni compiti evolutivi fondamentali. In altre
parole, assistiamo ad un cambiamento qualitativo dei processi dello sviluppo psicologico. Con
uno slogan, si potrebbe sintetizzare questo stato di cose in una semplice espressione: i giovani
che oggi si accostano al seminario sono, dal punto di vista dello sviluppo psicologico, in grande
misura dei cantieri aperti, delle "case in costruzione"67.
La questione evolutiva intercetta importanti cambiamenti culturali che si intrecciano a
loro volta con consistenti mutamenti all'interno di alcune esperienze fondamentali quali la
comunicazione, la relazione interpersonale, la genitorialità, l'educazione e la formazione, la
corporeità, la sessualità, il genere e l'orientamento sessuale, l'etica. Anche qui il problema della

67
Questa è una espressione che ci sembra molto significativa nella comprensione e accoglienza dei giovani che si
sentono chiamati dal Signore e provano tante difficoltà nel percorso formativo che propone il Seminario, sia per
questo fattore culturale o perché come formatori non riusciamo a capire che questi giovani sono diversi ed è una
vera sfida prepararsi e trasformarsi. Cfr. S. GUARINELLI, La formazione umana nel Seminario di Milano
Prospettive e metodo, marzo 2017.

44
costruzione di una identità appare fragile e con una tendenza al rassicurarsi in parte negli
elementi tradizionali68.
Crediamo sia importante riconoscere questo elemento, per due ragioni: rispetto allo
sviluppo umano, i giovani che entrano in Seminario non sono problematici perché entrano in
Seminario, ma perché, rispetto ad alcuni compiti evolutivi siamo di fronte ad alcuni
cambiamenti epocali che sono problematici.

2. PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA

In questo contesto culturale, sociale, educativo e familiare continua a camminare il


Seminario Maggiore San Pedro che durante l’anno 2013 accoglie 36 seminaristi. Alla fine
dell’anno si incontrano professori, formatori e l’arcivescovo per valutare l’aspetto accademico.
In quell’anno 16 seminaristi non sono riusciti a superare tutti i corsi, è il numero più alto da
quando è stato fondato il Seminario, anche se diventa una costante che viene aumentando con
gli anni. Alcuni professori intervengono chiedendo di fermare il percorso di formazione di due
seminaristi che frequentano ormai il primo anno di teologia ma non riescono a superare alcuni
esami di Filosofia, esigendo da parte loro un aumento del livello accademico.
Di fronte a questa richiesta, l’equipe formativa risponde che, con particolare riguardo a
questi due casi, entrambi presentano un buon sviluppo nelle altre dimensioni della formazione,
e pertanto è ancora possibile offrire ai suddetti seminaristi l’opportunità di un aiuto accademico
nello studio. Poi si riflette su ciò che vuol dire l’espressione “esigenza accademica o livello
accademico” e come in realtà, siano tutti gli attori del processo (docenti, formatori e studenti),
coloro che sono implicati nel processo valutativo e nel raggiungimento degli scopi di questa
dimensione. Questo vuol dire che sebbene i seminaristi evidenzino dei limiti nella dimensione
accademica, è altrettanto vero che in tante occasioni, la metodologia e la pedagogia usate dagli
insegnanti potrebbero migliorare. Dobbiamo sottolineare che, nonostante questa riflessione, si
poteva percepire la sfiducia da parte di alcuni insegnanti su questa opportunità, perché
ritenevano che ci fossero dei ragazzi che semplicemente non riuscissero a raggiungere un buon
livello accademico e perciò sarebbe stato più opportuno essere sinceri con loro e farli uscire dal
Seminario.
Come si è detto prima, essendo questo un problema che da anni si stava manifestando
nel Seminario, si decise quel giorno di approfondire le cause che provocavano queste difficoltà.

68
Come abbiamo citato sopra su questo aspetto approfondisce L. BALUGANI, I preti del futuro: tra tradizione e
postmodernità, in Rivista di Pastorale Liturgica 327(2/2018), 10-15.

45
Di conseguenza, oltre alla proposta dell’aiuto accademico per 12 seminaristi69, si propose di
organizzare una giornata di aggiornamento per gli insegnanti.

3. FORMAZIONE DEL GRUPPO DI STUDIO

Prima di formare il gruppo di studio per i seminaristi, l’equipe formativa si è rivolta ad


esperti su pedagogia educativa e psicologia. Così si decide di tener conto delle caratteristiche
comuni dei seminaristi e di quelle individuali al momento di formare un gruppo di studio. Un
altro aspetto che viene considerato è la situazione della differenza di età e il tempo dentro la
formazione. La maggioranza dei seminaristi erano di filosofia, ma il gruppo che suscitava più
preoccupazione era quello di teologia, giacché appena uno su cinque aveva superato i corsi di
filosofia, invece gli altri da anni evidenziavano questa difficoltà. Inoltre c’era il problema della
differenza tra quelli che venivano dalle zone rurali e quelli che avevano studiato nella città.
Anche qui dei 12 seminaristi che formarono questo gruppo, 4 provenivano da una zona urbana
e gli altri dalla zona rurale. In quanto all’appartenenza a un gruppo etnico sappiamo che 6 erano
dei montuvios, 4 dei cholos, 1 dei mulatti e 1 dei mettici della città. Una possibile difficoltà
sarebbe potuta nascere dal fatto che alcuni di loro avevano avuto degli scontri con gli insegnanti
al punto tale da essere giudicati da loro come degli incapaci; allo stesso tempo, i seminaristi
erano consapevoli del fatto che le possibilità per superare gli esami erano quasi finite, e perciò
sarebbe stato più probabile arrivare sotto stress.
I seminaristi vivranno l’esperienza del gruppo di studio dentro il Seminario ed essa avrà
la durata di sette giorni. Questo vuol dire che condivideranno diversi spazi e momenti ai quali
già sono abituati, ma in una forma diversa. Saranno accompagnati in questa esperienza anche
dai loro formatori: D. Marco (rettore), D. Umberto (coordinatore della settimana), Suor Miriam
(formatrice) e D. Giorgio (formatore). La settimana viene organizzata nel seguente modo:
Primo giorno Il tema centrale è l’autostima. Si propone come scopo di lavorare
sull’autostima dei seminaristi, propiziando un ambiente favorevole affinché si sentano disposti
a mostrare le loro capacità.
Con la finalità di raggiungere questo scopo si è deciso di lavorare sull’aspetto
motivazionale e la leadership. Si mettono in atto delle dinamiche di integrazione e anche di
motivazione, insieme a canti e giochi. Una decisione importante è stata la scelta di un leader
diverso per ogni giorno, giacché si è pensato anche alla creazione di tre sottogruppi, ognuno

69
Serve dire che non sono stati convocati tutti i 16 seminaristi perché 4 di loro in realtà avevano dei problemi con
un solo corso e di solito riuscivano a rispondere bene agli studi. Con questi seminaristi il lavoro da fare sarebbe
diverso.

