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ACCADEMIA RAFFAELLO - URBINO

––––––

Collana di Studi e Testi

n. 25

Quaderno n. 1 - 2010
della rivista “Accademia Raffaello – Atti e studi”
ACCADEMIA RAFFAELLO
URBINO

DIPARTIMENTO DI STUDI SUL MEDIOEVO E RINASCIMENTO


UNIVERSITÀ DI FIRENZE

DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE UMANISTICHE


UNIVERSITÀ DI URBINO “CARLO BO”
PRINCIPI E SIGNORI
Le Biblioteche nella seconda metà del Quattrocento
Atti del Convegno di Urbino, 5-6 giugno 2008

A cura di
GUIDO ARBIZZONI CONCETTA BIANCA MARCELLA PERUZZI

ACCADEMIA RAFFAELLO - URBINO


La pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo di:

Ministero per i Beni e le Attività Culturali


Regione Marche - Assessorato alla Cultura
Provincia di Pesaro e Urbino
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro

© Copyright Accademia Raffaello - Urbino

ISBN 978-88-87573-43-5
ISSN 1972-0963
PRESENTAZIONE

Nei giorni 5 e 6 giugno 2008 si è svolto ad Urbino il convegno


«Principi e signori. Le biblioteche nella seconda metà del Quat-
trocento». All’organizzazione di quell’incontro hanno contribuito
l’Accademia Raffaello, il Dipartimento di studi sul Medioevo e Ri-
nascimento dell’Università di Firenze, ed il Dottorato in Scienze
umanistiche della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università de-
gli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
È apparso da subito che l’interesse suscitato dall’articolato
programma ed dalla qualità delle relazioni, dimostrato dalla ampia
partecipazione di uditori e dalla vivacità delle discussioni, avrebbe
meritato di non esaurirsi nell’occasione convegnistica, ma di essere
consolidato e confermato nel tempo attraverso la pubblicazione
degli Atti. Quest’onere è stato assunto dall’Accademia Raffaello,
che li ha accolti nel proprio programma editoriale, così confer-
mando una tradizione che più volte in passato l’ha vista collabora-
re con istituzioni accademiche, museali, universitarie.
Che poi il volume si inserisca perfettamente nei compiti istitu-
zionali dell’Accademia è dato dalla centralità che, nel panorama
delle biblioteche principesche del secondo Quattrocento, è da
sempre riconosciuto alla biblioteca urbinate, lustro, vita e prestigio
del palazzo edificato da Federico, come testimonia, alle soglie del
Cortegiano, Baldassar Castiglione:

Appresso con grandissima spesa adunò un gran numero di eccellen-


tissimi e rarissimi libri greci, latini ed ebraici, quali tutti ornò d’oro e
d’argento, estimando che questa fusse la suprema eccellenzia del suo ma-
gno palazzo.

V
Guido Arbizzoni

Non sono mancati, in anni recenti, mostre e studi dedicati alle


singole biblioteche: per quella feltresca ricordo almeno il volume
di Marcella Peruzzi, Cultura, potere, immagine. La biblioteca di Fe-
derico di Montefeltro, edito nel 2004 dall’Accademia Raffaello e le
due mostre del 2007 e 2008 rispettivamente a New York e ad Ur-
bino, delle quali sono a stampa i cataloghi, a cura di Marcello Si-
monetta e Marcella Peruzzi. Mancava invece un quadro sinottico
che permettesse di mettere a confronto formazione, organizzazio-
ne, consistenza, funzionamento delle principali biblioteche princi-
pesche del secondo Quattrocento, testimoni, inoltre, delle diverse
tradizioni locali. Questo è quello che ha tentato di offrire il conve-
gno e che ora ripropongono gli Atti (e spiace che non si sia potu-
to pubblicare il contributo di Piero Lucchi sulla Biblioteca Mala-
testiana): uno sguardo d’insieme su quella costellazione di biblio-
teche dei principati italiani, che incarna il sogno umanistico della
conversione del potere alle lettere.

GUIDO ARBIZZONI

VI
PRINCIPI E SIGNORI
ANDREA CANOVA

LE BIBLIOTECHE DEI GONZAGA


NELLA SECONDA METÀ DEL QUATTROCENTO

Dalla non vastissima letteratura sulle raccolte librarie dei Gon-


zaga emergono due idee fondamentali 1. La prima: pressoché ogni
esponente della famiglia ebbe una sua biblioteca; la seconda: esi-
stette una biblioteca principale, una sorta di “fondo antico” che
andò costituendosi nel corso dei secoli del dominio gonzaghesco
sulla città di Mantova e che fu alienato da Ferdinando Carlo, ulti-
mo duca, a Venezia, nel 1707.
La verità della prima affermazione è dimostrata da una tale
quantità di documenti che non serve nemmeno insisterci, tanto
numerosi sono gli inventari, le lettere e i singoli libri noti possedu-
ti da questo o da quel Gonzaga. Gli affioramenti di notizie relativi
a libri isolati o a intere raccolte sono legati perlopiù all’apparte-
nenza di libri e raccolte a un singolo proprietario, data la natura
(giuridica e no) delle notizie stesse. Con la possibilità, magari, di

1
Tra le voci bibliografiche di interesse generale vanno ricordati C. Frati, Di-
zionario bio-bibliografico dei bibliotecari e bibliofili italiani dal sec. XIV al XIX,
Firenze, Olschki, 1933, pp. 265-266; D. M. Robathan, Libraries of the Italian Re-
naissance, in J. Westfall Thompson (ed.), The Medieval Library, New York, Hafner,
1957 (prima ediz. 1939), pp. 509-588: 533-536; C. H. Clough, The Library of the
Gonzaga of Mantua, «Librarium», XV (1972), pp. 51-63; I. Pagliari, «Una libreria
che in Italia non v’era una simile ne’ anco a Roma». La biblioteca dei Gonzaga, in
Gonzaga. La Celeste Galeria. L’esercizio del collezionismo, a cura di R. Morselli,
Milano, Skira, 2002, pp. 111-125. Nelle pagine che seguono farò uso delle seguenti
abbreviazioni: ASDMn (Mantova, Archivio Storico Diocesano); ASMn (Mantova,
Archivio di Stato); AG (Archivio Gonzaga); IGI (Indice generale degli incunaboli
delle biblioteche d’Italia, a cura del Centro Nazionale d’Informazioni Bibliografi-
che, Roma, Libreria dello Stato, 1943-1981, 6 voll.). Ringrazio Giovanni Agosti,
Molly Bourne, Giuseppe Frasso e Marco Petoletti per i loro suggerimenti.

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Andrea Canova

intercettare il libro o la raccolta proprio nel momento del passag-


gio da un proprietario a un altro. La seconda affermazione, quella
relativa al cosiddetto “fondo antico”, è invece frutto di ipotesi ra-
gionevoli, ma può contare su prove meno abbondanti. Per quanto
i carteggi gonzagheschi siano generosi di testimonianze sparse lun-
go la seconda metà del Trecento, i primi documenti che ci pre-
sentano una biblioteca al completo sono i due celebri inventari
(copie di un solo archetipo) stilati alla morte di Francesco, quarto
signore di Mantova, nel 1407 2. Quegli elenchi restano per noi
quasi un primo bilancio culturale dell’avventura politica comincia-
ta nel 1328 con un colpo di stato e ci trasmettono la consistenza
di un notevole deposito di manoscritti acquistati dai Gonzaga o
confluiti nella loro libreria da quella dei Bonacolsi (i signori prece-
denti, spodestati appunto nel 1328). Tuttavia – è bene ricordarlo –
i due documenti furono compilati da persone incaricate di regi-
strare i libri di proprietà di Francesco; altri Gonzaga, suoi consan-
guinei, probabilmente possedevano altri libri. Comunque sia, gli
studiosi moderni hanno identificato in quella raccolta, immortalata
dai fidecommissari nel 1407, il nucleo orginario e fondante di una
biblioteca Gonzaga poi arricchita dalla parte migliore delle succes-
sive compagini allestite dai discendenti di Francesco. Mi sembra
di poter riassumere così le opinioni di coloro che hanno affrontato
la questione negli ultimi decenni e, in particolare, di Cecil Clough
e di Irma Pagliari.

2
Gli inventari sono conservati in ASMn, AG, b. 329 e non sono mai stati
pubblicati integralmente. Per i codici francesi si veda W. Braghirolli – P. Meyer –
G. Paris, Inventaire des manuscrits en langue française possédés par Francesco
Gonzaga I, captaine de Mantoue, mort en 1407, «Romania», IX (1880), pp.
497-514, da accostare a F. Novati, I codici francesi dei Gonzaga (1890), in Id.,
Attraverso il Medio Evo. Studî e Ricerche, Bari, Laterza, 1905, pp. 255-326; una
sezione più ampia è trascritta da P. Girolla, La biblioteca di Francesco Gonzaga
secondo l’inventario del 1407, «R. Accademia Virgiliana di Mantova. R. Deputa-
zione di storia patria per l’antico ducato. Atti e memorie», n. s., XIV-XV
(1921-1923), pp. 28-72 (con una premessa di Camillo Cessi). Tra i contributi che
riguardano i documenti nel loro complesso bisogna ricordare anche V. Bertolini,
Preliminari a un’edizione degli «Inventari» della biblioteca gonzaghesca del 1407,
«Quaderni di lingue e letterature», XIV (1989), pp. 67-73. Giuseppe Frasso e io
contiamo di allestire un’edizione commentata dei documenti che identifichi il
maggior numero possibile di esemplari.

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Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

Questa straordinaria biblioteca abbandonò Mantova nel 1707


(esattamente trecento anni dopo l’inventario di Francesco) e fu
trasferita da Ferdinando Carlo a Venezia, dove fu venduta. Anche
in quell’occasione fu redatto un inventario che è stato cercato
molto a lungo ed è stato rinvenuto qualche tempo fa. Si trova a
Vienna, presso l’Haus-, Hof- und Staatsarchiv; lo ha individuato
Cinzia Cremonini che ne promette un’edizione 3. L’elenco segnala
circa 3000 voci, molte delle quali composte da diversi tomi, e con-
ta circa 1900 opere a stampa appartenute a Ferdinando Carlo, cir-
ca 350 appartenute alla moglie Anna Isabella e molti manoscritti.
Speriamo che la prossima edizione dell’inventario del 1707, se-
parato l’antico dal moderno, possa dare almeno un’idea della bi-
blioteca Gonzaga “storica” poco prima della sua dispersione. Sta
di fatto però che, a mia conoscenza, non ci sono molti documenti
che ci aiutino a delineare una storia di tale entità e che ne illu-
strino le vicende. Affiorano talvolta notizie che riguardano codici
presumibilmente antichi (magari proprio quelli inventariati nel
1407) anche in epoche successive, ma non si riesce a capire dove e
come quei cimeli fossero conservati. Per esempio, nel dicembre
1468 il marchese Ludovico Gonzaga presta un libro con la storia
di Lancillotto a Borso d’Este e nello stesso giorno si raccomanda
con la moglie Barbara che esso non vada perduto come è già acca-
duto al Guiron: si tratta verosimilmente di pezzi del 1407. I docu-
menti giustificano l’ipotesi, poiché vi figurano sia una «Infantia
Lanzalotti» sia un «Guronus». Gli incipit e gli explicit registrati
nelle liste confermano che si tratta rispettivamente della prima
parte del Lancelot e di un segmento del Guiron le courtois, senza
contare che la voce «Meliadusius» rinvia con ogni verosimiglianza
a un Guiron, come annotavano Meyer e Paris seguiti da Novati 4.

