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Enti patrocinatori:
PROVINCIA DI TARANTO
A CURA DI
FRANCESCO PAOLO RUSSO
Relazioni introduttive:
Ore 15,30
Presiede: F. P. Russo
Relatori:
Cecilia Campa, Il musicista nelle rivoluzioni dei poteri: mutamenti e costanti
nel codice celebrativo
Pierfranco Moliterni, L’innodia paisielliana: la cantata La pace
Michèle Sajous, I funerali-spettacolo sulle scene francesi
Ore 18.30
Due progetti paisielliani: Motezuma ed Il barbiere di Siviglia
Lorenzo Fico
Lourdes Alzate
Ricardo Calderon Figueroa
Friedrich Lippmann
Ore 20,00
Concerto
Novella Bassano, soprano
Sonia Zaramella, mezzo-soprano
Onofrio della Rosa, pianoforte
***
Ore 15,30
Presiede: E. Sala
Relatori:
Francesco Paolo Russo, Paisiello e Vienna
Milada Jonásová, Le rappresentazioni delle opere di Paisiello a Praga
PROGRAMMA DEL CONVEGNO IX
Comunicazioni:
Lorenzo Mattei, Innovazioni drammaturgiche e musicali nella produzione
seria dell’ultimo Paisiello
Roberto Scoccimarro, Gli autografi paisielliani dei due concerti per cembalo
ritrovati nell’archivio musicale di Montecassino
1 Un sintetico e al tempo stesso esaustivo, profilo dell’opera italiana allo scadere del
Settecento è fornito da FRANCO PIPERNO, Il teatro d’opera dopo Metastasio, in Musica in
scena. Storia dello spettacolo musicale diretta da Alberto Basso, vol. II, UTET, Torino 1996,
pp. 167-99. Sul complesso distacco dell’opera italiana dalla drammaturgia metastasiana
segnaliamo il volume di ANDREA CHEGAI, L’esilio di Metastasio. Forme e riforme dello spet-
tacolo d’opera fra Sette e Ottocento, Le Lettere, Firenze 1998.
2 Sull’argomento rimandiamo al saggio di CLAUDIO TOSCANI, Soggetti romantici nell’opera
italiana del periodo napoleonico (1796-1815), in Aspetti dell’opera italiana fra Sette e Otto-
cento: Mayr e Zingarelli, a c. di Guido Salvetti, LIM, Lucca 1993 (Quaderni dei corsi di
musicologia del Conservatorio «G. Verdi» di Milano, 1), pp. 13-70. Sulla reciproca in-
fluenza tra genere operistico, romanzo e teatro di prosa cfr. il lavoro (riferito tuttavia
al solo genere della farsa) di ILARIA CROTTI, Percorsi della farsa tra romanzo e teatro, in I
vicini di Mozart, Atti del convegno internazionale di studi (Venezia 7-9 settembre
1987) a c. di Maria Teresa Muraro e David Bryant, Olschki, Firenze 1990, vol. II: La
farsa musicale veneziana, pp. 489-549. Manca a tutt’oggi una ricognizione generale sui
repertorii delle compagnie italiane drammatiche e di ballo a cavallo di XVIII e XIX se-
colo. Tra i non numerosi contributi segnaliamo: ANGELA PALADINI VOLTERRA, Verso una
232 LORENZO MATTEI
moderna produzione teatrale, «Quaderni di teatro», V/20, maggio 1983, pp. 87-144 (sul
repertorio veneziano dal 1759 al 1797); FABIANA LICCIARDI, Di alcune compagnie di attori-
cantanti e cantanti-attori nella critica fra Sette e Ottocento, in Carlo Goldoni 1793-1993. Atti
del Convegno del Bicentenario, Regione del Veneto, Venezia 1995, pp. 307-21; e il
saggio di MARCO MARICA, La produzione librettistica di Giuseppe Maria Foppa a Venezia,
in L’aere è fosco il ciel s’imbruna. Arti e Musica a Venezia dalla fine della Repubblica al con-
gresso di Vienna. Atti del convegno di Studi (Venezia 10-12 aprile 1997) a c. di Fran-
cesco Passadore e Franco Rossi, Fondazione Levi, Venezia 2000, pp. 351-410: 368. Sui
rapporti tra ballo e opera — oltre al contributo di KATHLEEN K. HANSELL, Il ballo tea-
trale e l’opera italiana, in Storia dell’opera italiana, a c. di Lorenzo Bianconi e Giorgio Pe-
stelli, vol. V: La spettacolarità, EDT, Torino 1988, pp. 175-306 — di grande interesse si
rivelano i saggi contenuti in: Creature di Prometeo. Il ballo teatrale. Dal divertimento al
dramma, studi offerti a Aurel M. Milloss, a c. di Giovanni Morelli, Olschki, Firenze
1996; e il sopra menzionato CHEGAI, L’esilio di Metastasio, pp. 163-237 (cap. IV: Il ballo
per l’opera: analogie, contrasti, interscambi).
3 Cfr. GIOVANNI CARLI BALLOLA, Il panorama italiano fra Sette e Ottocento, in Musica in
servatori, vol. II, Morano, Napoli 1881, p. 267: «l’opera il Pirro (1787) nella quale, per la
prima volta nel genere serio, fece sentire un’Introduzione ed un finale concertato».Va
tuttavia precisato che già i contemporanei si dimostrarono consci del carattere ‘speri-
mentale’ di quest’opera di De Gamerra e Paisiello; a tal proposito si leggano le testi-
monianze offerte dalle gazzette coeve raccolte in PIPERNO, Il teatro d’opera dopo Meta-
stasio, pp. 196-7.
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 233
5 Cfr. ANDREA DELLA CORTE, Settecento italiano. Paisiello. L’estetica musicale di P. Metastasio,
Bocca, Torino 1922, p. 60. Della Corte è fra i primi a citare la più che nota lettera di
Paisiello a Galiani dell’8 gennaio 1781, relativa all’azione teatrale Alcide al Bivio (1780),
esempio di estromissione del recitativo secco: «Nella medesima opera ci ho fatigato
moltissimo, perché ho voluto sortire dalli inconvenienti che si fanno nelli Teatri d’I-
talia, avendo affatto escluso passaggi, cadenze e ritornelli, e quasi tutti i recitativi li ho
fatti strumentati».
6 Cfr. EUGENIO FAUSTINI-FASINI , Appunti e note. Il bicentenario di Paisiello (1740-1940), «Ri-
nascenza Salentina», 1939, XVIII (n. s.), VII/4, pp. 360-2. La volontà di assegnare a Pai-
siello l’invenzione della tecnica del ‘crescendo’ e della Sinfonia intesa come anticipa-
zione del contenuto espressivo dell’opera, era dettata da un chiaro spirito di munici-
palismo secondo il quale spettava al genius loci l’ideazione di atteggiamenti compositivi
successivamente immortalati da Rossini e dagli operisti ‘romantici’.
7 Sul Pirro di De Gamerra/Paisiello (Napoli 1787) si rimanda ai contributi di:
FRIEDRICH LIPPMANN, Il “Grande Finale” nell’opera buffa e nell’opera seria: Paisiello e Ros-
sini, «Rivista Italiana di Musicologia», XXVII, 1992, pp. 225-55; LUISA COSI, Un contributo
napoletano al “falso piano dell’opera francese”: il «Pirro» di De Gamerra-Paisiello, in Gli af-
fetti convenienti all’idee. Studi sulla musica vocale italiana, a c. di Maria Caraci Vela et al.,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993, p. 179; FRANCESCO PAOLO RUSSO, Il «Pirro»
di De Gamerra-Paisiello e il rinnovamento del linguaggio operistico tardo settecentesco, «Nuovi
Studi Livornesi», V, 1997, pp. 173-91. Un approfondito studio sulle versioni del Pirro di
Paisiello e di Zingarelli (1791) è stato compiuto da FERNANDO SCAFATI, «Pirro» di Gio-
vanni De Gamerra: le versioni musicali di Giovanni Paisiello (1787) e Niccolò Zingarelli
(1791), tesi di laurea Università degli studi di Firenze a.a. 1995-6 relatore Prof. Franco
Piperno.
