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Lezioni di
Chirurgia Plastica
Hanno collaborato:
G. Zoccali
G. Orsini
E. R. Angelone
Presentazione
Questo libro, preparato con l’obiettivo di presentare i concetti essenziali della
Chirurgia Plastica, in modo semplice e chiaro, potrà garantire agli studenti
un’adeguata preparazione nello specifico ambito chirurgico di riferimento,
riuscendo anche a mettere in evidenza, laddove necessario, i richiami a
discipline di base come la biologia, l’anatomia, la fisiologia. Alla luce della
costante evoluzione delle scienze biomediche che ha comportato una
rivisitazione completa e complessa della medicina, mantenere questo proposito
è stato realmente un formidabile impegno da parte dell’Autore.
La scienza non è statica e l’aggiornamento è un aspetto fondamentale che
deve essere condiviso dagli esperti di un settore particolarmente dinamico come
quello della Chirurgia Plastica e dagli studenti che devono comprendere la
necessità di raggiungere costantemente nuovi gradi di apprendimento.
Nel complimentarmi sinceramente con l’Autore, Maurizio Giuliani, Professore
di Chirurgia Plastica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università
dell’Aquila, per la capacità di sintesi e, nel contempo, la completezza degli
argomenti trattati, sono certa che gli studenti e gli specializzandi che
utilizzeranno questo testo, sapranno apprezzare il senso armonico che emerge
dall’analisi degli argomenti affrontati e la particolare fluidità della loro
lettura, condizioni che rendono semplice e gradevole lo studio di una
specialistica complessa come la Chirurgia Plastica.
1. Introduzione pag. 1
2. Anatomia e fisiologia della cute pag. 5
3. Biologia della cicatrizzazione pag. 11
4. Incisioni chirurgiche e suture pag. 18
5. Le ferite difficili pag. 24
6. Cicatrici patologiche pag. 36
7. Innesti e lembi pag. 39
8. Ustioni e congelamenti pag. 55
9. Tumori maligni della cute pag. 69
10. Anomalie vascolari pag. 76
11. Malformazioni congenite pag. 86
12. Patologie della mano pag. 99
13. Patologie della mammella pag. 106
14. Lesioni da radiazioni ionizzanti pag. 123
15. Laserchirurgia cutanea pag. 126
16. L’invecchiamento cutaneo pag. 135
17. Argomenti di Chirurgia Estetica pag. 145
18. Principi di Anestesia pag. 160
Introduzione
CENNI STORICI
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Introduzione
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Introduzione
venerata come la più antica d'Europa, e si forma con gli insegnamenti, fra gli altri, di
G.C. Aranzio e sul voluminoso trattato di Andreas Vesalius "Il tessuto del corpo
umano". Nel 1570 si laurea e viene immediatamente nominato professore di anatomia
e chirurgia e nel 1576 riceve la seconda laurea, in Filosofia, diventando membro del
Collegio di Medicina e Filosofia. Lo studio e la ricerca delle tecniche di ricostruzione
del naso erano già state fortemente stimolate in Italia da diversi fattori: le guerre, i
duelli all'arma bianca per le strade, la sifilide e la legge di Sisto V che infliggeva
l'amputazione del naso ai ladri ed alle donne adultere. Qualunque fosse l'influenza,
Tagliacozzi dal 1586 in poi approfondì questi studi con forte spirito critico,
evidenziando gli errori dei suoi predecessori sull'uso del muscolo dell'avambraccio e
respingendo le critiche di Ambroise Paré che lo definiva un intervento troppo
doloroso e difficile. Il lavoro di Tagliacozzi culmina nel 1597 con la pubblicazione del
suo "De curtorum chirurgia per insitionem" che può essere considerato una pietra
miliare nella storia della Chirurgia Plastica mondiale. Il libro divenne rapidamente un
best-seller chirurgico dell'epoca e Gaspare Tagliacozzi era al culmine della notorietà
nelle alte sfere accademiche ma nel 1599, all'età di soli 54 anni, morì
improvvisamente, lasciando alle sue spalle una pesantissima eredità. Di fatto il suo
brillante genio giacque sepolto per più di 2 secoli prima di essere riscoperto. Come
tutti gli uomini di grande intelletto, aveva avuto grandi intuizioni ed era proiettato
nel futuro. Nonostante fosse scoraggiato da tutti, perseguì le proprie idee aprendo la
strada a nuove frontiere chirurgiche fino ad allora impensabili e ponendo le
fondamenta della moderna chirurgia ricostruttiva. Dopo il grande fermento
scientifico culminato con le opere di Tagliacozzi, la Chirurgia Plastica Italiana
conobbe un lungo periodo di oscurantismo che durò più di 2 secoli a causa
soprattutto di osteggiamenti di stampo etico e religioso da parte della Chiesa
Cattolica che considerava questo tipo di chirurgia non necessaria, voluttuaria e
"peccaminosa". Verso la fine del XVIII secolo, e per tutto il XIX, si assiste ad una lenta
e graduale ripresa della specialità con Giuseppe Costantino Carpue, Canella,
Signoroni, Fabrizi, Baroni, Petrali, Clementi, Cappelleti, Vanzetti, Fuschini,
Veronese, Chiminelli e Porta. Si arriva così agli inizi del XX secolo quando compare
un'altra pietra miliare della storia della chirurgia plastica: Gustavo Sanvenero
Rosselli. Il Chirurgo nacque in Liguria nel settembre del 1897, nel 1926 lasciò la
Clinica Chirurgica diretta da Malan a Torino per trasferirsi a Parigi da Lemaitre dove
conobbe Ferris Smith. Ebbe frequenti contatti con Joseph a Berlino, Burian a Praga,
Gillies a Londra, Morestin, Limberg e molti altri. Alla fine raggiunse Milano dove
rilevò il Dipartimento di Stomatologia. Nel 1932 scrisse il libro "La chirurgia plastica
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Introduzione
del naso", nel 1934 "La divisione congenita del labbro e del palato". Nel 1936, a
Berlino, propose una nuova tecnica di riparazione della palatoschisi e durante la
Seconda Guerra Mondiale operò al Baggio di Milano ed a Lecco con Bosio e Castoldi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale trasformò il Dipartimento di Stomatologia e fondò
il "Padiglione Mutilati del Viso" ideato per le vittime della guerra. Grazie al suo
entusiasmo la specialità acquisì definitivamente la propria identità, sebbene
nell’immaginario collettivo vi fosse ancora diffidenza e si tentasse di gettare
discredito sulla disciplina chiamandola "la chirurgia della bellezza". Nel 1956 fondò in
Italia la prima Scuola di Specializzazione, prima a Torino e poi a Milano e grazie a
questo la chirurgia plastica ricevette il riconoscimento ufficiale, raggiunse dignità
scientifica e divenne materia di insegnamento. Gustavo Sanvenero Rosselli morì il 17
marzo del 1974, lasciando ai posteri la disciplina che aveva tanto amato,
profondamente trasformata dalle sue opere. Fu un chirurgo di eccezionale abilità
tecnica, dotato di creatività ed immaginazione, uomo di grande cultura e di grande
perseveranza nel raggiungimento dei propri scopi. Fu un grande pioniere della
moderna Chirurgia Plastica e gli specialisti italiani contemporanei si devono
considerare tutti suoi figli o nipoti.
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Anatomia e fisiologia della cute
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Anatomia e fisiologia della cute
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Anatomia e fisiologia della cute
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Anatomia e fisiologia della cute
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Anatomia e fisiologia della cute
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Anatomia e fisiologia della cute
pilifero dalle cui cellule (cellule della matrice pilifera) originano il fusto del pelo e la
guaina interna. Il fusto del pelo a sua volta è costituito da tre strati concentrici quali
cuticola e corticale, i più esterni e con funzione di sostegno, e una porzione centrale
chiamata midollare. Nel complesso il pelo è contornato da tre diverse guaine che
dall’esterno verso l’interno sono la guaina perifollicolare, la guaina esterna e la
guaina interna.
Muscolo erettore del pelo: è un piccolo muscolo liscio annesso al follicolo
pilifero la cui contrazione favorisce lo svuotamento della ghiandola sebacea e
l’erezione del pelo.
Unghie: sono costituite da una lamina dura di cheratina (lamina ungueale) e
da alcuni tessuti strutturalmente e funzionalmente ad essa connessi (matrice
ungueale, letto ungueale, perinichio, iponichio). La lamina ungueale è una
formazione cornea in continuo rinnovamento. Ha un aspetto ovoidale, una superficie
liscia o lievemente convessa e si localizza in regione dorsale delle falangi distali. E’
adagiata sul letto ungueale, strutturalmente costituito da epitelio squamoso
cheratinizzato ed è circondata prossimo-lateralmente da una piega cutanea
denominata perinichio. La lamina ungueale origina dalla matrice ungueale il cui
epitelio germinativo è localizzato al di sotto della porzione prossimale del perinichio,
mentre all’estremità delle dita è separata dalla cute del polpastrello tramite un
solco denominato iponichio.
La cute può essere considerata un vero e proprio organo che svolge numerose e
complesse funzioni:
- rivestimento e protezione. Ricoprendo completamente la superficie corporea e
grazie ad alcune caratteristiche quali l’elasticità e la resistenza, la cute svolge
funzione di protezione verso insulti di natura meccanica (traumi), chimica (acidi,
alcali) e fisica (raggi ultravioletti, corrente elettrica). Rappresenta anche la prima
barriera nei confronti degli agenti patogeni, svolgendo sia un ruolo di passiva
opposizione fisica che un’attiva sorveglianza immunitaria.
Termoregolazione: la cute agisce sia da regolatore termico che da isolante.
Un’importante quota di calore viene rimossa dall’organismo per mezzo
dell’evaporazione del sudore, mentre l’alternarsi di vasocostrizione e
vasodilatazione determina un rapido cambiamento della portata ematica capillare in
relazione alla temperatura dell’ambiente esterno. Grazie poi alla bassa capacità
termica del pannicolo adiposo la cute avvolge ed isola l’intero organismo
consentendo di mantenere costante la temperatura corporea interna.
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Anatomia e fisiologia della cute
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Biologia della cicatrizzazione
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Biologia della cicatrizzazione
sutura o altro mezzo meccanico. Il metabolismo del collagene provvede alla forza
tensile lungo i margini della ferita quando la sintesi è normale. Gli enzimi
metalloproteinasi della matrice regolano il collagene e la degradazione della matrice
extracellulare e permettono il rimodellamento della ferita lasciando una cicatrice
relativamente sottile. La riepitelizzazione provvede alla copertura della ferita ed
agisce come una barriera contro la colonizzazione batterica.
Guarigione per prima intenzione ritardata
La guarigione per prima intenzione ritardata si manifesta quando una ferita è lasciata
aperta perché inquinata o infetta. La cute ed i tessuti sottocutanei restano esposti e
vengono suturati quando la ferita è detersa. Dopo 3 o 4 giorni i fagociti, accorrendo
nella lesione, danno inizio all’angiogenesi e le cellule infiammatorie presenti
distruggono i batteri. I bordi della ferita sono avvicinati dopo diversi giorni. Il
metabolismo del collagene non è disturbato e si sviluppa una forza tensile che
favorisce la chiusura immediata.
Guarigione per seconda intenzione
Nella guarigione per seconda intenzione la ferita rimane aperta e si chiude per la
contrazione e la riepitelizzazione dei bordi, la lesione si riduce ed incominciano a
definirsi i meccanismi di questo processo. I miofibroblasti, comunque, si pensa
giochino un ruolo importante. Questa cellula è descritta come una cellula che
presenta caratteristiche e proprietà strutturali tra un fibroblasto ed una cellula
muscolare liscia. I miofibroblasti derivano dai fibroblasti e sono presenti nella fase di
contrazione della ferita, contengono un sistema di microfilamenti di actina ben
definiti: beta e gamma. Le cellule appaiono nella ferita approssimativamente il terzo
giorno dopo la sua formazione e aumentano di numero fino a raggiungere un livello
massimo tra il decimo ed il ventunesimo giorno per scomparire quando la contrazione
è completa. Esiste una correlazione diretta tra il numero dei miofibroblasti e
l’estensione della contrazione della ferita.
Guarigione della ferita a spessore parziale
La lesione a spessore parziale interessa la parte superficiale del derma e può guarire
con la riepitelizzazione. Le cellule epiteliali con gli annessi dermici, follicoli piliferi e
ghiandole sebacee si replicano fino a coprire il derma esposto. Si deposita una
minima quantità di collagene e manca la contrazione della ferita.
Il processo di guarigione delle ferite avviene con una cascata sequenziale ed ordinata
di cellule attive che hanno una funzione di fagocitosi, chemiotassi, mitogenesi,
sintesi di collagene e sintesi di altre componenti della matrice. Una soluzione di
continuo dei tessuti comporta il sanguinamento, la coagulazione, l’infiammazione, la
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Biologia della cicatrizzazione
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Biologia della cicatrizzazione
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Biologia della cicatrizzazione
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Biologia della cicatrizzazione
principali di GAG che fanno parte della struttura tissutale e della cicatrizzazione:
condroitinsolfato, eparan solfato, cheratan solfato e acido ialuronico. L’acido
ialuronico (HA) è una sequenza periodica di disaccaridi senza nucleo proteico e
solfurico,questo si forma nella ferita molto prima degli altri tre GAG, tutti questi
composti sono solfatati e hanno un nucleo proteico. Il ruolo dei proteinglicani nella
cicatrizzazione della ferita è poco conosciuto, sembra che inducano una
iperidratazione che facilita la mobilità cellulare, probabilmente forniscono le
proprietà viscoelastiche del tessuto connettivo normale. Solo recentemente
incomincia ad essere chiaro che molti fattori di crescita sono responsabili della
modulazione della risposta infiammatoria. L’ identificazione di questi fattori ha
ampliato la conoscenza del processo di cicatrizzazione e può inoltre permettere la
manipolazione della guarigione delle ferite. I fattori di crescita possono essere
mediati da funzioni cellulari coinvolti nella cicatrizzazione, questi sono costituiti da
proteine, di peso compreso tra 4.000 e 60.000 Daltons che interessano l’attività
cellulare quando sono presenti in piccole concentrazioni. Questi inviano un messaggio
biochimico particolare ad uno specifico bersaglio cellulare attraverso uno specifico
recettore di membrana. I fattori di crescita possono influenzare la funzione cellulare
attraverso molti differenti meccanismi endocrini, paracrini, autocrini ed olocrini. I
fattori di crescita endocrini sono prodotti da una cellula e quindi trasportati
attraverso il circolo in una sede distante dove agiscono. I fattori paracrini sono
prodotti da una cellula adiacente alla sede in cui il fattore agisce. I fattori di crescita
autocrini sono rilasciati dalla stessa cellula sulla quale agiscono. Infine i fattori di
crescita olocrini si comportano come la cellula che li ha prodotti. La maggior parte
dei fattori di crescita nella cicatrizzazione agiscono in maniera autocrina e paracrina.
I fattori di crescita coinvolti nella guarigione della ferita e meglio caratterizzati
comprendono l’ EGF, il PDGF, il FGFs acido e basico, il TGF-β, TGF-α, IL-1, e TNF-α.
Il fattore di crescita epiteliale è un polipeptide costituito da 53 amminoacidi ed è
stato isolato dalle ghiandole salivari del topo. Si trova in un gran numero di tessuti e
viene rilasciato durante la degranulazione delle piastrine. Le cellule epiteliali hanno
il più grande numero di recettori per l’EGF; inoltre recettori sono presenti anche
nell’endotelio, nei fibroblasti e nelle cellule della muscolatura liscia. L’EGF esercita
un’azione chemiotattica sulle cellule epiteliali, endoteliali e sui fibroblasti, e i
fibroblasti si comportano come uno stimolante mitogeno per questi tipi di cellule.
Oltre questo effetto sulle cellule epiteliali e sulla riepitelizzazione l’EGF stimola
l’attività angiogenetica e quella collagenasica. I fattori di crescita del fibroblasto
sono stati in origine descritti come mitogeni per le cellule mesenchimali, ma in
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Biologia della cicatrizzazione
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Incisioni chirurgiche e suture
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Incisioni chirurgiche e suture
Quando infine si vuole ottenere precisione e delicatezza con brevi incisioni, come sul
viso, il bisturi verrà impugnato come una penna. Diversamente da quanto accade per
le ferite accidentali, nell'incisione programmata per un determinato intervento il
chirurgo ha di solito la possibilità di scegliere la direzione della ferita (e quindi della
successiva cicatrice). Ciò è molto importante, perché la cute presenta delle linee di
elasticità o di tensione lungo le quali conviene praticare l'incisione per ottenere una
miglior cicatrizzazione. Il primo a studiare e descrivere minuziosamente questa serie
di linee fu Langer, da cui prendono il nome. Le linee di Langer sono disposte
perpendicolarmente alla direzione della contrazione dei muscoli sottostanti alla
cute, perché, come hanno rilevato Kraissl e Conway a proposito delle rughe del
volto, le pieghe cutanee sono determinate dal fatto che la cute non segue il muscolo
nel suo accorciamento. La cicatrice situata in tali pieghe tenderà ad essere
dissimulata dalla loro presenza ed in ogni caso la sua evoluzione nel tempo non
porterà alla retrazione. Giova qui ricordare che le linee di Langer al viso coincidono
con le pieghe cutanee dovute alla mimica e con le eventuali rughe, mentre a livello
delle articolazioni coincidono con le pieghe articolari. Quest' ultimo fatto è
importante soprattutto nella faccia palmare della mano e delle dita, dove è d'obbligo
evitare di attraversare con l'incisione chirurgica le pieghe articolari per non creare
danni funzionali con la successiva cicatrice un evento traumatico o da un'incisione
chirurgica. In chirurgia plastica essa assume un'importanza particolare, perché la sua
qualità può condizionare pesantemente la riuscita di un intervento. Per eseguire una
sutura corretta bisogna margini della ferita chirurgica per tutta la sua lunghezza e
per tutto il suo spessore, evitando al massimo ogni tensione sul piano cutaneo ed
ogni infossamento con la ricostruzione accurata dei piani profondi. Si otterrà così che
i labbri della ferita giungano quasi a collabire ed i punti di sutura cutanei avranno il
solo compito di mantenerli delicatamente a contatto senza provocare ischemie
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Incisioni chirurgiche e suture
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Incisioni chirurgiche e suture
Tecniche di sutura
Classicamente si distinguono due grandi gruppi fra i vari tipi di sutura: la sutura a
punti staccati e la sutura continua.
Sutura a punti staccati
È il tipo più usato ed è costituita da una serie di punti che affrontano i margini della
ferita giacendo in direzione perpendicolare ad essa. L'ago deve penetrare nella cute
perpendicolarmente, a qualche millimetro dal margine cruento, approfondendosi nel
sottocute parallelamente al margine di
sezione; nel margine opposto della ferita
l'ago penetra nel sottocute prima e viene
fatto fuoriuscire poi dalla cute con le
stesse modalità, badando che la distanza
fra il foro dell'ago ed il margine sia
eguale sui due labbri della ferita, onde
evitarne slivellamenti. Quando però i due margini sono asimmetrici, non hanno
eguale spessore o sono sezionati a becco di flauto anziché perpendicolarmente, per
ottenere l'affrontamento senza slivellamenti sarà necessario comprendere nel punto
maggior quantità di tessuto sul labbro meno mobile della ferita ovvero su quello più
spesso o sezionato ad angolo ottuso. Il filo, una volta passato nei due margini, sarà
annodato lateralmente alla linea d'incisione cutanea, ad evitare che il nodo decubiti
direttamente sulla ferita. Esso dovrà avere giusta tensione e mai essere troppo
stretto per non provocare ischemie del tratto di cute compreso nel punto: è meglio
dare qualche piccolo punto in più, piuttosto che applicare pochi grossi punti annodati
strettamente, i quali nel migliore dei casi lasceranno un segno là dove il filo ha
decubitato sulla cute. Vi sono alcune varianti di questo tipo di sutura con
caratteristiche particolari.
Sutura punti staccati marginali di Dufourmentel
L'ago viene introdotto nel labbro
della ferita esattamente al
margine della superficie
cruenta, poi si approfonda
obliqua-mente nel sottocute per
passare simmetricamente sul
labbro opposto della ferita. Non
si causa ischemia per
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Incisioni chirurgiche e suture
compressione da parte dei fili né restano segni del passaggio dell'ago sulla cute e la
cicatrice quindi resta quasi invisibile.
Sutura a punti staccati ad U
Particolarmente utile quando si debba
esercitare una certa trazione o si
debbano affrontare margini di spessore
molto diverso.
Il punto a U orizzontale si esegue dando
un primo punto semplice con le modalità
descritte; lateralmente ad esso, con la
stessa distanza dai margini, si esegue un secondo punto di ritorno in modo da
annodare i fili sullo stesso lato della ferita.
Nel punto a U verticale la seconda ansa del filo, anziché essere a lato della prima,
giace al davanti di essa, più vicina al margine della ferita. In entrambi i casi, se la
tensione esercitata sui labbri della ferita è notevole, può essere utile interporre fra
le anse del filo e la cute piccoli rotoli di garza o garza vasellinata per evitare che
decubitino sulla cute. Per un
affrontamento più preciso dei margini
cutanei è utile il punto a U di Blair-
Donati, che è un punto a U verticale la
cui seconda ansa attraversa solo
l'epidermide e il derma: con la prima
ansa si avvicinano i tessuti profondi, con
la seconda i margini cutanei giungono a combaciare perfettamente.
Sutura continua.
Nata per i tessuti profondi, si può applicare anche alla cute; è più rapida di quella a
punti staccati, ma a volte a scapito della precisione nell'affrontamento dei margini e
del risultato estetico.
Sutura continua semplice a sopraggitto
Si dà un primo punto, che viene annodato
subito, perpendicolarmente alla ferita; si
prosegue quindi senza tagliare il filo,
facendogli percorrere un tragitto a spirale
nel quale l'ago viene sempre infisso
perpendicolarmente alla ferita, mentre il
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Incisioni chirurgiche e suture
filo giace obliquamente ad essa in superficie. L'ultimo punto viene annodato con il
primo perpendicolarmente alla linea di sutura con l'ultima ansa del filo.
Sutura continua con punti a materassaio
E’ in pratica costituita da una serie di punti a U orizzontali applicati l'uno accanto
all'altro senza mai interrompere il filo ed annodando solo il primo e l'ultimo di essi.
E’più precisa della precedente nell'affrontamento dei margini e dà di solito un
risultato estetico migliore.