3
Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, It. Sp. R., Mantua, Korrespondenz,
Fasz. 6 (1721-1725): traggo le indicazioni da Pagliari, «Una libreria, p. 125 n.
4
Le lettere sono segnalate da A. Luzio – R. Renier, I Filelfo e l’umanismo
alla corte dei Gonzaga, «Giornale storico della letteratura italiana», XVI (1890),
pp. 119-217: 159-160; per i romanzi negli inventari del 1407 si vedano Braghi-
rolli – Meyer – Paris, Inventaire des manuscrits, p. 510 e Novati, I codici francesi,
pp. 286-287, 303, 316-317. Inserisce l’episodio nel più ampio contesto della rice-
zione della letteratura bretone in Italia D. Delcorno Branca, «Franceschi roman-

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Andrea Canova

Al contrario siamo certi che quasi ogni Gonzaga provvedeva


alle proprie letture agendo in prima persona o avvantaggiandosi di
travasi interni alla famiglia sotto forma di doni o lasciti. A dimo-
strarlo basterebbe la sola esistenza di parecchi inventari (soprattut-
to post mortem) dislocati lungo i secoli. Molti sono noti e alcuni
sono pure stati pubblicati. Ricordo solo quelli del cardinale Fran-
cesco (1483) e di suo fratello Gianfrancesco signore di Bozzolo
(1496) – editi e commentati da David S. Chambers – e i due cele-
berrimi di Isabella d’Este Gonzaga e di suo figlio Federico primo
duca (1540-1542), già trascritti da Alessandro Luzio e Rodolfo Re-
nier nel 1903, recentemente ripubblicati con un po’ di commento
da Daniela Ferrari 5. Altri sono conservati nelle buste dell’Archivio
Gonzaga e dell’Archivio notarile presso l’Archivio di Stato di
Mantova, altri ancora sono finiti in archivi diversi mantovani e no.
E disponiamo pure dei copiosissimi carteggi gonzagheschi, conser-
vati perlopiù a Mantova, che contengono abbondanti informazioni
sulle passioni e sulle ricerche librarie dei signori della città. Le let-
tere sono state sistematicamente battute per almeno centocinquan-

zi». Copisti, lettori, biblioteche (1992), in Ead., Tristano e Lancillotto in Italia. Stu-
di di letteratura arturiana, Ravenna, Longo, 1998, pp. 13-48: 30-31.
5
L’inventario del cardinal Francesco si legge in D. S. Chambers, A Renais-
sance Cardinal and His Worldly Goods: the Will and Inventory of Francesco Gon-
zaga (1444-1483), London, The Warburg Institute University of London, 1992,
pp. 142-188; quello di Gianfrancesco in Id., A Condottiere and His Books: Gian-
francesco Gonzaga (1446-96), «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes»,
LXX (2007), pp. 33-97: 85-97. L’edizione degli inventari di Isabella d’Este e di
Federico Gonzaga fu inserita da Luzio e Renier in coda alla nota serie di articoli
sulla cultura della marchesa apparsi sul «Giornale storico della letteratura italia-
na» (XLII, 1903); si veda ora A. Luzio – R. Renier, La coltura e le relazioni lette-
rarie di Isabella d’Este Gonzaga, a cura di S. Albonico, introduzione di G. Agosti,
Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2006, pp. 273-281. Più recentemente le liste
sono state pubblicate da Daniela Ferrari nella trascrizione completa degli inven-
tari gonzagheschi del 1540-1542 nei «Quaderni di Palazzo Te», n. s., VI (1999),
pp. 84-103, poi riproposta complessivamente in D. Ferrari, Le collezioni dei Gon-
zaga. L’inventario dei beni del 1540-1542, Cinisello Balsamo, Silvana, 2003 (i libri
alle pp. 316-324). Collaborando con l’editrice, ho cercato di dare le identificazio-
ni dei titoli nelle note a quei due lavori e di trarne qualche appunto nel mio Per
l’inventario dei libri di Federico Gonzaga, «Quaderni di Palazzo Te», n.s., VI
(1999), pp. 81-84.

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Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

t’anni da pattuglie di studiosi a caccia di inediti e, sebbene molto


sia stato scovato, altro verrà alla luce.
Inoltre tanti pezzi appartenuti alle collezioni gonzaghesche
sono stati riconosciuti, anche se tantissimi nomi mancano all’ap-
pello. Nel 1966 Ubaldo Meroni, allora direttore della Biblioteca
Comunale di Mantova, poteva allestire una “Mostra dei codici
gonzagheschi” da Luigi I a Isabella d’Este, esponendo una trenti-
na di codici quasi tutti bellissimi, provenienti da biblioteche di
ogni parte del mondo 6. Meroni lasciava fuori i libri a stampa – e
non c’è da stupirsene –, tuttavia anche su questo fronte si fanno
progressi e contiamo oggi non poche schede su esemplari gonza-
gheschi individuati 7.
Per quanto riguarda la seconda metà del Quattrocento, i per-
sonaggi principali da tenere d’occhio sono il marchese Ludovico
Gonzaga e sua moglie Barbara Hohenzollern di Brandeburgo. Bi-
sogna parlare di entrambi perché, come cercherò di dimostrare, il
ruolo di Barbara fu importante per la sorte di molti libri dei Gon-
zaga. Sia Ludovico sia la tedesca Barbara frequentarono, fin dalla
tenera età, la scuola mantovana di Vittorino da Feltre. Di là da
ogni mitologia pedagogica consolidata, quella formazione diede
frutti ragguardevoli per entrambi. Anche facendo la giusta tara a
una storiografia (soprattutto locale) assai incline all’elogio, le prove
dell’alta educazione dei due sono inequivocabili. Se non possedia-
mo un inventario dei libri di Ludovico, morto nel 1478, possedia-
mo invece la lista dei libri di Barbara, morta nel 1481. Su questo
documento, nella redazione conservata all’Archivio Diocesano di
Mantova, vale la pena di soffermarsi 8. Sebbene sia stato segnalato
da tempo, mi sembra che non sia stato ancora pubblicato e che

6
U. Meroni, Mostra dei codici gonzagheschi. La biblioteca dei Gonzaga da
Luigi I ad Isabella. Biblioteca Comunale, 18 settembre-10 ottobre, catalogo della
mostra, Mantova, Biblioteca Comunale, 1966.
7
Se ne veda un elenco in Pagliari, «Una libreria, p. 123 n.
8
ASDMn, Fondo Capitolo della Cattedrale, Miscellanea, busta 1648, già
2/A: la lista dei libri porta la data 20 gennaio 1482. L’inventario dei beni di Bar-
bara viene solitamente citato dalla copia in ASMn, Archivio notarile, Estensioni,
not. Antonio Cornice, reg. R 78, che contiene una lista dei libri della marchesa
trascritta di seguito al suo testamento. Questa versione non indica né la valuta-
zione dei pezzi né la loro ripartizione tra i figli.

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Andrea Canova

non abbia ricevuto l’attenzione che merita. E l’attenzione è giu-


stificata da più motivi. Innanzitutto è una biblioteca femminile che
conta settantuno titoli, quasi tutti manoscritti, sia in latino sia in
volgare, alcuni di altissimo pregio, come si desume dalle valutazio-
ni dei singoli elementi espresse in ducati. Non si tratta peraltro
dei soli titoli devozionali tipici delle librerie femminili principe-
sche di questo periodo. Barbara forse ereditò alcuni libri del con-
sorte, morto pochi anni prima di lei, però di certo questa è una
biblioteca sua e autonoma, costituitasi negli anni in modo indipen-
dente (almeno in una certa misura). Di alcuni testi riusciamo an-
che a ricostruire la storia, con qualche bell’accrescimento di cono-
scenze, ripercorrendo i carteggi della marchesa o altre fonti note.
Basteranno un paio di esempi. La seconda voce dell’inventario
recita «Plinio a stampo vulgare» ed è una delle poche edizioni ti-
pografiche della lista. La registrazione è da mettere in rapporto
con una lettera del marchese Federico Gonzaga all’orefice Ludovi-
co da Bologna, suo agente a Venezia:

Lodovico de Bononia.
Dilecte noster. Perché intendiamo che lì a Venesia sono de li Plinii
tradutti in vulgare fatti a stampa, vogliamo che tu vedi haverne dui volu-
mi e mandarceli. Ulterius havemo etiam noticia che lì in Venesia se ri-
trova essere un certo spagnolo che stava altra volta cum il priore qui de
Sant’Antonio da Mantova, e forsi per aventura tu lo conosce, e ch’el fa
certe pignatelle de perfumi e altre zentilezze, cose perhò nove. Vogliamo
similiter tu faci diligentia de trovare costui e, trovandolo, compra per ca-
dauna de tutte queste zentilezze qualche parte per monstra e mandarece-
le. Mantue, die xxviii maii 1481 9.

La richiesta riguarda il volgarizzamento di Plinio fatto da Cri-


stoforo Landino e di cui sono note due edizioni veneziane: nel

9
ASMn, AG, b. 2897, l. 102, c. 20v. La lettera era segnalata da Antonino
Bertolotti nelle Varietà archivistiche e bibliografiche de «Il Bibliofilo», VIII (1887),
p. 178 e poi ripresa da Luzio – Renier, La coltura, p. 11 n. È noto che, in quel
periodo, il marchese Federico cercava con insistenza lavori di oreficeria, per alcu-
ni dei quali si era procurato disegni di Andrea Mantegna; al proposito rimando
al mio Gian Marco Cavalli incisore per Andrea Mantegna e altre notizie sull’orefi-
ceria e la tipografia a Mantova nel XV secolo, «Italia medioevale e umanistica»,
XLII (2001), pp. 149-179: 161-163.

