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D UE T AVOLE ROTONDE SU
L A DIDATTICA DELLA S TORIA DELLA MUSICA
XII Colloquio di Musicologia del «Saggiatore musicale»,
Bologna, Laboratori del Dipartimento di Musica e Spettacolo
21-22 novembre 2008
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stata assorbita direttamente dall’ambiente di vita e dalla pratica di musica suonata o ascoltata, in
ricostruzione intellettuale – per parafrasare i programmi ministeriali del 1985, ancora attualissimi e
a tal proposito più chiari delle Indicazioni per il curricolo del settembre 2007 – e dunque in oggetto di
apprezzamento critico oltre che estetico. Vale nei percorsi delle scuole secondarie, ma vale anche
in quelli universitari, laddove tale atteggiamento non sia ancora stato acquisito.
La funzione della Storia della musica, in sede didattica, non può quindi ridursi alla semplice
trasmissione e all’apprendimento di vicende musicali del passato, cronologicamente ordinate. La
disciplina indurrà piuttosto l’acquisizione, in primis, del senso storico nei confronti della musica
nelle sue manifestazioni attuali: dunque nei confronti tanto delle musiche prodotte oggi quanto
della musica d’arte del passato che, continuando a risuonare, appartiene anche al presente. La
particolare natura della Storia della musica, in quanto storia di un’arte, comporta infatti un doppio
confronto con i propri oggetti, non solo come documenti di un tempo trascorso, ma anche come
oggetti estetici attuali e vitali: «prendere le mosse dalla presenza estetica delle opere musicali non
significa per ciò sottacerne la distanza storica» (cfr. Dahlhaus, Che significa e a qual fine si studia cit., p.
220).
Va innanzitutto costruito un approccio alla musica – e in particolare all’opera d’arte musicale –
diverso da quello a cui i giovani in età scolare sono generalmente abituati per loro conto: pressoché
tutti gli studenti ascoltano qualche genere di musica, tutti hanno dunque elaborato proprie
modalità di ascolto, in base ai generi che frequentano e alle funzioni da essi svolte e agli
atteggiamenti recettivi da essi postulati (cfr. L. Bianconi, La Musica al plurale, in Musica, ricerca e
didattica. Profili culturali e competenza musicale, a cura di A. Nuzzaci e G. Pagannone, Lecce, Pensa
Multimedia, 2008, pp. 23-32; anche alla pagina
www.saggiatoremusicale.it/saggem/ricerca/bibliografia/la%20musica%20al%20plurale.pdf). A
qualunque livello scolastico, per avviare un corso di Storia della musica – e quindi per attivare un
approccio storicamente consapevole alle diverse musiche – è necessario insegnare a interrogare il
testo, è necessario costruire un habitus mentale che consenta d’interagire con l’opera in modo
critico, intellettualmente aperto. Un’efficace didattica dell’ascolto contribuisce a porre l’opera
musicale come oggetto di studio e di riflessione (al tema della Didattica dell’ascolto è dedicato il
numero monografico XIV/3, 2006, di «Musica e storia»). In questo senso la Storia della musica si
trova svantaggiata rispetto ad altre discipline scolastiche: ad esse, infatti, lo studente si avvicina
generalmente per la prima volta nel suo percorso scolare, sicché elabora fin da subito un approccio
conoscitivo e di studio; è infatti raro che un ragazzo abbia avuto esperienze spontanee con quadri e
sculture, o abbia giocato con numeri e operazioni matematiche prima d’incontrarli a scuola. La
Storia della musica deve invece preliminarmente decostruire modalità d’ascolto spontanee e
“istintive” per proporne altre, pertinenti al percorso storiografico. Se è infatti del tutto legittimo
ascoltare musica come espressione dell’appartenenza a un gruppo specifico, o per favorire attività
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sociali di varia natura, o ancora per perdersi in visioni oniriche, in sede conoscitiva è però
necessario attivare modalità d’ascolto consapevoli, critiche, oggettivanti, dunque disponibili all’altro
da sé: il che produce un atteggiamento “curioso”, intellettualmente vivace, aperto verso la varietà
delle musiche. Il passaggio non è sempre immediato né agevole. Si tratta in primo luogo
d’insegnare a porre domande a un’opera musicale, a interpellarla, a trovare in essa risposte,
apprendendo nel contempo, per dirla ancora con Dahlhaus, a «ricostruire la domanda di cui l’opera
rappresenta la risposta» (C. Dahlhaus, Beethoven e il suo tempo, Torino, EDT, 1990, p. 151). Ma che
vuol dire porre domande a un’opera musicale?