Sutura continua intradermica
E’ forse la sutura di maggior interesse per il chirurgo
plastico. Con essa si possono ottenere risultati estetici
veramente soddisfacenti ed attualmente (anche per
l'ottima qualità del materiale di sutura oggi disponibile)
viene usata con sempre maggior frequenza. Si esegue con
monofilamento di nylon o di acciaio che non provocano
reazione nel derma, non si imbibiscono e si sfilano
facilmente a breve distanza di tempo. Il filo viene fatto passare alternativamente da
un margine all'altro della ferita infiggendo l'ago nel derma e quindi teso facendo
trazione sulle due estremità, che vengono fissate alla cute con cerotti o annodate.
Dopo una settimana, per taluni anche solo 3-4 giorni, il filo può essere rimosso e
sostituito con semplici cerottini embricati sulla linea cicatriziale. Questo tipo di
sutura non può essere applicato quando l'incisione non è rettilinea o i margini della
ferita sono in tensione.
Tecnica di sutura-non-sutura,
consiste nell'affrontare i margini cutanei di una ferita
senza far uso di ago e filo ma con l’utilizzo di specifici
cerotti di carta che vengono applicati secondo le linee di
trazione della cute. Naturalmente può essere utilizzata
solo in caso di ferite non molto profonde, poco estese,
lineari ed in sedi esposte.
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Le ferite difficili
LE FERITE DIFFICILI
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Le ferite difficili
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Le ferite difficili
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Le ferite difficili
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Le ferite difficili
buon esito della guarigione. Nel letto delle ferite croniche, probabilmente a causa
dell’effetto proinfiammatorio del tessuto necrotico e di una pesante carica batterica,
si osservano profonde modificazioni a livello cellulare e biochimico tra cui un
aumento dei livelli delle proteasi che degradano la matrice extracellulare appena
formata. Ne risulta una compromissione della migrazione cellulare e della
deposizione di tessuto connettivo. Si ritiene che le ulcere venose si “arrestino” alla
fase infiammatoria e che quelle diabetiche non vadano oltre la fase proliferativa.
Nelle ferite acute la secrezione delle molecole della matrice extracellulare (come la
fibronecfina e la trombospondina) ha un andamento ben definito. Nelle ferite
croniche sembra esserci una iperproduzione di molecole della matrice come
conseguenza di una sottostante disfunzione e di un’alterata regolazione cellulare . Il
fibrinogeno e la fibrina sono ben presenti nelle ferite croniche e si ritiene che queste
e altre macromolecole si leghino ai fattori di crescita e ad altre molecole che hanno
un ruolo nel favorire la riparazione della ferita. Così i fattori di crescita, seppur
presenti nella ferita in grande quantità, possono venire intrappolati e quindi non
essere disponibili per il processo di riparazione. I fibroblasti del derma producono
importanti proteine della matrice quali la fibronectina, le integrine ed il collagene
con cui formano una lamina basale sulla quale migrano i cheratinociti. Una scarsa
responsività di queste cellule può dunque ritardare notevolmente la riepitelizzazione
della ferita. Vari studi hanno analizzato l’essudato delle ferite croniche al fine di
comprendere i meccanismi che provocano l’arresto della guarigione. Molti altri sono
in corso per valutare se alcuni componenti possano rappresentare marker di facile
misurazione in grado di guidare le decisioni cliniche e monitorare la risposta al
trattamento. Parecchi dati dimostrano che l’essudato, rispecchiando la produzione
da parte del tessuto per la maggior parte dei suoi componenti, è sufficientemente
attendibile nel fornire informazioni sulla composizione dell’ambiente della ferita.
L’esame dell’essudato ha rivelato che il letto delle ferite croniche è esposto a un
ambiente ipossico e proteolitico che degrada i componenti della matrice
extracellulare e in cui vi è un’espressione di mediatori chimici dell’infiammazione
maggiore che nelle ferite acute. Per esempio le ulcere venose delle gambe devono
essere considerate una condizione di infiammazione cronica, come dimostra il fatto
che l’essudato da queste prelevato contiene un’elevata concentrazione di
interleuchine, proteasi e radicali liberi dell’ossigeno se comparato con quello delle
ferite acute. Lo stress ossidativo, in particolare, potrebbe essere implicato nella
patogenesi delle ulcere croniche, rendendosi responsabile del danno di molti
costituenti biochimici che intervengono nel normale processo di guarigione.
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Le ferite difficili
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Le ferite difficili
taglio. Individualmente ciascuno di questi fattori non porta alla formazione di una
ulcera ma in combinazione con la pressione senza sollievo, può dare origine ad un
danno irrevetsibile dei tessuti. Il sistema di classificazione più comunemente
accettato è quello della Conferenza di Sviluppo del Comitato Consultivo Nazionale
per l’accordo sulle Piaghe da Pressione (1989).
Stadio Descrizione
Stadio I Cute intatta ma arrossata per più di 1 ora dopo rilascio della pressione
Stadio II Flittene o altra interruzione del derma + infezione
Stadio III Distruzione sottocutanea del muscolo + infezione
Stadio IV Coinvolgimento dell’osso o articolazione + infezione
Nel corso degli ultimi 25 anni sono stati effettuati molti studi per determinare
l’incidenza delle piaghe da pressione che coinvolge circa il 9% di tutti i pazienti
ospedalizzati. Comunemente citata in tutti gli studi è la loro associazione con altri
problemi clinici, includendo malattie cardiovascolari (41%), malattie neurologiche
acute (27%) e lesioni ortopediche (15%). In aggiunta a questi, l’età è un fattore
associato. Da un punto di vista eziopatogenetico la pressione è il fattore eziologico
più importante. La compressione sui tessuti molli dà origine ad un’ischemia che, se
non rilevata, evolve verso la necrosi e l’ulcerazione e nei pazienti a rischio, questa
sequenza di eventi può essere accelerata da altre fonti endogene come l’infezione, il
diabete, una condizione neurologica alterata. Di tutte le ulcere da pressione, il 96%
insorge al di sotto della linea dell’ombelico ed il 75% sono localizzate intorno alla
cintura pelvica. Landis nel 1930 determinò la pressione dei capillari sanguigni in un
singolo capillare che varia da 12 mm Hg, alla terminazione venosa, a 32 mm Hg alla
terminazione arteriosa: se la forza di compressione esterna supera la pressione del
letto capillare la perfusione è compromessa e si svilupperà un’ischemia. Tuttavia
questo effetto non è istantaneo ma esiste una relazione inversa tra il grado di
pressione ed il tempo richiesto per l’insorgenza. Altri elementi importanti nella
genesi della piaga da decubito sono l’infezione, l’edema e la denervazione locale: il
rapido indice di decadimento cutaneo che si osserva nelle piaghe da pressione è
segno di un processo batterico poichè la cute compressa ha una minore resistenza
all’invasione batterica. La cute compressa e denervata diventa edematosa a causa di
molti processi: una volta che la pressione esterna supera 12 mm Hg le vene diventano
turgide e la pressione totale del tessuto aumenta con uno stravaso di plasma ed
edema locale. La presenza di tessuto denervato aggrava ulteriormente questo
processo con la perdita del tono simpatico dei vasi sanguigni. Inoltre l’edema è anche
il risultato di mediatori infiammatori rilasciati in risposta al trauma della
compressione. La normale omeostasi tra la PGF e le PGE è modificata in favore della
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Cicatrici patologiche
CICATRICI PATOLOGICHE
Cicatrice ipotrofica
La cicatrice atrofica o ipotrofica è determinata da una diminuita produzione di
tessuto di granulazione e da una ritardata epitelizzazione secondaria a fattori
esogeni (deficit alimentari, infezioni, corpi estranei, fenomeni compressivi) ed a
fattori endogeni (turbe circolatorie, malattie metaboliche, patologie cutanee,
malattie infettive croniche, deficit immunitari). Clinicamente si presenta come
un’area depressa traslucida, ipopigmentata, talvolta marezzata per la presenza di
teleangectasie periferiche, con occasionali ulcerazioni. La cicatrice atrofica è
particolarmente possibile nei pazienti affetti da diabete mellito: dati sperimentali
indicano che non è l’iperglicemia che inibisce la guarigione della ferita ma,
piuttosto, la mancanza di insulina. Altre anormalità manifestate nei diabetici
comprendono un deterioramento dei fibroblasti, della proliferazione delle cellule
endoteliali, della epitelizzazione, una riduzione del deposito di collagene ed una
ridotta forza della cicatrice. Fattori ambientali possono contribuire alla normale
guarigione della ferita. Tutti i fattori richiesti per una normale sintesi del collagene
(ossigeno, amminoacidi essenziali, adeguata energia calorica per permettere la
sintesi delle proteine) sono condizione indispensabile per un fisiologico iter
cicatriziale: l’ascorbato (vitamina C) è un cofattore richiesto per l’idrossilazione
della prolina e la lisina durante la formazione del collagene. La sua carenza
(scorbuto) può causare una inadeguata produzione di collagene idrossilato, che è
degradato rapidamente o non riesce a formare legami crociati adeguati. Basse
concentrazioni di elementi quali zinco, rame e ferro interferiscono con la guarigione
così come alcuni farmaci (steroidi e sostanze antineoplastiche) interagiscono
negativamente con la proliferazione cellulare o la
sintesi delle proteine. Una parte significativa nel
turnover tissutale nella cicatrizzazione normale è
mediata dagli elementi della matrice del gruppo delle
metalloproteinasi (MMP). Le MMPs costituiscono un
gruppo di endopeptidasi zinco-dipendenti che includono
le collagenasi, le gelatinasi e le stromelisine. Un aumento del turnover della matrice
extracellulare può ostacolare il normale sviluppo del tessuto cicatriziale.
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Cicatrici patologiche
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Cicatrici patologiche
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Innesti e lembi
INNESTI E LEMBI
Innesti o trapianti
Classificazione
Gli innesti di tessuti possono essere classificati in base:
1. al rapporto esistente tra donatore e ospite;
2. in rapporto alla sede di impianto rispetto alla sede di origine;
3. rispetto alle modalità tecniche adottate per l'esecuzione chirurgica del trapianto.
1) Dal rapporto esistente tra donatore e ospite risultano:
a) trapianto autologo, o autotrapianto. Il trapianto è un lembo di tessuto trasferito
da una se de all'altra dello stesso organismo, per cui donatore e ricevente sono la
stessa persona. Esempio di trapianto autologo può essere dato da un lembo di cute
prelevato dalle cosce o dall'addome e trapiantato sul viso o sul le mani dello stesso
paziente. Altro esempio è rappresentato da segmenti tendinei prelevati dal campo
degli estensori dei piedi e trapiantati in funzione di flessori delle mani; altro ancora,
un frammento osseo prelevato dalla tibia o dalla spina iliaca antero-superiore e
trapiantato nelle mani o sul volto.
b)trapianto omologo: lembo di tessuto trasferito da un individuo all'altro della stessa
specie (fra uomo e uomo, fra ratto e ratto, fra cane e cane). Esempio di trapianto
omologo: lembi cutanei donati dalla madre al figlio a copertura di aree di distruzione
cutanea o lembi di cute di cadavere utilizzati allo stesso scopo nei grandi ustionati.
Tipico esempio di trapianto omologo è rappresentato dai trapianti corneali.
Sempre nel campo degli omoinnesti, il diverso grado di vicinanza genetica esistente
tra donatore e ospite della stessa specie, trova una più precisa classificazione:
trapianto singinesico indica il tessuto trasferito tra diretti consanguinei (da padre o
madre a figlio, per esempio, e viceversa); isotrapianti corrispondono a tessuti
scambiati tra individui consanguinei che, in seguito a prolungate ibridazioni, hanno
raggiunto un alto grado di uniformità genetica; trapianti isoistogenici sono lembi di
tessuto scambiati tra individui consanguinei che hanno raggiunto attraverso
l'ibridazione una completa identità nella qualità, numero e distribuzione dei singoli
elementi genetici. Negli animali risultanti isoistogenici fra di loro l'unico elemento
differenziale è rappresentato dal cromosoma sessuale Y. Non vengono compresi fra
gli omologhi i trapianti scambiati tra gemelli monovulari, perchè risultano dalla
suddivisione di un unico ovocita, pur trattandosi di due distinti individui.
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
di origine (area donatrice), viene trasferito ad altra area (ricevente), sede della
perdita di sostanza cutanea.
Innesti di cute
Per innesto cutaneo si intende un tratto di epidermide e derma di grandezza e
spessore variabili, che, avulso dalle connessioni vascolari con la sua zona di origine
(area donatrice), viene trasferito ad altra area (ricevente), sede della perdita di
sostanza cutanea. (Fig.1)
Fig.1 Tecnica di prelievo cutaneo con il Fig.2: Spessore degli innesti di cute
dermotomo manuale
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Innesti e lembi
che avanzano con sempre maggior facilità nei vasi dell’innesto. In questa fase il
colorito del trapianto è roseo.
c) fase di organizzazione: a partire dal 4°-5° giorno lo strato di fibrina e leucociti
che separa letto ricevente ed innesto viene invaso dai fibroblasti. Saranno questi
elementi del tessuto connettivo i responsabili della minore o maggiore retrazione
cicatriziale successiva. Il colorito dell’innesto in questa fase e nel periodo seguente
si presenta ancora roseo, tendente nel tempo ad assumere un aspetto simile alla cute
circostante. È evidente che gli innesti sottili attecchiscono più facilmente di quelli
spessi o di cute totale: ciò è dovuto al fatto che tali innesti sono in grado di
sopravvivere meglio alla prima fase di imbibizione plasmatica, e che quindi anche la
seconda fase, quella della rivascolarizzazione, può completarsi più rapidamente. Gli
innesti cutanei rappresentano il metodo più largamente in uso per la copertura di
aree cruente di una certa dimensione, esiti di traumi o di ustioni, o come immediata
correzione di deficit tegumentari susseguenti alla exeresi di neoplasie cutanee. Il
loro impiego è altresì utile ed, a volte, indispensabile, nella correzione di aree
cicatriziali o in caso di cicatrici retraenti, soprattutto a livello delle superfici
articolari. Si utilizzano generalmente innesti cutanei di spessore sottile o medio nei
casi in cui la copertura rappresenta una necessità immediata; esempio tipico è
rappresentato dalle perdite di sostanza cutanea post-traumatiche, laddove si è in
presenza di un letto ricevente non sufficientemente deterso, e quindi
l’attecchimento di un trapianto di spessore maggiore diverrebbe insicuro. Altri casi
sono rappresentati dalla copertura di piaghe o ulcere torpide, al solo scopo di
favorire o completare la sterilizzazione della lesione (uso temporaneo). Questo tipo
di innesti cutanei viene prelevato facendo uso di una metodica chirurgica
estremamente semplice, potendo disporre de gli strumenti idonei. Le aree donatrici
possono essere le più svariate, ma si preferisce per evidenti ragioni estetiche dare la
priorità alle zone del corpo meno visibili, o meglio più facilmente occultabili. Dette
aree sono le regioni glutee e le superfici anteriori e posteriori delle cosce.
L’innesto di cute totale comprende l’intero spessore della cute. A causa del suo
spessore, questo tipo di trapianto cutaneo, è più lentamente rivascolarizzato,
rispetto agli innesti sottili o medi, e richiede quindi condizioni ottimali, quali un
adeguato apporto ematico e una totale immobilizzazione. Rispetto agli innesti sottili,
la cute totale presenta peraltro diversi vantaggi:
a) ha minor tendenza alla retrazione, soprattutto quando è trapiantato in un’area
dove è notevole la presenza di tessuto mobile e morbido, quali il viso, il collo, le
ascelle;
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
Innesti di cartilagine
Tra i materiali di sostegno, la cartilagine è un tessuto che ben si presta ad essere
utilizzato come innesto, qualora si voglia sfruttare le sue prerogative strutturali di
elasticità, flessibilità e resistenza.
Tuttavia, mentre alcuni decenni addietro era considerata il miglior materiale per
questo scopo, tanto che Gillies lo definiva come «impareggiabile» e Sanvenero
Rosselli «il materiale di gran lunga più adatto»; progressivamente ha perso terreno;
Sanvenero Rosselli, infatti, più tardi afferma che «divide con l’osso il numero delle
indicazioni in fatto del miglior materiale da innestare».
Attualmente, pur essendo ancora uno dei materiali più largamente usati dal chirurgo
plastico, il suo impiego si è andato delimitando a precise indicazioni cliniche nelle
quali pur tuttavia è in grado di fornire sicuri risultati, sia morfologici che funzionali,
restando in questi casi, insostituibile. Non tratteremo in questa sede della biologia
generale di questo innesto né dei suoi vari tipi (omoinnesto, isoinnesto, eteroinnesto
con cartilagine viva, con cartilagine morta) ma soltanto degli innesti autoplastici, gli
unici che abbiano sino ad oggi una valida applicazione clinica secondo il criterio della
«restaurazione biologica» in senso stretto; infatti se si vogliono realizzare condizioni
ottimali di successo, gli innesti cartilaginei dovranno essere autogeni e viventi ed il
materiale di restauro dovrà non solo provenire dall’individuo che ne ha bisogno, ma
anche avere la maggiore identità possibile con quello perduto o che si deve
sostituire. Gli innesti di cartilagine omoplastica, per la loro particolare costituzione
strutturale (cellule immerse nella sostanza fondamentale che le protegge dal
contatto diretto di eventuali cellule linfoidi), sopravvivono per molto tempo e più a
lungo di altri omoinnesti (cute, osso, ecc.), e pertanto vengono utilizzati con una
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Innesti e lembi
certa frequenza, data la facilità del loro prelievo (ad es. settorinoplastica
correttiva), sia come omoinnesti freschi, sia come omoinnesti conservati e posti in
frigorifero a 4 °C.
La cartilagine è un particolare tessuto di origine mesenchimale costituito
fondamentalmente da:
a) sostanze intercellulari (matrice) che contengono fibre collagene ed eventualmente
elastiche, immerse nella sostanza fondamentale, la quale oltre a sostanze proteiche
non specifiche ed una proteina complessa specifica (il condroproteide) il cui gruppo
prostetico (l’acido condroitinsolforico) è un polisaccaride solforato;
b) elementi cellulari (condrociti), contenuti in numero di 1, 2, 3, 4, in particolari
lacune della sostanza intercellulare, che costituiscono la cellula parenchimale
cartilaginea, alla quale è legato il destino dell’innesto stesso.
Caratteristica del tessuto cartilagineo è la completa assenza di vasi nel suo contesto,
come si riscontra nella cornea e nell’epidermide; la sua nutrizione avviene
unicamente per imbibizione mediante scambi osmotici con l’ambiente che lo
circonda: il pericondrio in condizioni normali, l’area ricevente quando diventa
innesto. La facilità di prelievo di questo innesto, la sua relativa abbondanza come
materiale donatore, la possibilità di poter essere con facilità modellato nelle forme
più diverse, la capacità di mantenere costante il suo volume originario, sono
prerogative che lo rendono utile e talora insostituibile. L’innesto di cartilagine
tuttavia non prende mai solida connessione organica con la nuova sede di impianto;
altro svantaggio è che in breve tempo può subire fenomeni di torsione dal lato
pericondrale e ciò può alterare in modo notevole un risultato inizialmente brillante.
Il problema della torsione dell’innesto cartilagineo è stato recentemente studiato ed
almeno in parte ne è stata fornita spiegazione assai attendibile: nella cartilagine
esisterebbero «forze interreagenti» che solo un evento traumatico metterebbe in
evidenza; tali «forze intrinseche deformanti» determinerebbero la anomalia solo
dopo che una lesione o un intervento chirurgico abbiano rotto l’equilibrio delle due
superfici con formazione di zone di tensione e relativa compressione che tendono poi
a perpetuare nel tempo la deformazione. Ottima procedura è quella di modellare
l’innesto in maniera tale da contenere esattamente su ogni lato un eguale strato di
cartilagine sub-pericondrale. Mentre in tutte le varietà di cartilagine le cellule hanno
caratteri pressoché uniformi, sia pur con disposizione e densità diversa, la sostanza
intercellulare si presenta con caratteri fisici e strutturali diversi. Si distinguono così
tre tipi di cartilagine a seconda della natura delle fibrille della sostanza
fondamentale: cartilagine ialina, cartilagine elastica e cartilagine fibrosa.
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Innesti e lembi
Innesti ossei
L’osso è un tessuto connettivo molto differenziato la cui caratteristica durezza è
dovuta ai sali di calcio precipitati nella sostanza fondamentale interposta ad una
densa matrice di fibre collagene. La parte esterna o corticale è formata da osso
compatto, mentre la parte interna è rappresentata da uno spazio virtuale, la cavità
midollare, riempita da midollo osseo e rivestita da una membrana vascolare,
l’endostio. Fra questi due strati è compreso l’osso spugnoso caratterizzato da
trabecole ossee intercalate a midollo. Esternamente l’osso è avvolto da una
membrana fibrosa detta periostio. L’unità strutturale di base del tessuto osseo è
l’osteone; è costituito da lamelle concentriche che circondano un canalicolo
centrale, canale di Havers, nel quale sono presenti vasi sanguigni e fibrille nervose.
Tra le lamelle esistono cavità ovali, le lacune, contenenti gli osteociti i cui
prolungamenti protoplasmatici, attraverso i canalicoli si mettono in contatto con
altri osteociti limitrofi. Gli osteociti prendono origine dagli osteoblasti situati nello
strato profondo del periostio e dell’endostio. Gli osteoblasti assumono proprietà
osteoformative durante lo sviluppo, l’accrescimento ed i processi di riparo del l’osso.
La ricostruzione di perdite di sostanza scheletriche mediante innesti ossei è una
pratica terapeutica frequente e di notevole importanza nella chirurgia ricostruttiva.
Il successo di questo tipo di intervento è legato a fattori di carattere generale, buone
condizioni del paziente, scrupolosa osservazione dell’asepsi, atraumaticità
nell’eseguire le varie manovre. Il processo di guarigione è legato soprattutto a fattori
di carattere biologico: l’osso attecchisce nella nuova sede soltanto se l’innesto è
autologo (autoinnesto), se cioè proviene dallo stesso individuo in cui viene innestato.
L’innesto omologo (omoinnesto), effettuato con osso prelevato da altro individuo
della stessa specie, è soggetto invece ad un processo di riassorbimento e viene
progressivamente ma completamente sostituito da osso neoformato proveniente
dall’ospite. L’innesto eterologo (eteroinnesto), è una pratica di rara applicazione in
chirurgia ricostruttiva. L’esperienza clinica ha dimostrato che l’osso spugnoso
presenta caratteristiche anatomoistologiche più favorevoli all’attecchimento rispetto
all’osso corticale. L’osso spugnoso in fatti stabilisce entro pochi giorni anastomosi
dirette con i vasi sanguigni dell’ospite; la sua particolare struttura e il suo
metabolismo gli permettono di sopravvivere durante le prime ore, sfruttando
l’imbibizione dei liquidi biologici dell’ospite stesso. In queste circostanze parte degli
osteociti sopravvive e mantiene integra la matrice calcificata dell’innesto; gli
osteoblasti riassumono le proprie capacità osteoformative e producono nuovo tessuto
osseo necessario alla riparazione. Nello stesso tempo anche gli osteoblasti
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
infatti, una liponecrosi nel periodo particolare della fase dell’attecchimento, con
grave pregiudizio del risultato.
