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Per un’introduzione
Capitolo I
Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
.. “Commedia”, – .. “Arte”, – .. Comici e buffo-
ni, – .. Attori e artisti, – .. “Commedia dell’arte”, os-
sia gli attori, – .. Iconografia: maschera neutra, attrici e
allegorie, .
Capitolo II
Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
.. Giulio Camillo, la stampa e il teatro, – .. Le immagini e
la macchina di memoria, – .. L’Accademia degli Infiammati
di Padova, – .. Accademie veneziane e romane e la prima
compagnia, – .. Immagini di memoria e improvvisazioni
teatrali, .
Capitolo III
Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improv-
viso”
.. Le cortigiane nelle compagnie: nuovi documenti, – .. La
donna di palazzo e la cortigiana, – .. Cortigiane e modelle,
– .. Tintoretto e i pittori “all’improvviso”, – .. Il ritratto di
Veronica Franco, – .. La fine delle licenze veneziane, –
.. Isabella Andreini: il ritratto del Veronese e un’ipotesi, –
Documenti, .
Indice
Capitolo IV
I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
.. Su due sonetti di Giovan Paolo Lomazzo, – .. L’Acca-
demia della Val di Blenio e i pittori all’improvviso, – .. Zan
Panza de Pecora, – .. Iconografie, dialoghi e giochi, –
.. Accademici e artisti che recitano, – Documenti, .
Capitolo V
La morte dell’orso
.. Contestualizzazioni storiografiche e riferimenti teatrali, –
.. Isabella Andreini e Zan Panza de Pecora, – .. Arte e teatro
nella Milano borromaica, – .. L’Orso, – .. I Lamenti
dell’Orso, – .. Censura e autocensura dell’Accademia e del
teatro, – Documento, .
Capitolo VI
Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il
teatro dell’Arte
.. Milano magica, – .. Isabella e la Fama, – .. “Virtù,
Fama ed Onor ne fer Gelosi”, – .. Giano ed Ercole (sa-
piente), – .. Giovan Paolo Lomazzo e l’“espressiva”, –
.. Adriano Valerini, Francesco Andreini e Flaminio Scala,
– .. Una macchina di memoria del teatro: Il Teatro delle favole
rappresentative, – .. Gelosi e gelosie, – Documento, .
Appendice
Bibliografia
Ringraziamenti
Per un’introduzione
Per un’introduzione
quel fronte delle immagini che era ancora visto dalla massima
parte dei letterati con il più grande sospetto, e il nuovo teatro
del secondo Cinquecento, ormai maturo e consapevole.
L’ipotesi relativa alle cortigiane oneste ha suggerito di appro-
fondire la ricerca su quel versante e particolarmente a Venezia
(III capitolo), dove le cortigiane, come è noto, godevano di ec-
cezionale libertà e di straordinario prestigio, anche dal punto di
vista culturale. L’indagine iconografica ha riservato non poche
sorprese. Quanto queste ultime fossero direttamente impegna-
te nel teatro ce lo dicono infatti innanzitutto le incisioni del
tempo: quelle veneziane e quelle di un fiammingo apparente-
mente lontano, ma che a queste immagini forse si ispira. In
abiti sontuosi, totalmente assimilabili a quelli delle gentildonne,
oppure con le scandalose “braghesse”, esse accompagnano il
Magnifico e lo Zanni e anche la pittoresca schiera dei personag-
gi comici che siamo abituati a riconoscere: Graziano, Burattino,
Pasquariello e altri. Ed è stata rintracciata anche tutta una serie
di indizi relativi a una consuetudine accreditata: quella delle
cortigiane ritratte dagli artisti per l’impersonazione dei miti,
una consuetudine che sarà accolta e continuata, come è noto,
anche dalle attrici.
La ricerca allargata ha consentito di acquisire alcuni docu-
menti importanti dal punto di vista storiografico e di segnalare
l’importanza di una data, il . Che è tradizionalmente indi-
cata come la data dell’ingresso delle donne nelle compagnie,
ma che è anche espressamente citata in un sonetto del teorico
d’arte Giovan Paolo Lomazzo. Questo documento permette
di arretrare al e dunque di (almeno) otto anni la fonda-
zione della compagnia dei Gelosi e di includere a pieno titolo
nell’indagine l’Accademia della Val di Blenio, un’Accademia
lombarda che, nata in questo stesso come intreccio di ar-
tisti, attori e letterati, accoglieva e sviluppava temi alternativi
alla cultura imperante, dominata, come è noto, dall’arcivescovo
Carlo Borromeo. Nella loro raccolta di componimenti poetici,
i Rabisch, come a delineare territori comuni, si rifiuta l’impo-
sizione del toscano e si usa un dialetto lombardo che è lingua
Per un’introduzione
quelli dei comici e ripensandoli alla luce dei Rabisch e cioè dei
componimenti poetici di un’Accademia. Opere di nobili e di
“facchini”, in italiano e nei dialetti, in prosa e in poesia.
Una metodologia “difficile” e certamente discutibile. Ma è
la natura composita del teatro che sollecita a usarla.
. C , pp. –. Per Croce, come è noto, « “commedia dell’arte”
non è, primariamente, concetto artistico o estetico, ma professionale o industriale»:
«commedia di mestiere» e «teatro buffonesco». Il che non gli impedisce, ovviamente,
di rilevare la grande erudizione e lo spessore culturale di numerosi comici.
. Cfr. T , pp. –.
. Cfr. T–S , p. .
. F , p. . Questo problema è al centro delle indagini di Sara
Mamone (, ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
.. “Commedia”
. Cfr. R. T, Il testo postumo. Strategie promozionali e letterarie degli attori
professionisti, in A , pp. –.
. Cfr. L. M, Il comico dell’Arte e Il Convitato di Pietra, in C–M
, pp. sgg..
. Cfr. T–S , pp. –. Il cap. III è dedicato ad
approfondimenti nel merito.
. Cfr. il suo “discorso accademico” dal titolo Del Mezzo () pubblicato in
appendice a E. P, Galileo critico delle arti, a cura di M. C. M, Venezia,
Cluva, , in cui l’intento scientifico di esaltazione della figura circolare sembra
poggiare sull’assunto generale che virtù e bellezza sono regolate dal principio di
mezzanità: lo stesso termine usato da letterati come il Castelvetro per la commedia
“de’ simili” e riconducibile non solo alla Poetica, ma anche ai principi più generali
dell’Etica Nicomachea aristotelica, ripresi anche nel concetto di aurea mediocritas di
Orazio. Anche il musicista Jacopo Peri, nella dedica “a’ lettori” premessa all’Euridice,
la prima opera in musica data a Firenze nel , dichiarava di avere operato imitando
la “forma mezzana”, tra la melodia e il “parlare ordinario”, adottata dagli antichi: cfr.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. I vari passi da C. R, Nova Iconologia. . . , Padova, P.P. T, , pp. –.
. L’antagonismo fra Natura e Arte, introdotto da Aristotele e sviluppato nel
Pro Archia ciceroniano e anche nell’Ars Poetica di Orazio come antagonismo tra
verità e artificiosità delle regole, si può dire superato solo con il Vasari, per il quale
non di vera opposizione si tratta, ma di una nobile competizione tra due ideali
egualmente perseguibili; egli giunge tuttavia a sostenere che la “bella maniera”,
ossia l’imitazione dei grandi artisti del Cinquecento (ossia l’Arte), può vincere la
Natura. La competizione tra Arte e Natura è proprio al centro della teoria del
Culture ermetiche e commedia dell’arte
ritratto (cfr. E. P, Il ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi,
Torino, Einaudi, ), ma trova spazio in tutte le branche dell’espressione. La prima
sfida dell’Arte alla Natura sembra emergere con Leonardo, in particolare con il suo
ritratto di Cecilia Gallerani. Che il ritratto possa accogliere insieme Natura e Arte
diventa poi un topos a partire dal Bembo. Così il Vasari vuole ritratti somiglianti e
anche belli dal punto di vista artistico; per contro Aretino scrive che la Natura odia i
ritratti di Tiziano perché la fa sfigurare di fronte all’Arte; e secondo Giovan Battista
Agucchi il pittore deve aiutare la pittura con l’Arte perché la riproduzione esatta del
reale è una forma d’arte inferiore. Eppure va gradatamente guadagnando consenso
anche la teoria di un ritorno alla Natura, riconosciuta sorgente di ispirazione dei
classici. La scultura berniniana di Montoya, per Baldinucci, era più vera della persona
reale e lo stesso si dirà di molte altre sculture berniniane (per l’importanza e la qualità
della ritrattistica berniniana si veda in particolare il catalogo della mostra I marmi vivi:
Bernini e la nascita del ritratto barocco, a cura di A. B, Firenze, Giunti, ). Non
si tratta di considerazioni generiche, ma di un preciso orientamento che, ritornando
a mettere in valore il riferimento alla Natura, va contro la tradizione idealizzante
instaurata nel Rinascimento.
. Cito da I. M, La trattatistica dei Gesuiti e la pratica teatrale al Collegio
Romano: Maciej Sarbiewski, Jean Dubrueil e Andrea Pozzo in I Gesuiti e i primordi del
Teatro Barocco in Europa, a cura di M. C e F. D, Roma, Centro Studi sul
teatro medioevale e rinascimentale, , p. .
. M , tomo I, p. . Il puntuale riferimento alla realtà che caratte-
rizza i Carracci si deve probabilmente ricondurre anche all’influenza di certa pittura
lombarda che continua e acuisce analoghe tendenze nate e diffuse dalla ricerca di
Leonardo; in particolare, come si vedrà, quella dei pittori dell’Accademia della Val
di Blenio.
. Cfr. G. P, Disegno romano dall’antico, amplificazioni fiorentine e modello
artistico bolognese, in Cassiano Dal Pozzo, a cura di F. S, Roma, De Luca, ,
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
pp. –.
. Si veda per esempio un celebre trattato: S. M, Cabala, Spiegel
der Kunst und Natur, Augsburg, ; successivamente tradotto anche in latino Cabala,
speculum artis et naturae, in Alchimia, [Augsburg], A. Erffurt, .
. Cfr. M. C. M, Il collezionismo di Francesco I. Dal segreto alchemico all’ordine
meccanico, in La Rinascenza a Firenze. Il Cinquecento, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, , pp. –.
. Si pensi ai molti interventi in proposito di Maurizio Calvesi, interventi che
hanno aperto la via ai molti altri del genere. Anche la musica favoriva il processo
magico della fusione; si potrebbe dire dunque che tutte le arti lo favorissero, e certo
in particolare quelle in qualche modo legate al meccanismo della “trasmutazione”.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cito da F. V, La saggezza di Isabella, in A , p. .
Si veda anche, sullo stesso dualismo Natura–Arte, la dedica delle sue Lettere redatta
dal marito Francesco Andreini (ibidem, pp. –), nonché le scritte su uno dei
ritratti incisi dell’attore (EdS, ad vocem “Andreini, Francesco”); e la dedica di Comin
Ventura alla Signora Emilia Albana Agliarda, datata novembre : «colei che con
invidia de’ passati e con essempio de’ futuri a tempi nostri quasi altera pompa di
Natura e d’arte, sola onora le scene, sola i teatri adorna, ed ivi come in suo regno
altrui le leggi e gli affetti a sua voglia prescrive” (cito da T , p. , n. ).
. N. B, La Supplica, : cito da M–R , pp. , .
. D. B, Fatiche comiche, : ibidem, p. .
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
. Alludo a una rara incisione (pubblicata nell’EdS, ad vocem “Gabrielli, Fran-
cesco”) di Carlo Biffi (sec. XVII) conservata nella Raccolta Bertarelli di Milano.
L’immagine documenta anche i talenti musicali del Gabrielli. Si sosterrà il primato
del grande attore settecentesco David Garrick proprio a partire dal fatto che egli
incarnava in sé quest’unione mirabile (come in un poema settecentesco coevo: cfr.
M. I. A, La naissance de l’acteur moderne, Paris, Gallimard, , p. ): un
possibile precedente, questa notata contraddizione vivente, per il Paradosso dell’attore
di Diderot.
. Cito da un passo di Franco Ruffini (su un concetto di Ferdinando Taviani)
riportato da F. M, La Commedia dell’Arte. Studi recenti e prospettive, in O
, p. .
. Cfr. M. D B, Lo Studiolo di Palazzo Vecchio: l’Invenzione e i Con-
cetti, in Lo Studiolo di Francesco I dei Medici e il suo doppio, a cura di G. P
M, Roma, Apollodoro, , pp. –. Il Bezzi Bardeschi ricorda le parole
del Campanella (Metaphysica, par. I): «Sapere è straniarsi da se stessi; straniarsi da se
stessi è diventare pazzi, perdere la propria identità e assumerne una straniera». Le
pazzie delle attrici, segnatamente quelle di Isabella, avrebbero dunque anche questo
tipo di motivazione?
. F , p. .
. Cfr. M .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
.. “Arte”
. Si veda ad esempio M. S, Alchimisti della scena: teatri laboratorio del
Novecento europeo, Roma–Bari, Laterza, in cui l’immagine dell’alchimia come
processo di una reale trasmutazione è assunta per esprimere quella altrettanto
radicale a cui si tendeva nei teatri–laboratorio del secolo passato.
. Cfr. N .
. G. B, Il Comento sopra la Commedia di Dante Alighieri (,): cito
dalla voce “arte” del Grande Dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia
(Torino, UTET, –, vol. I, p. ). “Arte poetica” traduce il titolo dell’opera
aristotelica Perì poietikés téchnes dove la téchne, come già si è scritto, non occupa solo
il campo semantico dell’arte, ma anche quello della fabbricazione e della tecnica ma-
teriale. “Artefice”, “artista”, “artigiano”, secondo la Crusca (V ), sono
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
. A. I, Della Poesia rappresentativa & del modo di rappresentare le Favole
Sceniche, : cito da M , pp. –.
. Dalla lettera dedicatoria dell’Ingegneri al protonotario apostolico Girolamo
Fosco, premessa alla sua tragedia Tomiri (Napoli, ): è alla tragedia infatti che
in questa fase tarda sembrano rivolgersi le attenzioni del poligrafo veneziano. Cfr.
L. R, “Ben mille pastorali”. L’itinerario dell’Ingegneri dal Tasso al Guarini e oltre,
Roma, Bulzoni, , pp. e sgg.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. N. B, La Supplica, : cito da Marotti–Romei , pp. , . An-
che nella musica il talento di improvvisazione appare una prerogativa squisitamente
italiana: il musico francese André Maugars dichiara infatti di aver dovuto superare,
per affermarsi, non pochi scetticismi: «ils doutoient qu’estant François, je fusse capa-
ble de traitter et diversifier un subjet à l’improvise» (cito da A. G, Luigi
Rossi. Biografia e analisi delle opere, Torino, Bocca, , p. ). Il moderno Impromptu
richiama dunque probabilmente consuetudini antiche.
. P , p. . Un’idea che si è radicata nella cultura e che merita
peraltro approfondimenti: cfr. T–S , pp. sgg.
. Cfr. M , p. .
. Il Marini dichiara che per capricci di dame ha dovuto “scassare” la commedia
per farla recitare da comici. «Per sapere com’ella riuscisse, basti sapere che in scena
talun de’ comici, col pretesto d’aver poca memoria, componeva da sé d’improviso,
procurando di ritenere alla meglio, per non dire alla peggio, il senso e la sostanza, e
altri avea trasportata la parte toscana in bergamasco, o in altra sua lingua più adatta
a muover negli uditori il riso, che altri più serii affetti. Or pensa tu, o lettore, se la
dicitura dovea riuscir limata, e se i pensieri potean mantenere la loro gaiezza e forza,
caso che ne avesser ottenuto alcun tratto dalla mia penna. Ciò osservando alcuni
miei amici, che del componimento si dimostrarono soddisfatti, mi consigliarono
Culture ermetiche e commedia dell’arte
a lasciarla venir alle stampe, dicendo che, essendo già la copia in mano de’ comici
prezzolati, i quali per l’Italia di mano in mano come opera nuova l’anderebbono
recitando, ne seguirebbe che ogni compagnia di comici avrebbe accomodate le parti
al suo dosso, e mezza sconvolta, tramandandola ad altri, e questi, anche maggior-
mente svisandola, l’avrebbon ridotta in poco tempo ad una tale defformità che mal
potrebbe più ravvisarsi la sua effigie primiera »: dalla dedica “a chi legge” nel suo
Calloandro, che si riferisce a fatti avvenuti nel (cito da D. C, La rielabora-
zione teatrale di romanzi nel Seicento. Considerazioni e prime indagini, in Idem, Scritture
e riscritture secentesche, Lucca, M. P F, , p. ). È perfino ovvio rilevare
che qui il senso di un’improvvisazione “alta” risulta affatto perduto.
. «Non vi fu mai chi più di me avesse in odio la stravagante usanza di recitar
comedie all’improviso e chi forse più di me si sia servito di questo comodo. Per un
Comico diligente, morigerato e non affatto ignorante, confesso che l’invenzione
non è pericolosa servendogli anzi di stimolo per ben parlare e per erudirsi. Ma io
l’ho sempre abborrita poiché per esperienza ho conosciuto che al comico ignorante
e scostumato (che pur troppo alle volte se ne trovano) l’uso di recitare a l’improvviso
gli serve di facilità per studiar solamente come inserrire ne’ suoi discorsi qualche
oscenità; e chi non ha talento, ancor che si conservi guardingo e modesto, riesce
noioso e sciapito. Di qui è venuto che molte e molte volte una comedia eccellente si
è trovata insoportabile passando da comici a comici, poiché i motivi delle scene non
sono stati ornati di spirito e di vivacità di pensieri, come fu a l’ora quando per buona
il publico l’aveva ricevuta»: R , p. .
