Gli organismi vegetali e animali, non essendo totalmente protetti dalla predazione, hanno
evoluto meccanismi per sfuggire a eventuali predatori o parassiti. Alcuni di questi si
proteggono divenendo molto piccoli o eccessivamente grandi, oppure imitando l’ambiente
biotico (mimetismo) o abiotico (criptismo), o possono rendersi inappetibili e riconoscibili ai
predatori (colorazioni aposematiche) (Argano, 2007).
Ci sono alcuni elementi che bisogna sempre tenere in considerazione quando si parla di
mimetismo:
- il mimo ossia l’organismo, pianta o animale, che emette segnali che derivano
dall’emulazione di un altro organismo;
- Il modello ossia l’elemento che viene imitato, un organismo o parte di esso ma anche un
oggetto, l’ambiente o delle proprietà degli stessi;
- Il destinatario ossia l’organismo verso il quale è indirizzato il segnale, che operando nei
confronti del mimo ne rende vantaggiosa l'imitazione del modello.
In generale in un fenomeno mimetico che comprenda mimo, modello e destinatario questi
ultimi due appartengono a diverse specie, raramente si parla di una sola (Argano, 2007).
Non bisogna però dimenticarsi dell’importanza del carattere mimetico, ossia il segnale
emesso, che può essere un colore, un odore, una forma, una posizione, tutto ciò che gli
animali sono in grado di percepire attraverso i sensi (Dalziell et al., 2016);
Anche il carattere mimetico è un componente del gruppo di caratteri che definiscono un
qualunque essere vivente, infatti, è sottoposto alla selezione naturale per cui in una
popolazione si ha un aumento degli individui con le caratteristiche più vantaggiose
relativamente alla nicchia ecologica in cui vivono (Fisher, 1930); di conseguenza verranno
selezionati questi individui (Chopard, 1949; W.Wickler, 1991).
Soffermandoci sul segnale, questo può essere di varie tipologie:
• olfattivo o chimico, per cui alcuni animali utilizzano delle strategie per nascondere il
loro odore (Conover, 2007). Gli scoiattoli della specie Spermophilus beecheyi, ad
esempio, fanno in modo di assumere l’odore del serpente a sonagli, loro predatore
naturale, strofinando sulla propria pelliccia le esuvie degli stessi (Clucas et al, 2008);
1
• acustico, le larve del genere Maculinea per essere ospitate e alimentate da una colonia
di formiche imitano il suono emesso dalle larve delle formiche (Miller et al, 2001; Sala
et al., 2014);
• visivo, quelli maggiormente visibili in natura e più facilmente riconoscibili, possono
riferirsi a forma, colore, posizione, comportamento e così via.
2
Mimetismo aposematico
3
All’interno di questa categoria ricadono altre due sottocategorie: il mimetismo batesiano e
il mimetismo mulleriano.
A. Mimetismo batesiano
Il mimetismo batesiano, descritto dal biologo ed entomologo britannico H.W. Bates, consiste
nell’imitazione da parte di una specie innocua, mimo, la colorazione aposematica di una
specie “protetta” rispetto ai predatori, in quanto associata a un elemento di pericolo. Si può
quasi considerare tale relazione come parassitaria in quanto l’unico a trarre vantaggio da
essa è la specie mimo che viene evitata come la specie modello, che possiede effettivamente
il carattere repellente (Bates, 1862). Una volta che il predatore avrà “registrato” gli eventi
negativi del modello, eviterà anche il mimo.
Questo fenomeno al tempo stesso è svantaggioso per il modello in quanto la presenza del
mimo appetibile ne riduce la veridicità del segnale, per evitare ciò i mimi devono essere
estremamente rari, al contrario “più è comune il mimo più instabile diventa la strategia
mimetica” (Lea e Turner, 1972; Linstrom et al., 1997).