Innesti di fascia.
La fascia aponeurotica rappresenta un prezioso materiale biologico per la sua
caratteristica resistenza e robustezza. E stato dimostrato che la fascia innestata
attecchisce per la sua maggior parte, ben si adatta alle sollecitazioni meccaniche
nella nuova sede ed è estremamente resistente alle infezioni. Numerose sono le
condizioni patologiche nelle quali è utilizzata con successo: laparoceli postoperatori,
fistole della trachea o dell’esofago, perdite di sostanza del diaframma o delle
meningi, ernie muscolari, paralisi del nervo faciale, ptosi palpebrale, lesioni
tendinee, artroplastiche.
I lembi
Definizione
Con il termine di lembo si intende un artifizio chirurgico che prevede l’allestimento
di porzioni di tessuto (singolo o composto) che viene trasferito da una sede ad
un'altra del corpo dello stesso individuo conservando un peduncolo nutritizio con la
sede del prelievo: il peduncolo sarà permanente (lembo allestito nella immediata
prossimità della zona in cui verrà trasferito) o temporaneo (lembo trasferito in più
tempi ad una zona lontana a quella di prelievo). Le condizioni per il buon esito nel
trasferimento di un lembo peduncolato sono le seguenti:
- un peduncolo vascolare tale da garantire un sufficiente afflusso di sangue
arterioso ed un agevole deflusso di quello venoso (è molto più frequente la necrosi di
un lembo per difetto di circolazione reflua -congestione- che non per insufficiente
apporto di sangue arterioso);
- la forma e le dimensioni proporzionate a quelle del suo peduncolo (la lunghezza
del lembo non deve essere superiore alla larghezza).
Lembi cutanei di vicinanza
Essi vengono scolpiti sulla cute contigua alla perdita di sostanza da ricoprire ed
hanno come caratteristica comune il fatto che il loro peduncolo non verrà reciso
dopo il trasferimento ma rimarrà definitivamente a far parte della nuova situazione.
Classicamente si distinguono:
lembi di scorrimento (Fig.4);
lembi di avanzamento (Fig.5);
lembi di rotazione (Fig.6);
lembi di trasposizione (Fig.7). Fig.4: Lembo di scorrimento
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
sopravvivenza della cute in quanto più che sufficientemente nutrita dai vasi
perforanti miofasciali. In tal modo si sono potuti individuare sulla superficie corporea
tanti distretti autonomi quante sono le zone anatomiche in cui si possa reperire un
muscolo in sede immediatamente sottocutanea. Tali distretti, le isole miocutanee,
traggono quindi nutrimento dal peduncolo vascolo-nervoso del muscolo che offre un
sufficiente apporto sanguigno e neurotrofìco alla massa cutanea sovrastante.
Lembo miocutaneo di m. sternocleidomastoideo
Le regioni che possono essere raggiunte con il trasferimento di questo lembo
corrispondono alla metà omolaterale della regione cefalica (emifaccia, collo e nuca).
E’ inoltre, possibile ricostruire perdite di sostanza ossea della mandibola con il
trasferimento di un segmento di clavicola insieme al lembo. Le controindicazioni
all'uso di questo lembo sono legate all'eventuale presenza di metastasi dei linfonodi
laterocervicali e retrosternomastoidei, al sospetto che precedenti interventi
chirurgici sul collo abbiano compromesso le connessioni vascolari fra la componente
fasciomuscolare e la cute, alla presenza di patologie a carico della tiroide o di altri
organi con sede nel collo, al torcicollo congenito o a facilità a mialgie reumatiche del
muscolo.
Lembo miocutaneo di m. grande pettorale
Il muscolo gran pettorale può fornire un lembo cutaneo di vasta estensione (circa 15
x 25 nell'adulto normotipo) atto a coperture e ricostruzioni di buona parte della
parete toracica anteriore e posteriore, di tutta la regione cervico-facciale ed
endorale. Le controindicazioni di questo lembo sono rappresentate dal suo più
limitato uso in pazienti di sesso femminile (minor superficie cutanea utilizzabile a
causa della mammella e cicatrici deturpanti in tale sede). (Fig.8)
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Innesti e lembi
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Innesti e lembi
Il lembo miocutaneo di muscolo abduttore del V dito del piede, grazie alla sua
mobilità sul peduncolo prossimale, permette la copertura sia della regione
malleolare esterna sia della regione medio-plantare.
Lembi fasciocutanei
Possono essere considerati come lembi cutanei con supporto fasciale (vascolare e
strutturale). Hanno le stesse caratteristiche ma con un diverso rapporto
lunghezza/larghezza, che diviene di 1:3 o più, e non necessitano di autonomizzazione
preventiva. Sono soprattutto indicati per le coperture degli arti dove i muscoli
scheletrici (necessari per i lembi miocutanei) non possono essere disinseriti se non a
scapito di un grave deficit funzionale.
Lembi mio-fasciocutanei
Vengono utilizzati nei casi in cui si voglia ampliare la superficie di un lembo
miocutaneo. Infatti, a causa della disposizione anatomica dei vasi mio-fasciocutanei,
si può ottenere un trasferimento di cute maggiore se, insieme al muscolo, si solleva
parte della fascia adiacente da esso nutrita che a sua volta irrora la pelle ad esso
soprastante. Esempi di questo tipo di lembi sono quelli di muscolo trapezio
orizzontale, che può essere prolungato fino al terzo superiore del braccio se si
solleva in blocco con la fascia deltoidea-brachiale, oppure di grande pettorale che
può essere scolpito fino all'epigastrio.
Lembo fasciocutaneo di fascia surale
Questo lembo può essere considerato come il sostituto del lembo miocutaneo di
gastrocnemio. Di esso conserva i vantaggi e le indicazioni senza i rischi connessi alla
disinserzione dei muscolo vettore. Il lembo di fascia surale è indicato per le
coperture del terzo medio e superiore della gamba; la sua notevole estensione in
larghezza e in lunghezza consente ricostruzioni di deficit cutanei anche importanti. A
causa della sua larghezza, il lembo può essere scolpito anche mediale o laterale per
le più varie esigenze di trasferimento, divenendo, in tal modo notevolmente più
mobile.
Lembo fasciocutaneo di fascia trapezio-deltoideo-brachiale
Si tratta di un lembo indicato per qualsiasi copertura a livello del capo e del collo,
del torace e del dorso (regione del cingolo scapolo-omerale). Le sue possibilità di
trasferimento sono le medesime del lembo miocutaneo di trapezio orizzontale con
prolungamento deltoideo-brachiale ma a differenza di questo non richiede il
sacrificio dei rami orizzontali del muscolo. La notevole lunghezza del lembo (cm 40 x
12) e la sua mobilità consentono ricostruzioni anche del naso e del mento, del vertice
del capo e della regione ascellare.
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Innesti e lembi
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Ustioni e congelamenti
USTIONI E CONGELAMENTI
Ustioni
L’ustione è soluzione di continuo che riconosce diversi gradi di profondità,e agenti
etiologici diversi: liquidi bollenti, fuoco, metalli surriscaldati,energia elettrica, acidi
e alcali. L’azione di danno di tali agenti dipende dall’entità e dalla durata della loro
applicazione. Liquidi a temperature relativamente basse sui 60-70 °C richiedono un
tempo di applicazione relativamente maggiore, rispetto ad un liquido bollente, per
provocare lo stesso ordine di danni. Per produrre quindi lo stesso effetto ustionante
possono agire alte temperature per un tempo minimo, e temperature più basse per
un tempo maggiore. I diversi agenti ustionanti possiedono proprietà caratteristiche
(ossidazione, riduzione, causticazione, idrolisi, ecc.) capaci di condizionare
l’intensità dell’azione lesiva. Risulta ovvio che una grave ustione costituisca uno tra i
più traumatici eventi che si possa affrontare in termini di disagio e di pericolo per la
vita. Recenti statistiche indicano che la frequenza dell’ustione è sorprendentemente
alta. Su 100 ustionati 70 sono di origine domestica e i rimanenti 30 sono da attribuirsi
a cause industriali, di cui le più frequenti sono: getti di ghisa fusa, contatto con
lamine metalliche, esplosione di recipienti contenenti acidi o alcali, fuoco da
benzina o altri liquidi infiammabili. Nell’ambito domestico, predominano le ustioni
da acqua o da altri liquidi bollenti, da vapore acqueo, da fuoco, da esplosioni di gas,
da termofori e impianti di riscaldamento.
Criteri valutativi delle ustioni
Estensione = percentuale della superficie corporea interessata;
Profondità = grado;
Localizzazione = gravità del danno in
testa e collo 9%
rapporto alla importanza funzionale ed
arto superiore destro 9%
estetica della localizzazione
arto superiore sinistro 18%
dell’ustione.
arto inferiore destro 18%
La valutazione estensiva di una ustione
arto inferiore sinistro 18%
può essere fatta in cm2 o calcolando la
regione anteriore del tronco 18%
percentuale di superficie corporea
regione posteriore del tronco 18%
colpita. Il metodo più semplice,anche se
genitali 1%
ne riesce una valutazione approssimativa,
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Ustioni e congelamenti
è quello indicato dallo schema di Wallace, che divide la superficie corporea in aree
rispettivamente del 9% o di multipli del 9:
La profondità di una ustione prevede:
il I grado che può essere causato da un’esposizione prolungata al sole o da un breve
contatto con una fonte di calore più intensa. Caratteristica espressione di questa
lesione è il dolore urente, che si manifesta in coincidenza con la comparsa di altri
sintomi come l’eritema e un modesto edema degli strati più profondi della cute dopo
un periodo di latenza variabile in relazione alla natura dell’agente ustionante. Una
ustione di primo grado può guarire in pochi giorni senza lasciare esiti riconoscibili a
distanza, se si eccettua una pigmentazione più o meno intensa.
Nel II grado l’azione di danno è maggiore tanto da
provocarela morte e la sofferenza di molti elementi
cellulari dello strato malpighiano. Tipica
espressione del secondo grado è la bolla, creatasi
per lo scollamento degli strati dell’epidermide in
seguito alla pressione dei liquidi trasudati dai
capillari alterati. Anche la bolla può comparire dopo un periodo di latenza variabile e
le sue dimensioni pare dipendano dalle caratteristiche dell’agente ustionante. La
cupola della bolla è formata da epidermide più o meno spessa, a seconda della
regione colpita. Il liquido che la riempie appare dapprima sieroso e dopo qualche
giorno può assumere una consistenza gelatinosa;esso è lassamente aderente al
derma. Aperta la bolla, si scorge lo strato papillare del derma, di colorito rosso vivo,
estremamente dolente alla pressione, limitato da un alone eritematoso, caldo,
urente. Le ustioni di secondo grado sono in genere causate da una breve esposizione
ad intense vampate di calore, da liquidi bollenti o da getti di vapore riscaldato, o
possono costituire la zona periferica di una ustione più profonda. I sintomi soggettivi
sono molto più accentuati delle lesioni di primo grado. Il dolore, molto intenso,
perdura per 5-6 giorni. Il periodo della risoluzione è legato alla quantità del tessuto
distrutto e all’eventuale sopraggiungere di complicazioni infettive. La guarigione di
una ustione di secondo grado non si accompagna mai ad esiti cicatriziali di una
qualche importanza, e qualora vi siano, sono da attribuirsi a danni profondi (III
grado), passati inosservati.
Nel III grado si verifica la morte dei tessuti cutanei, a
tutto spessore fino ed oltre l’ipoderma o fasce
muscolari. Se l’agente ustionante è il fuoco o un corpo
caldo, l’area necrotica si presenta secca, dura, di
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Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
L’edema, che non può espandersi per mancanza di spazio, la stasi venosa e linfatica
che ne deriva, possono portare ad una precoce sclerosi dei piani di scorrimento dei
tendini e dei piccoli muscoli della mano.
Arti inferiori: l’ustione delle cosce rappresenta un motivo indiretto di aggravamento
di tutte le altre lesioni, in quanto sottrae alla terapia chirurgica le aree donatrici di
elezione, da cui si eseguono i prelievi per riparare le zone di distruzione cutanea.
Fisiopatologia dell’ustione
La malattia ustione è
contrassegnata da una serie
di eventi patologici e
clinicamente la malattia
ustione evolve attraverso
tre fasi: un primo periodo
di deficit circolatorio, un
secondo tossi-infettivo ed un terzo ipoproteinemico-distrofico.
I fase o periodo di deficit circolatorio: è universalmente nota col termine di shock
secondario. Questa sindrome è caratterizzata da agitazione, sete, vomito, polso
piccolo e frequente, caduta dei valori pressori, dispnea,oliguria, dolore ed effetti
emotivi del trauma subito. Può essere controllata solo con una ben dosata terapia
sedativa generale e locale. La sete costituisce uno dei primi sintomi. Permettendo
all’ustionato di ingerire la quantità di liquidi che desidera, si corre il rischio di
vedere insorgere un quadro di intossicazione da acqua. Il meccanismo patogenetico
dello shock secondario sembra abbastanza chiaro quando si invochi la diretta azione
del calore sulla cute che provoca coagulazione massiva del sangue nei vasi, un’azione
di danno dell’endotelio dei capillari, con abbassamento della pressione
colloidosmotica e l’azione dei tossici comporta una aumentata capacità dell’albero
circolatorio con abbassamento della pressione idrostatica capillare. In condizioni
fisiologiche, lo scambio di liquidi tra il letto circolatorio e l’interstizio avviene quasi
interamente nei capillari e i fattori principali che regolano il passaggio dei sali e
dell’acqua attraverso le loro pareti sono:
1) pressione idrostatica del sangue nei capillari
2) permeabilità capillare
3) differenza tra la pressione osmotica del plasma e quella del liquido interstiziale.
4) drenaggio linfatico.
Dall’analisi di questi fattori risulta che da una parte la pressione idrostatica tende a
produrre una enorme filtrazione di liquido del plasma negli spazi interstiziali,
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Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
a) eliminazione dei tessuti necrotici (l’escara, dopo una iniziale tenace aderenza con
la cute circostante e con il fondo, per il sopravvento di processi autolitici,viene
gradatamente distaccata ed eliminata;
b) comparsa del tessuto di granulazione, costituito da un connettivo cellulare a tipo
embrionale, raccolto attorno ad anse vascolari di neoformazione;
c) nuovi vasi si formano per gemmazione, dalla parete dei capillari preesistenti. Si
dispongono in una fitta rete a tralci paralleli, ortogonali alla superficie cutanea. La
loro fragilità è notevole e le emorragie facili;
d) le cellule, di tipo plasmocitario, linfocitario e fibroblastico, riempiono gli spazi
intervasali;
e) le fibre assumono i caratteri di fibre collagene, mentre scarse sono quelle
elastiche.
Le lesioni di I e II grado evolvono spontaneamente verso la guarigione; nelle lesioni di
III grado, invece, è in rapporto anche alla loro estensione. I meccanismi riparativi si
rivelano sempre insufficienti e imperfetti, per cui la guarigione può essere
notevolmente ritardata o non realizzarsi affatto. Da qui la necessità di intervenire
con adeguate e tempestive terapie mediche e poi chirurgiche come procedura
indispensabile per ottenere un riparo funzionalmente ed esteticamente valido e per
ridurre il periodo di malattia del paziente.
Lesioni da sostanze chimiche
Le sostanze chimiche potenzialmente dannose per la salute sono presenti ovunque
nella vita di oggi. Una esposizione a tali sostanze può verificarsi in casa, a lavoro,
mentre si gioca. La classificazione più semplice degli agenti nocivi li divide in
composti alcalini, acidi e organici. Le sostanze alcaline sono idrossidi, carbonati e la
soda caustica e le lesioni si manifestano più spesso negli addetti alla pulizia di forni,
delle industrie e delle fogne e in chi ha contatto con i fertilizzanti. Sono un
costituente importante del cemento e dei derivati cementizi. Le sostanze acide sono
presenti in molte aree. Sono contenute nelle sostanze per la pulizia dei bagni e nei
composti per la rimozione della ruggine e si possono trovare nelle aree residenziali e
commerciali a contatto o vicino a piscine. I composti organici causano sia lesioni da
contatto che effetti sistemici. Tra questi troviamo i fenoli, i solventi ed i derivati del
petrolio. Il grado di severità del danno è proporzionale al tipo, alla concentrazione
ed al volume della sostanza chimica che lo ha indotto e alla durata del contatto con
essa. Le conseguenze saranno direttamente proporzionali al fattore tempo. Un danno
continuo dei tessuti può verificarsi quando vi sia un ritardo nella rimozione del
composto chimico nocivo. Sono molto pochi gli antidoti specifici. Qualunque sia la
66
Ustioni e congelamenti
67
Ustioni e congelamenti
cloruro. Il dolore causato da tali lesioni è molto intenso e può essere un indicatore
dell'efficacia dell'intervento terapeutico. In accordo a questo, bisogna fornire solo un'
anestesia leggera in quanto grosse dosi di narcotici diminuendo il dolore privano il
medico del più importante indice di inattivazione del fluoro.
Lesioni da elettricità
Le lesioni da elettricità condividono molte caratteristiche con quelle termiche. Ci
sono, tuttavia, differenze nel modo in cui la corrente elettrica causa il danno dei
tessuti. Tale danno è per la maggior parte dovuto alla produzione di calore da parte
della corrente. Si pensa che i diversi tessuti dell'organismo abbiano diverse resistenze
elettriche, la resistenza elettrica più alta è a livello delle ossa. Di conseguenza, le
ossa si comportano come un elemento del campo elettrico che produce calore e
questo spiega la presenza di lesioni profonde vicino alle ossa in assenza di lesioni
superficiali. I dati recenti hanno messo in discussione questa teoria suggerendo che
un arto può comportarsi come un modello a compartimento singolo. Sebbene tale
questione sia irrisolta, è certo comunque che dopo un insulto elettrico (soprattutto
se con corrente ad alto voltaggio) le lesioni dei tessuti profondi siano maggiori di
quelle osservate in superficie. Un fenomeno comune è la progressiva perdita di
vitalità dei tessuti che si manifesta nei primissimi giorni dall'evento lesivo. I muscoli,
in particolare, possono apparire vitali e contrattili subito dopo, ma non più ad un
esame successivo. La spiegazione più classica di tale fenomeno consiste in una
trombosi ritardata del microcircolo causata da un "effetto singolare" della corrente
elettrica. È stato difficile tuttavia dimostrare sperimentalmente questa trombosi e
l'eziologia di tale lesione ritardata non è chiara, sebbene gli studi più recenti
focalizzino l'attenzione sulla progressiva distruzione dei tessuti ad opera di mediatori
rilasciati dalle cellule danneggiate. Un danno aggiuntivo viene causato dalle ustioni
ad arco che si manifestano a livello delle superfici flessorie del corpo e specialmente
al polso, a livello della fossa antecubitale e di quella poplitea. La contrazione
muscolare o il tetano indotti dalla corrente rende la vittima incapace di staccarsi
dalla sorgente elettrica e ciò aumenta enormemente il danno. Inoltre i vestiti della
vittima spesso possono prendere fuoco e perciò avremo anche ustioni superficiali
causate da tale evento. L'incidenza di lesioni associate è molto elevata. L'insulto
elettrico, soprattutto quando dovuto al contatto con i fili dell'alta tensione, si
verifica spesso ad una certa altezza dal suolo. Dovranno perciò essere ricercate
lesioni traumatiche conseguenti alla possibile caduta. L'estensione di un danno da
elettricità è strettamente correlata con l'intensità di corrente. Questa è sconosciuta
al clinico ma può essere ricavata dal voltaggio. Dato che il voltaggio e l'amperaggio
68
Ustioni e congelamenti
sono direttamente proporzionali, una lesione con corrente ad alto voltaggio implica
un danno potenziale dei tessuti profondi. Sebbene sia controversa la teoria delle
differenze di resistenza dei diversi tessuti del corpo, deve essere chiaro che,
maggiore è la resistenza di una struttura, maggiore sarà il calore generato dalla
corrente mentre l'attraversa. La corrente alternata, specialmente quella a basso
voltaggio, è più pericolosa: a 40-200 cicli per secondo è in grado di causare la
fibrillazione del miocardio. Fra le sorgenti di tale corrente, negli Stati Uniti, vengono
incluse le prese di casa, dove la corrente è fornita a 60 cicli per secondo.
L'estensione di un danno da elettricità è strettamente correlata anche con la durata
del contatto ed il cammino della corrente attraverso il corpo, sebbene alle volte non
si sia in grado di stabilire un punto di entrata ed un punto di uscita. Il punto di
contatto determina esso stesso una lesione, specialmente quando la corrente
attraversa il cuore, il collo e la testa. In tali circostanze aumenta il rischio di disturbi
rispettivamente cardiaci e neurologici. Il primo intervento nel danno da elettricità è
quello ovviamente di spostare il più velocemente possibile la vittima dalla sorgente
elettrica. Resta inteso comunque che il soccorritore dovrà stare attento a non
entrare egli stesso in contatto con tale sorgente. Se i vestiti stanno prendendo fuoco,
bisogna adoperarsi per spegnere tale incendio. A questo punto il trattamento è lo
stesso di quello che viene effettuato per qualsiasi traumatizzato. L'arresto cardiaco e
respiratorio sono abbastanza frequenti. Spesso i pazienti sono soggetti giovani ed in
buona salute e le chances di una rianimazione sono eccellenti. Gli sforzi prolungati
per la rianimazione cardiopolmonare sono quindi giustificati.
Chirurgia ricostruttiva
Gli esiti devastanti di gravi, ma anche moderate lesioni da
calore, sono evidenti per tutti coloro che hanno in cura questi
sfortunati individui. Se la terapia e le tecniche chirurgiche
migliorano costantemente, bisogna riconoscere dolorosamente
che un grande numero di pazienti non ritornerà al livello di
funzionalità professionale e personale precedente all'evento
traumatico. Uno dei più importanti obiettivi raggiunti in questi pazienti per quanto
riguarda la terapia ricostruttiva è stato il comprendere che in molti di essi, tanto più
è aggressivo il trattamento iniziale, tra cui una precoce escissione e l'apposizione di
innesti, tanto ridotta sarà in seguito la necessità di un intervento di ricostruzione. Ad
esempio, una precoce ed estesa escissione ed innesto a livello delle contratture delle
palpebre ha virtualmente eliminato la necessità di una tarsorrafia di protezione del
globo oculare sottostante le ferite da ustione e ciò, a sua volta, ha reso obsoleto
69
Ustioni e congelamenti
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Ustioni e congelamenti
complicazioni siano maggiori. Allo stesso modo, il trasferimento di lembi liberi trova
un'applicazione sia nei difetti primari che in quelli secondari, soprattutto quando non
c'è tessuto locale a sufficienza o quando l'immobilizzazione, necessaria per il
trasferimento del lembo peduncolato, può essere controindicata.
