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Capitolo II - Se la notizia è clandestina.

Il monitor su informazione e immigrazione

2. Se la notizia è clandestina.
Il Monitor su informazione e immigrazione
di Marco Binotto e Valentina Martino 1

2.1. Laboratorio immigrazione

La consapevolezza della rilevanza dei processi culturali e comunicativi nella


costruzione dell’immagine pubblica dei migranti si fa sempre più strada tra gli
addetti ai lavori e, più in generale, tra quanti ritengono importante contrastare
attivamente le cause dell’esclusione e della marginalità sociale degli stranieri.
Non a caso, anche in Italia l’immigrazione e la sua rappresentazione mediale
sono state oggetto di numerose ricerche empiriche negli ultimi anni: iniziative
i cui risultati convergono nel delineare uno scenario ancora piuttosto contro-
verso, perché dominato da una sconfortante inadeguatezza dei contenuti e dei
linguaggi proposti al pubblico 2. Dagli anni Novanta a oggi, molti sono stati
anche i sondaggi e, più raramente, gli studi scientifici tesi a monitorare il clima
d’opinione tra i cittadini italiani rispetto ai fenomeni migratori e alle questioni
legate alla presenza straniera 3.

1
Valentina Martino è autrice dei parr. 1, 2 e 7; Marco Binotto ha scritto i parr. 3-6.
2
La più importanti ricerche condotte in Italia vedono protagonisti alcuni Dipartimenti delle
maggiori Università (tra cui Torino, Genova, Roma). Tra i diversi contributi, si rimanda a: A.
Dal Lago (a cura di), Lo straniero e il nemico, Costa &Nolan, Genova 1998; e Non persone.
L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999; V. Cotesta, La cittadella
assediata. Immigrazione e conflitti etnici in Italia, Editori Riuniti, Roma 1992, e Sociologia dei
conflitti etnici. Razzismo, immigrazione e società multiculturale, Laterza, Roma-Bari 1999; C.
Marletti, Extracomunitari. Dall’immaginario collettivo al vissuto quotidiano del razzismo, Eri
Rai-Vqpt, Torino 1991; (a cura di) Televisione e Islam. Immagini e stereotipi dell’Islam nella
comunicazione italiana, Eri Rai-Vqpt, Torino 1995. Va inoltre segnalata la ricerca sull’agenzia
di stampa Ansa condotta da Maurizio Corte (Stranieri e mass media. Stampa, immigrazione,
Pedagogia interculturale, Cedam, Padova 2002). Si rinvia anche ai dati dell’Osservatorio di
Pavia e al rapporto Censis Tuning into diversity. Immigrati e minoranze etniche nei media («http:
//www.censis.it/censis/ricerche/2002/tuning/index.html», 2002).
3
Tra le principali fonti a livello nazionale, si segnalano: la Commissione per le politiche di
integrazione degli immigrati (Sondaggio ISPO l’atteggiamento degli italiani nei confronti degli
immigrati, Working paper 11, Dipartimento per gli affari sociali, Roma settembre-ottobre 2000;
e L’atteggiamento degli italiani nei confronti degli immigrati, Working paper 3, Dipartimento
per gli affari sociali, Roma settembre-ottobre 1999); l’IRES-Istituto Ricerche Economico-So-
ciali del Piemonte (Rumore: atteggiamenti verso gli immigrati stranieri, Rosenberg & Sellier,

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FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

È in questo contesto, all’insegna di un crescente e sempre più sostanziale


interesse pubblico e scientifico per il tema, che si inserisce l’iniziativa del
Monitor su informazione e immigrazione, promosso dal Dipartimento di
Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma nell’am-
bito del progetto europeo Etnequal Social Communication 4. La strategia di
ricerca ha puntato a integrare in un unico quadro di analisi una triplice prospet-
tiva (pubblico, notizie, redazioni): in altre parole, si è cercato di prendere in
esame non solo la rappresentazione mediale della presenza straniera in Italia,
ma anche l’influenza del contesto organizzativo e professionale che la produce
e il modo in cui l’informazione concorre, di fatto, alla costruzione dell’opinio-
ne pubblica.
Dal punto di vista della performance dei media, gli interrogativi e le que-
stioni irrisolte restano infatti stringenti, tanto più dal punto di vista di quella
che si pone programmaticamente come una ricerca-intervento. Qual è e quale
dovrebbe essere il ruolo dei mezzi di informazione nella rappresentazione del
tema immigrazione? Fino a che punto la percezione del fenomeno da parte dei
cittadini può risultare influenzata – compromessa o persino distorta – da un’in-
formazione spesso imprecisa, fuorviante o incompleta? E ancora: è possibile
individuare un terreno finalmente proattivo di intervento, in cui la promozione
sociale faccia leva anzitutto sulla capacità dei media di intercettare un bisogno
diffuso di informazione da parte dei loro pubblici, riconciliandosi con la loro
sensibilità?
Di fatto, il rapporto tra media e immigrazione è tale da sottendere un intrec-
cio di dinamiche estremamente complesse, sfuggenti e radicate, al punto da
sottrarsi puntualmente ai tentativi di disciplina perpetrati attraverso i numerosi
codici etico-linguistici che sono stati di volta in volta elaborati a beneficio
degli operatori dell’informazione. Di fronte alla complessità dei processi e delle
problematiche in gioco, diventa evidente che la crescente rilevanza e centralità
sociale del fenomeno sono tali da sfidare e mettere alla prova l’intero capitale

Torino 1992; e Atteggiamenti e comportamenti verso gli immigrati in alcuni ambienti istituzio-
nali, Rosenberg & Sellier, Torino 1995); la Doxa (Gli stranieri in Italia, “Bollettino della Doxa”,
Anno LIV, n. 17-18, 1999); il Censis (“Sicurezza e legalità”, in XXXVII Rapporto sulla situazio-
ne sociale del paese, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 619-671); l’IRPPS-Istituto di Ricerche
sulla Popolazione e le Politiche Sociali, ex IRP (per i risultati dell’indagine ripetuta nel 1987-
1988, 1991, 1997 e 2002, si rimanda ai contributi di Corrado Bonifazi, e in particolare a: C.
Bonifazi, L. Cerbara, Gli immigrati stranieri: valutazioni, conoscenze e giudizi degli italiani,
“Studi emigrazione”, n. 36, 1999; e C. Bonifazi, M. G. Caruso, “Atteggiamenti ed opinioni degli
italiani nei confronti della presenza straniera”, in L. Di Comite, G. Di Comite (a cura di), Il
bacino mediterraneo tra emigrazione ed emigrazione, Cacucci, Bari 2000.
4
La ricerca, realizzata sotto la Direzione scientifica di Mario Morcellini, ha visto la costante
collaborazione dei partner del progetto ETNEQUAL: Amnesty International-Sezione Italiana,
Caritas Diocesana di Roma, FNSI, Galgano International e RAI.