46
che avesse impegni concreti attraverso i quali potesse mostrare la propria capacità
organizzativa, tenendo fermo il “grande gruppo” che partecipava a questa giornata accademica.
Inoltre abbiamo chiesto la disponibilità volontaria di qualcuno per diventare segretario della
giornata. Ruolo che pure sarebbe cambiato nei giorni successivi.
Dal resoconto del segretario e dalle impressioni del formatore incaricato del primo
giorno, sappiamo che l’integrazione è risultata facile e che i seminaristi erano motivati.
All’inizio avevano paura e alcuni non volevano neanche venire perché pensavano che fosse
un’esperienza faticosa di studio. Invece, favorita l’integrazione, anche attraverso giochi e
scherzi, sembra che abbiano sviluppato una certa fiducia e per lo meno il primo giorno hanno
manifestato la loro sorpresa e anche la loro gioia. In quanto alla leadership il primo giorno si è
mostrato molto positivo, nel senso l’impegno non è stato gravoso, ma hanno incoraggiato i loro
compagni a partecipare.
Secondo giorno Il tema centrale è la conoscenza di sé. Lo scopo di questo giorno sarà
quello di favorire nei seminaristi la conoscenza di sé indirizzando la riflessione verso la
dimensione accademica, senza perdere di vista le altre dimensioni.
Oltre ad approfondire con le motivazioni, si insegna ad ogni seminarista la metodologia
del FODA (fortezze-opportunità-debolezze-minacce), cercando di aiutarlo ad organizzare
meglio l’ambito dello studio personale, anche per imparare ad approfittare delle sue potenzialità
e conoscere le sue debolezze. Poi si applica il test WAIS per l’intelligenza, cercando di aiutarlo
a capire quale aspetto della sua intelligenza è più sviluppato e quale meriterebbe più attenzione
per lavorarci sopra. Si lavora anche con teorie ed esercizi sul tipo di memoria e si insegnano
delle tecniche per migliorare la loro capacità. Si espone la teoria delle intelligenze multiple di
Gardner e si riflette su come in realtà la difficoltà riscontrata nell’ambito accademico non sia
legata a una mancanza di intelligenza della persona.
Come nel primo giorno le osservazioni da parte del segretario e della formatrice70
incaricata del secondo giorno ci forniscono un’informazione sulla percezione che hanno avuto
i seminaristi della giornata. Anche di questo secondo giorno sono contenti, ma sono più stanchi
per il fatto che hanno dovuto fare il test e per i contenuti più accademici di alcune esposizioni.
Alcuni hanno manifestato la loro sorpresa nello esperimentare che erano più capaci di ciò che
pensavano. Inoltre, la scoperta che alcune delle loro capacità erano legate ad un tipo
d’intelligenza, ha aiutato nella crescita della stima di sé stessi. Tuttavia ci sono stati alcuni che
hanno iniziato a mostrare dei blocchi, per esempio sebbene ci fosse un clima di fiducia, avevano

70
Il Seminario San Pedro è stato organizzato quasi dall’inizio con una equipe formativa in cui formava parte anche
una suora con competenze nell’ambito psicologico.

47
paura di esprimere le loro idee e si percepisce una tendenza a mettersi nell’ombra di coloro che
invece mostravano più capacità.
Terzo giorno Il tema centrale è l’importanza della comunità. In questo giorno è stata
organizzata una gita in campagna per favorire ancora l’integrazione ma anche per osservare i
comportamenti dei seminaristi nel loro ambiente di origine. Ci si propone inoltre di far capire
l’importanza degli altri anche durante lo studio e come si possono aiutare tra di loro.
La partenza si effettua al mattino presto, e come è avvenuto per gli altri giorni, si
cambiano di nuovo i leader di ogni gruppo. Dopo la valutazione del secondo giorno, si decide
di scegliere anche questa volta i seminaristi che fanno più fatica a partecipare, data anche la
coincidenza che tutti provengono dalle zone rurali. Oltre a conoscere il posto e godere della
natura, si partecipa ai lavori della campagna attraverso la raccolta dei frutti o il taglio dell’erba.
Poi tornati a casa, si organizza una serata di sport. Finalmente si finisce la giornata con un
cineforum guardando un film intitolato “Fire proof” che aiuta a riflettere sulla lotta nella vita e
il superamento di sé.
Tanto il racconto del segretario come quello del formatore ci lasciano una traccia della
percezione della giornata. Il gruppo l’ha vissuto con gioia, perché la vicinanza all’ambiente
della campagna è condivisa da quasi tutti. Ma questo non vuol dire che tutti fossero contenti.
Ci sono stati quelli che dicevano che fare una gita non voleva dire studiare. I seminaristi che
hanno avuto la responsabilità di coordinare gli eventi sono stati creativi e hanno svolto il loro
ruolo abbastanza bene. Un altro aspetto interessante viene dal fatto che condividendo l’attività
sportiva in questo contesto, hanno sperimentato una maggiore libertà di giocare per
divertimento, e giocare anche se non esperti dello sport.
Quarto giorno È libero. I seminaristi sono invitati a scegliere liberamente ciò che
vorrebbero fare quel giorno. Alcuni scelgono come opzione di fare una gita con altri del gruppo.
Quattro decidono di andare ognuno per proprio conto.
Quinto giorno Il tema centrale è l’intelligenza emozionale. Lo scopo di questo giorno
sarà di valutare l’intelligenza emozionale in ciascuno e poi far notare la sua importanza
all’interno del processo di apprendimento.
La giornata comincia con delle tecniche motivazionali e con canti. Poi si introduce il
tema dell’intelligenza emozionale e si svolge un piccolo test. Successivamente si passa
all’analisi dei risultati in forma individuale prima e poi invitando alla condivisione. Il resto della
giornata viene dedicato alla presentazione di metodi di lettura e tecniche di studio. Anche in
questo giorno si fa il cambiamento dei leader e si nomina un nuovo segretario.

