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ELICA

Il CONTO DI UN SOGGETTO CON SE STESSO


Approccio multisensoriale alla musica attra-
verso l’improvvisazione.

Guardando un colore, ascoltando un suono, assaporando


un alimento, annusando una fragranza, sfiorando un og-
getto e cercando di andare al di là della sua veste este-
riore e della sua corporeità, ci imbattiamo in un universo
emozionale che difficilmente risulta traducibile a parole.
Non devo poter ascoltare solo con l’organo deputato al-
l’ascolto, l’udito, ma anche e soprattutto con gli organi
che albergano nel mio corpo, tra cui gli organi di senso.

Coinvolgere i 5 sensi, è inevitabile e questi creano un cer-


chio senza inizio né fine.

Considero di cerchio poiché si tratta di una figura geome-


trica in movimento, che facilita la scoperta (laddove per
scoperta intendo venire a conoscenza di qualcosa scono-
sciuta, prima di quel momento).

Il processo educativo infatti non è un processo di inglo-


bamento della persona all’interno di un progetto che le è
esterno, ma è un processo di aiuto alla persona a compie-
re un cammino a partire da se stessa: educare, come dice
l’etimologia stessa della parola, non vuol dire mettere
dentro, ma tirare fuori, quindi mettere in condizioni l’al-
tro di recuperare in senso profondo, la propria identità.

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La ricerca vuole tracciare un percorso diretto all’acquisi-
zione di una maggiore consapevolezza del Sé, attraverso
l’ascolto sensoriale e la pratica improvvisativa, in qualsi-
voglia modus performativo.

Partendo dal presupposto che una performance sia una


prestazione, e che questa a sua volta sia qualcosa che si
compie per qualcuno o per se stessi, soddisfacendo quindi
due interessi, personale e di colui che fruisce la perfor-
mance, si può affermare che il performer porga se stesso.
Il performer infatti, si mette a nudo, ovvero condivide il
suo essere, cioè la parte più profonda del sè. Sé inteso
come elemento che organizza e gestisce gli stimoli am-
bientali e le relazioni oggettuali, quindi il principale me-
diatore della consapevolezza.
Sé inteso come struttura che realizza l’insigth, percepisce
quindi sé stessa ed entra in relazione con altre persone,
con altri sé.
Quindi la conoscenza del Sé può essere considerata la
prima e unica forma di sapere certo e assoluto, essendo
interiore. Per Socrate tutto il sapere è vano se non è ri-
condotto alla coscienza critica del proprio io, che è un
sapere del sapere. L'autocoscienza è quindi per lui il fon-
damento e la condizione suprema di ogni sapienza.
Conosci te stesso sarà il motto delfico che egli fece pro-
prio a voler dire che solo la conoscenza di sé e dei propri
limiti rende l'uomo sapiente, oltre a indicargli la via della
virtù e il presupposto morale della felicità. Una tale auto-
coscienza tuttavia non è insegnabile né trasmissibile a pa-
role, poiché non è il prodotto di una tecnica: ognuno deve
trovarla da sé. Il maestro può solo aiutare i discepoli a

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farla nascere in loro. Questo metodo socratico era noto
come maieutica e l'oggetto a cui mirava era da lui chia-
mato daimon ovvero il demone interiore, lo spirito guida
che alberga in ogni persona.
Ma la coscienza del sè che cos’è, se non la consapevolez-
za di qualcosa che accade dentro di noi, ma anche attor-
no a noi? La coscienza è quella parte che mette in comu-
nicazione il mio corpo con tutto ciò che accade fuori da
me e che mi permette di conoscerlo, studiarlo, analizzar-
lo, al fine di creare un ponte tra dentro e fuori, cioè tra
me e il mondo. Quindi coscienza è anche conoscenza, dal
latino co-gno-sco = cominciare ad accorgersi. Accorgersi
di una virgola, di un soffio, di un sapore, di un odore, di
un viso, di un suono, di un umore. I segnali provengono
dai sensi. Il mio corpo attraverso i sensi mi collega al
mondo. Il mondo mi invia messaggi che vengono percepiti
e trasmessi ai circuiti nervosi da cui l’informazione inco-
mincia il suo viaggio nel corpo. Questo percepisce non
solo attraverso i sensi esterni, udito, vista, tatto, gusto,
odorato (in questo caso si parlerà di esterocezione) ma
anche attraverso gli organi interni, dall’intestino alla ve-
scica, grazie a praticolari terminazioni nervose (proprio-
cezione).