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di conoscenza – in termini di teoria e ricerca - sui media e la comunicazione.


Nell’ambito dei processi culturali e comunicativi contemporanei, quella del
migrante finisce di fatto per rivelarsi - quasi per paradosso rispetto al suo anco-
ra controverso posizionamento sociale – “una figura epocale, un soggetto che
riassume in sé una delle dinamiche più interessanti della scena attuale” 5. Una
presenza assolutamente emblematica nello stile di rappresentazione che le so-
cietà contemporanee costruiscono e offrono di sé, in primo luogo attraverso il
discorso politico e il sistema dell’informazione; una figura per definizione
borderline, che per ciò stesso finisce per rendere più visibili le stesse linee di
confine tra un “dentro” e un “fuori” di natura non solo geografica, ma anzitutto
culturale (la metafora della “cittadella mediale”).
Da qui, la necessità di analisi scientifiche capaci di garantire un più ampio
respiro teorico: un’opportunità che, nel caso del Monitor, si è programmatica-
mente tradotta nella volontà di mettere in campo un disegno di ricerca teso a
intercettare le possibili relazioni tra le notizie divulgate dai principali mezzi di
informazione nazionali, i concreti meccanismi di funzionamento delle reda-
zioni giornalistiche e le opinioni di un segmento di pubblico, campionato tra i
residenti nella città di Roma.

2.2. Tra realtà e rappresentazione

Il problema in questione va formulato, anzitutto, ad un doppio livello: come


una questione di comunicazione del cambiamento (la naturale funzione narra-
tiva esercitata dai media rispetto alla sempre più rapida trasformazione dei
“panorami sociali” 6), ma anche di cambiamento della comunicazione (l’ade-
sione ad un nuovo habitus etico-deontologico da parte degli operatori della
comunicazione). Di fronte all’inarrestabile estensione del paesaggio della vita
quotidiana verso la frontiera della multiculturalità, infatti, il tema dell’immi-
grazione si offre oggi come un terreno privilegiato, una dimensione assoluta-
mente “sensibile” su cui osservare il naturale e fisiologico cambiamento della
società e delle sue “narrazioni collettive”: tra queste, soprattutto i media di
informazione sembrano chiamati ad adattare la propria mission e i propri lin-
guaggi a nuove modalità di rappresentazione – e persino di possibile incorag-
giamento – del mutamento sociale in atto nella società italiana.
La rilevanza fenomenologica dell’immigrazione appare oggi tale e tanta da
provare come il cambiamento della realtà sociale finisca per incalzare il siste-
ma dei media, con un comprensibile effetto di spiazzamento sulla cultura pro-
fessionale dei giornalisti e sulle stesse routine produttive della “macchina del-

5
A. Dal Lago, Non persone…, cit.
6
Per l’espressivo concetto di “panorami sociali”, si rinvia a: A. Volterrani, Panorami socia-
li. Il sociale nei media, i media nel sociale, Liguori, Napoli 2003.

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l’informazione”. È allora persino più grave che le proporzioni e la fisiologia


dei fenomeni migratori continuino a tutt’oggi a sfuggire all’attenzione e alla
conoscenza dei media e dei loro operatori, con tutto il rischio – in termini di
autoreferenzialità della rappresentazione – che può discenderne nel “patto co-
municativo” con il pubblico.
Di fatto, si tratta di impasse che chiamano in causa una serie di dissonanze
di ordine propriamente cognitivo, ancor prima che di natura affettiva (gli orien-
tamenti ideologici dell’emittenza mediale e dei cittadini/destinatari) e
pragmatica (le oggettive limitazioni del messaggio e del canale). Le complesse
dinamiche simboliche in gioco – tanto più radicate nel caso di un tema che
tende tipicamente a costituirsi come routine e “rumore di fondo” nel quotidia-
no flusso dell’informazione – suggeriscono allora di formulare il rapporto media/
immigrazione anzitutto come una delicata e importante questione di conoscen-
za sociale, che è tale da diverse prospettive:
a) come conoscenza del fenomeno sociale dell’immigrazione da parte dei
media e del pubblico;
b) come “autocoscienza” degli operatori dei media circa il proprio operato
su questa emergente issue di rilevanza sociale;
c) come potenziale conoscenza reciproca tra i media e i loro pubblici effet-
tivi, sulla base di un repertorio di modelli di interazione simbolica pro-
babilmente ancora troppo sbilanciati in senso verticale (cioè sulle scelte
dell’emittenza) e, dunque, da rifondare in futuro anzitutto su un più con-
vinto ascolto “dal basso” dei bisogni e delle aspettative espressi dai
destinatari dell’informazione 7;
d) non ultima, come cognizione e adeguata “messa in valore” del rapporto
esistente tra media e immigrazione da parte della ricerca scientifica, a
partire dalla presa d’atto dell’estrema complessità che contraddistingue
il fenomeno dal peculiare punto di vista dei processi culturali e comuni-
cativi.
Un primo dato da cui partire è che, nonostante gli innegabili limiti dell’in-
formazione nel trattamento del tema e le critiche quasi rituali mosse contro i
media, la percezione sociale dell’immigrazione da parte dei cittadini italiani
risulta oggi certo più sfumata e meno ostile rispetto ad un passato anche recen-
te: un trend registrato da diverse ricerche (soprattutto in un’ottica longitudinale
e diacronica) 8, sulla scia di quel moto inarrestabile di avvicinamento intercul-
turale ormai in atto nella sfera dell’esperienza quotidiana. Di fatto, anche nel
nostro Paese la conoscenza dell’immigrazione è destinata a passare, in misura
crescente, attraverso canali di natura extra-mediale: spazi di interazione diret-

7
Per un ampio excursus sul concetto di audience come costrutto discorsivo e rappresenta-
zione simbolica condivisa dagli operatori della comunicazione, con funzioni regolative rispetto
alle stesse pratiche professionali, si veda: I. Ang, 1991, Cercasi audience disperatamente, Il
Mulino, Bologna 1998.
8
Cfr. nota 3 in questo capitolo.

