DELL’INCERTITUDINE E
DELLA VANITÀ DELLE SCIENZE
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Heinrich Cornelius
Agrippa von Nettesheim
Dell’incertitudine e
della vanità delle scienze
a cura di
Tiziana Provvidera
presentazione di
Giovanni Pugliese Carratelli
sede legale
corso Vittorio Emanuele II, 68 - 10121 Torino
sede operativa
via Vittorio Emanuele III, 37 - 12035 Racconigi
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INDICE
8. Della sofistica 75
9. Dell’arte di Lullio 81
10. Dell’arte della memoria 83
11. Della matematica in genere 85
12. Della aritmetica 87
13. Della geomanzia 89
14. Dell’arte de dadi 91
15. Della sorte di Pitagora 93
16. Della aritmetica un’altra volta 95
17. Della musica 97
18. Delle danze e de balli 105
19. Della gladiatoria 109
20. Della istrionica 111
21. Del retorismo 113
22. Della geometria 115
23. Della optica, overo perspettiva 119
24. Della pittura 121
25. Della scultura et arte di gettare 123
26. Della arte de gli specchi 127
27. Della misura del mondo 129
28. Della architettura 133
29. Della arte metallaria 137
30. Della astronomia 141
31. Della astrologia giudiciaria 151
32. Delle divinazioni in genere 163
33. Della fisionomia 165
34. Della metoposcopia 167
35. Della chiromanzia 169
36. Della geomanzia un’altra volta 173
37. Della aruspicia 175
38. Della speculatoria 177
39. Della interpretazion de sogni 179
40. Del furore 181
41. Della magia in genere 185
42. Della magia naturale 187
43. Della magia matematica 191
44. Della magia venefica 193
45. Della goezia e negromanzia 197
46. Della teurgia 203
47. Della cabala 205
48. De prestigii 211
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INDICE VII
APPENDICI
1. Indirizzo al lettore 525
2. Elenco delle asserzioni del De vanitate condannate
dai teologi di Lovanio 529
3. Corrispondenza Agrippa-Erasmo da Rotterdam 537
PRESENTAZIONE
NOTA EDITORIALE
CRITERI ADOTTATI XV
L’AGRIPPA
ARRIGO
CORNELIO AGRIPPA DELLA
VANITÀ DELLE SCIENZE
TRADOTTO PER M. LODOVICO
DOMENICHI
IN VENEZIA M. D. XLVII
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ALL’ILLUSTRISSIMO ET
ECCELLENTISSIMO SIGNOR
COSMO DE MEDICI
DIGNISSIMO DUCA DI
FIORENZA
1
Cfr. ARIST., Metaph., 980a.
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2
Cfr. BOEZIO, Categ. Arist., II, prohem.
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DEDICA 5
LUOGHI COMUNI 9
1
Sulla critica incessante che Momo riservava agli dèi (mw'mo" = biasimo), al punto
di essere scacciato dall’Olimpo, si veda ESIODO, Teog., 214. Il personaggio di Mo-
mo ricorre anche in alcuni dialoghi di Luciano di Samosata (ca.120-ca.181); di
qui penetra nella letteratura umanistica e rinascimentale, in particolare nel Mo-
mus (a. 1450) di Leon Battista Alberti (1404-1472), nei Dialogi piacevoli (1539) di
Niccolò Franco (1515-1570) e ne I mondi e gli inferni (1552-53) di Anton France-
sco Doni (1513-1574), fino a comparire nel Moriae encomium (1509) di Erasmo da
Rotterdam (1466-1536) e ad assumere un ruolo fondamentale nello Spaccio de la
bestia trionfante (1584) di Giordano Bruno (1548-1600).
2
L’epiteto di gelasi'no", ‘ridente’, attribuito a Democrito, e la raffigurazione del
filosofo che rideva di tutto opposto a Eraclito che piangeva di tutto, appartengo-
no alla leggenda posteriore, sorta nella letteratura moralistica e sviluppatasi in se-
guito in quella romanzesca. Si veda, per es., LUCIANO, Vit. auct., XIII sgg.; STOB.,
Flor., III, 20, 53; GIOVEN., Sat., X, 28-53; ELIANO, Var. hist., IV, 20 e 29; CIC., De orat.,
II, 58. Per il sec. XVI, si veda A. Phileremo Fregoso, Opera nova la qual tratta de doi
Philosophi, cioe de Democrito che rideva de le pazie di questo mondo et Heraclito che pian-
geva de le miserie umane (1534); ERASMO, Adagia, III, 3, 1.
3
Allusione a Pirrone di Elide (ca. 365- ca. 275 a.C.), considerato il fondatore del-
lo scetticismo che, dal suo nome, fu detto anche pirronismo. Tra le dottrine pù
importanti del suo insegnamento vi è l’assenza di opinioni, di inclinazioni e di
turbamenti da cui discendono l’ajfasiva, il non asserire né affermativamente né
negativamente, e l’ajtaraxiva o imperturbabilità.
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1
Agostino Fornari (Augustinus Furnarius), ricco mercante genovese che intratte-
neva affari a Lione e ad Anversa. Seguace delle pratiche occulte, aiutò finanzia-
riamente Agrippa negli anni in cui questi si trasferì da Lione ad Anversa (1527-
28). Agrippa conobbe Agostino Fornari nel 1527 dopo aver completato la stesura
del De vanitate a lui dedicato. Sui rapporti tra Agrippa e Fornari, si veda, per es.,
AGRIP., Epist. V, 3, 20-23; 28.
2
Allusione all’episodio narrato in OVID., Metam., XIII, 547-575, in cui Ecuba, mo-
glie di Priamo, dopo aver accecato Polimèstore, il re tracio reo di aver ucciso il fi-
glio di lei Polidoro, si trasforma in cagna.
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3
Il testo latino reca: «Cynicam declamationem», con evidente riferimento alla
scuola cinica antica. Ai Cinici fu attribuito quel nome dal greco kuvwn, che signifi-
ca appunto «cane», per la loro esistenza infima, o dal ginnasio di Cinosarge dove
insegnò il loro maestro Antistene; secondo Agostino anche per le loro teorie be-
stiali (De civit. Dei, XIV, 19 e De nupt. et concup., I, 22, 24).
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DEDICA 13
4
L’opera con ogni probabilità non fu mai scritta o portata a compimento.
5
Cfr. VIRG., Aen., IV, 635; II, 719-720.
6
Ivi, IV, 355.
7
Allusione al romanzo che ha per protagonista Lucio, un giovane greco che un
maldestro esperimento magico trasforma in asino. Secondo il patriarca costanti-
nopolitano Fozio, il romanzo dell’asino sarebbe stato trattato da Luciano (l’ope-
ra che ci è pervenuta con il titolo di Lucio o l’asino è però concordemente ricono-
sciuta come non autentica), da Apuleio nei Metamorphoseon libri XI e da Lucio di
Patre, ignoto scrittore greco, la cui opera è andata perduta, e del quale si è pen-
sato dipendessero, in modo autonomo l’uno dall’altro, le due opere precedenti.
Secondo altre ipotesi, invece, Apuleio si sarebbe ispirato all’opera pseudolucia-
nea oppure Apuleio stesso sarebbe la fonte o l’autore dell’opera greca, riassunto
delle più estese metamorfosi apuleiane.
8
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XII, la cui fonte è SOFOCLE, Aiax, 554.
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1
Il testo latino reca: «Acheloum monomachia superare». L’annotazione a margine
corrispondente reca: «monomaciva, id est singulari certamine».
2
Tutto il periodo: «percotere con la mazza…delle Esperide», relativo alle fatiche
di Eracle è preso letteralmente da REUCHL., De arte cabal., II, G1v.
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3
Allusione alla favola della volpe e della capra in ESOPO, Fab., 40. «Becco» è la tra-
duzione in volgare del latino «hircus», ossia «capro».
4
Per Pausania ed Erostrato, si veda infra, pp. 55-56, note 2 e 3.
5
Il testo latino reca: «garrulae ancillae», reso con «fanti cibeche», ovvero le vec-
chie serve ciarlone, in uso nel linguaggio comico. «Cibeche» viene infatti dal gre-
co kuvbhx che vuol dire «vecchiaccia».
6
Secondo la leggenda il re Gordia possedeva un carro il cui timone era attaccato
con un nodo così complicato che chiunque fosse riuscito a disfarlo avrebbe otte-
nuto l’impero d’Asia. Si narra che Alessandro Magno nel 334 a.C. riuscì nell’im-
presa recidendo il nodo con un colpo di spada.
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AL LETTORE 17
7
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Thersiten omnium Grecorum, qui
ad Ilion expugnandum venerant, turpissimus fuisse, scribit Homerus Ilia. secun-
do». Per la bruttezza di Tersite, si veda OMERO, Iliad., II, 219-277; LUCIANO, Mort.
dial., 30; GIOVEN., Sat., VIII, 269-271.
8
Il testo latino reca: «Sauromatas», con riferimento alle popolazioni che abitava-
no le terre bagnate dal Danubio, corrispondenti all’attuale Romania.
9
Cfr. GIOVEN., Sat., II, 1; ERASMO, Antib. (ed. D’Ascia), p. 102.
10
Per Dedalo inventore dell’arte del costruire, si veda PLIN., Nat. hist., VII, 66, 198.
11
Il senso ne è: «Il Dio del fuoco (Efesto) mi condannerà a restare imprigionato
nelle gallerie delle sue miniere». Il termine latino «arrugia» ricorre in Plinio
(Nat. hist., XXXIII, 21, 70) e ancora oggi viene usato in Spagna per indicare le
miniere situate a grandi profondità.
12
I metoposcopisti erano coloro che potevano indovinare il carattere di una per-
sona e predire il futuro attraverso la lettura dei tratti della fronte o del viso. Si ve-
da infra, p. 167.
13
Cfr. supra, nota 7, p. 13.
14
Il testo latino reca: «Sacrilegus Theurgus caput consecrabit ej" kovraka"», con
annotazione corrispondente a margine: «Erat autem kovrax locus supplicii in
Thessa».
15
Il testo latino reca: «Imprecabuntur suam retractim dementulati cabalistae»,
che alla lettera andrebbe reso: «I circoncisi cabalisti mi augureranno la loro sot-
trazione». Si allude qui all’antico rito di iniziazione al matrimonio riservato agli
individui di sesso maschile consistente nell’asportazione del prepuzio. Tale prati-
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AL LETTORE 19
22
Dal latino «cuculliones», ossia «incappucciati».
23
Il testo latino reca: «xenodoches», con l’annotazione a margine: «xenodokivon lo-
cus ubi hospites et peregrini excipiunt».
24
Il testo latino reca: «gyrovagi quaestuarii».
25
Il termine latino «macello» viene qui reso con il volgare «beccaria», ossia «arte
del macellaio».
26
Dal latino «paludatus», ossia «in divisa da militare».
27
Il testo latino reca: «pro rustico exactionario inclamitabunt». Il termine in vol-
gare «angaria» si riferisce all’istituto presente nell’antica Roma (prestazioni di
trasporto gratuito nell’interesse dello Stato), trapassato nel Medioevo quando
con l’avvento del Feudalesimo viene a significare l’obbligo di prestazioni gratuite
di lavoro da parte dei servi della gleba, o corvées.
28
Il testo latino reca: «scatophagi», con l’annotazione a margine: «skatofavgoi di-
cuntur medici in antiqua Comedia, quasi dicas merdae commestores» (si veda in-
fra, p. 413).
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ranno ch’io sia dato loro nelle mani per tagliarmi in minuzzo-
li. Lo sporco medico d’animali rinchiuderammi in uno anga-
rio29, e caverammi gli occhi con polvere di carretta30. Il dietario
prevaricatore farammi morire di fame. Il cuoco scalmanato mi
getterà inanzi una stomacosa minestra. Il prodigo alchimista
m’aiuterà a consumare le ricchezze, e confinerammi intorno
alle fornaci. Gli invincibili giuristi m’affogeranno co i grandis-
simi volumi delle chiose loro. I boriosi legisti m’accuseranno
d’offesa maestà. Gli arroganti canonisti mi scomunicheranno
con maledizzioni crudeli. I litigiosi avocati mi intenteranno
contra secento calonnie. L’astuto procuratore abbandonando
la causa avrà intendimento con l’aversario mio. Il dubbioso
notaio sottoscriverà il falso. L’inesorabile giudice mi condan-
nerà nell’azzione, e negherammi quegli ch’essi chiamano gli
apostoli dell’appellazione. L’imperioso gran cancelliero non
vorrà segnarmi la supplica. Gli ostinati teosofisti mi chiame-
ranno eretico, o sforzerannomi ad adorare gli idoli suoi. I no-
stri gravi maestri mi sforzeranno a cantare la palinodia, e gli
Atlanti di Sorbona mi bandiranno con infamia grande31. Ora
tu puoi vedere, lettore, a quanti pericoli io mi son posto? Non-
dimeno io porto speranza di facilmente uscirne, pure che tu
sopportando la verità, e posto giù l’invidia, ti metta con animo
sincero a leggere queste cose. Oltra di questo ho anco per di-
fendermi la parola di Dio, la quale coraggiosamente porrò lo-
29
Il testo latino reca: «in angario», ossia in un luogo chiuso, confinato.
30
Il testo latino reca: «quadrigario pulvere», ossia «con polvere di quadrivio». È
opportuno notare che il termine latino «quadrigarius» viene qui tradotto «car-
retta» con riferimento al suo significato principale di «quadriga». Un’accezione
ulteriore del termine quadrigarium o quadrivium è propriamente il luogo in cui
fanno capo quattro strade (crocevia o crocicchio); nella tradizione magica la pol-
vere prelevata dai quattro angoli di un luogo (che corrispondevano ai quattro
punti cardinali), ossia da un quadrivio, veniva impiegata nella preparazione di
pozioni per malefici.
31
Allusione ai membri della facoltà di teologia della Sorbona che nel marzo del
1531 condannarono il De vanitate con la seguente accusa: «Liber qui dicitur: Cor-
nelii Agrippae De vanitate et incertitudine scientiarum, impressus de novo Parisiis, in
vico Sorbonico, et prius Coloniae, Lutheranae doctrinae plurimum favet, multa
habens contra cultum imaginum, templorum, festorum et caeremoniarum eccle-
siae, nec non in scriptores sacri canonis blasphemus est; et ideo publice exuren-
dus». Nello stesso anno l’Università di Lovanio compilò una lista di proposizioni
incriminate cui seguì un’ingiunzione da parte del consiglio privato di ritrattare
pubblicamente le opinioni indicate (si veda Appendice 2). A tali accuse Agrippa
rispose componendo un’Apologia e una Querela in difesa della sua opera, stampa-
te entrambe a Colonia nel 1533.
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AL LETTORE 21
32
Cfr. EF 6:16-17.
33
Il testo latino reca: «in multis ac ferme omnibus Gymnasiis», con riferimento
dunque ai luoghi dove era possibile ascoltare gli insegnamenti dei filosofi.
34
Cfr. ORAZIO, Epist., I, 1, 14.
35
Per «scolastico Dio», si deve qui intendere il Dio proprio della cultura scolasti-
ca, caratterizzata dal convincimento, variamente argomentato dai diversi espo-
nenti, che indipendentemente dalla Rivelazione si possa accedere al concetto di
Dio per via logico-argomentativa.
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36
Tutto il passo, per i temi e le espressioni verbali, riecheggia l’argomentazione di
Erasmo nei suoi Antibarbari (1520).
37
Il tema dell’importanza dell’istruzione dei giovani ricorre con insistenza in qua-
si tutta l’opera di Erasmo.
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OPERA DI ARRIGO
CORNELIO AGRIPPA DELLA
INCERTITUDINE E VANITÁ
DELLE SCIENZE,
TRADOTTA PER
LODOVICO DOMENICHI
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1.
DELLE SCIENZE IN GENERALE
1
Asserzione condannata dai teologi dell’Università di Lovanio. Si veda Appendi-
ce 2, p. 531.
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2
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B6v.
3
Cfr. EURIP., Fenicie, 469-470; ESCH., fr. 176 (ed. Nauck); PLUT., Mor., 62c; ERASMO,
Adagia, I, 3, 288.
4
Allusione alla storia dell’imperatore Traiano il quale, in procinto di andare in
battaglia con la cavalleria, si ferma per rendere giustizia a una vedovella cui era
stata assassinato il figlio. La leggenda, che prende spunto da un racconto di Dio-
ne Cassio (Hist. Rom., XIX, 5), era diffusissima nel Medioevo: prima compare nel-
la vita di san Gregorio compilata nel IX sec. dal diacono Giovanni, per poi ritro-
varsi nelle varie raccolte di exempla a uso dei predicatori e infine nei volgarizza-
menti e nelle raccolte più varie, come il Fiore di filosofi e il Novellino. L’episodio è
ricordato anche da Dante in Purg., X, 73-93, quale esempio di umiltà di contro al-
la superbia.
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5
GEN 3:5.
6
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Ophiti serpentem colebant unde
et nomen illis atributum. Nam o[fi" graece serpentem sonat daivmwn». Come ci
informa Agrippa, sotto il nome di Ofiti gli antichi ci hanno dato notizia di un mo-
vimento eretico che trae nome dal serpente, venerato quale elargitore agli uomi-
ni della conoscenza del bene e del male che il Dio del Vecchio Testamento aveva
proibito ad Adamo ed Eva. La potenza del serpente viene riconosciuta dallo stes-
so Gesù in GV 3:14.
7
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XXXII; PLAT., Phaedr., 274c-275d.
8
LC 16:8.
9
Cfr. SL 14:3 e 116:11.
10
Asserzione condannata dai teologi dell’Università di Lovanio. Si veda Appendi-
ce 2, p. 532.
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11
Il termine latino è «palponem», ossia «adulatore». Si veda ERASMO, Moriae enc.,
III.
12
Il testo latino aggiunge: «cosmographum erronem, architectum pernitiosum»,
qui mancante.
13
Cfr. PLAT., Rep., 397a.
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14
Cfr.REUCHL., De arte cabal., II, I6v, dove però Giamblico non è menzionato;
PORF., De abstin., I, 29, 1.
15
Cfr. CIC., Pro Archia poeta, VII, 15.
16
Cfr. ARIST., Metaph., 982a-b.
17
Cfr. AGOST., Conf., VIII, 8, 19. La citazione è però inesatta, scrivendo Agostino:
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«Surgunt indocti et coelum rapiunt, et nos cum doctrinis nostris sine corde, ecce
ubi volutamur in carne et sanguine?».
18
Cfr. supra, p. 13.
19
Cfr. GEN 3.
20
Probabile allusione a 2 TM 2:23.
21
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A8r, ma si veda anche PLAT., Apol., 20e-21a; DIOG.
LAERZ., Vitae philos., II, 5, 32 e 37.
22
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B6v.
23
ECCLE 8:17.
24
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., II, 2, 3, dove però l’epiteto di ‘dispregiato-
re del sapere’ è attribuito a Caio Mario e non a Cicerone.
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scienza, non con alcuno stretto giudicio di sensi, non con alcu-
ni argomenti di loico artificio, non con manifesta prova, non
con sillogismo che lo mostri, né con discorso alcuno d’umana
ragione, se non con la sola fede, la quale chi si ritrova avere è
chiamato da Aristotele nel libro delle Prime resoluzioni meglio
disposto che se fosse savio, la qual cosa espone Filopono, che
questo tale conosce meglio che per la dimostrazione che si fa
per la causa25. E Teofrasto ne’ suoi Transnaturali dice così: «Noi
possiamo bene infino a un certo che speculare per causa, to-
gliendo i principii da i sensi, ma quando abbiamo trapassati i
confini et i principii, non possiamo sapere più oltra, o sia per-
ché non abbiamo la causa, o per la infermità del nostro sen-
so»26. E Platone nel Timeo dice che lo esplicare queste cose è so-
pra le forze nostre, ma vuole che si creda a coloro che n’hanno
ragionato inanzi, benché non parlino con alcuna necessità di
dimostrazione27, perciocché furono molto stimati i filosofi Aca-
demici, i quali dissero che non si può affermare cosa alcuna28;
furono anche i Pirronici, e molti altri, che non affermavano
nulla29. Non ha dunque la scienza niente di speciale sopra il
credere, cioè laddove la bontà dell’auttore muove la libera vo-
lontà di credere de i discepoli. Di qui venne quel motto pita-
gorico: «Ragionando del maestro, egli ha detto così»30. E quel
proverbio vulgato de Peripatetici: «Egli si ha da credere a cia-
scuno prattico nell’arte sua»31. Così si dà fede al grammatico
25
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, F1r-v. Il luogo di Aristotele citato da Reuchlin, e
ripreso letteralmente da Agrippa, è in Analyt. post., 73a, ma si veda anche 100b,
dove il filosofo sostiene che tra gli stati di pensiero mediante i quali cerchiamo di
afferrare la verità ve ne sono di infallibilmente veri e di quelli che possono conte-
nere errore (fra questi ultimi, per es., l’opinione e il calcolo), laddove la cono-
scenza scientifica e quella noematica sono sempre vere, fermo restando il punto
che senza la seconda la prima non si determinerebbe. Ciò significa che per Ari-
stotele quella condizione del pensiero, o meglio dell’anima, la quale consente di
pervenire alla scienza è l’aspirazione ad attingere la verità. Si veda infra, p. 76 e
nota 3 quanto dice Duns Scoto a proposito della ‘intentio’.
26
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, E6r; TEOFR., Metaph., VIII, 25, 9b.
27
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, E6r; PLAT., Tim., 40c-e.
28
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XLV; Antib., p. 149.
29
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Academici certo nihil affirmabant,
unde et skeptikoiv dicti quod considerarent omnia et expenderent».
30
DIOG. LAERZ., Vitae philos., VIII, 1, 46; CIC., De nat. deor., I, 5, 10.
31
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B6v, che riprende un noto detto contenuto in PIE-
TRO ISPANO, Summ. log. (ed. de-Rijk), p. 75.
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32
Nell’81 a.C. Lucio Cornelio Silla (138-78 a.C.) rifiutò il consolato che gli si vo-
leva rinnovare, e abdicò anche la dittatura.
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2.
DE I CARATTERI DELLE LETTERE
Principalmente chi è colui che non vegga che le arti del dir
bene, parlo della grammatica, della loica e della retorica, le
quali, solamente entrate e porte delle scienze e non scienze,
spesso portano seco non meno pestilenza che piacere, nelle
quali però non è altra regola di verità che l’arbitrio e la volontà
di alcuni che furono primi a ordinarle, la qual cosa manifesta-
mente si vede in fin dalle proprie invenzioni delle lettere, le
quale sono i primi elementi et instromenti delle arti istesse1, le
prime delle quali furono caldee, che Abraham ritrovò, come
dice Filone2, che furono usate poi da Caldei, Assirii e Fenici.
Ma sono alcuni che dicono che Rodomanto fu il primo che
diede le lettere a gli Assirii3. Mosè dopo queste diede le lettere
a i Giudei, per aventura con altri caratteri diversi da quegli
ch’oggidì essi adoprano, le quali (credesi) che fossero inven-
zione di Ezra4, il quale dicono che scrisse quasi tutti i libri del
Testamento Vecchio5. Appresso un certo Lino Calcide portò le
1
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Literarum elementa, de quibus co-
piose apud Polydorum Vergil. libr. I de Inventoribus rerum, cap. sexto». L’allu-
sione è all’opera dell’umanista Polidoro Virgilio (ca.1470-1555) intitolata De in-
ventoribus libris tres (1499), poi ristampata con aggiunte in Adagiorum liber. Eiusdem
de inventoribus rerum libri octo (1521), cui Agrippa qui si riferisce.
2
Cfr. FIL. EBREO, De Abrahamo, 82, ma si veda anche GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 1.
3
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6.
4
Ibid.
5
I libri di Esdra e di Neemia compongono, insieme ai due libri delle Cronache, un
secondo gruppo di libri storici che ripetono e poi continuano la storia deutero-
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nomista che va da Giosuè alla fine dei Re. In origine i due libri delle Cronache for-
mavano un libro solo e quelli di Esdra e di Neemia facevano parte della stessa rac-
colta, opera di un medesimo autore. L’affermazione secondo cui Esdra, sacerdo-
te della comunità babilonese, sarebbe l’autore di quasi tutti i libri del Vecchio Te-
stamento è ovviamente erronea e potrebbe risalire a GEROL., In Malach., Prolog. Si
veda anche AGRIP., De occ. phil. (ed. Perrone Compagni), III, 30, p. 491.
6
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 1; REUCHL., De verbo mirif., II, C6r; POLID. VIRG.,
De invent. rer., I, 6. Sull’invenzione e la trasmissione dell’alfabeto, si veda anche
TAC., Ann., XI, 14; EROD., Hist., V, 58, 3; DIOD. SIC., Bibl. hist., III, 67, 1; PLIN., Nat. hi-
st., VII, 46, 192. Diversa è la versione che ne danno Platone, Euripide e Pindaro:
le divergenze nella tradizione stanno a sottolineare la rivalità tra i diversi popoli,
egiziani, fenici e greci, nel rivendicare ciascuno il merito di avere inventato l’alfa-
beto.
8
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6.
9
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6, ma si veda anche LATT., Divin. instit., I, 6 e De
ira dei, XI. Mercurio rappresenta l’interpretatio romana del dio egiziano Toth, o
Teuth, inventore della scrittura e dei numeri (si veda supra, p. 27). Questa tradi-
zione risale a Cicerone che parla di un ‘quinto Mercurio’ venerato dagli abitanti
di Feneo in Arcadia (De nat. deor, III, 22, 56). Sulla discendenza di Ermete Tri-
smegisto dal ‘grande Mercurio’, si veda anche AGOST., De civit. Dei, XVIII, 39.
10
Cfr. IGINO, Fab., 277.
11
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6, ma si veda anche ISID., Etymol., V, 39, 11.
12
CRIN., De hon. discip., XVII, 1. I Geti erano una tribù della Tracia settentrionale
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stanziata sulle rive del Danubio intorno al IV sec. a.C. Crinito è il soprannome di
Pietro Riccio (1476-1507), classicista e filologo autore, fra le altre opere, dei Libri
de poetis latinis (1505), accurato esempio di uno studio critico-biografico di poeti
latini, e dei Commentarii de honesta disciplina (1504), una specie di zibaldone di no-
tizie erudite dedicato a B. Carafa e raccolte da Riccio per preparare le sue lezioni
accademiche.
13
Probabile allusione a Jordanes (ca.500-ca.570), storico di origine gotica conver-
titosi al Cristianesimo, forse vescovo di Crotone e sostenitore, come Cassiodoro,
della politica di cooperazione tra i Goti e l’impero romano d’oriente. Fu autore
di un’opera intitolata De origine actibusque getarum (un compendio dell’opera an-
data perduta di Cassiodoro e che recava lo stesso titolo), che narra le vicende dei
Goti dalle origini a Vitige, e di una storia mondiale (De summa temporum vel origine
actibusque gentis romanorum) da Adamo al 551.
14
Cfr. BEDA, Hist. eccl., III, 28.
15
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6.
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16
Marsutra, scriba babilonese del III-IV sec., titolo onorifico che corrisponde al
‘Rabbi’ della tradizione ebraica.
17
Chusi è una località menzionata in GDT 7:18, che si trova a ovest di Aqrabeth e a
sud dell’odierna Nablus. Il nome è omesso nella Vulgata, ma compare nella ver-
sione in latino.
18
Sui Samaritani adoratori di idoli, si veda 2RE 17:24-41.
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3.
DELLA GRAMMATICA
1
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 7; SVET., De gramm., II. Per Cratete di Mallo,
grammatico del II sec. a.C., si veda anche DIOG. LAERZ., Vitae philos., IV, 4, 23.
2
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 7.
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3
Cfr. SVET., De gramm., XXIII.
4
Cfr. QUINT., Instit. orat., I, 1, 6; CIC., Brut., XXVII, 104.
5
Cfr. EROD., Hist., IV, 78.
6
Cfr. PLAT., Rep., 460c-d; Leg., 790 a-d; QUINT., Instit. orat., I, 1, 3-5.
7
Cfr. SEN., Ad Lucil. epist. mor., LXXXVIII, 37; ATEN., Deipn., IV, 139c.
8
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 6; SVET., De vita Caes., V, 41.
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3. DELLA GRAMMATICA 39
9
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XLIX.
10
Cfr. PRISC., Instit. de arte gramm., XII, 1, 1. Diomede (IV sec.) è autore di un trat-
tato di grammatica in 3 libri intitolato Ars grammaticae, mentre l’unica opera esi-
stente di Foca (V sec.) sull’argomento è l’Ars de nomine et verbo.
11
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Lucia. in iudicio vocalium». Il ri-
ferimento è appunto al dialogo di Luciano di Samosata intitolato Iudicium voca-
lium, in cui l’autore svolge una polemica contro gli atticisti fanatici che difende-
vano con atteggiamento estremo l’autentico uso della pronuncia attica. Per il di-
battito tra ‘atticisti’ e ‘asiani’, si veda infra, nota 31, p. 44.
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12
Cfr. RODIG., Lect. antiq., VI, 8.
13
Probabile allusione al Grammaticale bellum nominis et verbi regum, de principalitate
orationis inter se contendentium (1512) di Andrea Guarna Salernitano (1470-1517).
14
Il testo latino reca: «iuris aequalitatem» che rende alla lettera il termine greco
ijsonomiva. L’uso del termine ‘ragione’, che rende nel volgare toscano il latino ius,
ricorre in tutto il testo.
15
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Pernicies in Respub. ex corrupta
et depravata nominum interpretatione».
16
Il termine «canone» (dal greco kanwvn) nel significato di «regola, norma», a par-
tire dal IV sec. è stato utilizzato dalla patristica per designare i libri accolti dalla
Chiesa (= «libri regolari») in opposizione all’aggettivo ‘apocrifo’ considerato in-
vece sinonimo di «non autentico», «erroneo», «eretico». In seguito il sostantivo
kanwvn è entrato nell’uso moderno anche per designare decreti conciliari o sino-
dali, norme disciplinari o giuridiche, momenti della liturgia, parti della messa,
elenchi di membri del clero, e infine cataloghi di libri religiosi di cui si autorizza-
va l’uso.
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3. DELLA GRAMMATICA 41
17
Cfr. REUCHL., De arte cabal., III, M5r; per il riferimento all’episodio biblico, si ve-
da DEUT 25:19; 1 SM 15.
18
Cfr. REUCHL., De arte cabal., III, M5r. L’usanza di sacrificare esseri umani a Satur-
no si ritrova anche presso i Cartaginesi e i Galli. Si veda, per es., DIOD. SIC., Bibl. hi-
st., XX, 14, 4; MACROB., Conv. saturn., I, 7; PLUT., Mor., 171c-d; GIUST., Epit., XVIII, 2;
TERTUL., Apolog. adv. gent., I, 2.
19
Cfr. LC 22:19.
20
Il testo latino dell’edizione del 1531 reca: «Antimantarum et Fluidianorum»,
mentre l’edizione del 1584 corregge in: «Antidicomarianitarum et Elvidiano-
rum». L’allusione è alla setta araba degli antidicomarianiti (fine IV sec., inizio V
sec.), i quali contestavano la verginità permanente di Maria. Successivamente ta-
le dottrina trova proseliti nel laico Elvidio e nei suoi seguaci, i quali avversavano
in generale la vita ascetica e il monachesimo. Tali sette sono menzionate da Ter-
tulliano, Origene ed Epifanio.
