Filosofia ebraica è un libro scritto dal filosofo analitico Putnam della seconda metà del '900,
all'interno del quale sostiene che le religioni sono fatti collettivi e hanno alle spalle una lunga
storia. Nello specifico il libro parla di tre grandi filosofi, i più grandi ebraici del xx secolo, ovvero
Buber, Rosenzweig e Levinas. Putnam scrive questo libro con l'intento di riconciliare la propria
filosofia alla nuova religione alla quale lui aderisce, ovvero l'ebraismo. Tutto ebbe inizio nel 1975
quando suo figlio maggiore gli chiese di celebrare un Bar Mitzvah, cioè la fase di passaggio che
segna la fine dell'adolescenza con l'inizio della maturità. Lui a seguito di questa celebrazione
iniziò a partecipare assiduamente alle liturgie ebraiche, sostenendo addirittura che la preghiera
fosse in grado di trasformare le persone. Si proclama quindi un filosofo ebreo- protestante. Da
filosofo si chiedeva sempre come avrebbe dovuto affrontare questa nuova religione tramite la
filosofia,ciò che emerge è appunto che Putnam ha accettato dentro di se sia la nuova religione
che la filosofia. Nei primi due capitoli viene messa in evidenza la figura di uno dei tre filosofi,
ovvero Rosenzweig, un filosofo ebraico. Vengono infatti illustrati, i tratti principali del suo
pensiero e ci accorgiamo che Putnam lo associa a Wittensteing, pur quest'ultimo non essendo un
filosofo ebraico a dispetto della sua ascendenza ebraica. Wittgenstein è spesso considerato un
demistificatore della filosofia, un anti-filosofo, la cui missione era di smascherare i problemi che
sono al entro dell’interesse dei filosofi di professione. E in effetti nel paragrafo 464 delle ricerche
filosofiche, egli stesso ha descritto scopo della sua filosofia come passare da un nonsenso
occulto a un nonsenso palese e dunque mostrare che il nonsenso occulto,le grandiose posizioni
filosofiche era in realtà sin dall'inizio un patente nonsenso. Ciò che interessava Wittgenstein era
riposto nel profondo delle nostre vite intrise di linguaggio.Per entrambi la filosofia non è una
pura riflessione speculativa, nè ricerca metafisica dell'essenza delle cose, ma pratica di vita che
trasforma l'interiorità.Nello specifico Rosenzwei nel suo libro Dell'intelletto comune sano e
malato, in comune accordo con wittgenstein è contro un'illusione filosofica la quale afferma che
la filosofia possa fornire conoscenza di essenze. La considerano entrambi una ricerca senza
speranza, non perchè fosse troppo difficile trovare l'essenza delle cose ma perchè il progetto è,
in un certo senso, assurdo.Dunque entrambi ci distolgono dalla chimera di una spiegazione
filosofica dell'essenza e richiamano la nostra attenzione sull'uso ordinario che facciamo delle
nostre parole. I due danno avvio a due progetti diversi: per Wittgenstein il ritorno all'uso
ordinario delle nostre parole deve essere assistito da un resoconto di quest'uso, da una indagine
grammaticale. Rosenzweig invece non ha questo progetto in mente , egli non sostiene l'assurdità
della metafisica ma cerca di farcela sentire tramite una descrizione ironica. A riguardo propone
due esempi. Il primo riguarda un filosofo il quale cerca di conoscere l’essenza di un pezzo di
formaggio. Il pezzo di formaggio è un preciso pezzo di formaggio ma quando è diventato questo
pezzo? Quando il venditore l'ha tagliato? O prima quando era in vetrina? Tuttavia non c'è nulla
nel formaggio in sè a rendere il formaggio l'oggetto del desiderio oltre a ciò che Wittgenstein
chiama il gioco linguistico e Rosenzweig il nome; e il nome funziona alla perfezione senza l'aiuto
di alcuna essenza. Il secondo esempio è il problema dell'identità personale che Rosenzweig fa
