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allergologiche più importanti sia per la loro frequenza sia per la drammaticità del quadro
clinico.
Attualmente la prognosi dei pazienti affetti da allergia al veleno di Imenotteri è molto
soddisfacente: lo specialista può disporre di procedure diagnostiche che abitualmente
consentono di identificare l’insetto responsabile e di un trattamento, l’immunoterapia con veleni
purificati, caratterizzato da percentuali di successo vicine al 100%.
Accanto a queste considerazioni deve essere tuttavia sottolineato che alcune problematiche sono
ancora irrisolte e oggetto di ricerca: in particolare gli studi futuri dovranno fornire adeguate
risposte sulle indicazioni, sulla durata dell’immunoterapia e sulla storia naturale della malattia.
Le dimensioni epidemiologiche della malattia sono state delineate attraverso numerosi studi
condotti in Europa e negli Stati Uniti. Le prevalenza delle reazioni sistemiche da punture di
imenotteri risulta compresa tra lo 0.4 e lo 0.8% della popolazione pediatrica e raggiunge il 5%
nella popolazione adulta. Di tutte queste reazioni, circa l’1% sono di tipo anafilattico. Le
differenze di prevalenza riscontrabili nei vari studi sono conseguenti al tipo di popolazione
studiata e alle metodiche utilizzate nella raccolta dei dati.
I dati sulla mortalità sono frammentari e sicuramente sottostimati soprattutto per le modalità
con le quali viene effettuato il certificato di morte che spesso attribuiscono molti decessi
improvvisi ad altre cause. Gli studi più attendibili, effettuati negli Stati Uniti, hanno riportato
un numero di circa 40 decessi per anno. Il tasso di mortalità può comunque subire sensibili
variazioni annuali sulla base delle condizioni climatiche più o meno favorevoli alla nascita e
diffusione degli insetti.
Tuttavia, il rapporto tra esposizione e rischio di malattia appare condizionato da alcuni fattori.
Gli apicoltori professionisti, punti frequentemente (almeno 50 punture per stagione), raramente
sviluppano reazioni poiché la quantità complessiva di veleno ricevuta li sottopone
verosimilmente a una “desensibilizzazione naturale”. Un intervallo tra due punture successive
inferiore a due mesi costituisce invece un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di
manifestazioni allergiche.
Le abitudini degli insetti incidono sulla distribuzione delle reazioni allergiche nel territorio: ape
e calabrone privilegiano le aree rurali, mentre vespe e polistini hanno diffusione ubiquitaria. Un
soggetto allergico al veleno di imenotteri può sviluppare una manifestazione clinica compresa
tra la reazione locale (eritema e edema con diametro superiore ai dieci centimetri e durata
maggiore di 24 ore) e lo shock anafilattico.
Le complicanze cardiocircolatorie sono più frequenti negli anziani. Le prima causa di morte è
l’asfissia seguita dal collasso cardiocircolatorio. Particolarmente a rischio per anafilassi letale
sono i soggetti affetti da mastocitosi. Il decesso, in circa il 50% dei casi, si verifica in individui
con anamnesi negativa per precedenti reazioni allergiche da punture.
L’indagine diagnostica cutanea, eseguita con la metodica del prick test e delle
intradermoreazioni a concentrazioni crescenti consente generalmente di formulare una diagnosi
eziologica corretta. I test in vitro per il dosaggio delle IgE specifiche non presentano mai
sensibilità superiore ai test cutanei ed hanno un valore diagnostico inferiore.
I risultati delle indagini diagnostiche, sia cutanee che sierologiche, sono prive di valore
prognostico, non esiste cioè nessun rapporto tra grado di positività, gravità della reazione e
rischio futuro. Alla luce di queste considerazioni alcuni autori, soprattutto di scuola Olandese,
hanno proposto l’esecuzione di un test di provocazione con l’insetto vivo per documentare lo
stato di reattività clinica e porre un’indicazione sicura all’immunoterapia.
