La definizione degli obiettivi è una fase fondamentale della programmazione di un corso e per questo
motivo essi sono spesso soggetti a più revisioni durante il processo di progettazione di un corso.
Attraverso la loro determinazione è possibile, oltre che valutare i risultati dell’intervento formativo,
individuare e programmare contenuti e metodologie didattiche e guidare il discente nel suo percorso di
apprendimento, consentendogli di indirizzare i propri sforzi verso una meta ben definita dall’obiettivo
stesso.
Sulla base di questi presupposti, è chiaro che gli obiettivi non possono essere definiti tali se costituiscono
una mera descrizione degli argomenti trattati nel modulo, lezione o unità didattica o delle attività che vi si
svolgeranno oppure se espongono quelle che in realtà sono semplicemente le intenzioni del docente.
Non sono obiettivi espressioni di questo tipo:
“Il corso esaminerà il concetto di politica sociale e approfondirà l’origine storica del Welfare State, dalla
sua nascita alle prospettive future, mettendo in risalto le caratteristiche peculiari del modello italiano
rispetto agli altri modelli europei.”
“Il modulo si occuperà di evidenziare le origini e le fonti del diritto bancario, in linea con le disposizioni
comunitarie che tendono ad armonizzare i sistemi bancari dei Paesi facenti parte dell’Unione.”
“Il corso si propone di approfondire i vari ambiti delle funzioni monetarie e finanziarie delle imprese
bancarie, tramite la conoscenza dei vari tipi di contratto e forme di credito che possono essere stabiliti tra
la banca ed i clienti.”
A partire dal 1949, una trentina di studiosi americani si posero l’obiettivo di raccogliere le categorie più
utilizzate dagli esaminatori per la classificazione delle prestazioni degli studenti e di catalogarle in un
sistema ordinato.
Il lavoro di tali studiosi ebbe come risultato la famosa Tassonomia, nota soprattutto con il nome di
Benjamin S. Bloom [“Una tassonomia deve essere costruita in modo che l’ordine dei termini
corrisponda a qualche ordine “reale” tra i fenomeni rappresentati dai termini. […] una tassonomia deve
essere validata dimostrando la sua coerenza con le teorizzazioni dei risultati della ricerca nell’area che
essa tenta di ordinare”. B.S.Bloom, Tassonomia degli obiettivi educativi. La classificazione delle mete
dell’educazione. Volume I Area cognitiva, Giunti & Lisciani Editori, 1986, p.28.].
In questa ricerca vengono innanzitutto identificate tre aree in cui possono comparire obiettivi:
Cognitiva: sono gli obiettivi relativi all’acquisizione e rievocazione di conoscenze e lo sviluppo di
abilità e capacità intellettuali.
Affettiva: include obiettivi relativi all’acquisizione di interessi, attitudini, sentimenti, valori,
passioni, atteggiamenti e motivazioni.
Psicomotoria: si riferisce all'acquisizione di abilità che riguardano il movimento fisico e la
coordinazione nelle attività motorie.
Bloom individua per l’area cognitiva sei principali categorie della tassonomia, ordinate partendo dal
processo cognitivo più semplice a quello più difficile:
1. Conoscenza: il ricordo di dati e informazioni precedentemente acquisiti;
2. Comprensione: capacità di espressione delle conoscenze acquisite in forme differenti ma
equivalenti a quelle originariamente acquisite;
3. Applicazione: capacità di applicazione dei contenuti a casi concreti;
4. Analisi: capacità di scomposizione dei problemi negli elementi costitutivi, evidenziandone le
connessioni;
5. Sintesi: capacità di combinazione degli elementi in un nuovo corpus di conoscenze che dà origine
a un nuovo concetto o a una nuova procedura;
6. Valutazione: capacità di formulazione di giudizi di valore.
A partire dalla tassonomia degli obiettivi di Bloom, ne sono state elaborate altre molto efficaci.
David Merrill elabora la Component Display Theory [M.D. Merrill, Component display theory, in C.
Reigeluth (ed.), Instructional design theories and models, Hillsdale, NJ: Erlbaum Associates, 1983]
utilizzando una tabella a doppia entrata in cui si prevedono cinque tipologie di contenuti e tre livelli di
performance.
Robert M. Gagné e Leslie J. Briggs [R.M Gagné, L.J. Briggs, Fondamenti di progettazione didattica,
SEI, Torino, 1990] identificano cinque categorie di capacità umane a cui riferire gli obiettivi al fine di
progettare l’insegnamento.
1. Abilità intellettuali: sono quelle che rendono l’individuo competente e, nel loro livello più
elementare, si identificano nella capacità di leggere, scrivere e far di conto. Il loro apprendimento
non implica l’apprendimento di ciò che esiste o delle sue proprietà, ma solo di come fare qualcosa
di tipo intellettuale. Spesso il come e il cosa sono appresi contemporaneamente, ma la
conoscenza dell’uno non implica necessariamente quella dell’altro.