Congelamenti
I congelamenti sono provocati dall'esposizione dei tessuti a basse temperature.
L'effetto citolesivo del freddo aumenta con il diminuire della temperatura e
l'aumentare della durata dell'esposizione. Diversa è la resistenza dei tessuti viventi
alle basse temperature: nervi, muscoli e vasi sono particolarmente sensibili mentre
cute, connettivo, tendini ed osso sono più resistenti.
La patogenesi delle lesioni da freddo riconosce essenzialmente due meccanismi: la
formazione di cristalli di ghiaccio intra ed extracellulari e la vasocostrizione, con
conseguente vasoparalisi e costituzione di trombi. I classici congelamenti dei militari
e degli, alpinisti sono oggi resi meno frequenti dalla moderna sofisticata tecnologia
dell'abbigliamento: al contrario, è tuttora patologia frequente, durante i mesi
invernali, in soggetti particolari, in cui sono deficitarie le normali reazioni al freddo,
sia vegetative che comportamentali (etilisti, tossico-dipendenti, psicopatici,
vasculopatici, nomadi, ecc.). Non vanno dimenticati i congelamenti da contatto con
prodotti dell'industria del freddo (azoto liquidò, ossigeno liquido, anidride carbonica
solida, ecc.). Tali congelamenti possono essere:
– patologici, in genere di natura infortunistica, in lavoratori dell'industria del freddo;
– iatrogeni, in pazienti sottoposti a crioterapia e criochirurgia e in questo caso gli
effetti destruenti della basse temperature sono appositamente ricercati con fini
terapeutici. In analogia con le ustioni, anche i congelamenti possono essere
classificati in gradi. Si riconoscono così congelamenti di 1° grado, caratterizzati da
cianosi ed edema; congelamenti di 2° grado, caratterizzati dalla presenza di flittene;
congelamenti di 3° grado quando si verifica necrosi della cute, talora accompagnata
da necrosi dei tessuti sottostanti. In fase di Pronto Soccorso è indispensabile
riscaldare le parti congelate, possibilmente mediante immersione in acqua a 40-42
°C; in .genere sono sufficienti 15 30 minuti, temperature più elevate sono
estremamente dannose, in quanto possono determinare un'ustione.
71
Tumori maligni della cute
Definizione
I tumori epiteliali della cute più rappresentativi sono il carcinoma squamocellulare,
nelle forme invasive ed in situ quali cheratosi attiniche, morbo di Bowen ed
eritroplasia di Queyrat, ed il carcinoma basocellulare.
I tumori epiteliali non melanocitari della cute, con circa 80.000 nuovi casi all’anno,
rappresentano il secondo gruppo di neoplasie più frequenti nell’uomo. La loro
incidenza è pari a 55 nuovi casi su 100.000 individui all’anno nella donna ed 85 nuovi
casi su 100.000 individui all’anno nell’uomo, con una mortalità dello 0.3-0.8% da
ascrivere unicamente al carcinoma squamocellulare invasivo e metastatico.
Carcinoma squamocellulare
E’ il tumore epiteliale maligno invasivo della cute,
pseudomucose e mucose. Il carcinoma
squamocellulare, noto anche come carcinoma od
epitelioma spinocellulare o spinalioma, insorge
preferenzalmente su di una lesione precancerosa o
come forma invasiva di iniziali carcinomi in situ. La
sua incidenza è di 6/100.000 per le donne e di 12/100.000 per gli uomini in Europa
che sale a 30-60/100.000 negli Stati Uniti ed Australia. Esposizione solare, radiazioni
ionizzanti, fototerapia, fotochemioterapia, processi infiammatori e degenerativi
cronici della cute, esposizione a cancerogeni chimici, virus oncogeni,
immunodepressione sono i fattori di rischio considerati nella patogenesi di questa
neoplasia.
L’aspetto della lesione varia in relazione alla fase di crescita. Inizialmente si
presenta come un piccolo elemento papulo-nodulare cheratosico o verrucoso che,
successivamente, assume l’aspetto di un nodulo duro esofitico, ulcerato spesso anche
a carattere infiammatorio. Il rischio di metastasi varia ed è dipendente dalla sede,
dal grado di differenziazione, dalle dimensioni e dal tipo di lesione preesistente
(carcinomi in situ, dermatosi infiammatorie o degenerative croniche). L’incidenza di
metastasi è più elevata nei carcinomi di dimensioni maggiori ai 2cm di diametro e
4mm di spessore od in quelli che insorgono su radiodermiti croniche o su cicatrici da
ustioni, ovvero nelle sedi di transizione tra cute e mucose, come labbra, pene e
72
Tumori maligni della cute
73
Tumori maligni della cute
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Tumori maligni della cute
basocellulare si presenta come una lesione papulosa o nodulare, con peculiare tinta
cerea, spesso solcata da teleangectasie e delimitata da caratteristiche perle
epiteliomatose. In relazione alla variante clinica e alla fase di crescita, si possono
evidenziare aspetti nodulari, erosivo-ulcerativi a superficie crostosa, pigmentari,
sclerodermiformi, e/o simil eczematoidi. Le forme cliniche sono quindi la nodulare,
che è quella più frequente, la superficiale, la sclerodermiforme, la pigmentata, e
l’ulcerativa. Sono possibili forme multiple nel 30% dei soggetti. La testa ed il collo
sono le sedi dove insorge più di frequente (85%) seguite dal tronco e dagli arti (15%).
Eccezionalmente la neoplasia da metastasi, prima ai linfonodi, poi agli organi interni.
Dal punto di vista istopatologico l’aspetto più significativo è rappresentato dalla
proliferazione di lobuli e trabecole di cellule basalioidi, simili per morfologia alle
cellule basale dell’epidermide o delle guaine del follicolo pilifero, con caratteristica
disposizione a palizzata periferica, che dall’epidermide si affondano nel derma. Il
grado di cheratinizzazione, inteso come la capacità delle cellule neoplastiche di
produrre cheratina, è in genere basso o nullo. Da segnalare un’evidente reazione
dello stroma che circonda i lobuli neoplastici, evento che partecipa del basso grado
di invasività del tumore. Aspetti istologici peculiari aggiuntivi sono da ricondurre alle
diverse forme cliniche. La prognosi è buona e l’incidenza di recidive è pari al circa
5%. La scelta della terapia dipende da diversi fattori quali dimesione, sede, variante
anatomo-clinica, condizioni del paziente, preferenza del paziente, manualità
dell’operatore. L’asportazione chirurgica consente una guarigione del 98-99% con un
adeguato controllo dei margini di asportazione. Terapia fotodinamica, crioterapia,
curettage ed elettrochirurgia, radioterapia, vengono impiegati con successo. Tra le
terapie mediche proposte ricordiamo infiltrazioni locoregionali di interferone -2b,
applicazioni topiche di 5-fluorouracile. Recentemente, nuove esperienze ancora
sperimentali hanno proposto l’uso di imiquimod al 5%, tazarotene allo 0.1%,
diclofenac ialuronato al 3%.
IL MELANOMA
Il melanoma è una neoplasia maligna che deriva
dal melanocita e si localizza nella grande
maggioranza dei casi a livello della cute, pur
potendo originare in altre sedi quali esofago,
retto, meningi e uvea. L’incidenza del melanoma
cutaneo sta aumentando significativamente in tutti
i Paesi del mondo, pur avendo variazioni significative in relazione alla latitudine e
alla razza. La prevalenza è di 45 casi per anno per 100.000 abitanti in Australia e
75
Tumori maligni della cute
Nuova Zelanda, mentre in Italia è di circa 5-7 casi per 100.000 abitanti per anno. La
frequenza è estremamente bassa in Africa e in Asia. Il melanoma insorge più
frequentemente tra la 4a e la 5a decade nella donna e tra la 5a e la 6a nell’uomo. I
fattori di rischio individuali includono il fototipo I e II (soggetti con pelle chiara,
occhi azzurro/verdi e capelli rossi/biondi, che al sole si scottano sempre e si
abbronzano poco), presenza di un nevo congenito gigante, numero elevato di nevi,
nevi clinicamente atipici, numerose lentiggini/efelidi, ed una storia personale e/o
familiare di melanoma. L’esposizione alle radiazioni ultraviolette (UV) ed in
particolare le ustioni in età infantile rappresentano fattori ambientali predisponenti
il cui ruolo è ormai accertato, mentre è ancora controversa la partecipazione di
alcuni cancerogeni chimici e/o l’assunzione di estrogeni. Nella maggioranza dei casi
il melanoma insorge de novo su cute sana, mentre solo nel 10-30% dei soggetti
insorge su un nevo pre-esistente. Inoltre, il melanoma può essere di tipo sporadico o,
nel 10% circa dei casi, di tipo familiare. La classificazione più utilizzata nella pratica
clinica è quella proposta da W. Clark, che prevede la suddivisione in lentigo maligna
melanoma, melanoma a diffusione superficiale, melanoma nodulare, melanoma
acrale lentigginoso. Tutti i tipi di melanoma, con la sola eccezione del melanoma
nodulare, sono caratterizzati da una fase di crescita orizzontale che può durare mesi
o anni, seguita da una fase di crescita verticale. Durante la fase di crescita
orizzontale le cellule melanocitarie atipiche proliferano esclusivamente all’interno
dell’epidermide (melanoma in situ) e solo successivamente superano la membrana
basale e si localizzano anche a livello del derma (melanoma invasivo). La lentigo
maligna melanoma rappresenta circa il 10% di tutti i melanomi osservati, insorge più
frequentemente in soggetti di sesso femminile di età superiore ai 60 anni, ed è
associata all’esposizione cronica alle radiazioni UV. Le sedi preferenziali sono quelle
fotoesposte ed includono il volto, il collo e le estremità superiori. La lesione cutanea
si presenta come una macula o una placca di colore variegato, variabile dal marrone
chiaro al marrone scuro al nero, a margini irregolari, variamente rilevata sul piano
cutaneo, che tende a crescere lentamente di dimensioni. Nel tempo, nel contesto
della lesione possono insorgere papule e noduli, suggestivi della crescita verticale
della neoplasia associata ad una maggiore aggressività. Inoltre, la lesione può
contenere aree di colore rosso e/o aree bianco/bluastre indicative rispettivamente di
neovascolarizzazione e di regressione. Il melanoma a diffusione superficiale è la
forma più frequente nella popolazione caucasica costituendo il 50-70% di tutti i
melanomi, e sembra essere associato all’esposizione intermittente alle radiazioni UV.
L’incidenza è più elevata nella 5a decade di vita, in soggetti di sesso femminile. Le
76
Tumori maligni della cute
sedi più frequentemente coinvolte sono il dorso nei maschi e gli arti inferiori nelle
femmine. Dal punto di vista clinico si manifesta come una placca di colore
marrone/nero, forma e bordi irregolari, e dimensioni variabili da pochi millimetri a
numerosi centimetri. In alcuni casi, la lesione può presentare aree di colore rosso,
e/o bianco/bluastre, e ulcerazione spontanea. La fase di crescita orizzontale ha una
durata variabile da mesi ad anni, mentre la fase di crescita verticale è caratterizzata
dalla comparsa di papule e/o noduli. Il melanoma nodulare costituisce il 15-35% di
tutti i melanomi riscontrati in soggetti caucasici. Si tratta di una neoplasia che si
presenta come un nodulo d’emblée ed è caratterizzata da un’elevata aggressività
biologica e prognosi sfavorevole. Insorge più frequentemente in soggetti di sesso
maschile, tra i 30 e i 40 anni, a livello del dorso, regione testa/collo ed estremità.
Nella maggioranza dei casi la lesione è di colore variabile dal marrone chiaro al
marrone scuro/nero, talora ulcerata In alcune evenienze, la lesione può assumere un
colore rosa-rossastro o essere parzialmente o totalmente acromica. Il melanoma
acrale lentigginoso è una forma clinica più frequente in soggetti di razza asiatica,
mentre rappresenta il 5-10% dei melanomi negli individui caucasici. Le sedi di
localizzazione comprendono i palmi delle mani, le piante dei piedi e le regioni
subungueali. Anche in questo tipo di melanoma la lesione consiste, nelle fasi iniziali,
in una placca asimmetrica, di colore marrone/nero e bordi irregolari, mentre nelle
fasi tardive si ha la comparsa di papule e/o noduli. Altre forme di melanoma, di più
raro riscontro, comprendono: 1) il melanoma mucoso, che pur presentando aspetti
clinici tipici è, proprio in relazione alla sede d’insorgenza, generalmente
diagnosticato in fase tardiva e associato ad una prognosi sfavorevole; 2) il melanoma
dei tessuti molli, generalmente asintomatico, che si manifesta come una massa
sottocutanea localizzata in corrispondenza di tendini, aponeurosi e fasce muscolari;
3) il melanoma desmoplastico, che si presenta come un nodulo duro, spesso
amelanotico, localizzato al volto, e caratterizzato da una prognosi sfavorevole; 4) il
melanoma su nevo blu cellulare, che insorge su un nevo blu pre-esistente, localizzato
generalmente al cuoio capelluto. Le diagnosi differenziali cliniche del melanoma
includono più frequentemente il nevo melanocitico, ed in particolare il nevo di Clark,
il nevo di Spitz/Reed, il nevo blu e il nevo persistente, il carcinoma basocellulare
pigmentato e, raramente, il granuloma piogenico e la cheratosi seborroica. Alcune
caratteristiche cliniche quali asimmetria della lesione, bordi irregolari, colore
variegato e superficie irregolarmente rilevata sono altamente indicative di lesione
melanocitaria sospetta o maligna. L’analisi dermatoscopica della lesione cutanea
permette inoltre di evidenziare alcuni criteri non visibili ad occhio nudo (e.g. rete
77
Tumori maligni della cute
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Anomalie vascolari
ANOMALIE VASCOLARI
Emangioma
Gli emangiomi si manifestano tipicamente nel periodo neonatale ovvero nelle prime
2 settimane di vita mentre quelli profondi sottocutanei o quelli viscerali più
tardivamente (2-3 mesi). Circa il 30-40% delle lesioni sono presenti alla nascita con
un segno cutaneo premonitore, che può essere una macchia pallida appena visibile
("nevo anemico"), una chiazza rossa telangiectasica o
maculare o una macchia ecchimotica. Circa 1'80%
delle neoformazioni crescono come lesione singola,
mentre il 20% prolifera in siti multipli: sono più
frequenti nel sesso femminile rispetto al sesso
maschile (3-5:1). Gli emangiomi crescono
rapidamente durante le prime 6-8 settimane di vita: quando la neoformazione
penetra nel derma superficiale la cute diventa sollevata, bozzoluta e di colore
cremisi. Sono spesso presenti vene drenanti locali, secondo una schema tipico
radiale. Esistono pochi elementi indicatori durante la fase di proliferazione precoce
che possono predire il volume massimo della lesione o pronosticare l'esito
dell'involuzione: in genere l'emangioma raggiunge il massimo di proliferazione entro
il primo anno con un incremento volumetrico proporzionato allo sviluppo corporeo
fino alla comparsa dei primi segni di involuzione. La fase involutiva generalmente si
prosegue fino ai 5-10 anni di vita e mediamente si completa entro 5-7. L’emangioma
proliferativo è costituito da cellule endoteliali chiare, in rapida divisione. Con la
regressione, l'attività endoteliale diminuisce gradualmente e le cellule si
appiattiscono e maturano. I mastociti compaiono nella fase di proliferazione tardiva
e nella fase di involuzione precoce e interagiscono con i macrofagi, i fibroblasti ed
altri tipi di cellule. Al microscopio ottico, l'involuzione e caratterizzata da una
progressiva deposizione di tessuto fibroso a livello perivascolare e
interlobulare/intralobulare. Nella fase involutiva è ancora presente la membrana
basale multilaminata, segno distintivo ultrastrutturale di una lesione nella fase
proliferativa. II concetto che la neoformazione sia "angiogenesi dipendente",
proposto per la prima volta da Folkman negli anni '70, permette di comprenderne a
fondo il ciclo di vita.
79
Anomalie vascolari
Le molecole angiogeniche agiscono sulle cellule endoteliali e sui periciti per iniziare
la formazione del network capillare. Normalmente questo processo è strettamente
regolato dai soppressori della crescita endoteliale cosi che la struttura
microvascolare viene mantenuta allo stato quiescente. Studi preliminari indicano che
il fattore di crescita basico dei fibroblasti (bFGF), un peptide angiogenico, è elevato
nelle urine dei neonati con emangiomi proliferativi. Successivamente i livelli urinari
di bFGF diminuiscono su valori normali durante il periodo di involuzione normale o di
regressione accelerata indotta dalla terapia antiangiogenica. Le fasi cliniche del ciclo
di vita di un emangioma possono essere confermate dai markers cellulari
immunoistochimici. Un'angiogenesi up-regolata viene documentata, da un punto di
vista biochimico, dall'espressione dell'antigene nucleare di proliferazione cellulare,
che risulta essere mediata in parte da due peptidi angiogenici: il fattore di crescita
endoteliale vascolare (VEGF) ed il bFGF. Anche la
collagenasi di tipo IV è presente negli emangiomi
proliferativi, suggerendo che la distruzione del
collagene è necessaria per assicurare lo spazio allo
sviluppo dei capillari. L'endotelio in crescita,
alternativamente, potrebbe essere un segnale per il
flusso dei mastociti e per l'induzione autocrina degli inibitori tissutali delle
metalloproteinasi (TIMP-1), soppressori della formazione di nuovi vasi sanguigni. I
mastociti possono secernere modulatori che riducono l'emangiogenesi. Con l'avvento
della fase involutiva, l'endotelio diventa senescente ed il parenchima, una volta con
molti elementi cellulari, viene sostituito dal tessuto fibroso e adiposo. La maggior
parte delle lesioni sono diagnosticabili con l’anamnesi e con l’esame fisico ma un
emangioma profondo, della regione del collo o del tronco, può essere confuso con
una malformazione linfatica (LM) e dunque necessita di mezzi diagnostici più
sofisticati come l'ultrasuonografia e la risonanza magnetica. L’emangioma congenito
si presenta rilevato e di colore rosso-violaceo con un alone periferico pallido ma può
essere confuso con altre patologie clinicamente simili come la malformazione
capillare (macchia di vino) ed arterovenosa, il granuloma piogenico, l' angioblastoma
di Nakagawa (angioma a glomerulo), le anomalie venose o linfatiche, il glioma ed il
sarcoma infantile. L’emangioma cervico-facciale può essere accompagnato da
disturbi oculari (microftalmia, cataratta congenita, ipoplasia del nervo ottico), non
unione sternale, rafe sopraombelicale, arterie embrionali persistenti intra ed extra
craniali, assenza di vasi ipsolaterali carotidei/vertebrali, costrizione del lato destro
dell'arco aortico, dilatazione del sifone carotideo e malformazione di Dandy-Walker o
80
Anomalie vascolari
altri difetti della cavità posteriore. L'emangioma lombosacrale è una delle differenti
lesioni ectodermiche come l’ ipertricosi ("macchia pelosa"), la malformazione
capillare (chiazza di vino), l’ acordoma ("coda fulva") e la fossetta sacrale (seno), che
segnalano un disrafismo spinale occulto sottostante (lipomeningocele, colonna legata
e diastematomielia). Circa il 20% degli emangiomi sono gravati da complicanze gravi
come l’ulcerazione, la necrosi, la distorsione dei tessuti coinvolti, l’ostruzione di una
struttura vitale come l'occhio o della regione sottoglottidea ma solo l'1% sono
pericolose per la vita come la diversione del flusso sanguigno attraverso un
emangioma esteso in grado di determinare un'insufficienza cardiaca ad alta energia o
il fenomeno di Kasabach-Merritt (variante a cellule affusolate tipo Kaposi con
intrappolamento delle piastrine). La necrosi, la distorsione e l'ostruzione sono
possibili nelle lesioni cervico-facciali così come la forma orbito-palpebrale può
bloccare l’asse visivo con ambliopia da deprivazione o anomalie di crescita della
cornea (ambliopia astigmatica). Dal punto di vista terapeutico un emangioma
cutaneo ben localizzato, può essere trattato con corticosteroidi per via intralesionale
(triamcinolone) o sistemica (prednisone, prednsolone). Con l'uso di corticosteroidi
per via orale, endovena o per via intralesionale, il 30% delle neoformazioni mostra
una regressione accelerata, il 40% risponde in maniera equivoca (risposta di
stabilizzazione) ed il 30% non risponde affatto. L'interferone alfa-2 (IFN)
ricombinante è un nuovo presidio terapeutico per il trattamento di emangiomi ad
alto rischio da utilizzare con prudenza e con precise indicazioni come: mancata
risposta ai corticosteroidi, controindicazioni ad un uso prolungato di corticosteroidi,
complicanze durante il trattamento corticosteroideo, rifiuto da parte dei genitori
alla somministrazione di corticosteroidi. Il dosaggio empirico dell'IFN è di 2-3 milioni
di unita/m2 con una iniezione giornaliera sottocutanea. La chirurgia, infine, è una
metodica di scelta non solo negli emangiomi localizzati o peduncolati ma talvolta
anche nelle forme estese mentre la fotocoagulazione con il laser riveste
esclusivamente un ruolo di terapia complementare.
Malformazioni vascolari
Le malformazioni vascolari sono errori di sviluppo embrionale. Possono essere
suddivise in base al tipo predominante di vasi ed alle caratteristiche del flusso:
1. malformazioni capillari (MC) flusso lento=capillare e telangiectasie;
2. malformazioni linfatiche (ML);
3. malformazioni venose (MV);
4. malformazioni arterovenose (MAV), flusso veloce=arterioso e arterovenoso.
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Anomalie vascolari
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Anomalie vascolari
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Anomalie vascolari
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Anomalie vascolari
Atassia-telangiectasia
L'atassia-telangiectasica è un disordine neurovascolare autosomico recessivo
ereditario che compare dai 3 ai 6 anni di vita. Il quadro clinico presenta a
considerare telengectasie rosso-vivido che insorgono prima sull'area nasale e
temporale della congiuntiva bulbare e successivamente sul volto, sul collo, sul torace
e sulla superficie flessoria dell'avambraccio. Anche l'atassia cerebellare inizia nella
seconda infanzia con una progressiva degenerazione neuromotoria. Questi pazienti
hanno una disfunzione endocrina, instabilità cromosomica, deficienza immunologica
e ritardo di crescita. La morte di solito avviene nella seconda decade della vita a
causa di infezioni polmonari ricorrenti e bronchiectasia o per un tumore maligno
linforeticolare.