Nella famiglia dei Blennidae alcuni pesci producono veleno per difendersi dai predatori, i
Nemophini fanno parte di questa famiglia, anche conosciuti come “bavose dai denti a
sciabola”, vivono nella Grande Barriera Corallina australiana e presentano 5 generi, tra cui
4
il Meiacanthus è quello velenoso. Tra le altre quattro specie, non velenose, Plagiotremus e
Petroscirtes utilizzano appunto un meccanismo di mimetismo batesiano imitando la
colorazione aposematica e il comportamento della specie velenosa. Una ricerca del 2017
condotta sul gruppo dei Nemophini ha mostrato come solo il genere Meiacanthus possiede le
ghiandole del veleno alla base dei grandi canini o “zanne”. Se il Meiacanthus viene ingerito
il veleno provoca delle reazioni dolorose associate all’abbassamento della pressione
sanguigna, portando il predatore a tremare e ad aprire le fauci consentendo l’uscita del
pesce (Casewell et al., 2017).
È prevedibile come la nicchia ecologica tra mimo e modello deve essere abbastanza
sovrapponibile così le specie coinvolte in tale meccanismo condivideranno sia l’areale che i
ritmi circadiani favorendo così il contatto con la stessa tipologia di predatori. Se non vi fosse
questa situazione i predatori non riuscirebbero ad associare alla specie innocua il segnale di
pericolo caratteristico del modello (Argano, 2007).
Eventuali cambiamenti nel modello saranno associati a cambiamento anche nel mimo, che
altrimenti andrebbe a perdere il vantaggio associato alla sua imitazione (Brower e Brower,
1972). Di conseguenza il mimo è soggetto a una
più forte pressione selettiva, rispetto a quella
che agisce sul modello che cerca di sfuggire
all’imitazione del mimo (Nur, 1970).
Il mimetismo Batesiano, dunque, comporta il
polimorfismo per cui il modello e il mimo
devono differenziarsi al meglio dalle specie
4 Schema che descrive la dinamica del mimetismo Batesiano affini.
(Boscolo, 2009 mod.)
B. Mimetismo mullerano
Il mimetismo mullerano, descritto nel 1879 dallo zoologo tedesco Fritz Muller, è attuato da
due o più specie che manifestano colorazioni aposematiche simili, associate alla loro
inappetibilità (Forbes, 2009). Inizialmente non era ben comprensibile come questo
meccanismo potesse comportare un vantaggio, ma questo è presente, ed è associato al fatto
che ognuna di queste specie mimetiche condividendo gli individui sacrificati per
l’apprendimento del segnale, da parte del predatore, “risparmia” individui all’interno della
propria specie (Muller, 1878; Muller, 1879).
Il segnale di pericolo associato a un simile pattern di colorazione, può mostrarsi anche in
specie filogeneticamente lontane (Muller, 1878; Muller, 1879).
In questa strategia non è presente una chiara distinzione tra modello e mimo, se ne può
parlare solo laddove sia presente una differenza a livello di numerosità dove la specie
composta da più individui risulta essere il modello e quella rara il mimo, al contrario nel
caso in cui la numerosità delle specie è simile si parla di co-mimi, dove beneficiano tutte
della presenza del segnale, questo è quello che avviene nella maggioranza dei casi
(Flannery, 2007).
Nelle specie che utilizzano questo meccanismo possiamo trovare anche differenti livelli di
velenosità o sgradevolezza (Rowland, 2007), se però alcune specie risultano essere poco o
per nulla repellenti allora si ricade nel mimetismo batesiano (Mallet, 1999).
5
Il vantaggio derivato da questa strategia è associato alla frequenza del segnale; più è
frequente più aumenterà il vantaggio dei co-mimi, selezionando quel caratteristico pattern
favorevole, andando verso il monomorfismo (Turner, 1987; Joron e Mallet, 1998; Mallet e
Joron, 1999).
