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Il «senso religioso» in Luigi Giussani

Thesis · June 2018

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Pedro Leal
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
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ATENEO PONTIFICIO REGINA APOSTOLORUM
Facoltà di Filosofia

Il «senso religioso» in Luigi Giussani

Professore: P. Alex Yeung, L.C.


Studente: Fr. Pedro Leal, L.C.
Numero di matricola: 00011786
FILE 1001 Elaboratum del primo ciclo
Roma, 29 aprile 2016
Indice

Introduzione ............................................................................................................ 4

A. Una guida per la ricerca: D. Luigi Giussani .............................................................. 5


B. Uno schema di presentazione del tema ....................................................................... 7

I. COSA NON È IL «SENSO RELIGIOSO» ............................................................ 8

A. La nozione di senso in Scheler ................................................................................... 9


B. Il «senso dell’essere» in Essere e Tempo ................................................................. 10
C. La «spinta» al vero senso in Montini ....................................................................... 12

II. COSA È IL «SENSO RELIGIOSO» .................................................................. 13

A. «Storia del senso» in Giussani ................................................................................. 13


B. Prima stesura del 1958 ............................................................................................ 14
C. Redazione del 1986 .................................................................................................. 16
D. Le tre premesse........................................................................................................ 16
1. Prima premessa: Realismo ................................................................................... 17
2. Seconda premessa: Ragionevolezza. ..................................................................... 18
3. Terza premessa: Moralità e conoscenza ............................................................... 20

III. LA NATURA DEL SENSO............................................................................... 22

A. Punto di partenza: la duplice realtà......................................................................... 22


B. La natura del senso religioso ................................................................................... 24

IV. IL SENSO RELIGIOSO AL LIVELLO DI CERTE DOMANDE ...................... 25

A. Senso dell’enigma e l’«io come promessa» ............................................................. 25


B. Sproporzione tra la domanda e la possibilità di risposta ........................................ 27
C. La «tristezza esistenziale» e la speranza. ................................................................. 28
D. L’esperienza della morte .......................................................................................... 29
E. Precarietà della libertà ............................................................................................ 30

2
F. Educare alla libertà ................................................................................................. 32
G. La realtà come segno ............................................................................................... 34
H. Le «esigenze ultime» ................................................................................................ 36

V. CONCLUSIONE ............................................................................................... 37

A. Il senso religioso come dimensione. ......................................................................... 37


B. L’ipotesi di Dio e della Rivelazione. ........................................................................ 38
C. Il metodo immanente-antropologico. ....................................................................... 40

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................... 42

3
Introduzione

Il dato di fatto «statisticamente più diffuso dell’attività umana è l’esperienza


o il sentimento religioso»1. L’osservazione delle tracce e testimonianze storiche dei
millenni dell’umanità manifestano l’apertura dell’uomo verso Dio. Allo stesso
tempo, però, il fenomeno dell’ateismo e della negazione di Dio è stato sempre
presente in minore o maggiore drammaticità nella storia.

Da ciò sorgono alcune problematiche in relazione a questa ordinazione


dell’uomo alla divinità. Se la sua dimensione trascendente si fonda nelle proprie
potenze spirituali, ossia, è struttura della natura umana, perché ci sono persone
lungo la storia che non credono? Forse la finitezza dell’uomo fa sì che l’unica
possibilità di una esperienza religiosa sia una rivelazione. Allora, Dio sarebbe
costretto a dirci qualcosa se vuole che crediamo in lui (Mt 27, 40).

Una prima risposta a queste domande l’ho cercata sulla scia della
fenomenologia della religione e come tutte le dimensione della persona vengono
toccate dalla dimensione religiosa. Rientrando in ambito filosofico, viene a gala il
problema della causa quasi-materiale della religione e dell’autenticità
dell’esperienza religiosa. Le dimensioni non sono parti della persona, bensì diverse
prospettive per conoscere l’uomo, ma che in ognuna vengono coinvolte tutte le
altre, cioè tutta la persona. Cosicché qualche frammentazione o dimenticanza di una
delle dimensioni, corporea, intersoggettiva, sociale, storica, affettiva o religiosa, fa
più difficile la sua «maturazione», raggiungere quella «completezza» che
chiamiamo felicità.

Tutta la persona in tutte le sue dimensioni è aperta all’Assoluto e questo


slancio ontologico dev’essere svegliato e formato come una abitudine. Il problema
sulla dimensione religiosa dell’uomo avviene nel considerare la persona «a pezzi»,
cioè nel voler racchiudere l’aspetto trascendente al solo piano soggettivo. La
religione si riduce a qualcosa di affettivo o storico, togliendo sin dall’inizio qualche
traccia di razionalità o delle altre dimensione.

1
L. GIUSSANI, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 1997, 5.

4
Nell’opera A viso scoperto de C.S Lewis, la protagonista Orual, regina di
Gloma, usa un velo per nascondere la sua bruttezza e intimidire gli altri con un
potere “impersonale”, senza volto. Tutta la sua vita trascorre in lotta contro gli dei
della città, gli idoli del suo popolo, la fede della sua sorella. Alla fine, dopo diverse
acute esperienze di perdita dei cari, di esito come regina e nelle guerre, di un amore
non corrisposto, di una preghiera vana e di raggiungere un potere senza frontiere,
in un sogno, Orual si vede davanti a un tribunale e lì, in uno sguardo sulla sua vita,
nella ricerca di senso, si rende conto:

Ho compresso molto bene perché gli dei non ci parlano apertamente né ci


lasciano rispondere. Mentre queste parole non possano essere trascinate da
noi stessi. Perché farebbero ascolto alle chiacchere che crediamo voler dire?
Come mai si mostreranno davanti a noi a viso scoperto mentre non abbiamo
non stessi un volto? 2

Mentre l’uomo non si «prenda in mano» nella totalità del suo essere e delle
sue esperienze viene compromessa la possibilità di un incontro autentico «a viso
scoperto» con qualcuno, principalmente con Gesù Cristo.

A. Una guida per la ricerca: D. Luigi Giussani

Luigi Giovanni Giussani nasce il 15 ottobre 1922 a Desio, un paese a nord


di Milano. Nel 1933 entra nel seminario diocesano e il 1954 ottiene il suo dottorato
sul Il senso cristiano dell’uomo secondo Reinhold Niebuhr, teologo protestante.
“Don Giussani” come è conosciuto in Italia, è il fondatore del movimento
Comunione e Liberazione, nato il 11 febbraio 1982. D. Giussani muore il 22

2
C.S. LEWIS, Mientras no tengamos rostro, Andres Bello, ePub, II, 4. Comprendí muy
bien por qué los dioses no nos hablan abiertamente ni nos dejan responder. Mientras esas
palabras no puedan sernos arrancadas, ¿por qué iban a prestar oídos a la cháchara que
creemos querer decir? ¿Cómo van a mostrarse ante nosotros cara a cara mientras no
tengamos rostro? «La traduzione è mia».

5
febbraio 2005; sette anni dopo, il Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano,
accetta la richiesta di apertura della sua causa di beatificazione ancora in corso.3

Sin dal 1964 è insegnante presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano ed era sempre impegnato nell’educazione per «comunicare la
ragionevolezza del ‘Fatto cristiano’»4. Tra le sue diverse opere, il senso religioso
pubblicato per prima volta nel 1958 fino all’ultima stesura del 1986 appare come
«l’espressione più compiuta dell’autore»5 sulla ragionevolezza della fede.
Quest’opera è il primo volume del Percorso, che comprende altre due volume sul
sviluppo educativo proposto per l’autore, frutto di quaranta anni di esperienza
pastorale, di insegnamento e ricerca filosofica e teologica. Le altre due opere sono
All’origine della pretesa cristiana, sulla rivelazione di Dio nella persona di Gesù
Cristo, e il terzo volume Perché la Chiesa, sulla Chiesa come fenomeno umano che
porta in sé la presenza del divino.

Citando a Neibuhr, Giussani aveva chiara la convinzione che «niente è tanto


incredibile quanto la risposta a una domanda che non si pone»6. In quanto vive,
l’uomo non può lasciar di farsi le domande ultime7 sul «significato ultimo della
realtà». Il «senso religioso» costituisce questa dimensione fondamentale della
persona. Nella sua opera, D. Giussani vuol «creare un’apertura [verso Dio]
mettendo in gioco filosofia, antropologia, psicologia e poesia»8. L’originalità del
suo «metodo adeguato» per trattare l’oggetto religioso appare come una sorta di
preambula experientiae per un’autentica esperienza religiosa capace de rispondere
alle domande esistenziali.

3
Cf. SITO UFFICIALE COMMUNIO E LIBERAZIONE, «Il fondatore: Luigi Giussani - Cosa
è CL», in http://it.clonline.org/luigi-giussani-il-fondatore-di-comunione-e-
liberazione/default.asp?id=443 [27-4-2016].
4
L. GIUSSANI, Il senso…, Prefazione di S.E.R il Cardinale James Francis Stafford, V.
5
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, Rizzoli,
Milano 2009, 36.
6
R. NIEBUHR, Il destino e la storia. Antologia degli scritti, BUR, Milano 1999, 66 in
C. MANCINI, «Il senso religioso è filo lanciato nel vento», 2013, La Porzione, in
http://www.laporzione.it/2013/11/13/il-senso-religioso-e-filo-lanciato-nel-vento/ [9-4-
2016].
7
L. GIUSSANI, Il senso…, 139.
8
Cf. J. RIES, L’uomo religioso e la sua esperienza del sacro, Jaca book, Milano 2007,
111.

6
B. Uno schema di presentazione del tema

L’opera in analisi non si svolge nel modo di un trattato, ma come un


percorso «verso il significato ultimo della realtà», cammino di educazione per
«essere sempre e veramente religiosi». Quindi seguirò la traccia della stessa opera
con una aggiunta e una sorta di riassunto delle diverse esperienze in cui si svegliano
le «domande ultime» e il senso religioso nell’uomo che appaiono lungo il testo.

L’aggiunta avviene già nel primo capitolo del lavoro, cercando di chiarire
cosa significa «senso» e «senso religioso». La parola «senso» nell’ambito della
ricerca filosofica appare in diversi autori come Scheler ed Heidegger. Certamente
D. Giussani è in dialogo indiretto con questi filosofi. Ma rispetto alla nozione di
«senso religioso» l’ispirazione viene da altre parti. Sarebbe lungo poter trattenerci
a tutti i livelli di rapporti con altri pensatori. È certo, però, che Giussani appare
come un autore capace di quello che diceva Hurs Von Balthasar9: la «spolia
Aegyptorum» e la «trasposizione chiarificante». Lui cerca di parlare sulla
dimensione di apertura dell’uomo al trascendente col linguaggio e le immagini del
col pensiero contemporaneo e anche con una nuova lettura dei termini scolastici
come sarà visto più avanti.