. Si rimanda ovviamente alla commedia goldoniana Il teatro comico (),
in cui l’espressione “commedia dell’arte” è per la prima volta storiograficamente
documentata. Sono evidenti nelle citazioni che precedono i tramiti per i quali
l’espressione è passata ad indicare le degenerazioni di una certa pratica teatrale.
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
letteratura e musica” .
In entrambi casi casi essa è ben lungi dall’essere spontanea
creazione di talenti isolati. Nella composizione dei testi essa ha
per esempio rapporti con la pratica del centonare, una pratica
che presuppone un’assoluta padronanza degli strumenti retorici
e poetici, così come dimostra in particolare la produzione poe-
tica di Isabella Andreini . In questo contesto può bensì darsi
il caso di un accademico Umorista romano, Basilio Locatelli,
che considera l’Accademico “virtuoso” e “faceto” come il vero
comico; ma per lo più, come rilevato da Luciano Mariti e da
Ferruccio Marotti, la pratica dell’improvvisazione sembra esse-
re pacificamente condivisa . E può darsi il caso di una famosa
comica professionista, Marina Dorotea Antonazzoni, un’attrice
dei Confidenti che si propone come erede di Isabella, che «non
vale all’improvviso» ma solo nel “premeditato” , un caso che
per di più è probabilmente significativo di una tendenza precisa,
quella regolarizzatrice dei Confidenti diretti da don Giovanni
di cui si è detto. E non mancano altri casi significativi: c’è il
caso di una Florinda del comico professionista Giovan Battista
Andreini messa in scena nel a Firenze dagli Accademici
. R , p. . Anche i comici godevano di questa vicinanza, quando erano
isolati e quindi ancora in qualche modo “buffoni”. Il momento in cui si riuniscono
nelle compagnie è anche quello di una possibilità della loro emancipazione; ciò che
peraltro li condanna nella considerazione sociale. Il primo a rivendicare il diritto
a privilegiare le esigenze della compagnia su quelle del principe pare Francesco
Andreini: cfr. F , p. sgg. Un trattato come quello de La Supplica appare
scritto proprio con il desiderio di distinguere il comico dal buffone (ovviamente a
vantaggio del primo: cfr. F. T, Introduzione, in B , n. ). Mentre
ancora nel il comico Gaetano Caccia detto Leandro denunciava al Duca d’Este
le colpevoli vanterie dei «comici di codesta Corte» che asserivano che la compagnia
era «formata da loro e non da V. A. e dal s. marchese Fontanelli» (cito da E. T,
Patrimonio teatrale estense. Influenze e interventi nella Roma del Seicento, in “Biblioteca
teatrale” , n. , pp. –).
. Cito da F , p. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. N. B, La Supplica, : cito da M–R , pp. , –, .
. D. B, Fatiche comiche (), ibidem, p. .
. F. S, Prologo per recitare (), ibidem, p. . Si potrebbe pensare l’espres-
sione nel contesto di quell’ansia di mezzanità di cui si è già scritto (cfr. n. ). La
preoccupazione di piacere anche ai “non intendenti” appare forse per la prima volta
chiaramente nel Dialogo della pittura del veneziano Ludovico Dolce (in T
’ –, I, p. ) il quale mette in bocca all’Aretino l’osservazione spre-
giudicata che «la moltitudine è quella che dà comunemente il grido [la fama] e la
reputazione a poeti, ad oratori, a comici, a musici et anco, e molto più, a pittori».
. N. B, La Supplica, : M–R , pp. , .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. B. F, Il teatro degli Argomenti. Gli scenari seicenteschi del teatro gesuitico
romano, Roma, Institutum Historicum S.I., .
. F , pp. –.
. F. B, Vita del cavaliere Gio. Lorenzo Bernini scultore, architetto, pittore,
Firenze, V. Vangelisti, , p. .
. Cfr. L .
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
sue “azioni ridicole” gli servivano “per fare una larga apertura
alla cognizione della sua persona”, vale a dire per pubblicizzare
la propria attività di pittore, anche se, “come cose disgrega-
te dalla professione, non gli partorirono troppo buon nome”
ovviamente presso i letterati . Ma esiste anche il fenomeno
inverso. La fama conquistata da alcuni attori molto popolari
sollecita la diffusione di ritratti e incisioni: fra attori e artisti si
crea dunque una sorta di commercio parallelo .
Secondo il Bernini, la Pittura constava di tre parti: il disegno,
il colore e l’“espressiva”, cioè l’espressione dei sentimenti: e
non c’è bisogno di dire quanto l’ultima, teorizzata per la prima
volta nel Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura
() del Lomazzo, un testo che l’artista possedeva personal-
mente, interessasse gli attori. Che poi i comici a loro volta si
interessassero all’arte, e cioè alla forma d’espressione che essi,
attraverso l’“espressiva”, sentivano più vicina, e che era ben più
riconosciuta rispetto alla loro, potrebbe apparire un passaggio
giustificabile e naturale: non a caso è stato detto che il teatro
mancava all’epoca di uno specifico statuto. Anche Croce del re-
sto riconosceva che il loro “nucleo vitale” non era “nella poesia
o letteratura ma nella figurazione plastica e nella mimica” . Ed
è evidentemente retaggio della stessa sostituzione il fatto che,
come spesso è stato rilevato, fino al secolo appena trascorso,
gli attori all’antica italiani usassero parlare del proprio lavoro
come dell’“arte” senza altre specificazioni.
Tra Cinque e Seicento il richiamo all’ ut pictura poesis è così
forte da offuscare la specificità di ogni linguaggio.
. G. B. P, Vite de’ pittori, scultori et architetti che anno [sic] lavorato in Roma
morti dal fino al , Roma, G. Settari, , pp. –.
. Cfr. G .
. C , p. .
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
. Uno dei pochissimi passi che danno forza all’interpretazione crociana dell’ar-
te come mestiere è un passo di Pier Maria Cecchini in cui egli dichiara () che
Firenze «ha posto questo essercizio nel numero delle arti necessarie, dove non può
rappresentare alcuno in tutto lo stato di Toscana, se non è scritto prima, maestro
o garzone». Ma le ricerche in tal senso di Cesare Molinari (cfr. M , pp.
–) hanno sortito effetto positivo solo per quanto riguarda un’altra categoria
di persone, quella precisamente da cui i comici di cui ci stiamo occupando inte-
sero sempre prendere le distanze, e cioè quella dei saltimbanchi, montimbanchi,
ciurmadori, cerretani.
. P , p. . Nel trattato è evidente fin nel titolo che l’arte è sen-
z’altro riconosciuta alla interpretazione: «un’Arte da palesare l’interno dell’animo
con proporzionati gesti, voce, energia, e modo»; un modo certo più simile a quello
degli Accademici quando «con [. . . ] voce sonora, proporzionati gesti, ed espres-
siva recitano le loro composizioni ne’ loro congressi» che a quello degli istrioni
mercenari.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cito da A. S, Feste e spettacoli nel Seicento, in “Giornale storico della
letteratura italiana” –XXI, vol.XLI, fasc., pp. –. La lettera è dell’ novembre
e si riferisce a loro spettacoli bolognesi.
. In C ’A. C , I, p. , n. lo si definisce il
“personaggio–chiave” della Compagnia.
. A–A , pp. –. Aggiungo che le maschere neutre,
Culture ermetiche e commedia dell’arte
contrariamente a quelle più note, sono estese all’intero volto e dunque potrebbero
essere vicine alle prime maschere dei comici che infatti Marin Sanudo chiama “volti”
(o “naxi” [nasi]). Sull’importanza e le analogie tra l’ambiente fiorentino e quello
romano si veda C , p. e passim.
. Si veda la copia del ritratto di Garrick di Johann Zoffany () conservata al
National Portrait Gallery di Londra e pubblicata in Dionysos , voce “Garrick,
David” n. . Le maschere sono due, una neutra e una di vecchio (non deforme).
. La Pittura è, per Ripa, innanzitutto “applicazione dell’intelletto”; e la bellezza
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
della donna esprime una “nobiltà” che è segno precipuo dell’intelletto. I suoi capelli,
sparsi e aggrovigliati indicano la ricchezza dei pensieri, dedicati sia a problemi
speculativi, che alle tecniche materiali. Porta una catena d’oro da cui pende una
maschera, che è “ritratto della faccia dell’uomo”, dunque una maschera neutra,
e che indica il continuo e strettissimo contatto della pittura con l’imitazione (C.
R, Iconologia overo Descrittione di diverse imagini cavate dall’antichità, e di propria
inventione, Roma, L. Faci, , p. ).
. Cfr. M. I. A, I volti di Lavinia: varianti di un’immagine d’attrice nel primo
Seicento, in P , pp. –. Della stessa autrice leggo ora uno
studio che per molti versi si apparenta a quello del presente percorso: Maddalena,
musa ambigua: in margine a una ricerca sulla iconografia delle attrici nella prima metà
del Seicento, una relazione presentata al Convegno intitolato alla “Drammaturgia e
iconografia della santità: ’I Santi a teatro’”(Napoli–Caserta, e aprile , Atti
non pubblicati).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Per la quale si veda nel Proemio delle Vite vasariane: Pittura e Scultura sono
«sorelle, nate di [da] un padre, che è il disegno, in un sol parto e ad un tempo [in
un unico parto e in un unico momento]». Per la frase del Marino (che ovviamente
riguarda la pittura e la poesia, quest’ultima, come da tradizione aristotelica, com-
prendente anche il teatro) cfr. S. S, Pittura parlante e poesia taciturna: il ritorno
di Giovan Battista Marino a Napoli, il suo concetto di imitazione e una mirabile interpreta-
zione pittorica, in Documentary culture. Florence and Rome from Grand–Duke Ferdinand I
to Pope Alexander VII, a cura di E. G, G. P, F. S, Bologna, La Nuova
Alfa, , pp. –.
. I due passi da la Ferza di Giovan Battista Andreini (): cito da M–
. Nuove ipotesi sulla “commedia dell’arte”
R , pp. , . Anche il Tasso e il Marino, grandi ammiratori di Isabella,
sono figurati “laureati”: per il quadro del Tasso cfr. capitolo V, , n. ; per il Marino si
veda l’incisione di Johan Friedrich Greuter (da un’opera di Simon Vouet), pubblicata
in M. F, La scuola del silenzio. Il senso delle immagini nel XVII secolo, Milano,
Adelphi, , p. , in cui se ne rileva l’espressione malinconica e parodistica.
. Cfr. T , p. .
. Cfr. S. M, La Vita di Isabella, in Arte dei comici , p. .
. Come nei versi latini di Erycio Puteano, professore di Eloquenza a Milano,
premessi alle Rime di Isabella Andreini ().
. F , p. .
. Si pensi all’Accademia milanese della Val di Blenio di cui nel IV capitolo; al-
l’Accademia romana degli Umoristi (cfr. T ); e ad Accademie fiorentine
come quelle degli Incostanti (cfr. M ).
. Questo si legge chiaramente, per esempio, nella storia dell’Accademia roma-
na degli Umoristi, inizialmente () aperta ad artisti, attori (dilettanti) e letterati;
ma in cui presto () si stabiliscono regole e chiusure, in particolare verso i comici.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Per lui si veda G. S, voce “Camillo, Giulio detto Delminio”, sul Diziona-
rio Biografico degli Italiani (DBI). Si deve attribuire a Frances A. Yates (Y ) il
merito di avere puntato l’attenzione su Giulio Camillo, celebratissimo ai suoi tempi,
ma successivamente dimenticato; e poi a Lina Bolzoni (cfr. soprattutto ora la sua
Introduzione a C ) e Corrado Bologna (cfr. soprattutto B )
quello di averne sviluppato gli studi. Per lo studio dell’ambiente culturale veneziano
e non solo, cfr. inoltre O e .
. Il Robortello, letterato e teorico del teatro, si segnala per aver pubblicato a
Firenze il primo commento alla Poetica di Aristotele () e per avere, fin dall’anno
seguente, insegnato e operato con grande successo nell’Università di Padova. Oltre
a creare e applicare direttamente per la sua attività didattica i cosiddetti alberi di me-
moria, il suo insegnamento puntava al recupero e all’uso diretto delle fonti classiche,
come dimostra il commento aristotelico citato. Ricordo che è sua l’obiezione alla
mancanza della “commedia de’ simili” nella Poetica aristotelica di cui nel cap. I, .
. Triphon Gabriele fu celebre umanista e letterato, vissuto tra Venezia e
Padova. A lui è dedicato il Discorso in materia del theatro (C , pp. –).
. Primo teorico del famoso “paragone” tra poesia e arte nel nome
dell’imitazione. Cfr. anche cap. I, , n. .
. Protagonista nella polemica che lo oppose a Battista Guarino, reo di infrange-
re la teoria dei generi drammaturgici e la divisione tra comico e tragico: cfr. B
, pp. –.
. Famoso erudito e accademico romano e interprete di tragedie classiche,
come si vedrà più oltre; e famoso anche per le sue eccezionali doti di improvvisatore.
. Celebre teorico d’arte, per il quale si veda in particolare nell’ultimo capitolo.
. Si veda la voce “Dolce, Ludovico” redatta da C. Dionisotti sul DBI. Il Dolce
fu autore di teatro, di commedie e di tragedie; da un passo del Sansovino si potrebbe
pensarlo anche come attore occasionale. La sua intimità con il letterato friulano
è provata innanzitutto dal fatto che fu curatore della pubblicazione delle opere
postume camilliane; e le sue frequentazioni sono anche provate dal suo Dialogo
della Pittura (). Il trattato inizia infatti con un discorso dell’Aretino (per bocca del
quale parla lo stesso Dolce) che racconta di essersi recato nella chiesa veneziana di
San Giovanni e Paolo “insieme col dottissimo Giulio Camillo” ammirando la tavola
di San Pietro Martire dipinta dal suo “illustre compare Tiziano” e di essere poi lì
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
stato informalmente invitato dal Bembo, allora semplice monsignore (cfr. L. D,
Dialogo della Pittura intitolato l’Aretino, in T ’ , I, p. ). Come
numerosi altri di cui si dirà, il Dolce fu scrittore poligrafo e fu legato in particolare
alla tipografia di Giolito de’ Ferrari e a quella dei Manuzio. Per lui si veda anche
A. P, “Ornamenti” e “bellezze”: la tragedia secondo Ludovico Dolce, in Studi
Macchia , II, pp. –.
. Si deve probabilmente alla mediazione di Lazare de Baïf (padre di Jean–
Antoine, fondatore nel della famosa Académie de Baïf di poesia e musica in cui
confluiranno molti spunti neoplatonici ed esoterici) l’invito rivolto a Camillo (e forse
anche quello a Luigi Alamanni) da parte di Francesco I. Al Mendoza (divenuto nel
frattempo ambasciatore presso il Papa) è dedicata da Ludovico Domenichi l’edizione
veneziana dell’Idea del Theatro camilliana del nonché le R , di cui
nel cap. III, n. ; e secondo un’affidabile testimonianza presso di lui si trovava lo
straordinario libro di cui alla n. .
. G. C, L’Idea del Theatro, Venezia, A. Bindoni, ; G. C, L’Idea
del Theatro, Firenze, L. Torrentino, .
. G. C, Trattato dell’imitazione, in C , pp. –.
. Per l’Egnazio (che ne dà notizia a Viglio Zuichem, il quale a sua volta ne
scrive a Erasmo da Rotterdam il marzo ) si veda la citata voce sul DBI e la n.
; per il Pflug cfr. Bolzoni , p. (in cui si cita la sua lettera allo stesso Erasmo
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Ibidem, p. . Una lode che in realtà appare in contrasto con un’altra versione
del personaggio che lo vede balbuziente e sgraziato (cfr. B , p. XIII). Per
l’Inghirami, successore di Pomponio Leto nella cattedra di retorica nella rinnovata
Università di Roma e celebre per le eccezionali capacità di improvvisatore, cfr. F.
C, Teatro nel Rinascimento. Roma –, Roma, Bulzoni, , pp. –.
. Anche perché per Erasmo la cultura classica era ancora vitale e suscettibile di
trasformazioni spontanee. Per Camillo, che, come l’amico Pietro Bembo, si poneva
l’obiettivo di comporre lingua volgare e retorica classica, si trattava invece di una
fase conclusa: proprio il suo essere conclusa autorizzava a indicare dei modelli. In
questo senso la confutazione delle tesi di Erasmo e la difesa del teatro di Camillo
appaiono legate (cfr. B , pp. –).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Dal Trattato dell’imitazione () di G. Camillo: cito da B , pp. ,
.
. Cfr. F , pp. sgg.
. V. Z, lettera ad Erasmo dell’ settembre : cito da B , p.