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ta e di negoziazione interpersonale capaci di incidere più positivamente sulla


costruzione sociale del fenomeno e sulle stesse posizioni di apertura e tolleran-
za dei cittadini; fonti di conoscenza di fronte alle quali la stessa influenza dei
media non può che “arretrare” e ridefinirsi profondamente in termini di impat-
to qualitativo sul pubblico.
Ma nonostante il progressivo e quasi naturale “acclimatamento” dell’opinio-
ne pubblica nel nostro paese, resta la necessità di promuovere attivamente una
rinnovata capacità di rappresentazione della realtà sociale e proiezione del pro-
prio mandato nella sfera pubblica da parte dei media di informazione, nei con-
fronti di un pubblico oggi certamente più competente che in passato e interessato
a saperne di più su questi temi. In caso contrario, si corre il rischio di un profondo
scollamento della performance dell’informazione rispetto alle istanze e alle aspet-
tative delle audience effettive e potenziali (la cui composizione è, peraltro, sem-
pre più multiculturale): ciò significherebbe un vero e proprio “appuntamento
mancato” con il pubblico, in termini di credibilità, pertinenza culturale, reputa-
zione e fiducia reciproca tra i media e i loro naturali destinatari.
A entrare prepotentemente in gioco è anzitutto un nuovo concetto di re-
sponsabilità sociale dei media nella società dell’informazione e della cono-
scenza 9: valori che esigono oggi un rinnovato sforzo e contributo da parte
degli operatori in termini di disposizione culturale e sensibilità per tematiche
di simile rilevanza sociale. Di fatto, nelle società complesse, il destino collet-
tivo della multiculturalità esige – e alimenta quasi naturalmente – una rinno-
vata capacità di rappresentare e raccontare il cambiamento sociale da parte
dei media, di “sdrammatizzare” e rendere più familiare ai più la presenza dei
migranti. Al tempo stesso, ai mezzi di comunicazione non mancano certa-
mente le potenzialità per riallinearsi rispetto a questa sfida, fosse solo perché
è impensabile immaginare un cortocircuito così grave del patto comunicativo
tra sistema dei media e pubblico: una deriva che, proprio perché incalzata dal
cambiamento della società, avrebbe drammatiche ripercussioni sulla stessa
pace sociale. Di fronte alla cristallizzazione dello stereotipo, la conoscenza e
la comunicazione sembrano l’unica ricetta vincente, la sola via realmente
praticabile: questa consapevolezza implica la necessità di ripensare a fondo il
proprio linguaggio da parte dei media, problematizzando il proprio contribu-
to e aderendo di fatto ad una nuova cultura dell’informazione, ben oltre
l’allestimento di “spazi-ghetto” entro cui confinare l’offerta di programmi e
servizi di approfondimento.
Dal punto di vista della ricerca scientifica, infine, è innegabile l’“ideologia”
sotterranea che ha caratterizzato gran parte delle indagini cimentatesi con il
tema dell’immigrazione dal peculiare punto di vista della sua trattazione me-
diale. In questo campo di studi, le analisi appaiono tradizionalmente anti-raz-

9
Per una trattazione sistematica delle teorie normative dei media e della loro evoluzione
storica, si rimanda a: D. McQuail, 2000, Sociologia dei media, Il Mulino, Bologna 2001, pp.
139-157.

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ziste negli obiettivi e nelle ipotesi di partenza e, per ciò stesso, drammatica-
mente poco attente al punto di vista del pubblico e degli operatori dell’infor-
mazione. Questa ristrettezza del campo visivo si è storicamente tradotta in due
principali orientamenti distintivi, trasversali a gran parte dei lavori scientifici
sull’argomento:
a) da una parte, un generale sbilanciamento dell’attenzione dei ricercatori
sul versante del contenuto dei media: una tendenza, questa, inevitabil-
mente tradottasi in un pesante schiacciamento dell’indagine sulla sola
dimensione del “messaggio” (l’analisi del contenuto), come se questo
bastasse positivisticamente a esaurire la questione degli “effetti” e a ren-
dere, cioè, trasparenti gli stessi meccanismi sociali di formazione del-
l’opinione pubblica;
b) in secondo luogo, l’adesione ad una logica spesso antagonistica e di
contrapposizione rispetto al sistema mediale e al peculiare punto di vi-
sta delle organizzazioni redazionali, fino a ignorare ed espungere quasi
del tutto dal campo di analisi quell’effetto di bias inconsapevole e di-
storsione involontaria connaturato all’interiorizzazione di specifiche
routine organizzative e regole professionali da parte degli operatori del-
l’informazione.
A margine, va naturalmente riconosciuta l’oggettiva difficoltà di misurarsi
con i percorsi sfuggenti dell’audience. Tuttavia, è evidente che rimanere sul
piano del contenuto mediale rischia di non rendere ragione dell’effettiva im-
magine – o, meglio, della pluralità di immagini – cui il pubblico accede e con
cui interagisce, attingendo quotidianamente alle diverse fonti informative e
rielaborando i messaggi anche sulla scorta della crescente esperienza diretta e
first hand del fenomeno dell’immigrazione. Da questo punto di vista, gli studi
di seguito presentati – pur non pretendendo di offrire risposte conclusive –
prendono le mosse dalla constatazione di una generale carenza di iniziative di
ricerca volte a focalizzare e a verificare “sul campo” la penetrazione sociale
dei messaggi mediali sull’immigrazione, la loro qualità percepita da parte del-
l’audience, gli effetti a lungo termine dell’informazione giornalistica sugli al-
terni andamenti dell’opinione pubblica.

2.3. Chi, cosa e con quale effetto?

Questa ricerca risponde alle domande più tipicamente poste dalla communi-
cation research: chi comunica? cosa? con quale effetto? 10 Una impostazione si

10
Si tratta del modello – o meglio dell’“espediente sintattico” – utilizzato da Harold Lasswell
per illustrare lo schema per l’analisi dei media: “uno schema chiaro che ha svolto per lungo
tempo un ruolo di orientamento ed ancor oggi è utilizzato come primo passo per l’interpretazio-
ne della trasmissione e della ricezione dei messaggi”, M. Morcellini, G. Fatelli, Le scienze della
comunicazione, Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, p. 146.

