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Lezione 2

CONOSCERE CON I SENSI, CONOSCERE CON L’INTELLETTO:

MATERIALITÁ E SPIRITUALITÁ DELLA CONOSCENZA

Due premesse sono molto importanti da fare, richiamando così alcune nozioni del modulo
di ontologia.

Ogni cosa esistente è composta di materia e di forma, che costituiscono l’essenza. La


conoscenza delle cose, però, non avviene assimilandone la materia, che rimane
nell’oggetto. Quando mangiamo una mela ne assimiliamo la materia e, dopo averla
mangiata, l’oggetto mela non c’è più. Ma non così nella conoscenza: dopo aver conosciuto
l’oggetto, esso è ancora materialmente là. Questo ci dice due cose: da un lato noi siamo
costretti ad entrare in contatto anche con la materia, dato che la cosa che conosciamo è
composta di materia e di forma, ma la conoscenza è sempre, più o meno, immateriale, in
quanto la materia non viene assimilata.

Questo dal punto di vista dell’oggetto conosciuto. Dal punto di vista del soggetto
conoscente bisogna ricordare che anche l’uomo è fatto di materia e di forma, ossia di
anima e di corpo. Quindi esso non può conoscere nulla senza il corpo. Però la sua anima
non si riduce a corpo, se ne avvale come uno strumento ma non si confonde con esso,
dato che ha una propria sussistenza. Anche di questo abbiamo parlato nel modulo di
ontologia e riparleremo nel modulo di antropologia. Quindi anche dal punto di vista del
soggetto che conosce bisogna dire che la conoscenza non può non avere un aspetto
materiale e che nello stesso tempo deve però essere anche, più o meno, immateriale.

L’uomo conosce forme incarnate in corpi materiali ed egli stesso è una forma incarnata in
un corpo materiale. L’unico suo modo di conoscere quindi deve implicare anche la materia
ma nello stesso tempo la conoscenza non assimila la materia, che rimane esterna, e quindi
ha una certa dose di immaterialità.

E’ per questo che la conoscenza deve partire dai sensi: “La mente raccoglie le sue
conoscenze sulle realtà materiali per mezzo dei sensi corporei” (Sant’Agostino): “I sensi
sono il principio di tutta la nostra conoscenza” (San Tommaso). Ma ciò non significa, come
subito vedremo, che la conoscenza rimanga chiusa nella relazione materiale. E ciò è
evidente già al livello della conoscenza sensibile.

La conoscenza sensibile

Nella conoscenza sensibile bisogna distinguere:


- Il sensibile: ossia l’oggetto della conoscenza sensibile come la luce per la vista o il
suono per l’udito o il sapore per il gusto.
- L’organo di senso: ossia lo strumento corporeo e materiale della conoscenza
sensibile come l’occhio, l’orecchio, il palato.
- Il senso: ossia una nostra facoltà come principio immediato delle operazioni
sensoriali.

Noi conosciamo con il senso e, utilizzando l’organo di senso, conosciamo il sensibile. E’


molto importante fare questa distinzione per non cadere nell’errore di pensare che il
soggetto che conosce sia l’organo di senso, che invece è solo lo strumento. Se così fosse,
nella conoscenza non ci sarebbe nessuna immaterialità e tutto sarebbe corpo. Ciò non
toglie che, come si diceva, siccome noi siamo e anima e corpo e siccome conosciamo delle
forme incarnate in un corpo, abbiamo bisogno degli organi di senso, ma solo come
strumenti. Si può quindi dire che la conoscenza sensibile è sempre materiale quanto
all’uso degli organi di senso, ma possiamo anche dire che sia immateriale dato che il
senso non si riduce all’organo di senso.