Il secondo capitolo presenterà le «premesse del metodo» per trattare


l’oggetto religioso. Per il terzo capitolo ho chiesto l’aiuto di Guardini nell’opera
Religione e rivelazione quando parla sull’esperienza religiosa per presentare le
riflessioni in un certo “ordine di valore” per quello che ho intrapreso del nostro
autore. Il quarto e ultimo capitolo è diviso in tre momenti: una conclusione sul
«senso religioso» in Giussani, una breve trattazione «sull’ipotesi di Dio» e della
rivelazione per dare completezza al pensiero dell’autore, finendo con una
riflessione personale sul «senso religioso» (come sintesi dell’esperienza filosofica
di scrivere un elaboratum).

9
H. V. BALTHASAR, « On the Tasks of Catholic Philosophy in Our Time», Communio
20 (1993), 156, in http://www.communio-icr.com [9-4-2016].

7
I. COSA NON È IL «SENSO RELIGIOSO»

Nel nostro primo approccio di comprensione sul cosa sia il senso religioso
e la sua rilevanza, è necessario togliere di mezzo alcune concezioni di «senso» e di
«senso religioso» proveniente sia del linguaggio comune sia filosofico. Una sorta
di pars destruens per arrivare ad una compressione chiara sulla nozione in Giussani.
Il punto di partenza della riflessione è la pubblicazione del 1958 di il Senso
Religioso come una risposta alla lettera pastorale di Giovanni Battista Montini,
allora arcivescovo ambrosiano, scritta in occasione della quaresima dell’anno
anteriore. In questa prima edizione la nozione di senso religioso appare come
«storia del senso»10.

Nel testo del 1986, D. Giussani già non usa l’espressione «storia» per
affrontare, nel capitolo decimo, la questione sull’itinerario del senso religioso e
rispondere ad una domanda: se il senso religioso è stoffa della umana coscienza,
come farlo a destarsi? Questo interrogativo di ogni epoca è conseguenza
dell’incontro dell’uomo con la realtà. «Vivendo il reale» l’uomo trova il cammino
verso il significato ultimo dell’analogia in cui si svolge l’esistenza. Possiamo
domandarci allora quale sarebbe il primum analogatum del concetto di senso
religioso?

A modo di chiarimento iniziale vedremmo come si distinguono le nozioni


di «senso» in Giussani dagli allievi di Husserl. Dopo, sulla scia di Montini, vedere
come il senso religioso si configura come esigenza che deriva dell’esperienza del
reale e che si esprime in diversi livelli perché coinvolge tutta la persona e tutte le
persone oggi e sempre. La seconda tappa è conoscere la natura del senso religioso,
cercando di concludere con una valutazione sull’itinerario proposto da D. Giussani.

10
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 78.

8
A. La nozione di senso in Scheler

In un acchito, si può dire che ci sono due nozioni usate da Scheler che
potrebbero avvicinarsi all’idea di senso religioso in Giussani: quella dell’uomo
capace di «atti religiosi» oppure la nozione di «valore»11.

Volendo fondare un teologia filosofica per via metafisica, Max Scheler


ammette il nesso tra l’ente finito e l’ente assoluto come qualcosa di evidente. C’è
un’intuizione naturale nell’uomo che afferra il trascendente. L’idea di «senso» per
il fenomenologo viene presa come conformità tra l’esistenza degli «atti religiosi»
e, in conseguenza, l’esistenza dei suoi oggetti propri, ossia, Dio. Gli «atti religiosi»
sono intesi come tendenza del nostro spirito a «superare non appena la realtà finita,
ma l’essenza delle cose finite»12. In questa direzione, l’idea di Scheler se avvicina
alla proposta di Giussani se la nozione di «essenza» nel testo citato viene
considerata come «significato» della cosa, cioè un «andare oltre le cose stesse»,
verso il suo «significato ultimo».

Nel cosiddetto secondo Scheler, tale tendenza appare come tensione tra
«vita e spirito» nella quale l’uomo si domanda sul suo «posto nel mondo»
scoprendosi «extramondano», fondato «al di là del mondo». È la stessa idea del
nesso necessario ed evidente tra l’ente finito e l’ente assoluto, coscienza di sé e
coscienza di Dio.

Per Giussani la coscienza di Dio non è evidente, ma è «nella realtà come


segno» dove Dio «non si impone, ma si propone in rispetto alla nostra intimità, la
libertà personale»13 e il senso viene svegliato. Per questo Gesù stesso parlava in
parabole. Per scoprirne il senso dei racconti, degli avvenimenti della vita «occorre
un’educazione dello spirito» per interpretare i segni14.

Se da una parte i termini «senso religioso» e «atto religioso» non trovino


relazioni in modo diretto, d’altra l’idea di «valore» dell’oggetto di esperienza,

11
W. WEISCHEDEL, Il Dio dei filosofi. 3, 3, Il melangolo, Genova 1994, 153.
12
Ibid., 158.
13
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 88.
14
Cf. Ibid., 89.

9
inteso come «intenzionalità affettiva»15 per Scheler, appare in Giussani come la
terza delle «premesse del metodo» per conoscere la dimensione religiosa
dell’uomo. Soltanto nella misura in cui faccio attenzione ad un determinato oggetto
questo «guadagna» per me un «valore» rispetto al mio destino, e allora faccio
un’esperienza vera e propria. Ma il «valore» dell’oggetto religioso non ne
costituisce il senso; è premessa per un’adeguata esperienza.

B. Il «senso dell’essere»16 in Essere e Tempo

Nella sua lettera pastorale, Montini afferma che uno dei punti principali
delle missione di «risvegliare il senso religioso» è anche «restituire la curiosità
metafisica» delle investigazioni scientifiche. All’inizio dell’opera Essere e Tempo,
Martin Heidegger propone una nuova impostazione al problema «dell’indefinibilità
dell’essere» come problema del «senso dell’essere». Prima di considerare cosa
intende Heidegger per «senso», è importante sollevare che gli ambiti di ricerca sono
distinti. D. Luigi prende una via antropologica, mentre l’altro pensa sull’essere.
Però in entrambi sta la preoccupazione per una vita piena di «senso».

Senso significa il «ciò rispetto-a-cui» del progetto primario della


comprensione dell’essere. […] Quando diciamo che un ente «ha senso»
significa che si è reso accessibile nel suo essere, […] che «ha senso»,
«autenticamente». […] Il progetto primario della comprensione dell’essere
«dà» senso17.

Rispetto all’uomo, a questo esserci particolare, tale apertura di senso vuol


dire possibilità di «autenticità». Il fine dell’uomo è «essere-un-tutto autentico» che
è possibile soltanto nell’orizzonte della temporalità (avvenire, esser-stato e
presente) e nelle decisione (l’ora). L’uomo deve sfuggire al “si dice” ed esistere

15
A. PIAZZA, «Il problema dell’ordo amoris in Max Scheler (Dialegesthai)», in
http://mondodomani.org/dialegesthai/api01.htm#rif22 [9-4-2016].
16
Per la espressione: M. HEIDEGGER, Essere e tempo, UTET, Torino 1986.
17
Ibid., 472.

10
effettivamente nel mondo come «se-stesso». Il problema è che tale orizzonte di
senso per Heidegger si chiude nell’immanenza dell’«essere-per-la-morte».

In un’altra direzione, il senso religioso viene preso per Montini e Giussani


come affermazione di un «significato ultimo» che possiamo intravedere
nell’esperienza della «realtà come segno» che mentre «rivela, vela»18. Anche per
Heidegger, il più originario nel pensare l’essere sarà questo «occultarsi nello
svelamento»19 che «accade» nel dasein. Però, il fenomeno nel suo senso ultimo, è
l’«automanifestantesi essere dell’ente»20 dove già non c’è qualcosa «dietro» o
«coperto», è l’essere dell’ente stesso senza qualche rimando. Ancora più
radicalmente, qualche tentativo di affermare Dio è confezionare un idolo.
«L’ultimo Dio, il Dio divino»21 è totale indisponibilità, su di lui sarebbe meglio
tacere.

Sebbene si stacchino le comprensione sull’apertura e il significato ultimo,


Giussani parla della necessità di «autenticità» in prossimità al senso heideggeriano,
come «esistenza sempre mia» quando entrano in gioco l’amore, l’amicizia, la mia
libertà, Dio. Soltanto nell’applicare la mia intelligenza e volontà sull’esperienza
vissuta comincio ad essere libero, ossia, faccio la verità su me stesso, come ha detto
Gesù agli ebrei: «la verità vi farà liberi» (Gv, 8, 32).

Però, l’uomo esperimenta una sorta di «precarietà della libertà»22, non tanto
nel senso della finitudine dell’«essere-per-la-morte», ma di una dipendenza che non
può sfuggire della coercizione delle circostanze del tempo e dei poteri. Allora,
l’unica mia possibilità di essere libero, di essere autentico, è l’atto di fede che si
riconosce dipendente da Dio23. Ossia, il senso religioso è l’espressione più autentica

18
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 88.
19
L. ROMERA, L’uomo e il mistero di Dio: corso di teologia filosofica, Edusc, Roma
2008, 25.
20
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, 96.
21
L. ROMERA, «Dio e la questione dell’essere in Heidegger», Acta Philosophica 3/2
(1994), 287–313.
22
L. GIUSSANI, Il senso…, 121.
23
Ibid., 146.

11
della razionalità e libertà dell’uomo. È nella dimensione religiosa in cui lui trova,
per dire con Heidegger, il «senso della Cura»24.

Il dialogo indiretto con Heidegger è evidente. Ma il senso religioso sfugge


all’immanenza, affermando la capacità dell’uomo di conoscere e amare Dio. Nel
suo senso più intensivo vuol dire «piena comunicazione» e non silenzio vuoto:

Con Cristo, il senso religioso diventa piena comunicazione, che esige una
risposta di amore, adesione totale a Lui. Dopo la Croce, il senso religioso
naturale viene esaltato dal tocco dello Spirito Santo25.

C. La «spinta» al vero senso in Montini26

Nella sua lettera pastorale27, Montini faceva notare che l’espressione «senso
religioso» non è «ben determinata». Tra le diverse accezioni prese negli studi
etnologici, psicologici o filosofici, la prima distinzione si rivolge all’interpretazione
modernista del senso religioso come un «sentimento» che non ha nulla a che fare
con la ragione28. Posizione essa già criticata da Pio X nell’enciclica Pascendi. Ma
anche se accettiamo l’esistenza di un «sentimento religioso», esso nemmeno può
essere «quasi una certa intuizione del cuore» come proponevano alcune correnti
protestanti. Parlare di sentimento religioso per Montini sarebbe «considerare il
senso religioso già in atto».