.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Rispettivamente del I e del II libro delle sue Lettere: cfr. V. R . Quella
del III è dedicata alla Fama, quella del IV e ultimo alle Muse. Gli insegnamenti
di Giulio Camillo sembrano peraltro dare frutti importanti proprio sul versante
del teatro: oltre a ciò che si dirà in questo testo, ricordo che Cornelio Frangipane,
famoso tragediografo (sua è una Tragedia rappresentata dai Gelosi in onore di Enrico
III in occasione della sua visita veneziana ()), fu uno dei suoi più famosi allievi.
. P R , p. .
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
. Il Maganza, poeta dialettale detto Magagno, è anche l’autore dei costumi
dell’Edipo Tiranno, opera inaugurale del teatro Olimpico di Vicenza (cfr. M
, pp. –). Giovanni Cornaro è anche il dedicatario del II libro delle Lettere
del Calmo. Per il Piccolomini si veda infra, n. ; e ricordo che l’Accademia degli
Infiammati, che pare fondata intorno al e chiusa nel o nel , si dice
nata per emanazione da quella senese degli Intronati, che è la prima Accademia
italiana documentata (cfr. M –, ad vocem; rimando ovviamente a
questo testo per tutte le Accademie qui di seguito citate). Benedetto Varchi, dopo
essere stato esule repubblicano, in seguito alla repentina svolta religiosa di Cosimo I
(divenuto, in modo più o meno ufficioso, valdesiano), era il principale riferimento
culturale della corte medicea. L’Alamanni aveva partecipato agli Orti Oricellari e,
travolto dalla congiura antimedicea del , si era rifugiato in Francia, da cui però
tornò varie volte per missioni diplomatiche e fu probabile tramite di Giulio Camillo
nei suoi rapporti con Francesco I; è ricordato anche per aver tratto il manoscritto
del testo più importante di Camillo dalla biblioteca del cardinale di Lorena (ce ne
informa il Toscanella, un altro maestro di memoria: cfr. B, Introduzione, in
C , pp. –).
. Per lui e per il Ruzante si veda almeno Z , pp. –.
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
Zanini da Padova” .
Tra questi tre ambienti — un’Accademia, una corte, una
compagnia — la storiografia ha molto esitato a stabilire delle
connessioni, tendendo anzi a mettere l’accento su separatezze
ed esclusioni . Separatezze oggi rimesse in discussione da una
recente ricognizione di Luciano Mariti in particolare sulla fi-
gura di Giovanni Andrea dell’Anguillara . Un erudito forse di
nobile origine, ma anche in contatto con il mondo dei cerretani
(e dunque tramite importante tra “alta” e “bassa” cultura), che
sarebbe stato un personaggio chiave per il teatro romano del
Cinquecento; il quale Anguillara — questa è la novità — aveva
anche stretti rapporti con Padova e la sua principale Accademia,
a causa degli studi giuridici compiuti nella città . Come poi
potessero trovare spazio, nella stessa Accademia, difensori del
volgare insieme con i poeti dialettali, la cultura umanistica e
neoplatonica insieme con la sua parodia, intenzioni esclusive e
accenti burleschi è difficile dire. Non mancavano certamente,
tra gl’Infiammati, posizioni molto conservatrici ; ma studi spe-
cifici hanno fatto rilevare le posizioni d’avanguardia di alcune
personalità: del Bembo da un lato, strenuo difensore della lingua
. L’espressione è tratta dal primo contratto in nostro possesso, quello del
febbraio (cfr. C , n. , p. e ).
. Gli interessi teatrali di Alvise sono certamente di molto antecedenti alla
fondazione dell’Accademia (), dal momento che la Loggia è datata al (dopo
un viaggio a Roma compiuto con il Falconetto). Ma, se è vero che l’Accademia affida
al Ruzante e ad Alvise (oltre che al Piccolomini) la rappresentazione della tragedia
dello Speroni (), appare chiaro che le due strade non devono essere sentite in
vera opposizione.
. L’Anguillara, nativo di Sutri e dunque di ambito laziale, compie gli studi
giuridici a Padova dove figura laureato in utroque iure il giugno del , anno in
cui fu censore dell’Accademia degli Infiammati (questi dati, prima sconosciuti alla
storiografia del teatro, si devono a M , p. ); era probabilmente legato a
Leone Orsini, che ne era stato il primo principe, intorno al .
. E dunque non è per caso che egli sia espressamente citato anche in un
Lacrimoso Lamento del comico bolognese Simone Panzanini alias Panza de Pecora
(per il quale si veda nel cap. IV, n. ); o nella Celeste Galeria di Minerva del Valerini
(cfr. C, Un’“ampia loggia nell’empireo cielo”. . . ., in V , p. ).
. Si veda per esempio quella di Girolamo Negro di cui alla n. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
anziché “usufruttuari”.
Quanto poi alla figura di Alvise Cornaro, si tratta di una
figura particolarissima per l’epoca, di cui, alla luce dei fatti,
non possono che essere fatte rilevare le non comuni doti di
mediatore culturale e di committente teatrale. Come è noto,
egli aveva creato, sempre a Padova, la costruzione di una Log-
gia “all’antica” appositamente realizzata dall’architetto Giovan
Maria Falconetto: una classica columnatio che aveva lo scopo di
costituire uno sfondo “di pietra perpetuo” in particolare per la
rappresentazione degli spettacoli comici e dialettali del Ruzan-
te, quelli che, si è detto, per i suoi evidenti intenti parodistici
e anche a partire dal fatto che l’attore si muoveva fra Pado-
va e Venezia con una propria compagnia, fanno pensare alla
prossima diffusione delle compagnie dell’arte. Il Beolco morì il
giorno prima della rappresentazione della Canace dello Speroni
(), una rappresentazione i cui presidenti designati erano
Alvise Cornaro, Alessandro Piccolomini e lo stesso Ruzante e
che avrebbe visto quest’ultimo per la prima volta in un ruolo
tragico.
In questo ambiente così fervido di iniziative e di interessi
teatrali non sembra possa essere per caso che proprio a Padova,
pochi anni dopo la morte del Ruzante, si stringa, davanti a un
notaio, anche la prima famosa “fraternal compagnia” di comici
documentata . Una compagnia i cui esponenti, provenienti da
Padova e dal Veneto, sono, almeno in parte, piccoli artigiani;
ma non dovevano essere virtuosi di second’ordine, se è vero
che ne facevano probabilmente parte il cantante Vincenzo da
Venezia detto Scuffioni e il suonatore di lira Francesco Salamon
(è una mia proposta), il primo citato, il secondo fra i destinatari
nelle Lettere del Calmo ; partecipanti che documentano anche
. L’espressione è tratta dal primo contratto in nostro possesso, quello del
febbraio (cfr. C ).
. Un “cantarin Scuffion” (nome di scena, l’identificazione è stata proposta già
in C ) è citato in un Testamento burlesco del Calmo (V. R , pp. ,
) e un Joannes a Scuffionibus, probabilmente identificabile con lui, è documentato
nel ruolo “di cantore e quindi di primo organista, dal al , della Cappella
Culture ermetiche e commedia dell’arte
poesia e la musica e forse non solo. Sul Muzio, che era uno
dei più convinti amici e sostenitori di Camillo, vale la pena di
riferire un’ipotesi interessante, offerta da Marìa Del Valle Ojeda
Calvo: che cioè possa essere identificato con il Mutio “italiano
de la comedia”, attivo a Siviglia nel . Si tratterebbe del
primo attore italiano in Spagna, non certo un buffone o un
comico, ma un attore vicino al mondo delle Accademie, come
se ne potevano vedere in quegli anni (da almeno tre decenni) a
Venezia.
Roma era una meta importante per gli Accademici e gli
artisti: Falconetto vi compie numerosi viaggi, di cui uno con
il suo amico–mecenate Cornaro: i loro orientamenti classicisti
esprimono anche una vena antiveneziana di cui occorre tener
conto. Il Bembo, divenuto cardinale, vi si trasferirà nel .
Vi ritroviamo anche, alla fine del , lo stesso “ser Maphio”
con la sua compagnia, di poco mutata; ritroviamo soprattutto,
in quello stesso anno, insieme ad altri personaggi a noi noti
come Girolamo Ruscelli, Francesco Molza, Claudio Tolomei,
Luca Contile e Dionigi Atanagi, anche l’Anguillara : letterati
. Cfr. O C , pp. –. La questione è tutt’altro che chiara e sono
state fatte altre ipotesi. Noto tuttavia che la voce “Muzio, Gerolamo” ( a Padova
— ) redatta da M. F per il DBI non fornisce sue notizie biografiche proprio
all’incirca dal al (quando sarà a Milano presso il governatore d’Avalos; e a
Milano ai primi del egli riuscirà a indurre il Camillo, di cui egli era, fin dalla
prima giovinezza, uno dei più convinti amici e sostenitori a mettere per iscritto la
sua Idea del Theatro); e che altri precedenti italiani in Spagna alla compagnia di Zan
Ganassa, sono costituiti da due Accademici Intronati di Siena, citati dalla stessa Ojeda
Calvo. Noto anche, d’altronde, che il Muzio, letterato, poeta ed esperto di duelli,
non sembra mai documentato come attore.
. Riprendo anche qui alcuni spunti offerti dallo studio citato di Luciano Mariti.
Il Ruscelli proveniva da Viterbo; già amico di Camillo che gli rivela di avere studiato
molto l’arte della memoria di Raimondo Lullo, risulta legato a numerose Accademie
veneziane tra cui quella di Domenico Venier e quella della Fama e gioca un ruolo
di primo piano nell’industria editoriale veneziana. Con il senese Claudio Tolomei
Camillo ebbe rapporti intorno al , al tempo del suo soggiorno bolognese in casa
del Manzoli: e nel Tolomei è documentato a Padova, entusiasta della “virtuosa
conversation” che la città gli offriva (cfr. P. C, Alvise Cornaro e gli scritti
di architettura, in A C , p. ). Con quest’ultimo il Ruscelli aveva
fondato intorno al l’Accademia romana della Virtù (che si proponeva lo studio
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
di Vitruvio, ma che durò solo un anno, e cioè fino al circa, quando appunto le
subentrò quella dello Sdegno), che ebbe tra i suoi sodali il Vignola, Luca Contile
(grande ammiratore di G. Camillo: cfr. B, Introduzione a Camillo , p.
n.; e citato anche in uno dei componimenti poetici dei Rabisch, come si vedrà nel cap.
V, ), Annibal Caro, Francesco Molza. Quest’ultimo (cfr. F. P, voce “Molza,
Francesco Maria” sul DBI), attivo prevalentemente a Roma, ebbe rapporti con il
Bembo e con il Tolomei e fu ascritto anche all’Accademia degli Intronati di Siena.
. Cfr. le citazioni di Camillo presenti nelle Bellezze del Furioso di O. Toscanella
() e pubblicate in Bi , pp. –. I temi citati dal Toscanella sono
la Fama, l’Amore, la Fortuna, lo Sdegno, la Morte, Il Sonno e il Sogno: che sono
le passioni e le componenti base della vita, come osserva Lina Bolzoni (nella sua
Introduzione, in C , p. ).
. Cfr. C .
. Cfr. D F B . Il volume si raccomanda per il suo seguire
le vicende biografiche di molti dei nomi citati nella presente ricerca, puntando
l’attenzione sulle nuove possibilità offerte ai letterati dal nuovo mercato librario, in
specie quello veneziano. I letterati in questione si distinsero proprio per il loro esser
“volgarizzatori e rimaneggiatori di opere altrui, che sovente ridussero, sunteggiarono
e talora francamente plagiarono” tanto che “il concetto stesso di opera originale
prende qui contorni netti e sfuggenti”; e per “svolgere all’interno delle stamperie
veneziane il ruolo dei tecnici addetti alla redazione e di consulenti editoriali del
tipografo per il quale lavoravano”; “nonostante i numerosi scarti fra una posizione e
l’altra, colpisce comunque l’omogeneità dei dati trovati” (ibidem, pp. , , ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Intorno al infatti l’artista intraprese la decorazione del palazzo romano
del cardinale Francesco Cornaro: cfr. F. B – M. F, Battista Franco “pittore
viniziano” nella cultura artistica e nella vita religiosa del Cinquecento, Pisa, Scuola
Normale Superiore, . Il Franco, che non fu esente da sospetti di eresia, si era
già distinto in apparati decorativi realizzati a Roma e a Firenze; e qui in particolare
era legato al Vasari e a Rosso Fiorentino (cfr. C. M G, Battista Franco
et l’héritage de Rosso, in Pontormo e Rosso: la “maniera moderna” in Toscana, cat. della
mostra a c. di R. P. C e A. N, Venezia, Marsilio, , pp. –). Per i
particolari relativi alla rappresentazione romana dell’Anguillara cfr. M , pp.
–, –.
. L. D, Dialogo della Pittura. . . , in T ’ , I, p. . Il Dolce
lo cita in maniera importante, come pittore esemplare per studio e per eccellenza,
in chiusura del suo trattato, cosa che stupisce non poco, se si tiene conto del fatto
che egli non cita né il Veronese né il Tintoretto.
. Cfr. B, Introduzione, in C , pp. –.
. La data del viaggio della compagnia padovana è dedotta da quella dell’atto
notarile redatto alla vigilia della partenza per Roma (cfr. C , pp. –). Le
rappresentazioni dell’Anguillara in via Giulia non sono datate, ma vanno collocate fra
il marzo di quello stesso e la morte di Paolo III ( novembre di quell’anno),
dunque non si può pensare a un lavoro della compagnia per l’Anguillara in quel
periodo. Ma, come si è supposto, la compagnia poté prodursi in seguito davanti al
Papa alla fine del .
. Cfr. P U , pp. –; M. T , pp. –. La stagione
di cui parliamo, a partire dalla presente ricerca (anni – circa; ma potremmo
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
comprendervi anche la Talanta di cui alla n. ), potrebbe essere una derivazione
non solo “effimera e spettacolare” del teatro di Camillo (L. B, Variazioni tardo-
cinquecentesche sull”ut pictura poesis’: la Topica del Camillo, il Verdizzotti e l’Accademia
Veneziana, in Scritti in onore di Eugenio Garin, Pisa, Scuola Normale, , pp.
sgg.; in cui si citano peraltro anche rapporti tra il Verdizzotti, editore della parte
finale della Topica camilliana, e la compagnia degli Accesi, i quali nel faranno
costruire dal Palladio il primo teatro stabile veneziano).
. Il Badoer impiegò nell’Accademia (istituita nel nel suo stesso palazzo)
tutti i suoi averi, finendo per ingolfarsi in debiti criminosi ed essere imprigionato.
Non è escluso che anche i contatti intrattenuti dall’Accademia con letterati tedeschi
e luterani (che offrivano un lucroso mercato ai libri editi per cura dell’Accademia)
abbiano contribuito alla sua fine.
. Cfr. supra, n. .
. Cfr. negli Emblemata di A. Alciati () in cui è contrapposta a Mercurio,
simbolo dell’Ars, su base stabile.
. Per il collegamento del teatro Olimpico a quello di Giulio Camillo si veda
anche M. M, Il Teatro Olimpico di Vicenza tra visioni prospettiche e ’sguardo interio-
re’: Angelo Ingegneri e le poetiche della luce tra Cinque e Seicento, in Le arti performative e
le nuove generazioni di studio, a cura di V. V e di D. O, “Biblioteca
Teatrale” n. –, luglio–dicembre , pp. –.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. D , pp. . Il Dolce cita in questo caso un altro grande maestro
di memoria, Pietro da Ravenna.
. Cfr. F , pp. , .
. B , cit., p. .
. Cfr. F , pp. –. Nel delineare le frequentazioni del Lotto (che erano
le stesse di Giulio Camillo), il Firpo osserva: “Sansovino, Serlio, Delminio [Giulio
Camillo], Citolini: i pochi dati certi sulle frequentazioni e amicizie del Lotto a Venezia
tra gli anni venti e gli anni trenta sembrano coerenti nel delineare un microcosmo di
artisti e intellettuali animato da comuni istanze di rinnovamento religioso, al punto
da indurre il maggior studioso dell’architettura veneziana del Cinquecento [Manfredo
Tafuri] a parlare di ’consorteria spirituale’ capace di di esprimersi come tale anche sul
terreno artistico, con l”umiltà evangelica’ delle chiese sansoviniane, il rigorismo del
Trattato serliano, lo ’spiritualismo’ lottesco”.
. A. C, La Tipocosmia, Venezia, V. V, , pp. –. L’opera ha
anch’essa una scansione settenaria ed è divisa in giornate: il sesto giorno è dedicato alle
“azzion fatte da l’Huomo intorno l’Huomo” e ivi figurano sia le cose riguardanti il naso,
. Il teatro di Giulio Camillo e il teatro dei comici
e cioè la “profumeria”, sia quelle riguardanti gli orecchi, e cioè la Musica, sia quelle
riguardanti gli occhi, e cioè gli Spettacoli, ben distinti dai testi scritti (ibidem, pp. –).
. Cfr. S , n. –, pp. –; I, Il teatro a Siena nel Cinquecento.
’Progetto’ e ’modello’ drammaturgico nell’Accademia degli Intronati, Roma, Bulzoni, ,
pp. sgg., –.
. Cfr. A. P, La bellezza impura: arte e politica nell’Italia del Rinascimento,
Roma, Laterza, , p. .