Malformazioni linfatiche
Le malformazioni linfatiche possono essere distinte in forme microcistiche,
macrocistiche o combinate mentre la vecchia terminologia li definiva "linfangioma"
(ML microcistica), "igroma cistico" (ML macrocistica) e si propongono con vescicole
displastiche o tasche riempite con fluido linfatico. Le ML si manifestano alla nascita,
o in epoche successive e non hanno tendenza alla regressione ma si espandono o si
contraggono a seconda del flusso/riflusso del liquido linfatico, di fenomeni
infiammatori, di sanguinamenti intralesionali. I vasi linfatici dilatati anomali nella
cute e nella mucosa si presentano come vescicole. Le ML del collo, della fronte e
dell'orbita sono spesso forme miste, micro e macrocistica, con asimmetria facciale,
distorsione dei lineamenti, ipertrofia dei tessuti ossei e dei tessuti molli. La ML è la
base più comune per la macrocelia, la macroglossia, la microtia e la macromelia. La
crescita eccessiva della mandibola si manifesta come malocclusione, con morso
aperto anteriore o occlusione di classe III. Una lingua ingrossata, coperta di
vescicole, rende difficoltoso il linguaggio ed è complicata da infezioni ricorrenti,
edema, sanguinamento, scarsa igiene dentale e carie. La LM micro-macrocistica della
regione cervico-facciale può causare ostruzione delle vie respiratorie mentre la
cervico-ascellare coinvolge comunemente il torace ed il mediastino con possibile
soffusione pleurica e polmonare ricorrente. Una malformazione linfatica estesa a
livello di un arto inferiore è associata a linfedema, distorsione scheletrica ed
ipertrofia, la forma pelvica manifesta linfangectasia perineale e quella viscerale
("linfangiomatosi") può indurre ipoalbuminemia secondaria ad una enteropatia.
Qualsiasi infezione virale o batterica può provocare una infiammazione/infezione
della ML: antibiotici anche a dosi massicce e farmaci antinfiammatori non steroidei
rappresentano la terapia di scelta poiché il rischio di una setticemia è presente per
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Anomalie vascolari
tutta la vita. Cisti ampie possono essere trattate aspirando il liquido linfatico e
iniettando agenti sclerosanti mentre le ML cutanee, circoscritte e ben definite
("lymphangioma circumscriptum") possono giovarsi del trattamento chirurgico.
Malformazioni venose
Le malformazioni venose sono presenti alla nascita ma non sono sempre evidenti. Le
MV, spesso impropriamente denominate "emangioma cavernoso", sono patologie
ereditarie, a lento accrescimento, singole o multiple, cutanee e/o viscerali. Queste
anomalie a flusso lento si manifestano, come macchie bluastre o masse vascolari blu
chiaro, sulla faccia, sugli arti o sul tronco in forme
localizzate o estese, lievi o deformanti. La
glomangiomatosi familiare, ad esempio, è una
sindrome dominante autosomica che si manifesta con
lesioni venose dermiche nodulari blu che possono
comparire dovunque sulla cute: istologicamente, si
differenziano dalle tipiche MV per la presenza di numerose cellule del glomo che
fiancheggiano i vasi venosi ectasici. La MV cutaneo-mucosale familiare è anch’essa
ereditaria in modo autosomico dominante mentre la sindrome di Bean è una
combinazione rara di anomalie cutanee e viscerali. La malformazione venosa cranio-
facciale è di solito unilaterale e produce un effetto di massa responsabile di una
marcata asimmetria facciale, enoftalmia/esoftalmia (MV intraorbitaria) mentre
quella orale coinvolge, in modo caratteristico, la lingua, il palato e l'orofaringe, con
deformità nell’allineamento dentale. Le MV della faringe e della laringe
comunemente evolvono verso un'apnea ostruttiva durante il sonno. Le MV degli arti
inferiori possono interessare solo la cute o estendersi ai muscoli, alle articolazioni ed
alle ossa ma raramente producono una dismetria sebbene la malattia possa causare
un iposviluppo secondario al disuso. Una piccola malformazione cutanea può essere
trattata con la terapia sclerosante (sodio tetradecilsolfato all' 1%) ma la sclerosi di
una MV estesa è potenzialmente pericolosa e deve essere trattata da specialisti
esperti per le possibili complicanze sistemiche come la tossicità renale e l’arresto
cardiaco. Dopo un ciclo di scleroterapia può essere utile la chirurgia plastica per
eventuali correzioni funzionali ed estetiche.
Malformazioni arterovenose
La malformazione arterovenosa può essere presente alla nascita o manifestarsi più
tardivamente La patologia viene spesso sottovalutata nell'infanzia anche perchè il
rossore della MAV può essere facilmente scambiato per un emangioma o per una
"macchia di vino". L'epicentro viene chiamato "nido" e comprende arterie afferenti,
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Anomalie vascolari
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Anomalie vascolari
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Anomalie vascolari
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Malformazioni congenite
MALFORMAZIONI CONGENITE
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Malformazioni congenite
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Malformazioni congenite
Infettive (la continua presenza di detriti alimentari nella cavità nasale e l'alterato
flusso d'aria sono fonte di uno stato flogistico cronico, con subentranti riniti,
faringiti, salpingiti e otiti e ipertrofia infiammatoria a carico delle adenoidi e delle
amigdale).
Fonetiche (sono le complicanze più inabilitanti e di più difficile soluzione: la loro
gravita é legata al grado di compromissione del palato molle. La mancata chiusura
posteriore della cavità nasale, specie durante la pronuncia delle consonanti
esplosive, determina una rinolalia aperta assai sgradevole e spesso tale da rendere
incomprensibile il linguaggio). Il trattamento chirurgico delle palatoschisi ha come
obiettivi la separazione tra cavità orale e cavità nasale e la mobilità del palato
molle. Per quanto riguarda la ricostruzione del palato duro, le tecniche proposte
possono essere classificate in: tecniche impostate sulla scultura e sintesi sulla linea
mediana di due lembi mucoperiostei scolpiti sulla volta palatina, bipeduncolati, con
peduncolo anteriore e posteriore; tecniche impostate sulla scultura e sintesi sulla
linea mediana di due lembi mucoperiostei scolpiti sulla volta palatina,
monopeduncolati, a peduncolo posteriore; tecnica impostata sulla rotazione e sutura
sui due lati della schisi di un lembo di mucosa scolpito sul vomere e "doppiato" su se
stesso, allo scopo di ricostituire un rivestimento epiteliale sia al versante nasale che
al versante orale. È attualmente la tecnica ritenuta più idonea, in quanto pare dia i
minori danni alla crescita trasversale del massiccio facciale. Per quanto riguarda la
ricostruzione del palato molle (velopendulo), le metodiche proposte possono essere
distinte in: tecniche che avvicinano i due lati della schisi con una semplice sutura
lineare e tecniche che avvicinano i due lati della schisi avvalendosi di una doppia
plastica a Z, una sul versante orale ed una sul versante nasale. L'epoca più adatta per
l'intervento è generalmente compreso tra 9 e 12 mesi di vita con l'obiettivo di
bilanciare da un lato la necessità di fornire al bambino uno strumento anatomico atto
alla fonazione, prima che si siano completati i circuiti nervosi a ciò preposti,
dall'altro la necessità di evitare cicatrici che, quanto più precoci, tanto più possono
interferire sullo sviluppo dell'intero massiccio facciale. Nel periodo postoperatorio
può residuare una rinolalia conseguente ad incompetenza velofaringea. Qualora essa
sia dell'ordine di 0,5 cm2 (durante la fonazione) o comunque ribelle alla logopedia, è
indicata l'esecuzione di interventi detti ortofonici:
"allungamento" del palato molle, ottenuto mediante separazione del palato molle
dal palato duro (push-back);
realizzazione di una sinechia velofaringea, mediante scultura di un lembo
faringeo trasferito al palato molle allo scopo di restringere l'entità dell'insufficienza;
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Malformazioni congenite
creazione di una sporgenza nel contesto della parete posteriore della faringe,
mediante un innesto o un impianto per ridurre la distanza tra faringe e palato molle;
ricostruzione di uno sfintere velofaringeo competente mediante rotazione di
lembi miomucosi scolpiti a carico dei muscoli faringei (faringoplastica).
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Malformazioni congenite
Colobomi
Con questo termine generico si indica un gruppo di malformazioni del volto,
abbastanza rare, rappresentate da una o più schisi in corrispondenza dei solchi
embrionari. Possono essere classificati in: colobomi obliqui (naso-oculari e oro-
oculari), prodotti da un difetto di fusione tra il processo mascellare ed il processo
nasale laterale e colobomi trasversi (oro-aurali), risultanti da un difetto di saldatura
tra il processo mascellare ed il processo mandibolare. I colobomi mandibolari sono
meglio inquadrabili nell'ambito delle disrafie mediane per essere il risultato della
mancata saldatura sulla linea mediana dei primi archi branchiali; si possono
presentare semplicemente come una piccola incisura sul bordo rosa del labbro
inferiore o possono giungere a determinare la schisi totale della sinfisi mentoniera e
della lingua.
Come già esposto a proposito della cheiloschisi, anche i colobomi possono presentare
diversi livelli di gravità: dalla varietà cicatriziale alla schisi più accentrata. La
chirurgia ricostruttiva dei colobomi si basa sui medesimi principi informatori esposti a
proposito delle labio e palatoschisi: ricostruzione funzionale dei tessuti delle parti
molli, integrata dalla ricostruzione dell'impalcatura scheletrica con particolare
attenzione per l'articolato dentale e per eventuali problemi di fonazione.
Fistole
Il capitolo delle fistole congenite comprende: le fistole del padiglione auricolare
attribuibili ad un residuo del primo solco branchiale, collocate al davanti dell'elice o
del trago o sulla porzione ascendente dell'elice; le fistole laterali del collo; la disrafia
mentosternale, associata ad iposviluppo della mandibola, si presenta in genere come
un'area ovalare di cute atrofica, eritematosa, in corrispondenza della linea mediana
del collo, sottesa da un cordone fibroso sottocutaneo che impedisce la libera
estensione del capo. Le fistole congenite nel loro aspetto più caratteristico si
manifestano con la presenza di una modesta secrezione sieromucosa in
corrispondenza dell’ostio d'apertura ma possono essere anche del tutto
asintomatiche; lo sbocco cutaneo può però ostruirsi producendo una raccolta
simulante una cisti facilmente sede di processi infettivi. La chirurgia delle fistole
congenite è insidiosa, in quanto esse possono estendersi ben al di là dei loro sbocco
superficiale e addirittura essere in comunicazione con strutture profonde. E quindi
necessario effettuare di routine una fistolografia preoperatoria, con un mezzo di
contrasto o almeno con un colorante vitale ritenendo sempre possibile l’anomalia
delle strutture sottostanti di origine mesenchimale. Le malformazioni di origine
displasica sono di più difficile inquadramento nosografico, per il meccanismo
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Malformazioni congenite
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Malformazioni congenite
strutture derivate dal processo frontale sono causa della fusione sulla linea mediana
dei due abbozzi oculari, al di sopra dei quali si può talora identificare un'appendice
proboscidiforme, derivata dagli abbozzi nasali. Nella sua varietà minima
l'oloprosencefalia si estrinseca come un tragitto fistoloso, spesso a fondo cieco, sul
dorso del naso, cui talora si associa un ipotelorismo di entità variabile.
Ipertelorismo e ipotelorismo
Non sono quadri patologici a sé stanti, ma alterazioni morfologiche presenti talora
isolatamente ma più spesso nell'ambito di una malformazione complessa. Essi
consistono nell'alterazione in eccesso o in difetto della distanza interpupillare.
Poliotia
Consiste nella presenza di piccole formazioni poste al davanti del trago o lungo la
linea oroaurale, a contenuto cartilagineo, derivanti dai residui dei primi due archi
branchiali.
Sindrome di Franceschetti
È caratterizzata da microtia, atresia del condotto uditivo, micrognatia mandibolare,
appiattimento delle ossa malari, palato ogivale, con conseguente viso "a profilo
d'uccello" (se la sindrome si presenta monolateralmente, prende il nome di sindrome
di Treacher Collins). Tale quadro clinico deriva da iposviluppo dei primi due archi e
della prima tasca branchiale.
Anomalie mediane dell'osso joide e della cartilagine tiroidea
Anomalie congenite spesso associate a colobomi mandibolari.
Pterigium colli
Sorta di plica cutanea, in corrispondenza del margine superiore del muscolo trapezio,
mono o bilaterale. Benché sia riscontrabile anche come forma isolata, è una stigmata
caratteristica della sindrome di Turner.
Microtia
È un'ipoplasia di vario grado del padiglione auricolare, talora associata ad iposviluppo
o totale assenza del condotto uditivo esterno ed anche a ipoplasia dell'orecchio
medio. Più rara è l'anotia (assenza totale dell'orecchio esterno). Nella varietà più
comune si osserva la presenza del lobulo, alquanto deformato e orientato
verticalmente, sormontato da una piccola bozza, contenente rudimenti cartilaginei
dello scheletro auricolare. Il problema della ricostruzione del padiglione è di ordine
esclusivamente estetico. E opportuno che gli interventi previsti vengano pianificati
così da essere conclusi attorno ai 6-7 anni, epoca in cui il bambino, entrato nel
mondo della scuola, rischia maggiormente con la sua deformità di suscitare il dileggio
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Patologie della mano
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Solchi congeniti
I solchi congeniti sono presenti sotto forma di depressioni circolari di profondità
variabile a carico delle dita. In corrispondenza dei solchi la cute si presenta sottile e
strettamente adesa al periostio ma i raggi della mano possono essere integri, per
lunghezza, forma e volume anche se talvolta si verificano strozzamenti apicali di uno
o più elementi con amputazioni subtotali. Quando sono coinvolti più elementi, la
cicatrice può riunire le loro estremità deformando l'asse digitale e talora il difetto si
estrinseca con l'aspetto di una ectrosindattilia. A causa della stasi determinata dallo
strozzamento, può essere presente linfedema distale.
Agenesia del I° raggio digitale
Tra le deformità per difetto numerico la più grave è l'agenesia del I raggio. Diversi
sono i gradi del difetto che possono osservarsi potendo mancare il 1° raggio per
intero oppure solo in parte (segmenti rudimentali) configurando la mano tetradattile.
Il 1° raggio talora può essere presente, ma ipotrofico in toto, con assenza della
muscolatura dell'eminenza tenar, cui possono associarsi considerevoli alterazioni
della funzione propria del pollice a carico dei tendini ed anche della muscolatura
estrinseca; talvolta può mancare il pollice propriamente detto, mentre è presente il
metacarpo e la muscolatura. E’ importante segnalare che una mano malformata non
può essere paragonata ad una mano mutilata perché il paziente ha assunto nel tempo
compensi ed abitudini funzionali. Sulla base di queste considerazioni è buona norma,
prima di porre l'indicazione all'intervento ricostruttivo, praticare un attento studio
clinico della lesione, delle conseguenti abitudini funzionali acquisite, della richiesta
e dell'aspettativa del paziente e del vantaggio reale che offre l'intervento. Per la
mano tetradattile sono state proposte due tecniche chirurgiche: la pedo-chirodattilo-
plastica e la tecnica di Nicoladoni: la prima prevede l'utilizzo del primo dito del
piede omolaterale a cui veniva ancorata la mano per l'autonomizzazione vascolare
mentre la seconda l'allestimento di un lembo tubulato, monopeduncolato, in sede
addominale, ancorato alla mano, che successivamente viene distaccato dal
peduncolo dell'addome. Successivamente il neopollice viene armato con innesto di
osso autologo, prelevato dalla cresta iliaca e solidarizzato al metacarpo mediante
osteosintesi. L'intervento viene completato con il modellamento del lembo e della
sua estremità. Più recente è l'intervento di pollicizzazione del secondo dito secondo
Buck Gramko o il trapianto del secondo dito del piede con la tecnica microchirurgica
proposto da Ohmori.
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Patologie della mano
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Patologie della mano
singolarmente sempre più, trasmettendo la loro retrazione ad una o più dita della
mano. Ne consegue, come effetto più vistoso, l'ingravescente limitazione della loro
estensione. E’ una malattia tipica dei popoli di discendenza europea, essendo
praticamente assente nelle razze gialla e nera. Si presenta spesso con carattere
familiare, talvolta con ereditarietà dominante. È più frequente nel sesso maschile, in
un range di età compreso tra 50 e 70 anni e colpisce più spesso la mano destra ma
può essere bilaterale. Molte e discusse sono le teorie etiopatogenetiche che mettono
in causa alterazioni del trofismo per lesioni nervose, microtraumi cronici,
disvitaminosi (vitamina E), disendocrinie (tiroide e paratiroidi), diatesi (gottosa e
fibroblastica), tossicosi, flogosi croniche, stasi linfatica, alterazioni nell'embriogenesi
(sclerosi di residui embrionari del primitivo muscolo flexor brevis manus). La fascia o
aponeurosi palmare superficiale riveste il palmo della mano subito al di sotto della
cute e del sottocutaneo. È detta superficiale per distinguerla da un setto fibroso
profondo teso sotto ai tendini dei muscoli flessori delle dita, tra essi ed i muscoli
interossei. Piuttosto esile in corrispondenza dell'eminenza tenar e ipotenar, la fascia
superficiale acquista a livello della porzione centrale del palmo della mano una
precisa individualità anatomica. Essa delimita anteriormente la loggia muscolo-
tendinea media della mano; ha consistenza fibrosa a forma grossolanamente
triangolare con apice prossimale al legamento trasverso del carpo, dove si inserisce il
tendine del muscolo piccolo palmare, e con base distale che raggiunge la metà
inferiore del palmo, dove si espande su ciascuna delle quattro ultime dita
arrestandosi a 10-15 mm dagli spazi interdigitali. Si distinguono in essa due tipi
principali di fibre:
- fibre longitudinali raggiate superficiali: in continuità con il tendine del muscolo
piccolo palmare, più numerose;
- fibre longitudinali raggiate profonde: si dipartono dal legamento trasverso del
carpo, meno numerose.
Nell'insieme formano un ventaglio aperto dall'alto al basso diretto verso la radice
delle ultime quattro dita, e si raccolgono a livello dei solchi medio ed inferiore del
palmo in quattro nastri fibrosi, detti benderelle pretendinee, disposti davanti alle
guaine dei tendini flessori. Le poche fibre che non partecipano alla costituzione di
queste strutture si superficializzano per perdersi sulla faccia profonda del derma. A
livello delle teste metacarpali, dai margini laterali delle benderelle pretendinee, si
distaccano le fibre sedimentali, che si approfondano contribuendo alla formazione
dei condotti osteo-fibrosi dei tendini flessori delle dita, e le fibre perforanti, che
attraversano l'aponeurosi palmare profonda e terminano, a livello del dorso della
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Patologie della mano
mano, sulla guaina fibrosa del tendine estensore del dito corrispondente. A livello
della radice delle ultime quattro dita le benderelle pretendinee assumono il seguente
comportamento:
- le fibre centrali superficiali terminano sulla pelle del cuscinetto e del solco digito-
palmare, le profonde sulla guaina dei tendini profondi;
- le fibre mediali e laterali, allontanandosi tra di loro alla base delle ultime quattro
dita e unendosi con quelle del dito vicino in un chiasma, formano le arcate digitali
che servono di passaggio ai tendini superficiali e profondi di ciascun dito. Dalle
estremità delle arcate digitali le fibre assumono un andamento elicoidale e,
contornando l'articolazione metacarpo-falangea, formano sulla faccia laterale e
mediale delle dita la lamina latero-digitale. Nella prima falange le fibre di questa
lamina si inseriscono sul tendine estensore comune e sulle espansioni tendinee degli
interossei ovvero sulle capsule della prima articolazione interfalangea mentre sulla
seconda falange la lamina latero-digitale continua ancora sulle facce laterali e
mediali delle dita per andarsi ad inserire dorsalmente sul tendine estensore con una
formazione anatomica indicata anche come legamento retinacolare di Landsmeer. La
sintomatologia inizia con l'occasionale reperto di un nodulo sottocutaneo palpabile, a
volte doloroso, a livello della testa del 4° o 5° osso metacarpale con la progressiva
insorgenza di pliche ed ombelicature cutanee (stigmate). Più avanti si palpa una vera
e propria corda che solleva longitudinalmente la cute palmare e che inizia a
determinare la progressiva retrazione in flessione del dito corrispondente.
Contemporaneamente compare la retrazione dei legamenti interdigitali con
conseguente limitazione dei movimenti di abduzione e adduzione delle dita; negli
stadi più avanzati il dito si presenta in flessione accentuata della I e della II falange
mentre la III può presentarsi in posizione indifferente di lieve flessione o nella più
caratteristica posizione di iperestensione. II morbo di Dupuytren può presentarsi in
associazione con la retrazione dell'aponeurosi plantare (morbo di Madelung) o con
l'indurimento e sclerosi dei corpi cavernosi (morbo di La Peyronie). Non molto
raramente si presentano forme ad evoluzione rapida e con precoci complicanze
articolari o forme diffuse interessanti anche le fasce di avvolgimento delle eminenze
tenar e ipotenar. Dal punto di vista anatomopatologico il nodulo primitivo, che
compare solitamente nella benderella pretendinea al davanti dell'articolazione
metacarpo-falangea, è costituito da connettivo fibroblastico giovane che invade
progressivamente il derma superando il pannicolo adiposo sottocutaneo ed
ancorandosi così alla cute. Il processo degenerativo si diffonde rapidamente al resto
dell'aponeurosi palmare superficiale e ad alcune formazioni fibrose contigue. Nel
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Patologie della mano
periodo terminale, alla dissezione, si trovano grossi cordoni fibrosi che, partendo dal
legamento trasverso del carpo, si portano distalmente fino a livello delle
articolazioni metacarpo-falangee dove la sclerosi si continua nella fascia digitale e
nelle sue espansioni. Tali formazioni si presentano anch'esse grossolanamente
iperplastiche e retratte a formare grossi cordoni fibrosi a decorso irregolare che
mantengono in flessione la prima e seconda articolazione metacarpo-falangea ed
interfalangea. Quest'ultima però, a volte, può presentarsi estesa invece che flessa, a
causa dell'interessamento del legamento retinacolare, la cui retrazione, stirando le
terminazioni degli interossei, iperestende la falange. Istologicamente si repertano
pochi fibrociti avvolti in un groviglio di fibre collagene con rari isolotti di fibroblasti.