21
Cfr. MT 1:25. Si tratta chiaramente della Vulgata versio, ossia della traduzione com-
pleta in lingua latina della Sacra Scrittura a opera di san Gerolamo iniziata su com-
missione del papa Damaso nel 382, resasi necessaria dal moltiplicarsi di alterazioni
praticamente in ogni manoscritto. La traduzione, basata sul testo greco per il Nuo-
vo Testamento e sul testo ebraico per l’Antico Testamento, fu ultimata nel 405.
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22
GV 6:53. Nel 1433, per iniziativa del Concilio di Basilea (1431-1449) fu ricono-
sciuto alla comunità ussita di Boemia il diritto di ricevere l’Eucaristia nelle due
specie, il pane e il vino. Si veda anche infra, pp. 270-271.
23
Cfr. ERASMO, Moriae enc., LIII; Adagia, III, 7, 1 e II, 1, 54.
24
IS 38:5. In realtà nel testo biblico Dio si rivolge a Isaia affinché questi riferisca la
sentenza a Ezechia.
25
ML 1:6.
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3. DELLA GRAMMATICA 43
26
Probabile allusione alla Comparatio philosophorum Platonis et Aristotelis (1458),
pubblicata a Venezia nel 1523, in cui Giorgio Trapezunzio (1395-ca.1472/3) at-
tacca Platone in difesa di Aristotele, e che rappresenta il testo che dette avvio alla
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3. DELLA GRAMMATICA 45
35
Cfr. SVET., Vita Teren., III, dove però si afferma che Terenzio fu aiutato da Sci-
pione e da Lelio, amico di questi e console romano nel 190 a.C.
36
Cfr. SVET., De vita Caes., IV, 53.
37
QUINT., Instit. orat., X, 1, 130.
38
Cfr. SVET., De gramm., XXIII.
39
Probabile allusione all’opera intitolata Elegantiae latinae linguae libri sex (1449)
di Lorenzo Valla (1405-1457), trattazione organica della grammatica latina e che
costituisce uno dei contributi più originali dell’umanesimo italiano alla forma-
zione del moderno metodo filologico.
40
Probabile allusione al De poetica virtute, et studio humanitatis impellente ad bonum
(1492) di Antonio Mancinelli (1452- ca.1500), che contiene una critica ai metodi
antiquati in uso nell’insegnamento del latino.
41
Servio è l’erudito e grammatico latino del IV sec., autore del più importante
commento antico a Virgilio; Filippo Beroaldo (1453-1505), filologo e critico
umanista, autore di numerose opere tra le quali le Annotationes in commentarios
Servii Virgiliani commentatoris (1482), i Commentarii in Propertium (1487) e i Com-
mentarii in Asinum aureum Apuleii (1500).
42
Il testo latino reca: «denique horum opera factum est, ut sacrae scripturae tra-
ductio correctionis praetextu, toties immutata, iam tota a seipsa dissonet». Il fatto
che la traduzione si discosti dall’originale evidenzia un tipico atteggiamento dei
traduttori rinascimentali per cui spesso essi piuttosto interpretano di quanto ren-
dano alla lettera l’originale. Nel caso specifico qui si vuole sottolineare non tanto
il fatto che per secoli sia rimasta intatta la traduzione di san Gerolamo, quanto
che nei tempi contemporanei si siano moltiplicate le traduzioni quale principale
conseguenza dell’atteggiamento di dignità epistemica della filologia.
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43
Nel I e nel II sec., mentre il Vangelo di Marco e Matteo erano ovunque accetta-
ti, sul Vangelo di Luca si esprimevano molte riserve e quello di Giovanni incon-
trava in alcuni ambienti una considerevole opposizione, mentre vi era chi rico-
nosceva soltanto l’autorità delle lettere paoline e di una parte del Vangelo di Lu-
ca. Eusebio di Cesarea, alla fine del III sec. definisce ‘antilegomeni’ (dal greco
ajntilegovmena), ossia ‘libri discussi’, l’Apocalisse, il Vangelo secondo gli Ebrei, le Lettere
di Giuda, le Lettere di Giacomo, e la Seconda lettera di Pietro (si veda Hist. eccl., II, 23-
25 e III, 3; 25). Dubbi riguardo a questo gruppo di libri si ritrovano anche in Cle-
mente Alessandrino, Origene e presso i padri della Chiesa. La canonicità dell’A-
pocalisse, della Seconda lettera di Pietro, della Lettera di Giacomo e della Lettera di Giu-
da, per i loro contenuti e per la dubbia autenticità, continua a essere discussa nei
secc. XV e XVI, e ancora oggi si trovano tra i libri deuterocanonici, mentre il Van-
gelo secondo gli Ebrei è considerato un testo apocrifo.
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4.
DELLA POESIA
1
Cfr. QUINT., Instit. orat., I, 4, 4.
2
Cfr. ERASMO, Moriae enc., L.
3
Tutto il lungo elenco delle favole mitologiche fino ai Centauri è ripreso letteral-
mente da LUCIANO, Salt., 37-56.
4
Il testo latino reca: «lapidis suppositiones», con probabile riferimento alla statua
in pietra in onore di Giove Capitolino eretta nella città di Roma. Si veda, per es.,
AGOST., De civit. Dei, II, 29 e IV, 15.
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5
Iacco, identificato con Dioniso Zagreo, figlio di Persefone e di Zeus, su istiga-
zione di Era venne ucciso dai Titani che ne lacerarono le membra. Sull’identifi-
cazione di Iacco con il dio Dioniso, si veda OVID., Metam., IV, 15.
6
Il testo latino reca: «Bacchi utramque stirpem», ovvero «Bimadre» o «Binato».
Narra una leggenda che Zeus, essendo stata arsa viva Semele con la quale aveva
concepito Bacco, estrasse il figlio dal grembo di lei e lo tenne per due mesi in ge-
stazione in una propria coscia, fino a raggiungere il momento del parto, allorché
Bacco nacque una seconda volta (si veda OVID., Metam., III, 317 e IV, 12; MANIL.,
Astron., II, 2).
7
Il testo latino reca: «errationem Cereris», con riferimento alle peregrinazioni
della dèa Demetra alla ricerca della figlia diletta Persefone rapita da Ades (si ve-
da, per es., OVID., Metam., V, 438-465; APUL., Metam., XI, 2).
8
Il testo di Luciano qui menziona Cefeo, non Orfeo. Re di Etiopia, padre di An-
dromeda, Cefeo partecipò alla spedizione degli Argonauti e dopo la morte fu an-
ch’egli, come la figlia e la moglie Cassiopea, mutato in astro (si veda, per es.,
OVID., Metam., V, 42-45).
9
Il testo latino reca: «Aenaeae et Ulyssis erroribus», nel significato di «peregrina-
zioni» (si veda supra, nota 7).
10
Si tratta di Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, supposto fondatore di Tuscolo e
di Preneste. Secondo la mitologia fu responsabile della morte del padre Ulisse e
in seguito, per volere di Atene, sposò la vedova di lui Penelope, da cui ebbe se-
condo Igino un figlio, Italo, che diede il nome all’Italia (IGINO, Fab., CXXVII).
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4. DELLA POESIA 49
11
Cfr. CIC., De nat. deor., I, 16, 42; ma si veda anche GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
12
Cfr. ELIO SPART., De Vita Hadr., II, 8. Allusione alla tradizione in uso nella tarda
epoca romana di trarre oracoli attraverso l’interpretazione di versi degli antichi
poeti e della Bibbia.
13
Cfr. AGOST., De civit. Dei, II, 14.
14
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De studio div. et hum. phil., I, 6; PLAT., Rep., 568b-d; 595a;
607a-b.
15
Cfr. CIC., De re pub., IV, 9, ma nel Pro Archia Poeta, in partic. VI, 12-19, Cicerone
loda la poesia e i poeti.
16
Cfr. PLAT., Min., 320e.
17
Cfr. ESIODO, fr. 145 (ed. Merkelbach-West); OMERO, Odyss., XI, 568-571.
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18
Cfr. LIC., Alex., 771-792.
19
Cfr. VIRG., Aen., I e IV.
20
Cfr. AUL. GELL., Noct. att., V, 6, 24-26.
21
Cfr. CIC., Tusc. disp., I, 2, 3.
22
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae philos., II, 5, 43 (si veda ERACLIDE PONTICO, fr. 169, ed.
Wehrli).
23
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VI, 3, Ext. 1.
24
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Campanus de poetarum vanitate».
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4. DELLA POESIA 51
Sono oltra di ciò crudelissime contese fra poeti non solo del
carattere del verso, de i piedi, de gli accenti, della quantità delle
sillabe (perché di queste frascherie contendono ancora tutti i
grammatici plebei), ma delle ciancie, figmenti e menzogne,
come sarebbe del nodo d’Ercole25, dell’arbor casta26, delle let-
tere di Giacinto27, de i figli di Niobe28, delle piante appresso le
quali Latona partorì Diana29, della patria d’Omero e del suo se-
polcro, e che fu prima Omero o Esiodo, se Patroclo fu di più
tempo che Achille30, in che portamento del corpo dormisse
Anacarsi Scita31, perché Omero non fece onore ne suoi versi a
Palamede, se Lucano è da esser posto nel numero de poeti o
de gli istorici, delle rubberie di Vergilio e di che mese egli si
morì, e chi
32
ORAZIO,Ars poet., 77-78.
33
Cfr. CIC., De divin., I, 37, 80 e De orat., II, 46, 194; ORAZIO, Ars poet., 295-301. La
fonte per Democrito è il fr. 68, B17-18 (ed. Diels-Kranz).
34
Cfr. SEN., De tranq. anim., XVII, 10; PLAT., Phaedr., 245a. Per il giudizio di Platone
sulla poesia, si veda anche Ion, 533e-535a; Apol., 22b-c; Leg., 669b-670a, 682a,
719c, 816d-817e; Rep., 397b, 398a, 401b, 568b-c, 605a-608b. La diffidenza di Pla-
tone e di Cicerone verso i poeti e la poesia viene ricordata anche da Agostino in
De civit. Dei, II, 14.
35
Cfr. AGOST., Conf., I, 16, 26.
36
Cfr. GEROL., Epistola XXI (Ad Damasum de duobus filiis), 13.
37
Cfr. PLAUTO, Capt., I, 77.
38
Sulla vicenda di Titone, trasformato in cicala da Zeus, si veda OMERO, Iliad., II,
11; ORAZIO, Sat., I, 28; II, 16.
39
Sull’episodio dei contadini della Licia trasformati in rane dalla dèa Latona, si
veda OVID., Metam., VI, 313-381.
40
Sui Mirmidoni, antico popolo greco che trae origine dalle formiche, da cui
prendono il nome stesso (muvrmhke" = formiche), si veda ESIODO, fr. 205 (ed.
Merkelbach-West); OVID., Metam., VII, 622-654.
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4. DELLA POESIA 53
41
VIRG., Aen., IX, 446-449. Gli stessi versi sono citati in SEN., Ad Luc. epist. mor., XXI,
5 e poi ripresi in BRUNO, De gli eroici furori (ed. G. Aquilecchia), vol. II, p. 654.
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5.
DELLA ISTORIA
1
Cfr. LIV., Ab Urbe cond., V, 47; PLIN., Nat. hist., VII, 28, 103.
2
Cfr. GIUST., Epit., IX, 6. Come l’autore stesso afferma nella Prefazione (praef., 4),
l’opera di Marco Giuniano Giustino, composta probabilmente nel III secolo e
che godette di ampia fortuna nel Medioevo, si basa quasi interamente sulle mo-
numentali, e per noi perdute, Historiae Philippicae in 44 libri di Pompeo Trogo (I
sec. a.C.) le quali, partendo dalla descrizione degli antichissimi regni asiatici, si
concludevano con il regno di Augusto.
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3
La storia di Erostrato e di come egli nel 356 bruciò il tempio di Artemide, una
delle sette meraviglie del mondo antico, si trova raccontata in numerosi testi. Si
veda, per es., AUL. GELL., Noct. att., II, 6, 18; VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VIII,
14, Ext. 5; SOLINO, Coll. rer. memor., XL, 2-5; PLUT., Alexand., 3-7.
4
Il testo latino aggiunge: «fidem», qui mancante.
5
Cfr. STRAB., Geogr., II, 1, 27 sgg.
6
Probabile allusione all’opera di Onesicrito di Astipalea (IV sec. a.C.) intitolata
L’educazione di Alessandro (si veda DIOG. LAERZ., Vitae philos., VI, 4, 84), che è poi di-
ventata parte della tradizione popolare alessandrina, e all’opera di Aristobulo di
Cassandrea (IV sec. a.C.) su Alessandro Magno, di cui non si conosce il titolo, che
costituisce la fonte principale dei racconti di Strabone sulle vicende in India del
condottiero macedone. Sul viaggio di Onesicrito in India insieme ad Alessandro,
si veda PLIN., Nat. hist., VI, 25, 96 sgg.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 57
5. DELLA ISTORIA 57
7
Cfr. DIOD. SIC., Bibl. hist., I, 69, 7.
8
Cfr. FLAV. VOP., Divus Aurel., II, 1, dove però a criticare Trebellio Pollione sono
Flavio Vopisco e Giunio Tiberiano, non Liberiano.
9
Cfr. TERTUL., Apol. adv. gent., I, 3, n. 63 e I, 16; OROSIO, Hist. adv. pag., I, 5, 1-5 e 10, 1-6.
10
Il testo latino reca: «Planudem». Probabilmente si tratta del monaco Massimo
Planude, umanista e teologo bizantino vissuto tra il XIII e il XIV sec., autore del-
la silloge di epigrammi greci nota con il nome di Antologia Planudea, una delle
fonti principali per la conoscenza nel Rinascimento di questo genere poetico.
11
Ctesia di Cnido, storico del tardo V sec. a.C., compose una Storia della Persia in
23 libri, una Storia dell’India e un trattato di geografia. L’opera di Ctesia era rite-
nuta inattendibile già dagli antichi. Ecateo di Mileto, vissuto intorno al 500 a.C. è
autore delle Genealogie, o Storie e origine degli eroi, in 4 libri, dedicate alla saga di
Deucalione ed Eracle e dei loro discendenti.
12
Il testo latino reca: «troglodyti». ‘Trogloditi’ è un termine generico con cui i
geografi greci designavano le tribù cavernicole. Secondo Erodoto (Hist., IV, 183),
parlavano una lingua diversa da tutte quelle conosciute, si cibavano di rettili ed
erano velocissimi nelle corse. Secondo Plinio (Nat. hist., VII, 9-32), i Trogloditi era-
no uomini con gli occhi nelle spalle; i Cinocefali uomini con la testa simile a quella
di un cane e che parlano abbaiando; i Pigmei popolazioni dalla statura piccolissi-
ma; gli Arimaspi uomini con un solo occhio al centro della fronte; gli Astomi uo-
mini senza bocca; gli Ippopodi uomini con zoccoli equini e i Fanesii uomini dalle
enormi orecchie con le quali si coprono interamente il corpo. Su queste popola-
zioni, si veda anche, SOLINO, Coll. rer. memor., XXXI, 3sgg.; DIOD. SIC., Bibl. hist., III,
32-34; STRAB., Geogr., XVI, 4, 17; AGOST., De civit. Dei, XVI, 8; AUL. GELL., Noct. att., IX,
4, 6-10; REUCHL. De verbo mirif., I, A5r. I grifi o grifoni sono uccelli favolosi, con la te-
sta armata d’un becco d’aquila, dalle ali potenti e dal corpo di leone.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 58
13
Cfr. DION. ALIC., Antiq. rom., XIV, 1, 3-5.
14
Cfr. STRAB., Geogr., I, 3, 15; EROD., Hist., IV, 48.
15
Cfr. STRAB., Geogr., VII, 1, 3-4.
16
Cfr. PLIN., Nat. hist., IV, 14, 100.
17
Probabile allusione all’opera in 63 libri intitolata Rapsodiae historiarum ennea-
dum ab orbe condito ad annum salutis humanae 1504 di Marcantonio Coccio
(ca.1436-1506), detto Sabellico come forma più nobile per ‘Sabinus’, che molti
gli attribuirono, dal suo paese di origine Vicovaro situato in Sabina.
18
Cfr. VOLTER., Comm. rer. urban., III e VII. Il luogo di Plinio potrebbe essere Nat.
hist., XXXVII, 11, 42. Volterrano è il soprannome di Raffaele Maffei (1455-1522),
allievo di Giorgio Trapezunzio e studioso di classici greci e di teologia. La sua
opera principale è il Commentariorum rerum urbanarum libri XXXVIII (1506), una
grande enciclopedia cui dedicò gran parte della sua vita.
19
Conrad Celtis ovvero Konrad Pickel (1459-1508), umanista tedesco e poeta lati-
no, autore di numerose poesie e di un’opera intitolata De origine, situ, moribus et
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5. DELLA ISTORIA 59
Vi sono anco de gli altri fra gli istorici c’hanno la colpa di bu-
gie molto maggiori, i quali essendosi ritrovati presenti alle co-
se, o sapendo che elle passarono d’altra maniera, vinti nondi-
meno dalla benevolenza e dalla affezione, adulando a i suoi
confermano il falso contra il vero. Fra questi sono alcuni, i qua-
li togliendo a scriveri istorie per accusare o difendere le cause
altrui, raccontando quelle cose solo che fanno a proposito lo-
ro, l’altre dissimulando, trapassandole, o facendole debili, scri-
vono storie corrotte e difettose, del quale vizio il Biondo tassa
Orosio perché egli tacque quella gran ruina dell’Italia nella
quale i Goti disfecero Ravenna, Cardano, Aquileia, Ferrara, e
quasi tutta l’Italia, per non debilitare l’argomento che s’aveva
preso. Oltra di ciò sono molti i quali corrotti per paura, ranco-
re, ovvero odio d’alcuni scrivono il falso. Altri mentre che vo-
gliono inalzare i fatti de suoi, diminuiscono le prove altrui e
l’abbassano in umiltà, e scrivono non quel ch’è, ma ciò che
vorrebbono, quel che vogliono e quel che gli piace, confidan-
dosi che non gli abbiano a mancare compagni e defensori del-
le menzogne loro, e di devere avere per testimoni coloro a i
quali notabilmente avranno adulati. Il qual vizio anticamente
era famigliare a gli scrittori greci, ma oggidì quasi tutti gli isto-
rici d’ogni nazione hanno simil difetto, come il Sabellico e’l
Biondo nelle cose di Viniziani20, Paolo Emilio e Gaguino ne i
fatti de i Francesi21, i quali per altra utilità non sono trattenuti
da i principati se non, come dice Plutarco, acciocché co’l mez-
zo del buono ingegno, soffocando la virtù con gli altri meriti,
secondo la maestà dell’istoria con ciance e finzioni celebrino i
fatti loro. A questo modo gli storici greci scrivendo gli invento-
ri delle cose, ogni cosa attribuirono a loro medesimi, ma non
institutis Norimbergae, che doveva forse fare parte di una più ampia opera intitola-
ta Germania illustrata.
20
Probabile allusione alle Historiae rerum Venetiarum (1487) di Sabellico e al De ori-
ginibus et gestis Venetorum (1454) di Antonio Biondi (1392-1463), noto attraverso la
latinizzazione del nome come Biondo Flavio o Flavio Biondo.
21
Paolo Emilio (Paulus Aemilius) o Emili (ca.1460-1529), cronista dei re Carlo
VIII e Luigi XII, autore del De rebus gestis Francorum, (1515-1519) in 7 libri, cui poi
se ne aggiunsero altri 3, che costituisce una delle fonti più importanti per la sto-
ria del XV sec.; Robert Gaguin (ca.1433-1501), o Robertus Gaguinus, giurista
francese e storico umanista insigne, autore di un Compendium supra Francorum ge-
stis, pubblicato a Parigi nel 1497. Interessante è la sua corrispondenza con Era-
smo da Rotterdam.
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22
Probabile allusione al De origine gentis Francorum compendium (1514), un affasci-
nante racconto della storia dei Franchi dell’abate e teologo tedesco Johannes
Trithemius (1462-1516), ricco di falsificazioni letterarie e personaggi inventati
quali il cronista ‘Hunibald’ qui menzionato da Agrippa.
23
Gregorio, vescovo di Tours (ca.538-594), o Gregorio Turonense, santo ed eru-
dito dell’epoca merovingica, la cui opera più importante è l’Historia Francorum in
10 libri; Reginone da Prüm (m. 915), è noto per il Chronicon, opera in 2 libri dal-
la nascita di Cristo fino al 906; Sigberto di Gembloux (ca.1130-1112), monaco be-
nedettino noto per una serie di opere a carattere storico e agiografico, tra cui il
Chronicon ab anno 381 ad annum 1111.
24
Vitichindo di Corvey (X sec.), cronista sassone di ignota provenienza, autore
dei Rerum gestarum Saxonicarum libri tres (957/8).
25
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VII, 3, 7; PLUT., Fab. Max., XX e Mor., 195f.
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5. DELLA ISTORIA 61
26
Allusione alla Ciropedia, opera in 8 libri di Senofonte di Atene (ca.444-ca.355
a.C.).
27
I personaggi di Artù, Morgana, Conamoro, Lancillotto e Tristano fanno parte
del ciclo delle leggende arturiane della Tavola Rotonda; Margalona è un’eroina
di un libro popolare francese; Dietero potrebbe identificarsi con Dietrich di Ber-
na, personaggio delle saghe del re ostrogoto Teodorico di Ravenna (456-526);
Amadis, Florando eTirante sono personaggi di libri di saghe popolari e di ro-
manzi cavallereschi molto diffusi nel XV sec.; per Melusina, si veda infra, p. 389,
nota 76.
28
Cfr. CIC., De legib., I, 1, 5.
29
Cfr. GIOVEN., Sat., X, 173-177, la cui fonte è EROD., Hist., VII, 22-24.
30
Probabile allusione allo storico Acusilao di Argo, di cui si veda infra.
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31
Cfr. FLAV. GIUS., Contra Apion., I, 3, 16-18. Ellanico di Mitilene (V sec. a.C.) è uno
storiografo contemporaneo di Erodoto autore di opere mitografiche, etnografi-
che e cronografiche quali la Storia di Troia, i Costumi dei barbari, la Storia dell’Attica;
Acusilao di Argo (VI sec. a.C.), è autore di genealogivai, ossia di tradizioni sulle
origini dei Greci organizzate sotto forma genealogica; Eforo di Cuma (V/IV sec.
a.C.), scolaro di Isocrate, è autore di una storia a carattere universale in 30 libri,
della quale ci sono pervenuti solo alcuni frammenti; Timeo di Tauromenio
(ca.356- ca.260 a.C.) è autore di una storia della Sicilia in trentotto libri; Antioco
di Siracusa (IV sec. a.C.) è autore di un’opera sulla Sicilia e sull’Italia; Filisto
(ca.430 a.C.-356 a.C.) e Callia (IV-III sec. a.C.) sono storici siracusani.
32
Egesippo (II sec.) scrisse 5 libri di commentari (uJpomnhvmata), di cui possediamo
solo alcuni frammenti riferiti da Eusebio di Cesarea. Si veda, per es., Hist. eccl., II,
23; III, 32, e in partic., IV, 22.
33
MARZ., Epigr., I, 16.
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6.
DELLA RETORICA
1
Cfr. ORAZIO, Ars poet., 78 (si veda anche supra, p. 52).
2
Il testo latino reca: «quinimo turpem, illiberalem ac servilem adulationem». Cfr.
PLAT., Gorg., 463a-b; Theaet., 173a.
3
Per il riferimento a Lisia (ca.458-ca.380 a.C.) e a Cleante (ca.331-ca.232 a.C.), si
veda QUINT., Instit. orat., II, 15, 30-34; 17, 6; 17, 41. Per Menedemo di Eretria
(ca.350- ca.278 a.C.), si veda DIOG. LAERZ., Vitae philos., II, 17, 125-144.
4
Cfr. CIC., De orat., I, 38, 172.
5
Cfr. CIC., Brut., XII, 46-47.
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6
Cfr. EUNAP., Vitae philos. et soph., 498.
7
Cfr. PLIN., Nat. hist., VII, 30, 112.
8
Cfr. CIC., De orat., II, 36, 155.
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6. DELLA RETORICA 65
9
Il testo latino a questo punto reca: «quia non debere persuasi; si non persuase-
ro, nihil debeo, quia non debere persuasi», qui mancante. Il senso della tradu-
zione rimane comunque inalterato.
10
Cfr. CIC, De orat., I, 20, 91.
11
Cfr. ERASMO, Adagia, I, 9, 25; Antib., p. 97.
12
Cfr. AUL. GELL., Noct. att., V, 10, 1-3. Un racconto articolato della lite tra Prota-
gora ed Evatlo si trova in APUL., Flor., 18. Si veda anche QUINT., Instit. orat., III, 1,
10; DIOG. LAERZ., Vitae philos., IX, 8, 56.
13
Cfr., per es., PLAT., Gorg., 515b; Rep., 595b, 599d-e; Leg., 817b-d.
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14
Cfr. EURIP., fr. 335 (ed. Nauck); ESCH., Prom., 686.
15
Cfr. VOLTER., Comm. urban., I.
16
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XXIV.
17
Ibid.
18
Ibid. Sull’attività giudiziaria di Catone il Censore (234-149 a.C.), si veda PLUT.,
Cato mai., XV-XVII; PLIN., Nat. hist., VII, 27, 100; per l’episodio riguardante Marco
Porcio Catone, detto l’Uticense (95-46 a.C.), si veda PLUT., Cato mino., XXXII-
XXXIIII.
19
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XXIV. L’allusione è alle Filippiche, le celebri orazioni di
Demostene contro Filippo, e alle 14 orazioni pronunciate da Cicerone contro
Antonio (Gellio, infatti, le chiama Antonianae), il cui titolo rivela l’intenzione del-
l’autore di emulare quelle dell’oratore greco.
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6. DELLA RETORICA 67
20
Cfr. CRIN., De hon. discip., XXII, 4. L’episodio è raccontato anche in CIC., De orat.,
II, 37, 155; AUL. GELL., Noct. att., VI, 14, 8-10; PLUT., Cat. mai., XXII, 1-7.
21
Cfr. ERASMO, Adagia, I, 3, 288. Si veda anche supra, p. 26 e nota 3.
22
Cfr. PLUT., Foc., V, 9-10.
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23
Cfr. SVET., De rhetor., I; De vita Caes., VIII, 10.
24
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VI, 3, Ext. 2; Sull’accusa di tradimento ri-
volta a Timagora, membro di un’ambasceria ateniese inviata alla corte persiana a
Susa nel 367 a.C., si veda anche SENOF., Hell., VII, 1, 33; PLUT., Pelop., XXX, 5, e Ar-
tax., XXII, 5-12; ATEN., Deipn., II, 48d-e e VI, 251b, dove però il re adulato da Ti-
magora è Artaserse, non Dario.
25
Cfr. PLUT., Dem., XXIV, 2.
26
Possibile allusione ai seguaci di Taziano di Siria (ca. 120-ca.174), apologeta ed
esegeta greco cristiano discepolo di Giustino e fondatore dell’eresia encratita, au-
tore intorno al 170 di un’opera intitolata Diatessaron, che risulta essere una sorta
di armonizzazione siriaca dei quattro vangeli canonici. Di questo testo, che ebbe
larga fortuna fino ai secoli XIII e XIV, ne esiste una versione in greco e una in la-
tino risalenti all’inizio del III sec., oltre a una traduzione araba e a una versione
medievale olandese basata su una traduzione in latino volgare. Su Taziano, si ve-
da EUSEB., Hist. eccl., IV, 29; GEROL., De vir. ill., XXIX; IREN., Adv. haer., I, 28.
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6. DELLA RETORICA 69
27
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Lutherani rhetoricae periti». Per
le posizioni di Agrippa nei confronti di Lutero relative agli anni della pubblica-
zione del De vanitate, si veda la lettera a Filippo Melantone del 17 Settembre 1532,
in AGRIP., Epist., VII, 13.
28
Cfr. ERASMO, Antib., p. 99.
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7.
DELLA LOICA
1
Cfr. CIC., Brut., XLI, 152-153 e Academ., I, 8, 30.
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2
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 17.
3
Ibid.
4
Ibid.
5
Cfr. AVERR., Phys. (ed. Giunta), VIII, comm. XXII, 357 B-C.
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7. DELLA LOICA 73
nosce egli che la via della verità è chiusa a i sensi? Laonde an-
cora a tutte quelle deduzzioni e scienze, le quali fin dalle ra-
dici son fondate ne i sensi, tutte saranno incerte, erronee e
fallaci6. Quale è dunque ora la utilità della loica, e che frutto
si trae da quella savia demostrazione da i principii e da gli
esperimenti a i quali, a guisa di termini manifesti, sarà neces-
sario consentire? Non si sapranno eglino questi tali principii
più tosto esperimentati che provati? Ma io voglio ora ripetere
questa arte un poco più di lontano. I loici numerano dieci
predicamenti i quali essi domandano generi generalissimi.
Questi sono: sustanza, quantità, qualità, relazione, quando,
dove, sito, abito, azzione e passione, ne i quali credono che si
contenga ogni cosa e s’intenda ciò che si contiene nella ma-
china dell’universo mondo. Oltra di ciò mettono qui che si
predicano di questi e delle parti loro che son cinque, cioè ge-
nere, specie, differenza, proprio et accidente, i quali per que-
sto domandarono predicabili. Appresso ritrovarono quattro
cause di ciascuna cosa: naturale7, formale, efficiente e finale8,
nelle quali si credon potere ritrovare la verità e la falsità di
tutte le cose con una certa infallibile, come essi pensano, de-
mostrazione, cioè sillogismo, il quale bisognerà che sia sopra
diciannove modi di figure, come essi chiamano, con l’uno de
i tre modi. Costoro compagnano ogni sillogismo, o demostra-
zione, di tre termini, i quali sono: subietto del quesito, e que-
sto si chiama la minore; l’altro predicato del quesito, e si do-
manda la maggiore; il terzo è un mezzo che partecipa dell’u-
no e dell’altro. Appresso di questi formano due proposizioni
le quali chiamano ‘premisse’, la maggiore e la minore; da
queste finalmente nasce la conclusione, cioè trapassando da
un estremo all’altro, come dall’entrata al termine9. Questo è
tutto il mirabile artificio, tali sono gli estremi confini di quel-
lo co i quali si danno a credere di combinare, dividere e con-
cludere ogni cosa per certe conclusioni che gli pare impossi-
6
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, Prohem., p. 2r.
7
Il testo latino reca: «materialem», qui reso con «naturale». Siamo di fronte o a
una svista di traduzione o a una dilatazione semantica di termini come ‘materia’
e ‘materiale’ identificati con ‘natura’ e ‘naturale’.
8
Cfr. ARIST., Metaph., 983a.
9
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B5r.
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10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, Prohem., p. 2r.
11
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B5r.