. Cfr. B , pp. –; pp. sgg. Della Porta riprende anche il
discorso sulle bellissime donne e i personaggi osceni e ridicoli del Dolce, il quale
afferma di attingere a Pietro da Ravenna (cfr. D ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. P. G, Problemi critici e metodologici per lo studio del teatro di
Giovan Battista Della Porta, in “Biblioteca teatrale” , n. , pp. sgg.
. D , p. . Il Dolce (che riprende in proposito un riferimento di Quinti-
liano) fa anche un riferimento preciso agli attori: “con l’esempio di coloro che sogliono
recitar comedie o tragedie” (ibidem, p. )
. Cfr. M. B. P C, Gli affetti Ragionamenti famigliari. . . , Venezia, G.B. e G.
B. Sessa, .
. B , pp. –.
Capitolo III
. A , pp. –. Per una ricognizione sull’attrice si veda T
; A ; I A .
. In particolare con quella pubblicata in MN , p. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
cospicua fonte di reddito per l’erario pontificio) sorsero a Roma solo dopo il sacco
(): il disastro, subito interpretato come una punizione divina, sollecitò infatti da
più parti una maggiore moralità. Dopo il furono prese molte misure contro il
meretricio: nel Pio VI riuscì ad espellere dallo Stato della Chiesa le più note
cortigiane; ma la manovra non riuscì se alla fine il papa dovette finire per relegarle
in un apposito rione, l’Hortaccio, situato fra piazza di Spagna e piazza del Popolo.
L’esempio sarà seguito dovunque, in concomitanza con il Concilio di Trento.
. T–S , p. .
. Si veda un più ampio brano del capitolo dedicato alle meretrici nel primo dei
Documenti pubblicati in appendice a questo capitolo. Ulteriori elementi in questa
direzione potremmo trarre anche dal Ragionamento del Zoppino (in A , pp.
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
–), per esempio per quanto riguarda le loro arti di finzione “tal che voi meschini
amanti non sapete scorgere il vero” e il loro uscire accompagnate dai loro amanti,
mascherate o no “come se in chiesa sia sempre il Carnevale”.
. Un testo che, come quello di Cesare Vecellio di cui più oltre, risponde alle nuove
curiosità per i diversi paesi del mondo nati con le scoperte geografiche: per limitarci alle
opere veneziane, si pensi a quelle pubblicate da Enea Vico (E. V, Diversarum gentium
nostrae aetatis habitus, s. n. tip., ), da Ferdinando Bertelli (F. B, Omnium fere
gentium nostrae aetatis habitus, ), e soprattutto da Pietro Bertelli, di cui si dirà più oltre.
Questa immagine (B , f. []; si deve notare che la numerazione delle tavole
della copia rilegata conservata all’Archivio Storico Capitolino non è uguale a quella
della copia della Bibliothèque Nationale di Parigi depositata in rete ed è quest’ultima
che appare la più affidabile e dunque da lì si cita), segnalata nel corso della mostra
dedicata alle cortigiane veneziane G ’ (ma non correttamente
interpretata, se è vero che il personaggio del Magnifico vi è stato interpretato come un
senatore veneziano. . . !), ha il vantaggio di essere inequivocabile, recando le iscrizioni
“Le Magnifico masque”, “Courtisane Venetiene Masker” e “Le Zani Serviteur” con
relative traduzioni, come detto in questo testo. Va notato che la nostra immagine è
l’unica firmata e datata () del volume, il che potrebbe far pensare che sia stata inserita
a causa del suo particolare interesse in un volume che raccoglie le incisioni di un altro,
e cioè del Boissard.
. La maschera sembra felina; e sorge anche il dubbio che, almeno come origine,
sia legata a quelle feste per “ammazzar la gatta col capo raso” (cfr. Z , p. ,
tav. ) di cui si scrive nella didascalia di un’immagine di G. F, Habiti d’Huomeni et
Donne venetiane con la Processione della Ser.ma Signoria et altri particolari, cioè Trionfi, Feste et
Cerimonie publiche della Nobilissima città di Venetia, [Venezia], G. Franco, []. Il volume
in questione, come chiarisce Lina Padoan Urban (L. P U, Introduzione,
in G. F , p. ) è il secondo di tre volumi dedicati a Venezia. Il primo,
Habiti delle Donne Venetiane intagliate in rame nuovamente da Giacomo Franco, [Venezia,
G. Franco], s.d., quello da lei ristampato e datato agli anni –, è dedicato alle
donne veneziane, con particolare riferimento alle novizze nobili e alle cortigiane; il terzo
La città di Venetia con l’origine e governo di quella, Venezia, A. Turrini, , descrive
la città di Venezia in particolare nei suoi aspetti rituali e festivi. Si deve notare che
Culture ermetiche e commedia dell’arte
le diverse copie delle stesse edizioni riportano immagini diverse e che quindi non
è sempre facile collocarle esattamente; qui si è personalmente visionato G. Franco
(copia dell’Archivio Storico Capitolino) e si sono viste le ristampe G. Franco
e G. Franco . L’incisione che prova l’ampia diffusione della maschera felina è
quella che mostra l’animata folla del Carnevale veneziano nella piazza Santo Stefano
(fig. ) (G. Franco , tav. ; già pubblicata in Zorzi , tav. ; e ovviamente
rinvio anche al suo commento, alle pp. –): tutti, anche la dama situata al centro
e che ha tutta l’apparenza di una cortigiana, portano la stessa maschera con baffi
portata anche dalla cortigiana dell’incisore fiammingo; mentre (ancora una volta come
nell’immagine del Goltzius) hanno maschere e costumi appropriati ai loro personaggi,
il Magnifico in primo piano e lo Zanni musicante dietro di lui. Anche l’altra più
nota incisione della piazza San Marco (fig. ) (G. Franco , tav. ) con i diversi
palchi allestiti per la stessa occasione carnevalesca mostra la musicante in primo piano
(interpretata senz’altro da Zorzi come una “Cortigiana musicante”, anche se egli
osserva giustamente che ha tutta l’apparenza di un vero uomo con i baffi: ibidem, p.
, tav. ) accompagnata dal Magnifico e dallo Zanni, mascherati e abbigliati come
si è detto. Cortigiana, Magnifico e Zanni sembrano dunque un trio assolutamente
consueto (cfr. le n. e ) e questa consuetudine rappresentativa conferisce ulteriore
valore all’incisione del Goltzius; anche se in questo caso pare difficile che sia lui il
primo a comporre immagini sul tema e qui si suppone che sia l’incisore veneziano a
dare i primi modelli, tenuto conto della pratica, ampiamente condivisa, del riuso delle
tavole e anche del fatto che Venezia ospitava una nutrita colonia di incisori fiamminghi
tra cui anche i Sadeler (cfr. F. C, In Spadaria al segno della Sorte. Francesco
Valesio e l’editoria calcografica a Venezia tra Cinque e Seicento, in “Venezia Cinquecento”
luglio–dic. XXI (), n. , pp. –), alla cui famiglia apparteneva quel Raphael I
che fu ritrattista di Isabella Andreini (cfr. alla fine di questo capitolo). Giacomo Franco
(–), figlio naturale di Battista Franco (per il quale cfr. II, , n. ), forse anche
parente di Veronica Franco e certamente suo contemporaneo, fu collaboratore di
Palma il Giovane nonché degli incisori ed editori Pietro e Francesco Bertelli. Oltre che
di queste immagini, fu autore di quelle de Il ballarino di F. Caroso (), di quelle della
traduzione delle Metamorfosi di Ovidio pubblicata da Giovanni Andrea dell’Anguillara
() e di quelle della Gerusalemme Liberata del Tasso (). Quest’ultima opera si
segnala per la collaborazione con Agostino Carracci, approdato a Venezia nel : per
lui che, oltre che con i pittori cremonesi Campi (e dunque con il mondo del Lomazzo e
degli Accademici bleniesi: cap. IV, n. ), ebbe probabili contatti con i fiamminghi e che,
come “riformatore” dell’incisione, è stato visto come “il Goltzius italiano” (ma si allude
certo al più famoso artista della famiglia, Hendrick Goltzius), fu certo importante
anche il contatto con i modi veneziani. Si veda M. C, Le incisioni dei Carracci,
Roma, Comunità europea dell’arte e della cultura, ; e la voce, redatta da C. S,
sul DBI.
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
. Cfr. R , pp. –; il tema è ripreso e sviluppato da D M, ,
pp. –.
. P. B –, II, tav. –: anche qui la Cortigiana si accompagna al
Magnifico e poi allo Zanni (ma anche al Dottore, Burattino, Francatrippa etc. ). Il
Carnevale italiano mascherato ove si veggono in figura varie inventioni di capritii (),
un’opera di Francesco Bertelli (figlio di Pietro) che riutilizza le stesse lastre, è stato
parzialmente ripubblicato da Lina Padoan Urban nel . La stessa Padoan Urban fa
riferimento a un’edizione dell’opera di Pietro del . Qui si è utilizzata l’edizione
del , comunque rarissima, che ho potuto consultare alla Biblioteca Universitaria
di Bologna, mutila del terzo volume, ma contenente alcune immagini mancanti nella
copia del – e completa dei tre volumi, conservata presso la Biblioteca Nazionale
di Roma).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. P. B –, II, tav. . Per le “braghesse” si veda infra, alla n. .
. Cfr. G. F , c. (immagine già pubblicata in Z , tav. ;
molto vicina a un’altra sulla stessa Cazza e opera dello stesso autore Giacomo Franco,
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
pubblicata in P. B –, II, tav. in cui le figurine sul fondo del Magnifico,
della Cortigiana e dello Zanni rafforzano il senso teatrale dell’incisione) e (in cui
in realtà non si scrive esplicitamente di una cortigiana, anche se Olimpia ne ha tutti i
connotati).
. Per quanto segue cfr. M. Z, La donna e il cerchio del ’Cortegiano’ di B.
Castiglione. Le funzioni del femminile nell’immagine di corte, in N
, pp. –.
. N. Z D, Le culture del popolo, Torino, Einaudi, , p. . Si ricordi
che Platone era incerto se collocare la donna fra gli esseri umani e gli animali e che
Aristotele ha scritto sulla “accidentalità” del sesso femminile.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. I protagonisti di queste operazioni sono nomi già in parte citati: Battista
Guarino, Bernardo e Torquato Tasso, Claudio Tolomei, Francesco Molza, Annibal
Caro, Sperone Speroni e in genere i poligrafi attivi soprattutto a Venezia dove,
almeno nella prima metà del Cinquecento, era assicurata ampia libertà di stampa.
Il caso di Anguillara è particolarmente importante per la sua volgarizzazione delle
Metamorfosi di Ovidio in cui si realizza una “regressione del linguaggio poetico dalle
forme selezionate, alte, del poema eroico, a quelle medie del discorso amoroso” e
in esso la trasformazione di Enea da pius a empius per non aver avuto il coraggio di
opporsi al suo fato riamando Didone (L. B, Narciso ed Eco. Figura e scrittura
nella lirica femminile del Cinquecento: esemplificazioni ed appunti, in N
, pp. , ): un tramite fondamentale per le trasposizioni teatrali.
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
. Il trattato di Agrippa fu tradotto e pubblicato nel a Venezia per i tipi di
Gabriel Giolito de’ Ferrari, con l’aggiunta di un’orazione di analogo argomento scritta
da Alessandro Piccolomini. Ricordo anche L. D, La Nobiltà delle donne, Venezia,
G. Giolito de’ Ferrari, ; L. D, Dialogo della instituzion delle donne. Secondo li tre
stati, che cadono nella vita humana, Venezia, G. Giolito de’ Ferrari, ; e diversi altri, a
volte scritti dalle stesse donne letterate come Moderata Fonte e Lucrezia Marinella (cfr.
A. C, La donna, il modello, l’immaginario: Moderata Fonte e Lucrezia Marinella, in
N , pp. –). Da molti di questi discorsi si evince come
ci sia chiara consapevolezza che l’avvilimento della donna sia frutto dell’oppressione
e dell’invidia maschili. Molto precoce è anche la prima storiografia sull’argomento:
F. A. D C, Theatro delle donne letterate, con un breve discorso della preminenza
e perfettione del sesso donnesco, Mondovì, Gilfandi e Rossi, . Si avviò in tal modo,
specie negli ambienti inquieti e libertari come quelli dei poligrafi veneziani, la cosiddetta
querelle des femmes, e cioè un dibattito teso ad affermare l’uguaglianza dei sessi. Per
l’Agrippa e la sua influenza in Italia, su questi scrittori come su altri (si veda anche quella
sugli Accademici della Val di Blenio) cfr. cap. IV, , n. .
. Per esempio il poemetto, la favola pastorale, la scrittura mistico–religiosa e il
trattato, quest’ultimo quasi sempre volto a rispondere a pubblicazioni misogine che
continuano a essere pubblicate fino alla fine del secolo.
. Cfr. C. D, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi,
, pp. –.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Come avverrà più tardi per i comici (di ambo i sessi), così anche
questo particolare tipo di meretrice si fa ritrarre sotto le sem-
bianze di un’allegoria o di un mito. Che gli artisti ricorressero
a queste modelle, soprattutto per il nudo, come osserva anche
il Dolce, era anche nella tradizione classica . Mentre all’epoca
. Ora ristampato in A .
. Cfr. B , p. .
. V. F , p. (Lettera XVII).
. Il Dolce, nel raccomandare ai pittori di imitare la forma più perfetta della
Natura, ricorda l’esempio di Apelle e di Prassitele che ricorsero per le loro figure di
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
Venere alla bellissima cortigiana Frine: cfr. L. D, Dialogo della Pittura Intitolato
l’Aretino, : cito da T ’ –, I, p. .
. Cfr. F. P, Iconografia delle cortigiane di Venezia, in G ’
, pp. –.
. Mancano in realtà veri documenti all’ipotesi; ma le indicazioni sono
insistenti: cfr. M .
. Cfr. V , in particolare alle pp. , –. Il passo citato del Bandello
è nelle sue Novelle, III, ; ed è un errore del Bandello quello di chiamarlo Domenico
e non Nicolò. Su questo appellativo di Strascino ricordo che si tratta dello strumento
del pescatore che, grazie ad esso, tira a secco, seleziona, ributta a mare, immagazzina,
fa a pezzi, vende: si tratta di un’espressione che ben si adatta a questo tipo di letterato
che lavora nel teatro.
. Il Garzoni scrive anche dei particolari talenti nel trucco della donna di corte,
talenti che in questo senso paiono assimilarsi a quelli della cortigiana, anch’essi
rimarcati (cfr. G , I, p. ; II, p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Introduzione, in Camillo , p. . Giulio Camillo era molto legato al Muzio e da
altri poeti della cerchia di Tullia d’Aragona, come Pietro Bembo, Benedetto Varchi e
Francesco Maria Molza (ibidem, pp. – e passim).
. L’attribuzione di questa tavola ad Alessandro Bonvicini detto il Moretto deriva
da uno studio ottocentesco di Guido Biagi, accolta anche da Pompeo Molmenti.
La contestazione di quest’attribuzione si fondava su una supposta posteriorità della
scritta sull’opera, poi rivelatasi infondata (cfr. A , pp. , ). Quanto al fatto
poi che Tullia difenda “le finte apparenze e ’l ballo e ’l suono”, questo è documentato
in un suo sonetto, diretto contro Bernardino Ochino, che nelle sue appassionate
predicazioni ne sosteneva il divieto; nonché da un suo scambio di sonetti con
Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca, letterato burlesco e commediografo (cfr.
H , pp. –, –, –).
. Si tratta di un’opera che, come è noto, ha avuto nel tempo molteplici inter-
pretazioni. Sergio Bertelli (S. B , pp. , –) riconduce le due donne
all’uso del ritratto doppio di una sposa (come novizza e come maritata), un uso in
voga almeno partire dalla metà del Quattrocento.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. L’interpretazione di Laura come allegoria coniugale è stata più volte confutata
(cfr. T. P, Giorgione, Milano, Alfieri, , pp. –); dopo il Verhaeyen (E.
V, Der Sinngehalt von Giorgiones “Laura”, in “Pantheon” , p. ) che
ha interpretato i due seni — uno coperto e l’altro scoperto — come espressione di
antitesi tra pudicizia e voluttà, la Anderson ha sostenuto la tesi del ritratto di una
cortigiana (cfr. J. A, The Giorgionesque Portrait: from likeness to allegory, in
Giorgione. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Castelfranco, , Venezia, ,
pp. –); c’è poi l’interpretazione di Sergio Bertelli (S. B , pp. –)
che pensa anche a questo ritratto come a un ritratto di nozze.
. Cfr. F. P, Ritratto e sistema simbolico nelle Dame di Vittore Carpaccio,
in Il ritratto e la memoria. Materiali , a c. di A. G, Ph. M, C. C V,
Roma, Bulzoni, , pp. –.
. Cfr. M. F. R e A.R. J, Introduzione: Vecellio e il suo mondo, in
V , pp. –.
. Scrive ancora il Vecellio: “Quelle meretrici, che vogliono acquistar credito
col mezo della finta honestà, si servono dell’habito vedovile, e et di quello anchora
delle maritate: et quelle specialmente, che hanno qualche colore di matrimonio” e
cioè quelle che si erano procurate un marito di facciata: V , pp. –.
