Sei sulla pagina 1di 6

Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...

pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinelli


di Sergio Benvenuto

Una paziente paragona l’analisi a un romanzo a puntate di cui si vorrebbe con ansia sapere la fine e che si
vorrebbe non finisse mai. (Grottesche, 276)

1.

Trent’anni fa, il 21 dicembre, moriva Elvio Fachinelli (1928-1989). Egli è ormai considerato, anche all’estero, uno
dei (pochi) psicoanalisti importanti che l’Italia abbia avuto (a parte i viventi). Comunque la mia non sarà
un’agiografia di Fachinelli; Elvio detestava le agiografie. Per questo trentennale la casa editrice Italo Svevo ha
pubblicato un testo inedito di Fachinelli, Grottesche, a cura di Dario Borso.

Eppure una fama persistente perseguita Fachinelli: quella di essere “inattuale”. Molti dicono che il suo pregio è di
essere inattuale – pensando alle famose Considerazioni inattuali di Nietzsche. Da alcuni anni è un vezzo di molti
intellettuali di sinistra vantarsi di essere inattuali – leggi: di non essere ascoltati, di non essere più al passo degli
(orribili) tempi, di non avere più alcuna incidenza sul pensare comune… Questo perché si pensa a Fachinelli
soprattutto come a uno dei rappresentanti più noti del movimento di pensiero tipico degli anni 60 e 70, improntati
alla “contestazione”, a un radicalismo di sinistra che Nanni Moretti descrisse bene nei suoi primi film. Ma se
Fachinelli fosse stato uno dei tanti maîtres à penser delle correnti militanti dell’epoca – marx-leninismo
extraparlamentare, femminismo, emancipazione LGTB, diritti civili, ecc. – non gli dedicherei certo un articolo. E
non perché io consideri irrilevanti il femminismo, l’emancipazione omosessuale, i diritti civili, e molte cose che
emersero allora, anzi, ne sono un forte sostenitore. Ma perché Fachinelli non è riducibile a tutto questo che oggi
prosegue, il che lo renderebbe davvero attuale, ma nel senso banale della political correctness. Alcuni lo elogiano
in un’aura nostalgica, come momento di una recherche du temps perdu sessantottesco.

Certamente Fachinelli partecipò a tutti quei movimenti, anche attraverso i suoi articoli su L’Espresso (che allora
era il settimanale obbligatoriamente letto da tutti noi intellettuali di sinistra), cosa che contribuì a renderlo celebre
all’epoca. Fondò una rivista, L’erba voglio, dove tra l’altro dette spazio a un eroe-simbolo del movimento
omosessuale, Mario Mieli. Ma vi partecipò con un’angolatura particolare, quella dell’analista, e con un tocco
ironico alquanto raro in un’epoca di impegno che prendeva spesso toni cupi e faziosi. In effetti, se oggi si
rileggono i suoi articoli su riviste e giornali, si nota che in realtà bersagli della sua ironia critica non erano i nemici
ufficiali dell’epoca – i democristiani, la destra, i capitalisti – ma proprio i compagni di sinistra, che, anche se
benevolmente, strapazzava. Basti leggere come in Grottesche descrive un convegno di Psichiatria Democratica,
la società che faceva capo a Basaglia e quindi artefice della legge 180 sulla psichiatria:

Convegno di Psichiatria Democratica. L’organizzazione di vertice (tradizionale; relazioni, interventi preparati: letti)
fa scoppiare l’assemblea. Movimenti, discorsi a parte, brusio. Come nel movimento studentesco o in alcuni
convegni di Lotta Continua, con la voce dell’oratore che scende a pioggia, inascoltata. La presidenza è portata
allora a richiami morali, o vagamente repressivi. L’assemblea è viva e unitaria, per un momento, solo
nell’applauso, a tutti, indiscriminatamente, come in un partito; applauso che è insieme di sostegno per chi ha
parlato, rimorso per non averlo ascoltato, e sollievo perché ha finito di parlare. La delusione intellettuale è
compensata, alla fine, dal piacere di ritrovarsi insieme, in una situazione che dopotutto richiama la
«lotta». (Grottesche, 210)

pagina 1 / 6
Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...
pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

La trovo una deliziosa satira del tipo di assemblee movimentiste che si facevano all’epoca (anni ’70).