2. Strategie cognitive: sono le capacità che regolano il comportamento dell’individuo in relazione
all’apprendere, memorizzare, pensare.
3. Informazioni verbali: sono informazioni semplici, come il nome dei mesi, dei giorni della
settimana, delle lettere dell’alfabeto, ma anche complesse, come le forme di governo, gli
avvenimenti della storia, le scoperte scientifiche. Tali informazioni costituiscono l’insieme delle
conoscenze che potremo richiamare velocemente alla memoria quando ne avremo la necessità.
4. Abilità motorie: esse riguardano non solo capacità come camminare, correre, andare in bicicletta,
ma anche abilità che fanno parte dell’insegnamento scolastico, come scrivere, disegnare figure
geometriche…
5. Atteggiamenti: essi amplificano le reazioni positive o negative che gli individui hanno verso cose,
persone, situazioni. Questa categoria fa parte dell’area affettiva.
In un corso si pongono, normalmente, obiettivi che rientrano in più categorie di capacità umane.
“Per obiettivo s’intende la descrizione di una performance che gli studenti devono essere in grado di
mostrare per essere considerati competenti; descrive, cioè, il risultato che l’istruzione si prefigge
piuttosto che il metodo didattico” .
Data una tabella con prezzi e quantità di un prodotto (condizione), l’allievo sarà in grado di disegnare su
un grafico la curva di domanda (performance).
In alcuni casi le performance, che abbiamo visto essere sempre osservabili e misurabili, possono essere
meno evidenti. Ad esempio, se l’obiettivo è che lo studente ricordi la definizione di una serie di termini
tecnici, il raggiungimento di tale risultato non è direttamente osservabile, ma, secondo Mager, in realtà
l’ostacolo è facilmente superabile nel momento in cui si chiede allo studente di scrivere le definizioni o di
esporle oralmente.
Quindi, nel caso in cui la performance stabilita in un obiettivo non sia evidente, sarà necessario
aggiungere un comportamento indicativo dell’attività visibile che gli studenti dovranno compiere per
dimostrare di aver raggiunto l’obiettivo.
Ad esempio:
Senza l’aiuto di un vocabolario (condizione), lo studente dovrà essere in grado di riconoscere
(performance occulta), sottolineandoli (performance evidente), i verbi irregolari presenti in un testo in
lingua inglese.
Se l’obiettivo rispetta tutte queste caratteristiche, sarà sicuramente un obiettivo efficace, anche se non
rispetta alcuna tassonomia: secondo Mager gli obiettivi devono soddisfare delle esigenze didattiche e non
adattarsi a classificazioni non sempre adatte ai propri scopi.
Questo approccio è stato criticato per l’eccessiva difficoltà, in alcune discipline, a definire obiettivi che
rispettino i tre elementi fondamentali.
Mager ha delineato in modo chiaro quella che dovrebbe essere una corretta ed efficace descrizione degli
obiettivi di una qualunque attività didattica, esprimendo comunque la consapevolezza che in alcuni casi
non è possibile specificare criteri e condizioni.
Resta fondamentale, invece, la performance quale elemento di valutazione concreto, facilmente
misurabile e privo di ambiguità del raggiungimento di un obiettivo.
Un approccio alternativo a quello di Mager è stato elaborato da Norman Gronlund [N. Gronlund,
Writing Instructional Objectives for Teaching and Assessment, 7.ed., Pearson Education].
Questo autore, che pure dà per scontata la presenza di una performance nell’obiettivo, propone di
suddividerlo in due parti, per evitare di generare liste di obiettivi eccessivamente lunghe:
nella prima parte si proporrà un obiettivo generale dell’intera attività didattica,
nella seconda parte si forniranno esempi più specifici, ma non necessariamente esaustivi, delle
conoscenze e capacità che il discente acquisirà al termine della fruizione.
Ad esempio:
Obiettivo generale (general instructional objective). Comprendere il significato dei termini basilari del
diritto.
Obiettivi specifici (specific learning outcomes). In particolare sarai in grado di:
- elaborare una definizione per ogni vocabolo fondamentale;
- utilizzare i termini più adeguati per il contesto di riferimento;
- distinguere tra termini che hanno un significato simile.
Gronlund specifica che, in un esempio di questo tipo, l’obiettivo dell’apprendimento è identificabile nel
“comprendere”, mentre “elaborare”, “utilizzare” e “distinguere” sono soltanto alcuni esempi del tipo di
performance che è rappresentata dal “comprendere”.
Similarmente a Mager, anche Gronlund prevede la possibilità di specificare uno standard (il criterio di
Mager) che individui un livello di performance soddisfacente.
Ma, diversamente dal primo autore, egli afferma che è meglio specificare tale standard solo
separatamente, così da permettere una maggiore riusabilità dell’obiettivo.