Un altro termine coinvolto nella nozione di senso religioso è quello di


«religiosità». Esso, però, è il suo aspetto soggettivo, un’intuizione dell’anima a
percepire Dio e la dignità della persona. Questo vuol dire che l’uomo è da una parte
quello che la scolastica definiva come capax Dei, capace di Dio. La religiosità ci
parla dunque su una struttura intrinseca ed essenziale, il cuor inquietum dell’uomo.
Ma tale capacità, conclude il arcivescovo ambrosiano, è in qualche modo, anteriore
al ragionare stesso dove si dà veramente il senso religioso. Tale «disposizione

24
M. HEIDEGGER, Essere e tempo, 472.
25
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 127.
26
Ibid., 45–76.
27
G. B. MONTINI, «Lettera pastorale all’arcidiocesi ambrosiana per la Quaresima»,
1957, in M. BORGHESI, Sul senso religioso, 47-76.
28
PIO X, Pascendi dominici gregis, (1907).

12
viva», vis appetitiva, si riferisce piuttosto a tutto ciò che è immediato e soggettivo
rispetto al fatto religioso.

In una carrellata di altre termini presi in diversi autori come «tendenza della
ragione» per Tommaso, «senso comune» per Garrigou-Lagrange, «conoscenza
prefilosofica» per Maritain e anche quella dell’esperienza religiosa che si dà nel
«timore di Dio» o nella «pietà», Montini conclude:

Il senso religioso possiede tutte queste significati ricci ed complessi che si


riassumono nell’orientamento – istintivo, cosciente, razionale e morale, sia
naturale, che soprannaturale – della vita umana verso Dio29.

Il senso religioso è dunque la «sintesi dello spirito». La persona è apperta in


tutte le sue dimensione verso Dio, senza che nessuna dimensione sia mai slegata
della ragione. Non è una facoltà in più dell’uomo, piuttosto una sorta di istanza
riassuntiva, stoffa che riempi tutto l’uomo e il mondo di significato. Seguendo
l’impostazione agostiniana, essa si configura in ultima istanza come «cuor-
rispondenza alla Parola divina» che impegna la mente e tutte le altre facoltà nello
scoprire il senso di tutto.

II. COSA È IL «SENSO RELIGIOSO»


A. «Storia del senso» in Giussani

La nozione di senso religioso nell’autore si svolge sin dalla prima stesura


del ‘58 fino all’edizione del 1986. La riflessione spinta da Montini avviene in
dialogo indiretto con diversi autori, e si chiarisce in modo graduale come un
percorso, «l’itinerario al significato ultimo della realtà» e dello stesso senso
religioso che diviene come un work in progress.

La prima nozione di senso religioso si identifica con «l’emergere delle


domande ultime sul significato dell’essere e dell’esistenza»; nel 1966 prende le
nozioni «scolastiche» come inclinazione, tendenza, capacità e quella di Montini,

29
G. B. MONTINI, «Lettera pastorale…», 52.

13
«sintesi dello spirito», pero fa un importante passo rispetto alle «domande ultime»:
il senso religioso è la natura stessa della ragione. In questo senso il problema sul
Dio già non è propriamente l’ateismo, ma piuttosto l’idolatria30. L’ultima impronta
del 1986 appare come il punto di maturazione dell’autore, rispetto alle altre
edizioni. Giussani presenta le «tre premesse del metodo», l’itinerario del senso
inteso come «vivere il reale» che parte «dell’io-in-azione» portando la persona a
una «posizione vertiginosa» davanti il mistero che apre all’esperienza di un
incontro, ossia, all’ipotesi della Rivelazione.

Infatti, Massimo Borghesi nel suo commento alla lettera di Montini e la


prima versione dell’opera di Giussani, parla che «il Fecisti nos ad te agostiniano è
la premessa di tutta l’impostazione»31. È l’esperienza dei discepoli di Emmaus che
mentre vanno in cammino, senza ancora poter scoprire il «senso ultimo» di tutto
ciò che aveva successo, sentono il cuore riscaldarsi e la mente svegliarsi con la
compagnia, le parole e i segni che intravedono in quel “straniero” (cf. Lc 24, 13-
35).

B. Prima stesura del 1958

Nella sua prima riflessione del 1958 Giussani presenta un «itinerario di


apertura dell’uomo a Dio» all’interno della fede cristiana come risposta alla
chiamata del suo vescovo a «svegliare il senso». Inizialmente lavora con l’idea di
capax Dei, nella scia di Agostino e Tommaso, la «sintesi dello spirito» imparata da
Montini e il senso di «vocazione», domande esistenziale, come l’apporto
dell’autore.

L’origine del senso è il dato di fatto che «siamo fatti» per Dio. Il senso
religioso è «capacità fondamentale perché mentre tutte le altre si rivolgono a bene
particolari, questa si rivolge al bene finale e conclusivo»32 e viene svegliato
dall’iniziativa divina che lo chiama lungo la storia attraverso la realtà percepita

30
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 30.
31
M. BORGHESI, Sul senso…, 28.
32
G. B. MONTINI, «Lettera pastorale…», 80.

14
come segno, la scoperta dell’io come rapporto e la sua coscienza morale, e fino alla
Rivelazione stessa di Dio-Amore in Gesù Cristo.

Questo dinamismo antropologico dalla «ricerca a tastoni, dipendenza del


servo, all’amore filiale sono i tre momenti possibili del senso religioso nella storia
umana e nella storia individuale»33 e costituiscono la «storia del senso» che non
sempre trova la sua pienezza nella fede in Cristo. Nell’impatto con la realtà, l’uomo
fa una particolare esperienza del «senso di dipendenza» che, se viene interpretata
correttamente, porta alla fede e alla scoperta dell’amore che è «la dipendenza
assoluta [di Dio] nella piena libertà dell’io»34. Una mala interpretazione fa nascere
il «senso di autosufficienza» che ha portato i popoli a diverse forme d’idolatria.
Cosi come Montini, buona parte dell’opera di Giussani offre un visione delle
diverse forme moderne che «svuotano il senso del mistero».

Come conclusione dell’autore, c’è uno sviluppo psicologico del senso


religioso che trova la sua certezza definitiva nella fede della Chiesa. È Gesù Cristo
chi ci insegna il senso integrale di dipendenza e libertà nell’amore. Cosi
l’educazione al senso religioso troverà i suoi luoghi privilegiati nella testimonianza
dei credenti, specie i cristiani, e nella liturgia.

Il primo luogo privilegiato per la testimonianza è l’ambito della famiglia,


la scuola e il lavoro dove la mentalità laicista vuol staccarli della dimensione
religiosa. La liturgia, che appare con tutta la forza in questa prima stesura e di chiaro
influsso guardiniano, non apparirà nel testo del 1986: «La liturgia è il luogo
concreto dove il senso religioso può raggiungere il Suo Oggetto Divino con la
massima certezza ed intimità»35. Luogo di incontro e di educazione al senso: sicura
e completa pedagogia dello spirito umano al mistero poiché insegna la rinuncia di
sé e l’impegno di sé davanti a Dio e alla comunità – «occorre che lo spirito della
liturgia invada l’esistenza della singola persona»36.

33
L. GIUSSANI, «Il senso religioso», in M. BORGHESI (ed.), Sul senso religioso, 111.
34
Ibid., 109.
35
Ibid., 120.
36
Ibid., 120.

15
C. Redazione del 1986

La riflessione sul senso religioso matura insieme alla comunità di


Comunione e Liberazione e le lezioni come professore della Facoltà di Teologia di
Milano. Il testo di poche pagine del 1958 diventa un opera in tre volume di un
percorso per comunicare la ragionevolezza del fatto cristiano e della fede sempre
con la sua costante preoccupazione educativa37.

L’originalità dell’autore appare nel suo metodo per conoscere l’oggetto


religioso che scaturisce di tre premesse universali valide per ogni persona e ogni
ricerca di un’esperienza autentica, quella che risponde alle domande ultime e coglie
più in fondo il significato della realtà. Il realismo, la ragionevolezza e l’incidenza
della moralità nella conoscenza insieme al suo particolare modo di affrontare i
diversi atteggiamenti dell’uomo davanti a Dio, a se stesso e al mondo, prendendo
la spinta da una ricca gamma di scrittori e poeti sin dall’antichità fino a
contemporanei, credenti o atei, evidenziano la dimensione religiosa quale fatto
universale nell’uomo di oggi e sempre.

D. Le tre premesse

In un primo acchito, le premesse sembrano di portata meramente


epistemologica. Quello che vuole l’autore è andare oltre le opinioni comune nel
valutare le proprie esperienze: «ricuperare l’esistenziale profondo» che significa
imparare a «giudicare con il proprio cuore» e, in modo più intenso, liberare la
ragione delle diverse forme di razionalismo. L’atteggiamento di Giussani vieni
confermato dai tre ultimi papi: sia la conosciuta frase di Giovanni Paolo II in Fides
et Ratio «allargare continuamente gli spazi del proprio sapere»38; oppure con le
forte parole di Benedetto XVI nei suoi discorsi in Germania il 2011: «tornare a
spalancare la finestra del bunker della ragione positivista che impedisce la

37
L. GIUSSANI, Il senso…, Prefazione, V.
38
GIOVANNI PAOLO II, Fides et Ratio (1998), 14.

16
consapevolezza della dipendenza dall’infinito»39, confermate pure da Papa
Francesco nella sua prima enciclica Lumen Fidei: «la fede allarga gli orizzonti della
ragioni»40.

Partendo di due nozioni classiche, sull’anima come quodammodo omnia41


e sulla verità intesa come adequatio rei et intellectus, ambedue prese da Tommaso,
le premesse prendono una prospettiva del tutto «immanente-esistenziale». Giussani
vuol evidenziare la razionalità del credere come un «quarto metodo di conoscenza»
che è quello «più umano» poiché coinvolge tutta l’unità dell’io. È un processo di
«riabilitazione della ragione» rispetto al senso religioso, cioè, nell’affrontare la
realtà, l’uomo non deve forzarla ai suoi schemi, ma lasciare gli «occhi della ragione
spalancati» su di essa facendo attenzione a tutti i suoi datti, senza «rinnegare né
dimenticare nulla». Ora, il dato di fatto «statisticamente più diffuso dell’attività
umana» è proprio «l’esperienza o il sentimento religioso»42. Una conoscenza
adeguata, verace, su di esso non può rimanere come qualcosa accidentale per la
propria vita umana, per la propria felicità.