Sia Veronica Franco che Tullia d’Aragona fecero un simile matrimonio, potendo in
tal modo sfuggire ai divieti e in particolare ostentare senza pericolo collane e gioielli.
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
[la parola indica una meretrice] sotto metaforica trasmutatione di Diana, dea delle
caccie” (G. F , c. ).
. “Data è dal Ciel la feminil bellezza,/ Perch’ella sia felicitate in terra/ Di
qualunque uom conosce gentilezza. . . ” da V. F , p. (componimento
XVI).
. L’immagine del re che visita la cortigiana è avvicinata a Giove anche nel
primo dei due sonetti acclusi alla I lettera che la Franco scrisse per l’occasione: cfr. V.
F , p. . L’ingresso del re a Venezia, scandito di eventi festivi e teatrali del
più grande interesse, è datato al .
. Dallo stesso sonetto di cui alla n. precedente, che accompagnava l’invio di
questo smalto colorato, forse tratto dal ritratto di Tintoretto di cui la Franco scrive in
una sua Lettera (infra, cfr. n. ). Forse fu proprio la Franco a curare la pubblicazione
delle Compositioni volgari e latine fatte da diversi nella venuta in Venetia di Henrico III Re
di Francia e di Polonia (Venezia, Farri, ); e fu ancora lei a organizzare la raccolta
di liriche in omaggio a Estor Martinengo per la quale ottenne la collaborazione di
molti poeti partecipanti all’Accademia di Domenico Venier.
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
Poliphili: ad esse sono infatti intitolati due dei quattro carri trion-
fali (gli altri due: di Europa e di Semele) visti da Polifilo nel corso
del suo viaggio iniziatico verso la fonte di Venere. Ma si deve no-
tare che Tintoretto, pur essendo certamente a conoscenza della
problematica e soprattutto delle iconografie del famoso volume,
interpreta il mito dando risalto all’aneddoto e alla sua temperie
erotica. Possiamo infatti riconoscere in entrambe le opere cita-
te gli elementi che, secondo l’attore e commediografo Andrea
Calmo, qualificavano le cortigiane di rango: la donna è sapien-
temente pettinata e ingioiellata, è assistita da una domestica e
ha un cagnolino, che, a partire dai grandi repertori iconografici
dell’epoca, ci parla della volontà di queste cortigiane di alto livel-
lo di conformarsi agli attributi e ai costumi delle gentildonne e
della loro rivendicazione di condividerne elevatezza di dignità e
di ideali, perfino quello della fedeltà. Anche sulle perle, vietate
in particolare alle cortigiane, che puntualmente eludevano il
divieto e anzi si facevano un punto d’onore di farsi ritrarre con il
vezzo al collo, vale la pena di soffermare l’attenzione, dal momen-
to che esse adornano pressoché tutte le immagini di cui parliamo,
dalle meretrici pubbliche fino alla medaglia che fu coniata per la
. Cfr. V. G, Una reputazione controversa. Leda nell’arte del Cinquecento, in
T L , pp. sgg. Leda e il cigno è il tema di numerosi
altri pittori tra cui alcuni in vario modo legati alla presente ricerca: oltre al Veronese,
Leonardo da Vinci, Rosso Fiorentino e i fratelli Campi.
. Cfr. V. R , pp. – (l. IV, n. ).
. Il cagnolino, secondo il Ripa, indica la fedeltà all’amato e e dall’Alciati () è
incluso nell’emblema LXI, In fidem uxoriam: cfr. S. B , pp. –. L’ideale
di fedeltà era infatti condiviso dalle cortigiane di maggior prestigio e qui potrebbe
esprimere, come è stato scritto, un impegno di fedeltà al sovrano francese. Ma troviamo
il cagnolino, oltre che nella Leda e nella Danae di Tintoretto, anche nell’immagine–
modello di una “cortegiana famosa”, incisa da Giacomo Franco, che tiene in braccio,
come attributo fondamentale, il cagnolino “di razza francese” (un papillon, come si dirà
più oltre): G. F , c. . Il cane di taglia grande, dal muso allungato, è invece
attributo della malinconia, come nella famosa incisione di Dürer Melencolia I e in altre
che ad essa si riferiscono, come la Malinconia del Fetti.
. Cfr. il Decreto del Magistrato alle Pompe, Pompe Capitolar Primo. Novembrio ;
pubblicato in T , p. . Il divieto contemplava in particolare le “perle, overo
altre cose che imitasse esse perle [. . . ] in ogni parte della persona sua”. Queste leggi
forse ripetevano letteralmente quelle relative al divieto dei gioielli del .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. P R , p. , tav. V, pp. – e fig. .
. Espressioni che il Vecellio (V , p. ) attribuisce alla pubblica
meretrice. Si confronti per esempio questo ritratto con il Ritratto di gentildonna, pure
di Tintoretto (P R , cit., fig. e ), in cui la dama è disposta in maniera
frontale e per atteggiamento, espressione ed abito sembra soprattutto impegnata ad
esprimere il suo stato sociale, secondo il principio del decoro.
. Cfr. F, Le donne del Tintoretto. . . , in J T , pp. , .
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
. Edito a Parigi nel : cito da P, Il mondo delle cortigiane. . . , in G
’ , p. .
. Cfr. F , pp. –.
. Un Catalogo similare, compilato da un A.C., fu pubblicato anche quaran-
t’anni più tardi; ripubblicato in T , pp. –: al n. è citata Veronica
Franco.
. “E se ben ’meretrice’ mi chiamate/ o volete inferir ch’io non vi sono,/ o che
ve n’en tra tali di lodate./ Quanto le meretrici hanno di buono/ quanto di grazioso
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Incisioni che si trovano all’interno della sua favola pastorale Mirtilla (,
) e delle sue Rime ().
. I Sadeler sono attivi anche a Venezia (cfr. alla n.). Potrebbero dunque essere
il canale attraverso il quale il Goltzius aveva potuto essere informato dalle incisioni
del Franco.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. A, Isabella Andreini nelle immagini. . . , in I A ,
p. .
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
Documenti
nomi dalle rime loro amorose estremamente favoriti? Perché pensi, che
trovino i risi vezzosi,le pietose lacrime, i pianti compassionevoli, le parole
soavi, le carezze gentili, le promesse dolci, i baci amorosi, se non per inescar
l’alme di maniera tale, che come impazzite o dicano, o scrivano che quei risi
sonori sono della vaga Citherea? Quelle lagrime sono le lagrime di Didone
per Enea? Quei pianti sono i pianti d’Echo per Narciso? Quelle parole sono
le parole di Pallade innamorata? Quelle carezze sono le carezze di Dafne
fatte ad Apollo? Quelle promesse sono le promesse di Giunone e Paride?
Quei baci sono i baci di Venere al suo Adone? Onde pensi che nascano i
canti, i suoni, i balli, i giuochi, le feste, le vegghie, i conviti, i diporti loro,
se non da quell’intento d’haver l’applauso, il commercio, il concorso della
turba infelice di questi amanti che rapiti da quelle voci angeliche, et soprane,
attratti da quei suoni divini, di arpicordi, et lauti, impazziti in quei moti, e in
quei giri loro tanto attrattivi, consumati in quei giuochi spassevoli, dileguati
in quelle feste giolive, addormentati in quelle vegghie pellegrine, immersi
in quei conviti di Venere, et di Bacco, morti nel mezzo di quei soavi diporti,
restino prigioni et servi del lor fallace, et insidioso amore? Con questo fine
istesso adornano i letti di padiglioni di raso, di coperte di seta, di lenzoli di
renso, di cossini ricamati, di lettiere intarsiate, di tapeti turcheschi le tavole,
di cadreghe di veluto le sale, di scanni minutamente lavorati le camere,
d’argentaria le credenze, di pitture lascivissime i tetti, e le mura; di rose e
fiori i lastricati, di profumi odoriferi tutta la casa. Per questa sola cagione
si mostrano alle finestre, fanno l’amor sui balconi, giran d’occhio a chi
passa, gestiscono con la mano, accennano col guardo, motteggiano col viso,
parlano con la lingua, ridono con la bocca, si storcon con la vita, chiamano,
pregano, suadono, gridano che s’entri. Quindi proviene, che scrivono, che
mandan lettere in volta, che danno avisi di più maniere, che i presenti, che le
ruffiane, che i messi, che i ragazzi, che i paggetti van girando da tutte l’hore
con polize, con mazzetti, con cestarelli, con piatti coperti, con commissioni
hora dolenti, hora pietose, ora tristi, hora gioconde, hora d’un tenore, hora
d’un altro. Da questo nacon gli inviti a desinari, a cene, a stuffe, a bagni, a
danze, a lotte abhominevoli, et vergognose. Di qui procede che s dilettano
tanto di farsi belle con vari lisci, et belletti, vuotando le speciarie di biacca, di
solimado, di lume scaiola, di lume zuccarina, di fior di christallo, di borraso
raffinato, et che si rendon lustre con molle di pane, con aceto lambicato,
con acqua di fava, con acqua di sterco di bue, come vacche che sono: et che
rinfrescano il viso, e mollifican le carne con l’acque d’amandole di persico,
e il sugo di limoni; e si conservano, con rose, con vino, con lume di rocca; e
induriscon le corna dinanzi da bestie come son veramente, con draganti, e
semenze di codogni, e mettono penuria nel lume di feccia, et nella calcina
viva per far liscia perfetta da darsi la bionda, acciò la vaga aurora non goda
sola un epitheto sì nobile, et pretioso. Qui vedi specchi preparati, l’acque
. Attrici dell’Arte e cortigiane, comici e pittori “all’improvviso”
I comici Gelosi
e l’Accademia della Val di Blenio
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Noto che il saper arrossire come traguardo di eccellenza era stato indicato da
Seneca (Ad Luc. I, , ). Sul saper impallidire di alcuni grandissimi comici si veda L.
D’ S, Dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche, in M , p. .
. “A’ tempi nostri s’è visto un Fabio comico, il quale si trasmutava di rubicondo
in pallido e di pallido in rubicondo come a lui pareva e del suo modo e della
sua grazia, del suo gentil discorrere dava ammirazione e stupore a tutta la sua
udienza” (T. G, Piazza universale di tutte le professioni del mondo, : cito da
M–R , p. ).
. I primi documenti in nostro possesso risalgono infatti al : una lettera
del mantovano Baldassar de’ Preti del aprile del attestante la fusione delle
due compagnie che facevano capo alle due prime donne, Vincenza e Flaminia,
fusione da cui si è finora pensato che sia nata la celebre compagnia (cfr. U ,
pp. –); e una supplica inviata il ottobre al Governatore di Genova in cui
i Gelosi fanno riferimento a una loro attività milanese risalente a quattro anni prima
e regolarmente consentita (cfr. A. N, Fra i comici dell’arte, in «Rivista Teatrale
Italiana», VI, vol. , fasc. (), pp. –). Ringrazio Annamaria Evangelista di cui
ho potuto consultare la tesi di dottorato Nuove fonti per una storia documentaria della
Compagnia dei Gelosi (–), discussa nel presso il Dipartimento di Storia
delle Arti e dello Spettacolo dell’Università di Firenze, relatore Siro Ferrone.
. Si vedano per esempio quelli del e del offerti in G. A, I comici
dell’Arte a Milano: accoglienza, sospetti, riconoscimenti, in S , pp.
–; e quelli della Chronology pubblicata in appendice a MacNeil . Da questi
studi si può rilevare anche come Milano fosse una delle mete più frequenti di questa
e altre compagnie.
. I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
. Cfr. T , pp. –. Taviani pensa alla capacità di arrossire sulla
scena come a una prerogativa delle attrici. Che Fabio sia documentato in questo
sonetto come un attore capace di questo stesso straordinario virtuosismo fa pensare
che (per influenza delle attrici?) la commedia si allarghi progressivamente anche a
sfere più alte di sentimenti, come l’amore e la tenerezza. Ma la sopravvalutazione
di questo topos — ovviamente sconosciuto ai più — è probabilmente un residuo
di antiche credenze, per le quali si riconoscevano potenzialità straordinarie alle
improvvisazioni poetiche, suscettibili di rimettere in comunicazione con il mondo
del trascendente (Cfr. A , pp. sgg.).
. Per questa confusione fra i due termini — Accademia, compagnia — si pensi
anche alle intitolazioni delle compagnie e a quelle delle Accademie, in particolare
all’impresa araldica con stemma e motto dei Gelosi: cfr. R. T, Il testo postumo. . . ,
in A , p. (ma per quest’impresa si vedano le conclusioni
particolari della presente indagine nell’ultimo capitolo). E io aggiungo che accade
che le compagnie di comici siano chiamate “conversazioni” (cfr. B. C, I teatri
di Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Laterza, Bari , p. ) —
che è quanto dire accademie non formalizzate; e anche che, come in questo caso, le
Accademie siano chiamate “compagnie”.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
spirito delle prime Accademie italiane rispetto a che quelle che sono loro successe
direttamente. L’Accademia milanese, apparentemente così diversa, per alcuni aspetti
(per esempio per la scelta di esprimersi in dialetto — che ricorda i “vers gaulois”
difesi dai francesi — per la scelta delle grottesche, il culto del vino e altro) si apparenta
a quelle francesi rivelando la comune matrice neoplatonica.
. Le grottesche, di cui gli arabeschi rilanciati da Leonardo costituiscono una
variante, diventano nel Cinquecento “un’area di contaminazione stilistica per eccel-
lenza, una specie di Macheronea pittorica nella quale si mescolano citazioni classiche
e drôleries medievali, fantasia sfrenata e osservazione acuta della natura”: F. P,
Lomazzo e il realismo grottesco. . . , in R , pp. –. E si veda anche M-
A –, pp. –. Un’area dunque di straordinarie consonanze con
il mondo del teatro. Aggiungo che le grottesche con i medesimi accenti e riferi-
menti neoplatonici e alchemici sono usate nelle decorazioni dell’Odeo della Loggia
Cornaro padovana di cui nel capitolo II, .
. Per l’Arcadia come mito nella cultura pittorica veneta cfr. R. W,
Giorgione e l’Arcadia, in I, Idea e immagine. Studi sul Rinascimento italiano, Einaudi,
Torino (° ed. ), pp. –. L’Arcadia è, dunque non a caso, espressamente
citata nel componimento poetico del Rainoldi di cui alla n. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Paolo Lomazzo e i Facchini della Val di Blenio, in L , pp. XXVIII–XXXI.
Per l’Agrippa, importante e originale figura di umanista, autore del vietatissimo De
occulta philosophia, pubblicato nel , ma che all’epoca del soggiorno milanese egli
aveva già compiuto (almeno in una prima stesura), si veda Y , pp. –; P.
Z, Cornelio Agrippa nelle fonti e negli studi recenti, in “Rinascimento” , vol.
VIII, pp. –; S. A B, Fra eresia e ermetismo: tre edizioni italiane di
Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, in “Bruniana e Campanelliana” –XIII, pp.
–.
. T. G, Piazza universale di tutte le professioni del mondo, : cito da
Marotti–Romei , p. .
. Per il Porcacchi si veda C , pp. –.
. T. P, Le attioni d’Arrigo terzo Re di Francia e di Polonia, : cito
da M–R , p. , n.. Il Porcacchi l’aveva visto nel corso delle famose
feste veneziane d’accoglienza di Enrico III re di Francia (). Egli possedeva molti
manoscritti di Camillo (cfr. B , p. ); ed esprime anche altrove il suo
entusiasmo (cfr. C. V, Tra retorica, cabala, arte della memoria e religiosità: Camillo
Delminio, in C , p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. A. M. E, Il teatro dei comici dell’Arte a Firenze (ricognizione dello
’Stanzone delle Commedie’ detto di Baldracca), in “Biblioteca teatrale” , n. –, p.
.
. Cfr. V , p. . Per il conte Pirro si veda M , pp.
sgg. La raccolta poetica dei Rabisch di Lomazzo era a lui dedicata e molti versi gli
sono indirizzati.
. Maridazzo de Zan Panza de Pegora alias Simon, e Il lacrimoso lamento
che fè Zan Salcizza e Zan Capella, invitando tutti i Filosofi, Poeti, e tutti i Fachì delle
valade, a pianzer la morte di Zan Panza de Pegora, alias Simon Comico Geloso, :
entrambi pubblicati in M–R , pp. – e –. Si noti anche che il
Lamento (cfr. anche più oltre nel testo), era, oltre che una delle più celebrate forme
di composizione musicale, anche uno dei generi poetici più frequentati dai poeti dei
Rabisch, nonché dai comici (si pensi a quello di Domenico Tajacalze: cfr. G
, cap. V). Il genere nasce probabilmente dai Lamenti dell’Orlando Furioso (cfr.
F , pp. sgg.).
. I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
. Cfr. F. Porzio, scheda per l’Autoritratto del Lomazzo e P. Venturelli, scheda
per la medaglia di Annibale Fontana a lui dedicata, in R , pp. –, n.
e ) n. . L’osservazione è di Carlo Bertelli.
. Cfr. L , pp. – e R , pp. –.
. I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
. Le Muse e Bacco non sono riferimenti generici: anche qui la cultura di
riferimento è quella neoplatonica ed ermetica (cfr. I, Giovan Paolo Lomazzo. . . ,
in L , pp. XXIV sgg.).
. Lo stesso Marsilio Ficino si esibiva con la musica e il canto: cfr. F. B,
Lo specchio di Dioniso, in “Culture Teatrali” , primavera , pp. sgg.