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direbbe quindi del tutto tradizionale nel quadro della sociologia della comunica-
zione. In effetti molto raramente le ricerche sono riuscite a porre queste doman-
de contemporaneamente su uno stesso oggetto e nello stesso intervallo di rileva-
zione. Il valore del progetto Etnequal Social Communication, come quello in
generale delle iniziative comunitarie e dei fondi europei, è di offrire l’opportuni-
tà di effettuare ricerche scientifiche che superino gli spazi spesso angusti offerti
dalla ricerca pubblica e privata in Italia consentendo il pieno dispiegarsi degli
ambiti e delle possibilità esplicative delle scienze sociali.
Come avviene per molti altri terreni sensibili quanto cruciali per il futuro
delle democrazie europee, i fenomeni migratori, la discriminazione e il razzi-
smo costituiscono temi in cui è forte il rischio di incorrere tanto in prese di
parte ideologicamente orientate quanto in semplificazioni, denuncie aprioristi-
che o nella facile individuazione di capri espiatori. A fronte di un generale
disinteresse da parte dei mass media e di larga parte del giornalismo per i peri-
coli nella trattazione di queste tematiche, c’è spesso una denuncia di tali com-
portamenti che cela un indiscriminato pregiudizio nei confronti dei mezzi di
comunicazione e dei suoi linguaggi, insieme ad una sostanziale rimozione del-
le concrete necessità, produttive e linguistiche, da cui originano.
Per evitare questi rischi si è scelto di intraprendere una complessa attività di
analisi che cercasse proprio di contemperare tutti i possibili aspetti che non
solo condizionano la percezione di questi temi, ma che in qualche modo li
spieghi, ne comprenda l’origine e l’interna deontologia. Una prospettiva ten-
denzialmente profonda di analisi che colleghi la formazione della notizia alla
sua rappresentazione, l’informazione alla formazione dell’opinione.
In questo senso non si deve intendere questa ricerca, come la risposta alla
domanda: come i mass media rappresentano i migranti? Si tratta infatti di una
risposta fornita da almeno un decennio di ricerche su questo argomento e con-
fermata persino da un rapido sguardo ai mezzi di informazione 11. Come si
vedrà, la nostra indagine sulla rappresentazione mediale conferma questa per-
cezione intuitiva, ma ha avuto nelle nostre intenzioni uno scopo ulteriore. Questo
tipo di analisi è infatti teso a mettere in correlazione campi e settori diversi,
suscitare domande più che a fornire risposte o a produrre “semplici” o imme-
diati dati quantitativi, che pure non mancano. Ma nel complesso, ci siamo tro-
vati di fronte ad uno scenario poco sorprendente.
È inutile nasconderlo. Il ritratto fornito complessivamente dai mass media
negli ultimi vent’anni è sostanzialmente distorto e induce tuttora a “confon-
dere” la quotidianità della presenza straniera e la sua evidenza deviante o
eccezionale. Proprio per questo, la copertura mediale delle migrazioni e della
presenza straniera in Italia mette in campo con particolare virulenza la que-

11
I risultati emersi dalla ricerca sul PUBBLICO (infra), interrogato sulla rappresentazione dei
migranti prevalente nei mezzi di informazione – l’agenda dei media – rispecchiano quasi perfetta-
mente i risultati della nostra indagine sulle NOTIZIE.

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FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

stione del rapporto tra rappresentazione e realtà sociale, tra rappresentazione


dei media e rappresentazioni sociali, tra immagine e verità. L’obiettività del-
l’informazione, la capacità dell’arena pubblica di fornire spazio a fasce e
fenomeni sociali, di ospitarne bisogni e pulsioni, di includere attori sociali e
culture 12.

2.4. Sconosciuti a se stessi

Di solito, si imputano ai mass media molti dei problemi che ci affliggono,


spesso troppi. Probabilmente ciò è dovuto al permanere di un pregiudizio –
letterario e sostanzialmente aristocratico – nei confronti dei linguaggi e delle
tecnologie dell’industria culturale e della cultura di massa 13. Probabilmente
ciò è dovuto al ruolo svolto dalla televisione in Italia: se infatti l’esperienza
televisiva ha di fatto sostituito e prodotto l’esperienza metropolitana e la mo-
dernizzazione, allora “il territorio della vita nazionale – culturalmente inteso –
è quello dei media, si può parlare di immaginario collettivo in Italia attraverso
quegli stessi media che lo veicolano, elaborano e producono” 14. Cioè la rap-
presentazione mediale della realtà diventa, viene percepita, come particolar-
mente vivida, come centrale per la descrizione dello stare insieme.
Se da una parte questa consapevolezza costruisce un’attenzione eccessiva,
deterministica e unidirezionale degli effetti sociali delle descrizioni offerte dai
media, dall’altra mette necessariamente al centro dell’osservazione il rapporto
tra vissuto mediale e percezione sociale, tra narrazione ed esistenza. In questo
caso, il discorso però non deve concentrarsi sui contorni di un ritratto mediale
più o meno distorto “della realtà”, deve interrogarsi invece sulla capacità di un
sistema culturale nel suo insieme di includere la complessità della realtà socia-

12
Spesso la difficoltà di questo rapporto viene affrontata come “crisi” dei mass media e del
giornalismo in particolare, nella sua “capacità di rappresentanza simbolica” e di percezione del
cambiamento. Cfr. M. Morcellini, “Il difficile racconto del mutamento: la crisi di relazione tra
giornalismo e società italiana”, in M. Morcellini, G. Roberti (a cura di), Multigiornalismi. La
nuova informazione nell’età di Internet, Guerini e Associati, Milano 2001. Mario Morcellini
individua quattro “punti di crisi” nella “problematicità della percezione sociale degli operatori”,
nella “cultura e formazione degli operatori”, nell’“impatto degli assetti proprietari” e nella crisi
del prodotto generalista. A nostro avviso, variabili centrali anche in questo caso.
13
Si potrebbero citare numerose pubblicazioni in questo senso – che hanno origine dalle
prese di posizione recenti di Popper e Sartori ma che possiamo rintracciare anche nella tradizio-
ne della Teoria critica della Scuola di Francoforte – ma preferiamo citare a titolo di esempio
quegli interventi che rivedono e superano questo “pregiudizio”. Cfr. A. Abruzzese, A. Miconi,
Zapping. Sociologia dell’esperienza televisiva, Liguori, Napoli 1999; M. Morcellini, Passaggio
al futuro. Formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, Franco Angeli, Milano 1997;
e La tv fa bene ai bambini, Meltemi, Roma 1999.
14
A. Abruzzese, L’intelligenza del mondo, Meltemi, Roma 2001, pp. 204-205.

