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Una domenica dal buio alla luce, con la Resurrezione di Mahler

In un sereno pomeriggio domenicale ci apprestiamo a un grande viaggio alla scoperta di


Mahler.
Questo autore è un profeta del Novecento, sebbene il suo linguaggio appartenga al tardo
romanticismo; e ci sono diversi aspetti della sua estetica musicale che lo riconducono alla
musica moderna. Siamo infatti di fronte a un compositore che rappresenta forse il caso più
complesso di inattualità.
Leonard Bernstein, grande interprete delle sinfonie di Mahler, disse: «Mahler dice cose nuove
con un linguaggio vecchio». La sua modernità, infatti, e il suo essere uomo del Novecento, si
colgono perfettamente in uno sviluppo “progrediente” della tonalità, che la compromette
fortemente: una composizione di Mahler può cominciare in una tonalità e terminare in
unʼaltra, dato che questa progredisce con la forma stessa.
E infatti come non pensare allʼuso che fa dei motivi popolari nella sua musica? Un
procedimento che di per sé non era innovativo, avendo già avuto esempi illustri nellʼopera di
vari esponenti delle scuole nazionali a lui contemporanee; ma la sensibilità con cui egli lo
declina è di per sé estremamente moderno perché volto a una lettura psicologica e evocativa
di quel mondo popolare che evita sempre la banalità, spesso in agguato in alcuni suoi colleghi.
Ulteriore elemento di novità nel sinfonismo mahleriano è - come nellʼesempio che ci
apprestiamo a recensire, la Sinfonia n. 2 - la commistione con il genere del Lied, ancora una
volta legato con il mondo popolare e da lì assiduamente praticato sia come genere da camera
sia come composizione con orchestra.

La Seconda sinfonia, assieme allʼOttava, rappresenta una eccezione nel catalogo mahleriano, in
quanto fu uno dei pochi lavori che riscosse successo durante la sua vita.
Asher Fisch ha condotto con maestria il pubblico del teatro Comunale alla scoperta di questa
sinfonia, che si divide in cinque monumentali movimenti: il primo nasce dal buio, Totenfeier,
cerimonia funebre, e comincia con un cupo trascinarsi verso il basso dei frammenti del tema
principale in do minore, per approdare nella serenità del secondo movimento. La
contrapposizione tra i due momenti è tale che Mahler stesso chiede, in partitura, di fare una
pausa di almeno cinque minuti tra i due tempi, indicazione purtroppo non rispettata.
Il terzo movimento, in forma di scherzo, fu definito dallʼautore «uno strano pezzo di
spaventevole grandezza». È basato su uno dei Lieder del Des Knaben Wunderhorn e
caratterizzato da agili e scivolose sestine che pervadono tutto il brano.
Nel quarto movimento appare per la prima volta la voce eterea di Lioba Braun in Urlicht (la
luce primordiale); sappiamo che Mahler voleva che il contralto cantasse «come un bambino
che si immagina essere arrivato in paradiso». Si passa infine al luminoso finale sui versi del
canto sacro di Friedrich Klopstock e dello stesso Mahler.
Gli ultimi movimenti sono senza soluzione di continuità, come se fosse in atto il germogliare
continuo e costante di una luce primitiva. Questa si manifesta per la prima volta come un
bagliore in Urlicht, quindi arriva a convertirsi in luce abbagliante nellʼultimo movimento, lʼode
di Klopstock.
Avendo il piacere di assistere al concerto dalla prima fila, oltre le eccellenti doti musicali delle
due soliste – il soprano Charlotte-Anne Shipley e, in particolare, il mezzosoprano Lioba Braun
– lʼascolto è stato trascinante: la sinfonia non si è presentata a me in un blocco unico da
fronteggiare, ma quasi fossi stata portata a viverla dal di dentro.
Dal punto di vista tecnico, ritengo che non debbano mai essere sottovalutati i movimenti
valzer o ländler che emergono così numerosi in Mahler, perché si tratta di tempi alquanto
delicati: durante il concerto, nel secondo movimento e nello Scherzo non si è riscontrata la
stessa cura impiegata invece nellʼapoteosi finale, che ha raggiunto in pieno gli obiettivi
comunicativi con una gloria raggiante e un tripudio di luci abbaglianti.

Tuttavia, sia il trasporto sia lʼattenzione in sala da parte del pubblico erano notevoli, grazie
anche a una musica che è davvero universale e risveglia in noi tutti un richiamo “primitivo”,
che tanto partecipa con le domande sulla natura dellʼuomo, sul buio e sulla luce.
Ascoltando il primo movimento, la signora seduta affianco a me ha iniziato involontariamente
e allegramente a “dirigere” con gesti avulsi della mano e, essendo lʼelemento ritmico molto
forte, è ben comprensibile che per la donna fosse impossibile resistere alla tentazione di
prendere parte al richiamo anche se solo con un gesto.
Benché questa partecipazione sia quasi ridicola, mi ha ricordato il faustiano “du glaubst zu
schieben und du wird geschoben” (“tu credi di sospingere e sei sospinto”). A stonare con
lʼallegrezza della manina era, tuttavia, lʼatmosfera tragica e luttuosa, cadenzata dal passo di
marcia funebre, in cui questo gesto risultava ancora più ridicolo. Ma non se ne voglia alla mia
ingenua vicina che, a ogni modo, ha trovato una strada sincera per la bellezza.
La stagione sinfonica del Comunale questʼanno ha in programma ben tre volte capolavori del
repertorio mahleriano: un mese fa la Sesta, domenica scorsa la Seconda e in autunno la Quinta,
che aspettiamo con gioia e curiosità.
Matilde Bianchi

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