Cosa conosciamo con i sensi? Con la vista conosco, per esempio, il colore oro di un
oggetto. Però il mio occhio non diventa color oro. Il color oro rimane nell’oggetto. “I sensi
ricevono senza materia le forme delle realtà sensibili: il colore dell’oro, per esempio, senza
l’oro”. Quindi noi conosciamo la forma sensibile del color oro che è qualcosa di
immateriale. Non però di completamente immateriale, tanto è vero che con il nostro organo
di senso c’è un contatto materiale visivo (l’impressione della retina per esempio e poi il
nervo ottico che trasmette al cervello, come nella percezione di un suono c’è la vibrazione
materiale del timpano) ma l’oro dell’oggetto rimane là. L’organo di senso viene modificato
materialmente dal sensibile (la luce colpisce la retina) ma il senso no, quest’ultimo conosce
la forma sensibile. La forma sensibile è conosciuta quindi in modo immateriale ma siccome
rimane sotto alcune condizioni materiali non si può dire che sia conosciuta in modo
completamente immateriale. E’ come lo stampo di un anello d’oro nella cera: c’è la forma
sensibile dell’anello, ma non c’è l’oro. Il contatto è certamente materiale, ma dell’oggetto
nella cera abbiamo solo la forma e non la materia.

Oltre ad essere materiale, nel senso ora visto, la conoscenza sensibile è sempre
particolare e mai universale. Nell’esempio dell’impronta dell’anello nella cera, l’impronta (o
forma sensibile) era di quell’anello e non dell’anello in universale. Ciò è la conseguenza del
fatto che essa rimane sotto alcune condizioni materiali che la individuano, la rendono
cioè unica e irripetibile. Ogni singola percezione sensibile è solo se stessa, è unica, inizia e
finisce con sé, non è applicabile ad altre sensazioni. Allungo la mano verso il fuoco e sento
caldo; poi la ritiro e la riavvicino nuovamente al fuoco … il caldo che sento è un “altro”
caldo, ho una nuova e a se stante sensazione. Le sensazioni sono puntuali, non possono
essere generalizzate ad altre esperienze se non ad uno stadio successivo della
conoscenza.
Una prima funzione elementare della conoscenza sensibile è di orientarci nell’esperienza:
fuggire le sensazioni dolorose e seguire quelle piacevoli, quindi fuggire i pericoli. Questo ci
rende dipendenti dalla materia e nello stesso tempo indipendenti.

La facoltà immaginativa

Oltre ai cinque sensi esterni, esistono i cosiddetti sensi interni, di cui qui vogliamo
ricordare almeno il “senso comune” e l’immaginativa.

Il senso comune è la facoltà di unificare tra loro i cinque sensi e di applicarli


simultaneamente, come per esempio quando vedo il colore del miele e lo senso come
dolce. Il senso comune sente che tutte le sensazioni prodotte dai diversi sensi fanno capo
ad un unico soggetto senziente.

Le sensazioni sono sempre particolari, come abbiamo detto, però c’è una facoltà propria
della conoscenza sensibile che si chiama immaginativa la quale produce una immagine
sensibile per esempio del fuoco o dell’anello d’oro. Non si tratta ancora della conoscenza di
“cos’è” il fuoco o l’anello, ma di una immagine sintetica dei cinque sensi rappresentativa
sensibile. L’immaginativa è detta anche “fantasia” e l’immagine sensibile da essa prodotta è
detto anche “fantasma”. Come vedremo, essa fa da tramite tra la conoscenza sensibile e la
conoscenza intellettiva e anche quando la conoscenza intellettiva produrrà poi il concetto
astratto di fuoco o di anello d’oro comunque dentro di noi rimarrà questa rappresentazione
sensibile cosicché mentre l’intelletto dice “fuoco”, l’immaginativa non può fare a meno di
rappresentare al soggetto conoscente l’immagine di un fuoco in particolare, di “questo”
fuoco.

La conoscenza intellettiva

Una certa immaterialità c’è già anche nella conoscenza sensibile, come abbiamo visto, ma
è nella conoscenza intellettiva che tale immaterialità si fa completa a testimonianza della
spiritualità della conoscenza intellettiva stessa. Immateriale non è infatti sinonimo di
spirituale, ma lo spirituale non può essere tale se non è immateriale.