Il messaggio percepito genera nell’immediato sensazioni,


più o meno gradevoli, le emozioni, quindi viene codificato
dalla coscienza e rimesso in circolazione secondo metodo-
logie personali e soggettive. L’atto di generare sensazioni,
(quindi la nascita delle emozioni) è uno stato fisiologico
per rendere più efficace la reazione dell’individuo a si-

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tuazioni in cui potrebbe essere necessaria una risposta
immediata alla sopravvivenza.
Queste sensazioni, che chiamiamo emozioni (dal latino
emotus p.p. di emovere = trasportare fuori, smuovere,
squotere) devono essere esternate e sono associate a mo-
dificazioni psicofisiologiche.
Le emozioni hanno una funzione relazionale autoregolati-
va e nascono nei centri sottocorticali dell’encefalo, in una
zona arcaica (dal greco archaikos, primitivo, antico, da
archè = principio), in cui risiede l’amigdala.

Quindi l’emozione è uno stato alterato del corpo, associa-


to all’imminenza di qualcosa da cui fuggire o perseguire.
Un’ imminenza su cui, dopo, interverranno la mente, la
coscienza, la ragione. Uno stato la cui intensità varia ed è
proporzionata all’urgenza di fuggire o perseguire l’evento
in questione. Purtroppo risente di esperienze precenden-
ti, quindi di una determinata educazione sentimentale.
Ma questo atteggiamento mentale, ovvero il denominare
la sensazione, è un processo della coscienza che impedi-
sce di guardare il fatto, cioè la sensazione stessa. Quando
do un nome alla sensazione non sto più guardando la sen-
sazione, non sono più totalmente con il fatto.
Il fatto è l’emozione generata da una sensazione percepi-
ta e scatenata da qualcosa di visto, sentito, pensato, an-
nusato, toccato, udito, assaporato, etc…

Mi sembrava che l'anima viva dei colori emettesse un ri-


chiamo musicale, quando l'inflessibile volontà del pennel-
lo strappava loro una parte di vita. Sentivo a volte il
chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano;
era un'esperienza misteriosa; sorpresa nella misteriosa

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cucina di un alchimista.

V.Kandinsky, Lo spirituale nell’arte

Le neuroscienze ritengono che la catalogazione delle atti-


vità sensoriali non venga sempre rispettata. I nostri si-
stemi percettivi, infatti, solo intimamente correlati tra
loro e le nostre sensazioni non riguardano quasi mai un
solo senso. Quando si verifica un corto circuito tra i sensi,
siamo in presenza della cosiddetta sinestesia, (dal greco
synaisthesis = percezione simultanea) un fenomeno di in-
terazione sensoriale, in cui uno stimolo induttore, cioè
una percezione reale relativa ad un senso, può essere av-
vertita simultaneamente da un differente organo di sen-
so.

L’emozione, quindi, ci smuove, ci muove e ci commuove,


offrendoci una carica motivazionale che aggiunta a tutte
le altre, costituisce il mondo delle motivazioni che ci
fanno vivere. Queste motivazioni ci permettono di
esplorare. La vita nel suo complesso è infatti sostanzial-
mente esplorazione. L’esplorazione è un gioco ed è com-
ponente essenziale del comportamento degli animali su-
periori e dell’uomo, permettedo ai nostri antenati di farci
arrivare dove siamo.

QUI RISIEDE L’ATTO IMPROVVISATIVO così come la mia


ricerca lo intende.