8 Ci riferiamo agli scritti di: GIOVANNI CARLI BALLOLA, L’ultimo Calzabigi Paisiello e
L’«Elfrida», «Chigiana», XXIX-XXX/ 9-10, 1972-3 [ma 1975], pp. 357-68; ROSY
CANDIANI, L’intellettuale censurato: Calzabigi e l’«Elvira» a Napoli nel 1794, «Critica
Letteraria», 21, ottobre-dicembre 1993, pp. 733-53; MARITA PETZOLD MCCLYMONDS,
Calzabigi and Paisiello’s «Elfrida» and «Elvira». Crumbling conventions within a rapidly
changing genre, in Ranieri Calzabigi tra Vienna e Napoli Atti del convegno di studi (Li-
vorno 23-24 settembre 1996) a c. di Federico Marri e Francesco Paolo Russo, LIM,
Lucca 1998, p. 244. Elfrida inoltre è stata l’oggetto della tesi di laurea di MARIA IRENE
MAFFEI, L’«Elfrida» di Calzabigi-Paisiello (Napoli 1792), Università degli Studi di
Pavia, a.a. 1989-90.
234 LORENZO MATTEI
un’opera di Paisiello: «I Giuochi d’Agrigento», «La Voce del Popolo», 28 giugno 1942;
PAOLA PADOAN, Alessandro Pepoli e l’opera «I Giuochi d’Agrigento» negli anni della fonda-
zione della Fenice, tesi di laurea Università degli Studi di Venezia, a.a. 1989-90;
GORDANA LAZAREVICH, ad vocem «I Giuochi d’Agrigento», in The New Grove Dictionary
of Opera, ed. by S. Sadie, vol. II, Macmillan, London-New York 1992, pp. 438-9. Sul re-
pertorio della Fenice e sugli influssi massonico-francesizzanti BEATE HANNEMANN, Im
Zeichen der Sonne: Geschichte und Repertoire des Opernhauses “La Fenice” von seiner Grun-
dung bis zum Wiener Kongress (1787-1814), Ph. Diss. Univ. of Hannover 1995; ID., Canti
rivoluzionari e culto del sole: l’opera rivoluzionaria e massonica al teatro La Fenice 1797-1815,
in L’aere è fosco, il ciel s’imbruna, pp. 299-314: 301-2.
11 Cfr. DALE E. MONSON, ad vocem «Andromache» in The New Grove Dictionary of Opera,
I, pp. 130-1. Documenti relativi alle controversie sorte in fase di allestimento di Andro-
maca sono stati raccolti da EUGENIO FAUSTINI-FASINI, Documenti paisielliani inediti, «Note
d’Archivio per la storia musicale», XIII/1-2, gennaio-aprile 1936, pp. 124-7.
12 Assai scarna risulta la bibliografia su quest’opera che non è stata inclusa nelle tratta-
zioni riguardanti la tragédie lyrique per il fatto di trovarsi cronologicamente estranea al-
l’Ancien régime; sul tema ‘tragédie lyrique’ rimandiamo al ricco apparato bibliografico nel
testo di MICHELE CALELLA, Das Ensemble in der Tragédie lyrique des späten Ancien régime,
«Schriften zur Musikwissenschaft aus Münster», 14, Verlag der Musikalienhandlung
K.D. Wagner, Eisenach 2000, pp. 321-45; su Proserpina si veda: FRANCESCO BARBERIO,
Lettere inedite di Paisiello, «Primato Artsitico Italiano», fasc. V, 1922, p. 8; ID., La princi-
pessa Elisa Baciocchi e Paisiello, «Rivista Musicale Italiana» XI/3-4, 1936, estratto pp. 1-
16; EUGENIO FAUSTINI-FASINI, Paisiello a Parigi, «Taranto. Rassegna del Comune», luglio-
settembre 1938, pp. 3-14 (a p. 9 è riportata una lettera di Paisiello all’imperatrice
Maria Teresa dove l’opera viene chiamata dal compositore stesso Il Ratto di Proserpina).
13 Abbiamo consultato le seguenti fonti musicali: i microfilms dell’autografo di Andro-
maca e di una copia manoscritta dei Giuochi d’Agrigento (entrambi custoditi al Conser-
vatorio «S. Pietro a Majella» di Napoli), consultabili presso la Biblioteca di Storia della
Musica (Dipartimento di Studi Glotto Antropologici e Discipline musicali) dell’Uni-
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 235
versità «La Sapienza» di Roma; due copie manoscritte conservate nella Biblioteca del
Conservatorio «L. Cherubini» di Firenze [I-Fc: F.P.T.306 Giuochi d’Agrigento e
F.P.T.308 Andromaca]; per Proserpina due copie manoscritte — provenienti dalla colle-
zione Baciocchi — ubicate a Bologna: Civico Museo Bibliografico Musicale [I-Bc: II
51] e Biblioteca del Convento di S. Francesco [I-Bsf: M Paisiello I-III].
14 Cfr. PIER JACOPO MARTELLO, Della tragedia antica e moderna. Dialogo (1714, 2ª ed. rived.
Gonzaga, Roma 1715), ristampa anastatica nella collana Musica dramatica in Aemiliae Ro-
mandiolae Civitatibus Archivum, a c. di Giuseppe Vecchi, Forni, Bologna 1978, pp. 31-2.
236 LORENZO MATTEI
fatto alcun cambiamento di musica per non ledere il merito del Celebre
di lei Compositore.15
Esempi di simili modifiche confermano che nel decennio finale del
XVIIIsecolo in molti centri teatrali italiani la presenza del coro introdut-
tivo era divenuta un requisito drammaturgico essenziale. La testimo-
nianza offerta dai libretti a stampa permette inoltre di osservare l’effet-
tiva crescita a livello quantitativo dell’Introduzione con coro tra il 1780
ed il 1800, un aumento che tocca il proprio apice negli anni 1795-
1800.16
CARLO | LA SERA DE’12 GENNARO 1804 […], NAPOLI MDCCCIV, Stamperia Flautina, p.7.
[I-Bc: l.o. 3936].