48
Attraverso queste tecniche emergono difficoltà d’indole cognitiva. Più della metà dei
seminaristi evidenzia significativi problemi nella lettura ad alta voce e nella comprensione. A
questo punto emergono anche i “fantasmi” della paura e del dubbio in alcuni partecipanti del
gruppo. Di fronte a queste problematiche si dividono in gruppi diversi per favorire la
partecipazione ed evitare il protagonismo di qualcuno oppure l’annullamento degli altri.
Attraverso del resoconto del segretario si emerge la difficoltà dei seminaristi e si percepisce
una certa stanchezza. Alcuni inoltre manifestano una grande preoccupazione perché vorrebbero
occupare questo tempo nel loro studio. Si formano spontaneamente due sottogruppi a seconda
del livello di miglioramento che cominciano a percepire nello studio. Quelli che si sentono
meglio sono più numerosi.
Sesto giorno In questo giorno ci si dedica all’applicazione delle tecniche e riflessioni
emerse durante gli altri giorni, applicandole allo studio concreto delle materie che devono
ancora superare. Si inizia di nuovo con la motivazione e si formano dei gruppi di studio secondo
le materie affini.
Si cerca di favorire la concentrazione, la messa in pratica di ciò che si è imparato, la
condivisione di modi particolari di studiare ed anche la solidarietà fra di loro. Sono stati
accompagnati nel caso fosse necessario qualche suggerimento, ma sono stati lasciati più liberi
in modo tale che potessero organizzare da soli la giornata.
Alla sera si valuta l’andamento della giornata e si condividono le scelte che ciascuno sta
apportando al proprio metodo di studio. Si nota che il rapporto tra i ragazzi è migliorato, se si
tiene conto anche del fatto che durante la vita quotidiana del Seminario tanti di loro si
incontravano poco.
Settimo giorno Al mattino, dopo un approfondimento sulle motivazioni e la mattinata
di studi, si dedica un po’ di tempo alla valutazione dell’esperienza. La percezione dei
seminaristi è che è stata una settimana molto positiva. Tutti sono invitati a parlare e tanti
riescono a esprimere la loro gratitudine per questa possibilità che è stata offerta a loro, che
significa anche credere nel proseguimento del loro cammino vocazionale. L’equipe formativa
condivide la loro impressione e fa notare che questa settimana ha fatto emergere le loro capacità
e si desidera che queste vengano messe in atto nel loro futuro impegno scolastico.

49
4. VALUTAZIONE DELL’INTERVENTO

4.1 Analisi dalla prospettiva delle fasi del gruppo

Il gruppo di aiuto accademico formato da 12 seminaristi e sotto il coordinamento


(leadership ufficiale) dei formatori del Seminario Maggiore San Pedro ha avuto una durata di
una settimana, ma sebbene si sia trattato di poco tempo, possiamo identificare come fase
prevalente quella del Forming. Infatti tra le domande che i seminaristi si fanno emergono quelle
che fanno riferimento allo scopo del gruppo. Si vede inoltre che hanno avuto una propensione
ad accogliere le norme proposte dalla leadership, atteggiamento che potrebbe essere interpretato
come il bisogno di mettere in atto un comportamento che era richiesto da parte dei formatori.
Valutando globalmente l’esperienza, si percepisce che la creazione di questo gruppo ha
dimostrato come la condivisione di una difficoltà susciti dei valori come la solidarietà e
l’amicizia. Inoltre è stato interessante vedere come con la formazione di gruppi diversi da quelli
che ufficialmente sono stabiliti dentro della vita del Seminario e anche di diversi sottogruppi
formati da loro, i seminaristi hanno avuto un momento di “rinascita” per il fatto di essere stati
conosciuti in un'altra maniera, questa occasione è stata un’opportunità per fare conoscere il
meglio di loro.
Tuttavia abbiamo identificato anche piccoli segnali di un inizio della fase dello Storming
quando alcuni seminaristi hanno prospettato l’esigenza di avere più tempo per studiare e di non
capire perché si organizzasse in questo modo una giornata di studio, che per loro doveva
cominciare direttamente con la lettura e la memorizzazione dei testi. Appare una sorta di
pessimismo, sfiducia e paura in alcuni che man mano si cominciano a unire in un sottogruppo.
Gli altri che riescono ad entrare nella dinamica dell’attività, si sentono a loro agio e rivelano un
atteggiamento più positivo, ma anche loro formano un sottogruppo.
Ispirandoci al lavoro di Bennis e Sheppard, pensiamo che si possa offrire un’analisi di
questa dinamica di gruppo partendo dalla prospettiva delle due aree strategiche da loro
individuata: la dipendenza e la interdipendenza.
Per quanto riguarda la dipendenza è molto probabile che l’apertura iniziale mostrata per
dai seminaristi che hanno partecipato a questa attività, nasceva dall’ansia di sapere se avrebbero
potuto continuare il loro percorso nella formazione, giacché è molto probabile che, preoccupati
da quello che poteva significare per loro non superare gli esami, era urgente approfittare di una

50
opportunità di questo genere. Diciamo che, essendo la maggioranza probabilmente
dipendenti71, si sono adeguati volentieri alla proposta della leadership ufficiale.
Quanto alla interdipendenza, l’esperienza del gruppo fa notare che c’è stato un momento
“di incanto”. I seminaristi sono entrati in una fase in cui stare insieme era bello con il rischio di
utilizzare delle maschere per non far notare il disincanto di fronte alla proposta e non offendere
i formatori. Sono stati presenti anche dei membri del gruppo più maturi che hanno aiutato alla
costruzione del gruppo e poi a portare avanti la proposta in modo tale che venisse valorizzata
positivamente. Comunque è stata importante la presenza ferma della leadership ufficiale, ma
senza essere ancora pronta a lasciare al gruppo acquistare più indipendenza.