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Capitolo II - Se la notizia è clandestina. Il monitor su informazione e immigrazione

le all’interno del proprio panorama 15; occuparsi dei media come “strumento di
metabolizzazione simbolica della realtà” 16 più che della sua semplice illustra-
zione. Per questo motivo, la difficoltà dei media si inserisce, è parte, della
difficoltà (di settori) della società e delle sue élite nel confrontarsi con l’inno-
vazione, accettarne l’esistenza e conviverci.
Questo tema è entrato nel dibattito pubblico nella seconda metà del Novecen-
to quando un sistema dei media arretrato doveva confrontarsi con una serie di
soggetti e linguaggi esclusi di fatto dal panorama offerto dall’informazione e
dall’intrattenimento. Le migrazioni interne sono state par larga parte della recen-
te storia d’Italia l’alterità con cui confrontarsi: schiere di emigranti dal Meridio-
ne che si imbattevano in una serie radicata di pregiudizi e diffidenze riproposte
dai mezzi di informazione. I cambiamenti sociali e politici, di volta in volta,
hanno reso necessaria l’immissione di sempre nuove figure sociali all’interno
della scena collettiva impersonata dai territori dei media: alternativamente allora
le subculture metropolitane, i “giovani proletari”, i movimenti politici e sindaca-
li, le minoranze fino alle emergenze della società dei consumi hanno fornito una
serie infinita di clichè narrativi per l’informazione 17. Lo straniero, l’estraneo, lo
strano, il diverso: figure stereotipe, spesso assimilate all’immagine del deviante
e del criminale 18. Figure che permettono di riconoscere il mondo, di renderlo
comprensibile distinguendo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è
normale da ciò che è anomalo, ciò che è familiare da ciò che straniero.

2.5. Lo straniero e il deviante

In passato il linguaggio e i contenuti della Tv generalista, della radio e, in


parte, della stampa apparivano triviali, quando non kitsch, proprio in virtù del-
la loro capacità di fagocitare, spettacolarizzandole, tutte le sfumature espresse
dalla società dei consumi diffusi. Ora ci sembra di assistere ad un processo
inverso: i linguaggi generalisti appaiono chiusi all’interno del proprio autore-

15
Cfr. A. Volterrani, Panorami sociali…, cit. In quel caso come in questo il riferimento per
il concetto di panorama è ai noti panorami culturali (scapes) elaborati da Arjun Appadurai in
Modernità in polvere, Meltemi, Roma 2001 (1996).
16
A. Abruzzese, L’identità mediale degli italiani, Marsilio, Venezia 2001, p. 65.
17
Si affronterà nello specifico questo argomento nel capitolo dedicato ai fatti di cronaca.
18
Il deviante è in questo senso la figura cardine non solo per la raffigurazione degli immigra-
ti, infatti – nella tradizione sociologica a cui ci riferiamo – l’immagine del criminale permette di
identificare un alterità, etichettandola nello stesso tempo, e di non perturbare l’ordine “naturale”
delle cose. Nelle parole di Stanley Cohen: “il così ampio spazio fornito dai mass media alla
devianza ha fatto ritenere ad alcuni sociologi che questo interesse funzioni in modo da rassicu-
rare la società che le linee di confine tra il conformista e il deviante, il buono e il cattivo, il sano
e il malato siano tuttora valide”: S. Cohen (a cura di), Images of Deviance, Penguin,
Harmondsworth 1971, p. 10, traduz. nostra.

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FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

ferenziale meccanismo di produzione e funzionamento; sempre nuovi “settori


sociali” ne sono esclusi, resi invisibili. Proprio oggi che a molti i linguaggi
generalisti dei mezzi di massa sembrano logori, questa distanza si ripropone: e
si ripropone proprio in virtù dell’opportunità offerta dalle nuove tecnologie di
rappresentare un veicolo per le culture espulse da un’“audience generale” or-
mai ristretta, ormai confinata entro strati sociali limitati o semplicemente in
una rappresentazione semplificata, astratta e sintetica della convivenza civile,
limitata a pochi grandi eventi o alla “semplice” costruzione del sé collettivo e
quindi alla relazione con l’esterno e con l’Altro. Con lo straniero, appunto.
È questa a nostro avviso la questione evidenziata, ad esempio, dal sempre
più vivace rapporto tra realtà del Terzo settore e media, come appunto tra co-
munità immigrate, organizzazione sociale diffusa e informazione. In qualche
modo questa incapacità del sistema dei media si esprime in due direzioni,
verso due oggetti. Il primo, interno, è quello costituito dal “normale” e non
troppo spettacolare quotidiano: una realtà costituita dall’estrema modernità
individualista e personalizzata e dall’altrettanto estrema costruzione comuni-
taria dell’associazionismo e del non profit 19. Il secondo è esterno: è l’irrompe-
re di nuove realtà, estetiche ed etiche, global e glocal, rappresentate dalla glo-
balizzazione del panorama dei media (mediascape) e da quello dei flussi di
persone, dei migranti (ethnoscapes) 20.
Se il secondo mette in campo le capacità del nostro immaginario collettivo
di riconoscere e comprendere l’Altro, il primo pone in questione quella dei
mezzi di informazione di riconoscere la figura dallo sfondo, di costruire una
realtà evenemenziale distante dall’orizzonte effettivo delle notizie, ovvero in
altri termini lo iato tra eccezione e norma, tra devianza e regola. Mentre il
primo mette di nuovo in gioco la caratteristica dei media di rappresentare l’ec-
cessivo e il diverso piuttosto che la normalità dei fenomeni sociali, consenten-
do di comprendere e anticipare i cambiamenti 21, il secondo chiama in causa la

19
Il rapporto tra terzo settore e sistema dei media e più in generale della presenza di “socia-
le” nell’informazione è oggetto da qualche anno di riflessione e dibattito. Cfr. in proposito S.
Trasatti, “Non profit e comunicazione” in U. Ascoli (a cura di), Il Welfare futuro: manuale
critico del terzo settore, Carocci, Roma 1999; A. Volterrani, Esclusione ed inclusione. Il dilem-
ma della comunicazione della solidarietà, “Rivista Italiana di Comunicazione Pubblica”, n. 6,
Franco Angeli, Milano 2001; R. Frisanco, S. Transatti, A. Volterrani, La voce del volontariato,
Fivol, Roma 2000.
20
A. Appadurai, Modernità in polvere, cit.
21
Questa constatazione è stata per anni oggetto di dibattito internazionale intorno alla rap-
presentazione mediale della devianza e ha il suo corrispettivo italiano negli scritti di quegli anni
di Umberto Eco. Il semiologo infatti, riferendosi ai criteri di scelta del giornalismo, metteva in
evidenza l’inversione del procedimento delle scienze sociali. La tradizione scientifica ricerche-
rebbe il ripetitivo e il tipico mentre la “historie evenemetielle” (Morin) dell’industria dell’infor-
mazione tende a “magnificare anche eventi minori pur di trovare eventi eccezionali e a ripudiare
i rapporti con il continuo e il ripetitivo come antigiornalistici” (U. Eco, “C’è un’informazione
oggettiva?”, in Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1983, p. 140).