L’improvvisazione per me è una procedura creativa con


cui un musicista, un pittore, un attore, un danzatore, un
avvocato, un bambino, un medico, un ciabattino, un filo-

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sofo, un salumiere, un fiorario, uno chef e tanti altri indi-
vidui, decidono di esprimersi e comunicare. In effetti il
verbo italiano creare, al quale il sostantivo creatività ri-
manda, deriva dal latino creare che condivide con cresce-
re la radice KAR. In sanscrito, KAR-TR è colui che fa.
Considerando la mia disciplina, la musica, in qualunque
periodo storico decida di imbattermi, e soprattutto in
qualsiasi cultura, ritrovo in modalità espressive differenti,
questa procedura creativa. Ma nella mia ricerca la consi-
dero una creazione personale in cui il performer, non fa
solo riferimento all’infinito bagaglio storico legato alle
forme improvvisative, ma anche e soprartutto a regole
personali, acquisite attraverso l’esperienza sensoriale .

Qui la mia ricerca trova la sua fonte di sviluppo.

Gli stimoli sensoriali vengono inviati al SNC (sistema ner-


voso centrale) che li codifica, selezionandoli nella infinita
biblioteca mentale. La coscienza interverrà quando avre-
mo bisogno di utilizzare il nostro catalogo, decidendo
quindi il da farsi : compiere o non compiere un’azione.
L’improvvisazione nasce nell’attimo che precede il mo-
mento in cui si verifica la catalogazione da parte della co-
scienza, perchè accade nel momento in cui si realizza e si
materializza. Ecco perchè l’improvvisazione così intesa è
il Sè allo stato arcaico, non viziato, non catalogato, puro
intuito, (dal lat. intuĭtus -us, der. di intuēri veder dentro)
puro ascolto del sè.

L’improvvisazione è una composizione istantanea, si rife-


risce a qualcosa che si sta creando hic et nunc, nel preci-
so momento in cui si realizza, ma che costituisce anche

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l’inizio, il divenire e la fine di un percorso di studio e di
ascolto. Quando incomincio ad improvvisare è come se
tracciassi un cerchio che alla fine lascio libero di circola-
re. Questo richiede l’acquisizione di una tecnica persona-
le con gli studi accademici e l‘ascolto sensoriale, che
permette di guardarsi dentro. Quindi all’interno del pro-
prio percorso improvvisativo tutto assume una conno-
tazione differente a seconda di chi vive l’esperienza,
suona e sperimenta l’oggetto piuttosto che lo strumen-
to. Per far questo occorre imparare ad uscire dal proprio
guscio (inteso anche come ancoraggio ad una tecnica ac-
quisita e rassicurante) e permettere ai propri sensi di spe-
rimentare altro che possa aiutare a cogliere nuovi aspetti
di un oggetto, di uno strumento, quindi del Sé, inteso
come soggetto che sta compiendo l’atto improvvisativo e
degli altri Sé, intesi come altri soggetti che interagiscono
nell’atto improvvisativo e che favoriscono la produzione
di sempre nuove e originali strutture compositive.

Quindi l’improvvisazione non si compone solo nel cam-


po delle arti, ma anche nella vita quotidiana.

L’atto improvvisativo (dal latino improvisus: in = non,


provideo = vedere in anticipo) non DOVREBBE permette di
pianificare le proprie mosse prima di compierle ed è
quindi il risultato di un profondo ascolto di se stessi e de-
gli altri.
La nostra capacità di comprendere dipende da quanto
siamo in grado di ascoltare. Possiamo ascoltare non solo
con l’organo deputato all’ascolto, l’udito, ma con tutti i
sensi e soprattutto con il corpo.

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Ascolto che può e deve poter significare anche studio,
di uno spartito, di un genere, di un compositore, di un
pittore, di una tecnica, di una ricetta, di un danzatore,
di un alimento, di un cuoco, di un oggetto, di un vino,
di un individuo, di un quandro, di un’idea. (Laddove per
studiare indendo sollecitare mente e corpo all’atto cono-
scitivo). Infatti l’apprendimento dell’atto improvvisativo
consiste nell’acquisire la conoscenza psichica e fisica del-
la tecnica, dei movimenti, dei passi, dei ritmi, degli
strumenti di una cultura, nel metabolizzarli ovvero fare in
modo che entrino nel nostro sistema di vita, per poi con-
dividere questa conoscenza, liberando il nostro personale
intuito, quindi la nostra individualità.
In questo modo il performer può esprimere il proprio Sè.
Per poter improvvisare è quindi assolutamente necessario
l’approccio al doppio canale: CONOSCITIVO (studio) –
ESPERENZIALE (sensoriale)

Ma come si fa a mettersi a nudo veramente? Come si fa ad


intuire quale strada intraprendere?
ATTRAVERSO LA SCOPERTA, che deve essere intesa in
senso individuale. (dal latino dis-cooperire = rimouove-
re ciò che nasconde)
In fondo lo studio è conoscenza, quindi scoperta, quindi
rimozione di ciò che ci impedisce di guardare oltre.