4.2 Analisi dei tipi di interventi fatti dalla leadership ufficiale

L’esperienza di questo gruppo di studio non solo ha aiutato la leadership ufficiale del
Seminario a sperimentare i grandi vantaggi di una strategia più personalizzata di fronte al
problema accademico, ma ha anche mostrato che probabilmente si stanno creando dei
dinamismi collettivi che portano i seminaristi con alcune difficoltà per lo studio classico delle
scienze umane, ad essere considerati dagli altri (e da loro stessi) degli “incapaci” che mai
prenderanno il voto necessario per superare gli esami, e di conseguenza non potranno diventare
preti.
È stata positiva la presenza di tutti i formatori durante la settimana d’aiuto accademico.
Questo ha significato per i seminaristi un segno di incoraggiamento e una conferma del loro
cammino. Il fatto che si decidesse di applicare una strategia pedagogica che integra tutti i tipi
d’intelligenza e favorire la creazione di un gruppo di lavoro diverso da quello in cui avevano
lavorato finora i seminaristi, ha aiutato lo svolgimento della giornata di studio. Un limite di
questo intervento è il fatto che non si sia potuto dedicare un tempo adeguato per svolgere dei
colloqui personali con ciascun seminarista partecipante. Questo avrebbe potuto favorire la
comunicazione, che era costante e fluida tra i partecipanti, ma che di solito e più limitata per
quelli che già di per sé hanno tanti problemi a comunicare. In effetti ci sono delle esigenze
individuali che avrebbero dovuto essere ascoltate per poter attivare un tipo d’intervento
concreto.
Quanto al tema dei sottogruppi, dobbiamo dire che principalmente sono stati formati
dalla leadership ufficiale. Nonostante questo però possiamo notare la veloce formazione di un

71
Occorre osservare che alcuni seminaristi che si presentano in questa occasione come indipendenti, sono di solito
dipendenti dentro ai gruppi che funzionano quotidianamente nel Seminario. Tuttavia bisogna dire che la presenza
di controdipendenti era minima.

51
sottogruppo (ritenuto come un fatto positivo) durante il giorno libero, dal quale quattro dei
seminaristi si sono auto esclusi. Non abbiamo informazioni precise per capire le conseguenze
di questo sottogruppo, ma ciò ci da una informazione su quelli che non hanno voluto partecipare
e che di conseguenza hanno creato l’altro sottogruppo. Di loro per esempio possiamo dire che
erano coloro che più difficoltà hanno avuto durante la settimana in alcune dimensioni: facevano
fatica per esprimersi, avevano la tendenza a nascondersi dietro agli altri, poca capacità di ripresa
ecc. Certamente questo significa che sarebbero loro quelli che avrebbero bisogno di un
intervento più frequente.

4.3 Conseguenze dell’intervento

Dopo questa esperienza della settimana d’aiuto accademico, si è realizzato il primo


seminario di aggiornamento pedagogico per i professori. La risposta positiva dei seminaristi
durante la formazione ha fatto pensare che forse, in alcuni casi concreti, la difficoltà derivava
anche dall’adozione di una pedagogia e di una didattica poco adeguata a questi tempi e alle
caratteristiche dei ragazzi che arrivano in Seminario. Inoltre era stato individuato un rapporto
conflittuale tra un gruppo di seminaristi e un insegnante specifico.
Avendo come premessa questi dati, si svolge il seminario contando sulla presenza di 26
professori su 34. Il punto di partenza è l’analisi della intelligenza emozionale e di come essa sia
una componente importante del processo d’apprendimento. Si riflette anche sul ruolo che il
professore ha nel processo d’apprendimento invitandolo a superare lo schema tradizionale del
cattedratico per arrivare al modello del soggetto che è sempre in apprendimento. Di seguito, si
espone il ciclo dell’apprendimento di Kolb (esperienza concreta, osservazione riflessiva,
concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva) applicandolo nella distribuzione
dell’orario di classe che ogni insegnante ha a disposizione.
Un risultato che si è notato immediatamente è il fatto che la maggioranza dei seminaristi
ha superato gli esami72. Questo ha dimostrato che in realtà tanti di loro erano bloccati per
diverse situazioni. Anche durante l’anno 2014 sono stati seguiti e monitorati, arrivando alla
conclusione che la maggioranza di loro ha guadagnato autonomia e fiducia nel proprio metodo
di studio, e di conseguenza non avrebbero più dovuto frequentare, nel periodo di vacanze, la
giornata d’aiuto pedagogico programmata. Ma ci sono stati alcuni che, durante l’anno hanno,

72
Dei 12 seminaristi che sono venuti alla giornata di studio 10 hanno superato tutti gli esami sospesi. Invece 2 ne
hanno superato più di uno, ma hanno dovuto ancora rimandarne per lo meno uno giacché erano troppi gli esami
da sostenere.

52
evidenziato dei passi avanti, ma anche dei regressi. In questo modo 5 su 12 sono stati convocati
per l’anno successivo.
Altra conseguenza che i formatori hanno osservato è che anche il rapporto di questi
ragazzi con gli altri seminaristi, con gli stessi formatori e con gli insegnati, è cambiato. In
quanto nel rapporto con gli altri seminaristi, si è notata una maggiore fiducia in sé stessi che ha
favorito un dialogo più egualitario (forse anche più libero), soprattutto nel confronto con i
seminaristi più preparati, che in alcuni casi, si rivelavano anche manipolatori. Il rapporto con i
formatori e gli insegnanti del Seminario si è rivelato diverso, nel senso che dopo questa
esperienza, oltre a una maggiore creatività e migliore risultati scolastici, emergeva una capacità
migliore di esprimere le proprie idee e anche di porre domande a seconda della necessità di
avere un ulteriore approfondimento su un tema poco capito nel contesto della classe.
Ma ci sono stati anche dei momenti di regressione e di pigrizia. Il ritorno al sistema dei
gruppi presenti in Seminario, alcuni funzionanti perché sono stati pensati così dall’autorità
ufficiale e altri perché sono stati formati dagli stessi seminaristi (sottogruppi), ha provocato un
ritorno ad atteggiamenti “menefreghisti” e di pettegolezzo. Ci si rivolge allora all’equipe
formativa, chiedendo come è potuta nascere questa situazione. Si sapeva che la dimensione
accademica non è il tutto né il massimo nella formazione, ma perché non si sono mantenuti nel
tempo questi i progressi individuati soprattutto all’inizio del corso. Che tipi di fenomeni sono
presenti nella vita quotidiana del Seminario? Alla fine possiamo dire che questa esperienza ha
posto più interrogativi che esigono delle risposte, le quali potrebbero migliorare lo stile
formativo che offre il Seminario.