22
Capitolo II - Se la notizia è clandestina. Il monitor su informazione e immigrazione

capacità della società italiana di confrontarsi con gli scenari globali costruendo
un possibile “sguardo cosmopolitico” 22. Se il secondo è lo specifico di questa
analisi, il primo ne costituisce il problema di fondo, l’ambito in cui crediamo
sia corretto inserirlo.
Superando allora definitivamente la dicotomia tra realtà (vera) e rappresen-
tazione (mediata), società e finzione, occorre evitare la tentazione di imputare ai
media un ruolo maggiore di quello che possono svolgere, o meglio contare in
una soluzione solo mediale, risolvere di fatto il problema con una rappresenta-
zione corretta. Si tratterebbe di una soluzione doppiamente inadeguata: da una
parte, riproporrebbe una concezione onnipotente degli effetti dei mass media del
tutto superata; dall’altra, evita di confrontarsi con le concrete cause del suo farsi.
Da una parte non comprenderebbe l’atteggiamento dei media all’interno dei co-
muni processi culturali, alla nostra impreparazione verso i mutamenti sociali, ai
pregiudizi diffusi nella popolazione e nelle sue élite, dall’altro non comprende le
concrete e interne regole di funzionamento dei mass media, non si confronta con
i suoi principi di rappresentazione. Il punto è quello di accertare quanto il sostrato
comune di intolleranza e pregiudizio – che non può miracolosamente escludere i
professionisti dell’informazione – si traduca in una serie di regole implicite di
accentuazione della devianza e della distanza culturale dei migranti costruite su
stereotipi e generalizzazioni tuttora presenti nella società italiana, ovvero se il
comportamento dei media si possa spiegare solo attraverso le regole della narra-
zione giornalistica o con la quotidianità del lavoro nella “cucina redazionale”.
Da una parte avremo allora l’orizzonte sociale della produzione delle notizie, le
circostanze culturali della presentazione dell’altro (lo sfondo della nostra ricer-
ca), dall’altra la spiegazione funzionale di quella rappresentazione, la quotidianità
del suo esprimersi, il suo confrontarsi con l’opinione pubblica (l’oggetto della
nostra ricerca).
Il tutto si concretizza in una domanda conclusiva. Ancora oggi l’industria
culturale, ovvero la cultura italiana, ripropone quello sguardo stereotipo con
cui fino ad ora si è confrontato con quelle alterità interne e esterne di cui si è
parlato? Potrebbe ancora incorrere negli “incidenti” mediali e politici occorsi
nella breve storia dell’Italia come paese di immigrazione?

2.6. Mai più Novi Ligure?

La storia del rapporto tra mass media italiani e immigrazione è piuttosto


travagliata. Non ha avuto un percorso lineare o omogeneo, all’opposto – come
spesso accade con l’industria culturale – si è dispiegato in eventi e accidenti, in
lunghe elaborazioni e brevi accelerazioni. Una serie di episodi hanno promos-
so il tema alla pubblica attenzione e progressivamente hanno provocato una
presa di coscienza, soprattutto da parte del giornalismo, dalle nuove questioni

22
Cfr. U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma 1999.

23
FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

che venivano poste alla società italiana dai fenomeni migratori. La storia degli
ultimi venti anni è costellata allora da quattro successive leggi, una serie di
emergenze legate a regolarizzazioni e sbarchi e ad una serie meno cospicua di
eventi mediali 23.
Uno dei momenti più rilevanti è stato sicuramente il caso mediatico costitu-
ito dai fatti di Novi Ligure 24. Se per l’opinione pubblica questo ha rappresenta-
to “semplicemente” un forte, e forse memorabile, fatto di cronaca – insieme
caso giudiziario e sociologico, fatto angosciante e giallo poliziesco – per la
professione giornalistica ha rappresentato una rottura. A suo modo un trauma.
Come si ricorderà l’efferato fatto di cronaca, l’assassino cruento di madre e
figlio in una cittadina della provincia piemontese, conobbe un’eco mediale
immediata. La figlia sopravvissuta all’eccidio, “ancora sotto shoc”, accusò una
“banda di albanesi” della strage. La notizia di cronaca nera, già destinata ad
avere una cospicua presenza nelle prime pagine di giornali e telegiornali, si
arricchiva di un circostanza originale che divenne parte evidente ed evidenziata
della notizia. Pur in assenza di conferme o dettagli, la voce della presenza di
immigrati nella zona divenne l’oggetto dei titoli dei giornali, delle descrizioni
di cronisti e delle “reazioni” della società civile. Per alcuni, pochi, giorni la
caccia alla gang di stranieri e i pericoli della “malavita immigrata” sovrastaro-
no l’attenzione sulle indagini. Indagini che fecero emergere presto la verità
spostando lo scandalo sul comportamento dei mezzi di informazione.
Si mostrò in quel caso come il connubio tra i clichè dell’informazione, la
riproposizione di figure devianti stereotipate, lo scatenamento dei peggiori umo-
ri collettivi abbia prodotto non solo un “panico morale” ma una estrema defor-
mazione della realtà 25, la demonizzazione dell’Altro. In quel caso, come in quel-
lo del “pirata Albanese” Bita Panajot, la nazionalità del protagonista vero o pre-
sunto del fatto di cronaca viene riportata dai giornali in maniera all’apparenza
innocente. La vicenda di Torre Angela, grazie ad un’escalation di sviluppi e rive-
lazioni, è entrata nei gorghi del dibattito politico incarnando una serie di paure
collettive, è divenuta un evento mediatico che ha fatto di una caratteristica somatica
o “etnica” marginale il principale tema di attenzione. Se nel caso di Novi Ligure
l’esasperazione si è manifestata nella costruzione della notizia, nel secondo que-
sta – un incidente automobilistico mortale in un quartiere periferico di Roma –

23
Per una ricostruzione della “storia migratoria” italiana, cfr. L. Balbo L. Manconi, Razzismi
reali, Feltrinelli, Milano 1992; e I razzismi possibili, Feltrinelli, Milano 1990; M. I. Macioti, E.
Pugliese, L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia, Laterza, Roma-Bari 2003.
24
Un’accurata ricostruzione del caso di Erica e Omar, e di quello che si citerà più avanti di
Bita Panajot, è rintracciabile in L. Bernardi, A sangue caldo. Criminalità, mass media e politica
in Italia, DeriveApprodi, Roma 2001.
25
In realtà, il “panico morale” – così come definito dalla riflessione sociologica inglese
negli anni Settanta – ha il suo fondamento proprio nell’esagerazione e la deformazione delle
proporzioni “reali” dei fatti. Cfr. E. Goode, N. Ben-Yehuda, Moral Panic. A social construction
of Deviance, Blackwell, Cambridge (Ma)-Oxford 1994. In proposito si veda il capitolo dedicato
alle Fonti, infra.