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Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

1476 e appunto nel 1481 10. Ludovico risponde al marchese il 6


giugno successivo: «Ala parte che vostra signoria me scrive de’ dui
libri, zoè dui Plini per v[u]lgare: li ho atrovati molto bene stampi-
ti» 11. Gli esemplari partono dunque per Mantova ed è verosimile
che uno sia quello rimasto tra i beni della marchesa alla sua mor-
te, accaduta il 7 novembre dello stesso anno.
Proseguiamo e, poco sotto, troviamo la voce «Feo Belchari»:
questa registrazione interessa perché dà sostanza documentaria a
quanto sapevamo da testi letterari. Infatti il manoscritto Magliabe-
chiano VII.690 della Biblioteca Nazionale di Firenze conserva due
sonetti di Feo, datati 14 aprile e 28 agosto 1468, indirizzati a Bar-
bara e che parlano dell’invio alla marchesa di un’opera letteraria
dello stesso Feo: Ogni virtù ed ogni don perfetto e La mia igno-
ranza o altro mio difetto 12. Feo parla di «un mio libro vulgar con
un sonetto» ed è dunque difficile capire quale fosse l’opera dona-
ta, però l’episodio è importante per la diffusione dei modelli fio-
rentini alla corte di Mantova: un capitolo del quale non si sa an-
cora molto. Inoltre l’Archivio Gonzaga conserva una lettera di Feo
alla marchesa, spedita da Firenze il 13 febbraio 1469, nella quale
il letterato lamenta di non avere avuto alcun cenno di ricevuta da
parte dell’illustre destinataria 13. Si apprende dalla missiva, ancor-

10
Caius Plinius Secundus, Historia naturalis [in italiano], trad. Cristoforo
Landino, Venezia, Nicolas Jenson, 1476 (IGI 7893); Id., Historia naturalis [in ita-
liano], trad. C. Landino, Venezia, Filippo di Pietro, 1481 (IGI 7894). Su questa
traduzione va ricordato almeno C. Dionisotti, Tradizione classica e volgarizzamenti
(1958), in Id., Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1994,
pp. 151-155 (prima ediz. 1967).
11
ASMn, AG, b. 1432.
12
I sonetti sono pubblicati da A. Lanza, Lirici toscani del Quattrocento, I,
Roma, Bulzoni, 1973, p. 236, che però non trascrive le date indicate nel mano-
scritto; si veda anche S. Cremonini, Sui sonetti di Feo Belcari. Intertestualità di
una “poetica theologia”, «Studi e problemi di critica testuale», LXVIII (aprile
2004), pp. 5-36: 7.
13
ASMn, AG, b. 1100, c. 420 (già 532). Nel documento ci siamo imbattuti
indipendentemente Stefano Cremonini e io; lo pubblicherà lo stesso Cremonini
che già se n’è occupato nella sua tesi di dottorato Per l’edizione delle laude di
Feo Belcari. Altre missive di Belcari sono pubblicate da B. Figliuolo, Tre lettere
inedite di Feo Belcari a Ottone Niccolini, «Lettere italiane», LII (2000), pp.
265-271.

45
Andrea Canova

ché genericamente, il contenuto del manoscritto donato, poiché il


fiorentino scrive che nel libro erano «alquante sancte representa-
tioni e molte devote laude et sonecti vulgari»: dunque un’antolo-
gia piuttosto ricca. L’inventario conferma che il regalo era arrivato
ed era stato conservato da Barbara fino alla morte. Destinato a
Gianfrancesco, non se ne trova però traccia nel suo inventario del
1496.
Scendiamo ancora lungo il documento e sostiamo, verso la
fine, al numero 63 che recita: «Canzoni e sonetti del signor Ma-
latesta». Si trattava – credo – di un manoscritto che conteneva
la raccolta dei versi di Malatesta Malatesti, il principe poeta ri-
minese, morto nel 1429, che ci ha lasciato un importante corpus
di rime volgari, pubblicato modernamente da Domizia Trolli 14.
Le sue rime sono conservate da una settantina di testimoni ma,
in pratica, nessuno di essi trasmette esclusivamente la silloge. La
Trolli desume l’esistenza di un canzoniere osservando certe rego-
larità nella disposizione dei pezzi entro una serie di manoscritti
miscellanei 15. L’inventario di Barbara, con la sua definizione
molto chiara, pare dimostrare la circolazione autonoma di una
raccolta malatestiana, presumibilmente d’autore. Vale la pena di
ricordare che Gonzaga e Malatesti avevano intessuto una fitta
politica matrimoniale fra Tre e Quattrocento e che evidenti trac-
ce di cultura riminese restarono nella corte mantovana. Ricordo
solo il voluminoso manoscritto Vaticano latino 3134, labirintica
miscellanea allestita dal mantovano Ramo Ramedelli, scriba di
Margherita Malatesti, moglie di Francesco Gonzaga (quello del-
l’inventario del 1407) 16. Nel Vaticano latino 3134 troviamo pure

14
M. Malatesti, Rime, a cura di D. Trolli, Parma, Studium Parmense, 1982.
Oltre alla voce di A. Falcioni nel Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXVIII,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 77-81, si veda M. Santagata,
Fra Rimini e Urbino: i prodromi del petrarchismo cortigiano, in M. Santagata – S.
Carrai, La lirica di corte nell’Italia del Quattrocento, Milano, Franco Angeli, 1993,
pp. 43-95, che definisce il contesto entro il quale si muove il poeta.
15
Malatesti, Rime, pp. 61-62.
16
Fu Augusto Campana a trarre dall’ombra Ramo Ramedelli, scriba, minia-
tore e forse pure letterato nella Mantova tra i secoli XIV e XV; dopo averne
parlato in più occasioni, pubblicava le prime notizie nel suo Poesie umanistiche
sul castello di Gradara, «Studi Romagnoli», XX (1969), pp. 501-520: 502-515.

46
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

alcune rime di Malatesta Malatesti, dunque di casa alla corte di


Mantova.
Ma, a parte queste, e molte altre spigolature, che l’inventario
di Barbara permette, c’è un aspetto, per così dire, strutturale e de-
terminante per la storia delle biblioteche che ci interessano. L’in-
ventario di Barbara è quadripartito; gli oggetti elencati (libri com-
presi) sono divisi tra i quattro figli maschi minori: il cardinal Fran-
cesco, i marchesi Gianfrancesco e Rodolfo, il protonotario aposto-
lico Ludovico. Dalla spartizione è escluso il primogenito Federico,
divenuto marchese di Mantova alla morte del padre.
Questa scelta rispecchia i discussi orientamenti di casa Gonza-
ga in merito alla successione del marchese Ludovico: stabilita la
linea di discendenza principale e dunque il marchesato di Federi-
co primogenito, una parte del territorio e dei beni mobili andava
divisa tra gli altri quattro figli maschi, di cui due erano ecclesia-
stici. Questa decisione è cruciale per la storia dello stato mantova-
no perché determina la nascita di piccoli principati destinati a
frammentarsi ulteriormente in seguito. La storia dei rami cadetti
dei Gonzaga, nei loro altalenanti rapporti con il ramo principale,
determina fortemente la storia complessiva del Mantovano. E non
è necessario leggerla solo come una vicenda di smembramenti e
impoverimenti. In realtà, per parecchio tempo, le corti minori e i

Sull’imponente zibaldone della Vaticana sono poi da vedere i contributi di R.


Avesani, Uguccione della Faggiola a Vicenza in una iscrizione sconosciuta di Anto-
nio da Legnago, «Studi Montefeltrani», XVIII (1995) [Uguccione della Faggiola
nelle vicende storiche fra Due e Trecento. Atti del Convegno. Casteldelci, 6-7 set-
tembre 1986], pp. 47-64; Guarino Veronese a Galesio della Nichesola e Angelo
Lapi a Guarino: due integrazioni all’epistolario guariniano avviate da Augusto
Campana, in Virtute et labore. Studi offerti a Giuseppe Avarucci per i suoi settan-
t’anni, II, a cura di R. M. Borraccini e G. Borri, Spoleto, Fondazione Centro
Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2008, pp. 1049-1067 e, soprattutto, La ‘Pan-
detta’ di Ramo Ramedelli: livelli di cultura a Mantova fra Tre e Quattrocento, in
Filologia, papirologia, storia dei testi. Giornate di studio in onore di Antonio Carli-
ni. Udine, 9-10 dicembre 2005, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008, pp.
131-173 (con bibliografia esauriente). Ho cercato di spiegare l’importanza di
Ramo nel saggio Cultura letteraria a Mantova dai primi Gonzaga all’arrivo di Isa-
bella d’Este, in corso di stampa nella Storia della cultura mantovana, coord. da G.
Bernardi Perini, vol. I, Mantova, Tre Lune per la Fondazione Banca Agricola
Mantovana.

47
Andrea Canova

loro “piccoli principi” furono in grado di promuovere una vita


culturale e una committenza artistisca tutt’altro che scialbe 17. Ba-
sti pensare ai Gonzaga cadetti che ricorrono nelle lettere dedicato-
rie e nelle Novelle di Matteo Bandello o a un fenomeno molto ti-
pico del contesto mantovano come la Sabbioneta di Vespasiano
Gonzaga a metà del Cinquecento: Vespasiano era un discendente
di Gianfrancesco Gonzaga, cioè del ramo di Bozzolo e non del
ramo principale.
Così, anche per quanto riguarda le biblioteche, i libri che
escono dallo studio della marchesa Barbara vanno ad arricchire
raccolte rilevanti in sedi diverse. Il caso meglio documentato è
quello del cardinale Francesco, che morì nel 1483 (dunque solo
due anni dopo la madre) e il cui inventario annovera circa tre-
cento libri, tra i quali si riconoscono alcuni dei titoli già posseduti
da Barbara. Ma riscontri si possono fare pure con l’inventario di
Gianfrancesco, signore di Bozzolo, morto nel 1496: un documento
bellissimo, studiato soprattutto per i bronzetti di Pier Iacopo Alari
Bonacolsi, detto l’Antico, la cui parte libraria è stata recentemente
pubblicata 18.
Inoltre diversi titoli migrano da un erede all’altro: è il caso del
misterioso «Libro de certi re e regine» lasciato da Barbara al pro-
tonotario apostolico Ludovico e che ritroviamo nell’inventario del
cardinal Francesco come «Libro de certi re e regine in vulgare» 19.