1. Prima premessa: Realismo

Indietro alla prima premessa ci sono due esigenze: di una «curiosità


metafisica realista» e di un’indagine esistenziale, che parla alla mia vita.
«Realismo» qui significa «partire dall’oggetto». È il punto di inizio di qualche
scienza, che il suo subiectum sia dato dalla realtà. L’esigenza di realismo è il punto
di vista dell’oggetto come misurante del metodo per conoscerlo.

In quanto l’esperienza è un «fatto che tocca a me», l’indagine iniziale


dev’essere in prima persona. Però, in questo caso non si può «far dire altri ciò che

39
BENEDETTO XVI, «Viaggio Apostolico in Germania: Visita al Parlamento Federale
nel Reichstag di Berlin (2011).
40
FRANCESCO, Lumen Fidei (2013), 34.
41
THOMAS AQUINAS, S. Th. I, q.14, a.1 c = Ed. Studio domenicano, Bologna 2014,
181
42
L. GIUSSANI, Il senso…, 5.

17
succede dentro di me». L’opinione comune sarà importante in un secondo momento
per aiutarmi a chiarire quell’immagine che ne ho.

Perché il dato fenomeno diventi una vera esperienza e non un mero


«provare»43, devo coglierlo nel suo senso, darne un giudizio, valutarne. Per
giudicare qualcosa che «accade in me», il criterio dev’essere «strutturale,
immanente, originale». Questi criteri fondamentali sono le «esperienze elementari»
che derivano dell’incontro dell’uomo con il mondo destando in lui un «impeto
originale con cui si protende verso la realtà». Sono evidenze originale della
presenza di un qualcosa, «della coscienza di un’immagine che lo stimola dal di
dentro per assimilare la realtà»44.

I criteri fondamentali scaturiscono delle «esperienze elementari» comuni a


tutti gli uomini di tutti i tempi. Sebbene si svegliano in modi distinti, secondo le
circostanze, è noto che possiamo andare al passato attraverso l’arte, la letteratura,
la musica, ed avere delle stesse impressioni, sentimenti e ragioni che hanno vissuto
uomini di epoche distinte, anche opposte alla nostra. Ossia, ci sono dei criteri
elementari, in ordine strutturale, con cui l’uomo giudica le sue vicende. A tale criteri
strutturali Giussani li chiama «natura».

2. Seconda premessa: Ragionevolezza.

La ragionevolezza è «l’attuazione del valore della ragione nell’agire»45. È il


punto di vista del soggetto che determina il suo modo di conoscere. La
ragionevolezza è il metodo umano per conoscere ed agire. In altre parole, attuare la
ragione è «verificare» la corrispondenza tra l’io e l’oggetto. Tale verifica che
«impegna l’autocoscienza e la capacità critica dell’uomo» diventa conoscenza,
autentica esperienza, se trova delle ragioni adeguate per spiegare il fenomeno.

Per l’uomo non basta col usare la ragione; il suo atteggiamento dev’essere
ragionevole, ossia, l’incontro con il reale esige la scoperta di «ragioni adeguate».

43
L. GIUSSANI, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, 127.
44
L. GIUSSANI, Il senso…, 8.
45
Ibid., 17.

18
Giussani parla di due modi sbagliati perché riducenti nel ragionare: quello di vedere
il razionale come dimostrabile, che lui chiama «invitante curiosità» di chiarire ciò
che sta indietro agli effetti. Il problema di tale postura è che gli aspetti più originali
della realtà non sono dimostrabili, sono «esperienze originarie». La ragione richiede
delle dimostrazione, ma non è identica ad essa46. L’altra concezione sbagliata è
quella di prendere il razionale come il logico: «Gioco affascinante, certezza
dell’umano pensare, coerenza tra le premesse e le conclusioni»47. Ma se le premesse
da cui parto sono sbagliate? Neanche la logica dice tutto sulla ragione.

La logica e le dimostrazioni sono strumenti di una «ragioni più ampia». Essa


parte dell’evidenza della realtà che non è «coerenza, ma cogenza»48 ed anche le
ragioni del cuore delle quali fa uso. La ragione, quodammodo omnia, percorre per
diversi metodi secondo il tipo di oggetto, con gli «occhi spalancati a tutta la realtà,
cercando de afferrarla nella totalità dei suoi fattori»49. Ci sono delle realtà, dei
valori, che non rientrano nei metodi conosciuti delle scienze positive, come lo sono
il comportamento umano e la vita morale.

Nel cercare di allargare l’orizzonte della ragione, Giussani vuole «provocare


l’apertura» alla «ragionevolezza del credere». L’uomo può vivere senza certezze
matematiche o filosofiche, ma non “c’è la fai” senza certezze morali. Questo vuol
dire, «e nessuno può negare», che possa essere ragionevole voler avere qualche
certezza sull’amore, sull’amicizia. «L’incertezza nei rapporti personali è la
peggiore delle malattie»50. In ultima istanza, i «valori morali» e l’aver fede in un
altro sono le uniche ragioni adeguate per vivere.

Tali certezze morali sono conosciute come il risultato di un «quarto


metodo», non quello matematico, scientifico o filosofico. Per D. Giussani «sembra
più un’intuizione, come lo fa l’artista, poiché ci serve negli istanti della vita»51. Per
dimostrare una certezza morale dobbiamo considerare un complesso di indizi, una

46
Ibid., 19.
47
L. GIUSSANI, Il senso…, 20.
48
Ibid., 20.
49
Ibid., 22.
50
Ibid., 27.
51
Ibid., 27.

19
sorta di «accumulo di probabilità»52 come direbbe Newman, che convergono in un
unico senso. Giussani descrive le premesse del «metodo della fede» in tre punti:

1. A più convivenza e condivisione, più certezza esistenziale nel rapporto;


2. Quanto più potenza di umanità, più sono capace di intuire i motivi dell’altro,
come uno specialista in qualche materia può capire prontamente le
conclusioni dei problemi;
3. A esperienze elementari più significative, più il cuore può riconoscere le
ragioni e fidarsi;

Tutto ciò vuol dire che la necessità di ragionevolezza nell’atteggiamento umano


in tutte le sue possibilità, al di là delle certezze scientifiche o filosofiche, è una
necessità di fede. In altre parole, che l’umano comportamento ci offre delle ragioni
sufficiente per credere. Per vivere in rapporto di fiducia, sia nell’altro, che nella
storia o nelle scoperte scientifiche, sebbene in tutto ciò ci siano possibilità di errori.

Il quarto metodo per conoscere è «l’adesione a quello che afferma un altro»,


cioè, la fede. Per Giussani, qui risiede il problema capitale della vita come esistenza,
e della nozione di ragione: «senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe
sviluppo umano, saremmo sempre dei trogloditi»53. Un metodo per conoscere
veramente esige realismo, essere misurato dall’oggetto, e rispettare l’esigenza di
ragioni adeguate tra l’uomo che conosce e la cosa conosciuta. Ridurre tutto il
processo soltanto al metodo scientifico diventa irragionevole, perché la vita nei suoi
rapporti è anche conoscenza morale, è credere.

3. Terza premessa: Moralità e conoscenza

La ragione è immanente a tutta l’unità dell’io. «Immanente» vuol dire


«profondamente e organicamente relazionata al resto dell’io»54. Altro che la
capacità di ragionare, l’io anche esperimenta una variazioni dei suoi stati d’animo.
Sia un avvenimento fisico (un colpo), o mentale (una idea brillante), un’emozione

52
Cf. J. H. NEWMAN, Grammatica dell’assenso, Jaca book, Milano 2005 5.
53
L. GIUSSANI, Il senso…, 29.
54
Ibid., 32.

20
affettiva (l’incontro con i genitori), «qualunque cosa intervenga nell’orizzonte di
conoscenza della persona» produce una reazione che sarà più o meno vivace in
ciascuno. A tale reazioni affettive Giussani chiama «sentimento».

Il sentimento appare come un «filtro della ragione». Nella misura in cui sono
cosciente di ciò, tali reazioni mi aiutano a fare esperienza, e la mia conoscenza
guadagna un «valore». Essa diventa «qualcosa che mi interessa», con un significato
per cui vale la pena vivere. Il dramma del razionalismo fronte allo spirituale viene
esposto come chiusura all’orizzonte di significato della realtà:

L’ipotesi di una ragione pura, senza interferenze, per avere una conoscenza
oggettiva diventa drammatica se consideriamo il problema sul nostro destino,
sull’affettività, sulla vita politica, sugli oggetti che richiedono un
significato55.

Quanto più una cosa ha valore e vale la pena, più interessa, più vengono
implicati gli stati d’animo. Allora il dramma è questo: per conoscere quelle cose
che più valgono la vita e più la ragione soffre l’interferenza dei sentimenti, meno
oggettiva essa può essere. L’unica conoscenza per la cultura moderna è quella che
elimina o ridurre al massimo tali fattori, ma non c’è certezza vera rispetto al mio
destino personale, o nel rapporto con gli altri, o in società. La posizione razionalista
ci fa «esplodere d’amarezza, di tristezza esistenziale […] Tutto il nostro essere si
ribella a tale punto di partenza filosofico»56. Neppure la soluzione potrebbe essere
quella pragmatica che nella difficoltà di spiegare l’enigma, eliminiamo la
preoccupazione per tale fattore, come la volpe delle favole di Esopo. L’unico
atteggiamento adeguato, ragionevole, è pertanto «valorizzare l’umano dinamismo
intero»57.

Il problema morale sull’interferenza dei sentimenti «non è questione di


intelligenza, ma di educazione». È in tale contesto che l’uomo contemporaneo vuol
trattare il problema del destino, della fede, della religione, della chiesa, di Cristo. A
questi temi, «si lascia il cervello morire e, allo stesso tempo, si vuol pretendere

55
L. GIUSSANI, Il senso…, 34.
56
Ibid., 37.
57
Ibid., 37.

21
averne opinione, dare un giudizio»58. È appunto perché a nessun uomo può esimersi
di esprimersi «circa il nesso fra il suo presente e il suo destino»59.

Il centro del problema sul metodo adeguato per conoscere l’oggetto


religioso reca con sé la questione sulla «posizione giusta del cuore», cioè
considerare tale possibilità di interferenza dei sentimenti. La moralità nel conoscere
significa dunque «un desiderio di conoscere ciò che l’oggetto veramente è, senza
rimanere attaccati ai significati che già abbiamo»60, è «l’amore alla verità più di se
stessi». Prendere tale posizione riguardo a Dio e alla religione esige una faticosa
libertà, rompere con gli attaccamenti delle impressioni già conosciute o comuni.
Soltanto l’amore per il mio destino, il mio significato ultimo può convincermi di
andare contro corrente.