La cute presenta l’ispessimento dello strato corneo con scomparsa delle papille
dermiche. Le guaine tendinee, le capsule ed i legamenti articolari, pur non essendo
invasi, possono, in casi inveterati, presentare una retrazione dovuta alla posizione. In
casi molto avanzati si possono osservare vere sublussazioni, specie a carico della
prima articolazione interfalangea. I vasi ed i nervi non vengono invasi dal processo
patologico, tuttavia sono inglobati e strozzati dai cordoni fibrosi che ne determinano
imprevedibili dislocazioni. La terapia chirurgica è la sola che permette la completa
guarigione della malattia. Le tecniche chirurgiche prevedono l’interruzione semplice
dell’aponeurosi o aponeurotomia, l’asportazione dell’aponeurosi o aponeurectomia
radicale, l’aponeurectomia selettiva (rimozione esclusiva dei distretti anatomici
coinvolti dal processo patologico).
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a favore di una donna che si dichiarava affetta da una rara ma non ben precisata
malattia del tessuto connettivo complicanza dell'intervento chirurgico. Il 10 febbraio
1992 la FDA sosteneva che le protesi al silicone dovevano essere rimosse dal mercato
ed utilizzate unitamente nelle mastectomizzate e nelle volontarie da inserire in
protocolli di sperimentazione. Il 16 aprile 1992 il Commissario Governativo Kessler
pose di fatto le protesi in gel di silicone fuori legge (con le eccezioni descritte in
precedenza) ma consentiva l'uso degli impianti con soluzione salina. E’ facile
prevedere come nei mesi successivi a tali disposizioni si avviasse un fitto
contradditorio nella comunità scientifica americana ed internazionale: ricerche e
trials multicentrici affermavano o negavano la relazione tra una malattia locale e/o
sistematica secondaria alla presenza del silicone ma nessun autore ha mai ventilato
un nesso di causalità con il cancro della mammella. Già nel 1991 un gruppo di studio
della Dow Corning segnalava la possibilità di una risposta immunologica al silicone ma
allo stesso tempo affermava che un'ampia revisione clinico-sperimentale non
produceva risultati convincenti sul contatto cronico dell'organismo umano con
materiale siliconato e l'insorgenza di patologie del connettivo o tipo reumatico.
Anche la sperimentazione animale non ebbe miglior fortuna perché la
somministrazione sottocute di silicone liquido nei ratti produceva solo sarcomi,
tumori molto frequenti in questi animali se esposti ad una sostanza irritante e
l'inserimento di vere e proprie protesi in cani da esperimento dimostrava solo una
aspecifica, cronica reazione infiammatoria del tessuto circostante. Nel 1993 F. Vasey
reumatologo della University of South Florida College of Medicine, in un suo libro
affermava che la diffusione del silicone nell' organismo sarebbe stata in grado di
scatenare fenomeni autoimmunitari ma i controlli di laboratorio condotti su donne
operate non segnalavano valori apprezzabili di autoanticorpi. Dello stesso parere era
Nir Kossovsky patologo della Ucla MedicaI Center secondo il quale il silicone sarebbe
in grado di legarsi con "molecole native alterate" costituendo un complesso in grado
di evocare una reazione immunitaria prima ed una malattia autoimmunitaria
successivamente. In sintonia con gli Autori precedenti era anche Marc Lappè patologo
sperimentale della University of Illinois School of Farmacy che pubblicò la sua teoria
per la quale il silicone costituirebbe un "trigger" per una "overstimulation" del sistema
immunitario. Oggi, alla luce delle più recenti acquisizioni in materia, è possibile
ritenere che le molecole di silicone siano in grado di stimolare reazioni antigene-
anticorpo ma questo non significa che abbiano la potenzialità di indurre malattie del
tessuto connettivo e la stessa reazione infiammatoria non coincide con una reazione
immunitaria specifica ovvero autoimmunitaria. Comunque nel 1994 il British
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Mastoplastiche
I più comuni inestetismi delle mammelle sono:
l'ipertrofia (o iperplasia);
la ptosi;
l'ipoplasia (o ipotrofia).
Mastoplastica riduttiva
L'ipertrofia mammaria può essere di varia entità fino a
raggiungere, in taluni casi, dimensioni tali da essere
considerata una vera malformazione (gigantomastia).
La condizione di ipertrofia, specie se di grado elevato,
può determinare disturbi non solo di carattere estetico
ma anche funzionale: tensione dolorosa della cute,
solchi sulle spalle per la compressione delle spalline
del reggiseno, lordosi e scoliosi, intertrigini ed eczemi
nel solco sottomammario. Esistono ipertrofie
ghiandolari pure, o meglio iperplasie (più frequenti
nelle adolescenti), ipertrofie miste, in cui il pur voluminoso tessuto ghiandolare è
infiltrato abbondantemente da tessuto adiposo (in genere postgravidiche), ipertrofie
esclusivamente adipose (sempre associate ad adiposità generalizzata di tutto il
corpo). All'ipertrofia mammaria si associa regolarmente la condizione di ptosi,
provocata dal peso della mammella.
Numerose sono le tecniche chirurgiche per la correzione della condizione di
ipertrofia. Tutte riconoscono due momenti fondamentali:
- la resezione cutaneo-ghiandolare;
- il rifacimento del cono mammario con riposizionamento in sede adeguata del
complesso areola-capezzolo.
Le diverse tecniche possono essere distinte in base alle caratteristiche del
peduncolo destinato a mantenere l'irrorazione della porzione di mammella residua. Si
riconoscono tecniche con peduncolo superiore, inferiore, centrale o con due
peduncoli. Inevitabili sono le incisioni periareolare, verticale che attraversa
l'emisfero mammario inferiore ed orizzontale, nel solco sottomammario, disposta in
modo da costituire un disegno a T rovesciata o ad L. La stragrande maggioranza delle
tecniche attualmente in uso mantiene la continuità del complesso areola-capezzolo
con la porzione di mammella residua per non sopprimere la funzione
dell'allattamento ovvero di mantenere il tipico trofismo e la particolare sensibilità e
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variabile e quanto mai condizionato da fattori anche molto "lievi", quali i modelli
d'abito proposti dalla moda, le immagini femminili utilizzate dalla pubblicità e così
via.
La condizione di inadeguato volume mammario si può osservare nella ragazza
giovane, per mancato o inadeguato sviluppo della ghiandola mammaria (ipoplasia) o
nella donna più avanti negli anni, spesso dopo gravidanza e allattamento, per
involuzione del parenchima mammario (ipotrofia): in quest'ultimo caso non è
infrequente la coesistenza di ptosi, come sopra descritto.
Per completezza espositiva si ricorda che le tecniche proposte per conseguire
l'aumento del volume mammario ricalcano quelle impiegate per il reintegro del
volume nella ricostruzione della mammella.
Tuttavia la tecnica assolutamente dominante e la sola ragionevolmente proponibile
nell'ambito della chirurgia estetica consiste nell'impianto di protesi.
La tasca, in cui viene collocata la protesi, può essere ricavata:
-tra il piano ghiandolare e il piano del muscolo grande pettorale;
-al di sotto del muscolo grande pettorale.
A favore della scelta sottopettorale stanno varie considerazioni:
è in genere desiderabile che un impianto sia posizionato il più possibile in profondità;
il muscolo pettorale svolge una sorta di massaggio continuo sulla protesi, favorendo
così la costituzione di una capsula meno spessa;
specie nel soggetto magro, sono meno visibili innaturali sporgenze dei margini delle
protesi; è più agevole l'esecuzione di esami quali la mammografia e l'ecografia.
A favore della scelta sottoghiandolare sono altre considerazioni:
l'atto chirurgico è meno aggressivo;
la tasca sottopettorale è controindicata in soggetti molto dediti ad attività sportive,
in cui il muscolo debba fornire prestazioni elevate;
in sede sottoghiandolare la protesi ha minore tendenza a "risalire" verso la regione
succlavia.
La via d'accesso cutanea può essere:
-nel solco inframammario;
- periareolare;
-transascellare, in corrispondenza dell'apice inferiore del cavo ascellare.
La scelta della via scaturisce dalla valutazione della conformazione del torace della
paziente, delle caratteristiche della cute, delle abitudini di vita, del tipo di protesi
scelta. In ogni caso ci si deve aspettare, in corrispondenza dell'incisione, una
cicatrice lineare lunga dai 4 ai 6cm.
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
Da qualche anno è stato proposto anche l'accesso per via transombelicale, con
l'ausilio dell'endoscopio. Al momento però i risultati non appaiono validi, in quanto
tale tecnica limita sia la possibilità di scelta del tipo di protesi (si impiegano
esclusivamente protesi riempibili con soluzione fisiologica' al termine della fase di
posizionamento) sia la possibilità di modellare adeguatamente la forma delle nuove
mammelle. Si sottolinea che spetta solo al chirurgo la scelta della protesi e della
tecnica più opportuna per la singola paziente. Si ribadisce altresì che a tutt'oggi non
è mai stata dimostrata alcuna potenzialità carcinogenetica né inducente patologia
autoimmune per nessuna delle protesi in uso. Alle comuni controindicazioni già
discusse in senso generale per ogni intervento di chirurgia estetica, per l'intervento
di mastoplastica additiva vanno aggiunte le sindromi su base autoimmune, in quanto
la presenza di un corpo estraneo può fungere da adiuvante per l'espressività clinica di
tali patologie. L'intervento si effettua di regola in anestesia generale. In casi ottimali
l'intervento può essere effettuato in regime di day-hospital. In ogni caso in genere la
degenza postoperatoria non supera le 24 ore. Non sono necessarie trasfusioni di
sangue né predepositi. È’ opportuno che la donna non effettui lavori pesanti né
pratichi sport per 3-4 settimane dopo l'intervento. È buona regola che per circa 2
mesi indossi regolarmente un reggiseno opportunamente sostenuto (in genere è il
chirurgo plastico a suggerire il modello più idoneo); è opportuno che un buon
reggiseno venga indossato anche successivamente in occasione di attività particolari
(sport, lavori pesanti). Il risultato estetico, già molto gratificante fin dai primi giorni,
è ottimale e stabile dopo qualche mese, quando, se l'intervento è stato eseguito a
regola d'arte e non sono sopravvenute complicazioni, le mammelle sottoposte ad
impianto assumono consistenza morbida e una forma naturalmente sostenuta. E
importante che la paziente non dimentichi di effettuare tutti i controlli che il
chirurgo plastico richiederà, allo scopo di identificare e trattare fin dall'inizio
eventuali complicanze. Tali complicanze, peraltro sempre meno frequenti (5-10% dei
casi), consistono per lo più nella costituzione di una contrattura capsulare di grado
elevato. Ben più gravi complicanze sono l'infezione o la rottura delle protesi: esse
però sono da considerare come eccezionali e da imputare ad un errore di tecnica
operatoria, ad un difetto di fabbricazione delle protesi o a un trauma di straordinaria
entità. Una complicanza psicologica da non sottovalutare può essere l'elaborazione di
una condizione psichica di "invasione del proprio corpo da parte di un oggetto
estraneo": se non risolta, tale condizione richiede la rimozione della protesi. La
donna portatrice di protesi mammarie può tranquillamente viaggiare in aereo,
compiere escursioni ad alta quota o praticare immersioni in profondità, senza rischi
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
lamenta sempre dolore acuto e intenso, che in genere è il sintomo che lo spinge a
consultare lo specialista.
A tale quadro clinico corrispondono sul piano istopatologico: nell'epidermide
ipercheratosi e acantosi, "swelling" dello strato spinoso, edema dello strato basale;
nel derma edema, vescicolazione, atrofia degli annessi e delle fibre elastiche, fibrosi
delle fibre collagene; a livello vascolare necrosi fibrinoide delle pareti e trombosi
disseminate. Le radiodermiti croniche gravi o inveterate evolvono inevitabilmente
nella radionecrosi. Essa generalmente si manifesta dapprima come una o più
ulcerazioni superficiali, piccole, tendenti alla confluenza; successivamente coinvolge
i piani sottostanti fino a giungere, nei casi più clamorosi, alla distruzione massiva dei
tessuti profondi. Il fondo dell'ulcera radiodermitica è tipicamente sanioso, pallido ed
emana un caratteristico fetore, dovuto all'abbondante popolazione microbica, il cui
sviluppo, essendo la vascolarizzazione molto carente, non può essere contrastato
stabilmente. Il dolore è in genere più modesto che nella forma non necrotica,
verosimilmente per distruzione delle fibre sensitive. Di particolare gravità sono le
radionecrosi in corrispondenza di strutture, la cui esposizione e conseguente
degenerazione si traduce in un danno funzionale (in particolare nervi e tendini)
ovvero addirittura in un rischio di vita (grossi vasi, sierose, dura madre, ecc.).
Radiodermiti e radionecrosi sono da molti Autori considerate vere e proprie
precancerosi: in effetti, in una percentuale variabile dal 15% al 35% dei casi, a
seconda delle statistiche, si osserva, specie nelle forme più inveterate, l'insorgenza
di un tumore maligno. In genere si tratta di un epitelioma spinocellulare, anche se
talora si sono osservati basaliomi, sarcomi e melanomi. Le radiodermiti acute si
trattano in genere con topici antinfiammatori. Invece la terapia delle radiodermiti
croniche e delle radionecrosi è esclusivamente chirurgica. Essa consiste nella
generosa escissione di tutta la regione irradiata: il segno discriminante tra il tessuto
sano e quello irradiato è. in genere la sua "povertà"
circolatoria. Questo tempo operatorio è in genere
complicato dallo stato di diffusa sclerosi cicatriziale,
particolarmente temibile in prossimità dei grossi vasi,
duri e fragili così da essere possibile fonte di gravi
emorragie. All'asportazione del tessuto radiodermitico
corrisponde puntualmente la risoluzione del sintomo dolore, fin dalle prime ore
postoperatorie. Per la ricostruzione, è necessario utilizzare un trapianto, dotato di
un robusto assetto vascolare: esso infatti deve essere in grado di fornire alla sede
ricevente una rete circolatoria tale da sopperire alla sua carenza. Non è infrequente
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Lesioni da radiazioni ionizzanti
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Laserchirurgia cutanea
LASERCHIRURGIA CUTANEA
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Laserchirurgia cutanea
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Laserchirurgia cutanea
dunque essere utilizzati con successo nel trattamento di moltissimi quadri clinici
ovvero neoformazioni benigne e maligne della cute (nevi dermici, nevi epidermici,
verruche, xantelasmi, macchie, cheratosi attiniche basaliomi superficiali, etc),
anomalie vascolari congenite e acquisite (angiomi, couperose, teleangectasie degli
arti inferiori, eritrosi, etc), cicatrici acneiche e chirurgiche, esiti di ustioni, psoriasi,
vitiligine, striae distensae, rughe, peli superflui, tatuaggi.
E' noto che il laser Nd:YAG con i suoi 1064 nm di lunghezza d'onda trova un peculiare
settore d'impiego nella patologia
vascolare ma offre buoni risultati
anche nella epilazione permanente e
nel trattamento dei tatuaggi
monocromatici neri o blu.
Quest'ultimo argomento merita alcune riflessioni poiché, sebbene siano stati condotti
numerosi studi e sperimentazioni, ancora non è completamente chiarito il percorso
biologico del pigmento intradermico rendendo a tutt'oggi molto difficile ottenerne la
rimozione senza esiti apprezzabili. Indagini istologiche sui tatuaggi hanno dimostrato
che le particelle d'inchiostro inizialmente sono contenute nel citoplasma di cellule
fagocitiche e, successivamente, soltanto nei fibroblasti dermici con una elevata
concentrazione nelle zone perivascolari sotto uno strato di fibrosi sostituto del
tessuto di granulazione. Nelle decorazioni professionali ed amatoriali la profondità e
la densità dell'inchiostro sono molto diverse anche se nelle applicazioni amatoriali è
riscontrabile una maggiore variabilità per dimensione, forma e sede anatomica:
spesso è possibile il riscontro visivo di una
progressiva attenuazione del colore perché
probabilmente le particelle migrano più in
profondità per l'azione di cellule fagocitiche
mobili. Pertanto la rimozione dei tatuaggi con
la fototermolisi selettiva è ancora
parzialmente sconosciuta ma è chiaro che gran parte dell'inchiostro, solo
apparentemente eliminato dalla pelle, non viene di fatto rimosso ma in buona parte
drenato nei linfonodi. E' dunque difficile prevedere il numero delle sedute necessarie
per riabilitare un'area tatuata: in molti pazienti la prima applicazione produce una
reazione più evidente con ampie zone di schiarimento a differenza di altri nei quali
l'effetto è decisamente meno apprezzabile anche se prelievi bioptici dimostrano
sempre la frammentazione del pigmento ed è intuitivo che più la decorazione è
recente, minore è il volume dell'inchiostro e l'area di cute tatuata e più basso è il
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Laserchirurgia cutanea
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Laserchirurgia cutanea
S. di Cornelia De Lange
Epidermolisi bollosa distrofica
Neoplasie (gastrointestinali, bronchiali, mammella, utero)
Nevi (Becker, nevi pelosi)
Coda di fauno
Traumi (iniezioni, ingessature, pressione, agenti irritanti)
Ipertricosi lanuginosa congenita
I trattamenti medici proposti per la cura dell’eccessiva crescita dei peli sono riservati
alle forme androgeno dipendenti pertanto hanno ovvie limitazioni legate al sesso e
all’età dei pazienti (ciproterone acetato, spironolactone, cimetidina, finasteride,
dutasteride).
I trattamenti chirurgici sono finalizzati alla cura di eventuali neoplasie associate
mentre l’approccio“estetico” dell’ipertricosi varia da metodiche semplici quali la
rasatura, la decolorazione, le creme depilatorie, la ceretta, l’elettrolisi con la
quale si tenta di distruggere la papilla pilifera impedendo la ricrescita del pelo.
L’avvento dei laser chirurgici ha rivoluzionato il protocollo terapeutico non eziologico
dell’ipertricosi e dell’irsutismo infatti la distruzione del follicolo pilifero da parte di
un qualsiasi laser adatto allo scopo si basa sull’interazione tra la luce emessa dalla
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Laserchirurgia cutanea
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Laserchirurgia cutanea
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Laserchirurgia cutanea
loro inestetismo ovvero il consenso informato. Tutti i soggetti debbono possedere una
precisa documentazione fotografica prima del protocollo terapeutico e ai controlli
prima della seduta successiva. La cadenza delle applicazioni varia da 4 a 6 settimane
l’una dall’altra. I soggetti vanno fatti radere a domicilio tre giorni prima del
trattamento: in caso di depilazione con ceretta sarebbero opportuni tempi
leggermente più lunghi. Il numero delle sedute è generalmente compreso tra 6 e 9
sedute essendo di norma minore nei soggetti con fototipo più scuro. Anche le energie
impiegate variano in funzione del fototipo e del laser impiegato (ad esempio 30J/cm²
nei soggetti scuri e 45-60J/cm² nei soggetti chiari per il Nd:Yag laser). Il dolore che
si associa alle alte energie è generalmente ben tollerato sia per l’utilizzo del sistema
di refrigerazione che per la notevole motivazione dei soggetti in cura. Refrigerare il
campo operativo è fondamentale anche per ridurre l’incidenza degli effetti
collaterali. Il trattamento con il laser determina
certamente un miglioramento del quadro clinico sia in
termini di riduzione quantitativa dei peli che del loro
spessore. La percentuale di rarefazione dei peli
superflui (10-15% a seduta) è stata stimata tra il 30 ed
il 75% e dipende ovviamente dal tipo di sorgente
impiegata e dal fototipo. Il follow up medio a 18 mesi dimostra risultati stabili.
L'utilizzo della fototerapia nella psoriasi con radiazioni ultraviolette A (UVA)
impiegate da sole o in associazione con psoraleni (PUVA) e/o retinoidi (RePUVA) è
ampiamente conosciuta ed è ritenuta valida seppure con le limitazioni dovute alla
possibile insorgenza di effetti collaterali come la carcinogenesi cutanea. L'impiego
delle radiazioni UVB ha rivoluzionato il trattamento fototerapico nella malattia
psoriasica grazie anche alla messa a punto di apparecchi ad azione selettiva in grado
di ottenere bande di emissioni sempre più ristrette e dunque piùefficaci così come la
possibilità di combinare terapie fisiche e farmacologiche (psoraleni, ciclosporina,
etc.) ha consentito di ridurre la concentrazione cumulativa di UVB limitando la
tossicità dei farmaci stessi. Nell'ambito delle radiazioni ultraviolette di tipo B, il
trattamento con la luce monocromatica ad eccimeri a 308 nm (MEL) rappresenta una
delle novità terapeutiche più recenti in grado di offrire eccellenti risposte cliniche
sulla base di una drastica diminuzione dei livelli di citochine infiammatorie sulla cute
psoriasica. A conclusione di tutto quanto sopra riteniamo opportune alcune
considerazioni sulle complicanze e sui rischi correlati all'utilizzo dei sistemi laser.
Ipopigmentazioni, iperpigmentazioni, cicatrici patologiche o depresse, infezioni,
insuccessi, sono eventi indesiderati ma che sono purtroppo parte integrante della
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Laserchirurgia cutanea
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L’invecchiamento cutaneo
L’INVECCHIAMENTO CUTANEO
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L’invecchiamento cutaneo
espressione del gene per l’elastina che determina la scomparsa del tessuto elastico
nel derma.
Teoria dello stress ossidativo
Lo stress ossidativo costituisce una teoria, relativa all’invecchiamento, alternativa a
quella della senescenza cellulare. Il programma genetico alla base
dell’invecchiamento cutaneo biologico è caratterizzato da geni sensibili allo stato
redox della cellula, ciò suggerisce che l’invecchiamento è fortemente influenzato da
stress ossidativi. E’ noto che l’epidermide possiede una attività antiossidante
estremamente efficiente e superiore a quella rilevata in molti tessuti. La riduzione di
tale efficienza è stata proposta come fattore importante per l’invecchiamento.
Comunque, il ruolo della ridotta capacità antiossidante nella pelle invecchiata è
ancora molto controverso. Da una parte, in tale condizione, molti studi scientifici
descrivono una riduzione di alcuni enzimi come Cu, Zn-superossidodismutasi (SOD),
catalasi e glutatione per ossidasi, dall’altra altri suggeriscono che l’invecchiamento
cutaneo non sia dovuto ad un generale declino nella capacità antiossidante.
Comunque tutti sono concordi nel sostenere che l’accumulo di radicali liberi durante
la vita molto probabilmente promuove l’invecchiamento cellulare poiché i
meccanismi cosiddetti “scavenging” (spazzini), non sono efficienti al 100% ad ogni
stadio della vita. Tale considerazione è sostenuta da un recente studio in cui è
dimostrata la maggiore vulnerabilità di fibroblasti provenienti da soggetti anziani alla
presenza di proteine ossidate generate da stress ossidativo e la loro incapacità nel
rimuoverle efficientemente quanto i fibroblasti di soggetti giovani.