16 Disparate furono le cause che determinarono l’abbandono del recitativo secco ini-
ziale: innanzitutto una mutata concezione del ‘dramma per musica’ non più logocen-
trica, bensì imperniata su di una spettacolarità ridondante che investiva il pubblico fin
dall’attacco del primo atto. A questo mutamento di gusto — parallelo al declino della
fortuna di Metastasio — si aggiungono poi gli influssi provenienti tanto dalle contami-
nazioni fra opera seria e tragédie lyrique operate da Sacchini, Salieri, Piccinni, quanto
dalla morfologia dell’opera buffa, quasi sempre avviata da una rapida sequenza di eventi
scenici e musicali (cfr. STEFAN KUNZE, Per una descrizione tipologica della “introduzione” nel-
l’opera buffa del Settecento e particolarmente nei drammi giocosi di Carlo Goldoni e Baldassarre
Galuppi, in Galuppiana 1985. Studi e ricerche a c. di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi,
Olschki, Firenze 1986, pp. 165-77). Circa l’ascendenza ‘buffa’ dell’introduzione seria —
sostenuta in sede critica da svariati autori e recentemente da Marita McClymonds: «As
in the comic opera, act one now opened with some type of “introduzione”. Scene
complexes frequently served as “introduzioni”, and they were also gaining in favor over
the multisectional finale as act endings.» cfr. PETZOLD MCCLYMONDS, Calzabigi and Pai-
siello’s «Elfrida» and «Elvira», p. 244 — una testimonianza del tempo si ritrova nella
«Giornale delle Belle Arti» (n. 8, 24 febbraio 1787, pp. 63-4) che, parlando del Pirro di
De Gamerra/Paisiello, afferma: [l’Autore] «seguendo sempre l’idea de’ giocosi libretti all’a-
pertura della scena dà principio con una introduzione, nella quale Pirro dice che vuol
fare Polissena sua sposa e Regina, e gli altri Duci rispondono non essere disposti di lor
piacere questo imeneo» (il corsivo è mio) La citazione è riportata anche in SCAFATI, Il
«Pirro» di Giovanni De Gamerra, p. 101. Sulle caratteristiche morfologiche dell’Introdu-
zione si rimanda a WOLFRAM ENSSLIN, La «Griselda» di Piccinni (1793): caratteristiche dell’In-
troduzione nell’opera italiana di fine Settecento, in Niccolò Piccinni Musicista Europeo. Atti del
Convegno Internazionale di Studi (Bari 28-30 settembre 2000), a c. di Maria Grazia
Melucci e Alessandro Di Profio, Adda, Bari 2004, pp. 39-56. Sia infine permesso il ri-
mando alla tesi dottorale dello scrivente: LORENZO MATTEI, «Sai tu come comincia il
dramma?» L’Introduzione con coro nell’opera seria in Italia (1778-1800), vol. I, Univerisità «La
Sapienza» di Roma, Dottorato di ricerca in Storia e analisi delle culture musicali XVI
ciclo, triennio 2000-3, p. 351.
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 237
17 L’impiego dei concetti di ‘stasi’ e ‘cinesi’ risale a PHILIP GOSSETT, The “candeur virgi-
nale” of «Tancredi», «The Musical Times», 112, 1971, pp. 326-9; ed è stato adottato poi
in contributi di Powers e Balthazar (in particolare HAROLD S. POWERS, La “Solita
forma” and the uses of convention, «Acta Musicologica», 59, 1987, pp. 65-90, e SCOTT L.
BALTHAZAR, Ritorni’s Ammaestramenti and the conventions of Rossini Opera, «Journal of
Musicological Research», VIII, 1988/89, pp. 281-311). Recentemente l’uso di queste
due categorie è stato riletto criticamente da DANIELA TORTORA, La cerimonia interrotta:
sul Finale Primo dell’«Elisabetta» rossiniana, «Analecta Musicologica», XV/30, 1998, pp.
721-39: 723-4.
18 Cfr. CARLO RITORNI, Ammaestramenti alla composizione d’ogni poema e d’ogni opera
appartenente alla musica, Pirola, Milano 1841, pp. 47-52: LVII «Comincia nel melo-
dramma l’azione non coll’azione, ma con una proemiale cerimonia. Così richiede la
musica (però solamente da qualche tempo). La musica dunque richiede il sovverti-
mento delle leggi drammatiche, che impongono un modesto principio, e vogliono,
subitamente il poeta soddisfaccia al dovere di far pienamente narrare di ché si tratta!».
238 LORENZO MATTEI
20 A conferma dell’esigenza di compattezza tonale va detto che in questi anni sono ra-
rissimi i casi di numeri introduttivi che chiudono in una tonalità diversa da quella di
partenza: un esempio esattamente coevo ai Giuochi è dato dall’ampia Introduzione di
Aci e Galatea scritta da Francesco Bianchi su testo di Foppa per il Teatro S. Benedetto
di Venezia nell’autunno 1792 (copia in I-Fc).
21 Stupisce l’eliminazione della scena iniziale, che nel 1797 avviava l’opera con il reci-
tativo accompagnato della protagonista (allora Luigia Todi), seguito da una dramma-
tica aria (ai confini con l’arioso) successivamente ripresa a conclusione della scena I. 2
(dopo l’aria di Eleno), con la funzione di cornice. Con molta probabilità, intorno ai
primi anni del XIX secolo, il coro introduttivo si era davvero imposto come topos diffi-
cilmente eludibile, a dispetto anche delle eventuali pretese di protagonismo della
prima donna Eufemia Eckarth, privata così dello sfoggio iniziale delle proprie doti
canore e attoriali.
240 LORENZO MATTEI
cordo del corno in ritmo , figura topica per situazioni funebri.22
Nella Tabella I b si visualizza questa esplicita ricerca di simmetria in-
terna, simmetria che nella versione del 1797 era estesa anche all’intera
scena, dal momento che il coro veniva ripetuto a conclusione del reci-
tativo di Ulisse.
Nel caso di Proserpina non è possibile tracciare in modo univoco i
confini dell’Introduzione che — in ottemperanza ai dettami stilistici
della tragédie lyrique — forma un organismo inframmezzato da balli, la
cui sequenza è: Coro – Ballo – Aria di Proserspina (S) – Ballo – Coro e
Proserpina. Il legame tonale fra il Sol maggiore del primo coro e del
primo ballo, e il Do maggiore dell’aria e del secondo ballo — che con-
clude alla dominante per risolvere sulla tonica di Do con il Coro finale
— garantisce compattezza alle serie di eventi musicali. Nella Tabella I c
schematizziamo il primo coro («Andante» Sol maggiore 2/4, 178 mis.)
— dotato di un grado di complessità che nel corso dell’opera si ritro-
verà solo in poche altre occasioni — nel quale solenni intonazioni
omoritmiche, contrappunto canonico, effetti stereofonici (impiegati poi
in abbondanza all’inizio dell’atto secondo) e varietà di moduli ritmici,
si susseguono per enfatizzare il contenuto del testo poetico: in corri-
spondenza dei primi due versi il coro doppio gioca su risposte ad eco e
mantiene un rapporto antifonico, mentre per l’intonazione dei versi 3-
4 si infoltisce l’intreccio delle linee vocali (il dinamismo delle figure di
semicrome traduce musicalmente l’accenno alla nemica dinastia dei
Borbone «la rea stirpe»). Il quinto verso («Sotto i monti oppressa or
giace») è intonato da una sezione con coro omoritmico e sottovoce con
l’orchestra ridotta ai soli archi, seguita da un’altra — per il verso 6
(«Onde al ciel volea far guerra») — imperniata su formule ritmiche di
semicroma puntata e su rapide note sillabate al coro. Per i versi conclu-
sivi, omaggianti Napoleone come un novello Giove, l’accompagna-
mento orchestrale tocca l’apice del turgore sonoro al di sopra di un
tessuto contappuntistico vocale di massima densità. La breve ripresa fi-
nale recupera il tema iniziale incorniciando in tal modo l’intero brano.
Se è vero che questa pagina improntata ad una sonorità magniloquente
(primo dei tanti ‘tasselli corali’ che compongono il ‘mosaico’ di Proser-
pina) si discosta dal tipico coro d’apertura dell’opera italiana di fine
22 Sull’argomento si veda FRITS NOSKE, The Signifier and the Signified. Studies in the Operas
of Mozart and Verdi, Oxford Univeristy Press, Oxford 1977, traduzione it. Dentro l’opera.
Struttura e figura nei drammi musicali di Mozart e Verdi, Marsilio,Venezia 1993, p. 194.
