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La ricerca vuole tracciare un percorso diretto all’acquisi-
zione di una maggiore consapevolezza del Sé, attraverso
l’ascolto sensoriale e la pratica improvvisativa, in qualsi-
voglia modus performativo.
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farla nascere in loro. Questo metodo socratico era noto
come maieutica e l'oggetto a cui mirava era da lui chia-
mato daimon ovvero il demone interiore, lo spirito guida
che alberga in ogni persona.
Ma la coscienza del sè che cos’è, se non la consapevolez-
za di qualcosa che accade dentro di noi, ma anche attor-
no a noi? La coscienza è quella parte che mette in comu-
nicazione il mio corpo con tutto ciò che accade fuori da
me e che mi permette di conoscerlo, studiarlo, analizzar-
lo, al fine di creare un ponte tra dentro e fuori, cioè tra
me e il mondo. Quindi coscienza è anche conoscenza, dal
latino co-gno-sco = cominciare ad accorgersi. Accorgersi
di una virgola, di un soffio, di un sapore, di un odore, di
un viso, di un suono, di un umore. I segnali provengono
dai sensi. Il mio corpo attraverso i sensi mi collega al
mondo. Il mondo mi invia messaggi che vengono percepiti
e trasmessi ai circuiti nervosi da cui l’informazione inco-
mincia il suo viaggio nel corpo. Questo percepisce non
solo attraverso i sensi esterni, udito, vista, tatto, gusto,
odorato (in questo caso si parlerà di esterocezione) ma
anche attraverso gli organi interni, dall’intestino alla ve-
scica, grazie a praticolari terminazioni nervose (proprio-
cezione).
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tuazioni in cui potrebbe essere necessaria una risposta
immediata alla sopravvivenza.
Queste sensazioni, che chiamiamo emozioni (dal latino
emotus p.p. di emovere = trasportare fuori, smuovere,
squotere) devono essere esternate e sono associate a mo-
dificazioni psicofisiologiche.
Le emozioni hanno una funzione relazionale autoregolati-
va e nascono nei centri sottocorticali dell’encefalo, in una
zona arcaica (dal greco archaikos, primitivo, antico, da
archè = principio), in cui risiede l’amigdala.
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cucina di un alchimista.
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sofo, un salumiere, un fiorario, uno chef e tanti altri indi-
vidui, decidono di esprimersi e comunicare. In effetti il
verbo italiano creare, al quale il sostantivo creatività ri-
manda, deriva dal latino creare che condivide con cresce-
re la radice KAR. In sanscrito, KAR-TR è colui che fa.
Considerando la mia disciplina, la musica, in qualunque
periodo storico decida di imbattermi, e soprattutto in
qualsiasi cultura, ritrovo in modalità espressive differenti,
questa procedura creativa. Ma nella mia ricerca la consi-
dero una creazione personale in cui il performer, non fa
solo riferimento all’infinito bagaglio storico legato alle
forme improvvisative, ma anche e soprartutto a regole
personali, acquisite attraverso l’esperienza sensoriale .
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l’inizio, il divenire e la fine di un percorso di studio e di
ascolto. Quando incomincio ad improvvisare è come se
tracciassi un cerchio che alla fine lascio libero di circola-
re. Questo richiede l’acquisizione di una tecnica persona-
le con gli studi accademici e l‘ascolto sensoriale, che
permette di guardarsi dentro. Quindi all’interno del pro-
prio percorso improvvisativo tutto assume una conno-
tazione differente a seconda di chi vive l’esperienza,
suona e sperimenta l’oggetto piuttosto che lo strumen-
to. Per far questo occorre imparare ad uscire dal proprio
guscio (inteso anche come ancoraggio ad una tecnica ac-
quisita e rassicurante) e permettere ai propri sensi di spe-
rimentare altro che possa aiutare a cogliere nuovi aspetti
di un oggetto, di uno strumento, quindi del Sé, inteso
come soggetto che sta compiendo l’atto improvvisativo e
degli altri Sé, intesi come altri soggetti che interagiscono
nell’atto improvvisativo e che favoriscono la produzione
di sempre nuove e originali strutture compositive.