Invecchiamento estrinseco
L’accumulo di danni provocati dall’interazione con fattori ambientali (per es.
esposizione all’umidità per l’inizio della osteoartrosi) o dallo stile di vita (per es.
mancanza di esercizio per l’invecchiamento del muscolo scheletrico) può essere
definito come invecchiamento accelerato o estrinseco. Negli organismi superiori, in
particolare nell’uomo, l’invecchiamento cutaneo è molto legato allo stile di vita.
Sono stati identificati molti fattori che intervengono a tale proposito: radiazione
solare, infezioni di microrganismi, forze gravitazionali, campi elettromagnetici,
alimentazione, stress psicologici, fumo di sigarette e altri inquinanti aerei, anossia,
ferite e traumi. L’invecchiamento estrinseco è un processo biologico complesso che
coinvolge i vari strati della pelle con danni maggiori a carico del tessuto connettivo
del derma. Tale forma (tipologia) d’invecchiamento risulta principalmente dovuto
all’esposizione alla luce ultravioletta e per tale motivo è chiamato anche
fotoinvecchiamento (photoageing).
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L’invecchiamento cutaneo
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L’invecchiamento cutaneo
Stromielina 1 (MMP3);
sono in grado di degradare il collagene della pelle e il sistema elastico.
Nella pelle normale l’espressione basale di questi enzimi è relativamente bassa e può
essere marcatamente aumentata dall’irradiazione con raggi UV sia in vivo sia in
prove in vitro. La degradazione della matrice dermica non giustifica da sola i
numerosi cambiamenti che appaiono nella cute fotodanneggiata. Un’altra probabile
causa origina da difetti nei processi di riparo, tali difetti possono portare ad
alterazioni permanenti nella struttura e nell’organizzazione delle fibre di collagene e
di elastina e influenzare fortemente le proprietà biochimiche della pelle. Da tempo è
stata ben documentata l’influenza che l’età può esercitare sulla velocità di
guarigione di una ferita e molti dei meccanismi descritti potrebbero risultare
coinvolti anche nei processi di riparo della cute in seguito a danno da radiazione UV.
E’ importante sottolineare che i due processi di invecchiamento (intrinseco ed
estrinseco), hanno sia effetti quantitativi che qualitativi sulle fibre di collagene e di
elastina nella pelle. La deficienza di collagene che si verifica in tali processi è però
dovuta a meccanismi significativamente differenti. Nell’invecchiamento intrinseco si
assiste ad una ridotta sintesi di collagene e ad una aumentata espressione di
metalloproteasi. Nell’invecchiamento estrinseco la radiazione UV induce la sintesi di
collagene ma l’espressione delle MMP è così alta che la degradazione del collagene
risulta essere più evidente (oppure risulta avere il peso maggiore). Si può quindi
concludere che il bilancio tra sintesi di collagene e degradazione, che è alla base
della deficienza di collagene è differente nella pelle invecchiata naturalmente e in
quella fotoinvecchiata. Alcune anormalità come il collagene frammentato e
raggruppato, tipiche della pelle esposta a radiazione UV, sono osservate anche nella
pelle protetta dal sole nell’invecchiamento cronologico. Altre, invece, come
l’accumulo di materiale elastotico e altri detriti acellulari, non sono osservate in
modo rilevante nella pelle invecchiata ma protetta dal sole.
Teoria del modello micro-infiammatorio dell’invecchiamento
Nel 1996 fu proposto il modello micro-infiammatorio dell’invecchiamento della pelle.
Nel corso dello studio di tale modello fu osservato che tutti quei fattori tipici
dell’invecchiamento avevano la capacità di indurre la sintesi di ICAM-1
nell’endotelio. Ciò suggerisce che tutti quei fattori in grado di accelerare
l’invecchiamento, hanno la capacità di innescare una forma di risposta infiammatoria
che si auto-mantiene. Il modello permette di riconoscere nuovi fattori
dell’invecchiamento e di presagire se una particolare aggressione alla pelle potrà
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L’invecchiamento cutaneo
Le rughe
La ruga può essere definita come un solco lineare permanente della pelle, di
profondita' variabile. In base ad una classificazione causale si distinguono:
- rughe di espressione
- rughe gravitazionali
- rughe attiniche
- pieghe da sonno
Le rughe di espressione o muscolo-mimiche
Sono quei solchi che si formano sulla cute del volto a causa della trazione ripetitiva
esercitata dai muscoli mimici. Sono piu' evidenti nei soggetti che fanno largo uso
della mimica facciale, sono piu' marcate in alcune sedi o dal lato piu' usato per
l'espressione. Gia' all'eta' di 30 anni sono ben visibili e diventano progressivamente
piu' profonde ed infine permanenti. Distinguiamo le seguenti rughe e i muscoli mimici
corrispondenti:
frontali orizzontali: muscolo frontale (mimica dell'attenzione)
glabellari verticali: muscoli corrugatori sopracciliari, orbicolari dell'occhio,
procero (mimica della concentrazione)
glabellari orizzontali: procero
perioculari sottorbitarie e del canto esterno, "a zampa di gallina": muscolo
orbicolare dell'occhio
superiore e m. zigomatici (sorriso e mimica della gioia) operilabiali radiali:
muscolo orbicolare della bocca o labio-geniene: muscoli triangolari delle labbra e
muscoli mentonier (mimica della tristezza)
trasversali del collo: muscolo platisma.
Le rughe gravitazionali o pieghe di lassita' cutaneo-muscolare
Compaiono quando le fibre elastiche e i fasci di collagene alterati del derma non
sono piu' in grado di controbilanciare la forza di gravita'. Diventano sempre piu'
evidenti con la progressiva ipotrofia delle strutture di sostegno
(cronoinvecchiamento). Comprendono:
i solchi naso-genieni, secondari allo "scivolamento" del tessuto adiposo e della
cute
le rughe labio-geniene accentuate dall'abbassamento degli angoli della bocca
blefarocalasi e ptosi delle sopracciglia
"borsette" latero-mentoniere e "doppio mento" per riduzione di volume del III
inferiore del volto.
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L’invecchiamento cutaneo
Le rughe attiniche
Sono dovute al danno cumulativo esercitato dalla radiazione solare sulle fibre
elastiche (elastosi solare) e collagene. Sono presenti nelle regioni fotoesposte.
Nell'adulto sono poco evidenti, compaiono precocemente nei soggetti con fototipo 1
e 2 esposti ripetutamente e per periodi prolungati alle radiazioni UV naturali o
artificiali. Corrispondono a una piu' o meno marcata accentuazione della tramatura
cutanea che determina un quadro di sottili rughe diffuse, con cute "corrugata", "a
pergamena", o, in stadio avanzato, " a tessuto sgualcito" a causa dell'estrema perdita
di elasticita' della pelle.
Le pieghe da sonno
Sono unilaterali e determinate dalla postura notturna prevalente. Generalmente
intersecano altre rughe e sono localizzate a livello frontale o fronto-temporale
nell'uomo, e a livello delle guance nella donna. Inizialmente sono reversibili,
scompaiono variando la postura; successivamente, tendono a divenire
progressivamente permanenti. Al fine di individuare il trattamento correttivo piu'
adeguato per ogni singola ruga, e' fondamentale un'accurata valutazione dei fattori
causali determinanti la sua formazione.
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Argomenti di chirurgia estetica
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Argomenti di chirurgia estetica
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Argomenti di chirurgia estetica
dall'epoca egiziana ed ognuno dei canoni della letteratura, da Schack a Hogarth fino
a Romm, possono essere utilizzati più come richiamo per l'arte pittorica o scultorea
che per la pratica chirurgica nella quale resterebbero magari soltanto come guida
dimensionale. Coloro che sono soddisfatti delle loro fattezze restano indifferenti agli
stimoli dei confronti esterni e non avranno mai intenzione di modificare il loro "stato
morfologico". Certamente però esistono anche nuove ragioni che spiegano la attuale,
spasmodica ricerca del bello: mentre la tecnica pittorica o scultorea ha espunto per
secoli qualsiasi ipotesi di variabilità di un corpo umano da ritrarre, al contrario i volti
moderni anziché statici o diagrammatici, e quindi collettivi, appaiono fluidi e
mutanti, e dunque individuali, come i personaggi virtuali che sorgono innovati ogni
giorno sulle pagine dei giornali e dei media. Ci sembra dunque necessario ed utile
sostituire il concetto di bellezza con quello di armonia e sia conveniente riferirsi a
quelle “dimensioni proporzionate" di cui si parla nella Chirurgia Plastica considerando
che nessun mezzo elettronico potrebbe estrapolare i significati delle espressioni
"fisionomia attraente“, "atteggiamento elegante”, "distinzione" o "aspetto
piacevole”. Comunque affermare che “bello” è quanto, per aspetto esteriore o per
qualità intrinseche, provoca impressioni gradevoli è corretto ma elude ancora la
definizione del concetto di bellezza in sé e d’altronde persino Platone, nel suo Ippia
Maggiore, riuscì soltanto a rendersi conto della relatività del bello. Procedendo dalla
"non bellezza individuale“ ad una “condizione migliorata”, diversa per ogni soggetto
e delimitata dalla sua soddisfazione, si potrebbe anche credere che il criterio
chirurgico sia il solo a consentire la definizione di "bello" come massimo correttivo
della condizione di "non bello“ ricavata dalla somma dell'intensità della percezione
dell'immagine corporea con il grado di miglioramento estetico atteso ma il Chirurgo
Plastico,a detta di Jack Anderson,deve restare soltanto un buon artigiano anche se il
pubblico talvolta lo incensa come un "artista“: il suo impegno infatti non deve essere
di operare sempre in modo eccezionale bensì di "non operare mai male“. È possibile
altresì che il Chirurgo resti influenzato dalla sua cultura artistica e dal suo senso
della misura ma non potrà mai applicare regole fisse come se si trattasse di disegnare
le linee di prospettiva per una figura geometrica: la Chirurgia Estetica dovrebbe
pertanto essere fondata sui principi generali dell'armonia e della proporzione ma
considerando unico ed irripetibile ogni singolo paziente. La Chirurgia Estetica dunque
riconosce indicazioni esclusivamente soggettive ed ha competenze riconducibili non a
quadri clinici patologici ma a tratti morfologici non graditi al soggetto, compatibili
con la “normalità” ma subordinati a numerose variabili quali il gusto personale, il
profilo psicologico, l’età, la professione, l’ambiente socio-culturale, l’area
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“prudente” della cute in eccesso e dei depositi adiposi, erniati, responsabili delle
inestetiche “borse palpebrali”. Nella bleroplastica superiore l’incisione chirurgica
giace sul solco tarso-orbitale (8-10 mm dal bordo ciliare) ed è quindi ben dissimulata
mentre nella palpebra inferiore decorre a circa 1 mm dal bordo ciliare. Nei soggetti
giovani con borse adipose inferiori può essere utilizzata anche la via
transcongiuntivale che non consente la rimozione della cute eccedente ma non lascia
alcuna cicatrice esterna. La cheiloplastica additiva prevede un insieme di possibilità
tecniche finalizzate all’imbellimento delle labbra prevalentemente nella loro
componente mucosa: le labbra sottili sono infatti genericamente avvertite come
simbolo di vecchiaia e di malvagità. L’aumento del volume può essere ottenuto con
un lipofilling (impianto di tessuto adiposo autologo), con un innesto dermo-adiposo
autologo o con l’utilizzo di fillers di sintesi costituiti da materiali eterologhi
biocompatibili: sono assolutamente da evitare materiali alloplastici “permanenti”
poiché trattandosi di una regione anatomica in continuo movimento e soggetta a
microtraumi ripetuti, sono possibili reazioni infiammatorie con conseguente
innaturale indurimento del tessuto labiale. La liposuzione nel progetto di
ringiovanimento del volto trova una sua precisa collocazione da sola o in associazione
al fece-lift nei pazienti per i quali è necessaria una maggiore definizione delle
guance o la rimozione di tessuto adiposo eccedente nella regione cervicale (doppio
mento). Viene di routine eseguita con delicate manovre di lipoexeresi e cannule di
piccolo diametro (2 mm) per ridurre al minimo il rischio di rimozioni eccessive o
danni alle strutture vascolo-nervose. Il lipofilling è il procedimento chirurgico inverso
rispetto alla lipoaspirazione e prevede il prelievo di tessuto adiposo autologo da
reimpiantare per correggere eventuali perdite di sostanza del sottocutaneo. Nella
chirurgia estetica del volto la tecnica oltre che per la cheiloplastica additiva è utile
per attenuare la depressione dei solchi naso-genieni, delle rughe della regione
gabellare e per ricostituire la bolla del Bichat restituendo al viso la tipica rotondità
giovanile. Il resurfacing comprende un insieme di tecniche ancillari finalizzate al
miglioramento estetico della cute con l’attenuazione o la eliminazione degli
inestetismi superficiali quali photoaging, iperpigmentazioni, rughe sottili,
ipercheratosi. L’obiettivo comune è la distruzione guidata dell’unità epidermide-
derma superficiale e, con la successiva riepitelizzazione, il ripristino di un mantello
cutaneo levigato e giovanile. L’obbiettivo terapeutico può essere raggiunto mediante
peeling chimici profondi (acido tricloroacetico, fenolo), con la dermoabrasione e con
la fotovaporizzazione laser (C02 , Erbium:YAG).
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Argomenti di chirurgia estetica
Rinoplastica
Nell’ambito della Chirurgia Estetica la rinoplastica è l’intervento maggiormente
richiesto ed al tempo stesso un banco di prova
tra i più impegnativi per il chirurgo plastico. La
perfetta conoscenza dell’anatomia, della
fisiologia, della patologia, delle tecniche
operatorie senza una adeguata e specifica
esperienza personale non rappresentano una
garanzia per pianificare un progetto di modifiche strutturali del naso: la percentuale
di insuccessi (5-7%) registrati nelle casistiche internazionali confermano quanto sia
difficile realizzare un intervento che soddisfi pienamente l’operatore ed il paziente.
Le cause vanno senz’altro ricercate nel panorama veramente complesso delle
deformità della piramide nasale, dalla necessità di avere la padronanza assoluta di
più tecniche chirurgiche e, non ultimo, nella difficoltà oggettiva di apprendere e/o
insegnare la rinoplastica stessa.
La moderna e corretta pianificazione della rinoplastica prevede:
1. il colloquio preoperatorio;
2. lo studio del caso clinico;
3. la scelta e l’ applicazione corretta della strategia terapeutica;
Il colloquio preoperatorio, attento ed analitico, medico-paziente è parte integrante
dell’intervento chirurgico. Definire al meglio la personalità della persona consente al
chirurgo plastico di apprezzare se la richiesta è motivata o dettata da tendenze
inconsce e di valutare l’entità del beneficio sia sul piano estetico che sul piano
psichico.
Studi specifici sull’argomento distinguono le motivazioni in due gruppi principali:
A) Motivazioni inconsce
Questo gruppo comprende soggetti con personalità gravemente disturbata,
psiconevrotici o individui con patologia da “falso sé”, pazienti nei quali la richiesta
parte da motivazioni inconsce, per cui l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico
è un sintomo di disadattamento o di falso riconoscimento al sé corporeo. In queste
circostanze l’intervento chirurgico è sconsigliabile e dannoso poiché i pazienti, nella
maggior parte dei casi, rimangono ancora più frustrati dal proprio aspetto
realizzando tutte le premesse per una grave forma di depressione narcisistica con
sentimenti di vera e propria “rabbia” nei confronti del chirurgo che non li ha
soddisfatti.
160
Argomenti di chirurgia estetica
B) Motivazioni di realtà
Al contrario il secondo gruppo è composto da soggetti con una sintomatologia
strettamente correlata alla deformità nei quali lo stress e l’ansia sono per lo più
legati ad essa, essendo lo stato psicologico disturbato, reattivo ad un difetto fisico
realmente presente e dunque eventuali sentimenti aggressivi nei confronti
dell’operatore si manifestano soltanto in caso di errore tecnico o di profonda
delusione per le loro aspettative reali.
Studio del caso clinico
Con lo studio del caso clinico si entra nella fase operativa del protocollo terapeutico.
Un attento esame obiettivo locale ed una indagine fotografica-morfometrica del viso
sono elementi indispensabili per la formulazione della diagnosi, per la pianificazione
della strategia chirurgica e per la previsione del risultato finale. La valutazione
fisionomica del volto, infatti, non è un’arte libera, frutto semplicemente del senso
artistico del chirurgo ma, al contrario, è fortemente legata a concetti matematici di
misura e di proporzione. Il volto è distinto in 3 terzi: superiore (dalla linea dei capelli
alla glabella), medio (dalla glabella al punto sub-nasale), inferiore (dal punto sub-
nasale al mento) ed in 5 unità estetiche principali (fronte, occhi, naso, labbra,
mento). L’armonia ideale tra le varie componenti è regolata dalla conoscenza di 4
angoli fondamentali: l’angolo naso-frontale (125°-135°), l’angolo naso-facciale (35°-
40°), l’angolo naso-labiale (90°-132°) e l’angolo naso-mentale (120°-132°). Inoltre il
dorso del naso, nella sua visione laterale, è contenuto tra il nasion ed il punto
pronasale, la sua inclinazione è data dall’angolo naso-facciale e la lunghezza ideale è
di 45 mm nelle donne e 49 mm negli uomini.
Scelta ed applicazione corretta della strategia terapeutica
Per la realizzazione della rinoplastica nel corso degli anni sono state messe a punto
numerose tecniche operatorie, ognuna con i suoi vantaggi e svantaggi ma, nel
ribadire la necessità di un bagaglio teorico-pratico il più ampio possibile, è giusto che
il chirurgo plastico si affidi al metodo per il quale “sente” maggiore esperienza,
sicurezza e facilità di esecuzione. La richiesta più comune è quella di ridurre, snellire
il naso e la tecnica chirurgica prevede il rimodellamento completo dell’architettura
osteo-cartilaginea dalla punta al dorso attraverso una incisione vestibolare (la parte
interna delle narici) e dunque non visibile all’esterno. In casi particolari
(reinterventi, soggetti politraumatizzati) può essere utile il metodo “open” che
utilizza una piccola incisione nella columella per realizzare uno scollamento ampio
del rivestimento cutaneo ed una visione diretta delle strutture anatomiche da
correggere. Meno frequente è la rinoplastica “additiva” necessaria nei casi clinici con
161
Argomenti di chirurgia estetica
deficit strutturali della piramide nasale (traumi, infezioni) realizzabile con l’uso di
autoinnesti di osso e/o cartilagine opportunamente modellati ed inseriti nell’area
anatomica carente. Non sempre, infine, la rinoplastica da sola può essere in grado di
restituire un giusto equilibrio armonico al viso ma possono rendersi necessari
aggiustamenti accessori del mento (profiloplastica, genioplastica) e degli zigomi
(malaroplastica).
Otoplastica
Il padiglione auricolare è una complessa struttura caratterizzata da una conchiglia
cartilaginea rivestita da cute sottile. Le malformazioni dell’orecchio esterno
compaiono prevalentemente dal 3° al 6° mese di sviluppo e possono essere
classificate secondo Tanzer in:
Anotia.
Ipoplasia completa (microtia) con o senza atresia delmeato acustico interno.
Ipoplasia del terzo medio dell’orecchio.
Ipoplasia del terzo superiore dell’orecchio con orecchio contratto (a coppa e
pendente), criptotia ed ipoplasia dell’intero
terzo superiore.
orecchio prominente o “ad ansa”.
Le orecchie ad ansa possono rappresentare un
grave handicap psicologico nell’infanzia,
nell’adolescenza e nell’età adulta senza distinzione nei due sessi. L’atteggiamento
“a ventola” del padiglione auricolare è determinato da un coacervo di anomalie
prevalentemente caratterizzate da dismorfismi delle pieghe fisiologiche (elice,
antelice) e da un eccessivo sviluppo della conca che può raggiungere l’aspetto di
un’emisfera. Osservando un orecchio normale ci si accorge che la conca forma un
angolo di 90° con la testa ed altrettanto è l’angolo conca-scafa mentre l’angolo
auricolo-mastoideo (tra elice e cranio) è di circa 30°. Queste misurazioni consentono
di poter valutare correttamente l’armonia delle strutture anatomiche e definire
ciascuna singola malformazione:
deformità dell’elice e dell’antelice,
ipersviluppo della conca ed i rapporti con l’angolo conca-mastoide,
dimensioni del lobulo dell’orecchio e relazioni planari con l’elice.
Tra i fattori da considerare nello studio preoperatorio è opportuno ricordare che
l’intervento chirurgico di otoplastica può essere eseguito precocemente anche all’età
di 6 anni (età prescolare), senza interferenze sullo sviluppo del padiglione auricolare,
per prevenire possibili gravi ripercussioni psicologiche (insicurezza, depressione) dei
162
Argomenti di chirurgia estetica
pazienti, spesso oggetto di scherno da parte dei coetanei. Le tecniche chirurgiche più
moderne sono finalizzate a correggere le cause delle anomalie di forma con il
risultato finale di una generale rotazione della struttura verso la mastoide. L’accesso
chirurgico è collocato sulla faccia posteriore del padiglione auricolare, in una delle
pieghe naturali per essere ben dissimulato, e l’intervento prevede la resezione delle
porzioni di cartilagine in eccesso ed il rimodellamento delle aree malformate previa
una accurata interruzione delle fibre elastiche per cancellare la morfologia
tridimensionale esistente e prevenire la recidiva della deformità. I limiti principali
della maggior parte delle metodiche oggi utilizzate sono:
a) scarsa precisione nella definizione dell’antelice,
b) eccessiva adesione del padiglione auricolare al piano cefalico con scomparsa
dell’angolo cefalo-auricolare ed un aspetto estetico innaturale;
c) risultati non sempre stabili nel tempo.
Lipoaspirazione
La lipoaspirazione o liposuzione identifica una consolidata tecnica chirurgica di
manipolazione del tessuto adiposo finalizzata al miglioramento della silouette
corporea mediante una armonica ed omogenea sottrazione dello stesso. L’intervento
è sostanzialmente riconducibile ad una lipoestrazione con delle cannule, diverse per
forma e dimensione che, soggette ad una pressione negativa mediante un aspiratore,
vengono introdotte nel sottocutaneo con piccole e proporzionali incisioni della cute.