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 241
Settecento, è anche vero che nel primo decennio del XIX secolo in
Italia — in particolare nella Napoli francesizzante — iniziarono ad af-
facciarsi lavori che prevedevano un nuovo e ben più complesso tratta-
mento della compagine corale,23 segno di una maggiore disposizione a
fare propri gli atteggiamenti compositivi e stilistici di una dramma-
turgia di matrice francese.24
Nel comporre questa musica, la prego di aver presente per sua direzione
e regola, che l’opera non deve essere più lunga di due ore e mezza; che
per ogni prima parte non vi sia che un’aria sola, tutto al più due, ed
anche una Cavatina: desiderando che il rimanente dell’opera contenga
molti cori, pezzi concertati e finali, e pochi recitativi non istrumentati.25
Nel commissionare un nuovo lavoro, successivamente mai realizzato,
Teresa di Borbone richiedeva a Paisiello le nuove acquisizioni dell’o-
pera seria, che all’altezza cronologica del 1805 non identificava più la
23 Esempi significativi sono offerti da operisti come Manfroce (cfr. GIOVANNI CARLI
BALLOLA, Presenza e influssi dell’opera francese nella civiltà melodrammatica della Napoli mu-
rattiana: il “caso” Manfroce, in Musica e cultura a Napoli, pp. 307-15) e il misconosciuto
Capotorti (su questo interessante operista ‘minore’ si vedano i contributi prodotti in
occasione della mostra documentaria Luigi Giuseppe Capotorti. Un musicista pugliese al-
lievo di Piccinni, raccolti in «Quaderni di Casa Piccinni», 4, maggio 2001).
24 Sul repertorio napoletano di primo Ottocento è d’obbligo il riferimento a ELVIDIO
propria unità di misura nell’aria, bensì nei sempre più estesi concertati
e soprattutto nei cori. La massa corale infatti, oltre che nel quadro sce-
nico iniziale, si impose come presenza significativa anche nelle scene
interne di un ‘dramma per musica’, presentandosi non tanto come ac-
cessorio decorativo, quanto come elemento espressivo:26 «l’abbondanza
di cori (che fungono sia da commento all’azione, sia da veri interlocu-
tori con i personaggi, mediante sezioni sottovoce o disposte ‘a parti’) è
da mettersi in relazione con una rinnovata drammaturgia dell’opera
seria, intesa non più a produrre ensembles d’effetto, bensì significativi in-
terventi innodici di vario carattere».27
Un precoce esempio di questa nuova impostazione drammaturgica è
offerto dai Giuochi d’Agrigento, unico libretto di successo del conte
Alessandro Pepoli — interessante figura di letterato e uomo di teatro
votato ad una personale riforma melodrammatica, la quale identificava
proprio nel coro un mezzo indispensabile per la propria realizzazione.28
26 «Negli anni ’90 del Settecento la struttura soli (o solo) e coro è documentabilmente
sentita come nuova nel melodramma e, da un punto di vista strutturale, l’interazione
degli individui (solisti) e della massa (corale) pone dei problemi originali sia al poeta
sia, soprattutto, al musicista». cfr. SERGIO DURANTE, Guerra e pace: occasioni musicali pado-
vane nel periodo napoleonico, in L’aere è fosco, pp. 107-17: 110.
27 Cfr. FABIANA LICCIARDI, Sulle tracce di Norma. Rossi-Pavesi e Romani-Pacini, in Otto-
cento e oltre. Scritti in onore di Raoul Meloncelli, a c. di Francesco Izzo e Johannes Strei-
cher, Pantheon, Roma 1993, pp.151-60: 156.
28 Alcune notizie sul Pepoli si ricavano in GUIDO BUSTICO, Alessandro Pepoli, «Nuovo
Archivio Veneto» XIII, 1913, pp. 199-229. Sulla sua attività librettistica rimandiamo in-
vece ai più recenti THOMAS BAUMAN, Alessandro Pepoli’s renewal of the “tragedia per mu-
sica”, in I vicini di Mozart, I, pp. 211-20; e CHEGAI, L’esilio di Metastasio, pp. 68-83. I
Giuochi d’Agrigento, pur essendo un’opera che comportava un allestimento dispen-
dioso, considerata la sua natura ‘celebrativa’, conobbe comunque non poche riprese:
Londra Haymarket 1793, Venezia Fenice 1794, Verona Filarmonico 1795, Firenze Per-
gola 1797, Lisbona S. Carlo 1799, Venezia Fenice 1800, Firenze Pergola 1802 (le fonti
che testimoniano dette riprese sono: CLAUDIO SARTORI, I libretti italiani a stampa dalle
origini al 1800, Bertola e Locatelli, Cuneo 1994; Un almanacco drammatico. Indice de’ tea-
trali spettacoli, ed. anastatica a c. di Roberto Verti, Fondazione Rossini, Pesaro 1996; «Il
giornale dei teatri di Venezia» VI/4, par. I). Inoltre numerosi brani dell’opera circola-
rono nelle antologie vocali destinate a dilettanti o collezionisti, come testimoniano le
tante copie manoscritte conservate in alcune biblioteche italiane (I-Fc, I-Mc, I-Nc, I-
OS, I-Pac, I-Rsc). Ispirata alle Odi Olimpiche di Pindaro ed ancor più al Ciro Ricono-
sciuto, al Demofoonte e all’Olimpiade di Metastasio, la vicenda del dramma di Pepoli in
sintesi è la seguente: Alceo, figlio del re agrigentino Eraclide è destinato ad essere im-
molato ma viene salvato da una nutrice che lo sostituisce al figlioletto morto
(Clearco) del re di Locri. La figlia di quest’ultimo (Aspasia) ed Alceo/Clearco, incon-
sapevoli di non essere realmente fratelli, sono turbati dall’attrazione amorosa che li
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 243
lega. Alceo/Clearco, per fuggire l’incesto si reca ad Agrigento dove vince i giochi
sportivi ottenendo come promessa sposa Egesta (la vera sorella); il Cielo congiurerà
contro quest’unione realmente incestuosa, con una tempesta prima e con un terre-
moto poi. Ad Agrigento è nel frattempo giunta anche Aspasia in cerca del presunto
fratello che la scaccia in quanto ancora innamorato di lei. Solo il principe Filosseno,
recante una lettera scritta dalla nutrice, potrà risolvere la questione: Eraclide ritrova
così in Clearco il figlio Alceo e lo unisce ad Aspasia, mentre Egesta sposerà Filos-
seno eletto nuovo re di Locri.
29 L’espressione «Opera a cori» si ritrova nel dialogo del Pepoli Le nuvole concedute,
Curti, Venezia 1790, p. V. In questo dialogo, che l’autore data 1697, si scontrano il li-
brettista Cordisasso (alter ego di Pepoli) e l’evirato cantore Storditello (figura che si ri-
ferisce al celebre castrato Luigi Marchesi, avverso alla realizzazione dell’opera di Pe-
poli La Morte d’Ercole in quanto aliena ad ogni tipo di convenienza teatrale); quest’ul-
timo, fra le varie recriminazioni, si lamenta del fatto che il libretto preveda «più Cori
del bisogno, e più lunghi del bisogno».