12
Cfr. PUBLILIO SIRIO, fr. N40 (ed. Meyer).
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8.
DELLA SOFISTICA
1
Il termine haecceitas, largamente utilizzato dalla filosofia scolastica, indica una
differenza o proprietà che compete a questo determinato individuo e non a un
altro; vale a dire un’entità positiva che viene a costituire l’individuo nella sua
concreta individualità.
2
Cfr. VIVES, In pseudodial. (ed. Fantazzi), p. 49.
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3
L’allusione è ai complessi e sofisticati studi di logica dell’età scolastica che sfo-
ciano, grazie soprattutto all’opera di Duns Scoto (ca.1265-1308) nella scoperta
dell’undicesimo predicamento, cosiddetto ‘intentio’, di cui non vi è traccia in
Aristotele. Assume, infatti, Aristotele che ove si dia compresenza spazio-tempora-
le di un intelligibile e di un intelletto, si produca immediatamente l’intellezione.
Osserva Duns Scoto che ove non si dia una tensione orientata dell’intelletto al-
l’intelligibile, il processo conoscitivo non principia. Cionondimeno Aristotele pa-
re toccare una prospettiva analoga a quella dell’undicesimo predicamento in un
luogo degli Analytica posteriora (si veda supra, p. 31 e nota 25).
4
Sugli inganni di Dafita di Telmesso (III sec. a.C.), si veda VAL. MASS., Fact. et dict.
memorab., I, 8, Ext. 8; CIC., De fato, III, 5; per Eutidemo e Dionisidoro di Chio (V
sec. a.C.), si veda, per es., PLAT., Euthyd., 273a-d; VIVES, In pseudodial., p. 47; sulle
sottigliezze filosofiche di Crisippo di Soli (III sec. a.C.) e sulla complessità della
sua teoria logica, si veda ERASMO, Moriae enc., LIII e Antib., pp. 127, 131, 163, 211.
5
Cfr. ERASMO, Moriae enc., LI.
6
Cfr. VIVES, In pseudodial. (ed. Fantazzi), p. 45.
7
Cfr. PETR., Famil. rer. lib., I, 7, 2.
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8. DELLA SOFISTICA 77
8
Cfr. QUINT., Instit. orat., XII, 2, 14.
9
Cfr. RM 2:12.
10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 8.
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11
7:7; GV 16:24.
MT
12
Cfr. GEROL., Comm. in Naum proph., LXX. Anche le successive affermazioni su
Eunomio, Manicheo e Novato, sembrerebbero prese letteralmente da questo pas-
so di san Gerolamo.
13
Cfr. EUNOMIO, Liber apol., XII, 10-11. Eunomio di Cizico (IV sec.) è il principale
rappresentante dell’arianesimo. Il concetto su cui si fonda la sua dottrina è l’af-
fermazione dell’ajgennhsiva, cioè dell’essere ingenerato, come qualità significativa
dell’essere divino di Dio Padre, per cui il Figlio, in quanto da lui generato (= crea-
to) non può partecipare della sua natura e ne possiede gli attributi divini a livello
nettamente inferiore. Tale affermazione risultava non essere in accordo con le
Sacre Scritture e dunque eretica.
14
Mani (nelle fonti greche e latine Mavnh", Manes, o Manicaio", Manichaeus), è il
fondatore nel III sec. delle dottrine gnostiche secondo le quali all’origine del ma-
le sarebbe Dio. Dalla Mesopotamia il manicheismo si diffuse ben presto anche in
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8. DELLA SOFISTICA 79
9.
DELL’ARTE DI LULLIO
1
Cfr. CIC., De fin., II, 1, 1; PLAT., Gorg., 447d-448a.
2
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Agrippae commentaria in artem
brevem Lullii». Si tratta dell’opera intitolata In artem brevem Raymundi Lullii com-
mentaria scritta intorno al 1517 e pubblicata per la prima volta a Colonia nel 1531.
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10.
DELL’ARTE DELLA MEMORIA
1
Cfr. CIC., De orat., II, 86, 353; Per Simonide di Ceo (556-468 a.C.) e Metrodoro di
Scepsi (ca.170 a.C.), si veda CIC., De orat., II, 86, 351 e QUINT., Instit. orat., X, 6, 4;
XI, 2, 11; 22; 26.
2
Cfr. CIC., De fin., II, 32, 104-105, ma si veda anche PETR., De rem. utr. fort., I, 8, 16.
3
QUINT., Instit. orat., XI, 2, 22.
4
Uno scritto con questo titolo non compare fra le opere di Cicerone. Agrippa al-
lude qui probabilmente alla cosiddetta Rhetorica ad Herennium (XVI, 28-30), ope-
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11.
DELLA MATEMATICA IN GENERE
1
Abu– Bakr al-H.asan ibn al-Ìas.¥b (ca. IX sec.), noto con il nome latinizzato di Al-
bubater, astronomo arabo di origine persiana la cui opera principale fu tradotta
in latino con il titolo di Liber de nativitatibus.
2
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B4v.
3
Il testo latino aggiunge: «neque secundum naturam», qui mancante.
4
Cfr. AGOST., De ord., II, 16, 44; Conf., V, 3. Per un giudizio di Agostino sulle scien-
ze in generale, in cui egli distrugge gli argomenti razionali e la loro pretesa di
certezza, si veda Solil., II, 20.
5
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De studio div. et hum. phil., I, 6; GEROL., Comm. in epist. ad
Titum, Prologus.
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12.
DELLA ARITMETICA
1
Appare chiaro come l’aritmetica dell’epoca sia ancora fondamentalmente tri-
butaria della tradizione pitagorica, per la quale quantità e qualità sono inscindi-
bilmente connesse. Per allontanarsi da questa visione bisognerà aspettare la rivo-
luzione cartesiana.
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13.
DELLA GEOMANZIA
1
La geomanzia, metodo divinatorio d’origine araba, si fondava sull’interpretazio-
ne in rapporto alle stelle di alcuni punti tracciati sulla sabbia dall’interrogante. Il
metodo ebbe una grande fortuna nel Medioevo.
2
Le tessere prenestine erano in uso presso l’antica Roma per le divinazioni poi-
ché si diceva che esse contenevano il fato dei Romani. Cfr. CRIN., De hon. discip.,
XXII, 3; AGRIP., De occ. phil., II, 53, p. 380.
3
ARIST., Meteor., 339a.
4
Abu– ‘Al¥ Ya‘qb ibn al-Kayar (IX sec.), conosciuto con il nome latino di Alboha-
li, noto per le sue pratiche di geomanzia astrologica, autore di un trattato di
astrologia genetliaca che ebbe molte traduzioni latine con il titolo di De nativita-
tibus; Gerardo da Cremona (1114-1187), uno dei traduttori in latino più prolifi-
ci di testi arabi filosofici, astrologici, medici e alchemici, tra i quali l’Almagesto di
Tolomeo, il Liber canonis di Avicenna, il Liber de aluminibus et salibus attribuito al
medico arabo al-RÇz¥ (si veda infra, nota 28, p. 416), il Lumen luminum o De per-
fecto magisterio, il primo libro dei De septuaginta attribuiti a JaÇbir ibn HayyÇn o Ge-
ber (si veda infra, nota 15, p. 446); Bartolomeo da Parma (XIII sec.) è autore di
tre trattati di geomanzia: la Summa (1288) dedicata all’imperatore Massimiliano
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II, e il Breviloquium (1294) e i Verba collecta (1295), due compendi della Summa;
Tondino potrebbe identificarsi con ¥um†um al-Hind¤, personaggio più o meno
leggendario cui la tradizione araba attribuisce un gran numero di opuscoli sulle
pratiche divinatorie e magiche, in particolare sulla chiromanzia, sulla spatuloman-
zia e sulle convulsioni (si veda a riguardo T. Charmasson, Recherches sur une technique
divinatorie: la géomancie dans l’Occident médiéval, Dror Campion, Genève-Paris,
1980, p. 15).
5
Possibile allusione al trattato intitolato In geomanticam disciplinam lectura la cui
datazione è incerta.
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14.
DELL’ARTE DE DADI
1
Sull’origine del gioco dei dadi presso i Lidi, in Asia, si veda EROD., Hist., I, 94.
2
Cfr. AGRIP., De occ. phil., II, 53, p. 380.
3
Cfr. SVET., De vita Caes., V, 33.
4
Ivi, II, 71.
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5
Cfr. GIUST., Epit., XXXVIII, 9.
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15.
DELLA SORTE DI PITAGORA
1
Cfr. PITAG., Spera, f. 175. Si veda anche AGRIP., De occ. phil., II, 3, pp. 254-255 e II,
20, p. 306 in cui si precisa che questa specie di arte divinatoria è chiamata ‘arit-
manzia’ (si veda infra, p. 207 e nota 12).
2
TERENZIANO, De litt. syll. (ed. Keil), 267-273.
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3
Cfr. ALCHAND., De verit. et praed. (ed. Roussat), a4r. Il testo latino reca: «Alchan-
drius»: probabile allusione all’astronomo Alhandreus o Alcandrus, autore di
un’opera di matematica di cui esiste una versione in latino in un manoscritto del
X sec. Un Alchadrinus o Archandrinus è menzionato da Michele Scoto nel suo
Liber introductorius e da Pietro d’Abano nel Lucidator astronomiae quale successore
di Ermete Trismegisto.
4
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXVIII, 4, 33. La citazione di Plinio, così come quelle pre-
cedenti di Terenziano e di Alcandrino, ricorrono anche in AGRIP., De occ. phil., II,
20, p. 306.
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16.
DELLA ARITMETICA UN’ALTRA VOLTA
1
Cfr. PLAT., Phaedr., 274d.
2
Cfr. PLUT., Lycurg., IX, 3 e XXIV, 4.
3
Cfr. EUCL., Elem., VII, 6, definit. La definizione di pari data da Euclide non parve
convincente perché non risolveva il problema della commensurabilità tra gran-
dezze di estensione misurabile con un numero pari, ma irriducibili per configu-
razione l’una nell’altra, come per esempio un quadrato e un cerchio, la cui area
sia misurabile in 4 metri. Nella tradizione geometrica questa difficoltà è nota co-
me problema della quadratura del cerchio.
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4
Una componente della dottrina della setta gnostica che fa capo a Valentino (II
sec.) riguarda la simbologia numerica, particolarmente sviluppata dal suo disce-
polo Marco il Mago, attivo nella seconda metà del II sec. nella regione di Lione,
fino a elaborare una vera e propria cabala di simboli numerici. Per Marco il Ma-
go, si veda IREN., Adv. haer., I, 13-21 e II, 11-22; TERTUL., De praes. haer., L. Per Va-
lentino, si veda TERTUL., Adv. Valentin., IV; IREN., Adv. haer., III, 4, 3 e III, 15, 2;
EPIF., Haer, XXXI, 7-12.
5
L’allusione è ancora alla dottrina valentiniana per cui la tetractys sarebbe la fon-
te della natura eterna (si veda IPPOL., Refut., VI, 34). Si tratta di un evidente rie-
cheggiamento pitagorico dal momento che tetractys era il termine adoperato da
quella scuola per indicare la somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4=10), rap-
presentabile con un triangolo rettangolo che ha il 4 per cateto. Si veda a questo
riguardo PITAGORA, fr. 455 (ed. Diels-Kranz); GIAMB., Vita Pyth., XX; REUCHL., De
verbo mirif., II, E3v-E4r e De arte cabal., II, F4v; F5v-F6r; H3r; GIORGIO, De harm. mun-
di, I, 4, 1.
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17.
DELLA MUSICA
1
Cfr. CIC., Tusc. disp., I, 10, 19 e I, 11, 24. Aristosseno di Taranto (IV sec. a.C.), di-
scepolo di Aristotele, è autore di un’opera in 3 libri intitolata nella sua versione
latina Elementa harmonica, in cui è trattato il tema dell’analogia tra anima e musi-
ca. Simili concezioni si ritrovano in PLAT., Phaed., 85e-86d; Leg., 819b sgg.
2
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22; PLUT., Mor., 1143e. La fonte di Plutarco è ARISTOSS.,
Elem. harm., I, 2. Sull’argomento, si veda anche PROCLO, In Tym. comm. (ed. Diehl),
III, 192A; MACROB., Comm. in somn. Scip., II, 4, 13; GIORGIO, De harm. mundi, I, 5, 16.
3
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22.
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4
Cfr. PLUT., Mor., 1134a-1136d. Si tratta dei due musici antichi Polimneste di Co-
lofone (VII sec. a.C.) e Sacada di Argo (VI sec. a.C.).
5
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22; PLUT., Mor., 1136c-d. Per Aristosseno, si veda fr. 81
(ed. Wehrli) e test. 106 (ed. Da Rios).
6
Cfr. PLUT., Mor., 1132c-1133d; BOEZIO, De musica, I, 1; GIORGIO, De harm. mundi,
Prohem., p. 4r; III, 1, 12. Per Terpandro di Antissa (VII sec. a.C.) inventore dei
modi musicali, si veda THIMOTH., Persae, 234; PROCLO, Chrest., 45; fr. 2 (ed. Muller),
II, p. 23; PLIN., Nat. hist., VII, 56, 204; per Pitocle di Ceo, maestro di musica, si ve-
da PLAT., Alcib. I, 118c; PLUT., Pericl., IV, 1.
7
Cfr. PLUT., Mor., 1136d. Lisia non è il famoso oratore attico del V-IV sec. a.C., ma
uno dei tre interlocutori del dialogo di Plutarco. In realtà è Soterico, un altro de-
gli interlocutori, a riferire che «alcuni scrittori di armonica» attribuiscono a Ter-
pandro l’invenzione dei quattro modi musicali.
8
Cfr. PLAT., Leg., 642a. Il concetto viene poi sviluppato in 654a sgg. Per il valore
etico-pedagogico dei vari modi musicali in Platone, si veda anche Rep., 400a sgg.
9
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22; ATEN., Deipn., XIV, 624c (si veda ERACLIDE PONTICO,
fr. 163, ed. Wehrli).
10
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22.
11
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 15; PLUT., Mor., 1140c; AUL. GELL., Noct. att., I,
11, 5-6. La tradizione che vuole i Cretesi e gli Spartani incitati dalla musica al
combattimento risale a EROD., Hist., I, 17 e TUCID., Hist., V, 70.
12
Cfr. BOEZIO, De musica, I, 1. L’episodio di Timoteo di Mileto (V-IV sec. a.C.), che
incita Alessandro Magno a suon di musica è riportato anche in DIO CRISOST., Orat.,
I, 1-2; GIORGIO, De harm. mundi, Prohem., 4r; RODIG., Lect. antiq., V, 27; AGRIP., De
occ. phil., II, 24, p. 323 e III, 46, p. 547.
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13
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22; PLAT., Rep., 398e-399a.
14
Cfr. MARZ. CAP., De nupt. Merc. et Phil., IX, 927-929. La fonte di Capella è VARR., De
re rust., III, 17.
15
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22.
16
Cfr. ATEN., Deipn., XIV, 626a-626e. La fonte utilizzata da Ateneo è POLIB., Hist.,
IV, 20, 5-21.
17
Cfr. OMERO, Odyss., III, 267-272; SEST. EMP., Adv. math., VI, 11, 12.
18
Cfr. PLUT., Mor., 1136c. Sull’accordo tra i quattro generi di musica e i quattro
umori e tra quelli e i pianeti, si veda AGRIP., De occ. phil., II, 26, pp. 325-328.
19
Cfr. BOEZIO, De musica, I, 1; ATEN., Deipn., XIV, 625b-e; CENSORINO, Fragm. (ed.
Frick), XII.
20
Cfr. APUL., Flor., IV; ATEN., Deipn., XIV, 624c-625a.
21
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 22.
22
Cfr. MARZ. CAP., De nupt. Merc. et Phil., IX.
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23
Cfr. ATEN., Deipn., XIV, 623d, dove però il citaredo si chiama Amebeo.
24
ORAZ., Serm., I, 3, 1-3.
25
Il termine è usato in ARIST., Probl., 956b per indicare una sorta di corporazione
di cui facevano parte attori e musicisti, ossia tutti coloro che lavoravano nel tea-
tro. Si veda anche ARIST., Rhet., 1405a; POL., Hist., XVI, 21, 8; ATEN., Deipn., V, 198c
e 212d; IX, 406f; XIV, 626b.
26
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 28.
27
Ibid; PLUT., Per., I, 5; per Ismenia di Tebe (IV sec. a.C), si veda anche PLUT., Mor.,
174e-f; 632c; 1095f; Dem., 889b.
28
Cfr. PETR., De rem. utr. fort., I, 23, 16; SVET., De vita Caes., VI, 20-25 e 53.
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29
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 28; PLUT., Per., I, 5.
30
Cfr. OMERO, Odyss., VIII, 24-64. Il riferimento è comunque impreciso, trattando-
si di Alcinoo e non di Alcione colui che ascolta insieme a Ulisse il citaredo Demò-
doco.
31
Cfr. VIRG., Aen., I, 740-747.
32
Il testo latino reca: «Antogionus», ma l’edizione del 1584 corregge in: «Antigo-
nus».
33
Cfr. DIOD. SIC., Bibl. hist., I, 81, 7.
34
Cfr. ATEN., Deipn., XIV, 626a. Si veda anche POLIB., Hist., IV, 20, 5-6; EFORO, fr. 70
F8 (ed. Jacoby).
35
A questo punto il testo latino reca: «praecinentium, decinentium, intercinen-
tium, occinentium, et concinnentium», qui mancante.
36
Sulla morte di Orfeo per mano delle Baccanti, si veda OVID., Metam., XI, 1-66;
PLAT., Symp., 179d; VIRG., Georg., IV, 520-527; STRAB., Geogr., VII, fr. 18 (Epit. Vat.);
DIOG. LAERZ., Vitae philos., I, prohem., 5 e DIOD. SIC., Bibl. hist., V, 75, 4, dove però
Orfeo viene fatto a pezzi dai Titani. I Ciconi sono una tribù semileggendaria del-
la Tracia, che figura nell’Iliade tra gli alleati di Priamo (Iliad., II, 846) e nell’Odis-
sea come il primo popolo da cui approda Ulisse lasciando Troia (Odyss., IX, 39-
66). Secondo la leggenda presso di loro viveva Orfeo, il quale in quei luoghi fu
iniziato ai misteri di Apollo.
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37
Cfr. OVID., Metam., I, 713-722. Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Mer-
curius enim Argum fistulae cantu delinitum occidit».
38
Allusione all’interiezione latina «Eu-hoè» (dal greco ejuoi') che indica l’urlo di
gioia durante le celebrazioni in onore di Bacco. Si veda, per es., SOFOC., Trach.,
219; LUCIANO, Bacc., 4; VIRG., Aen., VI, 517; CATULLO, Carm., LXIV, 255, ORAZIO, Sat.,
II, 19, 5-7.
39
Il testo latino reca: «Anaxillas», con riferimento al poeta comico Anassila (IV
sec. a. C), autore di alcune commedie. Si veda, per es., DIOG. LAERZ., Vitae philos.,
III, 28.
40
Il testo latino reca: «Lybia», ossia l’Africa per gli antichi.
41
Cfr. ATEN., Deipn., XIV, 632e; RODIG., Lect. antiq., V, 22. La fonte per Anassila è
l’opera, perduta, intitolata Giacinto (si veda fr. 27, ed. Kassel-Austin). Sull’antico
proverbio greco secondo cui l’Africa produce sempre qualcosa di nuovo, si veda
ARIST., De gen. anim., 746b e Hist. anim., 606b; PLIN., Nat. hist., VIII, 17, 42; GIOVAN-
FRANC. PICO, Exam. vanit., I, 16.
42
Cfr. PETR., De rem. utr. fort., I, 23, 14; AMBR., Enarr. in Psal., I, 12 e De off. min., I, 18,
67.
43
Cfr. PETR., De rem. utr. fort., I, 23, 14, AGOST., Conf., X, 33.
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18.
DELLE DANZE E DE BALLI
1
Cfr. PETR., De rem. utr. fort., I, 24, 10.
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2
Cfr. LUCIANO, Salt., 22.
3
Ivi, 8.
4
Ivi, 16.
5
Per i Bragmani dell’India, si veda infra, p. 187, nota 3.
6
Cfr. LUCIANO, Salt., 15 e 17-19.
7
Ivi, 20.
8
Ivi, 10.
9
Ivi, 14.
10
Ivi, 25, ma si veda anche SOCRATE, test. 1 C175 (ed. Giannantoni); DIOG. LAERZ.,
Vitae philos., II, 5, 32; SENOF., Simp., II, 15-16; ATEN., Deipn., I, 20e-21a; PETR., De rem.
utr. fort., I, 23, 16.
11
Cfr. PLAT., Symp., 178a-.c
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12
Cfr. SALL., Bellum Cat., XXV, 2; MACROB., Conv. saturn., III, 14, 15.
13
CIC., Orat. pro Murena, VI, 13.
14
Cfr. ES 32:6; 19.
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19.
DELLA GLADIATORIA
1
Il testo latino reca: «chironomiae». Propriamente per ‘chironomia’ si intendeva
la ‘danza delle mani’, ossia la gesticolazione cadenzata delle mani e delle braccia
propria delle danze, movimenti che in qualche caso, come nella tradizione orien-
tale, assumevano un valore simbolico. Da queste danze si svilupparono delle for-
me di ‘danza in armi’, ossia delle danze di guerra eseguite da uomini armati co-
me in battaglia. Tale danza era chiamata anche ‘pirrica’, i cui movimenti sono de-
scritti da Platone in Leg., 815a. Sulla danza pirrica, si veda anche ATEN., Deipn.,
XIV, 630d-631b. Il termine ‘chironomia’ ricorre anche in Plutarco e Luciano con
riferimento all’ ‘arte di sferrare colpi da vicino’, ossia al pugilato.
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20.
DELLA ISTRIONICA
1
Cfr. MACROB., Conv. saturn., III, 14, 11-13.
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2
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., II, 6, 7. Sulla fama di Marsiglia di città dai
costumi sobri e severi, si veda anche STRAB., Geogr., IV, 1, 4-5; RODIG., Lect. antiq.,
IX, 8.
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21.
DEL RETORISMO
1
Cfr. PLAT., Leg., 816a; CIC., De orat., I, 34, 156; 251-252; III, 56-61, 227; QUINT., In-
stit. orat., XI, 3, 61-149.
2
Cfr. CRIN., De hon. discip., IV, 8.
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3
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VIII, 10, Ext. 1. Questo detto di Demostene
è riportato in numerosi autori dell’antichità: si veda, per es., FILOD., Rhet., I, 196,
3; CIC., Orat., XVII, 56 e Brut., XXXVII, 142.
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22.
DELLA GEOMETRIA
1
Cfr. FIL. EBREO, De agric., 13. Il termine utilizzato da Filone per definire la geo-
metria è propaivdeuma.
2
L’elleboro è una pianta di cui si usano le radici, velenose, le cui proprietà erano
ritenute efficaci nella cura della pazzia. Si veda, per es., PLAT., Euthyd., 299b; TEO-
FR., Hist. plant., IX, 10; STRAB., Geogr., IX, 3, 3; PLIN., Nat. hist., XXV, 48-49.
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3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9; CORP. HERM., Asclep., 23-24 e 37-38; AGOST.,
De civit. Dei, VIII, 23.
4
Cfr. AUL. GELL., Noct. att., X, 12, 8; FIC., Theol. plat., XIII, 3 e De vita, III, 13; RODIG.,
Lect. antiq., I, 38, ma si veda anche REUCHL., De verbo mirif., II, C2r; GIORGIO, De
harm. mundi, III, 4, 9; AGRIP., De occ. phil., II, 1, pp. 249-250.
5
Cfr. CIC., Tusc. disp., I, 25, 63 e De re pub., I, 21-22. La notizia della sfera costruita
da Archimede è riportata anche in FIC., Theol. plat., IV, 1 e XIII, 3 e in REUCHL., De
arte cabal., II, H2v. Nel De vita lo stesso Ficino riferisce di un orologio astronomi-
co costruito da Lorenzo della Volpaia per Lorenzo de’ Medici simile alla sfera ari-
stotelica (De vita, III, 19). Di questo orologio con le rappresentazioni dei pianeti
si ha notizia anche da Poliziano, Vasari ed altri.
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6
Cfr. supra, nota 4, p. 13.
7
Il testo latino reca: «in plastica», vale a dire l’arte del modellare in materiale fit-
tile.
8
Il testo latino reca: «in fabrile», vale a dire l’arte della fucina.
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23.
DELLA OPTICA, OVERO PERSPETTIVA
1
Il testo latino qui reca: «visui», ossia letteralmente «alla vista». Si tratta di una
probabile svista del traduttore.
2
Cfr. AUL. GELL., Noct. att., V, 16, 1-2.
3
Ivi, V, 16, 4-5. Il testo latino reca: «ea vero quae circa aerem medium est, facile
effusibili, vertibilique, coextensae igniformi visus virtuti». Per le considerazioni di
Platone sulla vista, si veda Tim., 45b-e; Rep., VI, 507d-508d.
4
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 15 (si veda AEZIO, IV, 13, 9-10, ed. Diels).
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5
Cfr. ARIST., De anima, 418a-419a; si veda anche De sensu, 438a-438b.
6
Cfr. PORF., De abstin., I, 33-34; FIC., Theol. plat., XIII, 2.
7
Cfr. AGOST., De quant. anim., V, 9.
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24.
DELLA PITTURA
I pittori et i poeti
ebber sempre di far possanza eguale1.
Dicesi che la pittura non è altro che una poesia che tace e la
poesia una pittura che parla2, tanto sono elleno parenti insie-
me. Perciocché i pittori così fingono le istorie e le favole come
i poeti fanno, et esprimono le imagini di tutte le cose, il lume,
lo splendore, l’ombre, i rilievi e le depressioni. Oltra di ciò la
pittura ha questo dalla prospettiva, ch’ella inganna la vista e
sparge molte sembianze a gli occhi de i risguardanti, variato si-
to in una immagine, et ella aggiunge dove non può arrivare la
scultura: dipinge il fuoco, i raggi, il lume, i tuoni, i lampi, i fol-
gori, il tramontar del sole, l’aurora, la sera, le nebbie, le pas-
sioni dell’uomo, i sensi dell’animo, e quasi esprime la voce
istessa, e con mentite misure fa vedere le cose che non sono
1
ORAZIO, Ars poet., 9-10.
2
Cfr. PLUT., Mor., 394c.
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come quelle che sono, e quelle che così non sono in altro mo-
do le fa parere, sì come raccontano gli istorici di Zeusi e Parra-
sio pittori, i quali essendo venuti a contesa di chi più fosse sof-
ficiente nell’arte sua, et avendo mostrato il primo delle uve di-
pinte con tanta similitudine che a quelle volarono gli uccelli,
l’altro mise fuora una tavola con un velo dipinto, contraffacen-
do tanto il vero che quell’altro, insuperbito per lo giudicio del-
la pittura sua che n’avevano dato gli uccelli, mentre che gli fa-
ceva instanza che volesse levare il velo e mostrargli la sua figu-
ra, conosciuto alla fine l’error suo, fu costretto a cedergli la vit-
toria, avendo Zeusi ingannato gli uccelli e Parrasio il maestro3.
E Plinio dice che ne i giuochi di Claudio vi fu una maraviglia di
pittura che i corvi ingannati dalla apparenza volarono alla sem-
bianza delle tegole, e secondo che dice il medesimo auttore
nel triumvirato famoso si vide per prova che gli uccelli si rima-
sero di cantare per un serpente dipinto4. Oltra di ciò la pittura
ha questo, che in tutte le opere sue sempre vi s’intende e vi si
giudica più di quel che si vede, come diligentissimamente que-
ste cose ha investigato Plutarco ne suoi ritratti, e benché l’arti-
ficio sia grande, l’ingegno però avanza l’artificio.
3
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXV, 36, 65-66.
4
Ivi, XXXV, 7, 23; XXXV, 38, 121.
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25.
DELLA SCULTURA ET ARTE DI GETTARE
1
Da «cripticus», ossia «sotterraneo», dunque «arte di operare sotterraneamente».
2
Probabile allusione all’opera intitolata De sculptura (1505) di Pomponio Gaurico
(1481/2-1530).
3
Cfr. 1 RM 1:22-25.
4
DEUT 27:15. Sulla condanna dell’idolatria, si veda anche IS 44:9-20; DEUT 5:8-9 e
13:1-19; ZC 13:2.
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5
Cfr. SP 14:12-15.
6
«…non est absque idolatriae vitio, sive periculo»: asserzione condannata dai teo-
logi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 533.
7
Cfr. infra, pp. 253-257; 476.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 125
8
«Diabolus est author cucullae»: asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si
veda Appendice 2, p. 533.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 126
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 127
26.
DELLA ARTE DE GLI SPECCHI
1
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 2; SEN., Nat. quaest., I, 16, 2.
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2
Cfr. AGRIP., De occ. phil., II, 1, p. 250.
3
Cfr. AGOST., Epist., III, 3; IV, 1. Il testo latino reca correttamente: «Nebridium».
4
Allusione all’opera di Witelo di Slesia, o Vitellio (ca.1230-ca.1275) intitolata Per-
spectiva o Ottica, destinata a diventare il più importante trattato medievale di otti-
ca fino al XVII secolo. L’opera, in 10 libri, composta circa nel 1270 e stampata
per la prima volta a Norimberga nel 1535, è dedicata a Guglielmo di Moerbeke
ed è una compilazione di testi greci e arabi, tra i quali spicca per importanza la
traduzione del De aspectibus o Perspectiva dell’arabo Alhazen (si veda infra, nota 7,
p. 142), spesso menzionato come «Auctor perspectivae».
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27.
DELLA MISURA DEL MONDO
1
Lo gnomone è uno strumento rudimentale, costituito da un’asta disposta verti-
calmente sul suolo, per misurare l’altezza del Sole sull’orizzonte e per determi-
nare l’istante del mezzogiorno locale.
2
VIRG., Georg., I, 52-53.
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3
OVID.,
Metam., I, 32-44.
4
Cfr. TOLOM., Geogr., I, 24.
5
Cfr. STRAB., Geogr., IX, 3, 1. Il riferimento a Strabone è però impreciso.
6
LUCANO, De bello civ., V, 75-77.
7
Cfr. GEROL., Chron., I, 11, 1. Beroso, storico babilonese (IV-III sec. a.C.), è autore
di un’opera in 3 libri intitolata Babylonicarum rerum, di cui ci restano solo alcuni
frammenti (si veda BEROSO, ed. Jacoby, 680, III, pp. 364-397).
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8
SAL 74:12. Sull’uso del termine ‘profeta’ applicato al Salmista, e in generale ai
traduttori delle Scritture per la loro interpretazione guidata dallo Spirito Santo,
si veda, per es., AGOST., De civit. Dei, I, 7; XVII, 1; XVIII, 38 e 43.