La conoscenza intellettiva assume le immagini fornite dalla facoltà immaginativa ed elimina


tutti gli elementi particolari e individuanti. L’oggetto della conoscenza intellettiva è la
forma intelligibile delle cose che viene colta separatamente dagli elementi accidentali
materiali. A differenza della conoscenza sensibile, quella intellettiva prescinde totalmente
dalla materia (non dalla materia in generale, ma da “questa” materia). Che i singoli uomini
siano alti o bassi, di pelle nera o bianca, maschi o femmine, con i capelli biondi o bruni non
assume nessuna importanza affinché l’intelletto possa cogliere cos’è (la forma è il cos’è di
una cosa) l’uomo.
La conoscenza intellettiva riguarda quindi le essenze delle cose, ossia quanto non è
soggetto al divenire ma rimane sempre uguale. Infatti “non si può conoscere con certezza
ciò che è in continuo divenire, dato che si dissolve prima di essere giudicato dalla mente”.
Si ha vero sapere solo di ciò che permane e non di ciò che cambia. Nelle cose gli aspetti
materiali e accidentali cambiano, ma non cambiano le essenze e quindi la conoscenza
intellettiva permette un autentico sapere che la conoscenza sensibile non permetteva.

Gli oggetti materiali esistono nel conoscente non materialmente ma immaterialmente., dato
che l’intelletto conosce i corpi con una conoscenza immateriale, universale e necessaria.
Questo ci dice due cose molto importanti. La prima è che la nostra anima può conoscere
tutto, e in un certo senso essa è in qualche modo tutte le cose. La seconda è che “quanto
più immaterialmente un essere possiede la forma della cosa conosciuta, tanto più perfetta è
la sua conoscenza. Quindi l’intelletto, il quale astrae le forme intelligibili dalle condizioni
materiali e individuanti, conosce in modo più perfetto del senso, il quale riceve la forma
della cosa conosciuta senza la materia, ma non senza le condizioni materiali”.

Questo principio permette di distinguere i diversi livelli ontologici della conoscenza, le


diverse intelligenze sono tanto più perfette quanto più immateriali. L’anima umana astrae le
forme dalla materia, l’angelo conosce immediatamente le forme, Dio conosce tutte le forme
perché le contiene nella propria essenza.

Si è detto che la conoscenza ha inizio con i sensi. Ciò non significa che la conoscenza
sensibile produca quella intellettiva, dato che l’intelletto “ha una sua operazione
indipendente dal corpo”. Mediante l’astrazione è l’intelletto a rendere intelligibili in atto le
immagini prodotte dai sensi e quindi non si può dire che la conoscenza sensibile sia causa
di quella intellettiva.. Essa è piuttosto la materia su cui la causa agisce. Non si può dire
quindi che la conoscenza intellettiva derivi da quella sensibile. Contemporaneamente, però,
bisogna dire che l’intelletto non può conoscere le forme intelligibili senza rivolgersi alle
immagini sensibili. Infatti “l’oggetto proprio dell’intelletto umano unito al corpo sono le
essenze o nature che hanno la loro sussistenza nella materia corporea”. Non si può
conoscere una natura se non nella sua esistenza particolare e concreta, che noi
raggiungiamo tramite i sensi e l’immaginativa.

Questo però non toglie che la conoscenza intellettiva sia totalmente immateriale. Una prova
sperimentale è la seguente: il senso si avvale di un organo, come abbiamo visto, e una
sensazione troppo forte può neutralizzare l’organo e, quindi, il senso corrispondente, come
per esempio nel caso di una luce accecante o di un rumore assordante. Ma per l’intelletto
questo non può accadere: non esiste qualcosa di troppo intelligibile da rendere stupido.
Una prova argomentativa è quest’altra: l’intelletto ‘può conoscere la natura di tutte le cose
corporee. Se avesse in sé la natura di qualche corpo potrebbe conoscerne alcuni e non
altri, quindi il principio intellettivo non può essere corpo. Siccome l’intelletto può conoscere
tutte le cose materiali, non può essere materiale.

Chiarire bene il rapporto tra intelligenza e cervello è quindi molto importante. Il cervello è
l’organo di cui l’intelligenza si serve, ma essa non coincide con esso. Che l’intelligenza si
serva del cervello risulta evidente dal fatto che eventuali lesioni cerebrali danneggiano la
facoltà dell’intelligenza, ma l’eccedenza del pensiero rispetto a qualsiasi struttura fisica
attesta l’attività di un’anima spirituale.

Si chiama astrazione il processo per cui l’intelletto conosce le forme che hanno una
sussistenza individuale in una data materia. Il processo di astrazione è proprio solo
dell’uomo e gli permette di passare dalla conoscenza delle cose materiali a quella delle
cose immateriali. Astrarre significa conoscere ciò che è costitutivo di un essere corporeo
senza tenere conto dei principi individuanti che non rientrano nella sua essenza. Ciò
significa astrarre l’universale dal particolare e l’intelligibile dalle immagini sensibili.