III. LA NATURA DEL SENSO


A. Punto di partenza: la duplice realtà.

Le premesse sono condizione per un giusto affrontare la questione del senso


religioso. Perciò è necessario allenarsi col realismo, la ragionevolezza e la fede. Ad
«amare la verità più di se stessi». Verità vuol dire «corrispondenza tra coscienza e
realtà»61 e il problema del senso religioso porta con sé sempre la domanda «del
come raggiungere le verità ultime?». Per Giussani il punto di partenza per cogliere
i fattori costitutivi dell’esperienza religiosa è un «problema di attenzione».

«La categoria dell’esperienza sta al centro della riflessione»62. Qui siamo


sul punto di partenza del percorso verso il significato ultimo della realtà che è la
spinta della ragione al suo vertice. Secondo l’esigenza di realismo e l’esperienza
intesa come «poter percepire adeguatamente il significato di un incontro»63, sia con
il mondo o con altro, ciò mi dice che devo partire da me stesso guardandomi in

58
L. GIUSSANI, Il senso…, 40.
59
Ibid., 40.
60
Ibid., 41.
61
THOMAS AQUINAS, S. Th.I, q. 21, a. 2 c, 285.
62
M. BORGHESI, Sul senso…, 39.
63
L. GIUSSANI, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, 130.

22
azione. «Tranne al dormire, la persona sempre compie qualcosa, agisce»64. Partire
da sé vuol dire «prendersi nella sorpresa dell’esperienza quotidiana senza accettare
le idee che ho di me o quelle offerte della cultura dominante».

Così come Giussani ha preso le nozioni scolastiche di verità e sull’anima in


modo tutto suo, è lo schema di ricerca antropologica quello che li spinge alla
riflessione: Agere sequitur esse. Più direttamente, la citazione è della quaestio
disputata De Veritate: «In hoc aliquis percipit se animam habere et vivere et esse,
quod percipit se sentire et intelligere et alia huiusmodi opera vitae exercere»65.
Solo nell’azione si scopre i fattori propriamente umani.

Sembrerebbe anche un richiamo a Blondel. Nel suo commento a la nozione


di «senso religioso», Massimo Borghesi prende la dichiarazione dello stesso
Giussani su Blondel: su di lui si «parlava con precauzione» negli anni Cinquanta
così come su de Lubac66. Sebbene non ci sia nessuna citazione diretta è chiara la
corrispondenza tra i pensatori. Definendo l’azione, dice Blondel: «L’azione è quella
sintesi del volere, del conoscere e dell’essere, quel legame del composto umano che
non si può scindere senza distruggere tutto ciò che si è disgiunto»67.

La filosofia dell’azione non è attivismo, «ma richiesta di significato della


trama degli avvenimenti»68 e scaturisce della propria dinamica del pensiero che, nel
cercare la verità, coinvolge tutta la personalità e la vita dell’uomo. Infatti, il
dinamismo dell’azione viene interpretato da Giussani come «impegno con la vita»
in tutti i suoi fattori i quali, se l’uomo fa attenzione, scopre tre aspetti essenziali. Il
primo aspetto è che ognuno di noi nasce in una tradizione come la propria «ipotesi
iniziale di lavoro» per affrontare la vita che «carica il mio presente di significati».
Il secondo è il «presente», l’istante, quale il luogo della libertà e della responsabilità.
Il terzo aspetto avviene nell’osservazione attenta «del se-stesso-in-azione», dove se
scopre ultimamente «due realtà diverse»: l’una misurabile, divisibile e mutevole.

64
L. GIUSSANI, Il senso…, 46–48.
65
T. AQUINAS, De Veritate, 10, 8.
66
cf. Seminario con Mons. Luigi Giussani, 6 gennaio 1984, in M. BORGHESI (ed.), Sul
senso religioso, 26.
67
M. BLONDEL, L’azione, 1893, in L. LUNARDI, La ragione alla ricerca di Dio,
Colibri editrice, Treviso 1995, 637.
68
L. GIUSSANI, Il senso…, 48.

23
L’altra, che si dà nelle idee, nel giudizio e nelle mie decisioni, è non-mutevole, non-
misurabile e non-divisibile, ossia è spirituale.

In tale contesto il senso religioso sarà l’impegno con la vita intera, senza
dimenticanze di nessun fattore verso la comprensione del mio destino. È la ragione
allargata in tutto l’orizzonte della realtà. Come punto di partenza, riconoscere
questa seconda realtà non mutevole ci apre al significato intero dell’io «non
totalmente corruttibile». C’è qualcosa nell’io di immortale. L’uomo deve avere il
coraggio di non «cedere alla tentazione materialistica»69 che riduce o nega questa
seconda realtà. Tale dimenticanza è «contro l’evidenza dell’esperienza, un errore di
metodo, una falsità». È questa la spiegazione di quel «non solo di pane vive l’uomo»
di Gesù (Mt 4,4).

B. La natura del senso religioso

Siamo alle porte del «senso religioso» e allo stesso tempo in un crocevia: le
domande ultime che scaturiscono dell’impegno con la vita, dell’interesse per il mio
destino. Ma perché non tutte le persone che cercano di «dare significato» alla vita
vedono la risposta in qualcosa al di là del mondo?

Da una parte D. Giussani spiega questa situazione con le figure delle


Colonne d’Ercole e la lotta di Giacobbe con l’angelo70. Una volta che l’uomo
avanza fino all’oceano dei significati, oltre i confini del pensare positivistico, deve
sostenere la lotta contro i propri attaccamenti e le opinione comuni. Per fare ciò è
necessaria l’educazione della ragione e del cuore per vive la realtà tutt’intera, nella
sua piena libertà. Soltanto così l’uomo può andare oltre le colonne ed afferrare il
significato ultimo di sé e del mondo facendo una esperienza autentica di Dio.

D’altra parte, lo scopo del percorso è l’educazione al senso religioso e del


senso religioso, che vuol dire significato ed esperienza nell’imparare a cogliere il
significato della realtà. E religioso in quanto il significato ultimo di tutto ciò, dove

69
L. GIUSSANI, Il senso…, 56–58.
70
cf. Ibid., 196.

24
il cor inquietum dell’uomo requiescit71, è Dio. Il senso religioso è la propria natura
della ragione che, per ascendere al suo vertice, affermare ed afferrare l’esistenza di
un senso ultimo, bisogna di aiuto. Ma questo non fa dell’esperienza religiosa
qualcosa di relativo alla cultura o l’ambiente in cui cresce l’individuo, queste sono
«condizioni» per svegliare il senso, creare sensibilità, ma non le sue cause.

È perfettamente sperimentabile, e quindi razionalmente sostenibile, una unità


composta di due fattori, irreducibili fra loro, ma nella quale l’emergere del
secondo fattore è condizionato a un certo sviluppo del primo.72

IV. IL SENSO RELIGIOSO AL LIVELLO DI CERTE


DOMANDE

L’aspetto fondamentale della dimensione spirituale è il fattore religioso che


si esprime in certe domande. Il senso religioso si trova dentro dell’io al livello di
queste domande che impegnano la vita. Per Giussani ci sono alcuni «luoghi» propizi
in cui percepiamo «l’enigmaticità ultima della vita». In questi momenti in cui si
svegliano le domande che costituiscono «la stoffa dell’essere dell’uomo» e lo
spingono alla ricerca di Dio. Allo stesso tempo è esigenza di una risposta totale, di
un senso ultimo, fino in fondo, per cui valga veramente la pena la vita.

A questo punto, l’analisi dell’esperienze si avvicina a l’approccio di


Guardini nell’opera Religione e Rivelazione. Per Guardini in queste esperienze si
dà un «immediato senso religioso» le quali rivelano la «non-autointelligibilità
dell’esistenza»73 considerata da sé.

A. Senso dell’enigma e l’«io come promessa»

Il senso dell’enigma è desiderio di una risposta totale che si scopre


sproporzionata alla capacità umana, come una «X» di un’equazione fisica che

71
AGOSTINO, Confessioni, 1,1,1. Garzanti, Milano 2014.
72
L. GIUSSANI, Il senso…, 58.
73
R. GUARDINI, Religione e rivelazione, Vita e pensiero, Milano 2001, 36.

25
sempre si sposta nella misura in cui ci avviciniamo ad essa, o come l’orizzonte che
ci rimanda ad un altro orizzonte74. Ma allo stesso tempo rimane nell’uomo questo
impeto di ricerca. È un desiderio vano?

Davanti a questo quid sfuggente, una risposta giusta dell’uomo,


«inesauribile ricercatore», può venire in due modi: l’attesa dell’uomo nel rendersi
conto che la sua stessa natura lo rimanda ad una promessa e la tristezza per il bene
assente75, che viene espressa tramite due poeti italiani: Giacomo Leopardi e
Clemente Rebora. Quest’ultimo, presbitero e poeta italiano morto nel 1957, il suo
testo parla sulla ricerca dell’uomo per il significato della vita e per un bene che non
caduchi.

Qualunque cosa tu dica o faccia


C’è un grido dentro:
Non è per questo, non è per questo!

E così tutto rimanda


A una segreta domanda:
L’atto è un pretesto. […]
Nell’imminenza di Dio
La vita fa man bassa
Sulle riserve caduche,
Mentre ciascuno si afferra
A un suo bene che gli grida: addio! 76

Tale tristezza diventa più drammatica con parole di Leopardi, poeta


dell’ottocento italiano: «che vuol dir questa solitudine immensa? Ed io che
sono?»77. Dalla quale conclude Giussani: «se l’uomo trovasse la risposta a
novecentonovantanove tranne una, rimarrebbe insoddisfatto». Ma davanti ai «beni
che gridano addio» e la propria natura come promessa, deve avere un «ultimo». Per
D. Giussani il senso religioso è ciò che «definisce l’io in quanto è il luogo della
natura dove viene affermato il significato del tutto»78.

74
L. GIUSSANI, Il senso…, 65.
75
THOMAS, S. Th. I, q. 20, a.1c, 273.
76
cf. C. REBORA, «Sacchi a terra per gli occhi», in L. GIUSSANI, Il senso…, 68.
77
L. GIUSSANI, Il senso…, 60.
78
Ibid., 62.

26
B. Sproporzione tra la domanda e la possibilità di risposta

Affermare sin dall’inizio che ci sia un significato Assoluto, un «dio» che


garantisce tutto non è la risposta soddisfacente, piuttosto manifesta «l’inesauribilità
della domanda»79 alla capacità di risposta col solo sforzo umano. Ma ciò non vuol
dire contraddizione come vorrebbero affermare gli spiriti positivisti, bensì
sproporzione «tra l’impeto della esigenza e la limitatezza della misura umana nella
ricerca». Tale desiderio naturale di trascendere nella risposta è il segno della
«sproporzione strutturale» dell’uomo. È l’esperienza che si espressa nella poesia de
Rilke, Leopardi, Dostoievski e Shakespeare, ma anche nei risultati delle ricerche
scientifiche, tra le quali quelle di Francesco Severi ed Albert Einstein: «chi non
ammette l’insondabile mistero non può essere neanche scienziato»80.