La prima documentazione storica risale al 1921 quando Dujarrier utilizzò una curette
uterina per rimuovere il grasso dalle ginocchia di una nota ballerina dell’epoca: il
tentativo si rivelò disastroso e drammatico concludendosi con l’amputazione di un
arto per gravi lesioni alla rete vascolare. L’interesse per la metodica emerse
nuovamente negli anni ’60: Schrudde asportava depositi adiposi rompendoli prima
con uno strumento chirurgico tagliente per aspirarli successivamente con una cannula
a pressione negativa mentre Kesserling e Meyer nel 1978 introdussero una maggiore
potenza di aspirazione preceduta sempre da una frammentazione del tessuto. Il
successivo fondamentale passo avanti tecnico fu la cannula smussa collegata
direttamente ad una pompa da vuoto messa punto da Fournier, Otteni ed Illouz che
migliorò notevolmente la metodica ed i risultati clinici. Altri importanti
aggiustamenti sono da attribuire ad Hetter, Teimourian e Klein che individuarono
l’importanza della capacità aspirativa dello strumento, delle cannule di piccole
dimensioni con punte differenziate e del cocktail farmacologico per l’infiltrazione
preoperatoria. Oggi la lipoaspirazione è un intervento chirurgico molto diffuso ed è
indicato per il trattamento di adiposità localizzate “resistenti alla dieta ed
163
Argomenti di chirurgia estetica
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Argomenti di chirurgia estetica
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Argomenti di chirurgia estetica
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Argomenti di chirurgia estetica
fismo addominale ed è molto più frequente nella donna dopo il parto. La paziente
presenta un variabile eccesso di cute nelle regioni sottombelicale mediana e
paramediane con grinze e strie cutanee che possono essere diversamente orientate
sia in senso orizzontale che verticale. L'ombelico può mostrare un dismorfismo più o
meno marcato. I restanti quadranti addominali non sono interessati da alterazioni
trofiche di rilievo, fatta eccezione per l'eventuale presenza di strie rubre e
smagliature. Si parla di addome globoso quando al quadro precedentemente descritto
si associa un eccesso di grasso dei quadranti inferiori e laterali. Le alterazioni
possono spingersi in varia misura verso, le aree sopraombelicali e spesso, nella
porzione media ed inferiore, può coesistere una diastasi dei muscoli retti. L'addome
pendulo rappresenta il quadro clinico estremo fra le alterazioni della parete
addominale. Tutti i quadranti sono interessati da un notevolissimo rilassamento della
cute con perdita dei normali rapporti fra i piani superficiali (cute e sottocute) e
quello fasciale sottostante: l'alterazione si rende estremamente evidente nella
regione sottombelicale sia medialmente che lateralmente anche oltre le spine.
iliache anteriori superiori. L'addome pendulo si associa quasi sempre ad una notevole
diastasi dei muscoli retti con sfiancamento di tutto il sistema muscolo-aponeurotico.
A queste condizioni di base si possono associare altre alterazioni quali: strie cutanee,
cicatrici da pregressi interventi chirurgici, diastasi dei muscoli retti, ernie della
parete addominale che devono essere tenute in considerazione nella
programmazione del protocollo terapeutico. In ogni caso una minuziosa valutazione
clinica preoperatoria ed una accurata selezione dei pazienti rappresentano i requisiti
fondamentali per il conseguimento di un risultato morfologico e funzionale ottimale.
L'addominoplastica rappresenta uno tra gli interventi più frequentemente richiesti al
chirurgo plastico. Il trattamento chirurgico di un dismorfismo addominale varia in
rapporto alla entità della condizione patologica di base. Per questo motivo, quando
oggi si parla di addominoplastica, si fa riferimento a tecniche chirurgiche diverse che
il chirurgo plastico deve selezionare per la risoluzione di ciascun caso. Il classico
intervento di addominoplastica, codificato negli anni 60 con il nome di
"addominoplastica standard" prevede alcuni tempi fondamentali:
incisione cutanea,
scollamento e stiramento in basso del lembo superiore,
plastica dei muscoli retti quando presente,
riposizionamento dell' ombelico,
sutura della ferita chirurgica.
Nell'addominoplastica "standard" l'incisione cutanea descrive una forma irregolarmen-
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Argomenti di chirurgia estetica
te a losanga, con una parte inferiore quasi onzzontale ed una superiore più arcuata
che supera in alto l'ombelico. Il disegno prima, e l'incisione poi, devono essere
pianificati preoperatoriamente in maniera perfetta in quanto anche piccole
imprecisioni possono causare risultati insoddisfacenti. Una volta eseguita la
escissione della losanga cutanea, si scolla il lembo di cute dell'addome superiore fino
all'altezza dell'arcata costale e lo si disloca in basso fino all'incisione inferiore. Dopo
aver individuato con misurazioni precise la nuova sede dell' ombelico, si procede a
far "emergere" la cicatrice ombelicale attraverso una incisione cutanea fino alla
superficie del lembo superiore dopo averIo stirato in basso.
L'intervento si conclude con la sutura cutanea e la medicazione modicamente
compressiva che viene rimossa dopo 3 - 4 giorni. Nel corso degli anni la tecnica
standard è stata utilizzata sempre meno frequentemente, riservandola ai soli casi
clinici di addomi molto voluminosi e/o penduli. Le variazioni della tecnica che si sono
susseguite in questi ultimi anni hanno essenzialmente interessato il disegno, la
lunghezza dell' incisione e l'utilizzo di tecniche complementari quali la liposuzione.
Alla base delle variazioni di forma dell'incisione vi è la necessità di ridurre al minimo
la sua estensione laterale lasciando la sutura finale all' interno degli indumenti
intimi. Per questo motivo l'evoluzione dei tracciati preoperatori ha seguito nel tempo
il divenire dei costumi e della moda.
Oggi nella addominoplastica estetica si cerca di utilizzare un “planning” persona-
lizzato che tenga conto oltre che della situazione locale anche delle abitudini e della
vita sociale della paziente. Per queste ragioni si tende ad eseguire disegni in cui la
linea di incisione inferiore appaia costituita da una porzione centrale leggermente
arcuata sulla regione pubica e due porzioni laterali oblique verso alto, che
decorrono parallelamente ai ligamenti inguinali 1-2 cm. medialmente ad essi. Nei
casi di addome grinzo, o comunque nei casi in cui non è necessaria un'asportazione
completa dei tessuti fino alla linea ombelicale, si esegue l'intervento di
"miniaddominoplastica".
Questa metodica prevede una exeresi limitata di tessuto senza riposizionamento
dell'ombelico. Un cenno a parte merita la liposuzione il cui utilizzo nella addo-
minoplastica ha recentemente subito un notevole incremento. La possibilità di
asportare quantità anche cospicue di sottocutaneo mediante l’aspirazione con
cannula, ha permesso il trattamento di addomi con accumuli localizzati nei quadranti
inferiori con la sola tecnica della liposuzione. Alla stessa maniera, l' aspirazione delle
porzioni laterali alla incisione nonché delle regioni dei fianchi ha permesso di
migliorare i risultati ottenuti con la addominoplastica. Le prospettive future di
168
Argomenti di chirurgia estetica
169
Principi di anestesia
PRINCIPI DI ANESTESIA
170
Principi di anestesia
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Principi di anestesia
questa sostanza “coca-in” ossia sostanza contenuta nelle foglie di coca. Schroff, un
medico viennese, nel 1862 osservò che i cristalli di coca-in posti sulla cute
procuravano una insensibilità agli stimoli dolorosi. La stessa esperienza venne
ripetuta da Von Aurep dopo la sua somministrazione sottocutanea. Nel 1884 lo stesso
Freud pubblicò un interessante articolo descrivendo l’utilizzo di questo alcaloide nel
trattamento di alcune patologie psichiatriche. Successivamente venne utilizzata in
chirurgia oftalmica cercando di migliorarne le caratteristiche di tollerabilità e
potenza. Nel 1904 infatti Fourneon introdusse la amilocaina e l’anno successivo,
Einhorn sintetizzò la lidocaina tutte sostanze con proprietà anestetiche che
trovarono il loro impiego solo nel 1948. Oggi la Anestesiologia moderna
fortunatamente dispone di una serie di molecole estremamente utili e maneggevoli
ma dobbiamo ringraziare la curiosità e la tenacia di molti studiosi se oggi è possibile
sottoporsi ad un intervento chirurgico senza provare alcun dolore e nella massima
sicurezza.
Valutazione preoperatoria
La scelta di un tipo di anestesia piuttosto che un altro è legato essenzialmente alla
procedura chirurgica da eseguire ed alle caratteristiche del paziente che si sottopone
all’intervento. Nel corso della visita anestesiologica preoperatoria il medico
anestesista valuterà accuratamente lo stato di salute del paziente pianificando la
gestione perioperatoria più adeguata. Un’accurata anamnesi ed un attento esame
obiettivo sono i determinanti per la selezione degli esami ematochimici e degli
accertamenti diagnostico-strumentalipreoperatori. Al termine della valutazione
clinico-anamnestica è possibile determinare la classe di rischio del malato secondo la
classificazione proposta dalla Società Americana di Anestesiologia (classificazione
ASA = American Society of Anesthesiologist). tab.1
Tab.1 - Classificazione dello stato fisico secondo
l’American Society of Anesthesiologist
Stadio Descrizione
1 Paziente normale
2 Paziente con malattia sistemica di media entità
3 Paziente con malattia sistemica severa, che limita l’attività ma che non provoca
totale incapacità
4 Paziente con malattia sistemica che causa incapacità totale con costante rischio di
vita
5 Paziente moribondo con aspettativa di vita non superiore alle 24 ore con o senza
intervento chirurgico
E L’annotazione dopo la numerazione dello stadio indica intervento chirurgico
d’urgenza e generalmente
172
Principi di anestesia
173
Principi di anestesia
Koller. Nel corso del tempo numerosi composti sono stati sintetizzati nelle più
disparate formulazioni per ottenere un AL con caratteristiche ideali. La struttura
chimica di un AL di uso clinico può essere suddivisa in 4 subunità: la subunità 1 è la
porzione aromatica della molecola costituita dal nucleo benzenico e responsabile
della liposolubilità. L’introduzione di un ulteriore gruppo lipofilico a questo nucleo
aumenta ulteriormente la solubilità lipidica della molecola ed influenza il grado di
dissociazione e la compatibilità del farmaco con il suo recettore; la subunità 2
contiene il legame estereo o amidico, condizionando un diverso metabolismo. Gli
aminoesteri sono degradati dalle pseudocolinesterasi plasmatiche mentre gli amino-
amidi sono metabolizzati per dealchilazione ossidativa epatica; la subunità 3 è
costituita da una catena di idrocarburi il cui allungamento o l’aggiunta di un radicale
alchilico contribuisce ad aumentare la liposolubilità; la subunità 4 è un’amina
terziaria responsabile della idrosolubilità della molecola. A pH fisiologico gli
anestetici sono presenti in parte in forma ionica, idrosolubile, ed in parte in forma
non ionica, liposolubile: il rapporto tra queste due forme dipende dal pKa della
sostanza. Solo la forma liposolubile, ovvero non ionica, è capace di passare
attraverso la membrana nervosa ed arrivare all'assoplasma: qui si raggiunge un nuovo
equilibrio tra parte ionizzata e non ionizzata. Nell'assoplasma, mezzo acquoso, solo
la forma ionica, è in grado di diffondere verso la parte interna del canale del sodio
ed ostruirlo, impedendo così la depolarizzazione. Sembra anche che l’attività
farmacocinetica si svolga prolungando il tempo in cui il canale del sodio si trova nello
stato di inattivazione. Esistono tuttavia altre modalità di azione ad esempio la
benzocaina si suppone che agisca facendo espandere la membrana con occlusione
fisica dei canali del sodio. Gli anestetici, una volta iniettati a livello perineurale,
vengono assorbiti dal sangue e successivamente ridistribuiti dapprima ai tessuti molto
vascolarizzati quali polmoni, sistema nervoso centrale e quindi ai muscoli. Nei grassi
si accumula una quota importante di farmaco solo in occasione di una
somministrazione prolungata. Gli aminoamidi vengono metabolizzati a livello epatico
escreti per via renale, mentre gli aminoesteri sono metabolizzati in gran parte nel
sangue grazie alle pseudocolinesterasi da alcuni di essi si forma acido
paraminobenzoico altamente allergizzante. La scelta di un anestetico locale deve
essere guidata principalmente da: onset time, potenza, durata di azione, capacità
di sviluppare blocco differenziale e potenziale tossico associato alla molecola.
Onset time: è il tempo necessario per raggiungere una concentrazione minima
per il blocco nervoso. Varia in funzione del pKa della sostanza (quanto più è alcalino
il pKa tanto più lento sarà l'onset del blocco anestetico) e della diffusibilità della
174
Principi di anestesia
175
Principi di anestesia
176
Principi di anestesia
cutaneo. Le tecniche per via topica utilizzano metodi fisici e chimici. Tra i metodi
fisici la ionoforesi e la fonoforesi rivestono un ruolo fondamentale.
Ionoforesi: il rilascio del farmaco utilizza una corrente galvanica. La differenza di
potenziale causa un movimento di ioni nella cute dove sono applicati l’anodo e il
catodo. Vari studi hanno valutato l’efficacia della tecnica utilizzando una soluzione
di lidocaina al 4% che tuttavia produce una analgesia di breve durata rispetto
all’infiltrazione del farmaco (14,5 ±9,5min vs 22,2 ±7,3min) ma superiore alla
semplice applicazione del gel di lidocaina (analgesia di 2,1±6,5min). Kassan ha
indicato, in una review del 1996, l’efficacia della tecnica nel 80-100% di tutti gli
interventi in cui è stata utilizzata (trattamenti laser delle discromie cutanee,
iniezione di farmaci, fillers, dermoabrasione, biopsie, elettrocoagulazione di
teleangectasie). Nonostante indubbi vantaggi rappresentati da un onset ridotto (~
10min) e dalla non invasività della tecnica, la necessità di utilizzare uno strumentario
particolarmente ingombrante e la difficoltà di trattamento di aree ampie (ridotte
dimensioni dell’elettrodo) o zone del viso e delle dita ne riducono il campo di
applicazione. L’effetto collaterale più rilevante è l’ustione dell’area del tessuto
esposto alla corrente tanto che per ridurre questi effetti si utilizza un’intensità
<1mA/cm.
Ionoforesi: la penetrazione del farmaco avviene attraverso un carrier (acqua o
gel) ionizzato dall’energia degli ultrasuoni. In realtà quale sia il meccanismo d’azione
per il rilascio dell’anestetico non è ben chiaro, sembrerebbe che alterazioni
termiche, meccaniche e chimiche del tessuto trattato possano essere i responsabili
dell’effetto. I migliori risultati sono stati ottenuti con la lidocaina crema al 25%
anche se ci sono reports in letteratura che descrivono l’azione degli ultrasuoni
sull’efficacia di una soluzione acquosa di lidocaina al 2% e confrontata
all’immersione del tessuto in un bagno di farmaco che non mostra alcun effetto.
Sono necessari ulteriori studi per chiarire in via definitiva la vera utilità e il campo di
applicazione di questa tecnica.
Tra i metodi chimici prenderemo in considerazione l’utilizzo di:
soluzione acquosa di anestetico
soluzione di anestetico in solvente organico
emulsione acqua/olio di anestetico
miscela estetica
patch di anestetico
anestetico incapsulato nei liposomi.
177
Principi di anestesia
I fattori principali che regolano l’assorbimento per via topica sono rappresentati
dalle caratteristiche intrinseche della molecola (ad esempio la polarità, le
dimensioni, ecc) e dalla modalità di rilascio (tipo di veicolo). La maggior parte degli
anestetici (benzocaina, lidocaina, mepivacaina, prilocaina, tetracaina) sono stati
disciolti in acqua e i loro sali applicati per via topica hanno dimostrato un scarsa
efficacia analgesica. Infatti solo una piccola porzione di base indissociata esiste in
questa soluzione per cui la penetrazione di una quantità sufficiente di farmaco è
raggiunta solo con l’utilizzo di elevate concentrazioni incrementando allo stesso
modo il rischio di effetti collaterali soprattutto in considerazione dell’ampiezza delle
aree da trattare. Una maggiore concentrazione della base libera è ottenibile
solubilizzando il farmaco in solventi organici come il dimetil sulfossido (DMSO), il
dimetil-acetamide, il propilen-glicole. L’uso di tali preparazioni nonostante produca
una effetto duraturo (>3 ore) non è scevro da effetti collaterali come secchezza della
cute, lesioni dermiche con edema, eritema ed ipersensibilità che li rendono
inaccettabili nella pratica clinica. Per questo la tecnologia farmaceutica ha messo a
punto una miscela estetica in cui la base anestetica è disciolta in olio prima di
addizionare l’emulsionante. Fermo restando che tutti gli anestetici possono essere
utilizzati, nella formulazione della Eutetic Mixture of Local Anesthetics (EMLA®)
l’associazione lidocaina+prilocaina ha trovato una più ampia applicazione per i
margini di sicurezza sufficientemente elevati di entrambi i farmaci. Numerosi campi
di applicazione si giovano della analgesia efficace e adeguata prodotta dall’EMLA nel
65 – 93% di tutti i pazienti testati con ridotti effetti collaterali legati soprattutto ad
un uso improprio e in pazienti pediatrici. In particolare Engberg e Coll. hanno
eseguito un studio raccogliendo i casi di metaemoglobinemia da miscela ed
individuando i dosaggi di sicurezza da adottare soprattutto nei pazienti pediatrici che
notoriamente hanno un valore ematico più elevato di meta emoglobina. In realtà in
letteratura vengono casi descritti di metaemoglobinemia anche con altre
formulazioni a base di benzocaina (formulazione spray–Hurricane® , gel–Cepacol®) e
ipoteticamente con tutti i farmaci (nitrati e derivati anilinici) che sono in grado di
ossidare il ferro dell’HB riducendo la capacità di rilascio di ossigeno nei tessuti. Nel
1964 Lubens e Sanker hanno utilizzato con successo su un considerevole campione di
pazienti (>8.000 pz.) un “patch” contenente 9gr di lidocaina crema al 30% applicato
con metodo occlusivo su epidermide integra ottenendo dopo 30 minuti una anestesia
sufficiente per eseguire exeresi di cisti sebacee, di nevi, di piccole neoformazioni
muco-cutanee dei genitali esterni e di tutte quelle lesioni di diametro < 1,5cm.
Sebbene tali risultati siano confortanti, la tecnica non ha ricevuto una adeguata
178
Principi di anestesia
179
Principi di anestesia
ogni volta di individuare il farmaco giusto nella formulazione più appropriata alle
esigenze del momento. Tradizionalmente l’utilizzo dell’anestesia locale per
infiltrazione viene riservata alla piccola chirurgia o negli interventi di chirurgia
plastica circoscritti.
b) Anestesia regionale
Il blocco nervoso regionale è riservata a quei pazienti per i quali è necessario un
protocollo terapeutico che coinvolge più distretti anatomici come alternativa valida
ed efficace dell’anestesia generale.
L’innervazione sensitiva è molto complessa ed in alcune zone presenta delle
sovrapposizioni che rendono difficile ottenere un’analgesia adeguata. Se per una
analgesia completa e totale localizzata all’emisoma inferiore è necessario effettuare
molti blocchi periferici è più opportuno utilizzare il blocco nervoso centrale
(subaracnoideo o peridurale) o il blocco nervoso periferico coadiuvato da una
adeguata sedazione del paziente.
C) Sedazione e Anestesia
Molte procedure di chirurgia plastica, estetica e chirurgia laser sono dolorose e
nonostante l’anestesia locale provvede ad un’eccellente analgesia in molti casi
esistono diversi scenari clinici in cui l’impiego di farmaci adiuvanti per via
endovenosa sono indispensabili per ottenere una sedazione con il miglioramento del
confort del paziente. Le indicazioni vengono così schematizzate:
- durante l’esecuzione di un blocco nervoso periferico soprattutto se per ottenere
una adeguata anestesia è necessario un numero elevato di iniezioni;
- nel resurfacing, che rappresenta una procedura altamente algogena;
in pazienti eccessivamente ansiosi;
- in pazienti pediatrici che beneficiano dell’effetto sedativo, ansiolitico e amnesico
della sedazione cosciente.
Scamman ha descritto i tre elementi chiave della sedazione cosciente come:
- sedazione sicura che richiede la comunicazione con il paziente il monitoraggio e la
disponibilità dell’equipaggiamento di rianimazione;
- controllo dell’ansia presenza di amnesia e riduzione degli stimoli ambientali;
- controllo del dolore tramite la somministrazione di anestetici locali e di farmaci
sedativi e analgesici. Attualmente i farmaci più utilizzati sono le benzodiazepine
(midazolam), propofol, analgesici oppioidi (alfentanil, fentanil, remifentanil) e
anestetici volatili (alogenati). La valutazione del livello di sedazione può essere
eseguita utilizzando indifferentemente una delle numerose scale proposte dai vari
autori.
180
Principi di anestesia
In particolare nella nostra esperienza facciamo riferimento alla scala di Ramsay che
ci sembra la più facile da applicare con ottimi risultati nel controllo dei pazienti.
tab.2
181
Principi di anestesia
A volte l’anafilassi viene confusa con altri quadri clinici altrettanto drammatici come
l’embolia polmonare, l’infarto miocardio, la reazione vaso-vagale, ecc. In definitiva
gli agenti che più frequentemente causano reazioni anafilattiche o anafilattoidi sono
i farmaci dell’anestesia generale, gli anestetici locali ed il lattice. La patogenesi di
queste reazioni è ancora incerta e controversa infatti mentre le reazioni
anafilattiche sono IgE mediate che sono in grado di legarsi a mastociti e basofili non
solo del sangue ma anche tissutali riproponendo il ruolo centrale di mediatori chimici
vasoattivi, nelle reazioni anafilattoidi si assiste alla attivazione di alcune proteine
plasmatiche del gruppo del complemento o al rilascio di mediatori chimici da parte
dei basofili e mastociti stimolati direttamente dall’allergene. tab.4
182
Principi di anestesia
Sembrerebbe che le reazioni tossiche sano le più frequenti e siano anche dose
dipendente. In realtà le manifestazioni cliniche sono in fase di riduzione progressiva
(o, 6-1% di tutte le procedure) da quando sono stati abbandonati gli anestetici locali
esteri dell’acido paraaminobenzoico e prediligere quei farmaci di derivazione
amidica di cui non si è mai dimostrata istologicamente una reazione IgE mediata. Per
i pazienti che riportano un’anamnesi positiva per reazioni atipiche verificatesi dopo
somministrazione di un anestetico locale è possibile eseguire un test di screening per
183
Principi di anestesia
1 Prick - Induiluita
184
Principi di anestesia
approvato nessun tipo di test cutaneo che può essere eseguito per individuare i
soggetti a rischio. In tal caso è sempre utile adottare una serie di precauzioni come
utilizzare siringhe di vetro, cateteri endovenosi privi di lattice, pallori per
ventilazione al neoprene, valvole respiratorie in silicone, eliminare i guanti in
lattice e tutto il materiale lattice-simile.
185