24
Capitolo II - Se la notizia è clandestina. Il monitor su informazione e immigrazione

ha dato origine ad una reazione eccessiva rispetto alla normale prassi “tra italia-
ni”. La pena inflitta per omicidio colposo, le attività criminali del suo protagoni-
sta, la “validità” del suo permesso di soggiorno sono infatti diventate oggetto di
una pubblica controversia, un circo mediatico-giudiziario (e politico) 26.
In entrambi i casi l’evento da fatto ordinario si è trasformato in un momento
eccezionale, e il ruolo svolto dai media si è semplicemente aggiunto a quello
degli altri attori abitualmente presenti in caso di “panico collettivo”: le forze
dell’ordine, i gruppi di pressione, le forze politiche, le reazioni dell’opinione
pubblica 27. I media hanno recitato il ruolo di attori e al tempo stesso offerto il
“terreno di gioco”: fornendo interpretazioni e fatti, individuando colpevoli e pro-
tagonisti, lasciando spazio a fonti e diatribe. La nostra ricerca si è concentrata
solo su alcuni di questi attori cercando le spiegazioni anche di questi casi ecce-
zionali nella quotidianità della rappresentazione mediale e della sua origine 28.
Di nuovo sono due i possibili livelli di analisi, il primo rimanda alla consa-
pevolezza e preparazione “culturale” del “campo giornalistico” 29 nel trattare e
rappresentare – persino negli avvenimenti di cronaca – la diversità incarnata
dagli stranieri presenti in Italia e soprattutto sulla loro presenza nelle notizie. Il
secondo ci riconduce al ruolo svolto dalle consuetudini organizzative e lingui-
stiche che guidano realizzazione e diffusione dell’informazione. Lo scandalo
provocato dal caso Novi Ligure ha generato un’inedita attenzione al proprio
lavoro da parte dei giornalisti, ha imposto una riflessione sulle questioni
deontologiche implicate nel trattamento degli stranieri, le condizioni produtti-
ve in cui questo errore è maturato appaiono però immutate. È allora il momen-
to di scendere nel dettaglio del disegno della ricerca per poi passare ad illu-
strarne i principali risultati.

26
Cfr. Daniel Soulez Lariviere, 1993, Il circo mediatico-giudiziario, Liberilibri, Macerata
1994. Per alcune ricerche italiane sul rapporto tra media e casi giudiziari cfr. invece P. Giglioli,
S. Cavicchioli, G. Fele, Rituali di degradazione. Anatomia del processo Cusani, Il Mulino,
Bologna 1997; M. Catino, Sociologia di un delitto, Sossella Editore, Roma 2001; G. Fatelli, Il
desiderio della legge, Meltemi, Roma 1999.
27
Cfr. E. Goode, N. Ben-Yehuda, op. cit., pp. 24-29. L’ultimo attore è proprio il “folk devil”, la
“personificazione” simbolica del male prevalentemente rappresentato da figure devianti. In questi
termini i fenomeni di “panico morale” consentono di delimitare moralmente e normativamente i
“limiti di quanta diversità può essere tollerata dalla società” (p. 29). Traduz. nostra.
28
L’attività di ricerca sulle NOTIZIE non si è concentrata su casi eclatanti di cronaca né su
momenti di forte dibattito politico o di “emergenze” legati agli sbarchi, non perché mirava ad
depurare da possibili “distorsioni rispetto ai risultati” – una preoccupazione che come Carlo
Marletti non condividiamo affatto (C. Marletti, Extracomunitari…, cit., p. 70) – piuttosto il
nostro fine era di analizzare il comportamento dei media nelle normale trattazione di cronaca e
nel corso di eventi “di media grandezza” proprio per poterla correlare alla quotidianità delle
routine giornalistiche.
29
Il concetto è utilizzato da Giovanni Bechelloni, che riprende una nozione di Bourdieu. Cfr.
G. Bechelloni, Giornalismo o postgiornalismo, Liguori, Napoli 1995.

25
FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

2.7. Il disegno della ricerca: le notizie, il pubblico, le redazioni

La ricerca proposta ha scelto, anzitutto, di circoscrivere il campo d’analisi


alla sfera dell’informazione: un genere in grado di rendere più trasparente il
dibattito pubblico, di cui mostra in filigrana e “in tempo reale” le sensibilità, le
infiammazioni, le metafore ricorrenti, le distorsioni. In confronto, l’intratteni-
mento appare un genere meno aggressivo rispetto agli schieramenti ideologici
e agli orientamenti normativi individuali: uno strumento di elaborazione cultu-
rale più soft, per ciò stesso già rivelatosi probabilmente più efficace nel prepa-
rare il terreno ad una società italiana più empatica e aperta al policentrismo
etnico e culturale 30.
Coerentemente con simili premesse e avvertenze, l’obiettivo di fondo della
ricerca – analizzare l’immigrazione nella sua doppia natura di “realtà” e “rap-
presentazione” sociale, al pari della maggior parte dei fenomeni contempora-
nei – è stato quindi declinato lungo le tre già citate direttrici di analisi:
a) le forme e i contenuti della rappresentazione mediale dell’immigrato e
– ad una maggiore estensione del campo visivo – del fenomeno dell’im-
migrazione, anche in termini del suo rapporto (e spesso della sua
dissociazione) rispetto alla “realtà” rappresentata dalle statistiche uffi-
ciali e dagli operatori del settore 31;
b) l’incidenza delle pratiche professionali e delle routine organizzative
proprie del giornalismo: il loro effetto nel determinare specifiche moda-
lità di approccio e di trattazione del tema, a partire da quelle distorsioni
e quei “tic” involontari che, fin troppo spesso, vengono recriminati con-
tro il sistema dei media;
c) la relazione tra l’offerta informativa e l’immagine dell’immigrazione
condivisa dai cittadini, secondo una prospettiva che chiama in causa gli
effetti propriamente indiretti e a lungo termine dei mezzi di comunica-
zione sulla formazione dell’opinione pubblica.
Sul piano delle scelte metodologiche, l’indagine sulle notizie (Parte I) è
stata condotta attraverso analisi del contenuto e del lessico testuale degli otto
quotidiani maggiormente diffusi in Italia e a Roma 32. La panoramica sulla car-