. Autore il letterato lombardo Bernardino Baldini, compà Baldign (L
, pp. –).
. Autore l’accademico Giovanni Antonio Bovio (ibidem, p. ).
. Cfr. P , pp. –.
. L , p. .
. I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
. Cfr. V , pp. –; M. P, Introduzione, in Eadem, Lo Strascino
da Siena e la sua opera poetica e teatrale, Pisa, ETS, , p. . Lo Strascino è anch’egli,
come poi gli Accademici bleniesi, autore di un Lamento. La Pieri rileva anche,
tra l’altro, possibili connessioni tra Strascino e Ruzante; connessioni quanto mai
suggestive, anche in vista di possibili futuri sviluppi fra i nostri Accademici. Togna è
anche un personaggio “basso” della Cortigiana dell’Aretino.
. In L , pp. –.
. Ibidem, pp. –. Il Rainoldi dà voce, oltre che al Graziano bolognese e al
Pedraz contadino bergamasco di cui sopra, anche al genovese Bussotte e al varesino
Bosign (cfr. D. I, Giovan Paolo Lomazzo. . . , ibidem, pp. LII, e pp. –).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
fratelli di Panza de Pegora (di cui uno era forse Gabriele Panzani-
ni, altrove Francatrippa ), Zan Trippone (che, come si dirà poco
più oltre, potrebbe essere identificato con Adriano Valerini), il
famoso Zan Ganassa (Alberto Naselli), Zan Pelato e poi Burattino,
Franceschina (Battista Amorevoli o Silvia Roncagli), Pedrazzo
(Bernardo Rainoldi, accademico bleniese), Francatrippe e altri
nomi che, per assonanza e non solo, potremmo ricondurre al
mondo dei comici (in particolare al Maridazzo e al Lamento del
professionista Panza de Pegora ); e le gag descritte, le diverse
“nazionalità” e sopratutto il frenetico dinamismo della scena,
tutto ci parla dei nostri comici. Anche il punto di vista dello
scrivente appare in qualche modo “interno” alla compagnia,
nel momento in cui egli si sforza di rendere la contemporaneità
di questi movimenti indiavolati.
. È infatti citato come tale dal Pavoni nel Diario redatto in occasione delle feste
fiorentine del : cfr. D. G, Arlecchino a Parigi. Dall’Inferno alla corte del re
Sole, Bulzoni, Roma , p. .
. Al Maridazzo si rinvia per il contenuto della composizione. Nel Lamento
troviamo invece citati numerosi personaggi che qui figurano: Zacagna, Zan Bagott
(compà Bagatt ) e Zan Bachioch (compà Bacioch, cioè Girolamo Maderno): cfr. P
, p. (n. e ). Aggiungo altri nomi ugualmente citati in entrambi i documen-
ti: Ganassa, Tabarì, Pedrolì, Masela (Mascella), Buratì, Pedraz (citato nel Lamento anche
con il suo vero nome Bernardo). Per l’iconografia di Francatrippa e Burattino sono
importanti le immagini pubblicate in P. B , pp. , e che sembrano
incise da Giacomo Franco (cfr. cap III, , n. , p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Per l’Amorevoli cfr. O. G. S, Viaggi teatrali tra l’Inquisizione e il Sacco.
Comici dell’Arte di Mantova alle corti degli Asburgo d’Austria, in I Gonzaga e l’Impero.
Itinerari dello spettacolo, a c. di U. Artili e C. Grazioli, Firenze, Le Lettere, , pp.
–. La Roncagli è citata, come è noto, in questa veste da Francesco Andreini: e
sarebbe possibile, dal momento che risulta nata nel (cfr. F , p. n.).
Che si tratti della seconda moglie di Adriano Valerini è provato da un documento
del in cui è registrata come tale: cfr. U , pp. –.
. L’ipotesi è stata avanzata da Franco Paliaga: cfr. le schede n. e da lui
redatte in R , p. . Il Valerini è noto come Innamorato, non come Zanni;
ma si potrebbe rispondere — con qualche perplessità per il Valerini — che nella
commedia italiana l’elasticità dei ruoli era un fatto consueto (cfr. F , pp.
–).
. Documento pubblicato in appendice al presente capitolo ().
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. La Katritzky (, p. ) scrive che il “todesco” potrebbe identificarsi con il
Capitano e che in questo caso questa potrebbe essere la prima immagine in nostro
possesso di Francesco Andreini. In realtà il “todesco” è qui raffigurato in una posa
tutt’altro che guerriera (regge un calice e un fiasco di vino) e la presenza, nelle altre
caselle, di nazionalità diverse, come quelle del “barbaro” e del “turco” farebbero
pensare invece a un accostamento dovuto alla religione riformata. Un sonetto dei
Rabisch potrebbe essere inoltre una delle prime testimonianze di questo personaggio
chiamato senz’altro “Capitano”. Il sonetto, dedicato da uno degli Accademici “Al
Sig. Francesco Giussano detto il Tappa, schermidore, chiamato il compare Traver,
Capitano della Valle” (L , pp. –), ne esalta comicamente il valore
guerriero. Pur essendo dilettante (era uno dei Consiglié Sapiglient dell’Accademia,
forse giureconsulto e senatore milanese), il Giussano si ispirava forse a ciò che vedeva
alle commedie contemporanee, così come accadeva al Rainoldi “trasformato” in
Graziano.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. G. P. L, Libro dei sogni, in L –, I (dedica “Al Lettore”), p.
.
. Si vedano i sonetti in L , pp. –, e .
. I comici Gelosi e l’Accademia della Val di Blenio
Documenti
Di Girolamo Figino
Scrivea de la virtù che tale e tanta
Splendea nel Figin nostro Milanese;
Poi che non senza loda a molte imprese
Attende, pinge, suona, e in lira canta:
Quando il Louin e il Gerbo, e tutta quanta
La nostra compagnia mi sopraprese
E la penna di man ciascun mi prese;
E a le comedie ognun volse la pianta.
Dove io Fabio trovai innamorato,
Cangiar il viso al suon delle parole;
Pallido e rosso sol per la sua amata.
Vidi Lucio, la ruffa e zanni ornato,
Con Francatrippa, e Pantalon, ch’un sole
È fra i Gelosi, et have al colmo alzato
La compagnia di mille fregi ornata.
Ciò fu nel anno mille cinquecento
Sessanta; et hor per gl’occhi mi lamento.
volta, boccuccia mia, di farmi uno Zanolino [Giovannino], che poi vado a
prenderlo [il secchio], perché l’ho riposto colà in un boschetto, nascosto in
una buca tra certe erbette; e non mi trovare scuse, di di sì, perché ti giuro
che ti voglio un gran bene.
[traduzione di Dante Isella]
Del medesimo [Girolamo Maderno, Compà Baciòcch]. Dialogo tra Zan e Pedrett
Zan: Ti prego, Franceschina, di far carezze al tuo Zanino, ché io ti do
il mio cuoricino; e se vuoi trovarmi generoso, fa’ che questo cuore stia
meglio. Dimmi di no, dimmi di sì, dimmi di sì, dimmi di no; o Franceschina,
vé, bacia chi ti piace.
Pedrett: Franceschina, adesso vedrò se vuoi bene al tuo Pedrett, ché io ti
ho dato piedi e testa; credo davvero che sono tutti tuoi, se mi ami più che
questo ciancione. Dimmi di no ecc.
Zan.: O visotto aggiustato, o nasino polito e bello, o boccuccia pennellata,
oh che occhi fatti a stelle. Io che sono muto e orbo e matto al pensiero che
per te muoio. Dimmi di no ecc.
Pedrett: Quando ti vedo quelle ganascine e quel naso e quei dentini e
quelle mani e quel visetto, quelle orecchie e quegli occhietti e la bocca e la
linguetta, vado tutto in confetto. Dimmi di no ecc.
Zan: Se mi fai quattro carezze e mi prendi per marito, ti darò tante
galanterie di fiocchetti e di pendenti e ti farò stare in allegrezze, dico davvero,
per tutta la vita. Dimmi di no ecc.
Pedrett: Se mi fai buona cera, ti prometto da cavallante che ti voglio dare
una gorgiera, e voglio anche che tu porti dei guanti, e poi ti meno alla fiera
a comperare tutto quanto vuoi. Dimmi di no ecc.
Zan: Io non faccio mò tante parole, ma ti dico che ti meno nella Ber-
gamasca e, se vuoi, riempio la tasca di gazzette e se vuoi mangiare pane
inzuppato te ne darò sera e mattino. Dimmi di no ecc.
Pedrett: Franceschina, non prendere lui, è meglio che tu prenda me;
perché sono certo che se prendi lui vorresti poi aver preso me. Prendi
prendi me, lascialo stare lui, se vuoi proprio fare il tuo bene. Dimmi di no
ecc.
P.: Ti romperò il naso.
Z.: Ti romperò la boccaccia.
P.: Non mi minacciare
Z.: Non mi guardare.
P.: Ti darò.
Z.: Non mi darai.
P.: Togliti di lì.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
La morte dell’orso
Culture ermetiche e commedia dell’arte
zione della fama degli attori” era “più larga dell’ambiente comi-
co” . A Milano quello stesso ambiente di librai, editori, poeti,
artisti e attori, quello che, come ricorda Taviani, si ritrovava alle
rappresentazioni dei Gelosi “a Porta Tosa [. . . ] nella Casa de
gl’Incarnatini” aveva anche probabili contatti con l’Accademia
bleniese.
Lo stesso Taviani documenta come siano documentati e
importanti i rapporti che Isabella Andreini, nel corso dei suoi
frequenti soggiorni milanesi, intrattenne con alcuni personaggi
di questo tipo molto legati ai bleniesi: in specie con il poeta
Gherardo Borgogni e con l’editore di questi, il bergamasco
Comin Ventura .
Il Borgogni, letterato cortigiano e poeta d’occasione, autore
anche di una tragedia di argomento epico–cristiano e cavallere-
sco, Il Tancredi (Bergamo, C. Ventura, ), era legato all’allora
notissimo pittore Giovanni Ambrogio Figino, forse figlio di
Girolamo, cresciuto alla scuola del Lomazzo ; e legato anche
allo scultore bleniese Annibale Fontana . Un indice inequivoca-
. T , p. .
. F. A, Le Bravure del Capitan Spavento, : cito da M–R
, p. . Vicolo degli Incarnatini si trovava infatti, fino a non molto tempo fa,
vicino a Porta Tosa.
. Questi rapporti, anche se non ricondotti, come in questo studio, al comune
riferimento dell’Accademia bleniese, sono stati segnalati da T , pp. –.
. Ibidem. Taviani ha lavorato su un’edizione delle poesie del Borgogni del
(Rime di diversi illust. poeti de’ nostri tempi, Di nuovo poste in luce, Da Gherardo Borgogni
d’Alba Pompea, L’Errante, Accademico Inquieto di Milano, Venezia, Minima Compagnia,
). Ma già nel (Rime di diversi celebri poeti Dell’età nostra: nuovamente raccolte e
poste in luce, Bergamo, C. Ventura, , titolo che fa riferimento ad almeno un’altra
edizione precedente) si pubblicano i componimenti poetici del Borgogni in lode di
Figino (pp. e passim; in lode del quale scrive un sonetto anche il Tasso, p. )
e di Isabella (pp. –). Segnalo inoltre che nella stessa raccolta ne sono anche
pubblicati altri in lode del Lomazzo (p. ) e del conte Pirro Visconti di cui nel cap.
precedente (pp. –); e infine altri composti dalla stessa Isabella (pp. –).
Sono composizioni che sono altrettante conferme dello stretto legame che in questi
ambienti si stabilisce tra letterati, artisti e attori. Il Ciardi elenca in particolare i
numerosi artisti che furono legati all’Accademia bleniese: cfr. Ciardi, Introduzione, in
L –, I, p. XIX. Per Giovanni Ambrogio Figino cfr. R. P. C, Giovan
Ambrogio Figino, Firenze, Marchi & Bertolli, .
. Il Fontana era uno degli Consiglié Sapiglient dell’Accademia: cfr. I,
Culture ermetiche e commedia dell’arte
sembra di dover escludere Silvio Fiorillo, documentato a Milano solo in anni più
tardi.
. Cfr. M –, ad vocem. L’accoglienza nell’Accademia, datata al
, è conseguenza dell’intensa attività di poetessa della Andreini. Per le sue Rime
(), d’imitazione petrarchesca e tassiana, che suscitarono consenso e ammirazione,
si veda C. C, Isabella Andreini: la vicenda editoriale delle sue Rime, in “Acme”
maggio–agosto –LX, fasc. II, pp. – (in questo studio si segnalano anche
tutte le composizioni poetiche di Isabella inserite in altre raccolte, nonché quelle
messe in musica dai madrigalisti contemporanei, per esempio Tarquinio Merula e
Sigismondo d’India); e per l’accertata influenza sul Marino si veda S. S,
Le Egloghe Boscherecce di Isabella Andreini nelle opere di Giovan Battista Marino, in
“Studi secenteschi” –LIV, pp. –. All’Accademia partecipavano anche il dotto
fiammingo Ericio Puteano, docente a Milano a partire dal , e il cardinale Cinzio
Aldobrandini, dedicatario delle Rime.
. Comin Ventura è anche l’editore della tragedia tassiana Il Re Torrismondo
(Bergamo, ).
. Cfr. la dedica indirizzata da Comin Ventura al conte Pirro de La Fonte del
Diporto del Borgogni (Bergamo, C. Ventura, ) e i versi di Gherardo Borgogni a
lui dedicati (qui alla n. ).
. Il famoso sonetto del Tasso a lei dedicato è pubblicato in T , p. .
. Importanti furono in questo senso le consonanze del Tasso con Adriano
Valerini (cfr. D. C, Un’“ampia loggia nell’empireo cielo”: la Celeste Galeria di
Adriano Valerini tra descrizioni figurative e topoi letterari, in V , pp. –);
per gli artisti cfr. C . L’ostilità della Chiesa indusse il Tasso a riscrivere il suo
poema, espungendone le parti incriminate: La Gerusalemme conquistata fu pubblicata
Culture ermetiche e commedia dell’arte
per la prima volta a Roma nel e ristampata l’anno successivo a Pavia. Si deve
aggiungere che la nuova versione, se fu accompagnata da gravi sofferenze del poeta
(e del resto fu successivamente quasi ignorata), ottenne il plauso dell’Accademia
degli Inquieti (cfr. B, La Fonte del diporto. . . , in P–B ,
p. ).
. Cfr. G. M, Il volto del Tasso, in I, La caduta della luna, Mondadori,
Milano , pp. –.
. Cfr. T , pp. sgg. Si veda in particolare la lirica di Isabella Se
d’Anfion cotanto, datata al .
. Anche nelle sue pagine trova spazio quella “bella gara di Natura e d’Arte”
che è il vero topos nelle concezioni estetiche dell’epoca.
. Il quale le dedicò un sonetto in latino, pubblicato in apertura delle Rime
dell’attrice (). Tra il Puteano e l’attrice esiste un carteggio, risalente agli anni
–, ora pubblicato in MN , pp. –. Per l’ambiente culturale
milanese di questi anni si veda R. F, Federico Borromeo ed Ericio Puteano. Cultura
e letteratura a Milano agli inizi del Seicento, Roma, Bulzoni, , in cui si scrive di
non pochi dei personaggi qui citati.
. La morte dell’orso
. Isabella si esibisce, fra il e il (data della sua morte) a più riprese
nella Milano borromaica, apparentemente senza mai suscitare divieti o censure.
Due lettere “milanesi” di Isabella appaiono significative di una sua “differenza”: nella
prima, del giugno , chiede al Governatore di Milano di rappresentare con
Pedrolino “honeste commedie nella stanza solita del suo palazzo”; nella seconda, del
ottobre di quello stesso anno, chiede al Governatore di Milano di non accettare le
richieste di “questi che montano in banco in piazza pubblica fanno commedie, anzi
guastano commedie”. Le lettere sono pubblicate in A. P B, Contributo
alla storia del teatro: il Teatro a Milano nel secolo XVII, Milano, Ricordi, , pp. –.
Nel Isabella sembra recitare con i comici Uniti. Per Giovanni Pellesini detto
Pedrolino si veda ora F , pp. –.
. Cfr. F , pp. sgg.
. La data delle nozze di Isabella con Francesco Andreini a cui si fa risalire
l’ingresso dell’attrice nella compagnia, comunemente assegnata al , è stata recen-
temente anticipata al (da C. Burattelli, in C ’. C
, I, p. , n. ). Ne deriverebbe che fin dagli inizi l’attrice si trova a operare in un
contesto quanto mai difficile, in cui anche l’Accademia bleniese era prossima alla
sua chiusura (cfr. infra n. ).
. Ne pianse infatti la morte in un famoso sonetto (pubblicato in M–
R , p. ).
. L’espressione riprende quella di Galilei sulle tecniche del Tasso (E. P,
Galileo critico delle arti, a c. di M. C. Mazza, , p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Giovan Battista Andreini intitola addirittura una commedia Li duo baci ().
E cfr. cap. VI.
. Cfr. F. M, Introduzione a S , pp. XXXIX sgg.
. Cfr. C, Un’“ampia loggia nell’empireo cielo”. . . , in V , pp.