9
Cfr. LUCR., De rer. nat., I, 1052-1067 e V, 534-538; LATT., Divin. instit., III, 24 sgg.;
AGOST., De civit. Dei, XVI, 9. L’idea di un mondo abitato anche nell’emisfero op-
posto a quello allora conosciuto, è da ascrivere probabilmente a Pitagora (si veda
DIOG. LAERZ., Vitae philos., VIII, 1, 26), ed è poi ripresa da Platone (Tim., 63a). Un
parere in favore di tale idea si trova in PLIN., Nat. hist., II, 65, 161-162; MACROB.,
Comm. in somn. Scip., II, 5, 24-28; MARZ. CAP., De nupt. Merc. et Phil., VI, 606-609.
10
AGOST., Conf., X, 8.
11
Cfr. PLIN., Nat. hist., II, 1, 3.
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28.
DELLA ARCHITETTURA
1
Il termine latino «pistrina» indica la bottega dove si fa il pane. Si veda, per es.,
PLIN., Nat. hist., XVIII, 20, 86 e XIX, 52, 167.
2
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XXXIX.
3
Cfr. AGRIP., De occ. phil., II, 1, pp. 250-251.
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cose che non sono punto d’utile alcuno a gli uomini se non da
guardare e maravigliarsi e, come dice Plinio, con grandissime
spese son fabbricate a oziosa e sciocca pompa di dinari4, sì co-
me sono i miracoli superstiziosi d’opere de gli Egizzii, de i Gre-
ci, de Toscani, de Babilonii e d’alcune altre nazioni, labirinti,
piramidi, obelisci, colossi, mausolei, mostruose statue di Rapsi-
nate, di Sesostre e d’Amasi, e quella maravigliosa Sfinge nella
quale credesi che sia posto il re Amasi5. Perciocch’ella era, co-
me dice Plinio, lavorata di sasso naturale e rosso, il circuito del
capo del mostro era per la fronte cento e duo piedi, la lun-
ghezza cento e quarantatre6. Ma vi sono ancora cose maggiori
di queste, l’opera di Memnone e di Semiramide in Bagisiano,
monte della Media: la effigie era grande diciassette stadii, che
fan due miglia et un ottavo, le quali cose nondimeno di gran
lunga avrebbe passato chi che si fu quell’architetto, o Stasicra-
te, come dice Plutarco, o Dinocrate, secondo che racconta Vi-
truvio, il quale si vantava di voler fare l’effigie di Alessandro
del monte Athos la quale avesse in mano una città capaci di
dieci millia uomini7. Numereremo con queste la vedetta di Ba-
bilonia, la base della quale (come testimonia Erodoto) era d’o-
gni parte l’ottava parte d’un miglio, e quella torre la quale era
fabricata nel profondo del mare sopra granchi di vetro8. Vanno
con queste ancora le case gordiane, gli archi triomfali et i tem-
pii de gli dèi, e specialmente quel di Diana Efesia fabricato da
tutta l’Asia in termine di dugento anni, e’l tempio di Latona in
Egitto fatto d’una pietra sola, largo nella fronte quaranta brac-
cia, e coperto anco d’una pietra sola, e la statua di Nabucho-
donosor, re di Assiria, d’oro di grandezza sessanta braccia, la
quale chi non adorava era fatto morire9, et un’altra di quattro
braccia fatta di topazio per una reina d’Egitto. Di questa ma-
niera sono le chiese edificate con superbissime spese a i nostri
santi et i campanili drizzati con mirabile altezza, raccolta gran-
4
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXVI, 15, 75.
5
Cfr. EROD., Hist., II, 175.
6
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXVI, 17, 77.
7
Cfr. PLUT., Mor., 335c-e; Alex., 705a; VITRUV., De archit., II, praef. Si veda però
STRAB., Geogr., XIV, 1, 23 e PLIN., Nat. hist., V, 11, 62; VIII, 37, 125, dove l’architetto
macedone figura con il nome rispettivamente di Chirocrate e Dinocare.
8
Cfr. EROD., Hist., I, 178; 181, dove però i granchi di vetro non sono menzionati.
9
Cfr. DN 3:1-7.
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10
Cfr. VITRUV., De archit., VII, praef., 11-12. Sileno è un architetto sconosciuto men-
zionato da Vitruvio.
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29.
DELLA ARTE METALLARIA
1
Allusione all’opera intitolata Delle macchine per lo scavo delle miniere di Stratone di
Lampsaco (III sec. a.C.), menzionata in DIOG. LAERZ., Vitae philos., V, 3, 59.
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2
Annotazione a margine di Agrippa: «Agrippae liber de metallaria». L’opera è
andata perduta.
3
OVID., Metam., I, 125-131, di cui il brano riportato è una libera parafrasi.
4
PROP., Eleg., III, 13.
5
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXIII, 21, 71.
6
Cfr. SOLINO, Coll. rer. memor., XV, 14-15.
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7
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXIII, 21, 78, ma il numero massimo di uomini che se-
condo questa legge potevano essere impiegati è di cinquemila, non di cinque.
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30.
DELLA ASTRONOMIA
1
Sulle dottrine cosmologiche di Basilide e dei suoi seguaci, si veda IREN., Adv.
haer., 1, 19, 4.
2
Cfr. ERASMO, Moriae enc., LII.
3
Ibid.
4
Cfr. PLIN., Nat. hist., VII, 49, 162.
5
Il testo latino reca: «Mauri», con riferimento agli abitanti della Mauritania.
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6
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 3, 6; GIOV. PICO, Disp. adv. astr. divin. (ed. Garin),
VIII, 1. Le otto sfere sono: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno e
le cosiddette stelle fisse (ottava sfera).
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 3, 6. L’introduzione della nona sfera o primum
mobile, animata da un moto di rotazione con periodo di ventiquattr’ore che co-
municava all’ottava sfera, fu resa necessaria per spiegare il cosiddetto ‘moto di
precessione’ delle stelle, ossia il lento moto apparente parallelamente all’eclitti-
ca, da ovest a est, nel corso del quale le longitudini delle stelle crescono mentre
le latitudini rimangono inalterate. Tale introduzione è stata attribuita all’opera di
Abu– ‘Al¥ H.asan ibn H.asan ibn al-H.ayt–am, noto come Alhazen (965-1038), cono-
sciuta dai latini mediante la versione del De mundo e di altre compilazioni della fi-
ne del XII sec. e dell’inizio del XIII sec.
8
Abu– Ish.a–q al-Naqqa–‰ al-Zarqa–lluh (1029-ca.1087), conosciuto nel mondo latino
come Azarquiel o Azarchel astronomo arabo spagnolo, famoso soprattutto per le
sue teorie sul moto di trepidazione dell’ottava sfera (si veda infra, nota 22, p. 144)
e per aver contribuito alla compilazione delle Tavole toledane, tavole planetarie co-
sì chiamate per il loro riferirsi al meridiano della città di Toledo.
9
Probabile allusione a Ish.aq ibn H.unayn (VIII-IX sec.), noto per la sua traduzio-
ne in arabo dell’Almagesto di Tolomeo, portata a compimento con alcune corre-
zioni da T– a–bit ibn Qurrah circa nel 880-890, parte della quale fu utilizzata da Ge-
rardo di Cremona per la sua traduzione latina del testo tolemaico stampata a Ve-
nezia nel 1515; Abu– Ish.a–q al-I‰bı–lı– al-Bit.ru– ǧı– (m.1204), conosciuto come Alpetra-
gius o Alpetragio, filosofo arabo musulmano della Spagna, ebbe rinomanza nel-
l’Occidente europeo per un suo libro di astronomia nel quale tenta una nuova
spiegazione geometrica dei moti solari e planetari, eliminando gli epicicli e gli
eccentrici di Tolomeo in quanto contrari alla fisica aristotelica. L’opera fu tradot-
ta in latino da Michele Scoto (si veda infra, n. 6, p. 170) con il titolo di De motibus
coelorum circularibus (1217), mentre una versione in latino tradotta da un com-
pendio in ebraico dell’opera apparve a Venezia nel 1531 con il titolo di Alpetragii
arabi planetarum theorica.
10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 10. Sul moto di trepidazione, introdotto dagli
astronomi arabi, in particolare da T– a–bit ibn Qurrah e accettato da Arzaquiel, si
veda infra, nota 22.
11
Ivi, I, 3, 6; GIOV. PICO, Disp., VIII, 1. La decima sfera, o cielo empireo, sembra de-
stare nei pensatori medievali notevoli problemi, sia relativamente al problema se
essa – e di conseguenza tutto l’universo – si trovi o meno in un luogo naturale co-
me ogni corpo fisico, sia a quello se essa sia costituita o meno da tante sfere quan-
ti sono i movimenti localizzati in questa parte dell’universo.
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12
Cfr. GIOV. PICO, Disp., VIII, 1; TOL., Almag., VII e VIII.
13
Probabile allusione all’astronomo ebreo Yis.h. a–q ben Said, detto H . asan, che in-
sieme al medico Yehudá ben Moshe ha-Kohén diresse la redazione delle Tavole
alfonsine.
14
Le Tavole alfonsine, così chiamate dal nome del re di Castiglia Alfonso X (1221-
1284), detto el Sabio, furono fatte calcolare per il meridiano di Toledo da due
astronomi ebrei in base alle note tavole toledane di Azarquiel, i quali introdusse-
ro una serie di emendazioni al sistema fino ad allora conosciuto. Le Tavole, ter-
minate nel 1252, si diffusero in Occidente attraverso la versione latina datane in-
torno al 1320 dagli astronomi parigini Jean de Murs (Johannes de Muris) o Jean
de Lignières (o de Linières, Johannes de Lineriis) e godettero di grandissima fa-
ma in tutta l’Europa sino al sec. XVI.
15
Abu– ’l-H – ––
. usayn ‘Abd al-Rah.man ibn ‘Umar al-S.ufı (903-986), astronomo e mate-
matico persiano di lingua araba, noto soprattutto per il trattato sulla costellazio-
ne delle stelle fisse o Uranometria, che esercitò un notevole influsso non solo nel
mondo arabo, ma anche nell’Europa medievale e rinascimentale. È interessante
notare che nel primo dei 4 libri intitolati Libros del saber de astronomia, un’opera
di astronomia attribuita ad Alfonso di Castiglia, al-S.u–fı– viene menzionato con il
nome di Abolfazen, che diventerà Albofaçen nella traduzione italiana del 1341 ca.
(il cui unico manoscritto esistente si trova conservato presso la Biblioteca Apo-
stolica Vaticana), e Albuhassin nell’opera di Agostino Ricci (si veda infra, nota 25,
p. 144) di cui, con ogni probabilità, si servì Agrippa come fonte per le sue cita-
zioni.
16
Si tratta di Azarquiel, precedentemente menzionato come «Azarchele Moro».
17
Abu– ‘Abdalla–h Muh.ammad ibn Ǧa–bir ibn Sina–n al-Batta–nı– (ca. 858-829), noto
anche come Albatenio o Albategno, astronomo e matematico arabo la cui fama è
legata alla sua opera monumentale, al-Zij al-S. a–bı– (Tavole sabee), che costituisce il
solo trattato completo di astronomia araba che sia stato tradotto integralmente in
latino con il titolo di De scientia stellarum et motibus da Platone di Tivoli nel XII sec.
18
Abraham ben Me’ir ibn ‘Ezra (1092/3-1167), esegeta biblico, filosofo e scien-
ziato ebreo spagnolo, autore di un trattato sull’astrolabio e di un’opera astrologi-
ca nota nella traduzione latina di Enrico Bate di Malines con il titolo di De nativi-
tatibus pubblicata a Venezia nel 1485; Le–wî ben Ge–r‰ôn (1288-1344), noto anche
come Leo Hebraeus, Gersonide o Léon de Bagnoles, esegeta, filosofo, matemati-
co e astronomo ebreo, interprete del sistema aristotelico nell’esposizione di Aver-
roè; ’Avra–ha–m ben 1emû’e–l Zakku–t (ca.1450-ca.1522), astronomo ebreo maestro
di Agostino Ricci e autore di un manuale di astronomia intitolato Almanach perpe-
tuum (1469).
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19
Alessandro Achillini (1463/61-1512), sostenitore dell’interpretazione averroisti-
ca del sistema aristotelico, e in particolare della tesi dell’eternità del mondo, è au-
tore, fra l’altro, di alcune opere di astronomia, tra le quali il De intelligentiis e il De
distributionibus ac de proportione motuum (1494), il De orbibus (1498).
20
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 11.
21
Ivi, VIII, 1 e IX, 11.
22
Ibidem. Il moto di trepidazione (trepidatio fixarum o accessus et recessus) è uno spo-
stamento a onde intorno alla linea polare, ossia quella che sarà chiamata la nota-
zione del polo dell’asse terrestre. Le teorie del moto di trepidazione dell’ottava
sfera, introdotte per spiegare la precessione degli equinozi, furono sviluppate in
modo particolare dagli astronomi T– a–bit ibn Qurrah (836-901) nello scritto De mo-
tu octavae sphaerae (operetta che i latini gli attribuirono ma che non è certo se sia
sua), e Azarquiel. Tali teorie, però, non furono accettate da Tolomeo, e di conse-
guenza da molti importanti astronomi arabi tra i quali Albategno e al-S.u–fı–. Per
Giovanni da Monteregio o Regiomontanus, si veda infra, nota 43, p. 147.
23
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 11.
24
Ivi, VIII, 1.
25
Paolo Dal Pozzo Toscanelli (1397-1482), astronomo, medico italiano e studioso
insigne di geografia matematica, le cui opere sono andate quasi tutte perdute;
Agostino Ricci, probabilmente fratello del Paolo Ricci traduttore in latino del te-
sto cabbalistico Sha’aré orà di Yosèf Giqatilla, con il titolo di Portae lucis, fu autore
di un’opera di astronomia e di cabbala intitolata De motu octavae sphaerae, pubbli-
cata nel 1513, cui Agrippa qui si riferisce. Interessato all’occultismo e alle prati-
che magiche, Agostino Ricci fu allievo dell’astronomo Abraham ibn Samuel Za-
chut sopra menzionato e divenne in seguito medico personale del papa Paolo III.
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26
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 3, 6; GIOV. PICO, Disp., VIII, 1.
27
Cfr. GIOV. PICO, Disp., VIII, 1.
28
Abu– ’l-‘Abba–s Ah.med ibn Muh.ammad ibn Kat––ı r al-Far*a–nı– (m. ca.860), cono-
sciuto anche con il nome latinizzato di Alfargano, astronomo e geografo arabo,
autore di un compendio dell’Almagesto, conosciuto nell’Occidente latino con il
titolo di Liber de aggregationibus scientiae stellarum et de principiis coelestium motuum
nella traduzione di Gerardo da Cremona (ante 1175), in cui si scorgono i primi
segni di un’analisi critica e le prime correzioni che gli astronomi arabi apporta-
rono al testo tolemaico. In particolare, al-Far*a–nı– corregge il valore tolemaico
dell’obliquità dell’eclittica e afferma che l’apogeo del Sole e quello della Luna,
che Tolomeo riteneva fissi, seguono in realtà il movimento di precessione delle
stelle fisse.
29
Cfr. GIOV. PICO, Disp., VIII, 1; RICCI, De motu oct. sph., B2r-v. A questo punto il te-
sto latino reca: «Ipse etiam Averrois ait Ptolemaeum in quodam libro suo (quem
narrationum inscripsit) negare motum gyrationis, et Rab. Leui ait illum cum
Auerroe sensisse motum diurnum fieri a toto coelo», qui mancante.
30
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 11; GIORGIO, De harm. mundi, I, 3, 6; RICCI, De motu oct.
sph., A6r.
31
Cfr. RICCI, De motu oct. sph., A6r; GIOV. PICO, Disp., IX, 11 .
32
Ibid.
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33
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 11 .
34
Ibid.
35
Ibid. Il testo latino reca: «Maymonus». Raibono è infatti l’acronimo di Moshè
ben Maimon o Maimonide (1138-1204), conosciuto anche come «Mosè egizio»,
il filosofo e teologo ebraico autore del Mi&neh Torah (composto tra il 1170 e il
1180), grande codice giuridico, e della Guida dei perplessi (terminata intorno al
1190) in cui espone, in forma rigorosamente concettuale, i fondamenti essenzia-
li della sua filosofia religiosa. Si veda anche GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 7.
36
Abu– l’ H.asan ‘Alı– ibn Rid.wa–n ibn ‘Alı– ibn Ÿa‘far (ca.998-1061/67), o Haly He-
ben Rodan, astronomo e medico arabo autore di molte opere, la più importante
delle quali è il commentario all’Ars prava di Galeno, tradotto in latino da Gerar-
do da Cremona. Ad Haly Heben Rodan viene attribuito anche un commento al
Tetrabiblos di Tolomeo conosciuto nel mondo latino nella traduzione di Aegidius
de Thebaldis del XIII sec., che contribuì in maniera decisiva alla diffusione della
dottrina astrologica tolemaica nel Medioevo.
37
Cfr. RICCI, De motu oct. sph., A5v; GIOV. PICO, Disp. IX, 11.
38
Cfr. RICCI, De motu oct. sph., D7r-v.
39
Ivi, A6r.
40
Cfr. GIOV. PICO, Disp. VIII, 1.
41
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., III, 8; POLID. VIRG., De invent. rer., I, 23; AUL.
GELL., Noct. att., XIV, 1. Gli astrologi per estensione si chiamavano ‘Caldei’ per es-
sere la Caldea la patria dell’astrologia, e ‘genetliaci’ in rapporto alla pratica del-
l’oroscopo, ossia coloro che praticavano l’astrologia divinatoria.
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42
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 9. Con il termine latino «aplanes», dal greco ajplanhv",
si indica l’area o sfera delle stelle fisse (si veda, per es., ARIST., Meteor., 343b e Me-
taph., 1073b; CORP. HERM., II, 6 ).
43
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 9. Johannes Müller (1436-1476), o Regiomontanus,
astronomo e matematico bavarese, intraprese la riforma dell’astrologia, resa ne-
cessaria dagli errori che si erano scoperti nelle Tavole alfonsine. Discepolo di Gio-
vanni Bianchini (Iohannes Blanchinus, XV sec.), la cui fama è legata principal-
mente alle Tabulae astronomiae o Canones super Tabulas (1495) e alle Canones tabu-
larum super primo mobili, intrattenne con il suo maestro una fitta corrispondenza.
44
Guglielmo di St.-Cloud (attivo a Parigi nella seconda metà del XIII sec.), astro-
nomo allievo di Ruggero Bacone e fondatore della scuola astronomica parigina.
45
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IX, 11.
46
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 11; GIOV. PICO, Disp., IX, 9.
47
Ibid.
48
Ibid. e Exam. vanit., III, 8; GIOV. PICO, Disp., IX, 9.
49
Per gli astronomi antichi Timocare e Aristillo (III sec. a.C.), si veda TOLOM.,
Synt. math., VII, 2; PLUT., Mor., 402f.
50
Cfr. GIOV. PICO, Disp., VIII, 3.
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51
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Lacteus circulus incognitus». Il
termine «lacteus circulus» qui usato da Agrippa si ritrova in OVID., Metam., I, 169;
SEN., Nat. quaest., VII, 15, 2; PLIN., Nat. hist., XVIII, 69, 280; CIC., De re pub., VI, 15,
16. Aristotele, nei Meteorologica fornisce una spiegazione dell’origine, delle cause
e della natura della via lattea (Meteor., I, 345a- 346b).
52
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae philos., I, 1, 34; PLAT., Theaet., 174a.
53
CIC., De divin., II, 13; PLIN., Nat. hist., XVIII, 67, 253.
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54
Cfr. GIOV. PICO, Disp., X, 4.
55
Cfr. GIOV. PICO, Disp., X, 4; PLAT., Tim., 38d.
56
Cfr. AEZIO, Dox. gr. (ed. Diels), II, 15-16 A18.
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31.
DELLA ASTROLOGIA GIUDICIARIA
1
Il testo latino aggiunge: «de virtutibus», qui mancante. La distinzione fra astro-
nomia propriamente detta, o astrologia matematica, e astrologia divinatrice fu
posta chiaramente da Tolomeo (si veda, per es., Tetrab., I, 4).
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2
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 3, 11; GIOV. PICO, Disp., I e IV, 12.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 4, 9.
4
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I; CIC., De divin., II, 43.
5
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 4, 9.
6
Ivi, I, 3, 8.
7
Ivi, I, 4, 9.
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8
Ibid.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 154
9
TAC.,Hist., I, 22.
10
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 5; VARR., Antiq. rer. div. (ed. Agahd), p. 148 sgg.
11
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 30. Il traduttore qui corregge il testo latino che reca:
«blacenomion».
12
Il testo latino reca: «quid timemus, quid solicitamur?».
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13
Cfr. AGRIP., Epist., IV, 8.
14
Cfr. CIC., De divin., II, 9, 22.
15
Ivi, II, 47, 99, ma si veda anche GIOV. PICO, Disp., II, 9.
16
MORE, Epigr., 43 e 47.
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17
Cfr. supra, nota 36, p. 146.
18
Ÿa‘far ibn Muïammad Ab) Ma‘&ar al-Balh¤ (786-886), astronomo arabo la cui
opera risulta fondamentale per l’elaborazione dell’astrologia medievale. Le sue
opere principali, conosciute in traduzione latina, sono l’Introductorium maius in
astronomiam nelle due traduzioni di Ermanno di Carinzia (1140) e di Giovanni di
Siviglia (1133); il De magnis coniunctionibus, in 8 libri, e l’opera più breve, l’Isagoga
minor Iapharis in astronomiam nella traduzione di Adelardo di Bath.
19
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 6.
20
Doroteo di Sidone (I-II sec.), autore di un poema astrologico in 5 libri molto
apprezzato in Oriente dove fu presto tradotto in Phalavi nel III sec. e successiva-
mente in arabo; Paolo di Alessandria (IV sec.), astrologo autore di una introdu-
zione all’astronomia (Isagogica) in cui espone le dottrine fondamentali circa le
proprietà dei segni dello zodiaco, le loro relazioni con la geografia astrologica e
la iatromatematica e il loro legame con i pianeti; Efestione di Tebe (ca.380), au-
tore di un’opera astronomica in 3 libri in cui espone i caratteri fondamentali del-
l’astrologia; ‘Umar Muh.ammad ibn al-Farruïa–n al-¥abar¤) (m. ca.815-816), noto
anche come Omar Tiberiade, matematico e astronomo persiano attivo a Bagh-
dad, riformatore del calendario persiano e autore di opere astrologiche.
21
Abu– ‘Ut–ma–n Sahl ibn Bisr ibn Hani (ca. 822-ca. 850), noto come Zahel, astro-
nomo ebreo che si richiama alla tradizione di Doroteo di Sidone, propugnatore
di un sincretismo astrologico tra astrologia babilonese, greca e indiana, e autore
di numerose opere tra le quali i Fatidica, tradotto in latino nel 1138 da Ermanno
di Carinzia; Abu– Yu–suf Ya‘qu–b ibn Ish.a–q ibn Sabbah al-Kindı– (ca.800-ca.873), ma-
tematico, fisico e astronomo arabo, noto nell’Occidente latino come Alchindis,
autore di numerose opere di logica, filosofia e ottica, tra le quali la Theorica de ra-
diis stellicis seu arcium magicarum, pervenutaci nella versione latina medievale, e il
De somno et visione nella traduzione latina di Gerardo da Cremona; Ma–&a–’alla–h (m.
ca.815), astronomo ebreo conosciuto nel mondo latino come Messahalla (con al-
cune varianti), autore di numerose opere di astrologia tra cui il De scientia motus
orbis o De elementis et orbibus coelestibus nella traduzione latina di Geardo di Cremo-
na. A Messahalla venne erroneamente attribuito il più importante trattato sulla
costruzione e sull’uso dell’astrolabio, di cui si è perso l’originale arabo mentre è
sopravvissuta una traduzione latina.
22
Su tutti questi autori, si veda GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 12.
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23
Eliodoro (V/VI sec.), astronomo neoplatonico cui vengono attribuiti due scrit-
ti astronomici, fu scolaro alla scuola di Proclo e collaborò all’edizione della Sin-
taxis di Tolomeo.
24
Manilio (I sec.) è autore dell’importante opera in versi latini intitolata Astrono-
mica in 5 libri. Poche sono le notizie certe intorno al poeta: nativo dell’Italia, non
è da escludere che sia romano, e persino vi sono dubbi circa il suo nome (Mani-
lius o Manlio). La sua dottrina astronomica ci è pervenuta soprattutto attraverso
Posidonio.
25
‘Al¤ ibn Ab¤ al-Rigal (ca. 965-1040), uno degli autori più conosciuti e influenti
dell’astronomia medievale e moderna, autore di numerose opere tra le quali il De
iudiciis seu fatis stellarum, il De revolutionibus nativitate e le Regulae utiles de electioni-
bus.
26
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 12; GIOV. PICO, Disp., VI, 3.
27
Campano da Novara (m. 1296), matematico, astronomo e medico, autore di
numerose opere di astronomia e di matematica, tra le quali la Theorica planetarum
e il Tractatus de sphaera, stampato nel 1518, nel quale discute le prove pro e contro
l’immobilità della Terra.
28
Cfr. GIOV. PICO, Disp., VI, 3.
29
Per la critica di Agrippa all’uso distorto, ossia deterministico, dell’astrologia, si
veda anche De occ. phil., III, 39, pp. 517-519.
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30
Cfr. GIOV. PICO, Disp., V, 14, ma si veda anche AGRIP., De occ. phil., II, 38, p. 359.
31
Cfr. GIOV. PICO, Disp., V, 17.
32
Cfr. DEUT 5:12-14; GEN 2:2-3; ES 20:8-11.
33
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 4, 5, ma si veda anche FIC., De vita, III, 22; GIOV.
PICO, Disp., II, 5; AGRIP., De occ. phil., II, 9, p. 278.
34
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 7.
35
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 5 e V, 12.
36
Ivi, II, 5; BONATTI, De astron., I, 13. Per il luogo biblico, si veda GV 11:9.
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37
Cfr. GIOV. PICO, Disp., IV, 8; GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 7. La dottrina
dell’influenza benefica della posizione della Testa del Drago (Caput Draconis) nel
Mezzo Cielo (ossia nella decima casa) in buon aspetto con Giove e con la Luna ri-
prende a sua volta una citazione di Pietro D’Abano (Concil., diff. 156) che si ri-
chiamava a un’antica tradizione Vishnu esposta dall’astronomo arabo Albumasar
nell’operetta che circolò nel mondo latino con il titolo di Excerpta de secretis Albu-
masaris, o Albumasar in Sadan, nella traduzione probabilmente dello stesso Pietro
d’Abano da una versione greca. Si veda in proposito, SADAN, I segreti astrologici di
Albumasar (ed. Federici Vescovini), p. 84. Una definizione della natura del Caput
Draconis si ritrova anche in Picatrix (ed. Pingree), III, 1, p. 195.
38
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 7; GIOV. PICO, Disp., IV, 8; FIC., De vita,
III, 22.
39
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 7; GIOV. PICO, Disp., IV, 8.
40
Guido Bonatti (XII sec.), astronomo e matematico, autore dei Tractatus decem de
astronomia o Liber astronomicus, pubblicato per la prima volta nel 1491; Arnaldo de
Villanova (ca.1238-1314), o Villanovanus, scrittore catalano di opere alchemiche
e mediche, anche se, per molte di esse, l’autenticità è dubbia. Tra queste si ricor-
dano il Rosarius philosophorum, il De sigillis, le Parabolae medicationis, il Libellus de im-
probatione maleficiorum.
41
Pierre d’Ailly (1350-1420), cardinale francese, teologo e filosofo. Insieme a
Jean Gerson (si veda infra, nota 21, p. 233) durante il concilio di Costanza (1414-
1418) diede un contributo decisivo nel far condannare le dottrine nate dal pen-
siero di John Wyclif, l’ispiratore del movimento eretico dei lollardi.
42
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., V, 7.
43
Si tratta evidentemente delle Disputationes adversus astrologiam divinatricem di
Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) pubblicate postume nel 1496. Un
contributo rilevante fornito da Pico al percorso di emancipazione da credi tradi-
zionali macchiati di pregiudizio e di superstizione si trova in modo particolar-
mente efficace nell’orazione De hominis dignitate, in cui l’autore nega che Dio ab-
bia dato all’uomo una qualsivoglia natura nel senso di principio del nascimento e
di collocazione preordinata nella scala degli esseri, così rendendolo autonomo
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artefice del proprio vivere, il che implicitamente nega l’efficacia di qualsiasi in-
flusso astrale che limiti il libero arbitrio umano e divino.
44
La difesa dell’astrologia divinatrice e degli oroscopi fu tentata da Lucio Bellan-
ti (m. 1499) nelle Responsiones ad J. Pici comitis obiectiones quas adversus astrologiam
(1498) e nel De astrologica veritate liber quaestionum. Astrologiae defensio contra Ioan-
nem Picum Mirandulanum (1502).
45
Cfr. LATT., Divin. instit., II, 16.
46
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 5. Sull’eresia dei Manichei, si veda anche supra, p. 78.
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47
Cfr. IREN., Adv. haer., I, 24, 3 e 7; IPPOL., Refut., VII, 14-27; GEROL., De vir. ill., XXI.
La corrispondenza tra le lettere che compongono il nome mistico «Abraxas» (o
Abrasax) e i numeri è la seguente: a = 1, b = 2, r = 100, a = 1, s = 200, a = 1, x = 60.
Il nome Abraxas compare più volte anche nei testi gnostici di Nag Hammadi.
48
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I e XII, 7. Per le fonti bibliche, si veda ES 9:11; IS 47:13-15;
GER 27:9-10; DN 2:2-12.
49
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I; AGOST., Conf., IV, 3, ma si veda anche De doctr. christ., II,
21-23. A questo punto il testo latino reca: «Hieronymus hanc idolatriae genus es-
se disputat», qui mancante.
50
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I; BASIL., Hom. in Hexaem., VI, 5-7; CHAMPIER, Annot., 272v-
273r.
51
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I; EUSEB., Praep. evang., VI, 6, 1; LATT., Divin. instit., II, 16, 1;
CRISOST., Homil. VI in Math.
52
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I; AMBR., Hexaem., IV, 4; SEVERIANO, De mundi creat. orat., III,
3.
53
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., IV, 8; GIOV. PICO, Disp., I; GRAZ., Decr.,
pars II, causa XXVI, quaest. V, 1-5.
54
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I.
55
Ivi, I e XII, 7.
56
Cfr. COD. IUST., IX, 18, 2.
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32.
DELLE DIVINAZIONI IN GENERE
1
Il testo latino a questo punto aggiunge: «hic fedem sibi vendicarunt», qui man-
cante.
2
DEUT 18:10-12.
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33.
DELLA FISIONOMIA
1
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 6, 4; AGRIP., De occ. phil., I, 52, p. 187.
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34.
DELLA METOPOSCOPIA
35.
DELLA CHIROMANZIA
1
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 5.
2
Il testo latino reca: «per linearum harmonicam corrispondentiam». Si tratta cer-
tamente di una svista del traduttore o di un errore tipografico. Si veda, infatti, in-
fra, p. 316, dove l’originale latino «ex chiromantica divinatione» viene reso con
«mostrando di sapere indovinare per le linee della mano».
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 3. Per il luogo biblico, si veda GB 37:7.
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4
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 6, 4.
5
Ibid.