Alcuni verbi, come “applicare”, “comprendere”, “conoscere”, “usare”, sono quelli più utili nella definizione
degli obiettivi, in quanto sono abbastanza specifici da indirizzare l’istruzione e allo stesso tempo
permettere un facile riconoscimento del raggiungimento degli stessi.
Per gli obiettivi specifici, invece, occorre utilizzare verbi d’azione, come “identificare”, “descrivere”,
“elencare”, “comparare”.
Gronlund afferma che gli obiettivi specifici devono essere abbastanza specifici da rendere chiaro l’intento
didattico, ma anche abbastanza generici da poter essere riutilizzati.
Egli consiglia, ad esempio, di trasformare obiettivi come:
in un obiettivo che descriva ugualmente il tipo di performance richiesta allo studente, ma senza
specificare eccessivamente:
Questo tipo di approccio, rispetto a quello di Mager, è meno dettagliato, a favore della riusabilità degli
obiettivi, e forse, in questo senso, meno condivisibile, in quanto rende più difficile capire quello che lo
studente deve essere realmente in grado di fare alla fine dell’attività didattica.
Inoltre, il principio della riusabilità, rende meno consistente il tentativo di utilizzare gli obiettivi come
strumento operativo specifico nella progettazione di ogni singolo materiale didattico.
Robert M. Gagné e Leslie J. Briggs [R.M Gagné, L.J. Briggs, Fondamenti di progettazione didattica,
SEI, Torino, 1990.] specificano che, prima di iniziare a progettare un corso o un’attività didattica, si deve
avere un’idea dello scopo per cui si progetta, delle prestazioni di cui gli studenti saranno capaci alla fine
della fruizione: la progettazione deve partire dagli obiettivi didattici.
Nella fase progettuale è possibile identificare due tipi di obiettivi: gli obiettivi finali (da raggiungere alla
fine del corso) e gli obiettivi intermedi (da raggiungere durante il corso).
Gagné e Briggs insistono sulla necessità di essere molto precisi nella definizione degli obiettivi, evitando
ogni ambiguità. Il modo migliore per evitare il rischio di non riuscire a comunicare in modo chiaro la
finalità dell’insegnamento è definire gli obiettivi in termini di prestazioni umane, riuscendo a comunicare
ad un’altra persona quello che dovrebbe fare per osservare il raggiungimento delle finalità del corso.
Un obiettivo di questo tipo, così come già analizzato da Mager, deve avere diverse componenti.
Esempio: Dato un documento cartaceo, lo studente dovrà trascriverlo al computer con un programma di
videoscrittura in meno di 10 minuti.
- azione: digitare al computer;
- oggetto:: il documento;
- situazione:: dato il documento cartaceo;
- strumenti e vincoli:: l’uso di un programma di videoscrittura e il limite temporale di 10 minuti;
- capacità di apprendere:: è la capacità appresa richiesta, quindi,in questo caso, la capacità di trascrivere
al computer.
Come è evidente, l’obiettivo espresso in questi termini è assolutamente coerente anche con le procedure
individuate da Mager.
Gagné e Briggs, tuttavia, vogliono porre l’attenzione anche su elementi a loro parere fondamentali, ma
che non hanno avuto il giusto rilievo nelle teorie di altri studiosi, come la scelta di verbi adeguati che
possano evitare ogni ambiguità.
Il verbo che indica l’azione spesso rappresenta una capacità già posseduta dallo studente, mentre quelli
che indicano le capacità rappresentano la nuova competenza da conseguire.
Aldilà delle diverse tassonomie e teorie sulla definizione degli obiettivi didattici, tutti gli autori sono,
quindi, concordi nel riconoscere loro un’importanza fondamentale, soprattutto in quanto vero e proprio
strumento di lavoro di un progettista di formazione.
Essi dovranno essere, quindi, definiti con attenzione e tenuti presente durante tutto il processo di
progettazione ed elaborazione dei contenuti, come aiuto nella costruzione di un percorso che porti al loro
raggiungimento.
Allo stesso modo, se ben formulati, essi aiuteranno gli studenti a orientarsi al meglio tra i materiali
didattici e a verificare se il loro studio sia effettivamente efficace.
Gli obiettivi formulati in termini di performance, permettono infatti agli studenti di compiere un primo
importante passo verso un apprendimento non più meccanico, ma significativo [Ausubel elabora la teoria
dell'apprendimento significativo nel 1962, con il libro A subsumption theory of meaningful learning and
retention, ma una presentazione più completa si trova nel testo Educational Psychology: a cognitive view
del 1968. La sua diffusione a livello mondiale si deve a Joseph D. Novak. Cfr. J. D. Novak,
L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Erickson, Trento,
2001; J. D. Novak, D. B. Gowin, Imparando a imparare, SEI, Torino, 1989.]