–, in particolare alle pp. sgg., in cui il comico–poeta Valerini rende omaggio
al pittore Orlando Flacco, di cui esalta la capacità di superare la Natura attraverso
l’esercizio dell’Arte.
. Li si veda entrambi pubblicati in M–R , rispettivamente alle
pp. – e –.
. L’Accademia bleniese, coerentemente agli usi dell’epoca, pare aperta esclu-
sivamente agli uomini. Se però l’Accademia degli Intenti di Pavia poté derogare
al suo orientamento accogliendo Isabella, a maggior ragione avrebbe potuto farlo
il sodalizio bleniese: ricordo infatti il testo di Cornelio Agrippa che sosteneva l’ec-
cellenza e la nobiltà delle donne, dichiarando perfino di anteporle agli uomini (cfr.
cap. III, ). Si direbbe dunque che gli Accademici non fossero interessati a Isabella,
poetessa in lingua toscana; e anche a Isabella non conveniva certo essere iscritta a
un sodalizio di tendenze così trasgressive.
. La morte dell’orso
Fin dal suo primo insediamento milanese, e cioè dal , fino
al , anno della sua scomparsa, Carlo Borromeo, ispirando-
si alle direttive del Concilio tridentino, aveva affermato con
energia la centralità dell’autorità ecclesiastica. E, pur interpre-
tando con magnificenza le liturgie e le pratiche devozionali
della città e mantenendo la pratica degli apparati festivi per
l’insediamento dei governatori spagnoli, aveva imposto pesanti
limitazioni alle manifestazioni teatrali, opponendosi sistema-
Culture ermetiche e commedia dell’arte
decapitato e straziato .
Può essere che questi componimenti poetici si riferiscano
alla morte di un orso realmente esistente ; ma non si può
davvero escludere che questa morte sia solo un pretesto occa-
sionale e che essi siano in realtà, come è documentato in altre
occasioni , volti a significare realtà troppo pericolose per dirle
esplicitamente.
.. L’Orso
diffuso.
. L’incisione del Pittoni con i versi del Dolce sottostanti (“Vinto ha l’arte,
l’ingegno, e la Natura”) si trova in G.B. P, Imprese nobili, et ingegnose di diversi
prencipi, et d’altri personaggi illustri nell’arme et nelle lettere. . . , Venezia, G. Porro, ,
pubblicata in “Con parola brieve e con figura”. Libri antichi di imprese e emblemi, a cura
di L. B, Lucca, M. Pacini Fazzi, , p. (osservo peraltro che la figurazione
e il motto “Natura potentior Ars” — ove Natura precede — sembrano privilegiare la
Natura; il che è del resto confermato dalla poetica di Tiziano). Un’immagine molto
conosciuta: il letterato Alessandro Citolini vi allude infatti con molta disinvoltura
(“mi son messo, a guisa de l’orsa, a leccar questo mio parto per darli forma”: cito
da B , pp. e n. , in cui si citano altre imprese che usano la stessa
immagine; una di esse — attinta da G. L P, Le théâtre des bons engins,
auquel sont contenus cent emblèmes moraulx, Paris, D. Ianot, , n. — vi è riprodotta
a p. ).
. Una funzione, quest’ultima, raccolta, sia pure in maniera non puntuale, an-
che nelle feste cortesi: per esempio in quelle di Binche del , quando un gruppo
di selvaggi irruppe nel bel mezzo delle danze di corte per rapire e chiudere le dame
in una vicina fortezza che venne abbattuta dai cavalieri il giorno seguente: cfr. R.
S, Arte e potere. Le feste del Rinascimento –, Il Saggiatore, Milano , pp.
–. Il selvaggio, che trae la sua origine nell’“homo salvaticus” medioevale “mez-
zo uomo e mezzo bestia”, ha, a partire dal costume peloso e anche dal potenziale di
ridicolo, non pochi elementi in comune con l’orso (cfr. anche P , pp.
–); e non manca chi gli ha ricondotto lo Zanni e in particolare, come sopravvi-
venza metonimica, la sua maschera (cfr. M. A, voce “maschere” in EdS,
–, vol. VII, col. ). La corpulenza dell’orso ha contribuito ad accentuarne
l’aspetto di goffaggine e di stupidità, come nell’etimologia del buffone che viene
dalla parola francese bouffi, gonfio d’aria e di futilità (cfr. P , p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Per la citazione e le feste agrarie si veda P. C, Il paese della fame,
Bologna, Il Mulino, , p. ; per il Sant’Alessio (Roma, teatro Barberini,) cfr.
Drammi per musica dal Rinuccini allo Zeno, a c. di A. Della Corte, Torino, UTET, ,
vol. I, p. . Un’immagine di orso come Lucifero è pubblicata in P ,
p. e fig. .
. Secondo quanto espresso per esempio dall’erudito Tommaso Stigliani: cfr.
E. B, Umanisti e Lincei: letteratura e scienza a Roma nell’età di Galileo, Padova,
Antenore, , p. .
. Cfr. S. F, Serlio pittore: fantasma o realtà?, in Arti a confronto. Studi in
onore di Anna Maria Matteucci, a cura di D. Lenzi, Bologna, Compositori, , p. .
. La morte dell’orso
. M, La Principessa d’Elide (II intermezzo, sc. II), in Molière. Saggi e
traduzioni di Cesare Garboli, Torino, Einaudi, , pp. –.
. Cfr. S , II, pp. –.
. F. S, L’Orseida (I), ibidem, p. .
. A , pp. –.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. L’Isella ha rilevato che dall’elenco degli artisti evocato nei tre carmi è assente
lo scultore bleniese Annibale Fontana, benché questi fosse rientrato a Milano nel
: questa data sarebbe dunque per lui il termine ante quem furono composti i
componimenti in questione (cfr. L , p. , n. –). La data appare
coincidente con quella indicata nel presente studio, legata alla partenza definitiva di
Zan Ganassa (cap. IV, , n. ).
. Lomazzo dichiara infatti che i materiali pubblicati nei Rabisch nel (in
anni dunque tardi rispetto alla loro epoca di composizione) perpetuano il ricordo, i
principi e l’identità dell’Accademia: dunque si può supporre che già a quella data
l’Accademia non esistesse più (cfr. C , p. ). L’ Isella motiva questa tarda
pubblicazione con la morte dell’Arcivescovo (), interpretando in tal modo alcuni
versi cifrati (cfr. n. dei Rabisch (cfr. I, Giovan Paolo Lomazzo. . . , in L
, pp. XXXIIII–XXXIV). È ovvio infatti che questa pubblicazione dovette essere
accuratamente emendata e cifrata.
. Cfr. P. M, La Nobiltà di Milano, Milano, P. Pontio, , pp. –
e – in cui si rilevano i molteplici talenti del Cavenaghi, esperto anche in
Culture ermetiche e commedia dell’arte
mente dotato sia come cantore che come musico, molto ap-
prezzato anche dal re di Spagna e riconosciuto nei Lamenti
come il colpevole materiale dell’uccisione dell’orso (forse per
gelosia dei multiformi talenti dell’orso, che si dice ammirato
cantore), non risultano notizie utili alla comprensione di questo
passo. Giulio Claro (–) è un famoso letterato e giurista,
Reggente del Consiglio d’Italia a Madrid al tempo delle contro-
versie giurisdizionali tra il Senato milanese e Carlo Borromeo
e cioè tra il e il , spesso consultato anche da Filippo II
e generalmente considerato in opposizione al Borromeo, ma,
almeno apparentemente, non legato ai problemi di cui qui si
scrive; a giudicare da questi documenti, potrebbe essere stato
lui a concedere ai comici le prime licenze di rappresentare nelle
osterie.
Numerosi altri elementi sembrano tuttavia molto riconosci-
bili.
I carmi sono un chiaro atto di accusa contro tutti gli Acca-
demici, nessuno escluso, nemmeno gli autori dei carmi stessi:
un’autoaccusa impietosa e radicale: “voi altri — dice l’orso —
siete tutti degli assassini”. Giovan Angelo Azzio è uno dei sette
Savi dell’Accademia (compà Vinasc), più volte citato e lodato nei
Rabisch come gaudente amante di Bacco, ma su cui non ab-
biamo alcuna notizia biografica: sarebbe dunque un traditore
interno all’Accademia; e non è l’unico, se dobbiamo credere
a quanto si scrive sull’indifferenza “dello Zavargna [lo stesso
Lomazzo] e del Luini [compà Lovign, e cioè il pittore Aurelio
fuochi e bombarde e non solo. Sulla base di questo testo il suo nome è citato dal
Kendrick, il quale scrive anche dell’importanza della Val di Blenio dal punto di vista
musicologico (cfr. R. L. K, The sounds in Milan, –, Oxford, University
press, , p. ). Una lettera del Cavenaghi datata al luglio , conservata
nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (F , inf. , c. ) in cui egli supplica
l’arcivescovo Carlo Borromeo di riammettere la consorte ai sacramenti, lo mostra
desideroso di recuperare la piena sintonia con il clima pietistico dominante. Dai
versi dei Rabisch si potrebbe dedurre inoltre che fosse un appassionato cacciatore e
pescatore.
. Cfr. L , p. . Se ne veda anche la ricca voce sul DBI, redatta da
A. Mazzacane.
. La morte dell’orso
. Cfr. L , pp. (“Nell’Osteria del Falcone, legato a una colonna
con una grossa catena. . . ”) e (“[i più grandi artisti dell’antichità] avrebbero eretto
nel cortile il mio ritratto. . . ”). Numerose osterie sono citate nei Rabisch e nel più
antico componimento Cheribiz: cfr. I, Per una lettura dei Rabisch. . . , ibidem, p.
XXVIII. Straordinaria la descrizione dell’osteria offerta in G , II, pp. –
; per l’importanza di questo luogo nello spazio dei professionisti cfr. F. C,
Lo spazio del teatro, Roma–Bari, Laterza, , p. . La frequentazione delle osterie
riporta non solo al tema primordiale della fame, ma anche a quello della notte e della
magia: cfr. C , pp. – in cui si legano la negromanzia e la crapula
all’influenza della letteratura macaronica pre–folenghiana della cerchia padovana di
Tifi Odasi.
. Il leone già di Porta Renza o Porta Orientale, oggi posto in cima alla colonna
di piazza San Babila: cfr. L , p. , n. . Il leone era infatti, insieme e
dopo l’orso, immagine originaria della forza.
. Da Dante Isella: cfr. L , p. , n. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. F. S. Q, Della storia e della ragione d’ogni poesia, Milano, F. Agnelli,
, vol. III, p. II, p. . Il Quadrio si riferisce probabilmente a Lucio Burchiella, che
pubblica versi nell’Oratione in morte della divina signora Vincenza Armani di Adriano
Valerini (Verona, B. dalle Donne, ); e che, secondo il Bartoli, era un “comico
unito alla compagnia dei Gelosi” (cfr. F. B, Notizie istoriche de’ comici italiani
che fiorirono intorno l’anno fino a’ giorni presenti, Padova, Conzatti, , I, p.
). Antonio Burchiella potrebbe essere stato il maestro di Lucio: in tal modo si
spiegherebbe la trasmissione dell’appellativo. E si veda anche la n. seguente.
. Cfr. L , pp. –. Ricordo che anche Giulio Cesare Croce scrive
di un “Gratiano Pattesana da Francolino” (G. C. C, Le cento e dodici conclusioni
in ottava rima del plusquam perfetto Dottor Gratiano Pattesana da Francolino, Bologna,
eredi del Cochi, s. a.); e che un Pietro Bagliani, bolognese, detto il “Dottor Gratiano
Forbizone, da Francolino”, un comico della compagnia degli Uniti, insieme ad Adria-
no Valerini (cfr. G. P. Marchi, Introduzione a A. V, Le bellezze di Verona, Verona,
s.n.tip., , p. XXXII, n. ), pubblica nel una commedia in prosa intitolata La
Pazzia, menzionata nella Drammaturgia dell’Allacci (Roma, Mascardi, , p. ).
È interessante verificare come queste testimonianze di varia datazione confermi-
no comunque la provenienza di Graziano dal paese vicino a Ferrara testimoniata
nei Rabisch. Il Rainoldi dà voce, oltre che al Graziano bolognese e al contadino
bergamasco Pedraz, anche al genovese Bussotte e al varesino Bosign (cfr. I,
Giovan Paolo Lomazzo. . . , in L , pp. LII, e Lomazzo , pp. –). Lo
stesso Rainoldi è documentato in una Mascherata milanese organizzata nel dal
celebre danzatore e coreografo Cesare Negri in occasione della venuta del vincitore
di Lepanto, don Giovanni d’Austria, in cui lo stesso poeta lombardo, in abito di
Zanni (probabilmente di Graziano), spiegava le prosopopee o personificazioni di
una lunga sfilata allegorica in cui figuravano il Sospetto, il Desiderio, la Speranza, la
Gelosia, e via seguitando (cfr. C. N, Le Gratie d’Amore, Milano, eredi di P. Pontio
e G.B. Pancaldi, , pp. –).
. Cfr. T. G, Piazza universale di tutte le professioni del mondo,: cito da
. La morte dell’orso
. La lettera fu scritta al monsignore Cesare Speziano, una delle persone a lui
più vicine. Sancio de Guevara y Padilla fu governatore di Milano dal luglio al
marzo (cfr. L. P, Il Governatore dello Estado di Milano (–), Genova, A.
Pesce, , p. ). La data della lettera, oltre che la ricostruzione puntuale, anno
per anno a partire dal , della politica tenuta dai Governatori e dall’Arcivescovo
nei confronti dei comici, si trova in C , p. (nei due testi la lettera
sembra ripresa in punti diversi).
. È quanto afferma Nicolò Barbieri nella sua Supplica, : cito da M–
R , pp. –. Per questo episodio cfr. T–S , pp. –.
Le manovre del Valerini sfruttano lo scontro giurisdizionale tra Curia e Governatore.
Si veda in proposito quanto scritto in V : in questo opuscolo
sono raccolti alcuni documenti importanti sull’argomento, tendenti a dimostrare
l’inattendibilità delle asserzioni del Cecchini, specie nella conseguenza che egli ne
trae che “potevano i commedianti sugli scenari corretti secondo le regole prescritte
dal Santo onestamente recitare le loro commedie, onestamente e lecitamente rap-
presentare le loro favole”. Vi si riporta anche che secondo Daniele Concina “essersi
i commedianti partiti da Milano per non soggiacere alle regole prescritte dal Santo”;
che nel il Borromeo accettò le loro rappresentazioni, limitandosi a correggere
le commedie, solo perché sapeva che una sua proibizione sarebbe rimasta senza
effetto; che altre volte nella correzione egli impiegava tanto tempo che “passava il
tempo di recitarle, e i commedianti di disperazione si partivano dalla città”; e che
il suo “orrore” per gli spettacoli si spingeva fino a proibire ogni rappresentazione
anche nei Collegi e nei Seminari (ibidem, pp. –). La fonte è chiaramente di parte;
ma un’indagine condotta su documenti di prima mano (cfr. E. S, Carlo
Borromeo e il teatro: una ricognizione storiografica, tesi di laurea presso il corso di laurea
in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell’Università di Bologna, rel. E. Tamburini,
a.a. –), sembra confermarla. È interessante vedere che il teatro scompagina gli
altrimenti rigidi schieramenti familiari: i figli del Governatore difendono i comici; a
presiedere il Senato figurava un Giambattista Rainoldi (verosimilmente parente di
Bernardo) favorevole al Cardinale.
. Nella Chronology pubblicata dalla MacNeil (MN , in appendice) i
Gelosi, dopo la fortunata tournée francese del , ottengono la licenza di rappre-
. La morte dell’orso
sentare commedie a Milano nel giugno , nel maggio , nel luglio . Dopo
la morte dell’Arcivescovo, le rappresentazioni riprendono almeno nel , nel
e nel (cfr. A, I comici dell’arte a Milano. . . , in S , pp.
–, n. , , ).
. Cfr. anche D. C, “Un’ampia loggia nell’empireo cielo”. . . , in V
, pp. –.
. Cfr. la Tavola che precede le R : “Madriale [in questo caso
di Cristoforo Corbelli] fatto nella occasione, che i Comici Uniti, di cui era parte
principale la s. Angelica.. si unirono qui in Bergamo, per alcuni giorni con i Comici
Gelosi Non più col foco de’ sospir sperate” (pp. –) e “Sonetto nell’occasione
medesima, che fu fatto il Madriale [. . . ] Voi, cui ’l sembiante, e ’n suon la voce intesa”
(p. ). Nei due componimenti si citano Angelica e Filli e si gioca ripetutamente sui
nomi dei comici Uniti e Gelosi. Angelica era probabilmente Angelica Alberghini,
moglie di Drusiano Martinelli, il quale usava firmarsi “marito di madonna Angelica”
e figura infatti, almeno in alcune occasioni, legato agli Uniti; Filli potrebbe essere
Isabella Andreini, come si potrebbe ipotizzare dal fatto che nel la coppia degli
Andreini figura a Bergamo e a Milano (cfr. F , p. ). Il sonetto è
pubblicato in appendice al presente capitolo.