Anelli mimetici
Gli anelli mimetici derivano dall’interazione tra due o più specie, che operano il meccanismo
di mimetismo mulleriano, per cui ogni specie o “anello” va in qualche modo a influenzare
6
anche le altre, di conseguenza le specie si
vanno ad influenzare tra loro. Per far si che vi
siano gli anelli mimetici le specie devono
trovarsi tutte nello stesso areale (Futuyma,
2008).
É questo il caso delle farfalle del genere
Heliconius in particolare le due specie H.
melpomene H. erato, entrambe sgradevoli che
7 Esempio di anello mimetico composto da Heliconius
vivono assieme in una vasta area geografica,
erato e H.emlpomene (Boscolo, 2009) presentano un simile pattern di colorazione e
si distinguono solo per il numero di macchie
rosse presente sul lato ventrale delle ali posteriori. Inoltre, le due specie differiscono per
l’odore sgradevole che emanano con la quale riconoscono i loro conspecifici (Mallet e
Gilbert, 1995).
In natura non sono presenti grandi anelli mimetici dal momento che un’eventuale
mutazione in questo caso non riuscirebbe a estendersi a tutti i mimi (Franks e Noble 2002).
I singoli anelli comunque presentano una loro singolarità, sebbene vi possano essere
perturbazioni o effetti della deriva genetica (Turner, 1977; Sheppard et al.; 1985).
Nella stessa area possono esser presenti molti anelli mimetici non solo costituiti da mimi
Mulleriani ma anche da mimi Batesiani e quasi-Batesiani (Futuyma, 2008). Per un mimo
Batesiano far parte di un anello mimetico risulta essere vantaggioso in quanto va a
somigliare ai co-mimi Mulleriani non commestibili. I mimi Batesiani presenti all’interno di
questi anelli possono spingere, attraverso la selezione di una eventuale mutazione, un anello
all’interno di un altro facendoli convergere (Franks e Noble, 2002; Franks e Noble, 2003).
Esiste però una limitazione relativamente alla presenza di mimi Batesiani all’interno degli
anelli mimetici, infatti, si può tollerare la presenza di un solo mimo Batesiano per anello,
l’aggiunta di altri lo renderebbe instabile. Data questa situazione di solito i mimi Batesiani
risultano essere polimorfici, per cui all’interno di una stessa popolazione ogni forma
polimorfica somiglia a una differente specie modello (Futuyma, 2008).
Mimetismo criptico
Il mimetismo criptico (dal greco cryptos,
“nascosto”) è quella strategia adottata da alcuni
organismi animali che sfruttano sia
l’omocromia, ossia le colorazioni uguali allo
sfondo sia le colorazioni disruptive che
interrompono la sagoma dell’animale (Argano,
2007). Il primo caso lo possiamo suddividere in
due categorie si parla di criptismo fisso quando
la specie cerca con l’ambiente circostante uno
sfondo il più simile possibile al colore del
proprio tegumento (Cott, 1940; Forbes, 2009) o
di criptismo variabile quando modifica il
8 Carausius morosus
(www.flickr.com/photos/78814204@N02/7837755598)
7
proprio colore assieme alle variazioni dell’ambiente circostante (Cott, 1940).
A questi si possono aggiungere anche aspetti comportamentali che rendono tale
meccanismo più efficace è questo il caso del Carausius morosus, o più comunemente chiamato
insetto stecco, che possiede sia il corpo che le zampe molto allungate e sottili, che vanno a
somigliare ad un ramoscello. Inoltre, nel momento in cui questi sono attaccati attivano un
meccanismo di difesa per la quale protraggono in avanti gli arti anteriori, in linea con l’asse
del corpo oppure si possono trovare anche ondeggianti imitanti il movimento dato al
fogliame dal vento (Ayala e Valentine, 1979; Argano, 2007).
A. Criptismo fisso
Il criptismo fisso è la modalità più diffusa per cui l’animale o la pianta presenta una
morfologia o colorazione per la quale risulta essere poco visibile in alcuni ambienti. Siccome
questa caratteristica è invariabile la strategia mimetica funziona solo quando l’animale si
trova in determinate posizioni e in determinati luoghi (Cott, 1940).