quando scrive a proposito del corteggiamento che precede il matrimonio: siccome ci vuole
tempo è inevitabile che la risposta venga data da una persona mutata, rispetto all'istante della
domanda posta dall'altro, e che venga anche ricevuta da una persona mutata rispetto all'istante
della sua stessa domanda. In genere sia nella proposta che nella risposta, non si riflette su questa
possibilità di cambiamento; Ci si attiene invece su ciò che è durevole che non è altro che il
nome.Infatti Rosenzweig sottolinea a riguardo, che la sana intelligenza umana nel suo agire si
preoccupa che rimanga il nome non l'essenza ed inoltre il nostro compito non è di ottenere una
prova che c'è un mondo esterno o che il nostro amico è affranto, bensì di riconoscere il mondo e
il nostro amico. Ancora secondo Rosenzweig il filosofo è un essere incapace di accettare il
processo della vita e di ciò che chiama l'irrigidimento dovuto allo stupore. Questo perchè il
filosofo cerca una posizione immaginaria esterna al flusso del tempo, come se fosse esterno al
mondo.Questa filosoia scaturisce appunto da una paura di vivere. L'uomo che nel flusso della
vita è colto dall'irrigidimento, ha visto la morte che alla fine lo attende, allora egli esce dalla vita
e preferisce non vivere, se vivere significa morire. Rosenzweig però mostrò di vivere all'altezza
della sua filosofia esistenziale infatti agli inizi del 1922 apparvero i primi segni del morbo. Nel
giro di pochi anni era praticamente paralizzato e ridotto a comunicare per mezzo di battiti di
ciglia. Eppure rimase il leader intellettuale della scuola di istruzione ebraica per adulti da lui
fondata, tradusse la bibbia dall'ebraico al tedesco e produsse una valanga di lettere e saggi
appassionanti.Rosenzweig avvertì dunque l’esigenza di fondare una nuova filosofia sulla fede,
sull’esistenza reale della persona e gli sembrò che la religione ebraica fosse appunto capace di
poter soddisfare questa sua necessità. Egli infatti la considerò come il punto di partenza di un
nuovo pensiero filosofico, una filosofia che si basasse dunque sulla rivelazione, sulla religione e
sul rapporto tra uomo e Dio. Dunque Rosenzweig non è da considerarsi un anti-filosofo ma è
semplicemente un filosofo che ha una nuova concezione di filosofia, che prenderà appunto il
nome di "Pensiero Nuovo", visto come un atteggiamento religioso di profondo riconoscimento
UOMO-DIO-MONDO.Le tesi cardine sono:
Il nuovo pensiero è pensiero che parla: parlare significa parlare a qualcuno e pensare per
qualcuno, e questo qualcuno è sempre ben preciso e non ha soltanto orecchie ma ha anche una
bocca. Ciò che con questo intende è che nello scontro attivo con i problemi filosofici o teologici
vissuti di un altro essere umano, scontro che appunto egli chiama pensiero che parla, un
parlante non sa in anticipo cosa dirà. E’ dunque pensiero che parla perché si interessa del
bisogno altrui.
La teologia deve essere umanizzata al pari della filosofia: i problemi teologici vogliono essere
tradotti in umano e quelli umani estesi fino al teologico.
3. Abbiamo bisogno di essere preparati anziché di progetti: la vocazione di Rosenzweig non era
né più né meno che restaurare una vita ebraica densa di significato. Si trattava di un compito che
secondo lui possedeva un’importanza illimitata,giacchè per un ebreo religioso è parte dell’eterno
compito di preservare un ponte tra uomo e Dio. Dunque i progetti non servono perché
solamente ciò che è posto su un perimetro delimitato si potrà edificare\organizzare secondo un
progetto delimitato; l’illimitato rifiuta l’organizzazione, infatti il sommo non si lascia progettare e
di fronte ad esso pertanto l’essere preparati è veramente tutto.