In questo percorso l’uomo deve superare alcune «atteggiamenti


irragionevoli», riducenti, come quelli che vogliono negare «il senso delle domande
ultime» oppure «dare senso» in modo volontaristico. Anche negare la domanda in
una vita prammatica, considerarla alienante, ridurla ai sentimenti, essere
indifferente, considerarla impossibile.

Ma essendo il senso religioso dimensione della persona che scaturisce delle


sua natura razionale, il rischio di tali impostazioni non è dell’ateismo, ma
dell’idolatria. La peggiore tentazione dell’uomo è l’impazienza della ragione che
vuole penetrare tutto e desidera anche intus-legere l’ignoto. Questo è il problema:
voler capire del tutto il senso del mistero, dire cos’è il mistero attaccandosi al
proprio punto di vista e riducendo il la realtà a ciò che si pensa. Allora, il senso
religioso, «ragione che afferma un ultimo significato», viene degradato. Già non va
più oltre, ma rimane comprensibile a sé stesso. La ragione che ammetteva
dell’inizio l’incommensurabilità del significato totale, adesso esalta un elemento
particolare per spiegare il tutto.

79
L. GIUSSANI, Il senso…, 63.
80
Cf. F. SEVERI, «Scoppiò cinquant'anni fa la 'rivoluzione' di Einstein», in Corriere
della Sera, 20 aprile 1955, 3, in L. GIUSSANI, Il senso…, 66.

27
L’inesauribilità strutturale dell’uomo si spiega soltanto secondo la categoria
della possibilità come «suprema dimensione della ragione». Questo è ciò che rende
l’uomo «inesauribile ricercatore», ed eliminarla vuol dire «voler imporsi sulla
realtà», ossia cadere nell’ideologia. Qui «entra in scena la violenza del potere» al
cui deve opporsi l’uomo e che Giussani lo espressa con parole di Shakespeare
nell’Amleto: «ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non nella tua
filosofia»81.

C. La «tristezza esistenziale» e la speranza.

Dalle domande di significato che si destano appena l’uomo prende


coscienza di sé, spinto dall’energia della ragione verso un significato ultimo, egli
scopre una certa «differenza di potenziale» tra il suo destino ideale e la sua
«incompiutezza storica» nel presente. Questo è un “punto de crisi” del percorso.
Tale circostanza scatta in noi una «tristezza esistenziale» che può diventare
disperazione se «l’uomo viene privato dall’infinitamente grande» come dice
Dostoievski.82

Il senso di tristezza, se non diventa disperazione, permette un passo


determinante verso il senso religioso: l’apertura ad una «promessa». È l’attesa per
questo che mi appartiene ma non è alla mia portata di mano. Questa esperienza
viene bene espressa in un brano di Speranza e Storia, di Josef Pieper, in cui lui parla
dell’atteggiamento di certe persone con malattie terminali. C’è una sorta di
«speranza fondamentale», citando a Hebert Plügge e Gabriel Marcel:

La speranza fondamentale (al singolare!) non si rivolge a qualche cosa che si


possa avere, ma ha qualcosa a che fare con ciò che si è […] spera come
“realizzazione di sé nel futuro”, di “essere salvato”83.

81
Cf. W. SHAKESPEARE, Hamlet, atto I, scena V, in L. GIUSSANI, Il senso…, 67.
82
Dostoievski, I Demoni, in L. GIUSSANI, Il senso…, 69.
83
J. PIEPER, Speranza e Storia, Morcelliana, Brescia 1969, 25.

28
Gabriel Marcel lo riassume come «l’assoluto io spero», più in là di qualche
«io spero che». È quell’unicum necessarium che mancando ciò fa crollare tutto. Se
quello che più ho bisogno per vivere devo ricevere, Giussani lo espressa in
domande: «a chi ringraziare? O chi bestemmiare quando tutto svanisce? A che cosa
attendiamo?»84

Per Guardini questi fatti sono le minacce della vita, il pericolo constante di
essere annullati, che ci indicono che «l’uomo non è al sicuro nella propria
esistenza»85. E conclude: «L’uomo non potrebbe esistere se ‘qualcuno’ non gli
venisse in aiuto».

D. L’esperienza della morte

Sebbene si svegli in noi la fiducia in una «promessa», l’uomo s’imbatte


coll’esperienza della morte, dove appare «la contraddizione più potente della natura
umana». Essa però, invece di togliere la domanda sul senso, la esaspera. L’ardore
radicale dell’uomo alla ricerca del fondo ultimo delle cose non si smonta davanti la
morte, ma tende ulteriormente.

Anche Guardini tratta sull’esperienza della morte parlando sul senso di


«finitezza» e «limite». L’opzione oltre il limite assoluto della morte è il «nulla
annullante» che nella categoria di «Rivelazione» non può esistere86. In tale contesto
si giustifica l’atteggiamento positivo di Giussani davanti all’esperienza della morte.
Citando a Thomas Mann, lui afferma: «il mistero ci dà fuoco e tensione»87. La morte
per colui che afferma un significato ultimo già non è più un limite assoluto.

84
L. GIUSSANI, Il senso…, 71.
85
R. GUARDINI, Religione e…, 41-42.
86
cf. Ibid., 62.
87
cf. L. GIUSSANI, Il senso…, 73.

29
E. Precarietà della libertà

Una esperienza particolare che desta il senso religioso è la «precarietà della


libertà». In quanto «parola», insieme all’amore, la paternità, l’amicizia, Dio, la
libertà è una delle più importante per la vita dell’uomo. Al punto che «non posso
lasciarla che venga determinata dall’opinione comune». Soltanto quando applico la
mia intelligenza e volontà sull’esperienze vissute comincio ad essere libero. Ma
cosa vuol dire essere liberi?

L’uomo non vuole una libertà per un momento, ma come compimento totale
della vita, del proprio destino e per fare la verità su se stesso. Allo stesso tempo
scopre che la sua libertà è precaria, non sfugge alla «coercizione dei poteri dei
tempi», delle ideologie, delle circostanze in cui viviamo e dalle legge della natura.
Allora, possiamo dire che siamo liberi? Per Giussani soltanto può avere un caso in
cui l’uomo è libero di tutte le costrizioni del mondo: si ammette che questi «poteri»
non lo determinano totalmente, ma che lui è in rapporto diretto con l’origine di tutto,
con il Creatore di tutto, con Colui che è al di sopra di ogni influsso, cioè, con Dio.

Solo in tale ipotesi il mondo non lo vince, non lo afferra, l’uomo è libero.
Questo è il grande paradosso: la libertà è dipendenza da Dio. Tale dipendenza è una
evidenza dell’esistenza: «io non c’ero, ora ci sono, domani non ci sarò più», dunque,
dipendo. All’esperienza vissuta dell’«io dipendente» Giussani la chiama
«religiosità» e la considera come «l’unica obiezione ad ogni sorta di schiavitù del
potere». Una religiosità autentica resiste ad ogni forma di possesso, anzi è sfida ai
poteri88.

L’atto di fede diventa così il gesto fondamentale di libertà e di autenticità


dell’uomo che si riconosce dipendente di Dio. È «l’antipotere» dell’amore e della
divinità che affermano all’uomo la sua capacità di libertà, la sua «irreducibile
capacità di perfezione», di felicità, di raggiungimento dell’altro, la sua capacità di
Dio.

88
L. GIUSSANI, Il senso…, 119–128.

30
Il senso religioso è l’espressione più autentica di tale razionalità e libertà
dell’uomo. È la sua prima applicazione in quanto non cessa di domandare sul
significato delle cose. La dimensione religiosa è questa dinamica completa della
ragione che esige un significato della realtà, allo stesso tempo che la apre
all’infinito. Per Giussani questa era l’intuizione di Kant:

[La ragione umana] viene oppressa da questioni che non può respingere,
perché esse le sono imposte dalla natura della ragione stessa; mentre essa non
è in grado di rispondervi, perché esse oltrepassano ogni potenza della ragione
umana. […] cosi si vede forzata a cercare rifugio in principi che oltrepassano
ogni possibile uso dell’esperienza […] che non ammettono più la pietra di
paragone dell’esperienza.89

La differenza però è che tale «costrizione» non è imposta dalla ragione


stessa come lo propone Kant, piuttosto dell’esperienza, come indica la premessa di
«realismo». In un passo anteriore, Giussani già faceva notare la sua critica al
criticismo: L’uomo come «l’ultimo tribunale» soggettivizza tutto e vuol
determinare inclusive il suo rapporto con l’infinito. Qui appare la tentazione
dell’anarchia, «postura affascinante» de potere. L’uomo anarchico è colui che
afferma sé stesso davanti l’infinito90.

L’atteggiamento dell’uomo religioso invece sarà quello di accettare che la


realtà non viene data da lui, accogliendo pure che il significato ultimo di sé è
l’infinito. Soltanto se l’uomo è in rapporto diretto con l’infinito può uscire del flusso
del mondo, vincerlo91 ed essere libero. Senza ammettere questo paradosso il quale
dice che la mia libertà è dipendenza da Dio, la stessa parola «libertà», oppure l’idea
di «diritto della persona» o «libertà di coscienza», perdono il suo fondamento.
Queste vengono assorbite dalla biologia, o dalla «dittatura dell’uomo sull’uomo»,
dai genitori o dai governi.

89
I. KANT, Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 1981, 7, in L. GIUSSANI, Il
Senso Religioso, 136.
90
L. GIUSSANI, Il senso religioso, 12.
91
Gv, 16, 33.

31
L’unica obiezione alla schiavitù del potere è la religiosità […] Cosi che non
esiste niente più temuto e odiato, inconsciamente, che una religiosità autentica
nell’altro o nell’altra, perché è limite al possesso, è sfida al possesso.92

Tornando al problema dell’uomo anarchico, Giussani afferma che


«l’antipotere dell’amore» è scoprire nell’esperienza che «amare l’infinito è più
grande che amare sé stesso»93. Ossia, ammettere la dipendenza da Dio è allargare
l’orizzonte della mia libertà al limite dell’amore di Dio.