Intuire (dal latino in= dentro e tuèri= par.pass. di tùitus =


guardare) è guardare dentro, dentro ogni cosa, oltre den-
tro il Sè, eliminando i filtri della mente.
Non permettere alla mente di creare immagini da inter-
pretare, ma lasciare che tutto accada ascoltando il Sè che
ci muove.

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L’urgenza che mi spinge a vivere questa tecnica appena
descritta nasce dalla forte esigenza di creare un ponte tra
dentro e fuori, ovvero trasformare il fatto, in atto.
Denominare, etichettare, verbalizzare, e applicare simbo-
li, impedisce la totale attenzione all’atto, cioè l’improv-
visazione (senza per questo voler criticare o emettere al-
cun tipo di giudizio su chi pratica l’improvvisazione IDIO-
MATICA, costruita, strutturata e destrutturata sui concet-
ti, come ad esempio l’armonia, da cui ci si allontana e a
cui si ritorna).
Il mio atto improvvisativo, la mia performance, è ciò
che c’è tra la MIA esperienza e il MIO linguaggio : il MIO
reale, l’IDIOMA DEL MIO Sé. (dal gr. ἰδίωµα -ώµατος par-
ticolarità, peculiarità di stile, linguaggio, der. di ἴδιος
particolare)
Tanto il prodotto conclusivo è autentico quanto il proces-
so che lo ha realizzato mi ha permesso di scavare (dal lat.
Ex-cavàre = cavare sotto = estrarre) nei meandri di di tut-
to ciò con cui interagisco, per coglierne l’essenza.

Ma dove nasce l’esigenza e l’urgenza di dover affidare al-


l’atto improvvisativo la capacità di recuperare l’essenza
delle cose? Perché l’improvvisazione?

In un atto improvvisativo, tutto il repertorio del sapere


scolastico acquisto negli anni e adeguatamente catalogato
nella mente, non ha più collocazione, non ha più spazio
definito, ma si muove inconsapevolmente e liberamente
attraverso me.
Una Libertà, che deve essere intesa come pura percezio-
ne di ciò che è, l’atto stesso del percepire, che inevita-

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bilmente si perde quando si tenta di organizzare e di
spiegare. Il cammino, la sperimentazione, l’insigth,
l’ascolto sono pieni di sorprese, perché non ci sono saperi
garantiti che lo spianino.
Prende così forma lentamente uno spazio mentale che
non ha funzionamenti discorsivi e che principalmente
ASCOLTA, percepisce e condivide ciò che sente, il suo rea-
le.

Non posso cogliere la grandezza sonora di un corpo se


lo spazio in cui esso si muove è occupato dall’idea che
io ho di questo corpo e di questo suono.

Se continuo a coltivare l’idea di suono che negli anni ho


acquisito, difficilmente riuscirò a scoprire la vita reale di
quel suono e difficilmente potrò essere libero nell’espres-
sione di quel suono, così come difficilmente riuscirò a
realizzzare un insight.

L’improvvisazione, una composizione in tempo reale,


permette l’interplay, ovvero ascolto e azione nello stesso
tempo. Quindi il metodo di ricerca diventa quello di un
curioso abbandono, piuttosto che di un governo selettivo
delle azioni che pensiamo di dover compiere.

Così come il pensiero è il pensatore, l’improvvisazione


è il performer che improvvisa.

L’improvvisazione è ciò che accade quando e se decidi


di fare i conti con te stesso, di porre il tuo essere in
ascolto, di vivere un insight...lasciar andare e ascolta-
re.