Inoltre in Il nuovo pensiero vengono fornite informazioni preziose sulla struttura e gli scopi della
Stella della redenzione, sua opera più importante. In primo luogo si afferma che la strategia
ancien regime di cercare di comprendere in modo minuzioso ogni enunciato e\o paragrafo della
Stella a una prima lettura non potrà funzionare, perché l’intera prima parte si mette da sola i
bastoni tra le ruote e la spiegazione deriva dal fatto che la vecchia filosofia tenta di fornire un
resoconto delle tre montagne( il mondo, Dio e l’uomo) astraendole l’una dall’altra e cercandone
un’essenza.La ricerca non può che fallire. Nella seconda parte invece viene reclamato un nuovo
genere di filosofia "filosofia esperiente". E il metodo della seconda parte dovrà essere del
narrare;chi narra non vuol dire com’è propriamente stato, ma com’è realmente andata dunque il
tempo diventa perfettamente reale . Dunque una filosofia narrativa che la seconda parte tenta di
realizzare ed è proprio tale filosofia narrativa che Rosenzweig descrive come il nocciolo del suo
grande libro, attraverso una prosa speciale tale da condurre il lettore a un incontro con l’autore
un incontro da cui il lettore verrà profondamente cambiato. In questo senso si tratta di prosa
esistenziale e Rosenzweig cerca di fare l’impossibile: tenta di fare con la scrittura ciò che si può
solo ottenere con la conversazione faccia a faccia, del genere che chiama "pensare che parla".
Ma la prosa non è soltanto esistenziale ma è anche, naturalmente, religiosa. O meglio è scrittura
rivelante. Per comprenderla bisogna fare riferimento a tre categorie: la Creazione, la Rivelazione
e la Redenzione. Per quanto riguarda la creazione si interessa del rapporto tra Dio e uomo in una
scura profezia che aspetta solo di essere rivelata.Nella rivelazione l’uomo è affascinata dalla
potenza e grandezza dell’amore di Dio che si presenta sotto forma di comandamento, e questo
comando divino serve a sollecitare nell’uomo una risposta responsabile, che consiste nel
ricambiare l’amore, in quanto l’uomo se si sente amato inizia ad amare non soltanto Dio, ma
anche gli altri. Dunque lo scopo della vita è la rivelazione e il contenuto della rivelazione è
l’amore,l’amore tra Dio e l’uomo che culmina nel matrimonio, cioè nella redenzione. La
redenzione ha un aspetto personale, in quanto è sperimentata da ogni persona religiosa; ha un
aspetto comunitario in quanto è esemplificata e modellata dalla comunità religiosa ebraica nel
suo insieme e una dimensione escatologica. Tuttavia non è solo escatologica perché la sua
comparsa futura è presente all’individuo ebreo ora.
3 capitolo: che cosa io e tu dice davvero.
Il terzo capitolo inizia parlando dell'ebraismo biblico in riferimento alle cose malvagie che
dovrebbero accadere a uomini malvagi. Infatti spesso è impossbile spiegarsi tutte le cose cattive
che avvengono al popolo ebraico , neppure pensando che avvengano per colpa loro. Bisogna
dunque cercare una teologia meno basata sui sensi di colpa insegnando che Dio non premia e
punisce ma rinvia il giudizio ad un tempo escatologico. Tuttavia a prescindere da ciò, Putnam, in
tale capitolo vuole piuttosto soffermarsi su Martin Buber, filosofo religioso e pedagogista
austriaco. Secondo un'idea diffusa Buber sarebbe "leggero" , non profondo ed originale e uno tra
i motivi potrebbe essere il fatto che , egli tenta di insegnarci qualcosa sulle relazioni,compresa
quella con altre persone, e non tutti vogliono sentirsi dire qualcosa di noormativo sulle relazioni.