Il Phillopterix eques è un cavalluccio marino appartenente alla
famiglia Syngnathidae, che vive a largo delle coste australiane
in presenza di distese di Sargassum, 1 presenta il corpo
cosparso di appendici fogliacee che gli danno l’aspetto di
alghe (Pollom, 2017).
In questa categoria rientra anche il caso dei fossili di
dinosauro Borealopelta markmitchelli, appartenente al gruppo
dei dinosauri cosiddetti “corazzati”, dove oltre alle ossa sono
state rinvenuti anche tessuti, quali scaglie epidermiche, che 9 Phillopterix eques
(en.wikipedia.org/wiki/Leafy_seadragon)
andavano a formare lo strato superiore della corazza.
Analizzando questi resti i ricercatori hanno potuto
dimostrare la presenza del counter-shading, una forma di mimetismo per la quale gli
animali presentando un ventre dai colori più chiari rispetto al dorso (Brown et al, 2017).
Questo ostacola la normale distribuzione di luce ed ombre che rende l’oggetto, attraverso
un effetto ottico, più piatto di conseguenza di più difficile individuazione da parte del
predatore (Rowland, 2009).
B. Criptismo variabile
Rientrano in questa categoria quelle specie di
animali che possono variare il loro aspetto
velocemente, in relazione ai cambiamenti
ambientali (Cott, 1940). Si parla principalmente di
cambiamenti di colore grazie all’utilizzo di
specifiche cellule, i “cromatofori”, presenti in gran
numero nel derma che gli permettono di
10 Esemplare del genere Octopus, che assume i colori e la trama del assomigliare maggiormente allo sfondo di quel
substrato (www.imperialbulldog.com/2015/12/30/lo-
straordianario-mimetismo-del-polpo)
momento (Forbes, 2009). I cromatori sono cellule
1
Genere di alghe feofite (lat. scient. Sargassum) della famiglia sargassacee, comprendente oltre 150 specie
distribuite nei mari delle zone tropicali, subtropicali e temperate dei due emisferi, che costituiscono il
gruppo di alghe brune più numeroso delle acque tropicali e subtropicali. (Treccani)
8
con prolungamenti orientati in tutte le direzioni e contenenti un gran numero di granuli di
pigmento di differenti colorazioni; i prolungamenti sono contrattili a seconda di quelli
espansi, l’animale presenta una determinata colorazione.
Nei cefalopodi la modificazione dei colori è dovuta appunto alla presenza di cromatofori,
ognuno dei quali presenta al centro un sacchetto elastico contenente pigmento (nero,
marrone, arancione, rosso e giallo), il quale può essere allungato o meno sotto il controllo
del cervello, permettendo così al polpo di cambiare rapidamente il colore della pelle (Cott,
1940; Cloney e Florey, 1968).
C. Mimetismo disruptivo
É una forma di mimetismo che si attua rompendo i
contorni di un animale attraverso l’utilizzo di segni
contrastanti come punti o strisce (Stevens et al., 2006).
L’alternanza di chiazze chiare e scure, con alto contrasto,
in una configurazione per lo più astratta interrompono la
forma e l’orientamento dell’animale (Barbosa et al.,
2008).
Un esempio classico di questo meccanismo è la zebra che 11 Qui è mostrato l'effetto distrattivo sull'occhio di
mediante l’alternanza di strisce verticali scure e chiare motivi che contrastano il più violentemente possibile lo
sfondo (Cott, 1940)
genera una risposta anti-predatoria. Il manto di questi
animali quindi avrebbe la funzione di confondere i predatori, in quanto, con una bassa
intensità luminosa, conferisce una colorazione grigia, che rende difficile l’individuazione
della zebra a distanza da parte del predatore (Melin et al., 2016).
Arianna Lamoglie
0259425
9
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