4.4 Un aggiornamento sulla vita del Seminario. Gruppi, sottogruppi e cultura di gruppo

Di seguito vengono presentati alcuni aspetti della cosiddetta “cultura di gruppo” che
viene attuata all’interno del Seminario San Pedro e che in qualche maniera possono fornire
alcuni dati che ci aiutano a spiegare come funziona la dinamica di gruppo. Queste informazioni
sono il risultato di una intervista realizzata all’equipe formativa presente nell’anno 2017 e ci
presentano anche alcuni stereotipi relativi alle persone, attraverso l’individuazione dei
sottogruppi.
- Quali sono i gruppi ufficialmente formati nel Seminario?
Principalmente c’è il grande gruppo che coincide con l’istituzione: il Vescovo
(moderatore supremo), il rettore, l’equipe di formatori, seminaristi, collaboratori e professori.

53
A questa più generale organizzazione fa seguito una distribuzione per anni di studio. In
questo senso ci troviamo con la formazione di 6 sottogruppi: Propedeutico, 1º e 2º di filosofia
e 1º, 2°-3º (fanno insieme questo anno ciclico) e 4º di teologia.
Un’altra caratteristica che permette un’ulteriore suddivisione è il fatto che l’edificio del
Seminario è stato pensato come una comunità di case costruite intorno alla cappella, considerata
come luogo centrale. Otto case formano il chiostro e favoriscono l’integrazione dei seminaristi
tra di loro, con la presenza di un formatore in ogni casa. Quindi stiamo parlando di altri otto
sottogruppi.
Poi nel lavoro quotidiano i seminaristi si organizzano in ulteriori gruppi secondo le
occupazioni che devono svolgere. Inoltre c’è un’altra suddivisione che ha a che vedere con
l’organizzazione interna della comunità che fa riferimento alle diverse aree della loro
formazione. Le chiamano commissioni (umana, spirituale, accademica e pastorale). Infine ci
sono i piccoli gruppi formati per svolgere l’apostolato di ogni fine settimana.

- Quali sarebbero i gruppi o sottogruppi che voi identificate come “non ufficiali” e che
sono emersi nel Seminario?
Alcuni sottogruppi si sono formati per i diversi interessi affini fra i suoi membri. Per
esempio ci sono gruppi creati per un interesse sportivo, per la musica, per lo studio. Con
preoccupazione si rileva l’esistenza di altri sottogruppi che appaiono più conflittuali per il
processo formativo. Un gruppo si caratterizza per il fatto di cercare di proteggere le esperienze
di tipo affettivo che i seminaristi (membri del gruppo) vogliono tenere nascoste ai formatori e
che sono ben viste tra di loro. I formatori hanno dato al gruppo il nome “dei donnaioli”. Un
altro gruppo che i formatori hanno chiamato “il gruppo del pettegolezzo” (in questo gruppo
identificano dei giovani che ritengono abbiano tendenze omossessuali) ha una influenza forte
sugli altri seminaristi e tende ad essere numeroso. Alla fine c’è un terzo gruppo che si
caratterizza per le sue capacità accademiche. È positivo il fatto che tante volte sono disponibili
ad aiutare gli altri, ma si percepisce, nello stesso tempo, la presenza di atteggiamenti che
mostrano una sorte di superiorità nel confronto con gli altri seminaristi.
Nonostante ciò, guardano con speranza l’esistenza di un piccolo gruppo di seminaristi
più maturi che contribuiscono positivamente alla vita della comunità.
- A partire della vostra esperienza, che frasi avete colto come significative e che
indicano il modo di pensare dei gruppi?
A partire da ciò che mi hanno raccontato ho deciso organizzare le risposte secondo le
caratteristiche dei sottogruppi presenti nel Seminario:

54
Sottogruppo nominato dei “Donnaioli”
o Noi possiamo avere dei rapporti intimi con le donne, perché siamo uomini veri.
o Finché non si diventa prete è possibile avere una fidanzata… l’importante è non
essere scoperti
o Neanche i preti sono fedeli al celibato
o Come facciamo se sono le donne che ci cercano?
o È più uomo colui che ha più avventure amorose con le donne
o È proprio uno stupido colui che si innamora
Sottogruppo nominato dei “Pettegoli”
o Nella nostra diocesi non c’è nessuno che sia santo…
o Se un prete non è donnaiolo vuol dire che è omosessuale
o Non è dei nostri chi racconta quello che succede ai formatori
o Noi rispettiamo le regole del Seminario, gli altri le trasgrediscono
o Di poche persone ci possiamo fidare
Sottogruppo degli “Intellettualoidi”
o Se sai studiare potrai andare a Roma
o Quasi sempre scelgono i più intelligenti per continuare nella formazione
o Se tu sei un bravo studente ti perdonano anche i problemi affettivi
o Gli altri che non capiscono niente, come potranno diventare preti?
o Qui l’importante è prendere i voti più alti.
Come funziona la leadership nel Seminario?
Facendo riferimento a quello che è già stato detto, possiamo fare una distinzione tra la
leadership ufficiale e quella che sorge nel contesto della vita in comunità e risponde alle
caratteristiche dei gruppi.
In questo modo in ogni sottogruppo hanno trovato un leader che, più o meno, incarna le
caratteristiche del gruppo (un leader donnaiolo e con problemi accademici, ma bravo per le
attività pratiche, un altro leader più intellettuale bravo per lo studio e per gli interventi in
pubblico, un po’ “cattivo” nelle relazioni con gli altri diversi da lui). È stato difficile trovare un
leader nel gruppo dei pettegoli: forse si camuffa bene.
Un altro aspetto che è apparso quando parlavamo della leadership era il fatto che, dal
2011 al 2014 sono entrati nel Seminario dei ragazzi molto bravi per la pastorale ma con grandi
problemi per lo studio. Invece negli ultimi tre anni i seminaristi si caratterizzano per essere più
bravi nello studio. Questo e altri fattori spiegano il perché ci sia una distinzione tra la leadership

55
di teologia e quella di filosofia, poiché sembrerebbe che i filosofi si percepiscono con una
maggiore autorevolezza nel confronto con i teologi.