Ad ogni modo Putnam, riprendendo un concetto desunto da Cavell, "il perfezionismo morale"
afferma che Buber come Levinas e Rosenzweig, siano dei perfezionisti morali. Tali filosofi sono
"perfezionisti" perchè descrivono un nostro obbligo in modo che appaiono intollerabilmente
esigenti; ma sono anche filosofi realisti perchè comprendono che è solo mantenendo bene in
vista un'esigenza "intollerabile" che si può ambire al proprio sè, non realizzato ma
realizzabile.L'opera più importante di Buber è "Io e Tu" all'interno della quale vi è un resoconto
normativo delle relazioni umane ed un tentativo di descrivere la relazione ideale: "io-tu". Ci sono
però vari ostacoli che non fanno comprendere bene l'opera soprattutto per un lettore inglese
infatti il Du in tedesco del titolo viene tradotto da Kaufmann con Tu perchè dobbiamo rivolgerci a
Dio come un amico e non come una formula speciale. Un altro ostacolo intercorre quando Buber
parla di essenze spirituali; un lettore inglese lo tradurrebbe in angeli ma Buber intende forme
intellettuali ed estetiche, perchè come un pittore cerca di portare il concetto della sua opera alla
piena realizzazione in modo disinteressato non per il successo. Poi Buber contrappone alla
relazione "io-tu" quella io-esso e qui si annidano altri due malintesi:
Buber ritiene che la relazione io-tu sia sempre buona, mentre quella io-esso sempre cattiva. Ciò
è sbagliato; le relazioni io-tu hanno l'esclusività del momento, esclusa quella con Dio che
essendo la più importante ingloba le altre, ma se sia buona dipende dall'adeguatezza dello scopo
mettendo in evidenza il fatto che ci possa essere una relazione io-tu demoniaca come per
esempio quella con il dittatore Napoleone.Inoltre la relazione io-esso non è sempre cattiva
perchè si parla anche di mondo dell'esso. Nello specifico per Buber il telos(fine o scopo) di una
vita pienamente umana non è ottenere e rimanere in relazione io-tu con Dio o con una o delle
persone, infatti quest'ultima può avere solo una breve durata, ma il suo senso è che dopo che si
è avuta una relazione io-tu con il divino, il mondo dell'esso è trasformato.Ci sono per cosi dire
due tipi di relazioni io-esso: relazioni io-esso pure e semplici e relazioni io-esso trasformate.Per
riassumere, lo scopo della filosofia buberiana è di insegnarci che l'esperienza del divino non è un
fine in sè e la relazione io-tu non è un fine in sè, ma il fine è appunto la trasformazione della vita
nel mondo, nel mondo dell'esso, attraverso l'effetto trasformante della ricorrente relazione io-tu.
E' impossibile descrivere Dio o teorizzare su di lui. Anzi, lo stesso tentativo fa mancare
interamente il bersaglio. Per questo motivo rifiuta anche una teoria della conoscenza religiosa, di
una risposta alla domanda " come sai che Dio esiste?". Porre questa domanda infatti equivale a
trovarsi fuori della relazione perchè una relazione io-tu non è mai una questione di conoscenza.
Ciò che si può fare è parlare a Dio o piuttosto intraprendere una relazione io-tu con Dio, una
relazione in cui tutte le relazioni parziali io-tu sono abbracciate e realizzate senza essere
cancellate.E anche se Buber nn affronta in Io e tu il problema del male afferma che di questo
bisogna parlare a Dio.
Capitolo 4: Levinas quel che si esige da noi.
Nel 4 capitolo infine Putnam mette in evidenza la figura di Levinas. Levinas fu un filosofo
francese di origine ebraica,sopravvissuto alla seconda guerra mondiale in circostanze difficili ed
umilianti. La sua famiglia, ad eccezione della moglie e della figlia è stata sterminata e proprio
queste esperienze possono avere avuto un ruolo nel modellare la sua convinzione su quel che si
esige da noi è una sollecitudine infinita a essere disponibili a e per la sofferenza
altrui.Generalmente il pubblico di Levinas è un pubblico di gentili(pagani-non cristiani) rendendo
