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Due premesse sono molto importanti da fare, richiamando così alcune nozioni del modulo
di ontologia.
Questo dal punto di vista dell’oggetto conosciuto. Dal punto di vista del soggetto
conoscente bisogna ricordare che anche l’uomo è fatto di materia e di forma, ossia di
anima e di corpo. Quindi esso non può conoscere nulla senza il corpo. Però la sua anima
non si riduce a corpo, se ne avvale come uno strumento ma non si confonde con esso,
dato che ha una propria sussistenza. Anche di questo abbiamo parlato nel modulo di
ontologia e riparleremo nel modulo di antropologia. Quindi anche dal punto di vista del
soggetto che conosce bisogna dire che la conoscenza non può non avere un aspetto
materiale e che nello stesso tempo deve però essere anche, più o meno, immateriale.
L’uomo conosce forme incarnate in corpi materiali ed egli stesso è una forma incarnata in
un corpo materiale. L’unico suo modo di conoscere quindi deve implicare anche la materia
ma nello stesso tempo la conoscenza non assimila la materia, che rimane esterna, e quindi
ha una certa dose di immaterialità.
E’ per questo che la conoscenza deve partire dai sensi: “La mente raccoglie le sue
conoscenze sulle realtà materiali per mezzo dei sensi corporei” (Sant’Agostino): “I sensi
sono il principio di tutta la nostra conoscenza” (San Tommaso). Ma ciò non significa, come
subito vedremo, che la conoscenza rimanga chiusa nella relazione materiale. E ciò è
evidente già al livello della conoscenza sensibile.
La conoscenza sensibile
Cosa conosciamo con i sensi? Con la vista conosco, per esempio, il colore oro di un
oggetto. Però il mio occhio non diventa color oro. Il color oro rimane nell’oggetto. “I sensi
ricevono senza materia le forme delle realtà sensibili: il colore dell’oro, per esempio, senza
l’oro”. Quindi noi conosciamo la forma sensibile del color oro che è qualcosa di
immateriale. Non però di completamente immateriale, tanto è vero che con il nostro organo
di senso c’è un contatto materiale visivo (l’impressione della retina per esempio e poi il
nervo ottico che trasmette al cervello, come nella percezione di un suono c’è la vibrazione
materiale del timpano) ma l’oro dell’oggetto rimane là. L’organo di senso viene modificato
materialmente dal sensibile (la luce colpisce la retina) ma il senso no, quest’ultimo conosce
la forma sensibile. La forma sensibile è conosciuta quindi in modo immateriale ma siccome
rimane sotto alcune condizioni materiali non si può dire che sia conosciuta in modo
completamente immateriale. E’ come lo stampo di un anello d’oro nella cera: c’è la forma
sensibile dell’anello, ma non c’è l’oro. Il contatto è certamente materiale, ma dell’oggetto
nella cera abbiamo solo la forma e non la materia.
Oltre ad essere materiale, nel senso ora visto, la conoscenza sensibile è sempre
particolare e mai universale. Nell’esempio dell’impronta dell’anello nella cera, l’impronta (o
forma sensibile) era di quell’anello e non dell’anello in universale. Ciò è la conseguenza del
fatto che essa rimane sotto alcune condizioni materiali che la individuano, la rendono
cioè unica e irripetibile. Ogni singola percezione sensibile è solo se stessa, è unica, inizia e
finisce con sé, non è applicabile ad altre sensazioni. Allungo la mano verso il fuoco e sento
caldo; poi la ritiro e la riavvicino nuovamente al fuoco … il caldo che sento è un “altro”
caldo, ho una nuova e a se stante sensazione. Le sensazioni sono puntuali, non possono
essere generalizzate ad altre esperienze se non ad uno stadio successivo della
conoscenza.
Una prima funzione elementare della conoscenza sensibile è di orientarci nell’esperienza:
fuggire le sensazioni dolorose e seguire quelle piacevoli, quindi fuggire i pericoli. Questo ci
rende dipendenti dalla materia e nello stesso tempo indipendenti.
La facoltà immaginativa
Oltre ai cinque sensi esterni, esistono i cosiddetti sensi interni, di cui qui vogliamo
ricordare almeno il “senso comune” e l’immaginativa.