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Ascolto che può e deve poter significare anche studio,
di uno spartito, di un genere, di un compositore, di un
pittore, di una tecnica, di una ricetta, di un danzatore,
di un alimento, di un cuoco, di un oggetto, di un vino,
di un individuo, di un quandro, di un’idea. (Laddove per
studiare indendo sollecitare mente e corpo all’atto cono-
scitivo). Infatti l’apprendimento dell’atto improvvisativo
consiste nell’acquisire la conoscenza psichica e fisica del-
la tecnica, dei movimenti, dei passi, dei ritmi, degli
strumenti di una cultura, nel metabolizzarli ovvero fare in
modo che entrino nel nostro sistema di vita, per poi con-
dividere questa conoscenza, liberando il nostro personale
intuito, quindi la nostra individualità.
In questo modo il performer può esprimere il proprio Sè.
Per poter improvvisare è quindi assolutamente necessario
l’approccio al doppio canale: CONOSCITIVO (studio) –
ESPERENZIALE (sensoriale)
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L’urgenza che mi spinge a vivere questa tecnica appena
descritta nasce dalla forte esigenza di creare un ponte tra
dentro e fuori, ovvero trasformare il fatto, in atto.
Denominare, etichettare, verbalizzare, e applicare simbo-
li, impedisce la totale attenzione all’atto, cioè l’improv-
visazione (senza per questo voler criticare o emettere al-
cun tipo di giudizio su chi pratica l’improvvisazione IDIO-
MATICA, costruita, strutturata e destrutturata sui concet-
ti, come ad esempio l’armonia, da cui ci si allontana e a
cui si ritorna).
Il mio atto improvvisativo, la mia performance, è ciò
che c’è tra la MIA esperienza e il MIO linguaggio : il MIO
reale, l’IDIOMA DEL MIO Sé. (dal gr. ἰδίωµα -ώµατος par-
ticolarità, peculiarità di stile, linguaggio, der. di ἴδιος
particolare)
Tanto il prodotto conclusivo è autentico quanto il proces-
so che lo ha realizzato mi ha permesso di scavare (dal lat.
Ex-cavàre = cavare sotto = estrarre) nei meandri di di tut-
to ciò con cui interagisco, per coglierne l’essenza.
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bilmente si perde quando si tenta di organizzare e di
spiegare. Il cammino, la sperimentazione, l’insigth,
l’ascolto sono pieni di sorprese, perché non ci sono saperi
garantiti che lo spianino.
Prende così forma lentamente uno spazio mentale che
non ha funzionamenti discorsivi e che principalmente
ASCOLTA, percepisce e condivide ciò che sente, il suo rea-
le.
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Non svela il significato di una melodia, di una struttura
musicale o di un paesaggio mentale ma fa risuonare la ve-
rità di quel’individuo che la esegue, quello di cui non si
può parlare, ciò che c’è tra il proprio background e que-
sta particolare forma compositiva, l’hic et nunc, l’atto, il
movimento, l’acquisizione di un nuovo spazio attraverso
un ascolto agito.
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prima e alla produzione dello stesso dopo, sono state con-
siderate come le pale di un’ ELICA. L’associazione tra i
due termini di paragone è stata suggerita dalla forma
stessa dell’ ELICA, le cui pale da ferma sono perfettamen-
te distinguibili, mentre in movimento creano un circolo
confondendosi l’una nell’altra.
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creato un cerchio senza inizio né fine, per l’appunto un’
ELICA.
Non devo poter ascoltare solo con l’organo deputato al-
l’ascolto, l’udito, ma anche e soprattutto con gli organi
che albergano nel mio corpo, tra cui gli organi di senso.
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