onore alla particolarità ebraica. Un particolarismo che universalizza la categoria di ebreo tanto
che per lui tutti gli esseri umani sono ebrei.Tale affermazione si concretizza nel fatto che egli
identifica tutti come vittime dell'odio dell'altro uomo, senza badare alla nazionalità per lui tutti
hanno subito l'olocausto.Levinas è però famoso per l'affermazione secondo cui l'etica è filosofia
prima intendendo con ciò non solo che l'etica non deve essere ricavata da una qualche
metafisica , ma anche che l'intera riflessione su ciò che vuol di essere un essere umano deve
iniziare con una simile etica non fondata.Ciò non significa che Levinas vuole negare la validità
dell'imperativo categorico, ma va a rifiutare tutte quelle espressioni, ad esempio "comportati in
questo o in quell'altr0 modo perchè".Eppure alla maggior prte delle persone sembra che ci sia
un ovvio perchè; infatti se si chiede a qualcuno "perchè dovremmo agire in modo da volere che
le massime delle nostre azioni siano leggi universali?" oppure "perchè dovremmo cercare di
alleviare la sofferenza degli altri?" 99 volte su 100 la risposta sarà:" perchè fondamentalmente
l'altro è uguale a noi". Ma il pericolo di fondare l'etica sull'idea che noi siamo tutti
fondamentalmente uguali è di aprire una porta all'olocausto,perchè basta solo pensare che
alcune persone non sono effettivamente uguali.L'audace mossa di Levinas è di sostenere che
l'impossibilità di una fondazione metafisica dell'etica mostra che c'è qualcosa di sbagliato nella
metafisica, non nell'etica.Ancora per Levinas si possono distinguere due specie di filosofi
morali.Una, quella dei normativi, fornisce regole morali e politiche dettagliate.Per un filosofo di
questo genere è probabile che si pensi che l'intero problema della filosofia politica, per esempio,
verrebbe risolto se potessimo creazre una costituzione per lo stato ideale.Ci sono però altri
filosofi, i perfezionisti morali, i quali ritengono che ci sia bisogno di qualcosa di prioritario
rispetto ai principi o una costituzione, in mancanza del quale, anche i principi migliori e la
costituzione migliore sono privi di valore. Levinas si ritiene più vicino ai perfezionisti morali tanto
che per lui il termine etica si riferisce al momento perfezionista, il momento in cui egli descrive
l'obbligo fondamentale.L'obbligo fondamentale che abbiamo, ci dice Levinas, è quello di metterci
a disposizione del bisogno,specialmente sofferenza, dell'altra persona.Per meglio comprenderlo
analizzeremo due elementi:
I Il primo viene spiegato al meglio da una parola ebraica, hineni, che è una combinazione di due
componenti :hine e ni.Hine, spesso è tradotto guardare, ma potrebbe essere anche tradotto con
qui. Tuttavia hine compie l'atto linguistico di richiamare l'attenzione o di presentare, non di
descrivere; e hineni compie l'atto linguistico di presentare me stesso, di mettermi a disposizione
di un altro. Come Abramo fa,utilizzando la parola hineni,quando viene messo alla prova da Dio
nel sacrificare suo figlio Isacco.Dunque l'obbligo fondamentale, mi comanda di dire hineni
all'altro e ciò non presuppone che io simpatizzi per l'altro e di certo non presuppone affermare
di comprendere l'altro.
II Il secondo elemento spiega che la scelta della parola obbligo era intenzionale per Levinas,
perchè essere un essere umano comporta riconoscere che mi si comanda di dire hineni.Nella sua
fenomenologia questo significa che ricevo un comando senza sperimentare un comandante e
senza una spiegazione metafisica della natura del comando o una giustificazione metafisica di
esso.C'è qui di nuovo un universalizzazione di un tema ebraico: esattamente come l'ebreo
tradizionale rinviene la propria dignità nell'obbedire al comando divino, cosi Levinas pensa che
ogni essere umano debba ritrovare la propria dignità nell'obbedire al comando etico
fondamentale,il comando di dire hineni all'altro con quella che Levinas chiama responsabilità
infinita.