In fondo, Fachinelli piaceva proprio perché criticava dall’interno quel mondo della sinistra radicale in cui si
inscriveva (almeno fino alla fine degli anni 70, poi cambiò direzione), così come non risparmiò critiche alla società
psicoanalitica di cui fece sempre parte, la Società Psicoanalitica Italiana (SPI). Nel 1969, insieme a un analista
svizzero con un nome altisonante – Rothschild – organizzò una contestazione al Congresso Internazionale di
psicoanalisi preparato proprio dalla SPI a Roma, mise su anzi un anti-Congresso a cui fece venire anche Lacan.
Ma queste non furono mai buone ragioni per essere espulso dalla SPI, e nemmeno per auto-espellersi da essa.
Quando gli chiesi perché non si fosse staccato da una Società che criticava, mi disse che in fondo la SPI era
come la sua famiglia, criticabile ma la sua. Così come non aveva mai divorziato dalla sua prima moglie, Herma
Trettl, anche se aveva avuto altre compagne, e anche una figlia, Giuditta, da una delle sue compagne. Fachinelli
non era solo libertario, aveva anche uno spirito libertino.

Ho cercato di definire il fondo della posizione teorica di Fachinelli (persona di vastissima cultura) scrivendo una
volta che era vitalista. Questa definizione mi è stata criticata. In effetti la definizione era inadeguata: la sua visione
della psicoanalisi e della vita era piuttosto dionisiaca, nel senso che questo termine ha da Nietzsche in poi. Quegli
anni ruggenti, 60 e 70, furono un’esplosione di dionisismo, anche se venati di marx-leninismo. Per dionisismo
intendo l’appello a una creatività spontanea, sfrenata, gioiosa e giocosa, della vita, che spezza le rigide armature
mortifere delle istituzioni, delle repressioni, delle rimozioni, di quella pietrificazione autoritaria che spesso
Fachinelli opponeva alla dinamica della vita [ho commentato questi temi in:
http://www.sergiobenvenuto.it/ilsoggetto/articolo.php?ID=91]. Fachinelli si voleva un militante della vita dionisiaca.
Perciò non era marxista, anche se lo si crede tale, ma piuttosto anarchico, come Foucault. E la sua perenne
antipatia per il partito comunista di Berlinguer era segno di questo suo rifiuto del marxismo accigliato; mentre
simpatizzava con il libertario Pannella, ammirando anche la sua grande abilità nell’usare i media. Perché
Fachinelli non indulse mai alla retorica anti-tecnologica, al rifiuto snob e/o retrogrado dei media, alla nostalgia
agro-pastorale di un Pasolini ad esempio, al contrario, era attento ai nuovi portati dalla tecnologia. Sono convinto
che, per esempio, non avrebbe condannato le analisi fatte via skype, come sempre più si fa oggi, e sempre più si
farà.

Ma il problema che pone ogni interpretazione dionisiaca della psicoanalisi – che ritroviamo in Bataille, Lacan,
Lyotard, Deleuze, anche in Marcuse e Reich – è duplice. Uno direi pratico, l’altro in senso lato teorico.

2.

Problema pratico per un analista di sinistra: la psicoanalisi, checché si dica, non è “socialista”. E non perché
Freud fosse anti-bolscevico e di opinioni politiche liberali, cosa che potrebbe restare una sua faccenda privata. La
psicoanalisi non nasce, come la psichiatria europea, negli ospedali psichiatrici pubblici, ma nella pratica privata di
un Freiberufler come Freud, di un professionista freelance. Nell’analisi, lo stato – ovvero l’insieme della società –
non deve mettere becco: è una questione tra due persone, analista e analizzante, come in una coppia amorosa
che mai si sposerà. Freud non ha lavorato come psichiatra ospedaliero, né ha fatto alcuna carriera universitaria,
benché si facesse chiamare Herr Professor. È rimasto sempre un marginale da questo punto di vista, malgrado la
sua celebrità in vita. E la psicoanalisi mantiene tuttora questo marchio di lateralità non-istituzionale. Da sempre i
profani mi chiedono se io abbia una laurea in psicoanalisi! Ovviamente non esiste, sarebbe come dare una laurea

pagina 2 / 6
Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...
pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