30 Lo stesso Pepoli era infatti consapevole — come dichiara nella prefazione al libretto
dei Giuochi d’Agrigento — che «un Poeta Drammatico deve servire agli Attori, al
Maestro di Musica, ai Coristi, alle Decorazioni, e quasi quasi alle stesse Comparse»
cfr.: I GIUOCHI | D’AGRIGENTO | DRAMMA PER MUSICA | DEL CONTE | ALESSANDRO PEPOLI
| DA RAPPRESENTARSI NELL’APERTURA | DEL NUOVO TEATRO | DETTO | LA FENICE, Venezia
dalla stamperia Curti, 1792, p. 1 («L’autore a chi legge»). Alcune notizie sulle critiche
relative ai cori dell’opera si ricavano dalle due lettere scambiate fra Pepoli e Francesco
Boaretti; cfr. DUE LETTERE | SUL DRAMMA PER MUSICA | INTITOLATO | I GIUOCHI |
D’AGRIGENTO, s.l, s.d. [I-Pu Busta 333-5]. Nella prima lettera Pepoli elencando i suoi
detrattori scrive: «Chi sclamò esservi troppi Cori, scordandosi che tutti piacciono, e
che tutti son vari.» (p. 8). Nella risposta Boaretti afferma: «Parlerei dei Cori, che son
sempre intrinseci all’azione, né snodati come lo sono molti dei Greci. Erano li Cori
del gusto antico; furono dappoi esiliati, indi richiamati; piacquero, si ricercarono
Drammi con Cori; è forse giunto il tempo che i Cori tornino a spiacere?» (pp. 22-3).
31 Pensiamo qui alla stagione di carattere ‘sperimentale’ del 1785-86 al Teatro del
Fondo di Napoli, dove si diedero quattro «Drammi in musica con Balli analoghi, e
Cori» (cfr. Indice de’ teatrali spettacoli, I, p. 552): Cook ossia gl’Inglesi in Othaiti (prim.
1785), Alceste di Gluck (est. 1785), Telemaco nell’isola di Calipso (aut. 1785), Polifemo
(carn. 1786). Il Cook — dove l’apporto del coro era esplicitamente annoverato tra le
‘novità’ dell’opera — ad esempio prevedeva solo sei interventi corali «che avvivano
moltissimo l’Azione, e che variando lo spettacolo ne accrescono sempre la piacevol
244 LORENZO MATTEI
primo Ottocento, in “Weine, weine du armes Volk”. Das verführte und betrogene Volk auf der
Bühne. Gesammelte vortäge des salzburger Symposions 1994, Verlag Ursula Müller-
Speiser, Anif/Salzuburg 1995, pp. 301-16. Nonostante l’austerità neoclassica i Giuochi
d’Agrigento, con la costante presenza del popolo di Agrigentini e Locresi, è un lavoro
che preannuncia in qualche modo la collettività inquieta dell’opera ottocentesca, pro-
pensa ad esternare i propri sentimenti, a consigliare i protagonisti o ad opporsi alle
loro decisioni.
33 In partitura (I-Nc: Rari Cornicione 40-42, vol. II, cc. 65r-66r) si nota come la mu-
sica riesca a conferire l’idea di dimensionalità dello spazio (richiesta dalla stessa dida-
scalia: «si ritirano disponendosi dalle due parti nel fondo del tempio. La voce anderà
gradatamente smorzandosi a misura dell’allontanamento», p. 56 del libretto) tramite
un gioco di eco tra tenori I e II da un lato e bassi dall’altro (ipotizzando una regia di
questa scena si dovrebbe fare entrare nelle quinte il coro di sacerdoti da due lati op-
posti), sostenuto dal tremolo dei violini che «smorza il forte a poco a poco». Di grande
fascino a livello sonoro risultano le undici battute finali: la tonica (Do maggiore)
viene tenuta dalle trombe, gli oboi rimarcano gli accordi della triade fondamentale e
il tremolo dei violini smorza completamente la dinamica (Paisiello prescrive «raddol-
cindo [sic] sempre più il piano»).
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 245
del volume sonoro.34 Più inconsueto era invece concepire gli inserti
corali per drammatizzare alcuni episodi destinati alla fusione di scene o
di singoli numeri: nei Giuochi il primo caso lo si incontra nella scena
della tempesta (I. 6) — topos melodrammatico dall’Europa riconosciuta di
Salieri, al Fingallo e Comala di Pavesi35 — preannunciata in I. 5 non solo
dalle didascalie che segnalano l’approssimarsi del nubifragio, ma anche
dalla musica, chiamata ad accompagnare l’evolversi degli eventi scenici:
l’Allegro, scritto nel luminoso tono di Re maggiore che, senza preparazione, segue il
Si bemolle del precedente Andante simboleggiando armonicamente la risoluzione del
dramma (nell’Introduzione dell’Apelle di Zingarelli — Venezia 1793 — il passaggio
Re maggiore/Si bemolle maggiore siglava non lo scioglimento bensì l’inizio della vi-
cenda drammatica che prendeva le mosse da un infausto oracolo). La relazione inat-
tesa fra toni in rapporto di terza, magari enfatizzata da unisoni o pause, rientrava in-
fatti tra i topoi lingustici convenzionalmente deputati alla resa del ‘sublime’. Sull’argo-
mento si rimanda a MICHELA GARDA, Musica sublime. Metamorfosi di un’idea nel Sette-
cento musicale, Ricordi-LIM, Milano-Lucca 1995, in particolare le pp. 222 ss.
35 Sull’opera di Pavesi si vedano le affermazioni di GIUSEPPE CARPANI, Le Rossiniane
ossia lettere musico-teatrali, Minerva, Padova 1824, rist. anastatica Forni, Bologna 1969;
Lettera III, 31 dicembre 1804, pp. 42-3. La scena della tempesta con naufragio era to-
pica anche nei libretti di drammi giocosi, in particolare la si ritrova nelle sezioni in-
troduttive: un esempio paisielliano lo si ha con L’Arabo cortese (Napoli, Teatro Nuovo
1769).
I,5: (…) Ma qual s’addensa (S’oscura il cielo, e cominciasi a udire un lontano fragore di tuono.)
mentre di gioje io parlo, [Allegro moderato Do minore C]
orrido nembo sul mio capo! E quale
nuovo palpito in me!…v’intendo, o Dei;
troppo presto placati io vi credei. (odesi più chiaro il tuono, ed il romore d’una vicina tempesta)
Coro: Mira il legno che naufrago errante 9 [All° agitato Mi bemolle maggiore/Do minore C motivo c]
è vicino fra l’onde a perir. 10
Asp.: Ah! (già comparsa con qualche compagno sull’alto del Bastimento)
Coro: Folle invero chi al flutto incostante 11
fida i giorni con misero ardir! 12
Asp.: Dei clementi in sì fiero periglio 13 [Fa minore motivo a poi motivo c]
vi domando consiglio, pietà. 14
Coro: L’infelice Donzella agitata 15 [Do minore motivo a]
chiede ai numi l’usata bontà 16
(va calmandosi sensibilmente la tempesta) [«smorzando sempre il forte sino al pianissimo»]
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motivo d (oboe solo poi flauti):
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tali non solo il cambio di scena, ma anche l’entrata nelle quinte del coro di sacerdoti e l’u-
scita sul palco di quello (misto) del popolo agrigentino. Si può ipotizzare che venissero ri-
petute ad libitum le 15 battute strumentali ritornellate? Comunque sia un siffatto evento
‘registico-scenografico’ implicava la presenza di un direttore di scena ben preparato e in
grado di disciplinare i movimenti di ben 48 coristi (numero testimoniato dall’Indice de’ tea-
trali spettacoli, II, p. 1050). Fondamentale circa questo argomento resta il saggio di FRANCO
PIPERNO, Drammaturgia e messinscena nell’opera italiana fra Sette e Ottocento. Il caso degli “abbat-
timenti”, «Drammaturgia», I, 1994, pp. 39-64. Le difficoltà connesse a siffatti problemi, per
così dire, ‘registici’, unitamente a quelle derivanti dalla complessa interazione con i solisti
richiesero ai coristi della ‘prima’ una preparazione tecnica che, a quanto ci è dato di sapere,
non fu raggiunta: «I balli non ebbero applauso, il musico Pacchierotti cantò poco e con
voce tremola, i cori non soddisfano» (cfr. GIUSEPPE GENNARI, Notizie giornaliere di quanto av-
venne specialmente in Padova dall’anno 1739 all’anno 1800. Introduzione, note e apparati a c. di
Loredana Olivato, vol. II, Rebellato editore, Padova 1982, p. 653).