4.5 Aspetti mancanti nell’intervento: la dimensione intrapsichica, i microcosmi culturali

Un aspetto che esige una revisione immediata al progetto formativo è la mancanza delle
proposte pedagogiche che tengano conto della citata seconda dimensione73. Infatti, analizzando
l’atteggiamento di alcuni seminaristi durante l’intervento pedagogico della settimana di studio,
si evidenziano alcune resistenze, così come gli atteggiamenti mostrati dopo, quando i
seminaristi sono tornati alle lezioni, dimostrano contraddizioni tra i valori e il loro modo di
operare. Inoltre durante questa indagine è stata evidenziata la tendenza di alcuni seminaristi a
vivere con maggior disposizione certi valori piuttosto che altri, a partire da un certo
condizionamento culturale74 e anche perché il grado di maturità tanto nella prima come nella
seconda dimensione potrebbe essere piuttosto basso. Sarebbe perciò importante favorire la loro
crescita, perché questi seminaristi sono infatti chiamati a favorire la formazione, la leadership
e l’integrazione dei gruppi.
Tuttavia, come abbiamo detto nei primi paragrafi di questa sezione, una maggior libertà
in certe dimensioni è stata confermata in alcuni seminaristi. Pensiamo che questo sia stato frutto
del lavoro fatto a livello della dimensione psicosociale, dimostrando in questo modo che gli
interventi di questo tipo sono positivi per la formazione e confermano ciò che il paradigma
dell’intersoggettività apporta all’Antropologia della Vocazione Cristiana. Questo, tuttavia
ribadisce allo stesso tempo la necessità di intervenire sul singolo seminarista (dimensione
intrapsichica) e di inserire questi tipi d’interventi dentro un progetto formativo che segua il
modello dell’integrazione, così come è stato proposto nel primo capitolo.
Un altro limite di questo intervento è stato quello di non tener conto dell’aspetto
culturale. Alcuni aspetti sono stati considerati, ma l’assenza di considerazione della presenza
di questi microcosmi culturali, che spiegavano in buona parte la formazione di alcuni dei
sottogruppi tra i seminaristi, ha limitato la portata dell’intervento. Soprattutto nel caso in cui
queste conoscenze avrebbero potuto offrire elementi su cui lavorare durante il periodo regolare
della formazione.

73
Qui riprendiamo ciò che stato sviluppato nella presentazione dell’Antropologia della Vocazione Cristiana. Cfr.
L.M. RULLA, Antropologia della vocazione cristiana vol.1: Basi interdisciplinari, 305.
74
La Tripani ci ricordava che il punto centrale sarebbe il distinguere l’atteggiamento culturale dal valore culturale,
giacché il primo, anche quando è proclamato come valore, può funzionare come gratificazione di bisogni che non
favoriscono la crescita e quindi si tratta di un bene apparente. Sarebbe necessario uno studio più approfondito sul
tema, ma possiamo intuire che in questo caso concreto stiamo parlando più di gratificazione di bisogni. Cfr. G.
TRIPANI, Formazione e culture. Come tutti, come qualcuno, come nessuno, 184.

56
Infatti nello studio delle caratteristiche culturali dei gruppi etnici, siamo riusciti a
individuare certi bisogni (evitare la sottomissione e l’umiliazione, la gratificazione affettiva)
che non vanno d’accordo con i valori propri della vocazione cristiana. Abbiamo percepito
inoltre che la stessa proposta formativa è stata accolta, dalla maggioranza del gruppo, ma non
da tutti. C’è stato un gruppo, di 4 seminaristi, che ha manifestato più problemi d’integrazione e
anche più problemi a livello accademico; essi interpretavano in modo diverso ogni proposta
dell’équipe formativa, quindi potremmo anche sostenere che in loro c’è stata una regressione
nel processo di simbolizzazione. Di fatto si percepiva in questi seminaristi un grande desiderio
di voler lottare per avere successo nell’ambito accademico (questa dimensione è stata più
studiata da noi), ma i comportamenti successivi hanno evidenziato una realtà un po’ diversa:
non sempre sono stati aperti ai lavori di gruppo, ad accogliere l’aiuto di un altro seminarista o
quello degli insegnanti, manifestando un atteggiamento incoerente, rivolto maggiormente al
successo accademico che alle altre dimensioni della formazione.

5. CONCLUSIONI E PROPOSTE PER L’EQUIPE FORMATIVA DEL SEMINARIO MAGGIORE SAN PEDRO

Lo scopo iniziale di questo lavoro era quello di analizzare questa esperienza di


accompagnamento di un gruppo di seminaristi con problemi accademici che aveva portato un
risultato abbastanza positivo, migliorando la vita interna nel Seminario. Però, man mano che si
è proceduto nella ricerca, siamo riusciti a rilevare altri aspetti che questo intervento ha permesso
di osservare. Perciò questa sezione si propone di presentare quattro direttrici che corrispondono
a ciò che crediamo possa servire per la vita del Seminario.
In primo luogo, occorre favorire una riflessione teologica e filosofica che renda
possibile il dialogo con altre scienze umane come la biologia, le neuroscienze, l’antropologia
culturale, la psicologia ecc., che aiutino l’antropologia cristiana a riflettere sull’uomo reale. In
questo senso proponiamo all’equipe formativa ed ai professori di realizzare uno studio sul
modello dell’Antropologia della Vocazione Cristiana come viene offerta da Luigi Maria Rulla
e dell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ci sembra utile che
soprattutto i formatori possano approfondire questo tema perché sono loro che, accompagnando
i seminaristi durante la vita quotidiana (foro esterno), devono tener conto delle diverse
dinamiche che possono sottostare ad un certo tipo di comportamento, che interpretate
erroneamente possono provocare interventi che rinforzino l’atteggiamento difensivo.
Sempre sviluppando questa prima proposta, sarebbe necessario coinvolgere in questo
studio antropologico anche i padri spirituali, con la finalità di stabilire un raccordo tra