Talvolta si pensa che un concetto astratto non esprima la realtà, ma si sia da essa
allontanato. Si può quindi erroneamente pensare che i sensi ci diano la conoscenza reale e
l’intelletto una conoscenza astratta e vuota di realtà. Questo dipende dalla identificazione di
reale e di concreto, ossia da una visione materialista. L’astrazione ci fa conoscere
l’essenza delle cose, che è qualcosa di molto reale, più reale dei loro aspetti materiali e
individuanti. L’astrazione non ci fa allontanare dall’essere ma ci fa penetrare dentro di esso.
Bisogna anche precisare che astrarre non significa conoscere di meno o addirittura non
conoscere il particolare. Quando tramite l’intelletto si apprende l’essenza (universale)
dell’uomo, con ciò si conosce meglio anche Tizio che ho davanti a me. Siccome prescindo
dal tenere conto dell’infinita varietà di contingenze in cui Tizio si può trovare
accidentalmente, la conoscenza di Tizio si purifica e si approfondisce. Bisogna però tenere
presente che l’intelletto non conosce direttamente i singolari ma gli universali. I singolari
infatti sono tali per la materia, da qui però l’intelletto prescinde appunto per conoscere
l’universale. Per conoscere i singolari deve tornare alle immagini (fantasmi): “L’intelletto
conosce direttamente l’universale mediante le sue specie intelligibili e indirettamente i
singolari che sono rappresentati dai fantasmi, e in tal modo può formare la proposizione
Socrate è uomo”.

L’astrazione produce il concetto universale di una cosa. Bisogna distinguere l’essenza


reale dall’essenza concettuale o quiddità. La prima è un co-principio dell’ente assieme
all’atto di essere, come abbiamo visto nel modulo di ontologia. La seconda è l’essenza in
quanto conosciuta dal nostro intelletto. Si chiama quidditas in quanto risponde alla
domanda: quid est? “L’oggetto proprio dell’intelletto è la quiddità delle cose”. La verità
formalmente intesa si ha nel concetto, ma il concetto trova il fondamento della propria verità
nell’essenza reale della cosa. La verità è “adaequatio intellectus ad rem”. E’ molto utile
osservare che l’oggetto del nostro conoscere non sono i nostri concetti, le nostre idee, le
specie intelligibili. Questo sarà l’errore del pensiero moderno il quale riterrà che la prima
cosa che conosciamo sono le nostre idee. Abbiamo già detto nel modulo di ontologia che la
prima cosa che conosciamo è l’ente e non le nostre idee. Ora, l’intelletto astrae la forma
intelligibile e forma il concetto, ma questo è solo lo strumento con cui conosciamo la realtà.
L’oggetto della conoscenza è il reale

Nasce qui il problema della verità, sia della conoscenza sensibile che di quella intellettiva. I
sensi esterni non si ingannano se non per accidens, ossia per una disfunzione dell’organo
di senso. I sensi comuni possono invece sbagliare. L’intelletto, quanto alla conoscenza
delle quidditates, non può sbagliare. Può sbagliare nel definire qualcosa o nel
ragionamento. Ma del problema della verità e dell’errore riparleremo nella prossima lezione
sulla logica.

L’intelletto esprime la conoscenza della forma intelligibile di una cosa mediante una
definizione. La definizione è una proposizione composta da genere e differenza specifica.
Per esempio: l’uomo è animale razionale. L’essenza dell’uomo è fatta di materia (genere
animale) e forma (anima razionale). Ciò che distingue l’uomo all’interno del genere animale
si chiama appunto differenza specifica in quanto precisa la specie a cui l’uomo appartiene
dentro il genere animale e questa consiste nella razionalità. La definizione esprime quindi
l’essenza di una cosa. Però essa si ferma alla specie e non arriva a definire l’individuo.
Genere e specie sono Sostanza seconda, l’individuo è la Prote Ousia o Sostanza prima, la
cosa realmente esistente. Da questo si deriva che l’individuo è conoscibile in virtù della
specie mentre rimane inconoscibile come individuo. Infatti noi definiamo allo stesso modo
Carlo e Luigi. Questo deriva dal fatto già visto che l’intelletto conosce la quidditas astraendo
dai dati materiali e individuanti. La conoscenza intellettiva è conoscenza di forme. Dalla
struttura della definizione deriva anche che si possono definire solo le sostanze corporee o
materiali e non quelle incorporee, come gli angeli o Dio. Questi ultimi sono forme pure e
non materiali, quindi l’intelletto umano non può conoscerne l’essenza né definirla. Esso può
definire solo le forme che si trovano in una materia. Per questo nel modulo di ontologia
avevamo sostenuto che Dio si può conoscere solo partendo dalle cose materiali e risalendo
alla loro causa.