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«la cosa più importante non è infatti il risultato, bensì la comprensione del processo che conduce al
risultato: l’individuazione di domande da porre, la riconsiderazione dei risultati già conseguiti, il
procedere metodico».
Un canone
Nell’interazione col discente si definiscono anche le priorità dei fatti storico-musicali e quindi delle
opere tràdite, oggetti primari della Storia della musica. Se l’insegnamento della Storia della musica
non è trasmissione di dati e accumulo di fatti storici già repertoriati bensì ricerca d’interrogativi e di
risposte, secondo procedure disciplinarmente corrette e verificabili, dovremmo accettare che ciò
che comunemente intendiamo per ‘canone’ muti in funzione degli obiettivi didattici che ci si
prefigge e quindi cambi nei diversi gradi d’istruzione e dei diversi corsi specialistici o di base.
Alcune tappe saranno presumibilmente stabili, per la loro centralità in molti dei percorsi possibili
nella musica del passato – Corelli Beethoven Verdi… –, altre potranno essere ridefinite volta per
volta. Ma anche quelle ricorrenti potranno essere lette e rilette da differenti prospettive e
posizionate su diversi livelli di approfondimento, considerati più idonei nel progetto educativo
proposto.
Ciò vale anche per l’impalcatura cronologica su cui ordinare i fatti storico-musicali: in quanto
strumento intellettuale di comprensione e gerarchizzazione dei fatti storici, anche la cronologia va
definita in funzione del problema che ci si pone. Sarà allora possibile immaginare una cronologia
della Storia della musica più come punto d’arrivo che come punto di partenza di un curriculum di
studi? Si tratterebbe di avviare la progettazione curricolare individuando ampie campate
diacroniche, sulla base della persistenza di certi tratti generali di lunga durata, per passare poi alla
susseguente articolazione in unità cronologiche ridotte e particolareggiate. Le date dei principali
fatti storici individuati saranno così alla fine comprese nelle correlazioni logiche che rendono
degno quel fatto storico d’essere ricordato in un certo ordine rispetto ad altri (al docente di Storia le
Indicazioni per il curricolo del 2007 chiedono appunto d’insegnare ad usare «la cronologia per dare
sistematicità alle conoscenze studiate» in precedenza; cfr.
www.saggiatoremusicale.it/saggem/documenti/Indicazioni%20per%20il%20curricolo_310707.pdf,
p. 82).