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Non svela il significato di una melodia, di una struttura
musicale o di un paesaggio mentale ma fa risuonare la ve-
rità di quel’individuo che la esegue, quello di cui non si
può parlare, ciò che c’è tra il proprio background e que-
sta particolare forma compositiva, l’hic et nunc, l’atto, il
movimento, l’acquisizione di un nuovo spazio attraverso
un ascolto agito.

Occorre abbandonarsi ad altri sentieri, apparentemente


sconosciuti, e dico apperentamente riferendomi ad un
mancato ascolto prima di quel momento, ad una mancata
SIMPATIA prima di quel momento (dal greco sympatheia,
parola composta da συν + πάσχω = συµπάσχω, letteral-
mente patire insieme, provare emozioni con…)
Altri sentieri di cui la mente pensante non sa nulla prima
di compiere l’esperienza e da cui non si difende tradu-
cendola in parole, frasi e discorsi, perché ciò che la rende
importante è il passaggio dal luogo, che in ognuno di noi è
irripetibile, il Sé messo a nudo.
Il performer porge se stesso , si mette quindi a nudo e
condivide il suo essere. COME decida di farlo, e QUAN-
TO decida di essere autentico E‘ UN PROBLEMA CHE RI-
GUARDA SE STESSO e che può decidere di non porsi
mai! Non è un caso che esistano varie tipologie di per-
formers.

Il mio progetto di ricerca “ELICA” condotto all’interno di


ArterA’ Centro d’Arte Polivalente a Conversano (Ba) fonda
le sue radici su una dimensione percettiva del suono at-
traverso l’approccio olistico, appena descritto. Le varie
fonti sensoriali che concorrono alla percezione del suono

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prima e alla produzione dello stesso dopo, sono state con-
siderate come le pale di un’ ELICA. L’associazione tra i
due termini di paragone è stata suggerita dalla forma
stessa dell’ ELICA, le cui pale da ferma sono perfettamen-
te distinguibili, mentre in movimento creano un circolo
confondendosi l’una nell’altra.

Il progetto dopo due anni di ricerca condotti con i musici-


sti Francesco Massaro e Adolfo La Volpe, ha prodotto un
primo cd audio, ELICA, pubblicato nel 2010 con l’etichet-
ta Silta Records, ed 2 libri dai quali è tratto questo artico-
lo: QUESTO STRANO STRANO MONDO Giochi per Imparare
a improvvisare, edito da La Meridiana nel 2010 e ELICA Il
conto di un soggetto con se stesso edito da Florestano nel
2014.
E’ stato successivamente proposto e sperimentato anche
ad un numero campione di ragazzi, bambini e adulti di
età compresa tra i 2 e i 30 anni, all’interno di ArterA’
Centro d’arte Polivalente, Scuole primarie e alla Malmö
Academy of Music - Lund University in Svezia.

Durante gli incontri laboratoriali che hanno portato alla


realizzazione del cd audio e a varie tipologie di perfor-
mance, i partecipanti sono stati invitati ad ascoltare il
suono prodotto dalla frantumazione di un guscio d’uovo,
dall’apertura di un’arancia, dal contatto con la farina
piuttosto che con i granelli di zucchero oltre che dal sa-
pore aspro o dolce, amaro, piccante di vari alimenti,
ascoltati singolarmente ma anche dopo averli assemblati
e amalgamati.

Coinvolgere i 5 sensi, è stato inevitabile e questi hanno

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creato un cerchio senza inizio né fine, per l’appunto un’
ELICA.
Non devo poter ascoltare solo con l’organo deputato al-
l’ascolto, l’udito, ma anche e soprattutto con gli organi
che albergano nel mio corpo, tra cui gli organi di senso.

Quelli proposti ad adulti e bambini sono giochi/laboratori


che accadono nel momento in cui vengono svolti, vivono
nel tempo reale da cui traggono le risorse per loro defini-
zione e si pongono come obiettivo quello di varcare la so-
glia del sentire comune, educando (dal lat.educere = tira-
re fuori) un ascolto più attento della realtà che ci circon-
da attraverso gli infiniti mezzi che ogni essere umano
possiede.

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