Bisogna anche valutare se la conoscenza sensibile o quella intellettiva sbagliano. Il senso


non sbaglia mai nel percepire i sensibili. Può sbagliare quando ci sia un difetto nell’organo
di senso. Può sbagliarsi anche sui sensibili comuni, come per esempio nel giudicare della
grandezza di una figura (come quando la luca ci sembra piccolissima). Inoltre può
ingannarsi per accidens quando pensa che il miele sia fiele per la somiglianza del colore.

L’intelletto non si inganna quanto alla conoscenza della quiddità delle cose, né per quanto
riguarda le conoscenze del senso comune come per esempio i primi principi. Inoltre
l’intelletto non può ingannarsi a causa di difetti dell’organo perché non c’è organo per
l’intellezione. Può invece sbagliarsi nel formulare la definizione.

Ontologia, gnoseologia e antropologia

In questa lezione abbiamo potuto vedere come la gnoseologia della filosofia cristiana
dipenda dall’ontologia e anche dalla antropologia. Senza una ontologia e una antropologia
adeguate, può finire che della conoscenza facciamo solo una analisi materiale e finiamo
per essere dei materialisti. Ontologia, antropologia e gnoseologia convergono nel dire che
chi conosce è l’anima intellettiva e siccome una facoltà superiore è in grado di esercitare le
funzioni anche di quelle inferiori, si può dire che anche a conoscere con i sensi sia, in
fondo, l’nima. A sua volta la gnoseologia spiega tutto ciò dal suo punto di vista e, fondata
sulla ontologia e sull’antropologia, dà a queste il proprio contributo. Infatti, proprio perché
l’anima è capace di una conoscenza completamente immateriale, come abbiamo visto, si
può dire che essa sia una sostanza sussistente. Riporto qui questa conclusione contenuta
nell’articolo 2 della questione 75 della Summa di San Tommaso d’Aquino:

“Dobbiamo necessariamente affermare che il principio dell’operazione intellettiva,


cioè l’anima dell’uomo, è incorporeo e sussistente. Infatti è noto che l’uomo con la sua
intelligenza può conoscere la natura di tutti i corpi. Ora, chi ha la facoltà di conoscere delle
cose non deve possederne alcuna nella sua natura: poiché quella che fosse insita in lui per
natura impedirebbe la conoscenza delle altre; come vediamo che la lingua dell’infermo,
quando è infettata di umore bilioso e amaro, non può percepire il dolce, ma tutto le sembra
amaro. Se dunque il principio intellettivo avesse in se stesso la natura di qualche corpo,
non potrebbe conoscere tutti i corpi. Ma ogni corpo possiede una natura determinata,
quindi è impossibile che il principio intellettivo sia un corpo. Parimenti è impossibile che
esso intenda mediante un organo corporeo, perché anche la natura di quell’organo
materiale impedirebbe la conoscenza di tutti i corpi; se infatti un determinato colore, oltre ad
essere nella pupilla al momento della conoscenza, è anche nel vaso di vetro, i liquidi in
esso versati appariranno sempre dello stesso colore. Il principio intellettivo dunque,
chiamato mente o intelletto, ha un’attività sua propria, alla quale il corpo non comunica.
Ora, nessuna cosa può operare per se stessa se non sussiste per se stessa.
L’operazione infatti non compete che all’ente in atto, per cui una cosa opera in conformità
col suo modo di esistere. Per cui non diciamo che ciò che riscalda è il calore, ma il corpo
caldo. Rimane dunque dimostrato che l’anima umana, la quale viene chiamata mente
o intelletto, è qualcosa di incorporeo e di sussistente”

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