6
Michele Scoto (ca. 1175-ca. 1234), matematico e medico scozzese, tra i cui scrit-
ti si segnalano il Liber introductorius, il Liber particularis e la Phisionomia (quest’ulti-
ma spesso nota con il titolo di De secretis naturae), che costituivano con ogni pro-
babilità 3 sezioni di un’unica opera di argomento magico-astrologico, la Chiro-
mantica scientia, uno scritto intitolato De alchimia, nonché traduttore dall’arabo di
numerose opere astronomiche e mediche; Antioco Tiberto di Cesena (XV sec.),
autore di un trattato di chiromanzia (1494) di cui si hanno scarse notizie.
7
Bartolomeo della Rocca (1467-1504), detto Cocles, autore di un’importante
opera di fisiognomica e chiromanzia intitolata Chyromantie ac physionomie Anastatis
(1504); Michele Savonarola (1384-1464), autore di numerose opere mediche, la
più importante delle quali è la Pratica o Opus medicinae (ca. 1440), e di fisiogno-
mica.
8
Antonio Cermisone (XIV sec.), medico e lettore di arti nello Studio patavino,
autore dei Consilia medica contra omnes fere aegritudines a capite usque ad pedes (1476)
e di un’opera intitolata Recollectae de urinis (1475) stampata in appendice al com-
mento al Canon di Avicenna di Iacopo da Forlì (si veda infra, nota 33, p. 405); Pie-
tro dell’Arca, medico del XIV-XV sec., di cui si hanno scarse notizie; Andrea Cor-
vo (XV sec.), autore di uno dei primi testi di chiromanzia, di cui esistono nume-
rose edizioni; Patrizio Ceresara (1491-ca. 1550) detto Tricasso, autore di un Epito-
ma chyromantico (1538); Johannes von Hagen (1457-1537), detto Giovanni da In-
dagine, astrologo e teologo tedesco autore delle Introductiones apotelesmaticae in
physiognomiam (1522), un’opera che combina l’astrologia con la fisiognomica e la
chiromanzia, e delle Rationes astronomicae (1530). Le opere di Tricasso, Giovanni
da Indagine, Pietro d’Abano, Cocles, insieme alla Chiromantia di Andrea Corvo,
furono tutte messe all’Indice dalla Chiesa.
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9
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 6, 4, ma si veda anche CIC., Tusc. disp., IV, 37, 80
e De fato, V, 10.
10
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXV, 10, 88. L’opera è andata perduta.
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36.
DELLA GEOMANZIA UN’ALTRA VOLTA
1
Cfr. GIOV. PICO, Disp., II, 5.
2
Cfr. supra, pp. 89-90.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 3.
4
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., VI, 3; AGRIP., De occ. phil., I, 57, p. 204.
Per Almadel, si veda De firm. sex scient. (ed. Pack), 5, pp. 168-169.
5
Il testo latino aggiunge: «et lunationes», qui mancante.
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37.
DELLA ARUSPICIA
1
Cfr. AGRIP., De occ. phil., I, 53-54, pp. 187-196.
2
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., I, 23.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 1; DION. ALIC., Antiq. rom., I, 14; 65.
4
Cfr. CIC., De divin., I, 41, 92 e 42, 93-94.
5
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 3.
6
Ibid.
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sagii sopra tutti gli animali inferiori, a guisa d’alcuni segni po-
sti nel moto loro, nel sito, nel gesto, nello andare, nel volare,
nella voce, nel cibo, nel colore, nell’operare e nel fine, ne i
quali essendo quasi posta una certa forza occulta et un tacito
consenso, s’accordino talmente co i corpi celesti, delle forze
de i quali essi qualità prendono, che possono poi tutte queste
cose indovinare quante n’hanno pensato di fare i corpi cele-
sti7. Onde si conosce che queste divinazioni non va dietro se
non a congietture tolte parte, come essi dicono, dalle influen-
ze delle stelle, parte d’alcune similitudini paraboliche, delle
quali cosa non è più fallace, la onde di lei si fanno beffe Pane-
zio, Carneade, Cicerone, Crisippo, Diogene, Antipatro, Gio-
sefo e Filone, e le leggi e la Chiesa la danna8. E di questa ma-
niera sono i misterii de i Caldei e de gli Egizzii, i quali prima i
Toscani, da poi i Romani, et oggi tuttavia il superstizioso vulgo
de gli uomini, come oracoli adora.
7
Cfr. CRIN., De hon. discip., XXI, 15.
8
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 1.
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38.
DELLA SPECULATORIA
1
Cfr. AGRIP., De occ. phil., I, 56, pp. 202-204.
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39.
DELLA INTERPRETAZION DE SOGNI
1
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., I, 5; GIOV. PICO, Disp., IV, 4; CIC., De di-
vin., II, 5, 12; PLUT., Mor., 432c e 399a (si veda EURIP., fr. 973, ed. Nauck).
2
Cfr. AGRIP., De occ. phil., I, 59, pp. 210-211 e III, 51, pp. 556-560.
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3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 1; AGRIP., De occ. phil., I, 13, pp. 110-111.
4
Cfr. ARIST., De insomn., 459a.
5
Cfr. AVERR., De divin. per somn., I, 462b, ma si veda anche FIC., De volupt., VIII, 8, la
cui fonte è AVERR., Coll., II, 7, 17.
6
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 15.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 1; AGRIP., De occ. phil., I, 13, p. 111.
8
Il riferimento è all’opera in 5 libri, intitolata De somniorum interpretatione, di Ar-
temidoro di Daldi (II sec.) che è la più vasta opera dell’antichità sull’argomento.
Qui erroneamente Agrippa considera Artemidoro e Daldiano due autori distinti.
9
Il riferimento è impreciso, non trovandosi una dottrina di Abramo sull’inter-
pretazione dei sogni negli scritti di Filone. Uno scritto intitolato Della vita civile
non si ritrova tra le opere di Filone. Forse Agrippa intendeva riferirsi al De vita
contemplativa dello stesso autore.
10
Cfr. CIC., De divin., II, capp. 58-72.
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40.
DEL FURORE
1
Cfr. cic., De divin., II, 54, 110.
2
Il termine latino è «praemeditantibus», ossia i preveggenti.
3
Cfr. AGRIP., De occ. phil., III, 46, p. 545, ma si veda anche FIC., In Symp. comm., VII,
13.
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4
LUCANO, De bello civ., I, 587-588. «Aruuo» sta per «Arrunte», l’aruspice etrusco
che abitava le mura di Lucca.
5
Ivi, I, 650-669.
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41.
DELLA MAGIA IN GENERE
1
Cfr. SUIDA, Lexic., s.v. Mageiva.
2
Cfr. PORF., De abstin., IV, 16, 1; APUL., De magia, XXV, la cui fonte è PLAT., Alcib. I,
122a; ma si veda anche GIOV. PICO, Oratio de hom. dign. (ed. Garin), p. 63; POLID.
VIRG., De invent. rer., I, 23.
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42.
DELLA MAGIA NATURALE
1
Cfr. AGRIP., De occ. phil., I, 2, p. 86, ma si veda anche GIOV. PICO, Apol. (ed. 1572),
pp. 120-121; 168; Oratio de hom. dign., p. 67.
2
Cfr. GEROL., Epistola LIII (Ad Paulinum), 1.
3
Con il nome di ‘bragmani’ (ossia ‘bramini’), riferibile di per sé alla prima delle
quattro caste indiane, la sacerdotale, si vuole intendere, già in età antica, un’i-
deale popolazione dell’Oriente, che viene mitizzata per la sobrietà dei costumi,
dell’alimentazione, del vestiario, e per il rigore del pensiero. La successiva dosso-
grafia medievale pone in India, accanto ai Bragmani, anche i Gymnosophisti, uo-
mini che vivevano nudi ed erano dediti a pratiche ascetiche. Si veda, per es., SO-
LINO, Coll. rer. memor., LII, 25; PLIN., Nat. hist., VII, 2, 22; PORF., De abstin., XVII;
GIANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 2.
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4
Secondo il racconto di Erodoto (Hist., IV, 93-96), lo schiavo di Pitagora Zamols-
side, o Zalmossi, era venerato dai Geti che lo ritenevano Crono (si veda anche
DIOG. LAERZ., Vitae phil., VIII, 1, 2). A lui Pitagora avrebbe insegnato la dottrina
dell’immortalità dell’anima (si veda, per es., STRAB., Geogr., VII, 3, 5; GIAMB., Vita
Pyth., XXX, 173; PORF., Vita Pyth., XIV). Platone lo presenta come un re dai pote-
ri taumaturgici innalzato al rango di divinità (Charm., 156d-158b).
5
Gli Iperborei (coloro che abitano al di là della Borea, del vento del nord) erano
un popolo mitico che incarna modelli di giustizia e di pace, la cui identità è tut-
tora avvolta nel mistero. Il primo a menzionarli è ESIODO, Cat., fr. 71.21. Una de-
scrizione più accurata di questa popolazione si trova in PLIN., Nat. hist., IV, 12, 89-
91. Secondo una tradizione gli Iperborei potrebbero identificarsi con gli abitanti
della Gran Bretagna. Per Abari sacerdote degli Iperborei, si veda, per es., PORF.,
Vita Pyth., XXVIII.
6
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXX, 1, 2; RODIG., Lect. antiq., V, 42, GIOV. PICO, Oratio de hom.
dign., p. 65; CRIN., De hon. discip., I, 2. Moltissime e disparate sono le notizie anti-
che relative a Zoroastro o Zarathustra, dal V sec. a. C. in avanti, che lo fanno in so-
stanza il sacerdote cui era attribuita la sistemazione dottrinale e liturgica dell’an-
tica religione cristiana, il mazdeismo. Egli avrebbe appreso da Oromazo (Ormizd
o Hormizd), suo padre, le principali dottrine alla base della religione iranica,
quali il dualismo del bene e del male e il perenne conflitto tra questi due princi-
pi.
7
Cfr. PLAT., Alcib. I, 121d-122a, ma si veda anche APUL., De magia, XXV; RODIG.,
Lect. antiq., V, 42; GIOV. PICO, Oratio de hom. dign., p. 65; CRIN., De hon. discip., I, 2.
8
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; CIC., De divin., I, 41, 90.
9
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; GIOV. PICO, Oratio de hom. dign., p. 67.
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10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9. Probabile allusione al De mirabili potestate
artis et naturae (1521) di Ruggero Bacone (1214-1294).
11
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 1; AGRIP., De occ. phil., I, 13, p. 110. Un elenco
dettagliato di libri magici attribuiti a molti degli autori qui citati si trova in TRIT., An-
tip. malef., I, 3. Si veda, inoltre, GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., VI, 31.
12
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De rerum praenot., VI, 31. Picatrix è il titolo latino del testo
arabo intitolato Gha–yat al-H –
. akı m (La meta del saggio), la più importante opera
astrologica trasmessa dal mondo islamico all’Occidente latino. Il trattato, compo-
sto probabilmente tra l’XI e il XII sec., tradotto dall’arabo in spagnolo nel 1256
per Alfonso re di Castiglia e quindi in latino, fu falsamente attribuito all’astrono-
mo spagnolo Maslama ibn Ah.mad (X-XI sec.), meglio conosciuto con il nome di
al-Majrı–t.–ı . L’opera, in uso solo a partire dalla seconda metà del sec. XV grazie so-
prattutto a Marsilio Ficino, esercitò un influsso significativo sulle dottrine magi-
che e astrologiche degli autori rinascimentali.
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43.
DELLA MAGIA MATEMATICA
1
Per la colomba di Archita e le statue parlanti di Mercurio, si veda supra, note 3 e
4, p. 116; per la testa di bronzo parlante fabbricata da Alberto Magno, di cui
Agrippa fa cenno anche in De occ. phil., II, 1, p. 251, si veda GIORGIO, De harm. mun-
di, III, 4, 9; GUGL. ALV., De univ., I, 1, 51 e De legib., XXVI.
2
Cfr. CRIN., De hon. discip., XVII, 12, la cui fonte è CASSIOD., Epistola XLV (Boetio vi-
ri illustri patricio Theodoricus rex). Il passo è riportato anche in AGRIP., De occ. phil.,
II, 1, p. 250.
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mini una arte con la quale generano le cose ultime, non però
partecipi della verità e della divinità, ma ne derivano alcune
sembianze molto simili alle istesse»3. E sono passati tanto oltra
i magi, uomini audacissimi a fare tutte le cose, massimamente
col favore di quello antico e terribile serpente promettitore
delle scienze, che si sono sforzati di contrafare Iddio e la natu-
ra, simili a loro come simie4.
3
PLAT., Leg., 889c-d. Si tratta però del libro X e non dell’XI.
4
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9.
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44.
DELLA MAGIA VENEFICA
1
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXIV, 102, 166. La fonte citata da Plinio è uno scritto di De-
mocrito intitolato Ceirovkmhta. L’opera è menzionata anche in VITRUV., De archit.,
IX, 1, 14 come democritea, ma si veda COLUM., De re rust., VII, 5, 17 che ne attri-
buisce la paternità all’autore egiziano di lingua greca Bolo di Mende, vissuto nel
III sec. a.C., il quale scrisse e spacciò diverse opere sotto il nome di Democrito.
2
VIRG., Bucol., VIII, 97-99.
3
Cfr. PLIN., Nat. hist., VIII, 34, 82, dove il personaggio si chiama Demeneto di Par-
rasia.
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4
Cfr. AGOST., De civit. Dei, XVIII, 17-18. Liceo era un attributo del dio Pan, dal
monte omonimo dell’Arcadia a lui sacro, spesso luogo di sacrifici anche in onore
di Giove.
5
Ivi, XVIII, 18; GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9. L’episodio, come quello prece-
dente di Demeneto di Parrasia, è ricordato da Agrippa anche in De occ. phil., I, 41,
p. 161 e I, 45, pp. 171-172.
6
Il testo latino del 1531 reca: «Emilmeradach», mentre l’edizione del 1584 reca:
«Evilmerodach». Lo storico Beroso lo chiama «Evilmarudochus» (si veda GEROL.,
Chron., I, 11, 5).
7
Cfr. DN 4:28-33.
8
Cfr. ES 8:14 e 9:11.
9
SP 12:4. Si veda anche 2 RE 17:17-18 dove il Signore si adira con il popolo d’I-
sraele perché i suoi profeti e veggenti praticavano la divinazione e gli incantesimi
per compiere cose malvagie.
10
Cfr. CRIN., De hon. discip., I, 3; PLIN., Nat. hist., XXI, 45, 78 e XXVIII, 6, 30. Per gli
Psilli, abitanti della costa sud-occidentale dell’odierna Libia, e i Marsi, abitanti
dell’Abruzzo, popolazioni entrambe associate alla pratica della magia grazie alla
quale erano in grado di guarire dai morsi velenosi dei serpenti, si veda anche
EROD., Hist., IV, 173; ORAZIO, Epodi, XVII, 27-29; OVID., Ars amat., II, 101-102;
STRAB., Geogr., XIII, 1, 14; PLIN., Nat. hist., XXVIII, 4, 19 e VII, 2, 14-15; AUL. GELL.,
Noct. att., XVI, 11, 1-3. Il tema ricorre anche in AGRIP., De occ. phil., I, 58, p. 208.
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11
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., II, C8r, ma si veda anche APOLL. ROD., Argon., IV, 891
sgg.; VAL. FLAC., Argon., I, 187-196 e 470-472. La connessione della figura di Orfeo
con la spedizione degli Argonauti è frequente nelle fonti classiche.
12
Cfr. APUL., De magia, XL; PLIN., Nat. hist., XXVIII, 4, 21; OMERO, Odyss., XIX, 455-
458.
13
Cfr. CRIN., De hon. discip., V, 7; APUL., De magia, XLVII; Lex XII tab., VIII, 1 e 8a.
Per le Leggi delle Dodici Tavole, il più antico codice della legislazione romana,
istituito probabilmente in tempi tanto remoti da risalire ai primi anni della Re-
pubblica romana (509-287 a.C.), si veda, per es., LIV., Ab Urbe cond., III, 35-37;
DION. ALIC., Antiq. rom., X, 1-60; POMPONIO, Dig., I, 2, 2, 3, 4, 24; CIC., De Rep., II, 36,
61 e Leg., II, 23-24; TAC., Ann., III, 27. Per la proibizione contenuta in una delle
Leggi delle Dodici Tavole di gettare il malocchio (excantare fruges) sulle messi e
sui prodotti della terra altrui, si veda anche PLIN., Nat. hist., XXVIII, 4, 17-18; SEN.,
Nat. quaest., V, 7; AGOST., De civit. Dei, VIII, 19. La credenza secondo la quale era
possibile, operando incantesimi, ‘trasportare’ i frutti di un campo in un altro ter-
reno è attestata in VIRG., Aen., VII, 338 e Georg., VIII, 99; OVID., Remed. amor., 255.
14
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42. Il potere del magnete rappresenta un esempio
classico di proprietà occulta. Si veda, per es., FIC., De vita, III, 15; AGRIP., De occ.
phil., I, 10, p. 104; DELLA PORTA, Magia nat., VII.
15
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; PROCLO, De sacr. et magia, in FIC., Opera (ed. 1576),
p. 1928; GIAMB., De myst., II, 5; SINESIO, De ins., in FIC., Opera (ed. 1576), p. 1969.
Sullo stesso argomento, si veda anche FIC., De vita, III, 15; AGRIP., De occ. phil., I, 38,
pp. 155-156.
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16
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42.
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45.
DELLA GOEZIA E NEGROMANZIA
1
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42.
2
Cfr. ORAZIO, Epod., V, 45 e XVII, 77-78; VIRG., Bucol., VIII, 69; OVID., Metam., VII,
202 e 205, i cui versi sono qui liberamente parafrasati.
3
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; POLID. VIRG., De invent. rer., I, 23. Sull’etimologia del
termine «necromanzia» da nekrov", ossia «morto» e manteiva, ossia «divinazione», si
veda ISID., Etym., VIII, 9, 12 sgg.
4
Cfr. RODIG., Lect. antiq., I, 24.
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5
Cfr. LATT., Divin. instit., II, 16, 1, dove la necromanzia è associata all’astrologia e
alla magia. Su questo argomento, si veda anche CIC., De divin., I, 132; Tusc. disp., I,
16, 37.
6
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9; RODIG., Lect. antiq., V, 42.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 10.
8
Ibid.
9
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; Dig., X, 2, 4, 1.
10
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42. Zabulo potrebbe forse identificarsi con Zabel, di
cui si veda TRIT., Antip. malef., I, 3: «Est alius liber Zabel qui praenotatur Liber
eventuum fortuitorum, vanus quidem, sed nihil continens artium diabolicarum;
et partim accedit ad omnia: quicquid enim fortuitum acciderit ad significationem
aliquam occultorum reducit. Incipit autem sic: Rerum accidentium occultos eventus».
11
Possibile allusione all’apocrifo del V sec. intitolato Atti di Barnaba, opera con-
servata in greco e attribuita a Giovanni Marco, collaboratore di Paolo.
12
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, D1v.
13
Anche in questo caso la fonte di Agrippa potrebbe essere TRIT., Antip. malef., I,
3, dove sono elencati una serie di libri magici attribuiti ad Adamo, Abel, Enoch,
Abramo, Salomone, Cipriano, Alberto, e molti altri. Si veda supra, nota 11, p. 189.
14
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I per gli scritti attributi a Ruggero Bacone, Alberto Magno
e san Tommaso. L’Eboracensis é Roberto di York (XIV sec.), il cui soprannome
deriva appunto dall’antico nome della città di York.
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15
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, C1v; GIOV. PICO, Disp., I. Roberto d’Inghilterra è
Robertus Anglicus (XIII sec.), autore nel 1271 di un commento alla Sfera di Sa-
crobosco, e nel 1276 del Tractatus quadrantis.
16
Cfr. GIOV. PICO, Disp., I. L’angelo Raziel, intermediario del sapere divino, svolge nel
cerchio della Cabala un ruolo fondamentale. A lui vengono attribuiti libri di conte-
nuto magico-mistico (si veda, per es., TRIT., Antip. malef., I, 3). L’angelo Raffaele, il
cui compito è quello di aiutare il pio Tobia in numerose situazioni di pericolo, ap-
pare nel libro deuterocanonico di Tobia e nell’apocrifo Primo libro di Tobia (I-II sec.).
17
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 4, 9.
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18
Ibid. L’episodio biblico (1 SM 28:3-25) è ricordato anche in AGRIP., De occ. phil.,
III, 18, p. 453 e III, 42, p. 536; GIOV. PICO, Apol., p. 145; GIOVANFRANC. PICO, De rerum
praenot., IV, 9.
19
Cfr. AGOST., De diver. quaest. ad Simpl., III, 1-2.
20
Cfr. AGRIP., De occ. phil., I, 58; pp. 206-210 e III, 42, pp. 535-538.
21
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, II, 3, 6.
22
Cfr. Zohar (ed. de Pauly), I, 1.
23
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 5, 6; AGRIP., De occ. phil., III, 41, p. 523.
24
Cfr. LV 16:7-10. Azazel è il demonio cui era inviato un capro simbolicamente ca-
ricato dei peccati del popolo d’Israele durante la celebrazione più famosa del ca-
lendario giudaico, il cosiddetto Yom-Kippur, il giorno del perdono o dell’espiazio-
ne. L’animale veniva poi allontanato nel deserto dove, estinguendosi, estingueva
anche il peccato d’Israele.
25
GEN 3:14.
26
IS 65:25.
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27
1 COR 15:44.
28
Il passo non compare nella Bibbia, ma si veda 1 COR 15:51-53 dove invece Paolo
afferma: «Non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati: in un istante, in un
batter d’occhio, all’ultima tromba; suonerà infatti la tromba, i morti risorgeran-
no incorrotti e noi saremo trasformati».
29
Per Enoch assunto in cielo, si veda GEN 5:24 e ECCLI 44:16, 49:14; per il rapi-
mento in cielo di Elia su un carro di fuoco, si veda 2 RE 2:1-11 e ECCLI 48:9; per
Mosè, si veda DEUT 34:5.
30
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 7, 1 (si veda GD 9). Secondo Clemente di Ales-
sandria (si veda Fragmentum in epistolam Judae, 9) e Origene (si veda De princ., III,
2, 1), l’accenno alla lotta tra l’arcangelo Michele e il diavolo dipende dall’apo-
crifo intitolato l’Assunzione di Mosè o Testamento di Mosè, un testo che si è conser-
vato unicamente in un manoscritto latino incompleto del VI sec.
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46.
DELLA TEURGIA
1
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42.
2
IS 1:16.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 1, 8.
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4
Cfr. AGRIP., De occ. phil., III, 54, pp. 564-566.
5
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; AGOST., De civit. Dei, X, 9.
6
Durante il Medioevo furono attribuiti a Salomone, il re biblico di Israele consi-
derato il più saggio tra gli uomini, una serie di opere magiche, tra cui il Liber sa-
cratus che tratta dell’Ars notoria, ossia il metodo di acquistare la conoscenza di tut-
te le cose e raggiungere la comunione con Dio principalmente attraverso l’invo-
cazione degli angeli, le figure mistiche e le preghiere magiche. Nello Speculum
astronomiae Alberto Magno elenca, tra i libri di necromanzia, cinque trattati attri-
buibili a Salomone, tra i quali figurano il De figura Almandel, il De novem candariis
e il De quatuor annulis. I libri contenenti l’ars notoria, considerata da Lutero come
una forma di credo e di superstizione, e derisa dallo stesso Erasmo da Rotterdam,
furono prima condannati dai teologi della Sorbona nel 1324 e successivamente
nel 1634 posti all’Indice.
7
L’Ars paulina sembra richiamarsi alla dottrina esposta dall’apostolo Paolo in 1
COR 2:6-10; mentre l’Ars revelationum consisterebbe nell’arte per raggiungere un
sapere superiore.
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47.
DELLA CABALA
1
PLIN.,
Nat. hist., XXX, 2, 11.
2
Cfr. RODIG., Lect. antiq., VI, 1.
3
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, I5r, dove però i discepoli di Pitagora sono Ipparco
e Liside.
4
Ivi, I, B6r, ma si veda anche REUCHL., De verbo mirif., I, A8v; GIORGIO, De harm.
mundi, I, 2, 7; GIOV. PICO, Oratio de hom. dign., p. 73; RODIG., Lect. antiq., VI, 1. Il si-
gnificato etimologico del termine ebraico qabba– la– h è appunto ‘ricezione’, e si ap-
plica in genere a indicare il ricevimento che una generazione fa della tradizione
trasmessa da un’altra.
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5
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, D2v. Il riferimento è alla suddivisione, che risale al-
la letteratura talmudica dei primi secoli dell’era volgare, delle dottrine cabbalisti-
che in Ma‘aseh Bereshìth (= l’opera della creazione), vale a dire le speculazioni co-
smogoniche, e Ma‘aseh Merkavah (= l’opera del carro), vale a dire l’interpretazio-
ne mistica della visione di Ezechiele del carro celeste che trasporterebbe il trono
di Dio Creatore, che costituiscono un aspetto fondamentale nelle concezioni del-
la mistica ebraica. Le tradizioni di merkavah erano conosciute da alcuni autori del
Nuovo Testamento (si veda 2 COR 12:1-4).
6
Con la parola ebraica Bereshìth, ossia «In principio», gli Ebrei intitolano il primo
libro della Bibbia, quale principio del Pentateuco o Torah, principio dell’essere nel-
la creazione, principio del dialogo tra Dio e l’uomo. Il termine troverà la sua rie-
dizione definitiva nell’«In principio era il Verbo» del Vangelo di Giovanni.
7
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, C1r; De arte cabal., III, K4v. Per il luogo biblico, si
veda 1 RE 5:13.
8
L’issopo è una pianta aromatica usata dagli Ebrei per la purificazione dei leb-
brosi, per tingere le porte con il sangue dell’agnello, per aspergere l’offerta per il
peccato (si veda LV 15:49-57).
9
Il testo latino reca: «reptilibus», ossia «esseri striscianti».
10
Allusione all’opera di Maimonide conosciuta con il titolo di Mi&neh Torah. Cfr.
REUCHL., De arte cabal., I, D5r-v: «De terra promissionis, de Ierusalem civitate cuius
participatio est in id ipsum, de monte dei, et loco sancto eius, et via sancta, et
sanctuario, et atriis domini, et templo domini, et domo domini, et porta domini,
et caeteris similibus multis, quae Rabi Moyses aegyptius in suo Misne, id est deu-
teronomio, sic etiam intelligi de coelesti beatitudine voluit». Su Maimonide, si ve-
da anche supra, p. 146 e nota 35.
11
Cfr. supra, nota 5.
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12
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, C4r; III, M5r. L’importanza dei nomi divini e del
loro potere e virtù è uno dei punti essenziali della Cabbala. Nella letteratura cab-
balistica classica del secolo XIII, si distinguevano tre tecniche di esegesi mistica:
la Gematrià, ossia la valutazione del valore numerico delle parole ebraiche secon-
do determinate regole e la ricerca di relazioni con altre parole o frasi aventi lo
stesso valore numerico; la Temurà, ossia la sostituzione di alcune lettere con altre
secondo regole definite; il Notariqon, ossia il metodo consistente nell’estrarre dai
nomi propri delle cose certi numeri divini che, se sommati, permettono di giudi-
care delle cose presenti e future. Questa arte di divinazione è chiamata ‘aritman-
zia’ (si veda AGRIP., De occ. phil., II, 19-20, pp. 304-306 e III, 25, pp. 472-473).
13
Il testo latino reca: «emanationes», termine che rinvia alle ejklavmpsei" (effulgu-
razioni) di Plotino. Non avendo l’ortodossia cattolica assorbito contenuti di ori-
gine neoplatonica, ma non avendo neppure potuto prescindere dalle tematiche
legate alle Enneadi, tentò di risolvere la problematica connessa facendo ricorso
al termine ‘derivazione’ che ha una natura eminentemente linguistico-nomina-
listica.
14
Latinismo da «vesica», ossia rigonfiamento, vescica.
15
Forma italianizzata del latino scientifico Coturnix, genere di uccelli della fami-
glia fasianidi che comprende le quaglie.
16
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 8. Per gli episodi biblici, si veda ES 4 sgg.
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Ebrei che con questa arte di miracoli Giosuè fece fermare il so-
le, Elia mandò fuoco dal cielo contra gli aversari suoi e ritornò
in vita il fanciullo morto, Daniello serrò la bocca a leoni, et i
tre giovani salmeggiando stettero securi nella fornace arden-
te17. Affermano ancora i perfidi Giudei che Cristo fé così spes-
so cose tanto maravigliose con questa arte, e che Salomone era
dottissimo in questa scienza, e però ne scrisse una arte contra i
demonii mostrando i modi da legargli, da scongiurargli et i ri-
medi anco contra le infirmità, come testimonia Giosefo18. Ma
nondimeno io, sì come io son certo che Dio rivelò a Mosè o a
gli altri profeti molte cose ch’erano coperte sotto la scorza del-
le parole della legge, misteri da non comunicare all’ignorante
vulgo, così conosco questa arte Cabala della quale tanto si glo-
riano gli Ebrei, et io con gran fatica ho talora investigato, altro
non essere che una pura consonanza di superstizione et una
certa magia teurgica, che se, come si vantano i Giudei, venuta
da Dio, ella fosse di giovamento alla perfezzione della vita, alla
salute de gli uomini, al culto d’Iddio, a intendere il vero, certa-
mente quello spirito di verità, ch’abbandonata la sinagoga ven-
ne a insegnarci ogni verità19, non l’avrebbe tenuta ascosa fino a
questi ultimi tempi alla sua Chiesa, la quale veramente ha co-
nosciuto tutte le cose che sono d’Iddio, la benedizzione del
quale, il battesmo e gli altri sacramenti di salute, sono revelati
e perfetti in ogni lingua, perciocché ciascuna lingua ha una
medesima et egual virtù, mentre ch’ella abbia ancor egual
pietà, né altro nome è in cielo né in terra nel quale bisogna
che noi ci salviamo et in cui bene operiamo, salvo che il nome
solo di Giesù, nel quale si recapitolano e si contengono tutte le
cose20. Perciò i Giudei, peritissimi ne i nomi di Dio, poco o nul-
la dopo Cristo operar possono, come solevano gli antichi padri
17
Cfr. GS 10:12-13; 2 RE 1:10-14; 2 RE 4:18-37 (ma il bambino viene risuscitato da
Eliseo, non da Elia); DN 6:23 e 3:13-97.
18
Cfr. FLAV. GIUS., Antiq. Jud., VIII, 45, ma la fonte di Agrippa potrebbe essere REU-
CHL., De verbo mirif., I, C1r oppure CRIN., De hon. discip., IX, 5 o anche POLID. VIRG.,
De invent. rer., I, 22. Sebbene la Bibbia non contenga descrizioni o riferimenti al-
l’arte di Salomone di invocare i demoni e di guarire gli infermi, tanto le tradizio-
ni ebraica e cristiana, quanto quella araba, tramandano numerose leggende a ri-
guardo, molte delle quali si trovano nella raccolta di novelle Le mille e una notte.
19
Cfr. LC 13.
20
Cfr. AT 4:12.
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21
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, II, 2, 16.