17
Per esempio, l’attività dei bronzisti operosi per le corti di Bozzolo e di
Gazzuolo attirava l’attenzione degli studiosi, specialmente di Umberto Rossi, già
sul finire dell’Ottocento; più in generale sull’argomento si può ora vedere il cata-
logo Bonacolsi l’Antico. Uno scultore nella Mantova di Andrea Mantegna e di Isa-
bella d’Este, a cura di F. Trevisani e D. Gasparotto, Milano, Electa, 2008.
18
Prima di Chambers, A Condottiere, e per la fortuna critica del documen-
to, va ricordato A. H. Allison, The Bronzes of Pier Jacopo Bonacolsi, called Antico,
«Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien», LXXXVII-LXXXIX
(1993-1994), pp. 35-310. Importanti anche gli appunti e le trascrizioni dell’inven-
tario e di altre testimonianze forniti da D. Ferrari, L’Antico nelle fonti d’archivio,
in Bonacolsi l’Antico, pp. 300-328.
19
Chambers, A Renaissance Cardinal, p. 181. Sul protonotario apostolico
Ludovico – vescovo eletto di Mantova dalla morte del fratello cardinale nel 1483
fino alla propria nel 1511, nonché collezionista e mecenate di livello – rinvio al
mio Prime ricerche su Ludovico Gonzaga vescovo eletto di Mantova, con un docu-
mento inedito riguardante Andrea Mantegna, «Annali di storia moderna e con-

48
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

Credo che fosse lo stesso pezzo, sebbene non si possa escludere


che si tratti di una copia fatta eseguire dal cardinale: è comunque
interessante che le due registrazioni coincidano e non identifichino
il libro in modo per noi soddisfacente. Un caso analogo riguarda
le rime di Malatesta Malatesti, di cui s’è detto prima. Il mano-
scritto delle canzoni e dei sonetti era stato destinato al protonota-
rio Ludovico, ma anche nell’inventario del cardinale Francesco
troviamo una voce «Canzone del signor Malatesta»: lo stesso o
una copia? 20 In più, un’annotazione marginale nell’inventario del
cardinale ci informa che il libro era riservato a suo fratello Gian-
francesco, signore di Bozzolo, ma non risulta nulla di simile nel-
l’inventario post mortem di quest’ultimo 21. E gli esempi potrebbe-
ro moltiplicarsi, a indicare una circolazione piuttosto fitta tra la
corte maggiore e quelle minori, ma anche imprevisti e sparizioni.
Sulle cause di quest’ultime si possono fare ipotesi diverse, dai pre-
stiti non restituiti alla consunzione degli esemplari più usati a inci-
denti di ogni tipo.
Comunque fa piacere leggere ben pubblicato il documento del
1496, con una trascrizione accurata e con minuziosi riconoscimenti
di titoli che la pratica notarile talvolta nasconde più che rivelare.
Sono anche opportune le pagine che Chambers riserva a una suc-
cinta valutazione chiedendosi quale fosse l’effettivo livello culturale
del marchese Gianfrancesco. In effetti i carteggi superstiti che lo
riguardano non lasciano intuire una figura intellettuale di spicco,
per quanto vissuta in contesti molto differenti, dalla Germania al
regno di Napoli, prima di stabilirsi nel suo piccolo dominio nel
territorio mantovano 22. Resto in dubbio anch’io, con Chambers, se
si debba supporre una non riconoscibile curiosità per le lettere da
parte del signore o una sua passione collezionistica di bibliofilo, o

temporanea. Istituto di Storia moderna e contemporanea Università Cattolica del


S. Cuore», II (1996), pp. 215-240.
20
Chambers, A Renaissance Cardinal, p. 177.
21
Ibidem e Id., A Condottiere, p. 81 (che rileva anche altre assenze di libri
destinati a Gianfrancesco nell’inventario del 1496).
22
Va tuttavia tenuto presente che non ci sono giunti né i suoi copialettere
né l’archivio delle missive a lui indirizzate.

49
Andrea Canova

magari ancora un benefico influsso esercitato su di lui dalla moglie


Antonia del Balzo, che però non esce con chiarezza dall’inventa-
rio 23. Mi pare però importante associare questa biblioteca agli og-
getti d’arte e segnatamente ai bronzi dell’Antico: anche una sede
secondaria come Bozzolo funzionava da centro propulsore signifi-
cativo con un’identità forte. Al riguardo mi permetto di integrare il
lavoro di Chambers, proponendo anche qualche ipotesi alternativa.
Passa in generale sotto silenzio il fatto che Paolo Attavanti, il famo-
so predicatore fiorentino, si ingraziasse i signori di Bozzolo prima
di conquistare il favore di quelli di Mantova 24. Il religioso, uscito
dall’ordine dei serviti nel quale rientrerà solo nel 1485, dedicava
proprio a Gianfrancesco il suo commento latino e volgare al salmo
90, del quale si conosce una sola edizione senze note tipografi-

23
Negli ambienti di Antonia l’inventario ricorda comunque più di venti li-
bri, di genere piuttosto vario (Chambers, A Condottiere, p. 83). Sulla moglie di
Gianfrancesco manca una monografia soddisfacente; la bibliografia utile è indica-
ta da Chambers (pp. 61-63) e conta in primo luogo su A. Bellù, Figure femminili
nei Gonzaga del ramo di Sabbioneta e Bozzolo, in Vespasiano Gonzaga e il ducato
di Sabbioneta, a cura di U. Bazzotti et alii, Mantova, Accademia Nazionale Vir-
gliana di Scienze, Lettere e Arti, 1993, pp. 357-373. Antonia era figlia di Pirro,
principe di Altamura e duca di Venosa, e apparteneva a una famiglia di origine
provenzale (che si pensava avesse uno dei re magi come capostipite) radicatasi da
tempo nell’Italia meridionale. Diede almeno dieci figli a Gianfrancesco e gli so-
pravvisse a lungo, morendo vecchissima nel 1538. Per le sue predilezioni lettera-
rie va ricordato lo scambio epistolare del marzo 1510 con Isabella d’Este: la mar-
chesa di Mantova le faceva avere a Gazzuolo «li dui [libri] de la Tavola retonda,
la Historia del Re Artus et quella de Gottifredo de Boione» francesi e di proprietà
del marito Francesco Gonzaga (Luzio – Renier, La coltura, pp. 9-10). Le lettere
ci danno dunque una scheda minima anche sulla biblioteca del marchese France-
sco (dati gli argomenti: che si tratti di pezzi del “fondo antico”?); si apprende
inoltre che alla corte di Gazzuolo c’era un giovane e non identificato poeta che
stava scrivendo un romanzo cavalleresco e si sarebbe giovato di quelle letture per
«cavarne qualche passo o sententia» (Canova, Prime ricerche, pp. 231-232).
24
Su di lui si vedano innnazitutto G. M. Besutti OSM, Repertori e sussidi
generali. Edizioni del secolo XV (1476-1500), e A. M. Serra OSM, Memoria di fra
Paolo Attavanti, in Bibliografia dell’Ordine dei Servi, vol. I, Bologna, Centro di Studi
OSM, 1971, rispett. pp. 79-113; 213-254. Tra la bibliografia precedente: O. Pogni,
Paolo Attavanti commentatore di Dante, «Miscellanea storica della Valdelsa», XXIX
(1921), pp. 123-144 e la voce redazionale Attavanti, Paolo in Dizionario biografico
degli Italiani, IV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1962, pp. 531-532.

50
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

che 25. In seguito Attavanti ottenne il beneficio cittadino di San


Gervasio e scrisse una Historia urbis Mantuae (o Historia Mantuana
o Historia Mantuana Gonziacaeque familiae) e un trattato De Gon-
zagae regali origine, oltre a una serie di canzoni in volgare celebra-
tive dei Gonzaga, essendosi finalmente assicurato la protezione del
marchese Federico 26. Ora l’inventario di Gianfrancesco porta chia-
ra traccia delle manovre di avvicinamento effettuate da Paolo per-
ché annovera «Uno libro in carta bona scripto a penna, composto
per maestro Paulo florentino» e «Li sette psalmi in vulgare tran-
slatati per maestro Paulo» 27. Nella prima voce credo che si possa
riconoscere una delle due opere celebrative di casa Gonzaga; men-
tre la seconda dovrebbe rinviare all’Expositio in psalmos penitentia-
les, che ebbe almeno tre edizioni nel Quattrocento 28.

25
P. Attavanti, Commento volgare e latino del salmo LXXXX “Qui habitat in
adiutorio Altissimi”, [Pavia, Christophorus de Canibus, c. 1495] (IGI 7193). Se
anche regge l’ipotesi relativa a data, luogo e tipografo, il testo va comunque col-
locato tra il 1479 (data delle nozze tra Gianfrancesco e Antonia ricordate nell’o-
puscolo) e il 1483 (perché il cardinal Francesco è menzionato come ancora vivo).
Nella lettera dedicatoria Paolo dice di avere composto l’opera prima dell’Historia
Mantuana. Sul movimentato epilogo del soggiorno mantovano del predicatore,
che nutriva anche forti interessi per la letteratura in volgare e soprattutto per
Dante, fa luce una lettera datata Bologna, 17 febbraio 1485 (ASMn, AG, b.
1142, c. n. n.). Attavanti scrive al marchese Francesco di avere dovuto lasciare la
città perché alcuni funzionari del vescovo lo aveva falsamente accusato di mole-
stie verso alcune parrocchiane in modo da farlo rinunciare al suo beneficio. Sulla
vicenda rimando al mio Cultura letteraria, in corso di stampa.
26
Serra, Memoria, pp. 242-244 segnala i quattro codici noti che trasmettono
le due opere encomiastiche, tra i quali spicca il ms. A.IV.18 (112) della Biblioteca
Comunale Teresiana di Mantova (sul quale si veda la scheda di R. Perini in A casa
di Andrea Mantegna. Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento, catalogo della
mostra, a cura di R. Signorini e D. Sogliani, Cinisello Balsamo, Silvana, 2006, n.
84, pp. 430-432). Si tratta di un esemplare molto elegante con stemma gonzaghe-
sco: probabilmente è una copia di dedica. Per i pezzi in volgare si vedano E. Nar-
ducci, Sei canzone cavate dal ‘Canzonero Gonzago’ fra quaranta generatione di varie
canzone per Maestro Paulo Fiorentino a lo Ill.mo Principe Federico nelle quali si
contiene brevemente quasi tutta la istoria Gonzaga e Mantovana, Roma, Fratelli
Centenari, 1886 (per nozze Torlonia-Monroy Lanza) e Serra, Memoria, p. 244.
27
Chambers, A Condottiere, pp. 87 e 96.
28
Dell’Expositio si conoscono le stampe: [Milano, Leonard Pachel e Ulrich
Scinzenzeler, 1479] (IGI 8171); [Milano, Leonard Pachel e Ulrich Scinzenzeler,
1480 circa] (IGI 8173) e [Venezia, Erhard Ratdolt, 1483-85] (IGI 8174).