. La seconda, secondo Francesco Bartoli, fu nel : la compagnia dei Gelosi
“fu la prima ad aprir Teatro Comico in Parigi per privilegio ottenuto da Arrigo III”:
cito da F. M, Introduzione, in S , p. XVII.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Documento
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Cfr. G. C, Discorso in materia del Theatro, in C , pp. — .
. Come osserva il Bologna, sarebbe un errore pensare il teatro di Camillo co-
me a un “mero strumento mnemotecnico in cui le immagini ’servono’ per dislocare
il reticolo della memorabilità in ’luoghi’ costruiti artificialmente [. . . ] Cercando di
imprigionare nel suo Theatro Proteo, il signore della metamorfosi, Camillo pone al
centro del suo disegno appunto l’idea di trasformazione, di interpretazione come
trasformazione”: B , p. .
. Cfr. T , pp. sgg.
. Cfr. cap. I, , n. . Il teatro svolge una funzione necessaria, osservava Nicolò
Barbieri, quella della ricreazione. E “quando toglier si volessero tutte le ricreazioni,
bisognerebbe prima levar gli affetti a’ sensi” (N. B, La Supplica, : cito
da M–R , p. ). Questo affetto inseparabile dai sensi e dai gesti
corrispondenti ha accenti alquanto moderni; e non è un caso che ciò avvenga nella
lingua di un comico.
. F. S, Prologo della commedia del Finto marito, : cito da M–R
, p. .
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
Parabosco (Venezia, ) il cui titolo è forse ripreso dal Borgogni nella sua Fonte del
diporto (Bergamo, ).
. Pubblicata a Verona nel : cfr. C, Un’“ampia loggia nell’empireo
cielo”. . . , in V , p. .
. Cfr. cap. II, , n. .
. Cfr. C, Introduzione, in L –, I, p. X, n. . Sulle opere
di Agrippa (cfr. cap. IV, , n. ) si formano sia Giulio Camillo che Giovan Paolo
Lomazzo.
. T , p. . Il Tornitore intende evocare ovviamente il titolo
dell’opera di Mario Praz (Praga magica), anche perché scrive a proposito dell’Arcim-
boldi, attivo appunto tra Milano e Praga e fondatore di uno studio sulla musica dei
colori che è uno dei primi esempi di una sinestesia consapevolmente perseguita.
. Cfr. C, Introduzione, in L –, I, p. LXIII. Camillo si spinge
a dare anche consigli precisi sulla composizione del trattato da lui auspicato, con-
sigli che sembrano almeno in alcuni particolari puntualmente seguiti dal teorico
lombardo.
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
. Cfr. A. M. R, Praga magica, Torino, Einaudi, , pp. sgg.
. C , L’Idea del Theatro. . . , cit., p. . Il “pistrino” è uno strumento
per pestare il grano e fare il pane.
. Un vecchio asinaio si rivela infatti maestro di sapienza: cfr. D.C. M ,
L’essenza della cabala: il cuore del misticismo ebraico, Roma, Newton & Compton, ,
pp. , .
. Cfr. M. A, Il sogno filosofico, in H , p. XXXV.
. Cito da E. G, Prefazione a N. O, La cabala dell’asino. Asinità e
conoscenza in Giordano Bruno, Napoli, Liguori, , p. .
. Cfr. Y , pp. –.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. Secondo Ovidio il corteggio della dea era formato dal temerario Errore,
dalla Credulità, dalla vana Speranza, dal vano Timore, dal dubbio Sussurro (cfr. G.A.
’A, Le metamorfosi d’Ovidio, Venezia, G. Griffio, , lib. XII, st.
sgg.). Virgilio la descrive come un “orribile mostro” alato, interamente percorsa
di “occhi ancora vigilanti, bocche con altrettante lingue che non tacciono mai ed
altrettante orecchie che stanno ad udire sempre intente”.
. Erasmo da Rotterdam, con cui Camillo, come scritto in precedenza (cfr. cap.
II, ), ebbe precisi contatti, nel suo Elogio della follia scrive che follia è l’amore di sé,
della fama e della gloria che ci fa abbandonare ogni timidezza e ci induce all’azione.
Ricordo anche il teatro/tempio della Fama ideato da Anton Francesco Doni che
vi riprendeva per alcuni versi il teatro dell’amico Giulio Camillo (cfr. B,
Introduzione, in C , pp. –). Il palazzo della Fama compare anche
visivamente nella traduzione delle Metamorfosi di Ovidio operata dall’Anguillara
(come particolare nella tavola incisa) di cui alla nota precedente; è rappresentato con
gli stessi caratteri nel I intermezzo del Giudizio di Paride di Michelangelo Buonarroti
(Firenze, ); un’immagine che sarà fedelmente ripresa anche da I. Jones nel V
intermezzo dell’antimasque Britannia Triumphans di William Davenant (Londra,
).
. Cfr. G , pp. , .
. Dedicando a Vincenzo Gonzaga la sua Celeste Galeria, scrive innanzitutto
della Fama che ne ha consacrato l’eccellenza fra i principi: cfr. V , p. .
. Cfr. per esempio il più ampio repertorio di immagini, pubblicato alla fine
del Cinquecento: R , pp. –. Vi si parla dei due tipi di Fama, ma non si
fa per nulla riferimento alle due trombe, preferendo marcare la Fama negativa per
mezzo di ali nere, come negli scritti di Claudiano. Così anche il L –, II,
pp. – e . Anche nel commento sempre molto documentato di Sonia Maffei
non si scrive nulla sulle due trombe.
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
La Fama era esibita anche dai Gelosi, i comici non a caso esal-
tati per il grido straordinario: per testimonianza di Francesco
Andreini, essi avevano infatti “un Giano con due faccie per
. Cfr. B , pp. XVIII sgg., sgg. Tendenze similari ritroviamo
anche fra i musicologi: Pietro della Valle, per esempio, metteva in guardia contro
le musiche «troppo artifiziose» che in effetto «son belle musiche, ma musiche solo
per note, non per parole; che è quanto a dire belli corpi, ma corpi senz’anima» (P.
D V, Della musica dell’età nostra, : cito da S , p. ).
. Cfr. MN , pp. , .
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
. Cfr. M , pp. , e . Anche in una Canzogn dei Rabisch
Pirro Visconti è rappresentato con simili accenti (L , pp. – (II, )).
Il ninfeo è stato costruito a partire dal .
. Cfr. C , p. ; L , p. (II, ). La concezione di
un Ercole sapiente sembra di origine celtica e si trova nei Dialoghi di Luciano; ma
assai più pertinente in questo caso sembra quella che compare nell’Idea del theatro
di Giulio Camillo. Il cui riferimento è dunque ai “tre mondi dei cabalisti, quali
sono stati esposti da Pico della Mirandola: il mondo sovraceleste delle Sephiroth o
divine emanazioni; il medio mondo celeste delle stelle; il mondo subceleste o degli
elementi” (Y , p. ). Una tripartizione già dichiarata da Marsilio Ficino e
accettata anche da Cornelio Agrippa (cfr. Y , p. ).
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
con chi ride, pensare con chi pensa, ramaricarsi con chi piange,
rallegrarsi e gioire con chi s’alegra; et oltre di ciò maravigliarsi
con chi si maraviglia, desiderare una bella giovane per moglie
vedendone una ignuda, compatire con chi s’affligga, et anco in
pigliar di mangiare vedendo chi mangi di preziosi e delicati cibi,
cader di sono vedendo chi dolcemente dorma, commoversi
ne l’animo e quasi entrar in furore con quelli che si veggono
combattere animosamente in battaglia espressi coi propri e con-
venienti moti, muoversi a sdegno et a stomaco di quelli da cui
veggono fare cosa lorda e disonesta, e simili altri effetti infiniti.
I quali veramente non sono di minor meraviglia e stupore al
mondo che si siano quelle maraviglie de gl’antichi musici che,
suonando, a sua voglia solevano incitar gl’uomini a furore et a
sdegno, incitare a gl’amori, all’armi, all’onorate imprese et a
cotali altri affetti”.
Dipingere al naturale significa dunque innanzitutto vivere
personalmente le passioni rappresentate.
Un esempio insuperato resta, secondo Lomazzo, quello di
Leonardo il quale “non faceva moto in figura che prima non
lo volesse, col suo studio accompagnato, vedere un tratto nel
vivo, non per altro che per cavarne una certa vivacità naturale
con la qual doppo, aggiungendovi l’arte, faceva veder gl’uo-
mini dipinti meglio che i vivi”. L’episodio delle persone che
l’artista, dovendo disegnare alcuni contadini che ridevano, in-
vitò a un banchetto allo scopo di farli “ridere alla smascellata”
raccontando loro “le più pazze e ridicole cose del mondo”, è
davvero significativo; e molto più perché egli rilevò analoghi
effetti su coloro che in seguito osservarono il disegno, anche
senza dover ricorrere a quelle storie ridicole. È dunque ripren-
dendo esplicitamente l’artista vinciano che egli raccomanda al
pittore come espediente efficacissimo “di vedere far alle pugna,
d’osservare gl’occhi de’ coltellatori, gli sforzi de lottatori, i gesti
de gl’istrioni, i vezzi e le lusinghe delle femine di mondo, per
farsi istrutto dell’“anima istessa della pittura” e per creare “at-
titudini [atteggiamenti] proprie et accomodate al sogietto”; e
raccomanda anche di imitarlo quando egli osservava i gesti “de’
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
. Le varie citazioni da L, Trattato dell’arte. . . (l. II), in L –
, II, p. –. Per Lomazzo “le passioni dell’animo non sono altro che certi
moti che provengono dall’apprensione di alcuna cosa; e questa è di tre sorti, cioè
sensuale, razionale e mentale; e secondo queste, tre passioni sono anco nell’anima”;
“le potenze poi inferiori si dividono in concupiscibile e irascibile”. Egli individua
così undici passioni o affetti (in tal modo sostanzialmente equiparati): amore, odio,
desiderio, orrore, allegrezza, dolore, speranza, disperazione, audacia, timore ed ira
(ibidem, p. ). Per “come il corpo si muta per le passioni dell’animo”, si veda il
Documento pubblicato in appendice a questo capitolo.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
siano vivi alcuni a le case del Curso che questo Iacomo le fabricò, né voglio per ora
dirne altro serbandomene farlo a meglior studio” (G.P. C, Spoglio di notizie
storico–genealogiche riguardanti famiglie romane disposto per ordine alfabetico. Lett. S–Z,
vol. II, Bibl. Ap. Vaticana, ms. Ferraioli , c. v). Per motivi cronologici questo
Iacomo dovrebbe essere il nipote del Giacomo di cui scrive l’Andreini, mentre
Flaminio ne era il figlio, probabilmente non il primogenito, dal momento che si dà
al teatro e dunque è verosimilmente privo di mezzi di fortuna. Ricordo anche che
un Bartolomeo Scala, fiorentino, era stato tra i più assidui frequentatori dell’antica
Accademia neoplatonica di Careggi.
. Cfr. T , pp. –..
. Cfr. M, Introduzione, in S , p. XXX. Nel testamento dello Scala
rinvenuto da Marotti la bottega e l’insegna della Fama sono espressamente citate.
. Cfr. F , p. n. L’iniziativa veneziana dello Scala si deve forse al
fatto che Venezia era ancora sentita come il baluardo delle libertà.
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
. D F B , pp. sgg. Il significato di bottega potrebbe essere
diverso da quello moderno e indicare un luogo dove si lavorava e si studiava: cfr.
R , p. .
. Cfr. Z , pp. – dove ne sono segnalate altre in nota. Nella stessa
bottega, come notato in precedenza, sarà impegnato anche suo figlio Giacomo
Franco (cfr. G. F , p. ).
. Cito da F , p. .
. La complessa trattativa tra lo Scala e il segretario dei Gonzaga è ricostruita in
F , p. n.; e noto che alla fine il comico portava con sé a Mantova “libri
di teatro, ma anche di geomanzia e astrologia”. Questa sua attività di profumiere
(alchimista), come è stato notato, costituiva un forte terreno di affinità fra lo Scala e
don Giovanni de’ Medici e certo anche con il Duca di Mantova (C ’.
C , I, pp. –). È interessante notare come al momento della
sua morte a Mantova nel settembre del lo Scala sia registrato come “S. Flavio
profumiere di S.A.” (cito da M, Introduzione, in S , p. XLVII). Le due
attività dunque sono viste fino alla fine come strettamente unite.
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. “I profumi, in quanto assai simili per natura allo spirito e all’aria e, quando
sono bruciati, conformi anche ai raggi delle stelle, se sono solari e gioviali, influen-
zano con efficacia l’aria e lo spirito ad accogliere opportunamente, sotto i raggi, le
qualità del Sole o di Giove che in quel momento dominano” perché se è vero che la
materia dell’immagine, “piuttosto dura”, non può ricevere quasi nulla “dagli odori e
dall’immaginazione di chi la fabbrica; tuttavia lo spirito è influenzato dal profumo al
punto che da due cose ne deriva una sola” (F , p. ( l. III, ).
. Insieme alla “metallurgia e oreficeria”, all’“arte tintoria”, all’“imbalsamazione”
e all’“arte farmaceutica”: cfr. H , p. .
. A. C, Tipocosmia, Venezia, V. Valgrisi, , p. .
. C , pp. , ; B, Introduzione, ibidem, p. .
. Cfr. G. C, De transmutatione, in C , pp. –; B,
Introduzione, in Camillo , pp. –. Come notato dalla Bolzoni, la deificazione
dell’uomo, a cui la macchina tende, appare diretta innanzitutto verso il recupero
della originaria purezza e divinità di Adamo; e qui potremmo ricordare l’Adamo di
Giovan Battista Andreini.
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
. Cfr. B, Introduzione, in C , pp. sgg. Anche l’attenzione
del Lomazzo è attirata dalla molteplicità del reale, rivoluzionando la tensione classica
verso l’euritmia e la proporzione.
. Cito da M–R , pp. , . Anche Scala ricorda che Roscio
assimilava la commedia alla retorica (ibidem, p. ). Barbieri scrive di confondere e
non distinguere poeti con istrioni, recitanti con compositori (ibidem, p. ).
Culture ermetiche e commedia dell’arte
. M. S, Masques et bouffons: cfr. T , p. . Scala assunse il nome di
Flavio almeno a partire dal (e non dal come spesso si è scritto), dal momento
che la commedia Il Postumio “del signor I. S.” (ma probabilmente sua), pubblicata
quell’anno a Lione, era “posta in luce per Flaminio Scala detto Flavio, Comico
Acceso”; e anche nelle dediche e nei sonetti introduttivi al suo Teatro (dunque nel
) e perfino nel suo frontespizio, lo si citava esplicitamente e ripetutamente come
Flavio (S , pp. , , , , ).
. Cfr. F , pp. –.
. Isabella, come il Valerini, appare infatti principalmente tesa a rivendicare la
sua eccellenza nella poesia.
. G.B. A, La Ferza, : cito da M–R , p. .
. Tra arte della memoria, teorie magiche e artistiche e il teatro dell’Arte
rabbia e disperazione. Non escludo anzi che una lettura del quadro debba tener
conto anche degli scritti di Giulio Camillo, certamente ben conosciuto a Firenze,
anche attraverso figure assolutamente centrali nella corte medicea, come Benedetto
Varchi e Luigi Alamanni.
. Cfr. B , pp. sgg.
. Si legga il Prologo in G. B. D P, Teatro, a c. di R. S, Napoli,
Istituto Unversitario Orientale, , vol. II, pp. –. E la relativa Introduzione di
R. Siri alle pp. sgg. La Fantesca fu pubblicata nel (ma scritta prima, post )
e più volte ristampata. Per la parte assegnata da Camillo allo Sdegno si veda supra
alla n. . Ricordo anche che in una mascherata milanese organizzata nel dal
celebre danzatore e coreografo Cesare Negri in occasione della venuta del vincitore
di Lepanto, don Giovanni d’Austria, il poeta lombardo nonché Accademico bleniese
Bernardo Rainoldi, in abito di Zanni, spiegava le prosopopee o personificazioni di
una lunga sfilata allegorica in cui figuravano il Sospetto, il Desiderio, la Speranza, la
Gelosia, e via seguitando (cfr. I, Giovan Paolo Lomazzo. . . , in L p.
LIV). E cfr. L –, II, p. .
Culture ermetiche e commedia dell’arte
Documento
Figura 24. Jacopo Tintoretto, Leda e il cigno, olio su tela, 1578, Firenze, Gal-
leria degli Uffizi (©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)
Figura 25. Jacopo Tintoretto, Caterina Sandella, olio su tela, 1552-
53, Venezia, Collezione privata
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Indice dei nomi
Della Porta, Giovanni Battista , Fidenzi, Jacopo, detto Cinzio, ,
n., e n. Figino, Girolamo , , ,
Della Valle, Pietro Figino, Giovanni Ambrogio ,
e n.
Demetrio, pittore n.
Filarete, Antonio Di Pietro Averlino
Diderot n. o Averulino detto il,
Dionisio, e n., n. Filippo II di Spagna, , ,
Dolce, Ludovico n. e n., n., Fiorilli, Tiberio
, , n., , - e n., ,
e n., n., e n., n., , n., Fiorillo, Silvio n.
n., n. Flacco, Orlando n., , n.
Indice dei nomi
–
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Finito di stampare nel mese di maggio del
dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»
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per conto della «Aracne editrice int.le S.r.l.» di Ariccia (RM)