22
La poetessa Proba Petronica (IV sec.) riscosse un grande successo in un parti-
colare genere letterario, il centone virgiliano, che consisteva nel trarre da Virgilio
versi o parte di versi, ricomponendoli in modo da creare una poesia di spirito e
contenuti nuovi. Intorno al 360 Proba compose un centone virgiliano di 694 esa-
metri su episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nell’attribuire alla poetes-
sa il nome Valeria, Agrippa potrebbe essersi confuso con il grammatico e filologo
latino Marco Valerio Probo, autore di importanti commenti alle opere virgiliane.
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23
Cfr. ESOPO, Fab., 185.
24
Cfr. MC 4:12; LC 8:10.
25
Cfr. EF 3:3.
26
Cfr. MT 17; MC 9:9.
27
Cfr. 1 COR 2:6-8.
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48.
DE PRESTIGII
1
Praestigia sono le opere magiche, gli incantamenti (si veda, per es., TOMM. D’A-
QUINO, Summa theol., II, 2, q. 95).
2
Cfr. TRIT., Antip. malef., I, 3: «Unde ex libris Hermetis est unus, qui praenotatur,
Liber praestigiorum Hermetis, in quo multa vana habentur, atque suspecta; qui
sic incipit: Qui Geometria aut Philosophiae peritus, expers Astronomiae»; ALBERTO MA-
GNO, Specul. astr., XI. L’allusione è al Liber prestigiorum Elbidis secundum Ptolomeum et
Hermetem, di cui esistono tre versioni manoscritte, una conservata presso la Bi-
blioteca Municipale di Lione (ms. 328, s. XIV (1395), cc. 70r-74r e due presso la
Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Pal. lat. 1401, s. XIV-XV, cc. 39v-41v e ms. Lat.
10803, s. XV, cc. 62v-66v. Secondo la critica più recente si tratterebbe di una tra-
duzione latina di Adelardo di Bath dell’originale arabo di un’opera attribuita al-
l’astronomo T– a–bit ibn Qurrah, noto anche con il nome latinizzato di Thebit o Te-
bizio. Di questa opera circolò in Occidente, in due diverse redazioni entrambe at-
tribuite a Giovanni di Siviglia, la più conosciuta traduzione latina con il titolo di
De imaginibus, di qualche anno più tarda della traduzione di Adelardo. È interes-
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sante notare che tanto l’autore dello Speculum, quanto l’abbate Tritemio, ometto-
no intenzionalmente o ignorano la paternità di T– a–bit del testo da loro menziona-
to. Si veda in proposito l’articolo «Studiosus incantationibus». Adelardo di Bath, Er-
mete e Thabit, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXX, I, 2001, pp. 36-
61 di Vittoria Perrone Compagni, alla cui cortesia devo la stesura di questa nota.
3
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42.
4
Ibid., ma si veda anche PLUT., Numa, VIII; XV; AGOST., De civit. Dei, VII, 35.
5
Cfr. RODIG., Lect. antiq.,V, 42. Sulla capacità degli oggetti di trasmettere immagi-
ni e impressioni delle cose per effetto della potenza dell’aria, si veda AGRIP., De occ.
phil., I, 6, pp. 94-99; FIC., De vita, III, 13.
6
Cfr. 2 RE 6:13-23.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, II, 9, 10. Ilarione di Gaza (I sec.), è il fondatore, se-
condo san Gerolamo, del monachesimo palestinese. Si veda, per es., GEROL., Vita
Hilar. e SOZ., Hist. eccl., V, 10.
8
Cfr. supra, p. 194.
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9
Cfr. RODIG., Lect. antiq., V, 42; GIAMB., De myst., III, 25, ma si veda anche III, 28-29.
10
Cfr. 2 TM 3:8. Negli scritti giudaici Iannes e Iambres (Vulg. e altri codici hanno:
«Mambres»), supposti discepoli o anche figli di Balaam, sono i capi dei maghi
d’Egitto che si oppongono a Mosè e Aronne in ES 7:11. Ma il riferimento potreb-
be essere anche all’apocrifo intitolato Penitenza di Iannes e Iambres, scritto in Egit-
to verso la fine del I sec., e pervenutoci unicamente in frammenti greci e latini. Il
testo apocrifo esprime l’interesse per la negromanzia negli ambienti giudei, oltre
a fornire indicazioni sulla forma della propaganda religiosa giudea nel mondo
pagano.
11
Cfr. CRIN., De hon. discip., VIII, 1, ma si veda anche EUSEB., Hist. eccl., II, 13, la cui
fonte è GIUST., Apol., I, 26. La notizia della statua a Simon Mago trae origine da un
fraintendimento operato da Giustino e successivamente da Tertulliano (Apolog.
adv. gent., XIII, 9): l’iscrizione Semoni Sanc[t]o deo Fidio sacrum, ritrovata nel 1574
su un altare nell’isola Tiberina, non si riferisce a Simon Mago, bensì a un’antica
divinità umbro-sabina garante del giuramento.
12
Agrippa si uniforma qui a tutte le testimonianze antiche che qualificano, con
unanime consenso, il samaritano Simon Mago come primo rappresentante del-
l’eresia gnostica, che appare come la somma e la matrice delle idee eterodosse
successive. Su Simon Mago si veda, per es., AT 8:9-24; IREN., Adv. haer., I, 23, 1-4; IP-
POL., Refut., VI, 7-20; EUSEB., Hist. eccl., II, 13.
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13
Per l’analogia dei toni e delle espressioni verbali, si veda REUCHL., De verbo mirif.,
II, C2v. Si tratta della famosa ritrattazione di Agrippa con la conseguente con-
danna delle scienze occulte, sulla cui valutazione la critica è tuttora in disaccor-
do. Tale recantatio, con riferimento al De vanitate, viene ribadita nell’Epistola al
lettore premessa al De occulta philosophia: «Ideo, si alicubi erratum sit sive quid li-
berius dictum, ignoscite adolescientiae nostrae, qui minor quam adolescens hoc
opus composui, ut possim me excusare ac dicere: “Dum eram parvulus, loquebar
ut parvulus, sapiebam ut parvulus; factus autem vir, evacuavi quae erant parvuli
ac in libro nostro De vanitate ac incertitudine scientiarum hunc librum magna ex
parte retractavi”». In realtà Agrippa opera una chiara distinzione tra magia legit-
tima, che agisce «in veritate» e «in virtute Dei», e magia nera o demoniaca. No-
nostante la ritrattazione, inoltre, dalla corrispondenza appare chiaramente che
Agrippa continuò a occuparsi non soltanto di cabbala, ma anche e soprattutto di
alchimia, di astrologia, di geomanzia, di magia anche negli anni successivi alla
pubblicazione del De vanitate e del De occulta philosophia.
14
Dal termine greco ajgwvgimon nel significato di «filtri d’amore» (si veda PLUT.,
Mor., 1093d).
15
Cfr. supra note 9 e 11.
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49.
DELLA FILOSOFIA NATURALE
1
Per Lino, Museo e Orfeo primi poeti, si veda DIOG. LAERZ., Vitae philos., I,
prohem., 3-5.
2
Cfr. PLUT., Mor., 164b; ARIST., Rhet., 1393b.
3
Cfr. GIANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 3; AGOST., De civit. Dei, XIX, 1.
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4
Cfr. LATT., Divin. instit., III, 4.
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50.
DE PRINCIPII DELLE COSE NATURALI
1
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2; I, 2, 1; REUCHL., De verbo mirif., I, A6v-A7r;
AGOST., De civit. Dei, VIII, 2.
2
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 3.
3
Cfr. AGOST., De civit. Dei, VIII, 2.
4
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 1; AGOST., De civit. Dei, VIII, 2.
5
Cfr. ARIST., Metaph., 984b.
6
Ivi, 985b, dove però non è menzionato Diodoro, per il quale si veda GIANFRANC.
PICO, Exam. vanit., I, 3-4.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 3; CIC., De nat. deor., I, 12, 29-30.
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8
Ibid.
9
Cfr. REUCHL., De arte cabal., I, B2v; ARIST., Metaph., 985a.
10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 3.
11
Ibid.
12
Ibid.; CIC., De nat. deor., I, 14, 36.
13
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 3; ARIST., Metaph., 983b-988a.
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51.
DEL NUMERO DE MONDI E QUANTO ABBINO A DURARE
1
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 8.
2
Ibid.
3
Ibid.
4
Ivi, I, 1, 14. Per la disputa sull’uovo e la gallina, si veda MACROB., Conv. saturn.,
VII, 16, 1-2.
5
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 8; REUCHL., De arte cabal., II, I2r. Il nome Alc-
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moo, qui menzionato, si deve a una serie di refusi tipografici: «Alcinous platoni-
cus», nel testo di Giorgio, diventa «Alcimous» nell’edizione latina di Agrippa e
«Alcmoo» nella traduzione in volgare.
6
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 14; PLAT., Tim., 37d.
7
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 8.
8
Ibid.
9
Ivi, III, 4, 1.
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52.
DELLA ANIMA
1
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
2
Cfr. FIC., Theol. plat., VI, 1.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4; REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
4
Cfr. AGOST., De civit. Dei, VII, 6. La fonte di Agostino è VARR., Antiq. rer. div., XVI,
226.
5
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
6
Ibid., ma si veda anche REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
7
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
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8
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
9
Ibid. Il nome Circia, che Agrippa riprende letteralmente da Giorgio, potrebbe
essere un errore per Crizia, citato da Aristotele tra coloro che considerano la ca-
pacità di percepire come l’attributo peculiare dell’anima e ritengono che essa sia
da attribuirsi alla natura del sangue. (De anima, 405b). Si veda anche REUCHL., De
verbo mirif., I, A7v e GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14, che recano: «Critias».
10
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
11
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
12
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
13
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
14
Ibid.; REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
15
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
16
Ibid.; REUCHL., De verbo mirif., I, A7v.
17
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
18
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A7v; GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
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19
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
20
Sul soprannome di ‘demonio della natura’ che Averroè assegna ad Aristotele, si
veda REUCHL., De verbo mirif., I, B2v.
21
Ivi, I, A7v; ARIST., De anima, 412a-412b.
22
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
23
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A7v; GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14; PLAT.,
Phaedr., 245e.
24
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14; GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
25
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
26
Ibid.
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27
Ibid.
28
Ibid.
29
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4.
30
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
31
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 4. Per il divieto di Mosè di mangiare le carni
di animale, si veda LV 17:10-16.
32
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14; GAL., De usu part., I, 2.
33
BEDA, In Marci evang. expos., II, 7. Il luogo del Vangelo di Marco è 12:30; per Pla-
tone, si veda Tim., 45b, 73d.
34
Cfr. ARIST., De anima, 408b.
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35
Cfr., per es., GIOV. PICO, Conclus., III, 15, 2.
36
Il testo latino reca: «Pleton». L’allusione è dunque al filosofo e umanista bizan-
tino Giorgio Gemisto (ca.1360-ca.1452), noto con lo pseudonimo di Pletone, so-
stenitore della superiorità di Platone nella disputa scolastica tra platonici e ari-
stotelici e ispiratore di Cosimo de’ Medici nella fondazione dell’Accademia pla-
tonica fiorentina.
37
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
38
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, E6v; TEMIS., Paraphr. in lib. de anima, V, 3.
39
Origene (ca.185-ca.254), esponente di spicco della scuola alessandrina, scritto-
re ecclesiastico ed esegeta cristiano, filosofo d’ispirazione platonica, elaborò nei
quattro libri del De principiis (ca.220) alcune teorie condannate come eterodosse,
quali quelle dell’eternità della creazione, della preesistenza delle anime, dell’a-
pocatastasi o salvezza universale al termine di un ciclo cosmico. Tali dottrine eser-
citarono un influsso significativo sulla teologia umanistica. Agostino scrisse un li-
bro, seppure breve, sulle dottrine ereticali di Origene intitolato Contra Priscillani-
stas et Origenistas (Epist., 169, 4, 13), così come Giovanni Pico ne trattò diffusa-
mente nella sua Apologia (1487).
40
Cfr. AGOST., De Gen. ad litt., VII, 24, 35, ma sulla teoria dell’anima di Agostino, si
veda anche De civit. Dei, XII, 24.
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41
Apollinare di Laodicea (310-ca.392), diede vita a un’eresia, denominata ap-
punto apollinarismo, le cui tesi pregiudicavano l’integrità della natura di Cristo;
Cirillo d’Alessandria (m. 444), autore di opere esegetiche e di commentari al
Vecchio e Nuovo Testamento, pur distinguendosi per il suo zelo contro i novazia-
ni e i nestoriani, fu accusato di sottoscrivere all’apollinarismo per le sue dottrine
riguardanti le due nature di Cristo; Quinto Settimio Florente Tertulliano di Car-
tagine (ca.155-ca.230), studioso di diritto e di retorica, autore di numerose opere
in lingua latina, tra cui l’Apologeticus, nel 210 ca. aderì al montanismo; Lucifero di
Cagliari (m. 370/1), impegnato nella polemica antiariana, per la sua intransigen-
za causò lo scisma dei luciferiani e l’insorgere di diverse correnti erticali. Per tut-
ti questi personaggi, si veda GEROL., De vir. ill., XXVI, LIII, CXII, XCV.
42
Cfr. PETR., Contra med. quend., II, 8.
43
Ibid.
44
Ibid.
45
Ibid., ma si veda anche GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 14.
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46
Cfr., per es., PLAT., Tim., 30b.
47
Guglielmo di Occam (1280-1349) sostiene che la conoscenza astratta è indi-
pendente dalle sensazioni, così rallentando i vincoli del corpo con l’anima. Pone
perciò tre forme sostanziali: una forma di corporeità, un’anima sensitiva, un’ani-
ma intellettiva; quindi «hominis est unum tantum esse totale», che comprende
«plura esse partialia» (Quodl., II, 10).
48
Cfr., per es., ARIST., De anima, 429b.
49
Cfr. ECCLE 9:5 e 10. Il libro giunto a noi con il titolo di Ecclesiaste, o Qohèlet, veni-
va attribuito a Salomone, figlio di Davide.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 228
50
Cfr. MT 12:36-37.
51
Cfr. GA 1:8-9.
52
LC 16:31.
53
Possibile allusione al romanzo anonimo intitolato Tondali Ritters aus Hiberneien
Entzückungen, un’opera molto diffusa in Germania e in Europa alla fine del XV
sec. e all’inizio del XVI, il cui testo è tratto da una versione anonima del XII sec.
in cui si narra il viaggio attraverso l’Inferno e il Paradiso di Tundalo, leggendario
cavaliere irlandese.
54
Il libro intitolato Consolatio animorum rappresenta un genere letterario che si
diffonde in Europa a partire dal 1350 come guida filosofica e spirituale in con-
trapposizione al genere letterario dei romanzi cavallereschi.
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55
Probabile allusione a Giovanni Cassiano, monaco ed eremita del IV sec., autore
delle Institutiones, un’opera che tratta della vita monastica e dei vizi capitali, e a Ja-
copo di Varsavia (1381-1465), autore teologico.
56
Il testo latino reca: «quae veram charitatem et animarum nostrarum salutem ae-
dificarent».
57
Cfr. AGRIP., Dialogus de homine (1515-1516) e De occ. phil., III, 16-18, pp. 445-457.
58
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, G3r; DIOG. LAERZ., Vitae philos., VIII, 1, 4-5.
59
OVID., Metam., XV, 158-164.
60
Cfr. REUCHL., De arte cabal., II, G3r; H1r; DIOG. LAERZ., Vitae phil., VIII, 1, 4-5.
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61
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae phil., II, 4, 17.
62
Cfr. AVIC., De diluv. (ed. Alonso), p. 305.
63
Cfr., per es., APOLL. RODIO, Argon., III, 1333-1407.
64
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae phil., IX, 11, 72.
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53.
DELLA METAFISICA
1
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, A4v.
2
Cfr. SEST. EMP., Adv. math., IX, 55-56 e IX, 51; DIOG. LAERZ., Vitae philos., II, 8, 86,
97, 100; CIC., De nat. deor., I, 23, 63. I nomi di Diagora di Melo (V sec. a.C.) e di
Teodoro di Cirene (IV/III sec. a.C.) si trovano costantemente uniti insieme a
quello di Evemero di Messene (IV sec. a.C.) come i tre tipici rappresentanti del-
l’ateismo.
3
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
4
Ibid.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 232
5
Ibid.
6
Ibid.
7
Ibid.; CIC., De nat. deor., I, 10, 25.
8
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2; CIC., De nat. deor., I, 10, 26.
9
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
10
Ibid.; CIC., De nat. deor., I, 11, 26.
11
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
12
Ibid.; CIC., De nat. deor., I, 11, 27.
13
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2; CIC., De nat. deor., I, 11, 28.
14
Ibid.
15
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
16
Ibid.
17
Le opinioni di tutti questi filosofi si trovano in GIORGIO, De harm. mundi, I, 1, 2.
18
Il testo latino reca: «hyle», dal greco u{lh, ossia «materia».
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19
Cfr. per es., ARIST., De coelo, 269a-b.
20
Cfr. GEROL., Epist. CXXXII, 2; Dial. adv. Pelag., III, 8; Psal., CXXXIV; Comm. in
Amos proph., I, 4 e 5.
21
Jean Le Charlier (1364-1429), teologo francese, detto Gerson dal villaggio
presso cui nacque. La sua teologia morale e mistica, influenzata dall’occamismo,
è contenuta nel De consolatione theologiae (a imitazione del De consolatione philo-
sophiae di Boezio) in cui si afferma che la vera conoscenza di Dio non è quella
concettuale e astratta fornita dalla teologia scientifica, ma quella che l’anima
percepisce nel suo intimo attraverso l’amore e l’abbandono di ogni determina-
zione razionale.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 234
22
Cfr. COL 2:8.
23
Cfr. AGOST., De civit. Dei, VIII.
24
Cfr. SVET., De vita Caes., VIII, 10.
25
Timone di Fliunte (ca.325-ca.235 a.C.), poeta e filosofo, è autore di un’opera in
tre libri intitolata Sivlloi in esametri nella quale attaccava i filosofi dogmatici; Dio-
ne Crisostomo di Prusa (ca.40–ca.120), fra le numerose opere, è autore degli
scritti polemici dal titolo Contro i filosofi.
26
Publio Elio Aristide (ca.117-ca.185), autore di numerose orazioni, tra le quali
l’ ‘Uper tw'n tettavrwn, dal carattere fortemente polemico, in risposta ad alcuni pas-
si contenuti nel Gorgia platonico, in cui egli prende le difese di Milziade, Temi-
stocle, Cimone e Pericle.
27
L’allusione è all’oratore Quinto Ortensio Ortalo al quale Cicerone, nel dialogo
protrettico che da quello prende nome, l’Hortensius seu de philosophia liber, mette
in bocca la tesi contraria alla filosofia, mentre Cicerone ne sosteneva la difesa.
L’Hortensius, opera per noi perduta, fu composto probabilmente dopo il 45 e si
ispirava a uno scritto giovanile di Aristotele, il Protrettico; ebbe grande fortuna nei
secoli successivi e soprattutto lo amò Agostino che, per sua ammissione (Conf.,
III, 4), fu proprio da questo dialogo spinto alla vita speculativa.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 235
54.
DELLA FILOSOFIA MORALE
1
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., A3v.
2
Cfr. GIANFRANC. PICO, Exam. vanit., III, 13.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 236
3
FIRM. MAT., Math., I, 10, 12.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 237
4
Cfr. GEN 1.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 238
Peripatetica, e molte altre. Di questi fra gli altri in tal modo fi-
losofò quel Teodoro, il quale dicono gli scrittori che fu chia-
mato Dio, cioè il savio darà opera al furto, all’adulterio et al sa-
crilegio quando ne sarà tempo, perché nessuno di questi vizii
naturalmente è vergognoso5. Ma se si torrà via da loro la opi-
nion volgare, la quale è stata fatta dalla plebe vile de i pazzi e
de gli ignoranti, l’uomo savio potrà publicamente usar con
puttane, senza rossore alcuno d’esservi colto. Vi sono delle al-
tre opinioni di questo filosofo divino, delle quali non so se co-
sa si potesse dire più disonesta se non quella che leggiamo es-
sere stata approvata da Aristotele, e concessa in Candia con
una legge fatta sopra ciò, la lussuria co i maschi, la quale è ce-
lebrata ancora con questa ragione da Girolamo peripatetico, il
quale dice che per cagioni di essa si sono già tolte via di molte
tirannidi6. Ma le parole d’Aristotele nella Politica, dove giudica
ch’ella sia utile alla Republica acciocché gli uomini plebei non
crescano troppo in figliuoli, sono queste: «Molte cose ha savia-
mente e con studio ordinato il fattor delle leggi per la tempe-
ranza del cibo, come cosa molto utile, e de i divorzii delle don-
ne, acciocché elle non partorissero soverchia moltitudine, co-
mandò che si dovesse usare co maschi»7. Questo è quello Ari-
stotele, i costumi del quale furono riprovati da Platone, onde
ne nacque l’odio e l’ingratitudine di lui verso il maestro, il qua-
le temendo il giudizio della sua scelerata vita, nascosamente et
in fretta si fuggì d’Atene, il quale ingratissimo verso i suoi be-
nefattori, col veleno dell’acqua di Stige uccise quello Alessan-
dro Magno dal quale così manifestamente e liberamente era
stato onorato, quello che gli aveva fidato nelle mani la vita, il
corpo e l’anima, e di più gli aveva rifatto la sua patria. Il quale
Aristotile, avendo ancora falsa opinione dell’anima, disse che
dopo la morte non v’era loco d’allegrezza, il quale avendo rub-
bato e malignamente interpretato i detti de gli antichi, con fur-
to e con calonnia s’acquistò laude d’ingegno. Il quale essendo
già invecchiato ne cattivi giorni, venuto in rabbia per lo immo-
5
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae philos., II, 8, 99-100. Per Teodoro di Cirene, si veda anche
supra, p. 231, nota 2.
6
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 602a (si veda IERONIMO DI RODI, fr. 34, ed. Wehrli).
7
Cfr. ARIST., Polit., 1772a. Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Aristotelis
sceleratum documentum».
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 239
8
Per l’accusa di empietà e il conseguente esilio di Aristotele da Atene nel 323
a.C., si veda infra, nota 5, p. 288. L’assassinio di Alessandro Magno da parte di Ari-
stotele, la pazzia e il suicidio del filosofo appartengono alla leggenda.
9
Possibile allusione al Carmen de vita et mortis Aristotelis, un testo pubblicato ano-
nimo nel 1490 presso l’editore Henricus Quentell che si rifaceva ai Problemata di
Aristotele. L’opera si ricollega a una corrente filosofica della scolastica che pro-
pone la redenzione dei protocristiani attraverso un comportamento individuale e
una condizione dell’anima e non attraverso il sacrificio di Cristo.
10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 5; LATT., Divin. instit., III, 7.
11
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 17; CIC., Tusc. disp., V, 30, 84-85; LATT., Di-
vin. instit., III, 7.
12
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 17.
13
Il testo latino reca: «in indolentia», con riferimento all’assenza di dolore sog-
gettivamente prodotta, che corrisponderebbe all’aumento, al potenziamento,
del dominio di sé. Si veda, a proposito, GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 17: «pe-
ripateticus Diodorus indolentia et honestate iunctas [bonum] pertulerit»; LATT.,
Divin. instit., III, 7: «Summum bonum posuit Hieronymus in non dolendo».
14
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 5; GIOVANFRANC. PICO, Exam. vanit., I, 17.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 240
15
Cfr. PLAT., Rep., 433a-b.
16
Cfr. PLAT., Epinom., 989b sgg. È interessante notare che l’argomento del dialogo
Epinomide riguarda appunto quale scienza permetta all’uomo di acquisire la vera
sapienza. Il metodo seguito da Platone è quello di passare in rassegna le specifi-
che scienze, o arti, rendendosi conto del perché non costituiscano sapienza e del
quale sia la vera sapienza attraverso la quale le singole scienze possano assumere
valore allorché si fondino su di essa.
17
Cfr. 1 COR 13:4-13.
18
Enrico di Gand (XIII sec.), filosofo e teologo autore dei Quodlibeta (1518) che
testimoniano le polemiche parigine degli anni 1276-1292 attorno all’aristoteli-
smo e della Summa theologica (1520), pubblicata incompleta con il titolo di Summa
quaestionum ordinariarum; sono inotre a lui attribuiti alcuni commenti a testi ari-
stotelici.
19
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, III, 1, 12.
20
Ivi, I, 2, 5, ma si veda anche DIOG. LAERZ., Vitae philos., VII, 3, 165; CIC., De fin., V,
24, 73; LATT., Divin. instit., III, 7.
21
Cfr. APOLL. RODIO, Argon., II, 377; POMP. MELA, Chor., I, 19, 106, ma si veda anche
EROD., Hist., I, 28 e III, 94.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 241
22
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 5.
23
Ibid.
24
Ibid. Si tratta in realtà di un unico personaggio, Bione di Boristene (ca. 325 - ca.
265 a.C.), filosofo greco che subì l’influsso del cinico Cratete.
25
Ibid.
26
Ibid.
27
Il testo latino reca: «Pyrrho Heliensis», con riferimento al filosofo greco Pirro-
ne di Elide, su cui si veda supra, nota 3, p. 10.
28
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 5.
29
Ibid.
30
SAL 144:8; 11-15.
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31
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, I, 2, 5; AGOST., De civit. Dei, XIX, 1.
32
Sul tema del libero arbitrio e dell’eresia pelagiana, si veda anche AGRIP., De occ.
phil., II, 28, pp. 340-341.
33
Cfr. LATT., Divin. instit., III, 7.
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55.
DELLA POLITICA
1
Cfr. ARIST., Polit., 1279a-b e Eth. nicom., 1160a.
2
A questo punto il testo latino reca: «nam ex pluribus optimis necesse est optima
constare consilia», qui mancante.
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3
Cfr., per es., PLAT., Rep., 540d.
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4
L’argomento non verrà più ripreso.
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che’l suo parere sia posto inanzi gli altri, et essere egli il primo,
si levan fra lor gli odii privati, onde spesso ne nascono fazzioni
e parzialità, morti e guerre civili in danno della republica. Infi-
niti essempi di questo male sono scritti nelle istorie de Greci e
de Latini, et oggi tuttavia molte città d’Italia danno miseri spet-
tacoli di quegli. Ma quasi ogniuno giudica il governo del po-
polo per lo peggiore. Apollonio con molte ragioni lo dissuade
a Vespasiano, e Cicerone dice che nel vulgo non è ragione,
consiglio, differenza, né diligenza5, come dice il Poeta:
5
Cfr. CIC., De re pub., I, 43; 44; 69.
6
VIRG.,
Aen., II, 39; ERASMO, Moriae enc., L.
7
Cfr. EROD. Hist., III, 81.
8
Cfr. DEMOST., Orat., VII, 25; PLAT., Rep., 588c; ORAZIO, Epist., I, 75.
9
Nella tarda antichità cominciò a circolare un corpus di epistole attribuite a Fala-
ride, tiranno di Agrigento del VI sec. a.C. noto per la sua efferatezza (si veda su-
pra, nota 19, p. 18). L’autenticità di queste lettere, già messa in dubbio da nume-
rosi scrittori rinascimentali, fu definitivamente negata verso la fine del XVII sec.,
quando se ne stabilì l’attribuzione a un autore probabilmente del II sec.
10
PLUT., Lycur., XIX, 7 e Mor., 228c.
11
Cfr. ARIST., Eth. nicom., 1160 a-b.
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12
Per Capi si veda OMERO, Iliad., XX, 239; VIRG., Aen., II, 35; per Decio Magio, si ve-
da LIV., Ab Urbe cond., XXIII, 7; per Lucio Emilio Paolo, si veda LIV., Ab Urbe cond.,
XXII, 38-50.
13
PLIN. IL GIOV., Epist., II, 12, 5.
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56.
DELLA RELIGIONE IN GENERE
1
Cfr. CIC., De nat. deor., II, 28, 71.
2
Cfr. CIC., De invent., II, 53, 161.
3
ARIST., Polit., 1314b-1315a.
4
Cfr. FIC., Theol. plat., XIV, 9.
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5
Cfr. GEN 4:3-4.
6
Ivi, 2:26.
7
Cfr. GEROL., Chron., I, prohem., 3; EROD., Hist., II, 49.
8
Alla dea Febbre furono dedicati a Roma un sacello fin da tempi antichissimi,
forse per la diffusione delle febbri nell’Agro romano, e poi successivamente un
tempio sul Palatino (si veda CIC., De nat. deor., III, 25, 63-64 e De leg., II, 11, 28;
PLIN., Nat. hist., II, 5, 16; VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., II, 5, 6).
9
Cfr. CIC., De leg., II, 11, 28; PLIN., Nat. hist., II, 5, 16.
10
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, II, 2, 14.
11
Ibid.; BOCCAC., Geneal. deor. gentil., VI.
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Adorarono già gli Egizzii con gli altri loro dèi gli animali
bruti ancora et i mostri, e sono anco oggidì di quegli che ado-
rano gli idoli et i simulacri. Et i Turchi, i Saracini, gli Arabi et i
Mori, e gran parte del mondo, oggidì adorano Machometto,
fabricatore d’una religione sciocchissima, et i Giudei perseve-
rando tuttavia nella perfidia loro, ostinatamente aspettano il
lor Messia che abbia a venire. E diversi nostri pontefici in di-
versi tempi e paesi hanno prescritto costumi di religioni a noi
cristiani, cosa mirabile a vedere in quante leggi discordino fra
loro circa le usanze, circa le cerimonie, circa il culto, circa i ci-
bi, circa i digiuni, circa il vestire, circa i guadagni, circa le pom-
pe, circa le mitre, circa la porpora, et altre cose tali. Ma una co-
sa sola è che vince la maraviglia di tutte le cose mirabili, che es-
si credono di potere ascendere al cielo con quegli ambiziosi
costumi che già ne fecero cadere Lucifero. E finalmente tutte
queste leggi di religioni non s’appoggiano sopra altro fonda-
mento che nelle volontà de i maestri loro, et oltra di ciò non
hanno altra regola di certezza se non il credere istesso. Consi-
derate dal principio del mondo quanti vi sono e quanti ve ne
sono stati studii nella religione, quante cerimonie, quanti cul-
ti, quante usanze, quante eresie, quanti pareri, quanti voti,
quante leggi, e la religione del Signore Iddio da cotanti secoli
passati non può condurre gli uomini alla dritta fede senza la
parola de Iddio, il quale poi che prese carne umana e trionfò
su la Croce de gli inimici nostri, ruinarono i tempii e gli idoli,
furono levate le auttorità a gli dèi e mancarono gli oracoli.
12
Cfr. GIORGIO, De harm. mundi, II, 2, 16; PORF., De phil. ex orac. haur. (ed. Wolff), I.
13
LC 10:18.
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14
Cfr. infra, pp. 455-460.
15
Allusione alle tesi teologiche sostenute nel 1510 di fronte all’Università di Co-
lonia. L’episodio è ricordato anche in AGRIP., De beatiss. Annae monog., B6v.
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57.
DELLE IMAGINI
1
Cfr. FLAV. GIUS., Contra Apion., II, 6, 75.