57
formazione umana e formazione spirituale. Questi padri incaricati di una dimensione
importantissima per la formazione sacerdotale (foro interno), avendo come orizzonte di
riflessione una immagine più realistica della persona, potranno superare i due estremi che
possono pregiudicare la formazione: lo psicologismo e lo spiritualismo.
In secondo luogo, pensiamo sia importante proporre ai seminaristi percorsi individuali
di conoscenza di sé (esperienza che diventa ogni volta più diffusa nelle case di formazione e
che è stata iniziata dall’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma75)
che hanno come obiettivo la crescita nel modo indicato, e che si concretizzano in due diverse
tipologie: la valutazione della personalità (che è un percorso di conoscenza di sé, molto
articolato e profondo, che viene distribuito in genere in tre incontri della durata complessiva di
otto ore) e i colloqui di crescita (che consistono in un percorso terapeutico, distribuito su più
anni, e che prevedono una frequenza di uno o due colloqui settimanali).
Un limite che emergeva dall’esperienza analizzata in questo lavoro, era appunto la
mancanza di tempo dedicato all’accompagnamento del singolo, sia perché il formatore era
impegnato in una molteplicità di compiti, sia perché mancava la consapevolezza nei formatori
dell’importanza di questo tipo d’accompagnamento. E questo aspetto fatto già dice tanto sul
tempo che ogni formatore dovrebbe dedicare a questo ambito. Ma dobbiamo chiarire qui che in
realtà la proposta che è stata avanzata ha due caratteristiche che la differenziano dai percorsi
normali di accompagnamento che propongono i formatori: questi percorsi sono facoltativi e
riguardano il foro interno.
Ciò significa che accede al servizio offerto solo chi è interessato e che il risultato del
lavoro (sia di valutazione della personalità, sia psicoterapeutico) rimane riservato al singolo ed
è lui che, se lo ritiene, lo trasmette agli altri formatori di foro esterno e di foro interno, in
particolare al rettore e al direttore spirituale. Non c'è abitualmente una comunicazione diretta
tra lo psicologo e il rettore o il direttore spirituale76.

75
Questo punto ci permette di aprire il dibattito sulla necessità di formare i formatori ma anche sulla necessità di
stendere lo sguardo sul modo in cui si organizza la formazione. Sul primo punto, è evidente che in questi anni
abbiamo più difficoltà ad affrontare le diverse problematiche che emergono nella formazione, date le
caratteristiche che accompagnano il giovane postmoderno, ma è anche vero che abbiamo a disposizioni più risorse
per fare un cammino di approfondimento nella formazione sacerdotale di cui possiamo approfittare. Quanto al
secondo aspetto, serve ricordare che nell’Arcidiocesi di Portoviejo si sono fatti sforzi per preparare alcuni preti in
questo ambito, dal momento che sono stati formati nell’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana
di Roma. Sarebbe conveniente fare ricorso a questi elementi e continuare in questo processo con l’invio di nuovi
candidati ai corsi di formatori o a fare parte di una possibile équipe di consulenza psicologica.
76
Ci rendiamo conto che questo ci espone all'eventualità che persone con gravi problemi, psicologici o psichiatrici,
alla fine non richiedano una consulenza psicologica. Allo stesso tempo, però, riteniamo che il fatto di proporlo con
queste modalità, libero e di foro interno, abbia altri vantaggi di non minore importanza: in primo luogo,
salvaguarda la libertà della persona; in secondo luogo, non fa diventare la consulenza psicologica una operazione
di "filtro" vocazionale. Ciò, oltre alla mancata coerenza da un punto di vista teologico, renderebbe l'accesso alla

58
Non è escluso che, in alcune circostanze, il rettore o il direttore spirituale possano
suggerire al seminarista di intraprendere un percorso di valutazione della personalità o
psicoterapeutico. È evidente che la non accoglienza di quel suggerimento potrebbe essere già
in sé stessa un elemento da prendere in considerazione; allo stesso tempo, però, non si
sottovaluti il fatto che un seminarista che accede ad un percorso psicologico senza una vera
motivazione personale, difficilmente si mette in gioco e affronta quel percorso in modo serio e
con una reale disposizione a lavorare su di sé.
In terzo luogo, riteniamo fruttuoso, rispetto ad alcuni ambiti, procedere con lezioni
extracurricolari77 (come è stata la settimana d’aiuto pedagogico, arricchendola con l’approccio
dell’AVC) rivolte ai seminaristi, che li aiutino poi a esternare alcuni comportamenti che,
altrimenti, potrebbero rimanere nascosti e, da ciò, probabilmente giungere anche a
patologizzarsi, mentre il fatto di farli affiorare si è rivelato almeno un primo passo per favorirne
una più corretta interpretazione. Interpretare correttamente un comportamento può aiutare a
cogliere la domanda buona che sottende e, può aiutare la persona ad adottarlo oppure no,
allargando dunque gli spazi della sua libertà di decidere.
L’esperienza studiata, ci lascia come risultato anche una visione sul come si stia
portando avanti la importantissima dinamica di gruppo. Quando abbiamo chiesto ai formatori
chiarimenti sulla formazione e sulla distribuzione di gruppi ufficialmente costituiti dentro il
Seminario, ci siamo resi conto del fatto che sia un rischio avere un numero troppo grande di
gruppi che non favoriscono l’accompagnamento e neanche le possibili vissuti delle rispettive
fasi. Perciò riteniamo necessario pensare ad una nuova distribuzione dei gruppi per favorire un
più efficace accompagnamento e per favorire il suo impatto positivo nel cammino della
formazione seminaristica.
In quarto luogo, siamo consapevoli della possibilità che le caratteristiche problematiche
che possono riguardare i seminaristi, riguardino, allo stesso modo, gli stessi formatori e docenti.
Perciò proponiamo all’Arcidiocesi la formazione di un’équipe interdisciplinare, che possa
offrire un aiuto all’équipe formativa del Seminario (rettore, direttore spirituale e formatori) con
la valutazione della personalità, i colloqui di crescita vocazionale, con lezioni extracurricolari

consulenza molto più problematico e meno libero per colui che la richiede; in terzo luogo, proprio il fatto di rendere
libero l'accesso favorisce la richiesta, perché fa cadere il sospetto che in realtà quelle informazioni non rimarranno
riservate e saranno "usate", invece, senza il consenso del seminarista.
77
Le istruzioni che si potrebbero fare ai seminaristi in alcuni periodi dell'anno, dunque, si concentrano sulle
questioni già evidenziate, ma segnalando anche le possibili derive laddove si sceglie male o non si sceglie per
niente: vita comune, rapporto con le tecnologie, celibato e sessualità, forme problematiche di vivere la sessualità
(pornografia, efebofilia, pedofilia, ecc.).