Poniamo il caso dell’opera italiana, ossia di una forma organizzata di norma per numeri chiusi. Tra
i tanti percorsi tracciabili – alcuni sono stati proposti ed illustrati da Silvana Chiesa, Giorgio
Pagannone, Massimo Raffa, Ferruccio Tammaro e Claudio Toscani in interventi apparsi in
www.saggiatoremusicale.it/saggem/documenti/III_commissione – possiamo ipotizzare di
muovere dalla comprensione di un’azione drammatica strutturata come successione di momenti
lirici tendenzialmente isolati e autonomi, rilevanti in sé stessi, tipici di un dramma di «forma aperta»
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(l’espressione è di C. Dahlhaus, cfr. La concezione wagneriana del dramma musicale, Fiesole, Discanto,
1971, p. 25 sg.; e Drammaturgia dell’opera italiana, Torino, EDT, 2005, p. 15)? In questo caso si
tratterebbe di comprendere, in generale, la logica drammatica che accomuna en bloc le opere italiane
tra il primo Sei e il primo Novecento: un teatro prevalentemente rivolto a dare evidenza scenica
alle singole situazioni affettive o spettacolari più che a narrare vicende esemplari. Coglieremmo
allora solo a un secondo livello di approfondimento la natura dei singoli numeri: i tableaux di
Puccini, o le scene di lamento o di magia secentesche, o ancora i finali di un’opera buffa e i duetti
di un melodramma romantico. Si potrà infine passare a un terzo livello, per individuare, poniamo,
il senso artistico ed espressivo specifico delle arie col da capo, o dell’aria a rondò, o del duetto
romantico in «solita forma». Alla fin fine emergerà con maggior spicco la grandezza individuale degli
operisti che hanno saputo dare coerenza e continuità drammatica ai propri capolavori muovendo
da una struttura concepita per pezzi separati e distinti. In questo percorso lo studente avrebbe
modo di confrontare subito la logica drammatica di una forma teatrale che illumina singoli istanti
distaccati, rispetto a quella incardinata sullo svolgimento stringente dell’intreccio dall’esordio
all’epilogo: casi che, in diverse gradazioni, può riscontrare anche nei generi rappresentativi e
narrativi a lui più vicini, come il cinema.
Vanno infine stabiliti i traguardi di competenze in uscita per ciascuno dei diversi cicli d’istruzione:
liceale, universitario di base, universitario musicologico. Certamente l’acquisizione di modalità
d’ascolto critico. Certamente l’acquisizione di un senso storico nei confronti dell’opera musicale,
ove si apprenda a distinguere il significato d’una data opera al momento della sua composizione da
quello, mutevole, acquisito nel corso del tempo. Certamente, infine, la capacità di utilizzare gli
strumenti critici della storiografia musicale, dai più semplici sù sù fino ai più complessi. Ma come
dosare questi obiettivi nei diversi curricula, e quali strumenti privilegiare?
Ricapitolando, un’efficace didattica della Storia della musica dovrebbe affrontare preliminarmente
questa serie di problemi:
che cos’ha d’importante da dirci la Storia della musica, medioevale moderna contemporanea;
perché, quindi, la conoscenza e la comprensione della musica del passato sono essenziali in
un contesto formativo generale;
in che misura la si può considerare, in un’ottica interdisciplinare, sussidiaria o ancillare
rispetto a questioni proprie d’altre discipline, e in che misura occorra invece focalizzare la
sua storia interna, ossia la Storia della musica in quanto musica, delle sue forme, delle sue
tecniche compositive, della sua estetica, in grado di parlare al presente;
come attribuire “pesi e misure” ai contenuti della disciplina in sede scolastica e universitaria,
e quali problemi siano più rilevanti o scottanti di altri, e rispetto a quale oggetto;
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quali percorsi si possano fruttuosamente costruire tra istituti, generi, forme, autori, opere.
P.R.
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arricchirle con appositi rinvii e correttivi. Non è da darsi per scontato – oggi più che mai – che lo
studente universitario, anche se proviene da studi classici, conosca le forme poetiche della lirica del
Cinquecento, o sappia posizionare correttamente la Repubblica di Weimar, cogliendone il
significato storico.
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preliminare, documenti attinenti alla musica – fatti, personaggi, scritti critici ed estetici?
Pare assodato che nel quadro della scuola secondaria superiore o di un corso di studi universitario
non specificamente musicologico (e sono i più) ben difficilmente la Storia della musica possa
essere sostenuta da un’approfondita analisi tecnico-compositiva dei brani. Nondimeno un
sopralluogo sulla partitura, sia pure su base essenzialmente “grafica”, “ottica” (nel senso della
comprensione dello Schriftbild e della sua disposizione complessiva), potrebbe agevolarne
l’intendimento anche in quanti non conoscano i fondamenti della scrittura musicale. Si tratterebbe,
in questo caso, di individuare le composizioni più idonee, e non è detto che siano quelle
musicalmente più “lineari”: la prima pagina della Sinfonia in Sol minore K 550 di Mozart, di cui
chiunque saprebbe fischiettare il motivetto di testa, non è a priori più intelligibile, a livello grafico,
dell’attacco della Prima di Mahler, per chi non sappia leggere la musica. La pagina musicale
potrebbe anzi soccorrere proprio laddove le difficoltà d’ascolto si fanno maggiori, e contribuire a
chiarire aspetti che all’ascolto possono apparire incerti o complessi: e ciò sempre in funzione della
comprensione storica. Sarà un buon modo per avvicinare ai ferri del mestiere del musicista e del
musicologo anche quanti si avvieranno poi ad altri percorsi culturali.