250 LORENZO MATTEI
39 Si veda inoltre l’elegante chiusa strumentale con il disegno cromatico per moto
contrario diviso tra flauto ed oboe solisti, un vero e proprio ‘tocco di colore’ che sigla
questa pagina ricca di teatralità. Del resto era lo stesso Paisiello a confessare che «Se tu
mi parli di esprimere la parola (…), se tu mi parli di effetti teatrali, ti dirò ca io nun
mme metto paura ‘e nisciuno» (cit. in GIACOMO GOTTIFREDO FERRARI, Aneddoti piacevoli e
interessanti, Londra 1830 (ristampa moderna Lubrina, Bergamo 1998, p. 117).
40 Bisogna notare infatti che la prosecuzione della scena I. 6 si svolge in recitativo sem-
plice con un dialogo tra Aspasia e alcuni componenti del coro che uno ad uno inter-
loquiscono con lei: una scelta simile non si ritrova spesso nei ‘drammi per musica’
coevi e mostra una chiara volontà di coinvolgere la coralità a livello diegetico.
41 Cfr. CHEGAI, L’esilio di Metastasio, p. 71.
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 251
42 Cfr. FRANCO PIPERNO, «Stellati sogli» e «immagini portentose». Opere bibliche e stagioni
quaresimali a Napoli prima del «Mosè», in Napoli e il teatro musicale, pp. 267-98: 292.
43 Nella seconda colonna abbiamo posto tra parentesi quadre le indicazioni di movi-
mento in quanto non scritte in partitura. Nella quarta colonna i numeri indicano le
misure che compongono frasi e periodi; tra parentesi quadre le misure solo strumen-
tali; l’asterisco (*) indica una corona.
252 LORENZO MATTEI
44 Si prenda la scena II. 1 (lo sbarco di Filosseno (S) ad Agrigento), nella quale il dram-
matico racconto dello scampato naufragio (Sol minore, caratterizzato dall’uso di in-
tervalli melodici dissonanti e di abbondanti pause sul battere nell’accompagnamento
orchestrale, ridotto ai soli archi e punteggiato da accordi di oboi e flauti) acquista
grande espressività solo in relazione al precedente coro (Sol maggiore, dotato di un
motivo orchestrale fluido che conferisce uno spiccato dinamismo al canto corale). O
ancora il coro di II. 4 la cui esultanza gioiosa stride con l’ansia di Egesta che intuisce
inconsciamente il rischio di incesto. L’unico coro dove è assente l’interlocuzione con
uno o più solisti (I. 10) presenta un dialogo con l’oboe solo che va a simboleggiare la
‘voce’ lamentosa di Clearco «malinconico fra gli alberi, ora scoperto, ora coperto da
quelli» (libretto p. 27). Il suo sparire e riapparire dalle fronde (realizzato
scenicamente?) è reso dall’orchestra tramite l’alternanza dagli assolo dell’oboe con le
risposte degli archi. In questo splendido Andante, in cui il coro di sacerdoti bisbiglia
in costante sottovoce le proprie considerazioni sull’animo del personaggio, Paisiello
attua una raffinata ‘pittura sonora’ del testo: al verso «errando và» corrisponde un
moto di sedicesimi ai violini, alla parola «sospira» pause sul battere ai violini, e in cor-
rispondenza del verbo «torna» si colloca la ripresa dell’incipit. Dunque anche in questo
caso il rapportarsi alla condizione emotiva del solista, pur in assenza del dialogo, in-
fluenza direttamente l’intonazione del canto corale.
45 Il libretto è ritenuto a tutt’oggi anonimo. Sulla partitura autografa il Rondinella, bi-
bliotecario e archivista del conservatorio napoletano, scrisse di suo pugno: «Di Fran-
cesco Mattia Gueli / fu rappresentato al Teatro di S.Cecilia / a Palermo nel 1813 /
Rond.». Sulla figura di questo letterato siciliano — che con molta probabilità si limitò
a rimaneggiare il libretto in occasione dell’allestimento palermitano — si veda
ANGELO GIUMENTO, Ritratti di siciliani illustri, II, Mori, Palermo-Roma 1969. Come i
Giuochi d’Agrigento anche Andromaca conobbe varie riprese, dopo la prima rappresen-
tazione napoletana, specialmente in area veneta, testimoniate dai libretti a stampa: Ve-
nezia, Teatro La Fenice 1798, Verona Filarmonico (carn.) 1799, Padova Nuovo (est.)
1799, Napoli S. Carlo 1804, Reggio Pubblico 1806, Palermo S. Cecilia 1813. Il sog-
getto di Andromaca tra Sette e Ottocento riscosse una certa fortuna e fu messo in
musica da Nasolini (Venezia 1790), Pavesi (Genova 1803), Tritto (Roma 1807), per
giungere poi al 1821 con l’intonazione di Romanelli/Puccitta (Milano, Scala): cfr. Di-
zionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, I titoli e i personaggi, vol. I, a c.
di Alberto Basso, UTET, Torino 1999, pp. 79-80.
46 Oltre a rimarcare la grande varietà formale delle arie — peraltro già rilevata da
Friedrich Lippmann, che nella sua antologia delle forme d’aria tardo settecentesche
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 253
appendice.
48 Artemisia regina di Caria di Cimarosa e Zulema di Curcio.
49 Il Finale, scritto in forma di rondò, presenta dimensioni contenute (68 mis.) e una
certa semplicità d’impianto qualora lo si confronti con altri esempi quali il grande fi-
nale a rondò con coro che chiude l’Apelle di Sografi/Zingarelli, dato nel 1793 alla Fe-
nice (copia in I-Fc). Il tema principale (affidato prima ad oboe e clarinetto soli, poi al
canto dei due protagonisti) è alternato ai brevi (4 mis.) episodi corali omoritmici;
estrema regolarità caratterizza le frasi melodiche, sostenute da un moto perpetuo di
quartine di semicrome ai violini e da eleganti assolo dei legni. Nelle ultime misure si
riuniscono coro e solisti, impegnati in vocalizzi sincroni, per accrescere la densità so-
nora e chiudere convenientemente l’opera.
50 Nei recitativi strumentati Paisiello non rielabora i motivi orchestrali esposti nel
coro, bensì si limita a punteggiare il canto declamato con accordi degli archi. Il coro
svolge una funzione meramente decorativa di tipo statico ed è realizzato in una forma
compatta, basata su due singoli motivi esposti a cominciare dal ritornello strumentale
(motivo I ai cl. e fg., 4 mis. e motivo II ai vl. I: 4 mis.) che verranno successivamente ri-
petuti sia nelle pause del canto sia in raddoppio con i soprani. Di particolare efficacia
è la rarefazione dell’orchestra al solo canto e basso nel momento in cui i soprani into-
nano la frase «Tu pegno sì caro / ricevi (…)»: la melodia copre una sesta ascendente a
254 LORENZO MATTEI
I. 9 RIVA DEL SEMONETA FATTA D’ALBERI, TRA’ QUALI ALTA, E MAESTOSA PIRAMIDE IN CUI SI
CONSERVANO LE CENERI DI ETTORE
simboleggiare l’offerta votiva rivolta al cielo. La breve ripresa del coro (di 8 mis.) non
prescritta dal libretto, è posizionata dal compositore stesso a mo’ di cornice per confe-
rire all’affresco corale un’idea di simmetria e per meglio imprimere nell’ascoltatore la
bella melodia costantemente affidata alle voci femminili.