Tuttavia il test, oltre ai limiti di carattere etico a causa della potenziale pericolosità, non risulta
affidabile come criterio predittivo di assoluta certezza. Infatti l’esito può essere di volta in volta
condizionato dalla tecnica di esecuzione e dall’insetto utilizzato; va inoltre sottolineato che il
20% dei pazienti con anamnesi positiva e test di provocazione negativo presenta una reazione in
caso di ulteriore puntura.
Trattamento
Il trattamento ottimale dell’ipersensibilità a veleno di imenotteri è rappresentato
dall’immunoterapia specifica con veleno, la cui elevatissima efficacia clinica rispetto ai
trattamenti con estratti di corpo intero dell’insetto venne chiaramente dimostrata dallo studio di
Hunt nel 1978. Da allora numerosi studi hanno confermato questi dati iniziali e attualmente
l’immunoterapia specifica con veleni rappresenta l’unico mezzo di prevenzione attuabile negli
individui a rischio di anafilassi da punture di insetti.
In questi pazienti, il rischio di reagire a nuove punture si riduce fino a al 3% rispetto a quello
dei non trattati, che è di circa il 50%. Inoltre, negli individui sottoposti a immunoterapia, le
eventuali reazioni sono generalmente di portata clinica inferiore a quelle pre-trattamento.
L’immunoterapia specifica con veleno (ITS) viene proposta con svariati protocolli, da quelli
convenzionali a quelli più rapidi (cluster, rush, ultrarush); questi ultimi consentono di
raggiungere, in pochi giorni o in poche ore, il dosaggio di mantenimento che generalmente è di
100 mcg di veleno. Un aumento del dosaggio fino a 200 mcg è indicato e risulta solitamente
efficace nei pazienti parzialmente protetti in occasione di nuove punture.
Recenti studi hanno inoltre dimostrato che nei pazienti trattati con 200 mcg si verifica una
riduzione significativa dei livelli di IgE specifiche e della reattività cutanea rispetto a quelli
sottoposti a mantenimento con la dose di 100 mcg. In futuro si dovrà dimostrare se queste
differenti risposte immunologiche osservate tra i due dosaggi di mantenimento, possano
determinare implicazioni cliniche migliori, in particolare aumentare l’effetto protettivo e ridurre
la durata complessiva dell’ITS. Una volta raggiunto il dosaggio di mantenimento stabilito,
questo verrà somministrato ad intervalli progressivamente crescenti fino, dopo alcuni anni, a 12
settimane o, secondo un recente studio, a 6 mesi, garantendo l’efficacia e la sicurezza
dell’immunoterapia.
Tutti gli schemi adottati risultano efficaci, ma caratterizzati da un’incidenza media di reazioni
sistemiche non trascurabile pari al 10%, che tuttavia nella maggior parte dei casi sono di lieve
entità clinica. Un aspetto importante è rappresentato dalla maggiore frequenza di reazioni
osservabile utilizzando il veleno di ape, solitamente tra il 15-20 %, rispetto a quella con veleno
di vespidi che si attesta tra il 2-4 %. Le cause di questo fenomeno non sono ancora del tutto
note. L’impiego di estratti purificati adsorbiti su idrossido di alluminio, rispetto alle
preparazioni acquose, ha significativamente ridotto la frequenza delle reazioni locali ma non di
quelle sistemiche.
Tra le nuove strategie per migliorare la sicurezza dell’ITS con veleni è stata proposta la
premedicazione con antistaminici. Tali farmaci, però, sono risultati efficaci solo nel ridurre
l’incidenza di reazioni locali e sistemiche limitate alla cute, ma non nel prevenire le
manifestazioni anafilattiche.
La durata del trattamento generalmente raccomandata è di cinque anni; l’interruzione dopo tre
anni di trattamento può essere considerata nei soggetti con negativizzazione dei test cutanei e
del RAST o nei pazienti a basso rischio (adolescenti e reazioni pre-trattamento di grado lieve).
Una volta interrotta l’immunoterapia il rischio di perdere l’effetto protettivo aumenta con il
passare degli anni e con le riesposizioni alle punture. Risultano più a rischio i pazienti allergici
al veleno di ape, quelli che hanno sviluppato reazioni nel corso del trattamento, quelli con
mastocitosi o elevati livelli basali di triptasi.