F. Educare alla libertà

Il tema della libertà sta al cuore di D. Giussani. Lui vuole «educare alla
libertà». A questo scopo dedica il capitolo tredicesimo di Il senso religioso e l’opera
Il rischio educativo. La necessità di realismo porta con sé un certo «rischio
nell’insistere sulla razionalità del progetto di fede»94 in quanto l’itinerario verso Dio
non è del tutto comprensibile per l’umana ragione. Quest’idea veniva già espressa
da Sant’Anselmo nel suo Monologion: «rationaliter comprehendit
incomprehensibile esse»95.

Educare alla libertà per Giussani si svolge in due sensi: educazione


all’esperienza e «l’avventura dell’interpretazione»96. In primo luogo, la libertà è
«fare attenzione a tutta la realtà, accettarla senza pregiudizi, abbracciare tutta la
vita, spalancarsi, essere libero»97. Le esperienze autentiche in cui i miei giudizi si
basano in criteri fondamentali mi portano alla maturità, alla responsabilità. L’ uomo
deve imparare che «usare il proprio cuore ed il proprio io è l’inizio della vera
libertà».

92
L. GIUSSANI, Il senso religioso, 126.
93
cf. Ibid., 12.
94
L. GIUSSANI, Il rischio educativo, 43.
95
SANT’ANSELMO, Monologion 64.
96
L. GIUSSANI, Il senso…, 167.
97
cf. Ibid., 176.

32
D’altra parte, ognuno dev’essere disposto a «perforare le immagini comuni
e prendersi in mano». Interpretare la realtà vuol dire mantenere sveglia la «curiosità
del bambino», formarsi in un atteggiamento di ricerca, sempre attento alla necessità
di chiarire le risposte alle domande ultime. L’uomo bisogna chiarire l’immagine
che ha di Dio. Lasciarsi portare dalla consuetudine per un atteggiamento di dubbio
ci rende «incapace all’agire», ossia, di impegnarsi con la vita, di mettersi in
cammino verso il proprio destino.

Educare alla libertà per Giussani diventa un «rischio» perché, da una parte,
è educare alla «possibilità». Non si può «pretendere una dimostrazione
matematica», neppure voler suscitare dall’esperienza «un’emozione pietista». Si
deve imparare a partire da una «ricerca positiva» con «fame, sete, simpatia per il
reale» nella fiducia di ottenere delle certezze. La propria liberazione e la
riabilitazione della ragione, richiede questo lavoro ascetico.

In tale contesto possiamo cogliere il senso dell’apparente dilemma tra «dare


senso» ed «avere senso»98, tra libertà e destino. Il destino costituisce la
responsabilità dell’uomo in raggiungere la sua realizzazione e la libertà sarà «il
modo come farei per arrivarci». Qui appare il significato della «rischiosità»99: è il
dramma di una volontà che non vuol decidere. L’uomo pur avendo delle ragione è
libero per aderire oppure non. L’uomo libero davanti ai segni della vita li interpreta.
Il segno lascia emergere la libertà di ognuno davanti al mistero. Per questo, fa notare
Giussani, Gesù parlava in parabole, lasciando l’uomo libero per interpretare i Suoi
segni.

Presento un ultimo paragrafo sul problema del «rischio» per dare


completezza al pensiero dell’autore. Per Giussani, il fenomeno comunitario è il
«metodo in natura» per superare questa nostra «paura» in prendere decisione in
quello che più interessa alla nostra vita. Questo succede per la nostra mancanza di
«forza di volontà», di «energia di libertà» di fronte all’impegno con la vita
tutt’intera e più drammaticamente ancora con Dio. La dimensione comunitaria è la

98
R. LUCAS LUCAS, Orizzonte verticale: senso e significato della persona umana,
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 65–69.
99
L. GIUSSANI, Il senso…, 183.

33
condizione di affermazione della persona e di sviluppo della sua libertà. Perciò
diventa essenziale l’espressione comunitaria del fenomeno religioso per svegliare
ed educare al senso religioso.

G. La realtà come segno

Tutte le esperienze anteriori sono i luoghi privilegiati da dove si spinge la


ragione verso in suo «vertice», verso il «mistero». La sua energia è tutta dedita a
rispondere le domande ultime, rimanendo «insoddisfatta sebbene rispondessi
novecentonovantanove, tranne una», come abbiamo parlato sopra. A questo punto
Giussani fa un passo indietro nella sua ricerca per domandarsi «come si destano le
stesse domande ultime» che mettono l’io in azione e da cui posso osservare ed
scoprirne la sua dimensione religiosa?

La sveglia si dà nell’«esperienza del segno», come fenomeno che me


«rimanda ad un altro». La realtà intesa come segno desta nell’uomo le inesauriti
domande: perché? Come? Tutta «la realtà è provocazione ad un altro». In questa
dinamica dell’incontro con il mondo l’autore parla in quattro momenti
«cronologicamente susseguentisi»100.

In primo luogo si dà «lo stupore davanti le cose», la domanda del bambino:


«cos’è?». Questo «fascino della presenza» provoca un’attrattiva per la cosa. Per
Giussani, quel senso di «minaccia» richiamato da Guardini è secondario, percepita
piuttosto come pericolo di perdere la «attrattiva»101. La religiosità, che è il senso
religioso già in atto, è l’affermare e lo sviluppare questa attrazione per la
«meraviglia». La dinamica psicologica dell’esperienza si configura come:

Si inizia nel dato della realtà che percepisco come «alterità». È «l’attrattiva»
che mi colpisce. In seguito «mi accorgo di essere stato colpito» da dove si scopre il
concetto «della vita come dono». Da questa prima esperienza della «presenza di un
altro», l’uomo intuisce, prende coscienze, che anche lui è «dato», è stato «fatto»,

100
L. GIUSSANI, Il senso…, 139.
101
Ibid., 141.

34
una certa dipendenza originale che si accentua nello accorgersi che questa realtà ha
un ordine, è cosmos, e sveglia anche in lui il senso di bellezza102.

«Dall’impatto» con la realtà bella che lo attira, gli uomini di tutti i tempi
hanno fatto questa esperienza di una realtà «provvidenziale» manifestatesi nelle
religioni antiche come la fecondità della terra, della donna, delle stagioni. Tutto ciò
li è sembrato divino, per cui l’uomo si ha reso grato e lieto. Se questo cammino si
fa con attenzione, quel senso di dipendenza originale matura verso la convinzione
che io non mi faccio da me. Le domande ultime si destano in primo luogo in questa
esperienza di scoprirsi come «un fiotto che nasce di una sorgente».

Si tratta della intuizione, che in ogni tempo della storia lo spirito umano più
acuto ha avuto, di questa misteriosa presenza da cui la consistenza del suo
istante, del suo io, è resa possibile. Io sono «tu-che-mi-fai» […] è quello che
la tradizione religiosa chiama Dio, è ciò che è più di me, è ciò che è più di me
stesso, è ciò per cui io sono103.

Riassumendo, nell’incontro con la realtà «prima sono colpito, dopo mi


accorgo di essere stato colpito». Per Giussani «l’io, l’uomo, è quel livello della
natura in cui essa si accorge di non farsi da sé», di essere contingente. E la religione,
anzi, la rivelazione cristiana è dire che questa «sorgente» del mio essere, questo
«tu-che-fa-possibile-il-mio-io» è un tu tam Pater nemo104.

L’ultimo passo della sveglia delle domande ultime, che segue all’esperienza
dell’io, è la coscienza del bene e del male, «di un qualche cosa sui non si può
rifiutare l’omaggio della propria approvazione o l’accusa»105. Tale esperienza è la
«legge del cuore» che nasce nell’io che si sa contingente ed scopre un legame con
«Colui che mi crea», con un destino e un senso della vita. Nell’impatto con il
mondo, sembra «sprigionarsi una parola di invito per andare oltre il significato dei

102
L. GIUSSANI, Il senso …, 153.
103
Ibid., 146.
104
Ibid., 160.
105
Ibid., 149.

35
datti», a risalire al senso dell’analogia del mondo, che «mentre svela, vela»106. È il
reale che mi sollecita e provoca le domande: Cos’è? Perché? come mai? La realtà
come segno è «l’esperienza del reale che ci rimanda ad un'altra realtà». Non
possiamo negare tale esperienza in maniera irrazionale afferrandosi
all’immediatezza dei datti. Sin dalle indicazioni stradali, ai gesti che facciamo nel
confronto degli altri, fino alle «esigenze ultime della vita», tutto ci porta ad «andare
su» nell’analogia.

H. Le «esigenze ultime»

Le «esigenze ultime» sono per Giussani espressioni del «carattere


esigenziale della vita»107 e si riassumono in quattro: verità, giustizia, felicità e
amore. La prima si traduce in necessità di significato delle cose poiché esse offrono
solo delle verità parziale, mache ci rimando ad una verità ultima. La seconda
esigenza è quella di giustizia verso gli altri, che porta con sé l’idea di qualcosa oltre
per cui vale la pena essere giusti. La terza «categoria originale dell’esistenza» è
l’esigenza di felicità, di «compimento di sé», che implica riferimento ad un «altro
che mi porti alla perfezione».

L’ultima esigenza è l’amore. Avere qualcuno da cui dire «tu non può
morire»108. È l’affermare l’altro che mi fa felice. Questa esigenza si esprime in
diverse forme, come bisogno di amicizia e di compagnia. L’amore è il segno
supremo che il mio significato, il senso del mondo è un «Tu». In questo «tu» la
ragione arriva alla sua vetta: Il mistero. L’altro non è dimostrabile, ma evidenza. La
spiegazione totale della realtà non si esaurisce con la mia vita e l’esperienza di
pienezza più intensa che vive l’uomo succede davanti a questo altro che mi
completa. Allora, il mistero non è limite, ma «chiarificazione» che allarga

106
L. GIUSSANI, Il senso …, 172.
107
Ibid., 156.
108
Cf. G. MARCEL, «La mort de demain», in Trois pièces, Plon, Paris 1931, 161, in L.
GIUSSANI, Il senso…, 160.

36
l’orizzonte dell’esistenza verso quello che non posso comprendere, ma che viene
all’incontro.

V. CONCLUSIONE
A. Il senso religioso come dimensione.

Il percorso verso il senso religioso partiva della realtà «dell’io-in-azione».


Questo richiede realismo, partendo dall’oggetto di esperienza, non da una idea. Da
parte del soggetto, l’atteggiamento ragionevole «sul quello che succede in me» vuol
dire considerare le cose con le sue ragioni adeguate. Ad ogni oggetto particolare,
c’è un suo metodo proprio. La ragione non può chiudersi in dimostrazioni logiche
davanti a tutti i fenomeni, principalmente quelli che riguardano le relazioni con gli
altri. Per vivere è più importante all’uomo avere delle certezze nei rapporti con gli
altri che dei risultati matematici o filosofici.