Ancora per accreditare sempre di più la sua tesi sull'obbligo fondamentale, interpreta la
dimostrazione dell'esistenza di Dio esposta da Descartes nella terza meditazione.Nello specifico
Descartes argomenta che l'infinità inerente all'idea di Dio non avrebbe potuto essere concepita
dalla sua mente tramite i suoi soli poteri, ma avrebbe potuto essere posta nella mente soltanto
da Dio stesso.A riguardo Levinas ritiene che Descartes riporti un'esperienza religiosa
profonda,descrivibile come un'esperienza di una fenditura,di un confronto con qualcosa che
sconvolge tutte le sue categorie.A questo punto Levinas trasforma l'argomento sostituendo Dio
con l'altro.Così mutata, la dimostrazione diviene: so che l'altro non è parte della mia costruzione
del mondo perchè il mio incontro con l'altro è un incontro con una fenditura, con un essere che
sgretola le mie categorie.A questo punto esattamente come per Descartes l'esperienza di Dio in
quanto, a tutti gli effetti, viola la sua mente e sgretola il suo cogito va di pari passo con un
profondo senso dell'obbligo e con un'esperienza della gloria, così per Levinas l'esperienza
dell'Altro, in quanto a tutti gli effetti, viola la sua mente e sgretola la sua fenomenologia va di
pari passo con quello che ho chiamato l'obbligo fondamentale di mettersi a disposizone
dell'Altro e con l'esperienza di ciò che Levinas chiama "la gloria dell'Infinito. Anzi è parte della
strategia di Levinas trasferire regolarmente all'Altro i predicati che la teologia tradizionale
attribuisce a Dio.A questo punto Levinas ci vuole ricordare la non derivabilità dell'obbligo
fondamentale da qualsiasi descrizione metafisica e\o epistemologica. Ciascuno dei
tropi( percorsi confutativi che conducono alla sospensione di un giudizio) di Levinas infatti -
responsabilità infinita, volto in contrapposizione a traccia, elevazione- si connette con le idee
fondamentali secondo cui l'etica è basata sull'obbligo verso l'altro, non su una qualche
uguaglianza empirica o metafisica tra me stesso e l'altro e che quest'obbligo fondamentale è
asimmetrico. Andando ad analizzare più nello specifico i vari tropi:
Responsabilità infinita: tutti gli uomini veramenteuomini sono responsabili degli altri;
Volto in contrapposizione a traccia: qui parte dall'idea che persino quando fisso il tuo volto fisico,
la tua pelle stessa, non ti vedo faccia a faccia, nel senso biblico, non incontro e non posso
incontrare il tu che nasconde la propria miseria e che mi chiama e mi ordina. Proprio come non
vediamo mai Dio ma al più tracce della sua presenza nel mondo, così non vediamo mai il volto
dell'altro ma solo la sua traccia.
Elevazione: Per Levinas nel volto degli altri c'è un elevazione, un'altezza, è come se ci fosse un
comandamento, è come se si parlasse con un maestro. Nello stesso tempo, il volto dell'altro è
spoglio : l'altro infatti è il povero al quale devo tutto.
Per capire comunque e comprendere Levinas ,al meglio, è essenziale capire due fatti: (1) Levinas
attinge a temi e fonti ebraici e (2) Levinas universalizza l'ebraismo. Levinas attinge a temi e fonti
ebraici ma il pubblico al quale intende rivolgersi non è dato solo dagli ebrei ma dall'intera
comunità e anche se universalizza alcuni temi ebraici, non tenta di convertire i gentili
all'ebraismo. L'unica cosa che vorrebbe è che si obbedisca e si apprenda il comandamento
fondamentale che il rabbino Hillel il Vecchio formulò in due formule famose: (1) Ama il genere
umano e (2) Ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo; questa è la Torah(libro sacro
degli ebrei) e il resto è solo commento. Inoltre per lui le importanti verità umane dell'Antico
Testamento includono:
(1) Ogni essere umano dovrebbe sperimentare sè stesso\a come comandato\a di mettersi a
disposizione per il bisogno, la sofferenza, la vulnerabilità dell'altra persona.
(2) Si deve sapere che si è comandati senza una spiegazione filosofica di come sia possibile.
(3) La mia conoscenza che ho ricevuto un comando divino è priva di una base metafisica, e non è
nemmeno basata su un'epifania(manifestazione della divinità in forma visibile) personale: ha
solo traccia del Comandante.