51
Andrea Canova

Non è poi del tutto perspicua la voce «Uno libro nominato Ar-
nao de la Rosa» che Chambers identifica dubitativamente con la
Practica medicinae di Arnaldo da Villanova 29. Io azzarderei tuttavia
un travisamento del francese Roman de la rose. Se non mi sbaglio,
troviamo qui un esemplare del romanzo che Guido Gonzaga chiede-
va a Petrarca in una data imprecisata prima del 1340 e che Petrarca
gli spediva a malincuore, cercado di indirizzarlo verso i classici latini
con una nota epistola metrica 30. E troviamo anche la prova di una
mirabile longevità, nelle corti padane, della vecchia guardia gotica,
che aiuta a capire certe inclinazioni allegoriche ben vive ancora in
Matteo Maria Boiardo e nel suo meno brillante emulo Francesco
Cieco da Ferrara 31. Peraltro Francesco visse a Bozzolo per parec-
chio tempo e probabilmente compose lì la prima parte del suo
Mambriano, che però andò a stampa solo postumo nel 1509 32.
Un altro appunto. Manteniamo pure tutte le riserve sulle effet-
tive doti di Gianfrancesco nel campo umanistico, perlomeno in at-
tesa di trovarne prove evidenti, però non si può dire, con Cham-

29
Chambers, A Condottiere, p. 87.
30
Poesie minori del Petrarca sul testo latino ora corretto volgarizzate da poeti
viventi o da poco defunti, II, Milano, Società Tipografica de’ Classici Italiani,
1831, pp. 342-345; sull’episodio si veda E. H. Wilkins, Vita del Petrarca, nuova
edizione, a cura di L. C. Rossi, traduz. di R. Ceserani, Milano, Feltrinelli, 2003
(ediz. orig. 1961), p. 29.
31
C. Dionisotti, Entrée d’Espagne, Spagna, Rotta di Roncisvalle (1959), in
Id., Boiardo e altri studi cavallereschi, a cura di G. Anceschi e A. Tissoni Benve-
nuti, Novara, Interlinea, 2003, pp. 15-50: 36 e n. e G. Frasso, Un poeta improvvi-
satore nella ‘familia’ del cardinale Francesco Gonzaga: Francesco Cieco da Firenze,
«Italia medioevale e umanistica», XX (1977), pp. 395-400 separavano la figura
storica di Francesco da quella di suoi omonimi contemporanei. Il quadro era poi
precisato da J. E. Everson, The identity of Francesco Cieco da Ferrara, «Bibliothè-
que d’Humanisme et Renaissance», XLV (1983), pp. 487-502 e della Everson si
veda pure la voce Francesco Cieco da Ferrara, in Dizionario biografico degli Italia-
ni, vol. XLIX, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1997, pp. 715-718 (cui
rinvio anche per lo spoglio bibliografico). L’edizione di riferimento (tutt’altro che
impeccabile) del poema è: Francesco Cieco da Ferrara, Libro d’armi e d’amore
nomato Mambriano, a cura di G. Rua, Torino, UTET, 1926.
32
Per le edizioni del testo si veda J. E. Everson, Bibliografia del «Mambria-
no» di Francesco Cieco da Ferrara, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1994, da inte-
grare con E. Barbieri, A proposito di una recente bibliografia del «Mambriano», in
«Libri & documenti», XXIV (1998), pp. 42-52.

52
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

bers, che la Corona aurea di Iacopo Bruto sia l’unico libro stampa-
to che porti una dedica al Gonzaga 33. Bisogna tornare ai primi
anni Settanta del Quattrocento e a una delle diatribe incandescen-
ti tra umanisti alle prese con il testo dei classici. Sul finire dell’e-
state del 1473 Domizio Calderini presentava a Lorenzo il Magnifi-
co il suo commento agli epigrammi di Marziale, ovvero il mano-
scritto oggi Laurenziano 53. 33, nel quale polemizzava con Nicco-
lò Perotti, già a sua volta esegeta ed editore del poeta latino 34. Il
codice conteneva un’Apologia nella quale Calderini asseriva di ave-
re pronto un libello contro Perotti, che aveva criticato le sue inter-
pretazioni del testo di Marziale scrivendo ad amici comuni. Il
commento andava a stampa l’anno successivo: la princeps è Roma,
Johann Gensberg per Giovanni Luigi Toscani, 22 marzo 1474
(IGI 2356) e nel libro, all’epistola dedicatoria a Lorenzo, se ne
aggiungeva un’altra «Ioanni Francisco Lodovici principis Mantua-
ni filio». Nella lettera Domizio ricordava addirittura che proprio
Gianfrancesco lo aveva stimolato a raccogliere e pubblicare il
commento, essendo solito alleggerire la noia del campo militare
con i versi di Marziale 35. Calderini dava anche un termine crono-

33
J. Brutus, Corona aurea, Venezia, Giovanni Tacuino, 15 gennaio 1496
(IGI 2211); è un trattato in diversi capitoli sull’anima (Chambers, A Condottiere,
pp. 73, 81).
34
Sull’umanista vanno ricordati almeno J. Dunston, Studies in Domizio Cal-
derini, e C. Dionisotti, Calderini, Poliziano e altri, entrambi in «Italia medioevale
e umanistica», XI (1968), rispett. pp. 71-150 e 151-185; la voce di A. Perosa,
Calderini (Calderinus, Caldarinus, de Caldarinis), Domizio (Domitius, Domicius,
Dominicus), nel Dizionario biografico degli Italiani, vol. XVI, Roma, Istituto della
Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 597-605 e M. Campanelli, Polemiche e filologia ai
primordi della stampa. Le «Observationes» di Domizio Calderini, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura, 2001.
35
Ho consultato l’edizione Martialis, Epigrammata, comm. D. Calderini, Ve-
nezia, Tommaso de Blavis e soci, 12 giugno 1482 (IGI 6224) nell’esemplare di
Milano, Biblioteca Ambrosiana, inc. 1165. Questa la parte iniziale dell’epistola:
«Domitius Calderinus Ioanni Francisco Lodovici principis Mantuani filio salu-
tem. [N]on fuissent tot exemplis editi commentarii nostri quos superiore aestate
emiseramus nisi tu magna ex parte impulisses qui Martialis et ingenium amas et
iocos in sago ac castris aliquando legere statuisti, nam quum Homerus Mantua-
nus civis tuus, quem Graecum Alexander perpetuum comitem habuit, inter tubas
tantum canat nunc quoniam ocium est, a bellis illius lectione intermissa, huius
salibus, quem Verus imperator Maronem suum appellabat, animum in aestivis re-

53
Andrea Canova

logico: «superiori aestate», cioè quella del 1473, quando Gianfran-


cesco era condottiero del pontefice e si dibatteva nelle solite diffi-
coltà economiche vicino a Cesena, cercando di spremere uno sti-
pendio dalla Camera Apostolica e al contempo di ottenere aiuti da
casa 36. In quel periodo anche Domizio si muoveva nell’ambiente
romano, protetto da Sisto IV, e la sua lettera elogia – oltre al dedi-
catario aggiunto – suo padre Ludovico, suo fratello il cardinal
Francesco e tutta la famiglia Gonzaga, illustre per dottrina e gene-
rosità, ma risuona ancora delle schermaglie con Perotti, che non
viene nominato esplicitamente. L’epistola rimarrà nelle successive
edizioni del commento, però ci preme di più osservare che nell’in-
ventario di Gianfrancesco una voce recita «Domitio Caldarino in
papiro» 37. E gli indizi orientano con forza verso il commento a
Marziale. Difficile dire se fosse una copia manoscritta, magari di
dedica, o un incunabolo, perché il notaio non è sistematico in
questo genere di classificazione. La biblioteca, ancorché solo nella
sua sopravvivenza documentaria, ci consente di chiudere un picco-
lo cerchio sulla cultura di Gianfrancesco, che potrebbe essere sta-
ta più cospicua di quanto si sospetti. Al riguardo si aggiungerà
qualcosa in una prossima occasione, ma è chiaro che la lista dei
libri restituisce un quadro tanto più interessante, visto che della
corte di Bozzolo nulla resta se non queste esigue e sparse testi-
monianze.
Il lavoro sugli inventari, ancorché ingrato, è fondamentale.
Presenta, semmai, qualche rischio ideologico: in primo luogo la

laxabis. Haereditaria nam tibi studia sunt nec ab his discedere potes nisi cum
maioribus tuis tum Lodovico patre doctissimo principe te indignum filium fateri
velis, sed quum domesticam laudem ac nobilitatem facile sustineas humanitate,
prudentia, rei militaris industria, studio quoque litterarum, quae a domo tua om-
ni tempore cultae et ornatae fuerunt, dignum te prestas Gonzaga familia Franci-
scoque in primis cardinali fratreque dignitate omnium in se benivolentia singulari
virtute quod accepit a familia nominis vel illustravit vel certe integrum propagavit
in posteros [...]» (c. a1v). La scheda si potrebbe aggiungere a un dossier sulle
“letture da campo” dei signori del Rinascimento che risulterebbe interessante,
magari tenendo a mente una bella sequenza del Mestiere delle armi di Ermanno
Olmi.
36
Chambers, A Condottiere, pp. 48-49 e n.
37
Ivi, p. 91.