in “filosofia fenomenologica” o in “musica barocca”. Fachinelli sapeva così bene che la teoria psicoanalitica è
inscindibile da una certa pratica sociale che ha scritto alcune bellissime pagine su Freud come professionista (in
Claustrofilia, Adelphi). Non solo il setting analitico, ma tutta la teoria che ne è derivata, discende da questo
genoma (che molti marxisti comprensibilmente detestano): la psicoanalisi è liberal nel senso americano di sinistra
liberale, è “un contratto”, come oggi si usa dire, tra due persone, senza alcun terzo garante. Questo liberalismo è
talmente introiettato negli analisti, anche in quelli che si dicono di estrema sinistra, che porta molti di loro a dire
peste e corna del sistema tedesco e austriaco. In questi paesi lo stato rimborsa al paziente dell’analista 300
sedute, praticamente due anni di analisi (ragion per cui la maggior parte delle analisi in Germania e in Austria
durano due anni...), cosa che considero molto “socialista”: lo stato riconosce che l’analisi è una cura socialmente
utile e quindi la rimborsa. Lo stato però vuole anche controllare, è ovvio, l’analista a cui procaccia il pane:
l’analista deve scrivere lunghe relazioni in cui deve dimostrare che le sedute hanno prodotto tali e tali effetti,
insomma, lo stato vuole proteggere il consumatore di psicoanalisi dai ciarlatani. Questo per molti leftists è
intollerabile: essi rivendicano l’esclusione del rapporto analista-analizzante da ogni sguardo pubblico, il che è
alquanto paradossale per sedicenti marx-leninisti. Ma gli analisti hanno interiorizzato la mentalità liberal-libertaria
di Freud (e di tutti i grandi analisti) per cui lo stato non può imporre una sua nozione di Bene agli individui. Solo
l’analista e il suo analizzante sono in grado di valutare cosa sia “bene” per un soggetto.

Ma Fachinelli era anche socialista, da qui il dissidio interiore, il suo senso di colpa, anche, di svolgere una
professione liberale. Perciò l’esigenza di portare la psicoanalisi nel sociale. Ma come? Non basta prendere in
analisi pazienti poveri che pagano una tariffa simbolica per dire che la psicoanalisi va nel sociale! Perciò già negli
anni 60 e 70 sorsero psicoterapie che puntavano a una “democratizzazione” dell’analisi. Come l’analisi di
gruppo, per esempio, e lo psicodramma: molti pazienti si ritrovano in gruppo una volta alla settimana, il che
permette di fare analisi anche a degli squattrinati. E poi le psicoterapie familiari, in auge in Italia, che curano
l’intera famiglia in cui è inchistato “il paziente designato”, che prospettano soluzioni in pochi mesi. Oggi le
psicoterapie che chiamerei popolari – poco costose, con un termine prestabilito, più comunitarie – si sono
moltiplicate. Lo stato ne riconosce centinaia, attraverso il Quadriennio in Psicoterapia che ogni psicologo o
psichiatra deve fare per poter affiggere sulla propria porta la targhetta “psicoterapista” senza essere legalmente
perseguito. In questo quadro, la psicoanalisi viene considerata una pratica di nicchia, un lusso di persone
facoltose che possono permettersi di pagare un analista per anni. Fachinelli sentiva questo problema – come, alla
stessa epoca, Enzo Morpurgo e Diego Napolitani, tutti operavano a Milano – e pensava alla quadratura del
cerchio: non abbassare la psicoanalisi a livello di una psicoterapia di massa, ma, come pensa ogni intellettuale
vero, elevare la massa al livello della psicoanalisi (vedi anche: http://www.psychiatryonline.it/node/7674).

È possibile portare un ascolto psicoanalitico in luoghi “popolari” come le ASL, le scuole, le cliniche psichiatriche, i
SERT, ecc.? Molti analisti fanno il doppio mestiere: praticano come psichiatri o psicologi nei servizi pubblici, e poi
hanno una pratica privata da analisti. Loro dovrebbero dirci se vivono una schizi oppure se riescono a portare
quel che si chiama “l’ascolto analitico” nella baraonda del malessere sociale, nella complicatezza talvolta
esplosiva dei disagi. In un certo senso, il destino della psicoanalisi si decide fuori dal setting analitico.