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 255
3) Tempesta Allegro La maggiore C 72 mis. Sul fine del coro si desta un’improvvisa tempesta
con grandini, e fulmini, uno de’ quali cade sulla
statua, che si perde sotto il suo Piedistallo, nel
mezzo del quale compariscono i seguenti versi [4
endecasillabi cantati da Ulisse]
4) Recitativo Ulisse: s.t. 10 mis.; Moderato 12 versi sciolti
[16] 4 [16] 4 [5] 5 [6] 12 mis.
5) Coro Allegro La maggiore 2/4; 8+8+4 Parte del Coro: Chi mai la terra
mis.+8+6 mis. nelle sue viscere
Nasconderà?
6) Recitativo Ulisse: s.t. 2 mis.; Maestoso 11 versi sciolti
[2] 4 Largo [8] 4 [4] 3 Maestoso [8] 5 mis.
7) Coro Allegro La minore 2/4: 8+8+4; 8+6 L’altra parte del Coro: Qual nuova guerra
mis. l’oscuro oracolo
minaccerà!
8) Recitativo Ulisse: 18 mis. 12 versi sciolti
9) Aria Ulisse e Coro: Larghetto La mag- Ulisse e coro Miseri Danai
giore 2/4 (vl. cl. fg. Cor.Vle. basso)/intr. che sorte è questa!
strum. = 8 mis./T solo (Ulisse) = 4*+4+4 Or fiero Borea
mis./Coro 6 mis./2 Uli.+2 coro+2 Uli.+2 or la tempesta
coro+4 Uli./Coro 4+4 mis./8 mis. prima ora l’oracolo
Ulisse poi anche il coro nelle ultime due bat- tremar ci fa
tute. Allegro: 8+4 Ulisse/4 mis. Coro/8 mis. (partono tutti)
Ulisse/4 mis. coro/14 mis. Ulisse/10 mis.
Coro/8 mis. chiusa strumentale.
prima di esse riesce perfettamente a conferire il senso di tensione che invade i greci
con un motivo ritmico ai violini, seguito dall’entrata a canone di fagotti e corni, e
dagli incisi rispettivamente di oboi e corni soli, il tutto chiuso da sincopi di minima ai
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 257
coro (su armonia di I-V-I con oscillazione tonica-sensibile al basso) che si spegne nel-
l’unisono finalmente raggiunto su tre ansiosi interrogativi («Chi! Chi mai?… Chi?»).
54 Iniziali contrasti dinamici caratterizzano l’incipit strumentale. L’attacco del canto di
Ulisse è sottovoce e con melodia di grado congiunto su salita di quarta: l’eroe com-
piange i greci in un moto di riflessione interiore, poi, elencando le sventure provocate
da Borea e dalla tempesta, prorompe in una melodia declamata su ritmi puntati
(forte), per terminare il periodo nuovamente sottovoce e piano assai, rendendo così il
‘sacro timore’ inculcato dall’oracolo (ai versi «ora l’oracolo/tremar ci fa» corrispon-
dono sestine di sedicesimi ai violini con pausa in battere). Il coro ripete i versi del te-
nore (ponendo in rilievo i contrasti dinamici) ed instaura poi con lui un dialogo ser-
rato, sostenuto dall’accompagnamento dei violini in sestine (chiaro simbolo musicale
del tremore, al pari dell’impiego di pause che frantumano la linea di canto in un bal-
bettio solo in apparenza simile a quello di ambito buffo). Insieme alla regolarità di
frasi si nota che il coro nei due interventi che siglano le sezioni A e A’ è sostenuto da
un identico accompagnamento orchestrale in guisa di refrain. La coda del tempo lento
contrappone alle rapide figure dei violini su note di volta, incisi di clarinetti e oboe su
258 LORENZO MATTEI
note lunghe dei corni, e conclude con un inatteso contrasto tra forte e piano su so-
spensione alla dominante. La stretta conferma così la dialettica responsoriale, l’uso
simbolico dei contrasti dinamici (topici per le situazioni di terrore) ed indica una
esplicita ricerca di simmetria da parte di Paisiello nel disporre singole sezioni conce-
pite come ‘cornici’ di vaste scene. L’accompagnamento di questo «Allegro» riprende
infine il principale motivo ritmico della tempesta ascoltato dopo la preghiera. Di
grande effetto teatrale è poi lo spegnersi del brano nel canto corale che smorza la di-
namica fino al piano per lasciare l’ultima parola all’orchestra (motivo ritmico della
tempesta).
55 Collazionando l’edizione Imbault dell’originaria versione francese (I-Fc Fondo Ba-
sevi B 248) con l’adattamento italiano di Giuseppe Sanseverino (o Sanserino come ri-
porta il Faustini Fasini) si constata che Proserpina mantiene inalterato l’assetto dell’alle-
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 259
stimento parigino, ad onta di quanto dichiarato dallo stesso Paisiello in una lettera a
Lesueur (Napoli 4 dicembre 1809), nella quale si afferma di aver «abbreviata, ritoccata,
e rinnovata in alcune cose la partitura della sfortunata Proserpine» (cfr. FAUSTINI-FASINI,
Paisiello a Parigi, p. 10). L’opera va considerata quindi a tutti gli effetti una tragédie ly-
rique semplicemente tradotta in italiano nella speranza di un allestimento alle Tuileries,
poi mai realizzato.
56 Cfr. LUCA ZOPPELLI, L’opera come racconto, Marsilio, Venezia 1994, il capitolo Ambiente
e da altri maestri del Conservatoire, uno dei motivi che decretarono l’insuccesso di
quest’opera è stato individuato nella scarsa conoscenza del francese da parte di Pai-
siello (che, a quanto pare, fu corretto dallo stesso Napoleone per certi errori di pro-
sodia, cfr. FAUSTINI-FASINI, Paisiello a Parigi, p. 10). Secondo la «Gazzetta Universale» (30
aprile 1803) il carattere troppo serio del soggetto contenente «gli accenti di un dolore
lamentevole, o di un furore vendicativo», avrebbe limitato la fantasia impedendole di
abbandonarsi alle consuete «ispirazioni amabili». Secondo altri biografi la fredda acco-
CORI, PREGHIERE E TEMPESTE: SUL RUOLO MELODRAMMATURGICO DEL CORO 261
glienza tributata alla tragédie fu conseguenza della scelta di un soggetto «poco adatto ai
tempi bellicosi della Francia, che dimandava allora piuttosto un soggetto romano che
uno mitologico» (cfr. FLORIMO, Giovanni Paisiello, p. 268).
59 Proprio la monotonia e l’eccessiva lunghezza furono i motivi per cui il Giurì dell’I-
stituto di Francia non premiò Proserpine, preferendole La Vestale di Spontini (sulla vi-
cenda rimandiamo a FAUSTINI-FASINI, Paisiello a Parigi, pp. 12-4).
60 La citazione è tratta da una critica apparsa sull’ «Allgemeine Musikalishe Zeitung»
luglio 1818 coll. 487-488, relativa al Gianni di Parigi (Milano Scala 30 giugno 1818),
riportata in SERGIO MARTINOTTI, Le prime milanesi di Morlacchi: gli echi sulla stampa del-
l’epoca, in Francesco Morlacchi e la musica del suo tempo (1784-1841). Atti del Convegno
Internazionale di studi (Perugia 1984), a c. di Bianca Maria Brumana e Galliano Cili-
berti, Olschki, Firenze 1986, pp. 185-208.