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pp. 22 sg. e 133-160; e Della Seta, Musica nella storia e musica come storia cit.).
Per quanto riguarda allora un eventuale canone di ascolti, l’insegnamento della Storia della musica
può certo contribuire alla sua costituzione o al suo recupero, e quindi concorrere (per via storica
più che estetica) alla sedimentazione nelle conoscenze dei discenti di opere di repertorio a vario
titolo imprescindibili; o quantomeno a problematizzare la mutevole e arbitraria identificazione del
canone medesimo (cfr. R. Di Benedetto, Canone enigmatico, ne La Storia della musica: prospettive del
secolo XXI, n. unico del «Saggiatore musicale», VIII/1, 2001, pp. 99-102; anche in
www.saggiatoremusicale.it/rivista/VII_2001/di%20benedetto%202001.pdf). Ma se non c’è
ragione d’illustrare il sinfonismo tedesco di primo Ottocento attraverso le sinfonie di Spohr,
Czerny o Ries, giacché disponiamo di quelle di Beethoven, un percorso che si voglia “storico”
trarrebbe non poco vantaggio dalla conoscenza dello scenario in cui le sinfonie di Beethoven
vennero a collocarsi, delle repliche che ispirarono, dei tentativi di emulazione e di distacco. In
questo senso la costituzione di un canone di ascolti artisticamente inderogabili e la messa a punto
di un percorso storico seguono, pare, strade non del tutto coincidenti. Come potrà il docente (se lo
vorrà) ottemperare a entrambe le condizioni dell’eccellenza artistica e della significatività storica?
Nell’individuare le composizioni più appropriate ai diversi scopi e ai contesti di volta in volta presi
in esame può tornar utile un approccio laboratoriale, lasciando che siano in parte i discenti a
individuare brani a loro giudizio significativi, mettendo a frutto loro personali ricerche (di cui
andranno beninteso arginati gli inevitabili sconfinamenti)?
La bibliografia
Nell’ordinaria attività didattica, e sempre riguardo alla dimensione materiale e concreta della
gestione di un corso o di un percorso, un ultimo quesito lo suscita la selezione dei manuali. E
prima ancora: manuale sì o manuale no? È utile e conveniente adottare un testo – a maggior
ragione quando la copertura cronologica è solo parziale – oppure ci si può altrettanto utilmente
avvalere di una selezione ragionata di saggi critici, diversificati per difficoltà e obiettivi? E qualora si
optasse per un unico testo, quali requisiti dovrebbe possedere il manuale ideale, per i diversi ordini
di scuola e per l’università? Lo vorremmo molto specifico, molto “disciplinato”, o non piuttosto
che possedesse una spiccata vocazione interdisciplinare? Dovrebbe contenere esempi musicali,
schemi e tabelle esplicative – e quindi rivolgersi a lettori alfabetizzati – o farne del tutto a meno, al
pari dei manuali EDT, che anche nella scelta programmatica di non rivolgersi specificamente a un
pubblico in grado di leggere la musica trovarono all’epoca una delle chiavi del successo?
Ventinove, gli interrogativi posti da questi appunti: avrebbero potuto essere cento. Se in questa
occasione a quattro, cinque di essi riusciremo a dare una risposta sia pur provvisoria, non saranno
stati formulati invano.
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Utima modifica: 29/10/2008
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