54
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

tendenza ad attribuire a questo genere di fonti un’eccessiva capa-


cità di significazione culturale. In se stesso, l’inventario ci dà solo
un registro di presenze (non tutte intelligibili) in un singolo mo-
mento cronologico, ma, per esempio, non è in grado di dirci quali
libri fossero effettivamente letti o per quale motivo fossero stati
procurati. Da qui l’esigenza di interrogare più fonti che sia possi-
bile. Per questo genere di ricerca, il caso gonzaghesco è terreno
fortunato, perché buona parte del patrimonio documentario del
casato si è conservato ed è concentrato nell’Archivio di Stato di
Mantova. C’è piuttosto da chiedersi che cosa si può fare di tutte
queste risorse, magari per arrischiare un discorso che non si in-
ceppi su episodi singoli, ancorché importanti, e che mostri un sen-
so storiografico più complesso tra libri, biblioteche e persone. La
biblioteca, o meglio le biblioteche, dei Gonzaga divennero ben
presto tra le più famose d’Italia, capaci di suscitare gli elogi e i
desideri degli intellettuali che contavano. Già nel 1395, d’altronde,
Coluccio Salutati scriveva a Francesco Gonzaga, capitano del po-
polo di Mantova, elogiandone la famosa raccolta e chiedendogli
un codice di Ennio in prestito 38. Come sempre accade, attorno a
quel polo attrattivo, soggetto a continui movimenti di espansione
e di contrazione, si svolsero le vicende di più d’una generazione di
letterati in contatto con i vari Gonzaga al governo della città e dei
centri minori.
Faccio qualche tentativo, in breve, e metto subito le mani in
uno dei gineprai più spinosi, vale a dire la fortuna di Plinio tra
Medio Evo e Umanesimo. La memoria della Naturalis historia
presso la corte dei Gonzaga è affidata a un codice-monumento, un
manufatto tra i più belli mai passati per Mantova: il cosiddetto
Plinio di Torino, conservato cioè alla Biblioteca Nazionale di Tori-
no, parzialmente danneggiato nell’incendio del 1904 39. Il testo fu

38
Epistolario di Coluccio Salutati, a cura di F. Novati, vol. III, Roma, Forza-
ni e C., 1896, pp. 102-105.
39
Sul ms. J.I. 22-23 della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino si ve-
dano ultimamente le schede di G. Mariani Canova in Andrea Mantegna e i Gon-
zaga. Rinascimento nel Castello di San Giorgio, catalogo della mostra, a cura di F.
Trevisani, Milano, Electa, 2006, n. III. 15, pp. 234-243 e di S. L’Occaso in An-
drea Mantegna 1431-1506, catalogo della mostra, a cura di G. Agosti e D. Thié-

55
Andrea Canova

copiato tra il 1463 e il 1468 da Matteo Contugi da Volterra e mi-


niato da almeno tre artisti (sono noti Pietro Guindaleri e Giovanni
Corenti) in un periodo molto lungo, che si spinse almeno fino al
1506. Per la decorazione si è ipotizzata anche una consulenza di
Andrea Mantegna, ma al riguardo non tutti sono d’accordo 40. At-
torno a questo manoscritto possiamo intrecciare le storie di altri
testimoni della Naturalis historia, purtroppo oggi non riconoscibili,
che transitarono nei paraggi gonzagheschi, talvolta per fermarsi o
solo per essere copiati. La Naturalis historia, peraltro, è la base
storiografica per le origini etrusche della città di Mantova: se ne
servì anche il Platina per la Historia urbis Mantuae redatta tra il
1466 e il 1469 41.
Si sa che la tradizione del testo pliniano è tra quelle più tor-
mentate: scritta in un latino piuttosto difficile, l’enciclopedia circo-
lò in testimoni di norma assai scorretti. Ne è prova il Plinio di
Petrarca oggi alla Bibliothèque Nationale di Parigi (ms. Lat.
6802), di fattura francese e duecentesca ma acquistato proprio a
Mantova nel 1350 42. I Gonzaga possedevano un Plinio almeno dal
1376, quando lo prestavano a Gilberto da Correggio; probabil-
mente è lo stesso che figura negli inventari del 1407 e oggi non è
individuato 43.
La puntata successiva di questa storia vede l’ingresso in scena
di Vittorino da Feltre in persona. Il 3 luglio 1437, il protonotario
apostolico Gregorio Correr da Bologna scriveva a Vittorino, che si
trovava a Mantova: «Si Plinio meo uti voles, potes tuo arbitratu;
est Verone apud reverendissimum dominum meum cardinalem»

baut, edizione italiana rivista e corretta, Milano, Officina Libraria, 2008, nn.
110-111, pp. 283-285.
40
Supponeva un coinvolgimento A. Conti, Andrea Mantegna, Pietro Guin-
daleri ed altri maestri nel Plinio di Torino, «Prospettiva», LIII-LVI (1988-1989),
pp. 264-277.
41
G. Ferraù, La «Historia urbis Mantuae Gonzagaeque familiae», in Bartolo-
meo Sacchi il Platina (Piadena 1421 – Roma 1481). Atti del Convegno internazio-
nale di studi per il V centenario (Cremona, 14-15 novembre 1981), a cura di A.
Campana e P. Medioli Masotti, Padova, Antenore, 1981, pp. 21-38: 25 e n.
42
Wilkins, Vita del Petrarca, pp. 112-113.
43
Novati, I codici francesi, pp. 283-285.

56
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

(cioè Antonio Correr) 44. Si sa che Vittorino svolgeva anche man-


sioni di bibliotecario per i Gonzaga; dunque o il Plinio non era
più a disposizione o, come è probabile, la sua lezione non soddi-
sfaceva un umanista raffinato, che doveva dunque rivolgersi altro-
ve.
Scendiamo al 1458: Ludovico Gonzaga, già allievo di Vittori-
no, è diventato signore della città ed è notoriamente uno dei prin-
cipi più sensibili ai valori dell’umanesimo: dotto, gran bibliofilo,
protettore di letterati e letterato in proprio 45. Il 13 novembre
1458 il marchese scrive una lettera indirizzata «Domino Nicolao
Canali capitaneo Brixie»:

Magnifice et cetera. Inteso el desiderio de la magnificentia vostra di


havere il Plinio nostro facto come l’è, avegnadio che, non sapendolo cer-
to nui, sia stato ligato non troppo sumptuosamente (come quella vederà),
di la bona voglia, per farli cosa agrata, l’havemo facto consignar al messo
suo. Ben pregamo essa vostra magnificentia che, nel transscrivere de
esso, non gli rincrescha, ne’ luogi dove ’l trovarà incorecto, farlo core-
zerlo, ché la ce ne farà singular apiacere. Né mancho servitio ce farà fa-
cendolo coregere che faciamo nui a lei a fargene copia. Ad alia queque
sibi grata parata. Ut supra [Mantue, 13 novembris 1458] 46.

Con chi abbiamo che fare? Nicolò Canal è un nome importan-


te dell’umanesimo veneziano: nato nel 1415 e morto nel 1483, lau-
reato a Padova, amico di molti letterati di spicco, tra i quali vanno

44
R. Sabbadini, Briciole umanistiche. XXV. Gregorio Correr, «Giornale stori-
co della letteratura italiana», XLVI (1905), pp. 65-69: 65-66. Su Correr si veda P.
Preto, voce Correr, Giorgio, nel Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana, 1983, pp. 497-500; si dispone anche dell’edizione del-
le Opere, a cura di A. Onorato, Messina, Sicania per il Centro di Studi Umani-
stici dell’Università di Messina, 1994, 2 voll.
45
Soprattutto per quanto riguarda le ricerche di libri di Ludovico fa ora il
punto P. Pellegrini, L’esperienza umanistica a Mantova da Vittorino da Feltre a
Battista Spagnoli, in corso di stampa nella Storia della cultura mantovana, vol. I;
tra le voci di rilievo a questo proposito va ricordato R. Signorini, Acquisitions for
Ludovico II Gonzaga’s Library, «Journal of the Warburg and Courtauld Institues»,
XLIX (1981), pp. 180-183.
46
ASMn, AG, b. 2886, l. 35, c. 17r. La lettera mi pare inedita; non è co-
munque mai entrata – che io sappia – nella letteratura sulla circolazione dei clas-
sici alla corte di Mantova.

57
Andrea Canova

ricordati Francesco Filelfo, Francesco Barbaro e Paolo Marsi 47.


La sua carriera politica fu meno fortunata di quella letteraria:
spesso incaricato di missioni diplomatiche, almeno un paio di vol-
te capitano di Brescia, conobbe la tragedia nel 1470 quando, no-
minato «capitano general da mar» dovette assistere alla caduta di
Negroponte, giustificando le riserve espresse sul suo conto da un
caustico Marin Sanudo: «il general dottor, atto più presto a leger
libri che a governar le cose da mar» 48.
Canal tornò a Venezia in ceppi, fu processato e condannato al
confino perpetuo a Portogruaro, dove trascorse l’ultimo periodo
della sua vita tra la caccia e gli amati studi. A mitigare la sentenza
erano forse serviti gli interventi del papa Paolo II e di Filelfo stes-
so, che aveva scritto un’appassionata lettera in sua difesa. D’al-
tronde Canal era partito per la spedizione fatale portando con sé
la Ciropedia di Senofonte tradotta dall’amico umanista e accompa-
gnato dal poeta Paolo Marsi che doveva cantare le sue imprese.
Ma se riprendiamo la lettera di Ludovico scritta nel 1458, avver-
tiamo bene il prestigio che doveva accompagnare Canal come filo-
logo. Il tono è, infatti, molto dimesso, diverso dalle abituali con-
cessioni del marchese, accompagnate da preventive sollecitazioni a
una rapida restituzione del volume. Ci si chiede, poi, se il Plinio
fosse quello registrato nell’inventario del 1407 e qui è difficile ri-
spondere. Pare che il codice sia stato rilegato da poco e in modo
non soddisfacente: il che non significa che sia anche stato trascrit-
to in tempi prossimi. Purtroppo, nell’Archivio Gonzaga, non sono
riuscito a rintracciare la richiesta di Canal, che forse fu affidata a
un messaggio solo verbale; è però molto verosimile che il dotto
veneziano avesse avuto notizia del Plinio gonzaghesco da qualche
collega; magari proprio da Francesco Filelfo, che fu amico di Vit-
torino e in continui rapporti con il marchese Ludovico. La noto-

47
La voce di A. Ventura, Canal, Nicolò nel Dizionario biografico degli Italia-
ni, vol. XVII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1974, pp. 662-668 si
può aggiornare con M. L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattro-
cento, vol. II: Il circolo umanistico veneziano. Profili, Roma, Il Veltro, 1989 (ediz.
orig. 1985), pp. 500-503 (ma si veda anche ad indicem).
48
Ventura, Canal, Nicolò, p. 666.

58
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

rietà delle collezioni librarie mantovane poteva certo attirare l’at-


tenzione degli esperti ed è significativo che il marchese cercasse
un qualche vantaggio “ecdotico” dagli scambi con l’esterno. Non
dimentichiamo che lo stesso Ludovico scriveva al Platina l’8 di-
cembre 1459:

Voressemo [...] che ne facesti subito scrivere una Georgica ben in


littera corsiva e suso papéro, ma che la fuse scritta con li dittonghi de-
stesi, cioè ae, oe, e cum li aspiratione apuntate e le dizione scritte per
ortographia corretta secondo che sapeste facessemo coregere la Bucolica,
e che non gli manchi coelle; e, scritta e corretta che la sia, vedeti de
mandarla subito, perché voresimo pur comenzar a far scriver il Virgilio
nostro [...]. Voressemo [...] vui ne facesti etiam scrivere una Eneida in
quella forma, e secondo che la fosse scritta e corretta de libro in libro,
così andaste dreto mandandocela, che ce ne faresti piacere asai 49.