Senza dimenticare nessun elemento «nell’impegno con la vita» - ragione e


cuore, scienza e vita morale, tradizione e il mio presente - nel momento di giudicare
sulle esperienze, l’uomo ne scopre il senso. Ci saranno «sensi fondamentali» in cui
la ragione, per naturale energia sua, si spinge a trovare le risposte perché hanno «più
valore per il mio destino», cioè, interessano di più.

Al livello di certe domande costitutive, l’uomo può svegliare il senso


religioso se fa attenzione a tutti i fattori delle esperienze vissute e su sé stesso. Il
senso religioso è dimensione della natura umana, è «la capacità che la ragione ha di
esprimere la propria natura profonda nell’interrogativo ultimo». Queste
interrogativi costitutivi dell’individuo, allo stesso tempo che rivelano una certa
solitudine, pongono alla radice del suo essere una necessaria compagnia. Nel
domandarsi sul senso ultimo, chi è colui a cui mi rivolgo?109 Giussani conclude
sulla scia del pensiero dialogico:

La compagnia è più originaria della solitudine in quanto quella struttura di


domanda non è generata da un mio volere, mi è data. […] per cui essa non è
più solitudine, ma grido di richiamo alla compagnia nascosta. Ossia, solo

109
L. GIUSSANI, Il senso…, 74.

37
l’ipotesi di Dio, solo l’affermazione del mistero come realtà esistente oltre la
nostra capacità di ricognizione corrisponde alla struttura originale
dell’uomo110.

Il senso religioso inteso come struttura della ragione esclude la possibilità


di un “vero” ateismo. Il problema quindi è voler fare della ragione la misura del
reale, voler definire il significato di tutto: “il mistero è questo”. A ciò è valido il
richiamo di Aristotele sulla pretesa di definire cosa sia l’atto: «infatti, non bisogna
cercare la definizione di tutto, ma bisogna accontentarsi di comprendere
intuitivamente certe cose mediante l’analogia».111 Tale pretesa è la «caduta
dell’uomo», la pretesa di essere Dio. Allora, nel voler spiegare tutto attraverso un
qualcosa di particolare l’uomo crea idoli, in parole di Max Scheler: l’uomo o crede
in Dio o crede in un idolo»112 e lui stesso viene meno. La ragione si oscura dietro il
tentativo di affermare la propria struttura totalizzante. Giussani conclude con la
favola della rana di Esopo: essa si gonfia per diventare un bue, ma alla fine scoppia.

B. L’ipotesi di Dio e della Rivelazione.

L’anello di felicità presente in ogni uomo è un’esigenza della natura umana


di verità e compimento. La forza della nostra natura ci spinge ai suoi limiti dove
non trova ancora risposta ultima e può decidere per una via irrazionale o innaturale
oppure per trascendere allo spazio della ragione. Tale esperienza è «vertice e
vertigine», una spinta all’ideale che causa la vertigine davanti il significato di tutto:
dell’esperienza della sofferenza, dell’esistenza, dell’amore. Già Platone nel Fedone
«profeticamente» aspirava l’aiuto divino nella traversia del mare dell’esistenza.

L’itinerario verso il significato ultimo, verso la mia felicità, è «vivere la


realtà», in ciò si desta il senso religioso. Ma ancora rimane il rischio di interpretare
male il suo senso, cioè, prematuramente, con la pretesa di aver già capito tutto. Per
D. Giussani, la situazione esistenziale del senso religioso dell’umanità viene

110
L. GIUSSANI, Il senso…, 76.
111
ARISTOTELE, Metafisica IX, 6, 1046.
112
cf. M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, Bompiani, Milano 2009, 667.

38
espressa da Tommaso all’inizio della Somma: l’uomo può indagare sul Dio con la
sola ragione, ma senza la guida della Rivelazione, «non sarebbe stata accessibile se
non a pochi, dopo lungo tempo e non senza errori».113

Il senso religioso «emerge in noi come domanda di totalità costitutiva della


nostra ragione», capacità di conoscenza della sua apertura ad abbracciare tutta la
realtà. «Questa domanda di senso è la radice della coscienza del reale» che nello
stesso tempo che si pone la domanda, afferma che c’è una risposta, un «ultimo», un
quid per cui valga la pena vivere. L’affermazione di una risposta alle domande
significa che «l’uomo diviene», matura verso il suo destino, scoprendone il senso.

Le esperienze lungo la vita sono questi passaggi, movimenti, che implicano


un fattore esterno a me perché abbia vero cambiamento. Ma quale sarebbe questo
fattore di cambio dell’esperienza personale che non è in me? Per Giussani, se la
natura dell’uomo è questa domanda «irresistibile e inesauribile», soltanto
l’affermazione del mistero è adeguata alla sua struttura. Una «insaziabile
mendicanza» che soltanto l’ipotesi di Dio può rispondere, da dove cita il celebre
passo di Shakespeare in Macbeth: «il mondo senza Dio sarebbe una favola
raccontata da un idiota in un accesso di furore»114.

L’autore prende la nozioni di rivelazione in due sensi: in senso largo, è


interpretazione dei segni dell’universo fino al mistero. Risalendo ad una via
trascendente, in senso stretto, la Rivelazione è avvenimento storico reale, momento
in cui il mistero si svela. Cercando di riassumere questa possibilità della rivelazione
per Giussani, la presento così: deve avere qualcosa al di sopra di tutto ciò che
potrebbe concepire sia la ragione che il cuore: un’intuizione comprensibile, un
comprendere non per capire, ma per entrare nel mistero115, una sorta di via
antropologica del «id quod maius cogitari nequit» di Sant’Anselmo.

L’apertura al mistero rivelato sarà l’opzione determinante per una vita


riuscita. È «ragionevole», cioè, ci sono ragioni adeguate e sufficienti, per dire che

113
THOMAS AQUINAS, S.Th. I, q.1, a.1.
114
cf. W. SHAKESPEARE, Macbeth, atto V, scena V, in L. GIUSSANI, Il senso religioso,
75.
115
cf. SANT’AGOSTINO, Soliloquia, I, III, 8 in Il Senso Religioso, 4.

39
l’ipotesi della rivelazione è «possibile» e «conveniente». Ci saranno però coloro
che la negano sia per la «rischiosità» della propria libertà oppure per altre forme di
idolatria.

C. Il metodo immanente-antropologico116.

Il senso religioso è la dimensione religiosa dell’uomo che spinge la ragione


ad ammettere l’esistenza di qualcosa incomprensibile. Questo non vuol dire
«irrazionale». Faccio un paragone cercando di capire meglio tale struttura della
ragione. Sembra che il senso religioso sia come una specie della ragione che la
spinge all’arduo, a «entrare nell’ignoto» come lo fanno le passioni dell’appetito
irascibile sulle tendenze del concupiscibile, le due specie dell’appetito sensitivo.

Rimanendo nel paragone, il senso religioso ha inizio nel domandarsi della


ragione e si sfocia in essa. Cosi «come l’ira nasce da un dolore subito e, sfogandosi
nella vendetta, termina nel godimento»117 per eseguire l’esempio dato per S.
Tommaso rispetto alle passioni. Applicando al senso religioso, il mistero non è
irrazionale, ma porta la ragione a una posizione vertiginosa, una spiegazione che
non è afferrabile da sé stessa, ma che spingendola ad ammettere l’incomprensibile,
il soprarazionale, allarga e compie le sue esigenze di comprendere l’esistenza.

Allora, se il senso religioso è parte della struttura della ragione, l’itinerario


verso Dio prende moto non dà qualche evento particolare, ma la sua stessa natura
razionale è ordinata al trascendente. Come l’atto di fede è l’assentire a tale verità,
allora credere è «ragionevole». Il metodo di Giussani si svolge in due mostrazioni:
nella prima, mostra la ragionevolezza della fede tramite le tre premesse del metodo.
Tale pretesa ci rimanda in certo maniera all’unum argomentum di Sant’Anselmo
nel Proslogion, nel senso in cui una esperienza autentica, per Giussani, è quella che
lascia intravedere le sue «ragioni adeguate». Per Anselmo, la fede deve cercare

116
Cf. M. BORGHESI, Sul senso religioso, 40. L’espressione originale è «immanente-
esistenziale». Il termino «antropologico» mi è apparso più conveniente per fare più
attenzione alla dimensione strutturale del «senso religioso» nella natura umana.
117
THOMAS AQUINAS, S.Th. I, q. 81, a.2.

40
queste ragioni perché a più conoscenza dell’oggetto, più l’amore verso lui. E di ciò
si tratta la sua ricerca: «Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che
io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti»118.

La «ragionevolezza» per Giussani è l’attuare del valore della ragione


nell’agire dell’uomo. L’uomo possiede questo dinamismo naturale della ragione
verso «l’ignoto», «l’infinito», un desiderium naturale videndi Deum che si espressa
nel suo atteggiamento di «ricerca inesauribile». Non sono le certezze matematiche
o filosofiche, quello che lo soddisfano, piuttosto desidera certezze morali, certezza
nei rapporti, nell’amore e nell’amicizia. Cercando questi punti fermi, l’uomo scopre
che sono i «valori morali» e l’aver fede in un’altra persona le uniche ragioni
adeguate per vivere.

La seconda mostrazione rientra nell’ambito delle prove antropologiche in


diverse direzioni. Sia «L’amore della verità più di se stessi»; il dinamismo della
ragione e della libertà verso l’infinito; l’autorità dei diversi scrittore classici,
umanisti, poeti, scienziati e pensatori lungo la storia citati nell’opera e le sue
testimonianze di ricerca di senso della vita; il desiderio di felicità ossia, di
«compimento di sé» e la necessità di fare esperienze autentiche in cui emetto un
giudizio sul ciò che «succede in me». Tutti questi argomenti esistenziali soltanto
trovano senso in Dio.

Per Giussani, tra le diverse tracce di Dio, c’è questa dimensione di senso
come pietra angolare di tutte le altre. Il senso religioso è la capacità dell’uomo di
scoprire il valore della «realtà come segno» che ci rimanda sempre ad un altro, segni
che «mentre svelano, velano» il significato ultimo dell’esistenza. Nell’analogia,
tutte gli argomenti anteriori si ordinano a questo senso ultimo che senza l’ipotesi di
Dio porta alla «tristezza esistenziale» e alla schiavitù dei poteri di questo mondo.
Nella convergenza degli argomenti, Giussani cerca questa riapertura dell’uomo
verso Dio, non soltanto come parte della sua struttura razionale di per sé spirituale.
Anzi, vuol mostrare che il «senso religioso» è «sintesi dello spirito», è la stessa
natura dell’uomo aperta a Dio in tutte le sue dimensione.

118
SANT’ANSELMO, Proslogion, 1.

41
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