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Autovalutazione cognitiva QRM24-2019 di Jean Michel Bonneaud

1) Gli undici punti considerati curativi all’interno del gruppo d’incontro, sono riconducibili a un processo
di cambiamento veicolati in primo luogo dall’informazione, poi successivamente tramite l’infusione
della speranza, ovvero che ci possa essere speranza nel cambiamento. Il terzo punto è legato
all’universalità dei temi trattati, cioè come questi temi possano riguardare unitamente e a più livelli
le varie persone. Tematiche universali possono essere la morte, la vita, le relazioni di coppia, quelle
con i genitori e altri aspetti analoghi. Il quarto è legato all’altruismo, ovvero la possibilità di potersi
sperimentare come generosi nella condivisione e nel fornire supporto agli altri e ai loro vissuti. Il
quinto aspetto riguarda la possibilità di poter rivivere e di poter correggere dinamiche irrisolte e
conflittuali a livello familiare. Il settimo punto è caratterizzato dal comportamento imitativo, cioè
l’avere la possibilità da parte dei partecipanti di poter modellare il proprio comportamento su quello
degli altri se è ritenuto efficace. L’ottavo punto è l’apprendimento interpersonale sotto forma di
insight o di n processo di consapevolizzazione dei propri vissuti interni. Il nono punto, ovvero la
coesione di gruppo, ovvero come l’elemento costituente del gruppo è la sua forza. La catarsi il decimo
punto e rappresenta la possibilità che il grippo d’incontro possa favorire e permettere il rilascio di
emozioni represse. L’undicesimo punto è la possibilità di affrontare temi esistenziali profondi
.
2) Il processo di cambiamento avviene principalmente attraverso l’applicazione delle condizioni
facilitanti esposte da Rogers. Attraverso l’empatia viene dissolto il senso di alienazione e solitudine
e il soggetto, sentendosi apprezzato e oggetto di cure si sentirà accettato per quello che è, attraverso
l’accettazione positiva e incondizionata potrà sentirsi libero di essere sé stesso e non giudicato
sentendosi al contempo accettato e capendo di poter correre il rischio di poter portare il suo vero sé
all’interno della relazione con il terapeuta. Quando la persona si sente intimamente capita può
scoprire di essere in grado di aprirsi a una più ampia gamma di esperienze esperite, diventando via
via più competente nel riferire il suo fluire dell’essere. Le emozioni, che negli stadi più bassi sono
inaccessibili, diventano prima riferibili al passato e via via maggiormente ancorate al qui e all’ora.
L’esperienza negli stadi iniziali risulta essere distorta da una serie di costrutti rigidi e percepiti come
immodificabili, con il progredire della terapia iniziano piano piano ad “addolcirsi” e a rendersi prima
più consapevoli e con il tempo modificabili arrivando con il tempo a riuscire a simbolizzare la propria
esperienza in maniera sempre più flessibile.
3) Il modello psicopatologico relativo alla psicoterapia centrata sulla persona, trova le sue basi nella
rigidità e nell’impossibilità da parte del soggetto di poter codificare, simbolizzare e integrare nel
proprio campo esperienziale le esperienze che fa, distorcendole perché per lui minacciose per
l’integrità del proprio sé. La pre-terapia è un modello di terapia ideato da Gary Prouty che si fonda
sul rendere il cliente, che si trova in uno stato di impossibilità di poter accedere ai suoi vissuti a causa
di una patologia psichiatrica molto grave e che quindi per le sue caratteristiche non sarebbe un
candidato ideale per la terapia. Attraverso la pre-terapia si vanno a creare delle basi minime di
funzionamento in modo da permettere all’individuo di accedere al trattamento.
4) Nell’ottica del trattamento dei disturbi di personalità è importante effettuare una buona diagnosi
funzionale, poiché questa permette di comprendere il funzionamento dell’altro in modo da essere in
grado di valutarne come questi aspetti influiscono sulla sua vita e sul suo funzionamento. Per poter
lavorare efficacemente con queste persone bisogna saperne riconoscere le vulnerabilità. Il disturbo
di personalità influisce sul funzionamento della persona e sulla capacità del soggetto di autogestirsi.
Questo tipo di disturbo è rigido e immodificabile perché la sua pervasività distacca la persona dalla
sua percezione dell’esperienza.
5) I comportamenti non facilitanti riguardano la tendenza del facilitatore a spostare il livello del discorso
a un livello maggiormente cognitivo, allontanando il gruppo dal vissuto emotivo sottostante,
diventando in questo modo più un docente che un facilitatore dell’incontro. Un altro dei
comportamenti non facilitanti è l’allagare il gruppo con i propri vissuti contribuendo in questo modo
a non rendere il gruppo n luogo sicuro per la propria condivisione. Un altro errore potrebbe essere il
focalizzarsi eccessivamente sul vissuto di un singolo, senza aprire al gruppo, rendendo in questo
modo il gruppo una specie di terapia individuale. Un altro rischio che mina la libertà e la possibilità
di creazione di un clima di fiducia è rappresentata dalla direttività del facilitatore, che con questa
mossa depriva il gruppo del proprio potere e della possibilità di autodeterminarsi.
6) La teoria dell’attaccamento vede nelle figure primarie le figuri determinanti per la possibilità del
bambino di sperimentare il suo legame relazionale. Se il genitore sarà stato sufficientemente capace
di creare autonomia, presenza e costanza di accogliere le richieste del bambino, questo si sentirà
sufficientemente sicuro e che la figura primaria sarà lì in caso gli serva e che lo protegga, questi
modelli relazionali verrà poi perpetrato nell’età adulta. In caso le figure genitoriali non siano state
sufficientemente capaci, il Bambino non si sentirà sicuro di potersi sperimentare come amabile o
degno di attenzioni. Credo che il punto di contatto con la teoria rogersiana risieda proprio
nell’importanza data da Rogers alle figure primarie come elemento che può facilitare o ostacolare,
attraverso il meccanismo di perdita dell’affetto della persona criterio se non si fa quello che desidera,
il processo di saggezza organismica e di simbolizzazione dell’esperienza che il bambino possiede fin
dalla nascita. Il bambino per non rinunciare all’amore e alla relazione con la figura genitoriale è
pronta a introiettare costrutti e valori non propri.
7) Penso che una relazione possa definirsi patologica nel momento in cui, non permetta ai propri
membri di poter accedere alla propria esperienza, limitandola o ancor peggio, distorcendola al fine
di mantenere, appunto, il legame che unisce le due persone. Penso che l’ACP possa favorire una
comunicazione chiara e centrata sulla condivisione dei vissuti e come questo contribuisca ad
abbassare il senso di minaccia che il nucleo familiare potrebbe percepire legato al cambiamento,
contribuendo in questo modo allo “sbloccamento” delle dinamiche cristallizzate che impediscono la
crescita dei vari membri del nucleo familiare.
8) Uno degli obbiettivi principali della sessuologia clinica è il riuscire a ripristinare il contatto con se
stessi o riuscire a dare cittadinanza al piacere del singolo. Questo apprendimento avviene
principalmente attraverso un percorso di consapevolizzazione dello schema e del vissuto corporeo.
Credo che il confronto con lo ACP possa risiedere nell’importanza dell’adeguata e corretta
simbolizzazione dell’esperienza corporea da arte dell’individuo come sinonimo di salute mentale.
Attraverso questa corretta simbolizzazione dei propri vissuti la persona può sentirsi libera e in diritto
di sperimentare il piacere.

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