Ma l’endemica scorrettezza del testo pliniano tràdito è destina-


ta a movimentare pure in altre occasioni la storia delle biblioteche
gonzaghesche. Possiamo aggiungere qualche puntata partendo da
una lettera di Giovan Pietro Arrivabene alla marchesa Barbara
Gonzaga, datata Roma, 23 maggio 1469. Arrivabene è personaggio
importante dell’entourage gonzaghesco, nato nel 1439, morto nel
1504, più volte ambasciatore, funzionario, segretario del cardinal
Francesco e vescovo di Urbino dal 1491 alla morte 50. Il suo ri-
tratto si riconosce in una pala d’altare di Timoteo Viti, oggi alla
Galleria Nazionale della Marche, presso il Palazzo Ducale di Urbi-
no, che è ricordata da Giorgio Vasari 51. Arrivabene fu anche uma-
nista, poeta e notevole collezionista di manoscritti. Il 23 maggio

49
A. Luzio – R. Renier, Il Platina e i Gonzaga, «Giornale storico della lette-
ratura italiana», XIII (1889), pp. 430-440: 431-432.
50
La ricostruzione più completa è quella di D. S. Chambers, Giovanni Pie-
tro Arrivabene (1439-1504): Humanistic Secretary and Bishop (1984), in Id., Re-
naissance Cardinals and their Worldly Problems, Aldershot, Variorum, 1997, pp.
397-438, ma si veda pure Id., A Renaissance Cardinal, ad indicem.
51
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle reda-
zioni del 1550 e 1568, vol. IV: Testo, a cura di R. Bettarini e P. Barocchi, Firenze,
S.P.E.S., 1976, p. 268.

59
Andrea Canova

1469 si rivolgeva a Barbara per avere un Plinio e la sua lettera ci


dice molto:

[...] Né per questo pigliarò diffidentia de operar vostra signoria per


mezana ad un’altra cosa mia, supplicandoli che, parendoli de puoterne
haverne honore, la se digni aiutarmeli. Essendo papa Pio a Mantova, de-
de alo illustrissimo signore un Plinio de puocho valore e molto scorecto
et intendo che, doppo, suoa excellentia ne ha facto scrivere un bellissimo
e correcto da una copia del duca de Modena. Questi sono libri che se
trovano rari; le facultate mie non patiscono de comprarne et in prestito
mal se trovano: e pur sono de grande utilitate. Haveria bisogno de stu-
diarlo, unde, non essendo quello che lascioe el papa de più valuta né
bontate, supplico a vostra excellentia che se digni veder se possibel fosse
haverlo – non so se me debba commettere a tanta presumptione de dire
in dono o in prestito –, ché me darà occasione de studiarlo et anche me
bastarà l’animo de emendarlo, et puoi, cussì aconzo, se dispuonerà se-
cundo el commandamento de suoa signoria et non altramente; et de
quello la voglio assecurare. E certo per la utilitate che me sucederà de
studiarlo me serà la magiore gratia che da vostre excellentie potesi obte-
nere. La fede che ho in vostra signoria me dà ardire de richiederla forsi
più che quello deveria e, per questo, non voglia a presumption ascriver-
lo. [...] Rome xxiii maii 1469 52.

Dunque Pio II in persona aveva donato una Naturalis historia


al marchese Ludovico durante la dieta mantovana del 1459, ma la
qualità del regalo non era risultata corrispondente alla dignità del
donatore. Il codice non poteva naturalmente essere quello inviato
nel novembre del 1458 a Niccolò Canal: i Gonzaga rimanevano
insomma frustrati nel loro desiderio di avere un buon testo a di-
sposizione. La lacuna doveva essersi fatta più evidente e fastidiosa
quando i signori avevano deciso di avere una copia monumentale
dell’enciclopedia pliniana. La trascrizione di quello che sarebbe
diventato il Plinio di Torino era cominciata nel 1463, ma la scor-
rettezza dell’antigrafo (o degli antigrafi) in corte aveva consigliato
di rivolgersi agli amici Estensi nel 1464 per ottenere qualcosa di
meglio. Infatti si sa che il 22 gennaio 1465 Borso d’Este chiedeva

52
ASMn, AG, b. 843, c. 721. La lettera era segnalata da Luzio – Renier, I
Filelfo, pp. 157-158.

60
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

a Ludovico Gonzaga che gli restituisse il suo Plinio, prestato pa-


recchi mesi prima 53. Michael D. Reeve individua ora nella Natura-
lis historia dell’Ambrosiana (ms. D 531 inf.) l’antigrafo estense e
certo il codice aveva le carte in regola poiché si apprende dalla
sottoscrizione che era stato emendato da Guarino Veronese con
l’aiuto di Guglielmo Capello 54. Va peraltro ricordato che a Ferra-
ra, negli anni Trenta del Quattrocento, attorno a Guarino Verone-
se, si era messa in funzione una vera officina pliniana, i cui pro-
dotti ebbero cospicuo influsso sulla tradizione del testo in età
umanistica.
Dunque, per i Gonzaga, la bellezza del manufatto non lasciava
in ombra la necessità che il testo trasmesso fosse il migliore possi-
bile e, per raggiungere il risultato sperato, la biblioteca gonzaghe-
sca si metteva in comunicazione con la “cugina” estense (chiamia-
mola così). L’osmosi tra i due bacini era d’altra parte fenomeno
frequentissimo e il caso del Plinio è uno dei più noti e meglio
documentati.
Ma torniamo a Giovan Pietro Arrivabene e alla sua lettera. Mi
pare che vada sottolineato chi è il destinatario: cioè non il mar-
chese Ludovico, che abbiamo già visto all’opera, ma sua moglie
Barbara. La principessa tedesca era arrivata a Mantova in giovane
età per frequentare la scuola di Vittorino da Feltre; anche nel suo
caso i frutti di quell’apprendistato sono molto evidenti. Rimasta in
bilico tra mondo tedesco e mondo italiano, Barbara lascia tracce
consistenti di una cultura non comune, seppure per una princi-
pessa del Quattrocento. Nessuna sorpresa, perciò, che Arrivabene
si rivolga a lei, con cui era in rapporti di grande confidenza, per il
Plinio. Da buon umanista anche Giovan Pietro si offre di correg-

53
Il documento era pubblicato da A. Bertolotti nelle Varietà archivistiche e
bibliografiche de «Il Bibliofilo», VII (1886), pp. 26-27: 26 e poi recuperato da
Luzio – Renier, I Filelfo, pp. 157-158. Confondeva le notizie Meroni, Mostra, pp.
57-58 scrivendo che il manoscritto fornito dal duca di Modena era stato «colla-
zionato su di un codice dell’Arrivabene».
54
M. D. Reeve, The editing of Pliny’s «Natural History», «Revue d’histoire
des textes», n. s., II (2007), pp. 107-179: 146, 172; Id., The Ambrosiani of Pliny’s
«Natural History», in Nuove ricerche su codici in scrittura latina dell’Ambrosiana.
Atti del Convegno. Milano, 6-7 ottobre 2005, a cura di M. Ferrari e M. Navoni,
Milano, Vita e Pensiero, 2007, pp. 269-279: 270-271.

61
Andrea Canova

gere il testo e si accontenta di averlo in prestito, se non proprio in


dono. Non conosco una risposta scritta dei marchesi, ma sta di
fatto che a partire dal 1469 nelle lettere di Giovan Pietro si molti-
plicano gli echi espliciti dalla Naturalis historia 55. La linfa prove-
niente dalla fonte gonzaghesca aveva insomma alimentato vene
periferiche.
La caccia al Plinio non era destinata ad arrestarsi con la confe-
zione del sontuoso codice ora a Torino. Anzi: mentre era ancora
in corso d’opera la sua ricca decorazione, un altro marchese di
Mantova si dava da fare per avere un exemplar speciale del testo.
Scendiamo ai primissimi del Cinquecento e troviamo Francesco
Gonzaga (il marito di Isabella d’Este) che scrive a Firenze per
avere alcuni libri:

Magnifico Laurentio Petrifrancisci de Medicis


Magnifice compater ut frater noster charissime. Per uscire di uno de-
bito cum la magnificentia vostra, li rimandamo il Plauto et il Lucretio
che già la ni prestò; de li quali libri ne siamo serviti a nostra commodità.
Se lei o alcuno di soi ne ha patito sinistro ne rincresce. Noi ne restamo
ben assai obligati ala vostra magnificentia, dala qual voressimo per singu-
lar piacere che la ni facesse anchor commodo del Plinio proprio dil Poli-
tiano, qual ni è dicto esser in sua potestà, o saltem di uno correcto al’e-
xempio di quello, che non ni serrà minor piacere che del commodo deli
dui libri ch’or li mandamo. Fra pochi dì ge lo remetteremo et, possendo
in contracambio farli cosa grata, ne li offerimo paratissimi. Et illa bene-
valeat. Marmiroli, xviiii septembris MDI 56.

Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, detto il Popolano, cugino


di Lorenzo il Magnifico e celebre protettore di Botticelli e di Mi-

55
Si vedano gli esempi addotti da Chambers, Giovanni Pietro Arrivabene,
pp. 411, 418.
56
ASMn, AG, b. 2910, l. 172, cc. 30v-31r. Da uno scambio di lettere del
febbraio precedente veniamo a sapere che Francesco aveva chiesto a Lorenzo un
Plauto e un Lucrezio emendati da Poliziano («homo di tanta doctrina quanto
alcun altro de li tempi nostri») e che Lorenzo gli aveva spedito un Plauto corret-
to da Poliziano e un Lucrezio corretto da Michele Marullo (ASMn, AG, b. 2910,
l. 169, c. 64v; b. 1085, c. 293 bis).