Le sensazioni sono sempre particolari, come abbiamo detto, però c’è una facoltà propria
della conoscenza sensibile che si chiama immaginativa la quale produce una immagine
sensibile per esempio del fuoco o dell’anello d’oro. Non si tratta ancora della conoscenza di
“cos’è” il fuoco o l’anello, ma di una immagine sintetica dei cinque sensi rappresentativa
sensibile. L’immaginativa è detta anche “fantasia” e l’immagine sensibile da essa prodotta è
detto anche “fantasma”. Come vedremo, essa fa da tramite tra la conoscenza sensibile e la
conoscenza intellettiva e anche quando la conoscenza intellettiva produrrà poi il concetto
astratto di fuoco o di anello d’oro comunque dentro di noi rimarrà questa rappresentazione
sensibile cosicché mentre l’intelletto dice “fuoco”, l’immaginativa non può fare a meno di
rappresentare al soggetto conoscente l’immagine di un fuoco in particolare, di “questo”
fuoco.
La conoscenza intellettiva
Una certa immaterialità c’è già anche nella conoscenza sensibile, come abbiamo visto, ma
è nella conoscenza intellettiva che tale immaterialità si fa completa a testimonianza della
spiritualità della conoscenza intellettiva stessa. Immateriale non è infatti sinonimo di
spirituale, ma lo spirituale non può essere tale se non è immateriale.
Gli oggetti materiali esistono nel conoscente non materialmente ma immaterialmente., dato
che l’intelletto conosce i corpi con una conoscenza immateriale, universale e necessaria.
Questo ci dice due cose molto importanti. La prima è che la nostra anima può conoscere
tutto, e in un certo senso essa è in qualche modo tutte le cose. La seconda è che “quanto
più immaterialmente un essere possiede la forma della cosa conosciuta, tanto più perfetta è
la sua conoscenza. Quindi l’intelletto, il quale astrae le forme intelligibili dalle condizioni
materiali e individuanti, conosce in modo più perfetto del senso, il quale riceve la forma
della cosa conosciuta senza la materia, ma non senza le condizioni materiali”.
Si è detto che la conoscenza ha inizio con i sensi. Ciò non significa che la conoscenza
sensibile produca quella intellettiva, dato che l’intelletto “ha una sua operazione
indipendente dal corpo”. Mediante l’astrazione è l’intelletto a rendere intelligibili in atto le
immagini prodotte dai sensi e quindi non si può dire che la conoscenza sensibile sia causa
di quella intellettiva.. Essa è piuttosto la materia su cui la causa agisce. Non si può dire
quindi che la conoscenza intellettiva derivi da quella sensibile. Contemporaneamente, però,
bisogna dire che l’intelletto non può conoscere le forme intelligibili senza rivolgersi alle
immagini sensibili. Infatti “l’oggetto proprio dell’intelletto umano unito al corpo sono le
essenze o nature che hanno la loro sussistenza nella materia corporea”. Non si può
conoscere una natura se non nella sua esistenza particolare e concreta, che noi
raggiungiamo tramite i sensi e l’immaginativa.
Questo però non toglie che la conoscenza intellettiva sia totalmente immateriale. Una prova
sperimentale è la seguente: il senso si avvale di un organo, come abbiamo visto, e una
sensazione troppo forte può neutralizzare l’organo e, quindi, il senso corrispondente, come
per esempio nel caso di una luce accecante o di un rumore assordante. Ma per l’intelletto
questo non può accadere: non esiste qualcosa di troppo intelligibile da rendere stupido.
Una prova argomentativa è quest’altra: l’intelletto ‘può conoscere la natura di tutte le cose
corporee. Se avesse in sé la natura di qualche corpo potrebbe conoscerne alcuni e non
altri, quindi il principio intellettivo non può essere corpo. Siccome l’intelletto può conoscere
tutte le cose materiali, non può essere materiale.
Chiarire bene il rapporto tra intelligenza e cervello è quindi molto importante. Il cervello è
l’organo di cui l’intelligenza si serve, ma essa non coincide con esso. Che l’intelligenza si
serva del cervello risulta evidente dal fatto che eventuali lesioni cerebrali danneggiano la
facoltà dell’intelligenza, ma l’eccedenza del pensiero rispetto a qualsiasi struttura fisica
attesta l’attività di un’anima spirituale.
Si chiama astrazione il processo per cui l’intelletto conosce le forme che hanno una
sussistenza individuale in una data materia. Il processo di astrazione è proprio solo
dell’uomo e gli permette di passare dalla conoscenza delle cose materiali a quella delle
cose immateriali. Astrarre significa conoscere ciò che è costitutivo di un essere corporeo
senza tenere conto dei principi individuanti che non rientrano nella sua essenza. Ciò
significa astrarre l’universale dal particolare e l’intelligibile dalle immagini sensibili.