2
Cfr. LV 26:1; DEUT 4:16-18.
3
Cfr. EUSEB., Praep. evang., V, 10.
4
Cfr. CRIN., De hon. discip., XIV, 12 la cui fonte è CLEM. ALESS., Strom., I, 15, 71, ma
si veda anche PLUT., Numa, VIII, 13-14.
5
Cfr. CRIN., De hon. discip., XIV, 13; AGOST., De civit. Dei, IV, 31. La fonte di Agostino
è VARR., Antiq. rer. div., I, 18.
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6
Cfr. EROD., Hist., I, 131; STRAB., Geogr., XV, 3, 13.
7
Cfr. GREG., Epist., XI, 13 (Ad Serenum Massiliensem Episcopum).
8
Ibid.
9
Il testo latino reca: «non enim decet nos ex vetito imaginum libro discere, sed
ex libro dei, qui est liber scripturarum», ossia «non infatti bisogna che noi impa-
riamo dal libro proibito delle immagini, ma dal libro di Iddio il quale è il libro
delle Scritture». È evidente che il traduttore qui ha saltato una riga del testo ori-
ginale.
10
Cfr. GV 5:37-39; AT 18:28.
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11
Cfr. RM 10:14-17.
12
GV 10:27.
13
Ivi, 14:6.
14
LC 11:47; MT 23:29-31.
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molto più pazzi sono coloro che danno fede a queste favole e
sogni. E voglio che sappiate che sì come il superfluo culto del-
le imagini è idolatria, così la ostinata dannazione di quelle è
eresia, della quale furono già condannati Filippo e Leon III
imperatori15, la quale altre volte generata da un certo Vigilan-
zio francese e discacciata da Girolamo16, ora di nuovo ha co-
minciato a germogliare pochi anni sono nella Lamagna insie-
me con coloro che biasmano le imagini.
15
Il testo latino a questo punto ripete: «Sic etiam quemadmodum reliquiarium
abusus execrabile scelus est, ita earundem irreuerentia detestanda haeresis est»,
qui mancante.
16
Vigilanzio (IV sec.), prete di Calagurri, nell’Alta Garonna, era un presbiterio
che rifiutava il celibato dei preti e il culto delle reliquie. Nel 406 san Gerolamo
scrisse un trattato contro le sue dottrine intitolato Adversus Vigilantium.
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58.
DELLE CHIESE
1
Cfr. CRIN., De hon. discip., XIV, 12; CIC., De re pub., III, 9, 15 e De leg., II, 10, 27. Per
l’usanza presso i Persiani di non erigere luoghi di culto, si veda EROD., Hist., I,
131-132 e VIII, 109.
2
Cfr. CRIN., De hon. discip., XIV, 12 la cui fonte è CLEM. ALESS., Strom., V, 249, ma si
veda anche PLUT., Mor., 1034b. Per la fonte di Zenone, si veda Ethica, fr. 264 (ed.
von Arnim).
3
IS 66:1.
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4
AT7:47-49.
5
Ivi, 17:24-25.
6
1 COR 3:16-17. Il testo latino reca: «Templum dei estis, et spiritus dei habitat in
vobis. Templum autem dei sanctum est, quod estis vos». Qui viene tradotta sol-
tanto la seconda parte della sentenza.
7
Cfr. ORIG., Contra Celsum, VIII, 19 sgg.
8
LATT., Divin. instit., VI, 25.
9
Cfr. MT 6:5-6.
10
Il testo latino aggiunge: «ad templum», qui mancante.
11
Cfr. LC 6:12.
12
Cfr. GEN 7:2-3
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 261
13
Cfr. ERASMO, Adagia, III, 3, 1.
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ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 263
59.
DELLE FESTE
1
GAL4:10-11.
2
COL2:16-17.
3
Cfr. IS 66:23
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 264
4
Cfr. TERTUL., Apolog. adv. gent., I, 35.
5
Catafrigi, o semplicemente Frigi, dal nome della regione presso la quale nel II
sec. ebbe origine l’eresia, furono inizialmente detti i seguaci di Montano, propu-
gnatori della più assoluta intransigenza verso lo stato romano e il Paganesimo e
fortemente contestatori dell’autorità gerarchica della Chiesa ortodossa.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 265
6
Le comunità cristiane d’Asia minore, seguendo l’uso dei primi cristiani di Pale-
stina, celebravano la Pasqua lo stesso giorno della Pasqua ebraica, il 14 di Nisan
(di qui la designazione di ‘quartodecimani’), dunque a data fissa e in un giorno
della settimana variabile. Viceversa, nelle altre Chiese si celebrava la Pasqua sem-
pre di domenica, giorno della resurrezione di Cristo. La questione si fece più de-
licata allorché il papa Vittore I (189-199) tentò, nei primi anni del suo pontifica-
to, d’imporre alle chiese d’Asia la celebrazione domenicale. L’intransigenza di
Vittore suscitò la reazione di Policrate di Efeso, il più autorevole dei vescovi del-
l’Asia, e di Ireneo vescovo di Lione, il quale scrisse una lettera al papa esortando-
lo a non rompere la comunione con chiese che conservavano un’usanza antica.
Per la controversia tra Vittore e Policrate relativa alla Pasqua, si veda EUSEB., Hist.
eccl., V, 23-25.
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60.
DELLE CEREMONIE
1
Cfr. PLUT., Numa, VIII e XIV.
2
Cfr. EUSEB., Praep. evang., VI, 2.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 268
3
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 535.
4
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 535.
5
Cfr. GV 4:24.
6
Il riferimento è impreciso e non si trova questa affermazione in Platone.
7
CORP. HERM., Asclep., 41.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 269
8
GER6:20.
9
Ivi, 7:21-23.
10
IS 43:23-24; 58:6-9.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 270
11
Cfr. supra, p. 42, nota 22.
12
Cfr. 1 COR 7:19; GA 5:2-12; RM 2:25-29.
13
Cfr. MT 23:24.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 271
14
Cfr. VOLTER., Comm. urban., III.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 272
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61.
DE I MAGISTRATI DELLA CHIESA
1
Cfr. DION. AREOP., De eccl. hier., V, 2, 509b-509c.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 274
2
Cfr. MT 23:1-7.
3
Ivi, 23:15.
4
Ivi, 23:16.
5
Ivi, 23:24.
6
Ibid.
7
Ivi, 23:33.
8
Ivi, 23:25-28.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 275
9
Possibile allusione a Berthold Pürstinger, vescovo di Chiemsee (1465-1543), cui
viene attribuita l’opera intitolata Onus Ecclesiae, pubblicata nel 1524, contenente
un’aspra critica nei confronti del clero e degli abusi della Chiesa, nonché il pro-
gramma di una riforma delle gerarchie della Chiesa.
10
ORAZIO, Ars poet., 162. Il verso di Orazio «gaudet equis canibusque et aprici gra-
mine Campi», che nell’edizione latina Agrippa cita alla lettera, è qui tradotto li-
beramente.
11
Cfr. BERN. DA CHIARAV., Serm ad past. in Syn. congr., 3-4; De convers. ad cleric., XXII,
39. L’allusione è al Concilio di Reims del 1131 tenuto da Innocenzo II per otte-
nere di essere riconosciuto papa legittimo contro Anacleto. Il discorso di apertu-
ra dei lavori fu pronunciato da S. Bernardo di Chiaravalle (ca.1090-1153), il qua-
le intervenne poi a varie riprese nelle discussioni.
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12
CRIN., De hon. discip., VII, 13. Annotazione a margine di Agrippa: «Tria Bonifacii
facta».
13
Successore di Stefano VI, Formoso fu eletto papa nell’891 e per le sue aderen-
ze con il partito spoletano fu ridotto allo stato laicale e successivamente ristabili-
to nel suo grado da Nicolò I. In seguito, per la vendetta degli spoletani, fu orga-
nizzato un processo postumo contro di lui durante il quale fu proclamato inde-
gno e illegittimo pontefice e i suoi atti ufficiali furono dichiarati senza valore.
14
Probabile allusione ai papi Paolo II (pont. 1464-1471), Sisto IV (pont. 1471-
1484), Alessandro VI e Giulio II (pont. 1503-1513).
15
Allusione al papa Eugenio IV (pont. 1431-1447) e al suo tentativo di porre fine
allo scisma con la Chiesa greca e alla disfatta subita contro i Turchi a Varna nel
1444.
16
La colpevolezza del papa Alessandro VI (pont. 1492-1503) nell’assassinio di
Gem (per i latini Zizim), fratello del sultano Bayazid, non è mai stata provata, ep-
pure la certezza di un avvelenamento durante la permanenza a Napoli di Zizim
nel 1495 a opera del pontefice era largamente diffusa presso i contemporanei.
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17
Cfr. GB 1:6-7 e 2:1-2.
18
Cfr. PRV 2:14
19
Il testo latino reca: «nec synagogas nec scholas unqam frequentaverint».
20
Cfr. ES 4:10; GER 1:6; LC 1:20.
21
Allusione a Marcellino (pont. 295-304), e all’accusa, che circolò soprattutto ne-
gli ambienti donatisti africani, di aver bruciato incenso sulle are pagane. Il suo
presunto tradimento è ricordato nel Liber Pontificalis (ed. Duchesne, I, pp. lxxiii-
lxxiv, xciv, pp. 162-164), dove però viene anche affermata la sua riabilitazione.
22
Cfr. MT 20:20-28; MC 10:35-45.
23
Cfr. GI 1:1-3 per Giona; per Tommaso la fonte potrebbe essere lo scritto apo-
crifo Atti di Tommaso, pervenuto in una versione greca che risale probabilmente a
un originale siriaco del III sec. In questo testo si racconta che nella divisione a
sorte fatta a Gerusalemme delle terre in cui andare in missione, a Tommaso fosse
toccata l’India. Tantissimi sono i segni che in terra indiana si conservano di un
suo passaggio; tuttavia, la tradizione cristiana è divergente circa la sua sorte: Eu-
sebio, seguito da altri autori, lo dice evangelizzatore dei Parti (Hist. eccl., III, 1, 1);
secondo altri sarebbe sbarcato a Mylapore, l’attuale Madras, dove avrebbe subito
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 278
il martirio e dove ancora oggi si venera la sua tomba (si veda, per es., GREG. NAZ.,
Oratio 33 ad Arian., 11; NICEF., Hist. eccl., II, 40).
24
Cfr. MC 14:26-31, 72; MT 16:22:23; LC 22:54-62.
25
Cfr. ERASMO, Adagia, III, 3, 1; Antib., p. 188. Per il luogo biblico relativo a Osea e
a Sansone e la meretrice, si veda OS 1:2-3 e GDC 14-15, 16:1-22.
26
Cfr. GV 18:10; LC 22:51.
27
Probabile allusione a Martino (ca.330-397), vescovo di Tours, e al periodo gio-
vanile durante il quale fu incorporato nella guardia imperiale a cavallo all’epoca
dell’imperatore Giuliano.
28
Cfr. ES 2:11-14, ma si veda anche FIL. EBREO, De vita Mosis, I, 34-44 e Leg. all., III,
37-39.
29
LUCANO, De bello civ., VIII, 489-492.
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30
1 SM 8:7.
31
ES 16:8.
32
Cfr. NM 16 e 26:9-10; SAL 106:16-18; ECCLI 45:18-19 per le sommosse di Datan,
Core e Abiram; 1 RE 18:4, 21:17-24, 22:27-40; 2 RE 9:33-37 per Acab e Gezabele; 2
RE 2:23-24 per Eliseo e i fanciulli; 2 CR 26:16-23 per il re Ozia; 1 SM 13:9-14 per
Saul e Samuele.
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62.
DELLE SETTE DE MONACI
1
Tutto il passo riecheggia ERASMO, Antib., pp. 124-125.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 282
2
Cfr. SAL 74:14, 104:25-26; IS 27:1; GB 40:15-24, 40:25-32, 41. Il Leviathan è un mi-
tico mostro marino che nella mitologia semitica rappresenta i nemici d’Israele.
Beemoth, che in lingua ebraica significa letteralmente ‘bestia’, era in tempi anti-
chi identificato con l’elefante e in seguito con l’ippopotamo. I due mostri, vere e
proprie incarnazioni del male, si distinguono per la loro incredibile forza e in-
vulnerabilità (si veda AGRIP., De occ. phil., III, 28, p. 490).
3
Il termine latino «palliatus» si riferisce al «pallio», ossia la veste tipica dei Greci
e in particolare dei filosofi. Si veda, per es., PLAUTO, Curc., 288; CIC., Philip., V, 14.
4
Cfr. NM 31:32-47.
5
Cfr. ERASMO, Adagia, III, 3, 1.
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6
PERSIO, Sat., III, 80.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 284
7
Secondo una leggenda, dopo l’anno 855, tra Leone IV e Benedetto III la sede
apostolica sarebbe stata occupata per due anni e sette mesi da una giovane don-
na di Magonza o d’Inghilterra la quale, compiuti i suoi studi ad Atene in vestito
da uomo, sarebbe poi divenuta papa e infine scoperta in seguito a un parto oc-
corsole durante una processione che le causò la morte. Il racconto appare per la
prima volta in parecchie cronache verso la metà del XIII secolo e poco dopo si
venne largamente a diffondere incontrando quasi universalmente credenza fino
al XVI secolo.
8
Cfr. LV 10:1-2.
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9
Cfr. NM 16:25 e 26:9-10; DEUT 11:16. Abbiron sta per «Abiram», che insieme al
fratello Datan, si ribellò all’autorità di Mosè.
10
Cfr. 1 RE 14:10-18.
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63.
DELLA ARTE MERETRICIA
1
Il culto di Priapo, dio della fecondità e della rigogliosa fertilità della natura, ori-
ginario dell’Asia Minore (era venerato soprattutto a Lampsaco sull’Ellesponto),
si estese a tutta la Grecia, e di lì passò poi a Roma. Per la particolare prestanza dei
suoi attributi della virilità, Priapo venne anche considerato dio della libidine e
della lussuria e il suo culto assunse un aspetto licenzioso e sfrenato.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 288
2
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 569d-569f, dove però le fonti menzionate sono Filemone
(fr. 3, ed. Kassel-Austin) e Nicandro di Colofone (fr. 271/2, F 9a, ed. Jacoby) non
Menandro.
3
Ivi, XIII, 573c-d. (si veda CAMELEONTE, fr. 31, ed. Wehrli e TEOPOMPO, fr. 115 F
285a, ed. Jacoby). L’episodio che riguarda le suppliche rivolte a Venere Afrodite
per infondere negli uomini la brama di combattere contro i Persiani durante la
spedizione di Serse contro i Greci nel 480 a.C., è narrato anche in PLUT., Mor.,
371b, dove però a pregare sono le matrone corinzie e non le etère.
4
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 527e-573a. Il tempio si trovava ad Abido, l’antica colonia
fondata da Mileto sulla costa tracica nell’Ellesponto (si veda PANFILO, fr. 29, ed.
Schmidt e NEANTE DI CIZICO, 84, F9, ed. Jacoby).
5
Cfr. GIOVANFRANC. PICO, De studio div. et hum. phil., II, 3; DIOG. LAERZ., Vitae philos.,
V, 1, 4. Secondo la versione di Diogene Laerzio, la cui fonte è l’opera di Aristippo
intitolata Della lussuria degli antichi, Aristotele si sarebbe innamorato di una con-
cubina di Ermia, suo amico e tiranno di Atarneo. Per quest’ultimo, invece, Ari-
stotele avrebbe composto un inno che gli valse l’accusa di empietà e, nel 323 a.C.,
l’esilio a Calcide di Eubea, dove morì l’anno seguente (si veda DIOG. LAERZ., Vitae
philos., V, 1, 5-8; ATEN., Deipn., XV, 696a-697a).
6
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 17.
7
Ibid.
8
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 17; GIUST., Epit., XVIII, 5.
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9
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 17; EROD., Hist., I, 196.
10
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 569f, 599b; ARISTOF., Acharn., 515-539.
11
Cfr. CRIN., De hon. discip., XI, 8; ELIO LAMP., Antonin. Heliogab., IV, 4. L’allusione è
a Giulia Soaemias Bassiana, detta Symiamira, madre dell’imperatore Antonino
Eliogabalo, la quale istigò il figlio a promulgare una serie di decreti riguardanti il
modo di vestire delle matrone, i gioielli adeguati da indossare e come esse doves-
sero comportarsi in pubblico e in privato. Symiamira non va qui confusa con la
regina assira Semiramide, di cui si veda infra, nota 26, pp. 291-292.
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12
Il testo latino aggiunge: «prostibulas», qui mancante.
13
Cfr. ELIO LAMP., Antonin. Heliogab., XXIV, 2-3; XXV, 5; XXX, 3-5; XXXI, 1;
XXXII, 9.
14
Cfr. GEN 38:12-26; 1 RE 11:1-3.
15
Cfr. FLAV. VOP., Firmus, Saturninus, Proculus et Bonosus, XII, 7.
16
Cfr. PAUS., Descr. Graec., IX, 27, 6. Ma la leggenda viene tramandata con alcune
varianti: secondo DIOD. SIC., Bibl. hist., IV, 29, 2-3 Eracle durante un banchetto sa-
rebbe soggiaciuto con le cinquanta ragazze, figlie di Tespio, una dopo l’altra; se-
condo APOLLOD., Bibl., II, 4, 10, Eracle avrebbe trovato ogni notte una ragazza di-
versa ma, stanco per la caccia, avrebbe creduto che si trattava sempre della stessa;
secondo ATEN., Deipn., 556f, la cui fonte è Erodoro di Eraclea (ca.400 a.C.), Eracle
tolse la verginità alle cinquanta ragazze in sette giorni.
17
Cfr. TEOFR., Hist. plant., IX, 9, 1.
18
Sulla storia d’amore tra Saffo e Faone, si veda NINFODORO, 572 F6 (ed. Jacoby).
Agrippa qui si riferisce chiaramente alla poetessa lirica vissuta fra il VII e il VI sec.
a.C. Secondo una diversa tradizione, tuttavia, ci furono a Lesbo due Saffo, la poe-
tessa e un’etèra sua omonima (si veda ELIANO, Var. hist., XII, 19), e a innamorarsi
di Faone sarebbe stata quest’ultima (si veda ATEN., Deipn., XIII, 596e).
19
Su Leonzio, etera ateniese concubina di Metrodoro di Lampsaco (331/30-
278/77 a.C.), si veda DIOG. LAERZ., Vitae philos., X, 22-23; ATEN., Deipn., 588b. Sulla
tradizione secondo la quale Leonzio avrebbe scritto una confutazione a Teofra-
sto, si veda CIC., De nat. deor., I, 93.
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20
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 595e-f; PAUS., Descr. Graec., I, 23, 1-2; PLIN., Nat. hist.,
XXXIV, 19, 72. Sulla vicenda della congiura dei Pisistratidi in cui fu coinvolta
Leena, si veda PLUT., Mor., VIII, 505e-f.
21
Sulla leggenda di Rodopi, etèra tracia che fu schiava insieme a Esopo, e della pi-
ramide di Micerino da lei costruita a Giza, si veda EROD., Hist., I, 134; II, 135; DIOD.
SIC., Bibl. hist., I, 64; PLIN., Nat. hist., XXXVI, 17, 82.
22
Qui Agrippa fa qualche confusione sui nomi delle etère: Laide, la famosa etèra
di Corinto, è conosciuta per i suoi amori con Aristippo e Diogene di Sinope (si
veda test. 60, ed. Mannebach; test. V B213, ed. Giannantoni; ATEN., Deipn., XIII,
570b-e; 588b-589b). Taide, invece, sarebbe l’etèra ateniese amata da Alessandro
Magno (si veda ATEN., Deipn., 576d-e).
23
Cfr. GIOVEN., Sat., VI, 114-120.
24
Giovanna II d’Angiò (1371-1435), regina di Napoli, sposa di Guglielmo d’A-
sburgo prima e in seguito del conte Giacomo di Borbone, famosa per i suoi mol-
teplici amori.
25
Il testo latino aggiunge: «ut Messalina illa imperatrix», qui mancante.
26
Cfr. OROSIO, Hist. adv. pag., I, 4, 7; GIUST., Epit., I, 2, 11. Per Semiramide, leggen-
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daria regina assira del IX sec. a.C. e fondatrice della città di Babilonia, si veda an-
che EROD., Hist., I, 184; DIOD. SIC., Bibl. hist., II, 4 sgg. La sua condotta lasciva e in-
cestuosa è ricordata anche da Dante in Inferno, V, 52-60.
27
Per il mito di Pasifae e del toro, si veda DIOD. SIC., Bibl. hist., IV, 60; VIRG., Bucol.,
VI, 46 sgg.; APOLLOD., Bibl., III, 1, 2 e III, 1, 3-4; OVID., Metam., IX, 736-740 e VIII,
136-137. Molti Greci di epoca più tarda mostrarono di non gradire il mito di Pa-
sifae e preferirono credere che la fanciulla ebbe rapporti non con un toro, ma
con un uomo chiamato Tauro (si veda PLUT., Thes., 19).
28
Probabile allusione a Enrico VIII e al suo divorzio da Caterina d’Aragona, figlia di
Ferdinando il Cattolico, in favore della dama di corte Anna Bolena. La richiesta di
divorzio, presentata dal sovrano inglese e rifiutata dal papa Clemente VII, fu accol-
ta dal parlamento inglese nel 1529 e successivamente nel 1531. La questione fu li-
quidata definitivamente con la promulgazione nel 1534 dell’Atto di supremazia, con
il quale si stabiliva che il re era il capo supremo della Chiesa inglese.
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29
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 567a e 591d. Ateneo attribuisce a una serie eterogenea
di autori, tra i quali Antifane di Atene (II sec. a.C.), Aristofane di Bisanzio (III-II
sec. a.C.), Apollodoro di Atene (II sec. a.C.) e Callistrato di Alessandria (II sec.
a.C.), un gruppo di testi in cui le etère figuravano come motteggiatrici.
30
Cfr. ATEN., Deipn., XIII, 592c. La notizia di Agrippa è tuttavia imprecisa: si tratta,
infatti, secondo la versione di Ateneo, degli encomi dell’oratore Cefalo (V-IV sec.
a.C.) per l’etèra Lagide, e di Alcidamante di Elea (IV sec. a.C.), allievo di Gorgia,
per l’etèra Naiade, di cui si veda: fr. 2 (ed. Baiter-Sauppe) per Cefalo; test. 1 (ed.
Avezzù) per Alcidamante.
31
Il testo latino reca: «ad Getas». Il riferimento è all’esilio comminato a Publio
Ovidio Nasone dall’imperatore Augusto nell’8, che il poeta latino scontò a Tomi
(oggi Costanza, in Romania), all’epoca un porto commerciale di Greci circonda-
to da popolazioni barbariche, i Geti e i Sarmati, che razziavano continuamente la
campagna circostante.
32
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VI, 3, Ext. 1, dove però si dice che i Lace-
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 294
41
Cfr. GEN 34; GDC 19-20.
42
Cfr. 2 SM 11.
43
Medea, figlia del re della Còlchide, e grande maga, tradita da Giasone uccide la
sposa di lui, incendia la reggia e sgozza i propri figli (si veda OVID., Metam., VII, 1-
424); Progne, figlia del re di Atene, alla notizia che il proprio sposo Tereo, re di
Tracia, aveva abusato della sorella di lei Filomela, uccide quest’ultima insieme al
proprio figlio Iti (si veda OVID., Metam., VI, 421-674); Altea, madre di Meleagro,
alla notizia che il figlio aveva ucciso i propri fratelli, ne provocò la morte gettan-
do nel fuoco il tizzone di legno cui era legato, fin dalla nascita il destino di Me-
leagro (si veda OVID., Metam., VIII, 445-532).
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64.
DELLA RUFFIANIA
lizie e le astuzie sono tali che stile alcune non le potrebbe scri-
vere, né ingegno agualiare. E benché questa arte abbia assaissi-
mi maestri dell’uno e l’altro sesso, ella n’ha però fatto pochi
perfetti, e ciò non è maraviglia. Perché quantunque siano tan-
te sorti di ruffianamenti quante delle arti e discipline, perciò
non si può condurre a perfezzione senza averne la cognizione
di tutte. Bisogna dunque che il ruffiano e ruffiana perfetto e
consumato sappia d’ogni cosa, e che non risguardi a una sola
disciplina come alla stella tramontana, ma che le abbracci tut-
te facendo professione di quella arte a cui tutte l’altre discipli-
ne fanno servigio. Perciocché fanno tutte le scienze quasi una
certa servitù alla ruffiania. Perché prima la grammatica, disci-
plina di scrivere e di parlare, le dà l’epistole amatorie e gli ne
insegna a dettare con finte soluzioni d’amore, preghi, lamenti
e lusinghe, molti essempi delle quali ci hanno lasciato de mo-
derni Enea Silvio et Iacopo Caviceo 1, e molti altri. Ma vi è
un’altra maniera di grammatica del modo di scrivere secreta-
mente, come si legge in Aulo Gellio d’Archimede Siracusano2,
del quale artificio, pochi anni sono, Tritemio abbate Spanei-
mese ne scrisse due ingegnosi volumi: l’uno ne intitolò Poligra-
fia, l’altro Steganografia3. In questo secondo ha messo così secu-
ri e secreti modi e costumi di spiegare i concetti dell’animo
suo, sia pure di lontano quanto si voglia, che né la gelosia di
Giunone, ch’ogni cosa sapeva, né la strettissima custodia di Da-
nae, resistere vi potrebbe, né la vigilanza d’Argo, che tutto con
cento occhi vedeva, gli potrebbe spiare. Arte veramente non
tanto necessaria a i re, quanto comodissima a ruffiani et a tutti
gli amanti. Appresso questa va la poesia, la quale con sue rime
lascive, favole e canzoni d’amore, pastorali, epigrammi, lette-
re, ammaestramenti, comedie e versi disonesti da i più secreti
armarii di Venere cavati, ruffianando mette sotto sopra ogni
1
Probabile allusione agli Artis rhetoricae praecepta (1456) di Enea Silvio Piccolomi-
ni (1405-1464) e al romanzo in volgare Il Peregrino (1508) di Jacopo Caviceo
(1443-1511).
2
Non c’è traccia nell’opera di Aulo Gellio di questo riferimento ad Archimede.
3
Johannes Zeller Trithemius (1462-1516), abbate di Sponheim, autore di diverse
opere tra le quali la Polygraphia (1518) e la Steganographia, composta intorno al
1500, un sofisticato sistema di crittografia basato su una sintesi di magia e mne-
motecnica. L’opera fu stampata postuma solo nel 1606, ma ebbe grande diffusio-
ne nel Cinquecento in forma manoscritta. All’abate Trithemius Agrippa dedicò
la prima stesura del De occulta philosophia (1510).
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4
Cfr. supra, p. 293.
5
Per la storia di Lancillotto Agrippa potrebbe voler alludere all’opera di Ulrich
Füetrer intitolata Libro dell’avventura (ca.1475); la storia di Eurialo e Lucrezia è
raccontata nella Historia de duobus amantibus (1444) di Enea Silvio Piccolomini;
per il Libro del Peregrino di Jacopo Caviceo, si veda supra, nota 1; per la Tragicomme-
dia di Calisto e Melibea attribuita a Fernando de Rojas, si veda infra, nota 21, p. 302.
6
Battista Fregoso o Campofregoso (1452-1504), autore di un dialogo di argo-
mento amoroso, l’Anteros, composto probabilmente nei primi mesi del 1495 e
pubblicato a Milano nel 1496.
7
Pietro Del Zochul (1427-1504), conosciuto come Pietro Edus, o Capretto, dal
volgarizzamento dell’umanistico Haedus in cui aveva volto il suo cognome volga-
re Del Zochul che in friulano significa appunto capretto, autore di un poemetto
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 300
giovanile in 19 canti in terza rima volgare, a imitazione di Dante e non privo di in-
fluenze petrarchesche, sul tema della delusione d’amore, e degli Antierotica sive de
amoris (1492), un dialogo in cui riprende alcuni temi di fondo dell’operetta gio-
vanile.
8
Il testo latino reca: «Petrus Bembus», e non fa menzione di Pietro Aretino. L’al-
lusione sarebbe dunque a gli Asolani (1505), l’opera in volgare, in prosa e in ri-
ma, ispirata da una vicenda autobiografica riguardante un amore infelice di Pie-
tro Bembo (1470-1547).
9
Giovanni Giacomo Calandra (1488-1543), autore di un’operetta in volgare, Au-
ra, nella quale dissertava delle contingenze d’amore. L’opera, scritta tra il 1507 e
il 1511 in lode di Isabella d’Este, è andata perduta.
10
Cfr. OVID., Metam., X, 311-502.
11
Cfr. DIOD. SIC., Bibl. hist., IV, 77.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 301
12
Cfr. PLIN., Nat. hist., VII, 28, 127 e XXXVI, 4, 21; VAL. MASS., Dict. et fact. memorab.,
VIII, 11, Ext. 4. Secondo Ateneo, la statua fu plasmata a somiglianza di Frine,
l’etèra di Tespie amata da Prassitele (si veda ATEN., Deipn., 591a). Il racconto si
trova anche in CRIN., De hon. discip., XXIV, 10.
13
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXXVI, 4, 22-23, dove il personaggio che abusa della statua
si chiama Alceta di Rodi. L’amore per figure scolpite o dipinte è detto ‘pigmalio-
nismo’, dal mito di Pigmalione, re di Cipro, innamoratosi di una statua d’avorio,
e poi sposatala una volta che Afrodite l’ebbe trasformata in donna viva (si veda
OVID., Metam., X, 243-295).
14
Cfr. ELIANO, Var. hist., IX, 39.
15
Cfr. TEREN., Eun., 583-589.
16
Cfr. ARIST., Polit., 1336b.
17
Cfr. SP 15:4, 14:18-20.
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18
VIRG.,
Aen., IV, 487-488.
19
LUCANO,De bello civ., VI, 452-453.
20
Cfr. ORAZIO, Epodi, V, 15 e Sat., II, 1, 48; APUL., Metam., II, 5.
21
L’allusione è alla Tragicommedia di Calisto e Melibea, o La Celestina (1499), un te-
sto composito, a metà tra la commedia umanistica e la prosa dialogata, attribuito
a Fernando de Rojas (m. 1541). La storia è quella del giovane e nobile Calisto che
vede Melibea e se ne innamora. Respinto, si rivolge alla vecchia mezzana Celesti-
na la quale, maestra nel suo mestiere, convincerà Melibea a incontrare Calisto.
22
Secondo una leggenda Lucullo avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita,
fino alla morte avvenuta nel 57 a.C., in uno stato di ebetudine a causa di un elisir
d’amore propinatogli da un liberto. L’aneddoto secondo il quale Lucrezio avreb-
be composto il De rerum natura «per intervalla insaniae» viene raccontato in GE-
ROL., Chron., II, col. 425.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 303
messo ciò per colpa d’amore. Ma non vi è arte alcuna più ac-
comodata a i ruffianamenti che la medicina, la quale agevol-
mente ottiene il desiderio suo da qual si voglia fanciulla men-
tre che le promette di farla ritornare vergine al tempo del ma-
ritaggio, di ristringere le poppe ch’elle non crescano, di ritira-
re la pancia, dandole rimedii a non ingravidare per potere lun-
go tempo e, sicuramente, pigliarsi piacere, overo insegnando-
le, crollato il filo della schiena, gettare fuora il seme concetto,
come dice Lucrezio:
23
LUCR.,
De rer. nat., IV, 1274-1276.
