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Per poter raccontare al meglio la storia musicale parigina nel Novecento, mi trovo costretto a cominciare da

un prologo. Il nostro prologo sarà Camille Saint-Saens, ossia l’intruso, il conservatore. Nei primi decenni del
Novecento Saint-Saens è la figura più riverita del panorama musicale francese, detiene un potere pressoché
illimitato sulla situazione musicale parigina. Compositori in cerca di successo si scambiano lettere colme di
terrore per una cattiva recensione da parte del censore. Critico integerrimo, Saint-Saens rappresenta il più
potente bastione dell’accademismo, del rigore formale, di un nazionalismo conservatore e spietato.
Celeberrimo è in quegli anni l’affaire Dreyfuss, il caso di antisemitismo con il più alto impatto mediatico
dell’epoca, ecco, Saint-Saens era l’antisemita.
Eppure non è sempre stato così, da giovane sognava la rivoluzione, era vicinissimo a nomi ben poco
raccomandabili come Berlioz, Liszt, Wagner, Schumann, insomma la controcultura, l’antiaccademismo. Con
gli anni accumula un cospicuo numero di referenze non da poco, Liszt scrive di lui: “è il più grande organista
del mondo”, Wagner dice “è la più grande mente musicale del mondo”, Berlioz scrive in una lettera: “sa
tutto, ma manca d’inesperienza”. Ottenuta una cattedra di organo Saint Saens introduce per la prima volta
Schumann e Liszt all’interno di programmi didattici finora basati unicamente sui maestri del barocco
francese e tedesco. Insomma Saint Saens è l’esempio perfetta di come si nasca idealisti e si muoia
democristiani. Il grande cambiamento avviene nel … (non mi ricordo la data, perdonami), scoppia la guerra
Franco-prussiana e Saint Saens viene chiamato alle armi. Tutt’ora i manuali di storia la ricordano come la
più grande batosta subita dai francesi dai tempi del De Bello Gallico. Per Saint Saens la sconfitta pesa come
un’onta imperdonabile, tornando in Francia tronca ogni rapporto con la musica prussiana e fonda la societè
national de musique a Parigi, istituzione fortemente orientata su un nazionalismo revanescista, il grido di
guerra è Ars Gallica! Questa è la storia di come il giovane che ammirava l’avanguardia si fa via via sempre
più conservatore fino ad asserire in una lettera “al di fuori della tonalità solo rumore”. Con il suo nuovo stile
compositivo neoclassico e antiprussiano raggiunge un successo e un potere pressochè illimitato, eppure già
c’è chi dice sottovoce che Saint Saens è il più tedesco tra i compositori francesi. Malgrado tutti suoi sforzi
non è riuscito a disintossicarsi fino in fondo dagli studi di gioventù, in particolare viene notata una vena
germanica nelle sue tecniche di elaborazione tematica, appresa sulle partiture di Beethoven e Hayden
piuttosto che su quelle di Rameau e Lully.
È necessario Alpi fini della comprensione generale chiarire cosa si intenda con “elaborazione tematica”.
Questa è ad oggi uno dei più grandi problemi adolescenziali che affligge la gioventù americana. La
statistiche indicano che negli Stati Uniti ogni diciottenne ha già composto almeno tre canzoni, testo e
musica, per iscritto. Bene, credo che chiunque in un momento di particolare ispirazione si sia trovato a
cantarsi nella testa una qualche melodia inventata estemporaneamente, non bisogna chiamarsi Mozart per
inventare una melodia. I problemi arrivano dopo: una melodia a fatica supera i venti secondi, una canzone
che si rispetti deve durare almeno tre minuti. Dunque, una volta che si è esposta l’idea melodica che si fa?
Ebbene, a quel punto si elabora, si prende la melodia e la si ripropone sotto un altro punto di vista, un po’
variata, in modo a volte anche irriconoscibile. Questa è l’elaborazione tematica. Nella storia della musica i
principi dell’elaborazione sono sempre stati i tedeschi, e lo stesso interesse noi lo ritroviamo nelle ultime
composizioni di Saint Saens. Prendiamo per esempio la sonata per clarinetto e pianoforte, si apre con una
melodia estremamente dolce e cantabile. La stessa melodia noi la ritroviamo dieci minuti dopo nel quarto
movimento, ma questa volta è frenetica, disperata, concitata. Eppure il secondo movimento è di fatto una
gavotta, e la danza è sempre stato un genere prettamente francese, pertanto analizzando attentamente la
sonata possiamo riscontrare entrambe le cittadinanze: francese e tedesca.

“Odio il sentimentalismo e non posso dimenticare che il suo nome è Saint Saens”, così afferma Debussy.
All’interno dell’ambiente conservatore, accademico, saint-saensiano parigino di fin de siècle si forma una
resistenza, e uno dei suoi capi è Claude Debussy.

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