In ogni caso Fachinelli non pensò mai di diventare “analista nei servizi pubblici”. Negli anni 60 si fece promotore
di un asilo anti-autoritario a Milano, privato appunto, in cui era escluso ogni tipo di coercizione sui bambini.
All’epoca in tutto l’Occidente si tentava una pedagogia anti-autoritaria; l’esempio più famoso era la Summerhill
School di A.S. Neill in Inghilterra, ispirata al pensiero di Wilhelm Reich. Come ogni libertario, Fachinelli si teneva
lontano dallo stato, preferiva l’iniziativa privata.

Il desiderio di far uscire la psicoanalisi dalla nicchia lo portava a fare analisi alquanto brevi. Diceva che un’analisi
che duri più di quattro anni è fallita (invece tanti analisti pensano che dopo quattro anni inizia veramente

pagina 3 / 6
Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...
pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

un’analisi…). Una volta che un amico disse, in pubblico, che era in analisi da quattro anni, Fachinelli canticchiò un
po’ beffardo: “Cumm’e bello lu primmo ammore… Ma o sicondo è chiù bell’ancora”. È il rischio che metterà in
luce in Claustrofilia: analista e analizzante rischiano di rinchiudersi in un idillio a due, senza fine, che li ripara dal
mondo reale. Per lui l’intervento analitico doveva essere puntuale, piccoli abili colpi di fioretto, la battuta che ti fa
svoltare, non una convivenza annosa che assomiglia a un matrimonio in bianco.

C’era indubbiamente una ambivalenza di Fachinelli nei confronti della psicoanalisi, per cui era apprezzato anche
da chi diffidava della psicoanalisi. Molti suoi scritti sono un vero e proprio attacco a vari tabù degli analisti. Ad
esempio, ha discusso la questione del denaro nell’analisi: il lavoro dell’analista, che dà qualcosa dell’ordine
dell’eros in cambio di un onorario, è strutturalmente simile a quello della puttana. Quando apparve in televisione,
citò un aforisma di Karl Kraus, il viennese fiero oppositore della psicoanalisi: “Loro hanno la stampa, hanno la
Borsa, ora hanno anche l’inconscio!” Chi sono questi loro? Quelli che danno il titolo all’ultimo film di Sorrentino su
Berlusconi? Ma dire cose del genere in una trasmissione tv che intendeva celebrare la psicoanalisi era alquanto
provocatorio.

Eppure Fachinelli credeva veramente nella psicoanalisi. Ma non vi credeva per quella che essa era all’epoca,
bensì per quella che avrebbe potuto essere, un giorno. Ovvero, diventare completamente liberal, libertaria,
cessando di essere liberale, mercantile.

3.

Credo che le critiche di Fachinelli a (certa) psicoanalisi siano più che mai attuali. Nel 1988 avemmo una
discussione su come si formano gli analisti nella SPI
(

) che uscì, cosa grave, su L’Espresso, ed ebbe vasta eco. Il suo era un attacco al criterio cardine della SPI e delle
altre società dell’International Psychoanalytic Association: l’analisi detta didattica. Si sa che un analista deve lui
stesso sottoporsi a un’analisi per essere accettato come analista, ma per la SPI non basta un’analisi diciamo
comune, occorre che il candidato ne faccia un’altra con un analista didatta riconosciuto tale dalla SPI, per un
numero cospicuo di ore. Fachinelli diceva che l’analisi didattica era qualcosa di spurio, perché il didatta è anche
un giudice, e l’analisi cessa di essere tale per diventare una specie di esame: l’analizzando (così si chiama il
paziente nella SPI) deve dimostrare che non è un pazzo e che merita di essere riconosciuto dall’istituzione come
analista. Ma l’analisi ha come condizione la sua completa libertà da secondi fini “di carriera”. Non erano critiche
nuove, Lacan aveva demolito il concetto di analisi didattica decenni prima; Mario Trevi diceva cose simili in
ambito junghiano; ma quella conversazione tra Fachinelli e me creò subbuglio. Più di 30 anni sono passati da
allora, ma l’analisi didattica esiste ancora: le critiche di Fachinelli sono attuali allora come oggi.