TABELLA I A: STRUTTURA DELL’INTRODUZIONE DEI GIUOCHI D’AGRIGENTO
A) (SCENA I. 1) RECITATIVO ACCOMPAGNATO DI ELPENORE (B) = 7 VERSI SCIOLTI (DA MI MAGGIORE A RE MAGGIORE)
61 Nell’autografo in corrispondenza di questo rec. secco è scritto:«Atto primo scena I» e indicazioni poi cancellate.
62 Nell’autografo è riportato: «subito coro de’ Greci» poi cancellato per «Siegue Aria Andromaca».
I. 5 Secco e Aria Pirro Maest. – All° – I tempo – All° Ob. fg. cor. archi
FA C
I. 6 Secco And. – All° mod. RE 2/4 Ob. fg. cor. archi
«Segue rec.vo con w e poi Aria con coro di An-
dromaca»
I. 7 Secco e Aria Menandra All° SOL C Soli archi
I. 8 Secco e Aria Ulisse, poi secco All con moto – Maest. – And. – Ob. fg. cor. archi
All° SI7 C
I. 9 Secco, Coro – rec. acc. – Coro, secco Largo MI7 ¾ Cl. fg. cor. archi
Rec. acc. e Duetto Pirro Andromaca Maest. LA C – All.vivace 2/4 Ob. fg. cor. archi
II. 1 Secco e Aria Menandra All° DO C Soli archi
II. 2 Secco e Aria Sinone All° SOL C Soli archi
II. 3 Secco – Coro – Preghiera Largo LA 3/4 Ob. cl. Cor. fg. archi
Tempesta All° LA C
Rec. acc. Ulisse – Coro All° LA 2/4
Rec. acc. Ulisse – Coro All° La 2/4
Aria Ulisse con Coro Larghetto 2/4 – All° C La+
II. 4 Secco
II. 5 Secco e Cavatina Andromaca Lento SI7 2/4 Ob. cl. fg. cor. archi
Secco – «siegue rec. con w. e Rondò» Rondeaux Andantino – All° – And.ino –
[sic] Andromaca All°.
FA 2/4
II. 6 Secco e Aria Eleno Moderato RE 2/4 Soli archi
II. 7 Secco e Terzetto Andromaca Pirro Ulisse All° DO C Cl. fg. cor. archi
II. 8 Secco acc. e Aria Pirro – secco And.ino – Presto LA 2/4 Cl. fg. cor. archi
II. 9 Marcia (Mi b+) Secco e Combattimento All° RE C Ob. cl. fg. cor. trbe.
Secco – Coro – secco – Coro – secco All° SOL C timp. archi
Ob. cor. archi
II. 10 Secco e Aria Ulisse Maestoso – All° DO C Ob. fg. trbe. archi
II. 11 Secco Duetto Andromaca Pirro e ‘Coro’ And. SI7 C Ob. cl. cor. archi
63Perquestioni di spazio la descrizione del movimento, della tonalità, del ritmo e dell’organico si riferisce solo ai numeri solistici e corali
e non ai numerosi recitativi accompagnati. La disposizione dell’organico mantiene l’ordine degli strumenti indicato in partitura.
SCENE NUMERO DESCRIZIONE ORGANICO
I. 3 Rec. acc. Plutone e Ascalafo
Rec. acc. Plutone e Aria Ascalafo All° DO C Vl. ob. fg. cor. vle
Rec. acc. Plutone
Duetto Ascalafo e Plutone And. sost. RE 2/4 Vl. cl. fg. cor.
I. 4 Coro e Plutone And. SOL 2/4 Fl. cl. cor. fg.
Ballo e Proserpina e Coro And. LA 3/8 Vl. ob. fg. cor. vle
Rec. acc. e Aria Proserpina All° SI7 C Arpa ob. solo cl. vl. fg. cor. vle Arpa
Rec. e Proserpina e Coro And. mosso SI7 2/4 ob. solo cl. vl. fg. cor. vle
I. 5 Rec. acc. 13 mis. poi Quartetto: And. MI7 ¾ – And. – Largo – Vl. ob. cl. fgcor. trbni. vle
Proserpina Ciane Ascalafo Plutone con Coro TB And.
II. 1 Coro di Ninfe di Cerere con eco And. SOL 2/4 Fl. ob. vl. fg. vle
II. 2 Rec. acc. Cerere
II. 2-3 Rec. acc. Cerere poi Coro di Ninfe SS Moderato DO C Vl. fl. ob. cl. fg. vle
Largo MI7 3/4 – All° Vl. ob. cl. fg. cor. vle
Larghetto 2/4 – All°
II. 3-4 Cerere, Ciane Coro di Ninfe SS Larghetto 2/4 All°Largo ¾ Vl. ob. cl. fg. cor. vle
II. 4 Rec. acc. Ciane e Cerere con Coro SSTB Largo 2/4 – All° Vl. ob. cl. fg. cor. vle
Arioso di Cerere All° agitato Do C Cor. ob. fg. vl. vle
II. 5 Aria di Cerere con Coro SSTB Moderato SOL 2/2 Cor. ob. fg. trbne. vl. vle
II. 6 Rec. acc. Proserpina e Coro di spiriti beati Larghetto DO 6/8 Arpa, ob. cl. vl. fg. cor. vle.
SSTB
II. 7 Rec. acc. Proserpina, poi Plutone e rec. acc. Maestoso – All. SI7 C Cor. ob. fg. vl. vle
Duetto, poi rec. acc. And. SOL 2/4 Soli archi
SCENE NUMERO DESCRIZIONE ORGANICO
II. 7-8 Rec. acc. Plutone – Coro SSTB Maestoso DO 3/4 Cor. fl. ob. fg. vl. vle.
Rec. acc. e Aria di Proserpina Moderato LA C Soli archi
Coro SSTB con Ascalafo e Plutone Maestoso RE 2/2 Cor. fl. ob. cl. fg. vl. vla
Ballo Largo MI7 3/4 Arpa cor. ob. cl. fg. vl. vla
And. amabile DO 2/4 Cor. ob. cl solo. fg. vl. vle
Coro SS And. mosso LA 6/8 Soli archi
Ballo All° LA 3/8 Cor. ob. fg. vl. vla
Coro SSTB Maestoso RE C Cor. fl. ob. cl. fg. vl. vle
III. 1 Marcia Marcia, Re 2/4 Vl. ob. cl. fg. cor. timp.
Rec. acc. Plutone – Coro TB All° mod. SOL 2/4 Vl. ob. fg. cor. vle
Rec. – Coro TTB/TB – rec. – Coro Mod. DO 2/4 – All° SI7 C Vl. ob. fg. cor. vle
III. 2 Rec. acc. e Aria Cerere, poi rec. acc. Largo 2/4 –All° C MI7 Cl. vl. fg. cor. vle
III. 3 Coro TB voci ultraterrene All° SI7 C Vl. ob. trbe. cor. trbni.
III. 4 Rec. acc. Cerere Ascalafo
III. 5 Coro SSTB And. sost. FA 2/4 Vl. fl. fg. cor. vle
Rec. acc. Cerere
III. 6 Rec. acc. Giove
Quartetto Proserpina Cerere Plutone Giove e All. mod. FA C Vl. ob. fg. cor. vle
Coro
SCENE NUMERO DESCRIZIONE ORGANICO
«Fine dell’opera siegue»: Divertimento Largo SI7 3/4 Vl. ob. cl. fg. cor. vle
Ciaccona All. non tanto MI7 3/4
Romanza s. t. DO 2/4 Cor. viole fagotti
Tamburino And. mosso FA 2/4 Vl. ob. fg. cor. vle
Zeffiro Allegrettto FA 6/8 Vl. ob. fg. cor. vle
Finale Moderato RE 2/2 Vl. fl. ob. cl. fg. cor. trbne
Piatti triangolo e campanelli
Timp. viole
274 LORENZO MATTEI