Sebbene Levinas cerchi di universalizzare valori ebraici fondamentali quando parla al mondo
gentile, è anche vero che, in una certa misura, si oppone all'universalismo quando parla al
mondo ebraico.Nello specifico afferma che gli ebrei all'indomani della Liberazione, sono alle
prese con l'angelo della ragione che li sollecita spesso e che, da più di due secoli, non li lascia
più.Levinas li incita a resistere a quest'appello perchè per lui l'ebraismo è mitzvot e studio:
mitzvot letteralmente vuol dire comandamento ma nello specifico costituisce un'intera modalità
di vita, una modalità che dovrebbe glorificare Dio.Lo studio invece è una delle mitzvot, ma viene
anche descritto come equivalente a tutte e le buone azioni messe insieme, perchè è a loro che
conduce.Pertanto il contenuto essenziale dell'ebraismo si acquisisce in un modo di vivere -rito e
generosità del cuore- in cui una fraternità umana e un'attenzione al presente si conciliano con
l'eterna distanza nei confronti della contemporaneità; si acquisisce e si mantiene,infine, in quel
tipo particolare di vita intellettuale che è lo studio della Torah.Infine per Levinas Dio,o l'infinito,
non è tematizzabile. Questo non vuol dire che la nozione sia priva di contenuto, giacchè c'è la
possibilità che la trascendenza,possa ricevere un contenuto dalla dimensione di elevazione, ossia
dal mio sperimentare "la gloria dell'infinito" attraverso l'elevazione dell'altro. L'infinito non
appare dunque a colui che ne fa testimonianza, è la testimonianza che appartiene alla gloria
dell'infinito. Alla luce di ciò, in che modo dovremmo specificare il notevole contributo che
Levinas ha dato al pensiero del XX secolo? si comincia con un'osservazione di Harry Frankfurt
secondo cui c'è una certa somiglianza tra il pensiero di Levinas e gli intuizionisti etici. Qui vi è sia
l'elemento di verità, sia i limiti di un paragone del genere. Al pari degli intuizionisti, Levinas non
fa appello ad argomenti astratti per fondare l'etica: l'obbligo fondamentale di dire hineni all'altro
è un qualcosa che si spera di sentire, non di conseguire mediante la ragione astratta. C'è però
una differenza importante, che riguarda in particolare Moore: la percezione del mio obbligo
verso l'altro in tutte le sue dimensioni è fondata sulla mia relazione con l'altro in quanto persona.
Per Moore, l'intuizione etica è quasi platonica: percepisco una qualità non naturale. A questo
riguardo potrebbe sembrare che Levinas sia più vicino Hume, anche per lui dopotutto l'etica è
fondata sulle nostre reazioni alle persone ma, c'è un'importante differenza: per Hume è la
percezione dell'uguaglianza dell'altra persona, della consonanza con l'altro, che costituisce la
condizione; ma per Levinas questo non è sufficiente. Se ci si sente obbligati solo verso coloro che
possiamo considerare come noi; allora non si è affatto etici. Allo stesso tempo Levinas è molto
distante da Kant. Per Kant l'etica è fondamentalmente una questione di principi e ragione;
l'esperienza della dignità che consegue nell'accettare un principio e dall'agire sulla scorta di un
principio partendo dalla sola ragione costituisce l'esperienza etica per eccellenza.Per Levinas
l'esperienza indispensabile è quella di rispondere a un'altra persona, dove nè l'altra persona nè
la mia risposta sono considerate in quel momento cruciale esempi di universali.Quel che è
originale, è l'idea che l'etica può, e deve, essere basata su una relazione con le altre persone
priva di narcisismo rispettando dunque l'alterità dell'altro e la poliedrica differenza. Infatti per
Levinas una relazione etica deve essere asimmetrica, la quale comporta riconoscere che si è
obbligati a mettersi a disposizione dell'altro senza simultaneamente considerare l'altro obbligato
allo stesso modo. Infone per Levinas la vita etica è l'unica che può essere chiamata umana; non
aver iniziato la vita etica equivale a rimanere intrappolati all'interno del proprio ego e senza etica
non si può nemmeno fare parte del mondo. Tutto ciò per Putnam è convincente ed
inoppugnabile ed a prescindere da una piccola critica che gli rivolge per la sua estremizzazione e
concezione utopica ed inumana, citando una famosa distinzione operata da Berlin tra i pensatori
ricci( che conoscono una grande cosa) e volpi( che conoscono molte cose piccole) lo considera
un riccio che abbiamo bisogno di ascoltare.