Fachinelli tentò seriamente di usare l’ascolto psicoanalitico per descrivere la politica del suo tempo, anticipando
in qualche modo una corrente anglo-americana chiamata Cultural Studies. Cosa di cui si sente la mancanza oggi:
sono ben pochi gli interventi degli analisti sulla vita politica di oggi, per render conto della grande conversione
neo-fascista delle masse per esempio, che dicano qualcosa di originale e di perspicuo.

pagina 4 / 6
Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...
pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

Ma la sua attualità riguarda anche il secondo punto problematico di ogni psicoanalisi ispirata a un pensiero
dionisiaco, quello più teorico. La formazione intellettuale di Fachinelli veniva soprattutto dal mondo
austro-germanico, in particolare dalla scuola di Francoforte e da Walter Benjamin. Ma aveva provveduto a
sciacquare i suoi panni germanici nella Senna, e aveva assimilato anche il post-strutturalismo parigino. Fu uno
dei primissimi italiani a leggere Lacan, e andò a trovarlo a Parigi dichiarandosi suo seguace. Lacan, che aveva
grande stima in lui, gli propose di diventare presidente della società lacaniana in Italia, che intendeva fondare. Ma
Fachinelli rifiutò, perché vedeva una società lacaniana come una seconda SPI – preferiva essere soldato nella
propria società che vedeva malconcia, piuttosto che essere generale nella società dell’Altro.

Come Lacan, Fachinelli si opponeva all’interpretazione della psicoanalisi che era stata imposta dall’Ego
Psychology, sulla scia dell’opera di Anna Freud. Secondo questa concezione l’Io – considerato parte sana dello
psichismo, di contro a quel mascalzone dell’Es e a quello sbirro severo del Super-Io – deve essere rinforzato
dall’analisi in modo da resistere, come una fortezza assediata, agli attacchi opposti e congiunti delle pulsioni da
una parte, e del Super-io (delle coartazioni morali) dall’altra. L’Io è una cittadella minacciata che deve adattarsi
all’ambiente circostante per sopravvivere. Questa concezione proviene da una certa parte della visione di Freud
dell’inconscio, come luogo in cui viene ricacciato tutto ciò che ci dà fastidio. Invece per Fachinelli (e per un certo
Freud) l’inconscio non è solo la pattumiera del rimosso che non troverà mai il suo incineratore, ma è una forza
creativa e dirompente che tende a far saltare i sistemi di difesa. È l’idea di inconscio che Freud ha fatto emergere
in un saggio – considerato irrilevante dal mainstream psicoanalitico – Il motto di spirito nei suoi rapporti con
l’inconscio. Qui Freud ci descrive l’humour non come il ritorno di qualcosa di rimosso, ma come un processo
creativo che ci dà piacere, difatti ci fa ridere. Nelle battute di spirito l’inconscio non ci infligge guai, e nemmeno
sogni, ma ci libera nel riso. Si prenda una battuta qualsiasi, anche assurda: “Perché gli elefanti hanno le zampe
rotonde?” Risposta: “Per non cascare nelle buche quadrate”. Da ragazzo questa battuta mi fece molto ridere.
C’è qui ritorno di qualche rimosso? No. La battuta può farci ridere perché avviene una trasgressione, certo, ma
non della rimozione, bensì di quella che chiamerei “spiegazione scientifica”. La potremmo considerare una satira
flash delle spiegazioni “darwiniste” che oggi vanno per la maggiore, e che nelle università si insegnano
come psicologia evoluzionista.

Quando facciamo una battuta, non muoviamo delle cose rimosse, ma giochiamo, per lo più col significante.
Quindi l’inconscio non è solo rimuovere, reprimere, metter via, ma è anche una forza attiva, trasgressiva e
creativa. L’idea fachinelliana dell’inconscio è quindi un’estensione del Freud del Witz, del motto di spirito. E difatti
giungerà a dire che ciò che tendiamo a evitare, in fondo, non sono le cose che veramente ci disturbano e ci fanno
male, ma qualcosa che lui stesso chiamerà gioia eccessiva. È il paradosso dell’umano, sia a livello della vita
individuale che di quella collettiva: che fuggiamo da una gioia che consideriamo sovrabbondante. Il che si
congiunge al tema, così importante nell’ultimo Lacan, del godimento come essenza stessa dell’umano.

4.