30
Su questo argomento, si veda anche: G. Bettetini, Capirsi e sentirsi uguali. Sguardo
sociosemiotico al multiculturalismo, Bompiani, Milano 2003, pp. 89-94.
31
Questi ultimi appaiono peraltro protagonisti di uno sforzo sempre più strategico e consa-
pevole di avvicinamento alla conoscenza e alla sensibilità degli operatori dei media. Tra gli
esempi possibili (molti dei quali maturati nel contesto comunitario delle iniziative Equal), basti
pensare alla vera e propria operazione culturale e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica
promossa annualmente attraverso il Dossier Caritas-Migrantes: un’iniziativa che, giunta nel 2004
alla sua XIIII edizione, ha puntato negli anni ad allestire un serbatoio statistico di informazioni
correnti sui flussi migratori.
32
Le testate sono state selezionate secondo il criterio della tiratura a livello nazionale (sulla
base dei dati ADS relativi all’anno 2001) e, quindi, nell’ordine: Il Corriere della Sera, La Re-
pubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Messaggero, Quotidiano Nazionale (ovvero, le allora

26
Capitolo II - Se la notizia è clandestina. Il monitor su informazione e immigrazione

ta stampata è stata quindi integrata da analisi del contenuto dei sei più diffusi
settimanali 33, di tutti i telegiornali nazionali 34 e delle principali trasmissioni di
approfondimento televisivo 35.
Quanto all’analisi dei concreti meccanismi di funzionamento delle redazio-
ni (Parte II), è stata effettuata attraverso osservazione etnografica all’interno di
alcune organizzazioni giornalistiche (quotidiani, telegiornali, agenzie di stam-
pa) 36: un approccio di ricerca mutuato dalla tradizione del newsmaking e anco-
ra scarsamente sviluppato nel contesto italiano, nonostante le sue oggettive
potenzialità di descrizione in “presa diretta” del lavoro redazionale e delle
routine produttive dei media. Questa analisi è stata quindi approfondita attra-
verso un’apposita indagine sulla vision dei quadri decisionali e del manage-
ment redazionale: interviste a testimoni privilegiati del settore (direttori, vice-
direttori e caporedattori), tra cui alcune “grandi firme” del giornalismo italiano
a stampa e radio-televisivo 37.
Infine, l’analisi del pubblico (Parte III) è stata sviluppata secondo una du-
plice strategia di indagine. Da una parte, è stata realizzata un’inchiesta su un
campione di 400 cittadini romani maggiorenni, tesa a offrire uno spaccato del-
l’opinione pubblica in uno scenario urbano del tutto peculiare quale quello
della Capitale; dall’altra, sono state somministrate 30 interviste qualitative che
scandagliassero in profondità lo scenario tracciato grazie ai dati quantitativi,
attraverso una visione più dinamica e processuale delle percezioni e dei vissuti
dei “pubblici effettivi” dell’informazione.

Per una coincidenza tutt’altro che singolare, i risultati dell’indagine sulla


rappresentazione mediale convergono con le inquietudini e i convincimenti
condivisi dal pubblico. Criminalità, politica e lavoro: è intorno a queste di-
mensioni chiave che il fenomeno dell’immigrazione continua ad accedere alla
dignità di notizia. I crimini commessi da immigrati, analogamente a quelli che
li vedono coinvolti come vittime o testimoni, appaiono infatti dominanti nella

comuni pagine nazionali delle testate regionali Giorno, Nazione e Resto del Carlino) e Il Gior-
nale. Per corrispondere all’attenzione locale relativa alla città di Roma, è stato incluso nel cam-
pione anche Il Tempo, secondo per importanza solo a Il Messaggero e alla cronaca cittadina de
La Repubblica.
33
Gente, Sette/TV sette, Famiglia Cristiana, Panorama, L’Espresso, Il Venerdì di Repubblica.
34
Tg1, Tg2, Tg3, Tg5, Studio Aperto, Tgla7.
35
Otto e mezzo, Maurizio Costanzo Show, Porta a Porta, Primo Piano.
36
Tg1, Tg La7, L’Unità, Il Manifesto, ADNkronos, Ansa, Corriere dell’Umbria.
38
Sono stati intervistati: Gianni Berardengo (caporedattore Quotidiano Nazionale), Riccardo
Berenghi (allora Direttore de Il Manifesto), Antonio Carlucci (caporedattore L’Espresso), Car-
mine Fotìa (vicedirettore Tgla7), Paolo Garimberti (vicedirettore La Repubblica), Francesco
Giorgino (vicecaporedattore Tg1), Rita Pinci (caporedatttore La Stampa), Bruno Socillo (diret-
tore Rai Radio 1).

27
FuoriLuogo - L’immigrazione e i media italiani

normale trattazione informativa; in alternativa, il tema può entrare nell’agenda


di quotidiani e telegiornali in presenza di una polemica politica, sulla scia di
nuove norme, oppure per la rilevanza economica del fenomeno. Dal punto di
vista dei cittadini, uno stereotipo tra i più consueti è che siano “troppi” gli
irregolari che sbarcano sulle coste e sugli schermi degli italiani, “troppi” i
musulmani, “troppi” gli immigrati che delinquono. Ma sembra eccessiva an-
che la facilità con cui la nazionalità del colpevole diventa puntualmente l’uni-
ca notizia rilevante; ricorrente l’associazione dello status giuridico di “irrego-
lare” a crimini, criminali e vittime; quasi sbalorditiva la facilità con cui gli
sbarchi conquistano le prime pagine e l’attenzione pubblica.
Nel panorama di luci e ombre dell’informazione italiana, a lasciar ben spera-
re è soprattutto il punto di vista dei destinatari delle news, sintomatico di molte
contraddizioni irrisolte e, al tempo stesso, della stessa direzione del loro possibi-
le superamento. Il pubblico appare infatti fortemente disinformato e – quasi per
paradosso – assolutamente reattivo alla concretezza dei problemi in campo; at-
tento alla realtà e scontento delle proprie conoscenze, del modo in cui viene
quotidianamente informato dai mezzi di comunicazione. E i segnali positivi non
finiscono qui: le comunità straniere e le associazioni appaiono sempre più pronte
a farsi voce e fonte dell’informazione, a supporto di un giornalismo che rischia
costantemente di essere schiacciato dalla velocità e moltitudine degli eventi; di
avvitarsi – quasi fisiologicamente – sulla spirale del qui e ora.

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