59
per i seminaristi e anche una possibilità di confronto e di scambio con gli altri educatori in
situazioni che lo richiedano78.

78
Su questo punto è importante chiarire che questa équipe non potrà mai affrontare casi che riguardano singole
persone, giacché questi sono protetti dal segreto professionale. Si discutono però questioni trasversali che
riguardano una grande molteplicità di temi in una prospettiva di integrazione a partire dalle diverse competenze,
così che la formazione spirituale abbia delle ricadute positive anche sullo sviluppo psicologico dei seminaristi, e
viceversa, che lo sviluppo psicologico dei seminaristi si muova in armonia con il loro cammino spirituale.

60
BIBLIOGRAFIA

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61
INDICE

INTRODUZIONE ............................................................................................................................ 1
CAPITOLO I
L’ANTROPOLOGIA DELLA VOCAZIONE CRISTIANA
1. ABBOZZO DI UNA ANTROPOLOGIA DELLA VOCAZIONE CRISTIANA ................... 3
1.1 FONDAMENTI DI ANTROPOLOGIA FILOSOFICA ........................................................................... 5
1.1.1 La vocazione come «chiamata» di Dio .............................................................................. 5
1.1.2 La vocazione come risposta dell’uomo .............................................................................. 5
1.2 ELEMENTI TEOLOGICI ............................................................................................................... 6
1.2.1 La chiamata di Dio........................................................................................................ 6
1.2.2 La risposta dell’uomo.................................................................................................... 6
1.3 PROSPETTIVE DI ANTROPOLOGIA SCIENTIFICA .......................................................................... 8
1.3.1 La teoria della autotrascendenza nella consistenza............................................................ 9
2. I MODELLI FORMATIVI ................................................................................................... 14
2.1 IL MODELLO DELLA PERFEZIONE ............................................................................................ 15
2.2 MODELLO DELL’AUTOREALIZZAZIONE ................................................................................... 16
2.3 MODELLO DELL’AUTOACCETTAZIONE .................................................................................... 17
2.4 MODELLO DELL’INTEGRAZIONE ............................................................................................. 18
3. PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA ANTROPOLOGICO NEL CONTESTO
ATTUALE DELLA POSTMODERNITÀ..................................................................................... 19
3.1 LA POSTMODERNITÀ. ASPETTI GENERALI................................................................................ 20
3.2 I GIOVANI PRETI POSTMODERNI............................................................................................... 23
4. QUADRO CONCETTUALE DELLA PSICOLOGIA SOCIALE ....................................... 26
4.1 IL PUNTO DI PARTENZA: L’INTERSOGGETTIVITÀ ...................................................................... 26
4.2 LA CULTURA, IL GRUPPO E LA FORMAZIONE............................................................................ 27
4.3 IL CARATTERE STRUTTURALE DELLA PSICOLOGIA SOCIALE ..................................................... 32
4.3.1 Le fasi del gruppo ........................................................................................................... 32
4.3.2 L’area della dipendenza e l’area dell’interdipendenza .................................................... 34
4.3.3 Aspetti strutturali di un gruppo........................................................................................ 36

CAPITOLO II
STUDIO FENOMENOLOGICO DEL RAFFORZAMENTO DELLA DIMENSIONE
ACCADEMICA CON UN GRUPPO DI SEMINARISTI DEL SEMINARIO SAN PEDRO DI
PORTOVIEJO (ECUADOR)
1. SITUAZIONE DEL SEMINARIO MAGGIORE SAN PEDRO.......................................... 39
1.1 SITUAZIONE ETNICO-CULTURALE DELLA PROVINCIA DI MANABI ............................................ 40
Meticci .................................................................................................................................... 40
Indigeni manabita (cholo) ........................................................................................................ 41
Mulatti (afroecuadoriani) ........................................................................................................ 42
1.2 ANALISI DELLA COMPONENTE ETNICO-CULTURALE NEI SEMINARISTI DEL SEMINARIO SAN
PEDRO ......................................................................................................................................... 42
1.3 SITUAZIONE FAMILIARE .......................................................................................................... 43
1.4 SITUAZIONE EDUCATIVA......................................................................................................... 44
1.5 IL GIOVANE MANABITA POSTMODERNO .................................................................................. 44
2. PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA ............................................................................... 45

62
3. FORMAZIONE DEL GRUPPO DI STUDIO ...................................................................... 46
4. VALUTAZIONE DELL’INTERVENTO ............................................................................. 50
4.1 ANALISI DALLA PROSPETTIVA DELLE FASI DEL GRUPPO .......................................................... 50
4.2 ANALISI DEI TIPI DI INTERVENTI FATTI DALLA LEADERSHIP UFFICIALE .................................... 51
4.3 CONSEGUENZE DELL’INTERVENTO ......................................................................................... 52
4.4 UN AGGIORNAMENTO SULLA VITA DEL SEMINARIO. GRUPPI, SOTTOGRUPPI E CULTURA DI
GRUPPO ........................................................................................................................................ 53
4.5 ASPETTI MANCANTI NELL’INTERVENTO: LA DIMENSIONE INTRAPSICHICA, I MICROCOSMI
CULTURALI .................................................................................................................................. 56

5. CONCLUSIONI E PROPOSTE PER L’EQUIPE FORMATIVA DEL SEMINARIO


MAGGIORE SAN PEDRO ........................................................................................................... 57

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