24
Il termine latino è «fucus», ossia «stratagemma, inganno».
25
Cfr. supra, p. 290.
26
Cfr. PLIN., Nat. hist., XXIX, 8, 20-21. Per Livia figlia di Nerone Claudio Druso e
il medico metodico Eudemo, suo complice nell’avvelenamento del marito di
questa, si veda TAC., Ann., IV, 3, 51 e XI, 30-35; per Valeria Messalina, moglie del-
l’imperatore Claudio, condannata a morte insieme al suo amante Vezio Valente
per aver congiurato contro il marito, si veda TAC., Ann., XI, 31, 6 e 35, 7.
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non istimasse i filosofi poco utili alla ruffiania, questo non con-
sente Aristippo maestro de Cirenaici, il quale pratticando spes-
so insieme con gli altri concorrenti in casa la Taide meretrice
famosa, si dava vanto ch’esso solo possedea la Taide, essendo
gli altri posseduti da lei, e mentre che gli altri consumavano se-
co le facultà loro, esso ne prendeva piacere senza prezzo alcu-
no27. A questo modo la meretrice si servì di quel filosofo per
ruffiano, con l’essempio et auttorità del quale si valeva a tirare
a sé tutta la gioventù. Né bastò ad Aristippo lo essersi fatto ruf-
fiano d’una puttana, ma incominciò anco a insegnare publica-
mente le lussurie e le trasportò dal chiasso nelle scuole. Infini-
te arti mecaniche ancora hanno loco nella ruffiania, tra le qua-
li tengono il principato i lavori di riccamo, di filare, di tessere,
di cucire et altri essercizii donneschi, sotto colore de i quali
mentre che le ruffiane portano attorno lino, filo, veli, bende,
lavori, cintole, borse e guanti di giovani che furono già putta-
ne, diventate ora vecchie mercatanti, facilmente con queste
frascherie tirano sotto le tenere fanciulle e prendono occasio-
ne di parlagli, alle quali danno aiuto ancora le lavandaie, le
quali liberamente possono entrare nelle case et in assenza del-
le madri menarne seco a lavare le figliuole e le fanti. Vi sono
anco le povere, le quali con la pietà delle elemosine stanno al-
le porte, portano e ritornano ambasciate e lettere piene di ruf-
fianamenti:
Sono oltra questi gli essercizii virili de gli uomini nobili ac-
comodati alla ruffiania, come il maneggiar de cavalli, che il
vulgo chiama torneamenti, et i giuochi militari, con l’astuzia
de i quali Romolo già rapì le Sabine29. O quante volte ancora
ha accompagnato la caccia gli adulterii de i nobili e potenti ne
gli ascondimenti delle selve. Questo leggiadramente Vergilio
scrisse in Enea e Didone, tolta l’occasione dell’assenza de i
compagni dalla opportunità della caccia30. Giove anch’egli si
servì de i pastori per ruffiani. Fa testimonio ancora la città di
27
Cfr. DIOG. LAERZ., Vitae philos., II, 8, 74-75, dove la meretrice amata da Aristippo
si chiama Laide, non Taide. Si veda anche ATEN., Deipn., 544 d, 588b-f.
28
GIOVEN., Sat., III, 45.
29
Cfr. LIV., Ab Urbe cond, I, 9, ma si veda anche AGOST., De civit. Dei, II, 17.
30
Cfr. VIRG., Aen., IV, 123-128.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 305
31
Ivi, I, 723-724; 735-739;747-749.
32
ORAZIO, Epist., I, 6, 36-37.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 306
33
L’allusione è alla Historia ecclesiastica tripartita di Flavio Magno Aurelio Cassio-
doro (490-ca.583), compiuta in collaborazione con il monaco Epifanio e ricavata
attraverso una compilazione di Teodoro Lettore (V sec.) da Socrate di Costanti-
nopoli, Sozomeno e Teodoreto di Ciro, tre continuatori della Historia ecclesiastica
di Eusebio di Cesarea.
34
1 COR 7:1.
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35
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 532.
36
Il testo latino reca: «et lex futuaria scortatoribus et lenonibus admodum favora-
bilis» qui tradotto semplicemente «legge di ruffianie».
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 308
37
CRIN.,
De hon. discip., XI, 8.
38
Cfr. PLUT., Lycur., XV, 7-12.
39
Cfr. PLUT., Sol., XX, 2-3.
40
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 532.
41
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendice 2, p. 532.
42
Cfr. RT 1-4; per Ionadab, si veda 2 SM 13:3-5; per Achitofel, consigliere di Davide,
si veda 2 SM 15:12, 16:20-23, 17:1-23.
43
GEN 12:11-16. L’episodio biblico è raccontato anche da Agostino in De civit. Dei,
XVI, 19, dove egli ricorda di aver contestato le tesi di Fausto, vescovo manicheo,
che accusava Abramo di mercimonio della moglie. Sul mutamento dei nomi di
Abram e Sara in Abramo (Abraham nella Vulgata) e Sarra, si veda FIL. EBREO, De
Abrahamo, 82-83 e De gigant., LII, LIV; AGOST., De civit. Dei, XVI, 28; EB, 11:11; GE-
ROL., Hebr. quaest. in Gen., XVII.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 309
44
Cfr. GEN 20:2-18 e 26:6-11. L’affermazione di Agrippa è però imprecisa.
45
Cfr. GEN 26: 6-11.
46
Il testo latino reca: «leno fuit heros ille Ulysses».
47
Cfr. supra, p. 287-288.
48
Cfr. supra, p. 289, nota 11.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 310
49
Nel 1451, a Magonza, un chierico depone davanti alla porta del legato, Niccolò
Cusano, un promemoria in cui vengono elencate una serie di lagnanze nei con-
fronti di Federico III per non aver saputo opporre resistenza allo sfruttamento
dei paesi germanici da parte della fiscalità pontificia. Il testo, su ispirazione di
Martin Mayr, produrrà la redazione dei Centum gravamina germanicae nationis, so-
stenuto da molti principi elettori, tra i quali quelli di Treviri e di Magonza.
50
DEUT 23:18.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 311
51
Le dottrine dei Nicolaiti, una setta riconducibile ai primi anni del Cristianesi-
mo, sono oggetto di condanna in APOC 2:2-6 e 14-15 e contro di esse si pronuncia
anche Paolo nelle lettere quando esorta a combattere i falsi profeti (2 COR 11:5-
13). Tali dottrine tolleravano anche alcuni compromessi con i culti pagani, come
la partecipazione ai banchetti sacri. Per la concezione platonica sulla comunione
delle donne, si veda PLAT., Rep., 449c-466d, 457c-d; Leg., 739c.
52
SAL 50:18 e 21. Asserzione condannata dai teologi di Lovanio. Si veda Appendi-
ce 2, p. 532.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 312
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 313
65.
DELLA MENDICITÀ
1
Cfr. DEUT 15:4-11.
2
Cfr. MT 19:21.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 314
3
2 COR 8:14-15.
4
EF 4:28.
5
Cfr. 2 TS 3:6-14.
6
Cfr. 1 TM 6:5-8.
7
Il testo latino reca: «non tam paupertati condolendum, quam mendicitatem
ipsam detestandam».
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 315
8
Il testo latino reca: «laborem ex industria fugientes», ossia «si industriano a sot-
trarsi al loro obbligo di lavorare i campi». Nel latino medievale il verbo «labora-
re» si riferisce pressoché esclusivamente all’attività agricola, come nel celebre
motto benedettino «ora et labora».
9
Il testo latino qui aggiunge: «undique et ubique liberi», forse ritenuto ridon-
dante e dunque espunto.
10
Si tratta della città di Treviri.
11
I Cingani, o zingari, sono popolazioni che conducono vita nomade, apparte-
nenti al gruppo etnico originario dell’India nordoccidentale e diffusosi, a partire
dal X sec., nel Medio Oriente, in Europa e nell’Africa settentrionale.
ultima 27-10-2004 15:30 Pagina 316
12
Cfr. supra, p. 169.
13
Si tratta di Joannis Skylitzes (XI sec.), cronista bizantino.
14
Cfr. VOLTER., Comm. urban., XII.
15
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., VII, 7.
16
Cfr. APUL., Metam., VIII, 24-30.
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17
Il termine latino tardo-medievale è «beguardus», donde l’inglese beggar, ossia
mendicante.
18
Il testo latino reca: «e suggestis», ossia «dai palchi», «dalle tribune».
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19
Cfr. GV 12:4-6.
20
AT 3:6.
21
Richard Fitz Ralph (m. 1360) arcivescovo di Armagh, detto Amarchanus o Ard-
machamus, famoso per le sue controversie con gli ordini dei mendicanti, cui so-
no dedicati numerosi suoi sermoni e il trattato in 7 libri De Pauperie Salvatoris
(1357); Richard Felix Hemmerlin (ca. 1389-ca. 1459), detto Malleolus, teologo
svizzero canonico a Zurigo, autore del Tractatus contra validos mendicantes; per
Berthold Chimiensis, si veda supra, nota 9, p. 275.
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66.
DELLA ECONOMIA IN GENERE
1
Cfr. ARIST., Oec., 1345b-1346a.
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2
Per il barbiere del re Mida, il quale, accortosi della deformità del suo padrone
(le orecchie d’asino fattegli spuntare da Apollo) mentre gli tagliava i capelli, non
seppe trattenere il segreto, si veda OVID., Metam., XI, 180-193; per Batto, vecchio
mandriano di Piro, trasformato da Mercurio in pietra per aver denunciato il fur-
to di alcune vacche compiuto dal dio, non avendo saputo trattenere il segreto, si
veda OVID., Metam., II, 676-707.
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67.
DEL GOVERNO PRIVATO
1
Cfr. AUL. GELL, Noct. att., I, 6, 2.
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2
OMERO, Iliad., VI, 447-455.
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3
Sul matrimonio tra Marco Porcio Catone il Censore e la figlia di un suo cliente
chiamato Salonio, si veda, per es., AUL. GELL., Noct. att., XIII, 20, 8.
4
Cfr. SVET., De vita Caes., III, 10-11.
5
Cfr. GIUL. CAPIT., Marc. Anton. phil., XIX, 8-9.
6
AUL. GELL, Noct. att., I, 17, 4. La fonte di Gellio sono le Satire menippee di Marco
Terenzio Varrone (116-27 a.C.), per cui si veda fr. 83 (ed. Bücheler).
7
Allusione all’opera di Agrippa intitolata De sacramento matrimonii declamatio
(1526).
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8
Alcmeone, figlio di Amfiarao ed Erifile, su ordine del padre uccise la madre re-
sponsabile della morte del marito (si veda TUCID., Hist., II, 102; PAUS., Descr. Graec.,
VIII, 24, 8-9; PLUT., Mor., 35e; 88f; CORN. NEP., De excell. duc. exter. gent., XV, 6, 2);
Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, ricevette da Apollo l’ordine di ven-
dicare la morte del padre uccidendo la madre, responsabile insieme a Egisto del-
l’assassinio di Agamennone. La leggenda, sconosciuta in Omero, è narrata nelle
tragedie di Eschilo ed Euripide. L’episodio di Publio Malleolo che, con l’aiuto di
alcuni servi, uccise la madre, è ricordato in OROSIO, Hist. adv. pag., V, 16, 23. Su
questo episodio, si veda anche Ad Herenn., I, 23.
9
Cfr. RODIG., Lect. antiq., VI, 39; VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., IX, 2, Ext. 7; ELIANO,
Var. hist., IX, 42. Si tratta di Artaserse II, re di Persia dal 404 al 358 a.C., detto ‘Mne-
mone’ per la sua prodigiosa memoria (si veda, per es., ELIANO, Var. hist., I, 32).
10
Cfr. SVET., De vita Caes., II, 65. Il verso citato da Augusto si trova in OMERO, Iliad.,
III, 40.
11
La sentenza non compare nelle edizioni dei frammenti e delle testimonianze di
Democrito. Per un giudizio di Democrito sui servi, si veda fr. 270 (ed. Diels-
Kranz).
12
PETR., Famil. rer. lib., V, 14, 5.
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13
PLAUTO,Pseud., 137-140; 153.
14
LUCIANO, Epist. saturn., 21.
15
MACROB., Conv. saturn., I, 11, 13; SEN., Ad Luc. epist. mor., XLVII, 5.
16
Cfr. SEN., Ad Luc. epist. mor., XLVII, 15 sgg.
17
PLAUTO, Aulul., 587-602, qui citato liberamente.
18
Per la città di Volsinii, oggi Bolsena, si veda LIV., Ab Urbe cond., V, 31 e VII, 3.
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19
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., IX, 1, Ext. 2, ma si veda anche FLOR., Epit.,
I, 21; OROSIO, Hist. adv. pag., IV, 5.
20
Cfr. ARIST., Polit., 1278b. Sugli iloti e i penesti, schiavi che non sono tali per na-
scita, ma che lo sono diventati come prigionieri di guerra, si veda anche PLAT.,
Leg., 776b-778a; ATEN., Deipn., VI, 263e-265c.
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68.
DEL GOVERNO REGIO, OVERO DI CORTE
1
Cfr. supra, p. 16, nota 3.
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2
Per l’episodio di Abramo e Sara, si veda supra, pp. 308-309.
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69.
DE I CORTIGIANI NOBILI
1
Cfr. ERASMO, Antib., p. 134.
2
PETRON., Satyr., CXIX, 25-26.
3
Cfr. ERASMO, Moriae enc., LVI.
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4
Possibile allusione alla leggenda delle nozze di Piritoo, re dei Lapiti, durante le
quali i Centauri, esaltati dal vino, rapiscono la sposa, provocando una zuffa fero-
cissima (si veda OMERO, Odys., XXI, 295-298; OVID., Metam., XII, 210-541). I Cen-
tauri, inoltre, nelle leggende sono rappresentati quasi sempre (fanno eccezione
le figure di Chirone, Folo e Nesso) come esseri rozzi, volgari e crudeli, dediti al vi-
no e ai facili amori.
5
VIRG., Aen., IX, 157-158.
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Chi non gli adula e non gli fa buono ogni cosa, ancora che
faccia male, subito ha errato, perché sarà giudicato o avere in-
vidia della fortuna sua, o non usare rispetto all’ufficio di lui, né
solamente sono allora questi tali odiosi a pari et inferiori loro,
ma spesse volte sono di grandissimo danno a principi suoi me-
desimi, a i quali pericolosamente stanno adulando sotto coper-
ta di prudenza8, di riprensione e di consigli, e molte volte an-
cora gli spingono a fare di crudelissime ribalderie, sì come in
Lucano Curio instiga Cesare:
6
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., VII, 2, Ext. 11, ma si veda anche DIOG.
LAERZ., Vitae philos., V, 1, 5. Il re è Alessandro Magno.
7
LUCANO, De bello civ., VIII, 491 e 494.
8
Il testo latino aggiunge: «saeveritatis», qui mancante.
9
LUCANO, De bello civ., I, 361-365, dove però a parlare è Lelio, non Curio.
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10
Cfr. 1 RE 12:1-9; ECCLI 47:23.
11
Allusone a Francesco I di Valois (1494-1547), re di Francia. I consiglieri sono di-
versi principi e nobili italiani e francesi, tra cui il doge di Genova Andrea Doria.
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70.
DE I CORTIGIANI PLEBEI
1
Cfr. GIOVEN., Sat., V, 2.
2
Cfr. REUCHL., De verbo mirif., I, B4r; ERASMO, Antib., p. 116. Proteo è il dio marino,
figlio di Oceano e di Teti, capace di mutarsi in qualunque cosa e di predire il fu-
turo (si veda, per es., OMERO, Odyss., IV, 543-582; VIRG., Georg., IV, 422 sgg.; OVID.,
Metam., VIII, 730-737; XI, 221-223 e 249-56; ORAZIO, Sat., I, 2).
3
Cfr. GIOVEN., Sat., III, 113.
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4
Ivi, III, 52.
5
Ivi, III, 53-54.
6
Ivi, I, 73.
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7
OVID., Metam., XI, 266-268, dove però è Peleo, figlio di Eaco e fratello di Tela-
mone, macchiarsi dell’omicidio del fratellastro Foco. Proteo è invece la divinità
marina già menzionata, di cui si veda supra, nota 2.
8
Per le vicende di Fineo, re della Tracia orientale, tormentato dalle Arpie al
punto da non riuscire a mangiare, si veda APOLLOD., Bibl., I, 9, 19; APUL., Metam.,
X, 15.
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9
GIOVEN., Sat., XIV, 74-85.
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71.
DELLE DONNE DI CORTE
1
Cfr. LUCIANO, Imag., 11.
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noi che elle ragionino insieme per molte ore se non cose scioc-
che et oziose, sì come sarebbe in che modo s’hanno a conciare
le treccie, in che modo pettinare, tingere i capelli, in che mo-
do s’ha da fregare la faccia, da piegare la veste, e con che pom-
pa si dee andare, da levarsi, e d’assettarsi, quali donne e quale
abito debbono portare, a che persone si dee dar loco, con
quanti inchini salutare, quali donne e chi elle debbono bascia-
re o no, quelle che si debbono far portare sopra asino, cavallo,
sella, carretta o lettica, quelle che possono portare oro, gioie,
coralli, catene, quelle che possono avere alle orecchie penden-
ti, anelli e monili, et altri cicalamenti delle leggi di Semirami?2
Vi sono ancora le matrone vecchie, le quali raccontano quanti
innamorati elle hanno già avuto, quanti doni ricevuto e con
quante lusinghe siano state pregate: questa ragione di colui
ch’ella ama, l’altra a fatica può tacere di colui ch’ella ha in
odio, e ciascuna si crede di ragionare sempre con maraviglia
dell’altre. Talora sostengono il ragionamento con goffi motti o
con sfacciatissime menzogne, né mancano fra loro odi inten-
sissimi e crudelissime villanie, calonnie, maledizzioni e gagliof-
ferie, e quanti vizii sono di mala lingua: hanno gli occhi, il vol-
to, il riso pieni di lusinghe, hanno cenni et atti pieni di lascivia,
hanno astuzie e parole con le quali solecitano et ingannano gli
amanti e ne cavano doni; se hanno uno anneluzzo, una gioia,
una medaglia o una collanina, glie le levano con le lusinghe o
gli tolgono co i preghi, et in cambio di quegli danno baci, ca-
rezze, accoglienze, abbracciamenti, toccamenti e confabulazio-
ni, ch’a loro sono publica mercanzia e nodrimento dell’amor
cortigiano. Io mi vergogno a raccontare le secrete disonestà
che fanno nelle camere, essendo venute all’atto del matrimo-
nio in vituperio della natura, le quali poi che hanno mandato
giù i panni, si credono d’avere ascoso e coperto ogni cosa. Co-
me crederem noi, dunque, che queste tali abbiano da essere
mogli verso i mariti di fede e di bontà? O quanto dolore danno
elleno a i buoni mariti quando continuamente gli rinfacciano
la dote3, la bellezza e gli altrui matrimonii, con villanie e con
ingiurie rompono il capo a i mariti, sempre si lamentano men-
2
Sulle leggi concernenti le matrone, promulgate dall’imperatore Antonino Elio-
gabalo su istigazione della madre Symiamira, si veda supra, nota 11, p. 289.
3
Il testo latino aggiunge: «genus», qui mancante.
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tre che si fanno del sobrio vivere di casa, et essendo avezze alle
delizie et alla pompa, rimproverano la splendidezza di corte a i
mariti, con l’ambizione de gli ornamenti consumano la facultà
di quegli, ruinano le case e talora costringono i miseri mariti a
cattivi e vergognosi guadagni, a i quali dì e notte tendono insi-
die con mille inganni, simulazione, tradimento et ipocrisia. Io
non parlo de gli amori stranieri, de gli adulterii occulti, de i
parti soppositizii, né de i figliuoli concetti di seme altrui, e se
pure una volta si mettono a voler male, apparecchieranno o la
gelosia o il veleno. Perché, come dice Girolamo contra Giovi-
niano, l’arti famigliari delle femine sono inganni, fraudi, vele-
ni, malie e vanità d’incanti4. Così Livia uccise suo marito ch’el-
la aveva troppo in odio, Lucilia amazzò il suo per gelosia: quel-
la volontariamente gli diede bere il veleno, questa ribalda lo fe-
ce impazzare dandogli bevanda amatoria5. Di modo ch’egli è
più securo, come dice l’Ecclesiastico, stare col leone e col ser-
pente che con una donna scelerata6. Chi vuole avere moglie
costumata, non prenda donna di corte. Ogni donna che vuole
avere marito da bene, non si mariti a cortigiano. Ma già con la
lingua è troppo andato inanzi il parlare: nondimeno io ho det-
to, e non posso non aver detto. Ma io mi porrò la mano sopra
la bocca e non aggiungerò altro a quel che ho detto, e però
uscendo ora di corte, esaminerò le altre parti della economia e
quelle discipline che abbiamo detto essere le principali fra le
mecaniche: la mercanzia, l’agricoltura, la milizia e le altre.
4
Cfr. GEROL., Advers. Jovin., I, 28.
5
Cfr. TAC., Ann., I, 5; GIUL. CAPIT., Verus, X, 3.
6
Cfr. ECCLI 25:15. Il titolo Ecclesiastico, attribuito al libro sapienziale che oggi si
preferisce chiamare Siracide (dal titolo che si trova nei principali codici greci: «Sa-
pienza di Gesù, figlio di Sirach», da cui il patronimico Siracide), risale ai primi se-
coli cristiani e sembra motivato prevalentemente dall’uso che si faceva di questo
libro nella Chiesa antica per l’istruzione morale dei catecumeni, al punto da es-
sere chiamato il libro della Chiesa (Ecclesiasticus) per antonomasia. Il primo auto-
re a utilizzare il titolo di Ecclesiasticus per designare questo libro è san Cipriano.
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72.
DELLA MERCANZIA
1
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 16; PLIN., Nat. hist., XXXIII, 3, 6.
2
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 16; PLUT., Sol., II, 8. L’aneddoto secondo cui
Talete avrebbe esercitato l’arte del commercio è ricordato anche in ARIST., Polit.,
1259a.
3
Il testo latino aggiunge: «colybistarum», qui mancante.
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4
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 16; CIC., De off., I, 151.
5
Cfr. AGOST., Enarr. in Psalm., Sermo II, 14, ma si veda anche Sermo, II, 6 e IV, 6.
6
ORAZIO, Epist., I, 1, 45-46.
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7
L’aggiunta «oggidì Raguse» manca nel testo latino.
8
Il testo latino reca: «ad Illyricos», con riferimento all’antica popolazione in-
doeuropea e al paese da essi abitato, l’Illiria, comprendente gran parte dei terri-
tori del versante adriatico della penisola balcanica.
9
Cfr. PLAT., Leg., 705a-b e 950a sul commercio come corruzione dei buoni costu-
mi; 950d-952d sui viaggi all’estero; 952d-953e sull’atteggiamento nei confronti
degli stranieri. In realtà Platone si pronuncia decisamente in favore di una buona
accoglienza nei confronti degli stranieri, biasimando gli Egiziani e gli Spartani, i
quali erano accusati di xenhlasiva, ossia di mettere al bando, con leggi incivili, gli
stranieri.
10
Cfr. ARIST., Polit., 1327a-b.
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11
Asserzione condannata dai teologi di Lovanio (si veda Appendice 2, p. 533).
L’espressione non si trova in Agostino, ma nell’Apologia Agrippa afferma essere
tratta dal Liber de poenitentibus (AGRIP., Apol., in Opera, II, p. 299).
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73.
DELLA QUESTURA
1
Cfr. CIC., De off., I, 151.
ultima 27-10-2004 15:31 Pagina 351
74.
DELLA AGRICOLTURA
1
Cfr. CIC., De senect., XVII, 59; SENOF., Oecon., IV, 20-24.
2
Cfr. SEN., Ad Luc. epist. mor., LXXXVI.
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75.
DELLA PASTURA
1
Il gladiatore Spartaco (m. 71 a.C.) guidò una grande rivolta servile contro Roma
nel 73-71 a.C.
2
Admeto, re di Fere, in Tessaglia, partecipò in gioventù alla caccia del cinghiale
calidonio e alla spedizione degli Argonauti. Quando diventò re, la fama della sua
ospitalità divenne tale che Apollo, condannato da Zeus a essere schiavo di un
mortale per un anno, diventò il suo mandriano.
3
Figlio di Ermes e di una ninfa, Dafni era nato nelle alte valli siciliane in un bo-
schetto di alloro, donde il suo nome (dal greco davfnh = alloro). Le ninfe gli inse-
gnarono l’arte del pastore, Pan la musica.
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4
Cfr. GEN 3:17-23.
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76.
DELLA PESCAGIONE
1
Cfr. MACROB., Conv. saturn., III, 15, 1-3.
2
Cfr. MACROB Conv. saturn., III, 15, 6; CIC., Epist. ad fam., I, 19.
3
Cfr. SVET., De vita Caes., VI, 30.
4
Si tratta di un impasto dolce usato come esca per i pesci.
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77.
DELLA CACCIA E DEL UCELLARE
1
Cfr. ERASMO, Moriae enc., XXXIX.
2
Cfr. 10:8-9; 25:27 per Nimbrod ed Esaù cacciatori; per Caino, si veda GEN 4:2, do-
ve però si dice che egli divenne «coltivatore del suolo»; nessuna notizia si trova
nella Bibbia a proposito di Lamech e Ismaele cacciatori.
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3
Cfr. supra, nota 1, p. 109.
4
Cfr. PAUS., Descr. Graec., IX, 2, 3; IGINO, Fab., 181; OVID., Metam., III, 138-252. At-
teone, figlio di Aristeo, per aver osato vantarsi con gli amici di aver visto Diana
nuda mentre si bagnava in un fiume, fu da lei tramutato in cervo e poi sbranato
dalla propria muta di cinquanta cani.
5
Cfr. PLAT., Leg., 823b-824d.
6
Cfr. OMERO, Iliad., IX, 527-600; DIOD. SIC., Bibl. hist., IV, 34; OVID., Metam., VIII,
270-546. Allusione al mito di Meleagro, figlio del re di Calidone Eneo, il quale,
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dopo una battuta di caccia, uccide il cinghiale inviato nelle campagne di Calido-
ne da Diana adirata per non essere stata ricordata nei sacrifici fatti agli dèi.
7
Cfr. BAR 3:17.
8
VIRG., Aen., IV, 158-159.
ultima 27-10-2004 15:31 Pagina 360
9
Cfr. AGOST., De Gen. ad Litt., III, 15.
10
Cfr. GEN 25:28.
11
Cfr. DN 6 per Daniele nella fossa dei leoni; AT 28:3-6 per Pietro e la vipera; 1RE
17:4 per Elia e i corvi. Sul potere esercitato dagli uomini sugli animali, si veda an-
che AGRIP., De occ. phil., III, 40, p. 520.
12
Cfr. GEROL., Vita S. Pauli, 10.
13
Allusione alla leggenda di Sant’Egidio eremita, vissuto fra il VII e l’VIII sec., il
quale rifugiatosi nella foresta di Nimes, si sarebbe nutrito miracolosamente del
latte di una cerva che veniva a trovarlo.
14
Cfr. RUFINO, Hist. mon., XI.
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15
Cfr. AGOST., De Gen. ad Litt., III, 15.
16
GEN 3:15.
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78.
IL RIMANENTE DELLA AGRICOLTURA
1
Cfr. PLIN., Nat. hist., XVIII, 4, 22. Gerone (m. ca. 466 a.C.) è il tiranno di Siracu-
sa cantato da Pindaro e Bacchilide; Archelao (V-IV sec. a.C.) re di Macedonia; At-
talo e Filometore sono la stessa persona: si tratta di Attalo III Filometore (138-133
a.C.) re di Pergamo. La confusione di Agrippa si ritrova anche in Plinio e in Colu-
mella (si veda De re rust., I, 1, 8). Non si sa quale siano le opere di agricoltura attri-
buite a questi re. Magone (II sec. d.C.) è uno scrittore cartaginese autore di un trat-
tato di agricoltura in 28 libri, contenente anche norme di zootecnia e di apicoltura.
2
Oppiano di Cilicia (II sec.), poeta greco autore di un poema in 4 libri Sulla cac-
cia, dedicato all’imperatore Marco Aurelio Antonino. Sotto il nome di Oppiano
ci è pervenuto un altro poema, in 5 libri, intitolato Sulla pesca, che sarebbe da at-
tribuire a un secondo Oppiano, nato ad Apamea in Siria nel III sec., al quale spet-
tano la maggior parte delle notizie biografiche tramandateci dagli antichi.
3
Pietro de’ Crescenzi (ca. 1233-ca. 1320), o Petrus de Crescentiis, agronomo au-
tore dell’Opus ruralium commodorum (Liber cultus ruris), composto tra il 1304 e il
1309 e considerato il più importante trattato di agronomia medievale; Rutilio
Tauro Palladio (ca. IV sec.), autore latino di un trattato in 12 libri, Opus agricultu-
rae, in 12 libri, molto letto e citato nel Medioevo e nel Rinascimento.
4
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., II, 1; CIC., De off., I, 151.
5
Cfr. VIRG., Georg., II, 458-459; ORAZIO, Epist., II, 1, 139.
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6
Cfr. PLIN., Nat. hist., VII, 47, 151.
7
Cfr. AGOST., De civit. Dei, XIII, 15; AGRIP., De occ. phil., III, 41, p. 523; Zohar, I, 1. Per
l’episodio biblico, si veda GEN 3:17-19.
8
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Natrix serpens qui Lucano violator
aquae appellat».
9
Cfr. BEDA, Hexaem., I; ma si veda anche De sex dier. creat., col. 215.
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10
LUCR.,
De rer. nat., V, 816-817.
11
Il testo latino reca l’annotazione a margine: «Lycisca canis monstrosus, nimi-
rum ex lupi et canis coitu pregnatus, unum et nomen habet».
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12
Cfr. PLIN., Nat. hist., XIX, 8, 28-30.
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79.
DELLA ARTE DELLA GUERRA
1
Cfr. VEGEZ., Epit. rei milit., II, 15.
2
Cfr. POLID. VIRG., De invent. rer., III, 1; CAT., De agri cult., I, 4.
3
Cfr. GEN 4:2, ma si veda, supra, nota 2, p. 357.
4
Cfr. AGOST., De civit. Dei, VII, 19. Per l’etimologia di Saturno da satio, «seminagio-
ne», Agostino segue VARR., De ling. lat., V, 10, ma si veda anche LATT., Divin. instit.,
I, 23.
5
Cfr. VAL. MASS., Fact. et dict. memorab., II, 8, praef.
6
Cfr. LATT., Divin. instit., I, 18; SEN., Ad Lucil. epist. mor., CVIII, 32-34.
7
Cfr. CIC., De nat. deor., II, 24.
ultima 27-10-2004 15:31 Pagina 368