62
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

chelangelo, in gioventù era stato anche allievo di Poliziano, che gli


aveva dedicato la selva Manto, due epigrammi latini e un’elegia 57.
Si capisce bene perché Francesco si rivolga proprio a lui 58.
Lorenzo risponde dopo qualche giorno:

Illustrissimo signor mio. Havendo io hauto da vostra signoria per il


medesimo latore lettere et per quelle inteso el desiderio che quella ha del
Plinio studiato per il Politiano, feci opera di haverlo et non si maravigli
la signoria vostra se prima non s’è possuto expedire il mandato, con ciò
sia che il patrone del libro sia stato fora dela terra et anco ha fatto qual-
che dificultà al darlo, perché lo tiene in veneratione et stimalo assai et
parli di continuo doverlo perdere et, per haverlo, è bisognato farli obligo
di restituirlo infra sei mesi, se non pagarlo assai più che non vale. Et
mandasi per il presente latore pregando vostra signoria che ne faccia te-
nere bona cura et che, quando se ne sarà servita, la rimandi come ha
fatto li altri. Et se altro posso per vostra signoria, sono a’ comandi di
quella. In Firenze, a’ dì v d’ottobre 1501.
Di vostra signoria servitore Lorenço de’ Medici 59

E c’è un appendice l’anno successivo: Francesco tarda a resti-


tuire il codice e Lorenzo deve sollecitarlo, parlando anche di sol-
di, da buon banchiere:

Illustrissimo signor mio. Viene da quelle bande Baldo Vettorii nostro


ciptadino per alcune occorentie sue et nostre [...].

57
A. Poliziano, Silvae, a cura di F. Bausi, Firenze, Olschki, 1996, pp. 3-44: 3 e
n. Sul personaggio si veda almeno la voce di P. Meli nel Dizionario biografico degli
Italiani, vol. LXXIII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2009, pp. 124-127.
Per l’inventario dei suoi oggetti d’arte: J. Shearman, The Collections of the Younger
Branch of the Medici, «Burlington Magazine», CXVII (1975), pp. 12-27.
58
A conferma dei rapporti molto amichevoli tra i due si può ricordare che,
agli inizi del 1494, Francesco aveva chiesto a Lorenzo di essere padrino della
figlia Eleonora, appena nata (A. Luzio – R. Renier, Mantova e Urbino. Isabella
d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, To-
rino-Roma, Roux 1893, pp. 68-69 n.).
59
ASMn, AG, b. 1085, c. 293 ter. Anche questo documento era segnalato
da Bertolotti ne «Il Bibliofilo», VII (1886), p. 27; veniva poi ripreso da Luzio –
Renier, La coltura, p. 11 e n.

63
Andrea Canova

Ceterum vostra signoria sa come questo octobre passato li mandai


per el suo cavallaro uno Plinio riveduto, quale chon dificultà non piccola
hebbi da uno nostro ciptadino chon obligo di restituirglielo fra sei mesi
o pagarglielo ducati trenta d’oro; et perché oramai siamo al tempo et per
fugire tal pagamento come cosa superflua ricordo a vostra signoria, es-
sendosene servita, lo rimandi et, consegniandolo al detto Baldo, lui pi-
glierà a condurlo. Et se altro posso per vostra signoria, m[e] offerisco
parato a’ comandi di quella, la quale Dio [conservi] felicemente. Data in
Firenze, a’ dì vii di março 1501 [1502].
Eiusdem dominationis vestre servitor Laurentius Medicis 60

Si sa che Poliziano accettò di commentare Plinio per un grup-


po di studenti inglesi e portoghesi tra il 1489 e il 1490. Per studia-
re il testo, Poliziano impiegò cinque manoscritti e un esemplare
delle Castigationes plinianae di Ermolao Barbaro 61. Dei manoscrit-
ti, tre erano antichi: due si trovavano presso la biblioteca fiorenti-
na di San Marco e sono gli attuali Riccardiano 488 (che Poliziano
siglò con la lettera a) e Laurenziano 82. 1-2 (che Poliziano siglò
con la b) 62. Il terzo, quello che Poliziano chiamò codex regius, ve-
niva dalla biblioteca degli Aragonesi di Napoli, prima era apparte-
nuto a Coluccio Salutati, a Leonardo Bruni e al Panormita e ora è
smembrato tra la Bodleian Library di Oxford (ms. Auct. T.I.27) e
la Bibliothèque Nationale di Parigi (ms. lat. 6798): fu siglato con

60
ASMn, AG, b. 1085, c. 293 quater.
61
Le Castigationes andarono a stampa nel 1492/1493, dunque Poliziano ne
possedeva una copia manoscritta; si ricorda l’edizione critica dell’opera: Hermolai
Barbari castigationes plinianae et in Pomponium Melam, edidit Giovanni Pozzi,
Patavii, In aedibus Antenoreis, 1973-1979, 4 voll. Sull’operato di Poliziano e sui
codici da lui impiegati si veda V. Fera, Un laboratorio filologico di fine Quattro-
cento: la «Naturalis historia», in O. Pecere – M. D. Reeve (eds.), Formative stages
of classical traditions: latin texts from Antiquity to the Renaissance. Proceedings of
a conference held at Erice, 16-22 October 1993, as the 6th Course of International
School for the Study of Written Records, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Al-
to Medioevo, 1995, pp. 435-466.
62
Schede aggiornate sui manoscritti in Firenze e la scoperta dell’America.
Umanesimo e geografia nel ’400 fiorentino, cat. a cura di S. Gentile, Firenze,
Olschki, 1992, n. 23, pp. 54-56 (Ricc. 488); n. 24, pp. 56-58 (Laur. 82. 1); I ma-
noscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, vol. I: Mss. 1-1000, a cura
di T. De Robertis e R. Miriello, Impruneta-Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo,
1997, n. 113 (Ricc. 488).

64
Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà del Quattrocento

la lettera c 63. Poliziano si servì anche di due codici recentiores, che


definì rispettivamente «Novus aliorum» (sigla d) e «Novus Nicoli»
(sigla e), mentre l’esemplare delle Castigationes plinianae di Ermo-
lao Barbaro fu siglato h. Apprendiamo tutto ciò dalle annotazioni
che si trovano in un esemplare della Naturalis historia stampata a
Roma, da Sweynheim e Pannartz nel 1473, oggi conservato alla
Bodleian Library di Oxford (Inc. Auct. Q.1.2) e segnalato per la
prima volta da Juliana Cotton nel 1937 64. L’incunabolo non fu di-
rettamente postillato da Poliziano, ma evidentemente conserva i ri-
sultati della sua collazione sul testo di Plinio: è quindi verosimile
che fosse annotato da una persona molto vicina a lui, che uscisse
insomma dalla sua “bottega filologica”.
Torniamo a Francesco Gonzaga: qual era il codice che viaggiò
tra Firenze e Mantova tra il 1501 e il 1502? Direi uno dei due più
recenti: o il «Novus aliorum» o il «Novus Nicoli». Peccato che
Lorenzo non riveli anche il nome dell’apprensivo possessore del
Plinio; ma se si fosse trattato di uno degli antiquiores avrebbe fat-
to più esplicito cenno alla biblioteca di San Marco o a quella degli
Aragonesi. È però interessante aggiungere questa notizia all’incar-
tamento sul culto fiorentino dei materiali polizianei a una decina
d’anni dalla morte di Angelo. Mi pare che questa scheda non ab-
bia avuto molta fortuna presso gli studiosi di Poliziano, rimanen-
do come parecchie altre incapsulata nell’orbita isabelliana di Luzio
e di Renier, e in una delle zone più oscure di quell’orbita: il mar-
chese Francesco.

63
Sul testimone diviso: R. W. Hunt, A Manuscript from the Library of Co-
luccio Salutati, in A. S. Osley, Calligraphy and Palaeography. Essays presented to
Alfred Fairbank on his 70th Birthday, London, Faber & Faber, 1965, pp. 75-79;
A. C. de la Mare, The Handwriting of Italian Humanists, vol. I, Oxford, Uni-
versity Press for the Association Internationale de Bibliophilie, 1973, pp. 42, 58.
64
J. M. S. Cotton, Ex-libris Politiani II (Incunabula Bodleiana), «The Mo-
dern Language Review», XXXII (1937), 394-399; si veda poi il censimento di I.
Maïer, Les manuscrits d’Ange Politien. Catalogue descriptif avec dix-neuf docu-
ments inédits en appendice, Genève, Droz, 1965, pp. 351-352. Contestava l’auto-
grafia delle postille L. Cesarini Martinelli nell’edizione da lei curata di A. Polizia-
no, Commento inedito alle Selve di Stazio, Firenze, Sansoni, 1978, pp. XVI,
XXI.

65
Andrea Canova

Chiuderei proprio su questo aspetto. La richiesta dei codici di


autori classici studiati da Poliziano è una raffinatezza che stride
con l’immagine ricevuta del marchese, cui nuocciono, storiografi-
camente, la vicinanza di Isabella d’Este e forse anche l’immagine
accigliata del suo busto in terracotta eseguito da Giancristoforo
Romano (meglio guardarlo ai piedi della Vergine, nella pala della
Vittoria di Mantegna ora al Louvre). La fama di condottiero rozzo
e poco fortunato del marchese va messa in discussione, specie ora
che la sua personalità di committente di opere d’arte esce molto
rafforzata dagli studi di Molly Bourne 65. Non escludo che le sue
richieste di manoscritti fossero inoltrate per conto di altri, ma cre-
do che i suoi gusti letterari possano riservare qualche sorpresa. E
probabilmente, se conoscessimo l’inventario della sua biblioteca,
riusciremmo a stabilire un più forte nesso di continuità con la
Mantova di qualche decennio prima, quella di Vittorino da Feltre
e di Ludovico Gonzaga.

65
M. Bourne, Francesco II Gonzaga: The Soldier-Prince As Patron, Roma,
Bulzoni, 2008 (e se ne veda anche la recensione di Giovanni Agosti in c.d.s. in
«Prospettiva»); la tesi di dottorato da cui deriva il libro ha un titolo eloquente
Out of the Shadow of Isabella. The Artistic Patronage of Francesco II Gonzaga,
Fourth Marquis of Mantua (1484-1519).

66
Indice

Guido Arbizzoni, Presentazione V

Ugo Rozzo, La biblioteca Viscontea e Sforzesca 3

Andrea Canova, Le biblioteche dei Gonzaga nella seconda metà


del Quattrocento 39

Corinna Mezzetti, La biblioteca degli Estensi: inventari dei ma-


noscritti e gestione delle raccolte nel Quattrocento 67

Paola Piacentini, Le biblioteche papali. La Biblioteca Vaticana 109

Gennaro Toscano, Le biblioteche dei sovrani aragonesi di Napoli 163

David Speranzi, La biblioteca dei Medici. Appunti sulla storia


della formazione del fondo greco della libreria medicea privata 217

Marcella Peruzzi, La Biblioteca di Federico di Montefeltro 265

Loretta De Franceschi, Le biblioteche a Bologna nel Quattrocen-


to: una realtà atipica 305

Graziano Ruffini, Tra Pallade e Marte: libri e letture alla corte


dei Doria 363

Concetta Bianca, La biblioteca di Mattia Corvino 377

Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio citati 393

Indice dei nomi 401

427

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