Ma allora, come accade che, puntualmente, questa carica creativa dell’inconscio si congeli in quella che chiamò
“la freccia ferma”, nei marmi rigidi delle istituzioni, della burocrazia, del gelido rigore ossessivo? Freud si era
posto il problema, e nel suo saggio forse più importante, Al di là del principio di piacere, aveva detto che Eros - la
sessualità e la vita - si scontra sempre con Thanatos, una pulsione mortifera che porta a ripetere sempre
l’identico, a trasformare il flusso organico in fissità inorganica. Ma la contrapposizione tra pulsione di vita e
pulsione di morte è un modo di descrivere – certo eloquentemente – il problema, non di risolverlo. E per Fachinelli
il problema era tanto più acuto proprio perché in una visione dionisiaca la vita tende sempre a traboccare. È un
po’ il dramma dell’etica moderna, la quale afferma che gli uomini nascono tutti liberi ed eguali, e poi la società li
asservisce e li sperequa. Ma perché accade questo, direi, puntualmente? E così le società liberali che vogliono

pagina 5 / 6
Uno psicoanalista scomodo: Elvio Fachinell...
pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=37444

realizzare la più completa libertà individuale hanno creato delle società dove per molti la sola libertà è di vivere
nella miseria, mentre le società socialiste, egualitarie, hanno creato società in cui, come disse Orwell, “tutti gli
animali sono eguali, ma i porci sono più eguali degli altri”.

Penso ai commenti scritti da Fachinelli sull’esperienza di asilo non-autoritario di cui abbiamo detto: non è affatto
un inno agli effetti magnifici della pedagogia non repressiva! Fa notare che, lasciati completamente liberi a se
stessi, i bambini tendono a creare tra loro, spontaneamente, una società semi-fascista o mafiosa, dove ci sono
bulli e vittime designate. E gli adulti, che li lasciano del tutto liberi, sono disprezzati. Quel suo intervento va letto
insomma come un’espressione di dubbio sugli effetti di una pedagogia libertaria.

Penso al bell’articolo, “Gruppo chiuso e gruppo aperto” (in Il bambino dalle uova d’oro), che narra la sua
esperienza in un gruppo di studenti trentini, in pieno 1968, tutti della sinistra antagonista; lui fu invitato come
analista nel gruppo. In modo molto acuto, Fachinelli mostra come questo gruppo, pur essendosi costituito su una
base di radicalismo aperto al mondo, si trasformi poco a poco in una setta, dalla quale occorre purificare, epurare
– come faceva lo stalinismo – individui designati di volta in volta come “impuri”, pericolosi per il gruppo stesso.
Sin dal 1968 Fachinelli vide quella che poi sarebbe stata la deriva della sinistra radicale verso i settarismi dei vari
gruppetti e infine verso il terrorismo suicida, oltre che omicida. Fachinelli, come dicevo, non fu un agiografo dei
movimenti del 68, pur partecipandovi: indicava sempre, usando il grimaldello disincantante della psicoanalisi,
l’emergere dell’anti-vita all’interno di tutti i progetti di liberazione della vita. In questo senso, Fachinelli è un
maestro: proprio perché ha decostruito, non costruito.

Difatti Fachinelli non ha creato un’istituzione né una scuola fachinelliana. Dopo che egli rifiutò la proposta di
Lacan di essere il presidente della scuola lacaniana in Italia, mi disse: “Lacan sta commettendo lo stesso errore
che commise Freud. Vuole creare un’istituzione, che fatalmente diventerà un Esercito o una Chiesa”. Se avesse
creato una società Fachinelli, assisteremmo oggi a reciproche espulsioni o auto-espulsioni tra fachinelliani, a
Summae ufficiali o dogmatiche del Fachinelli-pensiero, a lotte intestine per assumere potere nel campo… Invece
Fachinelli non ha avuto discepoli, solo ammiratori e amici. Io sono tra questi. Non ha formato falangi di allievi che
innalzano un qualche libretto rosso, ma ha avuto persone che gli volevano bene. E costoro oggi, anche quelli che
non l’hanno conosciuto di persona, ne rilanciano l’opera problematica, sfaccettata. Forse, le scuole annullano
quel che conta: la trasmissione per affetto.

pagina 6 / 6

Powered by TCPDF (www.tcpdf.org)

Potrebbero piacerti anche