Talvolta si pensa che un concetto astratto non esprima la realtà, ma si sia da essa
allontanato. Si può quindi erroneamente pensare che i sensi ci diano la conoscenza reale e
l’intelletto una conoscenza astratta e vuota di realtà. Questo dipende dalla identificazione di
reale e di concreto, ossia da una visione materialista. L’astrazione ci fa conoscere
l’essenza delle cose, che è qualcosa di molto reale, più reale dei loro aspetti materiali e
individuanti. L’astrazione non ci fa allontanare dall’essere ma ci fa penetrare dentro di esso.
Bisogna anche precisare che astrarre non significa conoscere di meno o addirittura non
conoscere il particolare. Quando tramite l’intelletto si apprende l’essenza (universale)
dell’uomo, con ciò si conosce meglio anche Tizio che ho davanti a me. Siccome prescindo
dal tenere conto dell’infinita varietà di contingenze in cui Tizio si può trovare
accidentalmente, la conoscenza di Tizio si purifica e si approfondisce. Bisogna però tenere
presente che l’intelletto non conosce direttamente i singolari ma gli universali. I singolari
infatti sono tali per la materia, da qui però l’intelletto prescinde appunto per conoscere
l’universale. Per conoscere i singolari deve tornare alle immagini (fantasmi): “L’intelletto
conosce direttamente l’universale mediante le sue specie intelligibili e indirettamente i
singolari che sono rappresentati dai fantasmi, e in tal modo può formare la proposizione
Socrate è uomo”.
Nasce qui il problema della verità, sia della conoscenza sensibile che di quella intellettiva. I
sensi esterni non si ingannano se non per accidens, ossia per una disfunzione dell’organo
di senso. I sensi comuni possono invece sbagliare. L’intelletto, quanto alla conoscenza
delle quidditates, non può sbagliare. Può sbagliare nel definire qualcosa o nel
ragionamento. Ma del problema della verità e dell’errore riparleremo nella prossima lezione
sulla logica.
L’intelletto esprime la conoscenza della forma intelligibile di una cosa mediante una
definizione. La definizione è una proposizione composta da genere e differenza specifica.
Per esempio: l’uomo è animale razionale. L’essenza dell’uomo è fatta di materia (genere
animale) e forma (anima razionale). Ciò che distingue l’uomo all’interno del genere animale
si chiama appunto differenza specifica in quanto precisa la specie a cui l’uomo appartiene
dentro il genere animale e questa consiste nella razionalità. La definizione esprime quindi
l’essenza di una cosa. Però essa si ferma alla specie e non arriva a definire l’individuo.
Genere e specie sono Sostanza seconda, l’individuo è la Prote Ousia o Sostanza prima, la
cosa realmente esistente. Da questo si deriva che l’individuo è conoscibile in virtù della
specie mentre rimane inconoscibile come individuo. Infatti noi definiamo allo stesso modo
Carlo e Luigi. Questo deriva dal fatto già visto che l’intelletto conosce la quidditas astraendo
dai dati materiali e individuanti. La conoscenza intellettiva è conoscenza di forme. Dalla
struttura della definizione deriva anche che si possono definire solo le sostanze corporee o
materiali e non quelle incorporee, come gli angeli o Dio. Questi ultimi sono forme pure e
non materiali, quindi l’intelletto umano non può conoscerne l’essenza né definirla. Esso può
definire solo le forme che si trovano in una materia. Per questo nel modulo di ontologia
avevamo sostenuto che Dio si può conoscere solo partendo dalle cose materiali e risalendo
alla loro causa.
L’intelletto non si inganna quanto alla conoscenza della quiddità delle cose, né per quanto
riguarda le conoscenze del senso comune come per esempio i primi principi. Inoltre
l’intelletto non può ingannarsi a causa di difetti dell’organo perché non c’è organo per
l’intellezione. Può invece sbagliarsi nel formulare la definizione.
In questa lezione abbiamo potuto vedere come la gnoseologia della filosofia cristiana
dipenda dall’ontologia e anche dalla antropologia. Senza una ontologia e una antropologia
adeguate, può finire che della conoscenza facciamo solo una analisi materiale e finiamo
per essere dei materialisti. Ontologia, antropologia e gnoseologia convergono nel dire che
chi conosce è l’anima intellettiva e siccome una facoltà superiore è in grado di esercitare le
funzioni anche di quelle inferiori, si può dire che anche a conoscere con i sensi sia, in
fondo, l’nima. A sua volta la gnoseologia spiega tutto ciò dal suo punto di vista e, fondata
sulla ontologia e sull’antropologia, dà a queste il proprio contributo. Infatti, proprio perché
l’anima è capace di una conoscenza completamente immateriale, come abbiamo visto, si
può dire che essa sia una sostanza sussistente. Riporto qui questa conclusione contenuta
nell’articolo 2 della questione 75 della Summa di San Tommaso d’Aquino: