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Paolo Russo

FEDRA O ARICIA?
LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE”

Colla scorta, e coll’ajuto di tutti tre gli enunziati [scil. Euripide, Racine, Pellegrin], io
pure ho tessuto l’opera mia, a cui ho dato il nome di Fedra sul giudiziosissimo esempio
di Racine; giacché Fedra è qui protagonista, e troppo strano sarebbe adattarle un titolo
dedotto dalle sole cagioni episodiche.

Così l’abate Salvioni esplicita la sua classicissima poetica in prefazione al li-


bretto1 che trasse dalla vicenda euripidea per la nuova opera di Paisiello del
1788.
Se tuttavia guardiamo la distribuzione dei cantanti chiamati dall’impresario
Giuseppe Cinque, può sorgere qualche dubbio sull’autorevolezza di Salvioni:
per Fedra ci si era infatti accontentati di Lucia Celeste Trabalza, cantante di
secondo piano, mentre il ruolo di Aricia era stato interpretato dalla celebre
Brigida Giorgi-Banti, Ippolito dal giovane Girolamo Crescentini, Teseo dal-
l’apprezzatissimo Giacomo David. I numeri musicali di Paisiello furono natu-
ralmente graduati secondo questo cast:2 l’autografo conservato nella bibliote-
ca di Napoli3 prevede quattro arie per Aricia (nn. 8, 14, 24, 40) e un duetto

1
Fedra | Dramma per musica | Da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo | nel dì
I.Gennaro 1788. | Dedicato | alla maestà | di | Ferdinando IV | Nostro Amabilissi-
mo sovrano. | Me Pasiphaeia quondam | Tentatum frustra patrium temerare cubile. | Ovid.
Metam. XV. | In Napoli | MDCCLXXXVIII. | Presso Vincenzo Flauto | Regio Impresso-
re.
2
Sulla gerarchia dei compiti tra impresario, librettista e compositore al San Carlo cfr.,
tra l’altro, FRANCO PIPERNO, Teatro di stato e teatro di città. Funzioni, gestioni e drammatur-
gia musicale del San Carlo dalle origini all’impresariato Barbaja, in Il teatro di San Carlo, a c.
di Carlo Marinelli Roscioni, Guida, Napoli 1987, pp. 61-118: 111-2, e, in generale, i
saggi compresi nel volume. Cfr. anche Il teatro di San Carlo, 1737-1987: l’opera, il ballo, a
c. di Bruno Cagli e Agostino Ziino, Electa, Napoli 1987 e Il Teatro del Re. Il San Carlo
da Napoli all’Europa, a c. di Franco Carmelo Greco e Gaetana Cantone, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1987.
3
Fedra | Opera in musica | Originale | di Giovanni Paisiello | Composta per il
Real Teatro di S. Carlo | In Napoli | Anno 1788, 2 voll. (I-Nc. Rari 2.10.14-15): una
2 PAOLO RUSSO
con Ippolito (n. 37); due arie e una cavatina per Ippolito (nn. 2, 26, 38) oltre
al duetto con Aricia, due arie e una cavatina per Teseo (nn. 16, 21, 36) e due
sole per Fedra (nn. 12, 23).4 L’importanza drammatica di Fedra è ancor più
compromessa se si conta la distribuzione dei recitativi accompagnati5 tra Te-
seo – i cui interventi sono così frequentemente sostenuti dai violini e dall’or-
chestra (nn. 15, 17, 20, 32, 34, 35) da compensarlo ampiamente per l’esiguo
numero di arie concessegli –, Aricia (nn 13 e 39) e Ippolito (n. 25), mentre
Fedra si limita a pochi intereventi nel secondo recitativo accompagnato di
Aricia.
Il maggior ‘peso’ nell’economia dell’opera è dunque sostenuto da Aricia,
cui spetta l’unico rondò dell’opera, e in subordine da Ippolito; come vedre-
mo meglio in seguito, il numero elevato di recitativi obbligati definisce per
Teseo un ruolo affatto originale, mentre Fedra si trova ampiamente sottorap-
presentata,6 più svalutata perfino rispetto al suo confidente Learco, ruolo in
origine affidato all’oggi altrettanto ignoto Silvestro Fiamenghi che può canta-
re però almeno tre ariette gnomiche brillanti (nn. 11, 22, 33). Le ‘cagioni epi-
sodiche’ sembrano insomma aver prevalso nonostante le ambizioni classicisti-
che dell’abate Salvioni. Val la pena di chiedersi in cosa consistessero queste
‘cagioni episodiche’ e cosa abbiano visto gli spettatori del San Carlo in quel
gennaio 1788.
La vicenda rappresentata racconta l’amore della matrigna di Ippolito per il
figliastro, e la gelosia nei confronti della rivale Aricia che ella vorrebbe co-
stringere ai voti vestali; racconta la dichiarazione a Ippolito del proprio amore
incestuoso dopo la (falsa) notizia della morte dello sposo Teseo; racconta infi-

copia microfilmata si trova nella biblioteca dell’Istituto Germanico di Roma. Altra


partitura: Fedra | Atto I | Musica | Del Sig.r D. Giovanni Paisiello (I-Nc. Rari Cor-
nicione 40). Sulla situazione delle fonti cfr. MICHAEL F. ROBINSON, Giovanni Paisiello. A
Thematic Catalogue of His Works, with the assistance of Ulrike Hoffmann, vol. I: Dra-
matic Works, Pendragon Press, Stuyvesant (N.Y.) 1991, pp. 408-415.
4
Nell’autografo napoletano le due arie per Fedra mancano, sebbene siano indicate da
didascalie in calce al recitativo precedente.
5
A quest’altezza del Settecento, l’informe e incoerente recitativo accompagnato è ido-
neo a dar voce ad affetti ancora non definiti e incommensurabili: o perché troppo gi-
ganteschi per essere colti compiutamente dall’animo umano, o perché ancora troppo
combattuti: i ‘mille contrarj affetti’, insomma, in quest’epoca son meglio accolti nel
recitativo accompagnato che nell’aria ancora in buona parte concepita come icona
stabile della passione, intesa come affezione dell’animo e quindi dotata di una sinto-
matologia precisa che la musica può descrivere in modo incontrovertibile in una me-
lodia ben definita. Cfr. JOHN BROWN, Letters upon the poetry and music of the Italian opera,
Bell and Bradfute, Edinburgh 1739, pp. 21-2 e MICHAEL F. ROBINSON, L’opera napo-
letana. Storia e geografia di un’idea musicale settecentesca, Marsilio,Venezia 1984, pp. 103 ss.
6
Lo osserva anche ROBINSON, Giovanni Paisiello. A Thematic Catalogue, p. 414: «Paisiello
never had much interest in the title-role in any case, and this part […] is musically
lightweight».
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 3
ne l’inganno e le trame che, per salvare se stessa, la spingono ad accusare Ip-
polito di fronte al padre inaspettatamente rientrato a Palazzo, fino a che la
spropositata vendetta di Teseo contro il figlio, la morte di Ippolito, e i rimorsi
da essa suscitati non la spingono alla confessione e al suicidio. Il ‘lieto’ fine
che rende il figlio redivivo al padre tenta di accostumare il tragico soggetto
euripideo alle consuetudini del meraviglioso e festivo teatro musicale. Quan-
do Paisiello fece allestire al San Carlo la propria Fedra, la vicenda era stata
ospitata dalle scene liriche italiane solo trent’anni prima, nel celebre esperi-
mento di Frugoni e Traetta, che adattarono l’Hippolyte et Aricie di Pellegrin e
Rameau per il teatro parmense diretto da Du Tillot.7 Nell’arco d’un altro
trentennio, all’opera di Paisiello sarebbero seguiti cinque adattamenti sul me-
desimo soggetto (cfr. tabella 1): un Teseo a Stige con musica di Nasolini alla
Pergola di Firenze nel 1791, un Ippolito al San Carlo di Napoli il 4 novembre
1798 con musica di Pietro Gugliemi, una Fedra o sia il ritorno di Teseo al Torre
Argentina di Roma nel 1804 con musica di Giuseppe Nicolini, ed infine due
intonazioni del libretto di Luigi Romanelli, Fedra: alla Scala nel 1821 con
musica di Giovanni Simone Mayr e alla Pergola di Firenze due anni dopo
con musica di Ferdinando Orlandi.
Se mi limito al racconto della fabula, pochi elementi distinguono l’opera di
Salvioni e Paisiello da quelle che l’anno preceduta, e da quelle che la segui-
ranno: tutte si riducono a semplici varianti delle loro fonti letterarie,8 Euripi-
de e Racine in primo luogo. Il teatro musicale non è tuttavia riducibile al
solo intreccio della vicenda rappresentata: è invece dramma che si sostanzia
nella musica. Un libretto non si pone dunque il problema di narrare la fabula
– che solitamente è piuttosto data per nota – ma di articolarla in modi che
siano ritenuti volta a volta musicalmente pertinenti, si fa cioè intermediario
7
Su questo celebre allestimento si veda DANIEL HERTZ, Operatic Reform at Parma: Ippo-
lito e Aricia, in Atti del convegno sul Settecento parmense nel II centenario della morte di Carlo
I. Frugoni, Deputazione di storia patria per le province parmensi, Parma 1969, pp. 271-
300; MARY CYR, Rameau e Traetta, «Nuova rivista musicale italiana», XII/2, 1978, pp.
166-82; GIAN PAOLO MINARDI, La presenza del ballo nelle opere della "Riforma" parmigiana,
in Creature di Prometeo, il ballo teatrale. Dal Divertimento al dramma. Studi offerti a Aurel
M. Milloss, a c. di Giovanni Morelli, Olschki, Firenze 1996, pp. 111-9 e CLAUDIO
GALLICO, Cori a Parma (1759-1760), «Rivista italiana di musicologia», XXXII/1, 1997, pp.
81-97 con l’ampia bibliografia citata in nota a pagina 82.
8
Il concetto di varianti è definito e utilizzato con rigore negli studi di letteratura
comparata: cfr. CARLO GUILLÉN, Entre lo uno y lo diverso. Introducción a la literatura compa-
rada, Editorial Crítica, Barcelona 1985, traduzione it. L’uno e il molteplice. Introduzione
alla letteratura comparata, Il Mulino, Bologna 1992; si veda poi JEAN ROUSSET, Le Mythe
de Don Juan, Librairie Armand Colin, Paris 1978, traduzione it. Il mito di Don Giovan-
ni, Pratiche editrice, Parma 1980 che introduce anche la nozione di «metamorfosi la-
terali» per indicare gli adattamenti di un soggetto ad una tradizione teatrale diversa
dall’originale, come accade, per esempio, quando si prende a modello una tragedia per
inscenare un’opera o un balletto.
4 PAOLO RUSSO
tra la fabula prescelta e l’epoca che intende intonarla, la sua idea di musica.9
Talvolta le due logiche si armonizzano perfettamente, tal’altra invece còzzano,
come evidentemente accadde alla Fedra di Salvioni, una volta passata al vaglio
delle scelte impresariali di Giuseppe Cinque e compositive di Giovanni Pai-
siello.
Nonostante l’identità della fabula rappresentata, se si confrontano tra loro le
diverse versioni di Fedra, si osserva come nell’arco di poco più di settant’anni,
nell’opera italiana non cambiarono solo tecniche e forme compositive: tra
uno spettacolo concepito per il teatro sperimentale della Parma del francese
Du Tillot, uno pensato per il gran teatro San Carlo di Napoli di fine Sette-
cento e uno realizzato nel pieno della restaurazione postnapoleonica,10 cam-
biò piuttosto la sostanza stessa di ciò che poteva essere ‘musicabile’, idoneo
cioè ad essere trattato in musica; cambiò insomma la natura del dramma mu-
sicale.
Con l’allusione ad altri titoli possibili per la vicenda di Fedra, Salvioni in-
tendeva prendere chiaramente le distanze dagli illustri precedenti di Pellegrin
e Frugoni, più galantemente intestati a Ippolito e Aricia, i due amanti vessati
dalla feroce Fedra. Evidentemente Salvioni conosceva bene il libretto di Fru-
goni. Ad un primo sguardo le due opere s’assomigliano: per la vicenda narra-
bile, certo, ma anche per la forma complessiva, che in entrambi i casi s’accoda
alla tradizione settecentesca con regolare alternanza di arie e recitativi sempli-
ci. Entrambe le opere, inoltre, esplorano novità formali e, all’uopo, accolgono
‘misurati’ «recitativi con violini», introducono danze ‘analoghe’ e cori, que-
st’ultimi, addirittura, recente presenza al San Carlo.11 Nonostante queste ana-
logie di struttura formale e di intreccio, tuttavia, non pare che Salvioni abbia
tratto molto da Frugoni. Il precedente parmense non è compreso tra le fonti
letterarie del librettista che fa riferimento solo a Euripide, Ovidio, Racine e
Pellegrin: Frugoni non sarebbe stato neppure citato, se l’impresario non aves-
se voluto dar lustro alla sua produzione con un sì celebre precedente e non
avesse annotato: «non s’intende per qual ragione il sig. abate Salvioni, autore

9
Cfr. CARL DAHLHAUS, Drammaturgia dell’opera italiana, in Storia dell’opera italiana, a c. di
Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli, vol. VI: Teorie e tecniche. Immagini e fantasmi, EDT,
Torino 1988, pp. 77-162: 92 ss.
10
Sulle implicazioni ideologiche ed estetiche della scelta dei soggetti operistici nelle
capitali italiane della Restaurazione cfr. MARCO EMANUELE, L’ultima “Didone”: il Meta-
stasio nell’Ottocento, «Musica e storia», VI/2, 1998, pp. 369-400 e EMANUELE SENICI, Mayr
e il Metastasio: un contesto per “Demetrio”, in Giovanni Simone Mayr: l’opera teatrale e la
musica sacra, atti del convegno internazionale di studio (Bergamo, 16-18 novembre
1995), a c. di Francesco Bellotto, Comune di Bergamo, Bergamo 1997, pp. 285-307.
11
Solo l’anno prima, e con grave nocumento della monumentalità del Pirro, il San
Carlo non prevedeva ancora la presenza stabile del coro: cfr. FRIEDRICH LIPPMANN, Il
“Grande Finale” nell’opera buffa e nell’opera seria: Paisiello e Rossini, «Rivista italiana di
musicologia», XXVII, 1992, pp. 225-55: 254.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 5
di questo dramma, […] abbia tralasciato di rammentare fra coloro che tratta-
rono questo argomento l’immortale Frugoni». I due libretti in effetti sono
molto diversi e non soltanto perché l’uno è in cinque atti e l’altro in due12 o
perché quasi nessun verso passa direttamente dall’uno all’altro; i due libretti
sono molto diversi soprattutto perché Salvioni inventa situazioni nuove, ne
tralascia altre, e stabilisce una diversa pianificazione musicale per Paisiello (cfr.
il raffronto delle due opere in tabella 3): se la musica deve dar sostanza teatra-
le alla vicenda rappresentata nell’opera, «costituirla davvero come materiale
drammatico», allora i due libretti rispondono a strategie differenti. Salvioni
aggiunse un ricatto di Fedra a Aricia di cui parleremo oltre, mise in scena il
trionfale arrivo di Teseo e la lotta di Ippolito con il toro marino inviato da
Nettuno per vendicare la presunta offesa a Teseo; tralasciò invece la scena del-
lo scontro armato tra madre e figlio sorpreso dall’inaspettato ritorno di Teseo
(un’idea che Frugoni tradusse pari pari dall’opera di Rameau e di cui Pelle-
grin era particolarmente fiero),13 e il tentativo di ritrattazione di Fedra che
colma il quart’atto dell’opera di Traetta.

Pianificazione della vicenda


Costringere in due atti una materia originariamente nata in cinque
ha comportato, naturalmente, trascurare le unità di luogo che furono
invece rispettate da Frugoni almeno all’interno di ciascun atto. Non
era violazione molto grave: l’opera italiana non è mai stata rigorosa da
questo punto di vista. Certo però andavano economizzati i cambia-
menti di luogo a scena aperta, ciò che ha portato a qualche riassesta-
mento nella successione degli eventi (cfr. la sinossi dell’opera di Salvio-
ni e Paisiello in tabella 2). Nel primo atto infatti ci si sposta improvvi-
samente agl’Inferi per inscenare l’episodio di Teseo trattenuto da Pluto-
ne e liberato solo grazie all’intercessione di Nettuno: per non costrin-
gere ad un ulteriore viaggio di ritorno a scena aperta dagl’Inferi a Tre-
zene, dove si svolge la vicenda, Salvioni anticipa la dichiarazione di Fe-
dra al figliastro a prima dell’episodio infernale. Il primo atto si compo-
ne dunque di tre blocchi circoscritti dall’ambientazione scenica: fallita
consacrazione di Aricia («Gran tempio dedicato alla Dea Diana…»), di-
chiarazione di Fedra («Breve galleria nella Reggia di Trezene…»), scene

12
Fedra è una delle prime opere serie italiane ad essere concepite in due atti anziché
in tre: cfr. ROBINSON, L’opera napoletana, p. 304.
13
Al proposito cfr. il mio Le ‘intenzioni’ d’ “Hippolyte”, «Il Saggiatore musicale», III/2,
1996, pp. 393-409.
6 PAOLO RUSSO

infernali («Antro orrido e oscuro…», seguito poi dalla «Parte interna


dell’Inferno»).
Così articolato il primo atto con l’esposizione dell’antefatto e la pri-
ma peripezia della vicenda, Salvioni stipa poi nel secondo una gran
quantità di materiale. In primo luogo inventa il citato ricatto di Fedra
nei confronti di Aricia: la regina e l’infido confidente Learco costrin-
gono la principessa a respingere le profferte amorose di Ippolito, e, na-
scosti, assistono al teso incontro tra i due amanti. Il principe, ignaro del
ricatto, si ritrova abbandonato e può così sfogare le proprie pene d’a-
more nell’unica sua aria patetica (n. 26). Il ritorno di Teseo nell’oppri-
mente ambiente familiare intriso di reticenze e menzogne (una situa-
zione tratta pari pari da Racine, ben più che da Pellegrin e Frugoni)14
avvia l’apparente catastrofe. Salvioni la esibisce in scena: compare il toro
marino inviato da Nettuno e, mentre Aricia in ansia, fugge a dar l’in-
fausta notizia in città, Ippolito, grazie all’aiuto di Diana discesa dal cie-
lo, affronta e sconfigge il mostro. (Un modo egregio per cavarsi dal-
l’impiccio dell’inverosimile ritorno in vita del principe che garantisce il
lieto fine tanto all’opera francese che alla sua traduzione parmense.) Il
pentimento, la confessione e il suicidio di Fedra, l’inaspettato ricon-
giungimento del figlio al padre e all’amata concludono rapidamente la
vicenda. Il secondo atto prevede quindi quattro blocchi di scene quasi
tutte individuate dalle mutazioni sceniche: ricatto ad Aricia («Piccola
deliziosa, ornata di varie fonti…»), ritorno di Teseo («Lido di mare in
prospetto»); uccisione del toro marino (stessa scena); confessione – sui-
cidio – lieto fine («Atrio del Tempio di Diana»).
Ciascuno di questi blocchi ha diverso rilievo drammatico, determi-
nato dalla quantità e dalla qualità dei numeri musicali previsti dal li-
bretto (e variabilmente accolto poi dal compositore). Il nucleo emotivo
è concentrato nel primo quadro del secondo atto, quando Fedra ricatta
Aricia: lì è previsto il maggior numero di arie solistiche, poiché quasi
tutti i personaggi hanno modo di esprimere la propria reazione emoti-
va nelle forme tipiche delle tragedie ad agnizione di pieno Settecen-
to.15 Anche il secondo quadro del primo atto ha funzione analoga: il ri-
fiuto sdegnato di Ippolito alla dichiarazione della madre smuovono

14
Lorenzo Bianconi definisce Fedra «una tragedia intessuta di reticenza e fondata sulla
rimozione funesta d’una trasgressione innominabile»: Introduzione a Drammaturgia mu-
sicale, a c. di Lorenzo Bianconi, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 9-51: 33.
15
Nn. 22-26: Learco, «Pietà non merita»; Fedra, «Vuoi dar morte a chi t’adora»; Aricia,
«Parti, ma pensa oh Dio!»; Ippolito, «Sostenetemi o Numi» – «Fra le miserie estreme».
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 7

emozioni profonde in entrambe le innamorate – nella regina,16 natural-


mente, ma anche nella principessa che vede l’amato Ippolito turbato,
sconvolto e reticente. Sono così allineate la prima aria di Fedra e la se-
conda di Aricia. In queste due sezioni costruite attorno al personaggio
di Fedra, Salvioni paga il proprio tributo alla tradizione metastasiana,
ancora vigorosa all’altezza del 1788; Paisiello ne condivide l’intenzione
e intona le arie prevalentemente nella foggia allora standard, con ripresa
abbreviata.
Tutte le altre sezioni, dove Fedra non ha alcun ruolo di rilievo, ri-
spondono però a intenzioni espressive di diverso genere: le istanze ri-
formatrici del teatro musicale tardo settecentesco17 avevano ampliato
l’ambito di pertinenza della musica e consentivano di intonare situazio-
ni teatrali via via più complesse. Oltre a dar voce alla reazione emotiva
del personaggio strattonato da molteplici affetti, alla musica spettava ora
anche il compito di intonare concitate azioni drammatiche e di co-
struire ampi quadri pittoreschi, solenni cornici che grazie all’evidenza
spettacolare sottolineano le peripezie principali della vicenda.
Fedra s’apre dunque con un vasto affresco corale che accoglie l’espo-
sizione dell’antefatto entro una azione già in movimento:18 la solenne
cerimonia di consacrazione di Aricia è interrotta dalla discesa di Diana,
e la regina viene platealmente smentita ed offesa. Analoghi per ricchez-
za scenica e spettacolare sono anche i due episodi che riguardano Te-
seo: l’episodio infernale (ultimo quadro del primo atto) e il trionfale
approdo a Trezene nel secondo quadro del secondo atto. In questi tre
blocchi è previsto ampio uso di cori e, soprattutto, di balli analoghi.
16
Nn: 12-14: Fedra, «Svegliati all’ire omai»; Aricia, «Che sarà mai?» – «Mille perigli in-
sieme».
17
Quanto l’esigenza di riformare la tragedia musicale agisse nella cultura napoletana
tra fine Settecento e inizio Ottocento è dimostrata dalla frequenza con cui il termine
ricorre in tutta la letteratura musicale del tempo. Utilizzo qui il termine ‘riforma’ in
questo senso – ben delineato in RENATO DI BENEDETTO, Poetiche e polemiche, in Storia
dell’opera italiana, VI, pp. 1-76, e ID., Il Settecento e l’Ottocento, in Letteratura italiana, a c. di
Alberto Asor Rosa, VI: Teatro, musica, tradizione dei classici, Einaudi, Torino 1986, pp.
365-410 – senza voler indulgere alle scorciatoie e semplificazioni che fino a pochissi-
mi anni fa quest’etichetta ha spesso consentito nella storiografia musicale.
18
Da almeno un paio di decenni l’operismo francese per primo studiava tecniche per
mettere in azione l’esposizione, e superare così il meccanico dialogo tra eroe e confi-
dente che nelle tragedie classiche informavano gli spettatori dell’antefatto. L’adatta-
mento di un simile tratto anche nell’opera italiana è uno dei capitoli della fusione dei
generi di cui parla JACQUES JOLY, Dagli Elisi all’Inferno. Il melodramma tra Italia e Francia
dal 1730 al 1850, Nuova Italia, Firenze 1990. Cfr. anche la seconda parte del mio La pa-
rola e il gesto. Studi sull’opera francese nel Settecento, LIM, Lucca 1997.
8 PAOLO RUSSO

Banda sul palco,19 cori accompagnati da danze,20 danze composte dal


compositore stesso dell’opera e non delegate ad altri musici com’era
d’uso,21 indicano quanto fossero ritenuti essenziali questi tratti spettaco-
lari nel progetto teatrale e drammatico di Fedra.
Paisiello provvede però ad una forte integrazione tra coro e solista
che, nonostante l’Orfeo di Gluck, a Napoli non era ancora diventata
routine.22 L’aria con coro «Quanto ha di orribile – Ah! che al suono
dell’empia minaccia» (n. 21), cantata da Teseo a conclusione della scena

19
Della banda sul palco a Napoli abbiamo notizia già nelle opere di Domenico Nata-
le Sarri (Partenope 1739 e, Ezio 1741). Dopo di che la tradizione fu continua fino al
Pirro di Paisiello e oltre. Cfr. in ogni caso JÜRGEN MAEHDER, Banda sul palco. Variable
Besetzungen in der Bühnenmusik der italiensichen Oper des 19. Jahrhunderts als Relikte alter
Besetzungstraditionen? in Alte Musik als asthetische Gegenwart, II, Bärenreiter, Kassel 1987;
Marco Beghelli nella introduzione a GIOACHINO ROSSINI, Tre cantate napoletane, musica di
Gioachino Rossini, a c. di Ilaria Narici, Marco Beghelli, Stefano Castelvecchi, Fonda-
zione Rossini, Pesaro 1999; ANGELO DE PAOLA, La banda. Evoluzione storica dell’organico,
Ricordi, Milano 2002, p. 38, KARL BÖHMER, S’ode da lontano armoniosa Marcia: Zur Rol-
le der Harmoniemusik im Musiktheater des spaten 18. Jahrunderts, in Schloss Engers. Collo-
quia zur Kammermusik, Band 2. Zur Harmoniemusik und ihrer Geschichte, Villa Musica,
Mainz 1999, pp. 125-37. Per queste segnalazioni ringrazio Antonio Carlini che sta rea-
lizzando un censimento delle opere con questo effetto drammatico.
20
Sull’introduzione del ballo ‘analogo’ nell’opera cfr. ANDREA CHEGAI, Sul “Ballo analo-
go” settecentesco: una drammaturgia di confine fra opera e azione coreutica, in Creature di Pro-
meteo cit., pp. 139-75: 150 che osserva: «Un procedimento, quello dell’uso simultaneo
di cori e danze, non privo di effetti spettacolari importanti, per via del dinamismo
scenico e della grandiosità sonora, ma evidentemente afflitto da intrinseche difficoltà
giacché Angiolini nelle sue lettere a Noverre sosteneva la necessità di predisporre mu-
siche atte a favorire l’impiego del ballo mediante aggiunta di brani coreutici adatti ai
soli e ai passi a due». Sul doppio ruolo, musicale e pantomimico, talvolta svolto dai
cori operistici di questi anni, cfr. dello stesso autore anche L’esilio di Metastasio. Forme e
riforme dello spettacolo d’opera fra Sette e Ottocento, Le Lettere, Firenze 1998, pp. 180-2,
che ricorda La morte di Cesare con un ‘coro con ballo’ (Venezia, 1788) e prima ancora
didascalie esplicite in Telemaco nell’Isola di Calipso (Firenze, 1773) o Cook, ossia gl’Inglesi
in Othaiti (Napoli, teatro del Fondo, 1785).
21
Cfr. ROBINSON, L’opera napoletana, p. 193. Su aspetti analoghi della divisione del lavo-
ro operistico settecentesco cfr. anche FRANCO PIPERNO, Drammaturgia e messinscena nel-
l’opera italiana fra sette e ottocento. Il caso degli “abbattimenti”, «Drammaturgia», I, 1994, pp.
39-64 che osserva come fosse consuetudine delegare ad altri maestri la composizione
delle sezioni spettacolari dell’opera, almeno fino al Catone di Paisiello del 1789.
22
Orfeo fu allestito a Napoli nel 1774, il 25 gennaio a Palazzo Reale e il 4 novembre
al San Carlo: nel primo caso si intervenne sul terz’atto, nel secondo la modifiche furo-
no più radicali. Sulla ricezione dell’opera di Gluck cfr. ALESSANDRA MARTINA, Orfeo-
Orphée di Gluck. Storia della trasmissione e della recezione, De Sono-Passigli, Torino 1995,
pp. 103-17 che spiega come a palazzo reale il duetto «Vieni, appaga il tuo consorte»
sia stato trasformato, tenendo d’occhio l’originale, in un grande brano pluritempo, in
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 9

infernale, cita «Chi mai dell’Erebo – Deh placatevi» di Gluck. Nel cul-
mine drammatico dell’opera, poi, il terzo blocco di scene del secondo
atto con la lotta contro il mostro, Salvioni e Paisiello giocano la carta
del duetto23 («No, non partir, ben mio», n. 37), concepito però come
pagina dal notevole dinamismo scenico e musicale: una campata unica
allinea il duetto di Ippolito e Aricia, l’arrivo del toro marino inviato da
Nettuno, la discesa di Diana a sostegno del principe, la sconfitta del
mostro e il coro festoso conclusivo. Paisiello fonde canto e pantomima:
emancipa la danza dal semplice ruolo decorativo24 e la impiega con
spiccato effetto drammatico. Il ballo è sistematicamente presente assie-
me al coro, e le didascalie sceniche prescrivono con cura le pantomime
che devono essere realizzate dalle masse e dai protagonisti: in II,9, per
esempio,
Vedesi gonfiarsi, e sollevarsi un’onda, che poi sciogliendosi, e cadendo, scopre
un toro marino spaventoso, che a poco a poco s’avvicina alla sponda. Fugge
Aricia, Ippolito snuda la spada e s’invia verso il mare. Il toro esce dall’acqua e
s’azzuffa con Ippolito. Intanto vedesi apparire tra le nubi la Dea Diana, che
scoccando dall’arco suo uno strale ferisce il toro, e questo contorcendosi, e di-
battendosi va a morire in un angolo della scena. All’arrivo di Diana uscirà pure
il coro, calmerà la tempesta: cesseranno i tuoni, e il lampi, tranquillerassi il mare,
e tornerà il cielo sereno.

La prima parte dell’azione si tiene durante il duetto di Ippolito e


Aricia e alcuni versi sciolti interrompono in modo inconsueto il nu-
mero chiuso. La forma musicale che ne risulta è così alquanto partico-
lare. La prima sezione – A, in Si bemolle – è costruita a strofe alternate
tra i due solisti, seguite da alcune battute ‘a due’ su un’armonia instabile
che oscilla tra tonica e dominante; queste battute ‘a due’, suonano
come lunga sezione cadenzante, una sospensione, un ampio levare in
Fa maggiore che conduce alla seconda macrosezione, B, anch’essa in Si
progressione agogica (larghetto un poco, allegro moderato, più allegro), così da tra-
sformarlo nel pezzo chiuso più importante dell’opera, più che non la celebre aria con
coro di Orfeo.
23
L’importanza del duetto nell’economia dello spettacolo operistico di questi anni è
oggi studiata da ROBINSON, L’opera napoletana, cit., pp. 186 ss., ma era già segnalata dalla
Storia della musica di Charles Burney (IV, p. 560) che osservava come un’opera del 1770
fosse un sicuro successo in Italia se avesse imbroccato il duetto oltre a due o tre arie.
24
MINARDI, La presenza del ballo, in Creature di Prometeo, osserva che, al di là di raccordi
di superficie, ancora nell’Ippolito e Aricia di Frugoni l’esibizione coreografica restava un
evento a se stante. Tale ruolo del divertissement, concepito come entr’acte più che come
elemento catalizzatore drammatico, lo si ritroverebbe anche nella seconda opera ‘ri-
formata’ parmigiana, I Tindaridi.
10 PAOLO RUSSO

bemolle e suddivisa sua volta in due sezioni ‘a due’, analoghe l’una al-
l’altra dalla melodia ben definita e dal chiaro profilo ritmico. Queste
due sezioni (c-c’) sono però separate tra loro da un’altra sezione molto
modulante, sebbene prevalentemente incentrata sul Mi bemolle: com-
posta da un tessuto di frasi incoerenti e mobili, intona a mo’ di arioso i
versi sciolti delle esclamazioni sconvolte di Ippolito e Aricia all’apparire
del mostro marino.

Schema del duetto di Ippolito e Aricia, n. 12 del second’atto

A B
a b c d c’
αβαα
Si7 Fa-Si7 Fa - Si7-Fa Si7 Mi7…Si7

a: sezioni a strofe parallele


b: sezione a due con carattere cadenzante: lunga corona virtuosistica di A che cadenza
su B
c: sezione a due, con netto profilo tematico
d: sezione modulante con carattere dell’arioso, senza melodie o incisi riconoscibili: da
suono all’arrivo del mostro marino
c’: ripresa di c conclusiva

La sezione chiude poi con l’aria di Ippolito «Lode a lei che a cinto
impera» (n. 38): una vera aria virtuosistica che celebra la vittoria sul
mostro marino. Il solista si staglia sullo sfondo della stabile base armo-
nica del coro: ogni ripresa dell’eroe è alternata ad ‘applausi’ della folla,
la costanza del metro poetico e del metro musicale lasciano inoltre
percepire una struttura strofica molto netta.

Analisi dei ruoli vocali


Con la sua aria con coro, in effetti, ma in tutta le sequenza dell’ucci-
sione del mostro, Ippolito agisce e canta come personaggio eroico, ben
diverso dall’imbelle amante che emergeva dalle precedenti opere di
Pellegrin e Frugoni. Tali caratteri erano già annunciati dalla sortita in
ritmati settenari, «Contro ogni nembo irato» (n. 1), dove ampi salti me-
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 11

lodici e scandite semiminime s’inerpicavano verso il registro acuto;25


solo la seconda aria, «Fra le miserie estreme» cambiava, invece, registro
e, in piani settenari profusi di rime patetiche (miserie estreme/cor che
geme; sventura/assicura) dava voce all’affetto del turbato Ippolito ab-
bandonato dall’amata Aricia. Nella Fedra di Salvioni, Ippolito è tratteg-
giato con toni eroici e trionfanti, e grazie a questo chiaroscuro emoti-
vo,26 questa ampiezza di registri espressivi, assurge a protagonista quan-
to e forse più non solo di Fedra (inchiodata al uniforme registro di ‘fu-
rore’), ma della stessa Aricia. L’importanza così assunta dal personaggio
di Ippolito a Napoli, farà sì che dieci anni dopo il successivo adatta-
mento operistico del mito venga a lui intitolato, senza che in effetti il
taglio drammatico giustifichi in modo incontrovertibile una simile pre-
minenza (cfr. tabella 4).27
Aricia è invece l’eroina, ferma nei suoi propositi sentimentali, nien-
t’affatto succube di Fedra, sebbene manifesti il proprio mondo affettivo
quasi sempre in reazione alle provocazione della regina. La sua serena
aria di sortita («Se nell’amar chi l’ama», n. 8) canta la soddisfazione per
lo scorno della regina platealmente smentita da Diana. La forma è tri-
partita, ma spunti della sezione intermedia tornano dopo la ripresa
come amplificazione della struttura che conclude con una poderosa
coda: l’aria ha così un rilievo tale da presentare la principessa come
prima donna assoluta della serata; la seconda aria («Mille perigli insie-
me», n. 14) segue la dichiarazione di Fedra a Ippolito che sconvolge il
principe e lo rende taciturno e scostante: le rime costante / amante,
miei / Dèi della sortita lasciano il posto a parole ben più drammatiche:
mille perigli insieme / manca la speme, sorte funesta / spietata arresta;

25
La struttura è più prevedibile: tripartita con ripresa abbreviata; una forma analoga a
quella della seconda aria di Ippolito.
26
Sull’obbligo convenzionale di affidare alle prime parti arie differenziate per caratte-
re espressivo ci informano diversi trattati e cronache del tempo. Fra gli altri cfr.
BROWN, Letters upon the poetry and music e ROBINSON, L’opera napoletana, pp. 110 ss.
27
Ippolito | Dramma serio per musica | Da rappresentarsi nel Real Teatro di S. Carlo
| nella giornata de’ 4 Novembre 1798 | in cui si festeggia | il nome di S. M. Maria
Carolina | d’Austria | Regina di Napoli nostra Signora | dedicato | alla reale maestà
| di | Ferdinando IV. | Borbone | nostro amabilissimo sovrano | In Napoli
MDCCXCVIII, | Nella stamperia Flautina | con licenza de’ superiori. A Ippolito è affida-
ta una sola aria, a Fedra due, come a Teseo; la partecipazione vocale degli altri attori,
Aricia compresa, sarà limitata a un’aria ciascuno. Ippolito doveva essere però compen-
sato dell’esiguo numero di arie con la partecipazione a pressoché tutti gli ensembles:
due duetti (con Teseo, e con Fedra), due terzetti (entrambi con Teseo e Fedra), Finale I
e II, Introduzione.
12 PAOLO RUSSO

la sua terza aria («Parti, ma pensa, oh Dio», n. 24) segue il ricatto di Fe-
dra; l’ultima, infine, «Tu pagherai la pena» (n. 40), con cui Aricia si con-
geda, disperata, apostrofando la regina, è il vero finale tragico. Una selva
di violenti epiteti e minacce (pagherai la pena, Barbara, indegna, empi,
trema, ira del ciel…) sono organizzati in un’ampia aria bipartita ade-
guata alla scena culmine, della prima donna del San Carlo.28 Ciò che
segue non ha infatti gran rilievo musicale se si eccettua il coro con so-
lista suggello dell’inaspettato lieto fine.
Se dunque Ippolito è musicalmente definito coi tratti dell’eroe (ed
infatti non assiste alla cerimonia di consacrazione, come farà nell’Ippoli-
to napoletano di un decennio dopo: anche nelle vesti dell’eroe che gli
cuce addosso Salvioni avrebbe dovuto interrompere quella cerimonia
senza attendere l’arrivo di Diana), Aricia è invece il ruolo della prota-
gonista emotiva della tragedia, strattonata e scossa dagli inganni e dalle
insidie di regina.
Le arie di Fedra, dal canto loro, inframmezzano quelle di Aricia, i
loro accenti di acceso e violento furore creano contrasto con la tene-
rezza e l’ansia della prima donna: la regina risponde insomma all’esi-
genza di chiaroscuro che Robinson individua tra le funzioni principali
delle seconde parti. Fedra è ridotta a espediente teatrale, è colei che in-
nesca e gestisce la vicenda, ma anche colei che meno appare in termini
musicali. Le sue due arie sono entrambe in regolari forme tripartite e
uniformi per carattere: la prima, «Svegliati all’ire omai» (n. 12), di sette-
nari terribili per accostamenti di rime [esangue/sangue, morte/forte],
la seconda, «Vuoi dar morte a chi t’adora» (n. 23), di minacciosi ottona-
ri contro Aricia. Entrambe sono dialogiche, non esprimono affetti ma

28
Vincenzo Manfredini definisce i rondò degli anni ’80 «arie ampie e sublimi che
contengono due motivi, o soggetti, uno lento, e l’altro spirituoso, replicati due volte
solamente, le quali arie sono certamente migliori delle così dette arie cantabili anti-
che, perché più naturali, più vere, e più espressive … non veri rondò, benché ne ab-
biano qualche somiglianza, ma son’arie grandiose e veramente eroiche»: Difesa della
musica moderna e de’ suoi celebri esecutori, supplemento a c. di STEFANO ARTEAGA, Le rivo-
luzioni del teatro musicale italiano, vol. III, Trenti, Bologna 1788, pp. 195 ss. Cfr. anche
MARTINA, Orfeo-Orphée, p. 108. Erano dunque arie in due tempi, ma solo il primo
uomo o la prima donna erano ammessi a cantarle. Sulle strutture formali delle aria di
questi anni cfr. il capitale JAMES WEBSTER, The Analysis of Mozart’s Arias, in Mozart Stu-
dies, a c. di CLIFF EISEN, Clarendon Press, Oxford 1991, p. ??? e, più recenti, ANDREA
CHEGAI, La cabaletta dei castrati. Attraverso le “solite forme” dell’opera italiana tardosettecente-
sca, «Il Saggiatore musicale», X, 2003, pp. 221-68 e MARINO NAHON, Le origini del rondò
vocale a due tempi. Tempo musicale e tempo scenico nell’aria seria tardosettecentesca, in «Musi-
ca e storia», XIV, 2005, pp. ??-??.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 13

apostrofi: a Ippolito perché l’uccida visto che respinge le sue profferte


amorose, ad Aricia per costringerla da abbandonare Ippolito. Le tre arie
di Learco, invece, una nel prim’atto e due nel secondo, sono costituite
da massime e proverbi che in svelti quinari (piani e sdruccioli) e senari
esortano Fedra ai crimini che la porteranno alla rovina: tutte possono
comunque essere facilmente tagliate all’occorrenza.29 Learco è modula-
bile in rapporto alle esigenze impresariali: come si conveniva, una delle
arie è posta ad apertura del second’atto, il luogo tradizionalmente de-
stinato alle arie da sorbetto.30
Il ruolo più eccentrico, rispetto alle convenzioni di pieno Settecento,
è però senz’altro quello di Teseo che non si lascia ridurre facilmente ai
canoni teatrali del tempo: delle sue due arie, «Va, t’invola a un re sde-
gnato» (n. 36) è una normale aria tripartita, in ottonari e dà voce alla
consueta scena del padre indignato dal figlio, ma, come abbiamo già
accennato, l’altra, «Ah che al suono dell’empia minaccia» (n. 21), è inte-
grata con il coro e concepita come scena pantomimica, con le furie
che attorniano e tormentano l’eroe. Nella dinamica struttura ABB’, or-
ganizza due strofe di decasillabi ritmati, icona metrica della scena terri-
bile:31 non del cantante che ‘esprime’ terrore, ma del cantante che ‘pro-
va’ terrore. È la «rappresentazione di un oggetto terribile e del suo ef-
fetto».32 Gli altri, numerosi, interventi di Teseo sono tutti cantati in re-
citativo accompagnato: l’eroe impreca contro la desolazione che ritrova
in patria, esprime rabbia contro il figlio ritenuto colpevole, invoca la
vendetta di Nettuno vis à vis del figlio sgomento. Mentre nell’opera di
Rameau Teseo era concepito come ruolo eroico, esemplare nella sua
sublime e statuaria espressione d’angoscia, fra il vano agitarsi del popo-
lo impegnato nelle danze del divertissement;33 mentre in Frugoni venne
ridotto a espediente drammatico necessario per innescare la crisi; qui è
designato per un ruolo ‘pantomimico’, dominato da affetti incoerenti,
29
Cosa che in effetti accadde nella versione scorciata: cfr ROBINSON, Giovanni Paisiello.
A Thematic Catalogue of his Works, p. 414.
30
Sulla distribuzione gerarchica delle arie nell’opera a Napoli, cfr. ROBINSON, L’opera
napoletana, pp. 70 ss.
31
In generale, sul valore espressivo delle scelte metriche delle arie d’opera cfr. PAOLO
FABBRI, Istituti metrici e formali, in Storia dell’opera italiana, pp. 163-233 e DANIELA
GOLDIN, Aspetti della librettistica italiana tra 1780-1830, in La vera fenice. Librettisti e libretti
tra Sette e Ottocento, Einaudi, Torino 1985.
32
Cfr. MICHELA GARDA, Da «Alceste» a «Idomeneo»: le scene terribili nell’opera seria, «Il
saggiatore musicale», I, 1994, pp. 335-60: 343.
33
Cfr. RUSSO, Le ‘intenzioni’ d’“Hippolyte”. Su Hippolyte et Aricie si veda anche il fasci-
colo monografico «Cambridge Opera Journal», X/3, 1998.
14 PAOLO RUSSO

indefiniti, incerti: l’orchestra punteggia e scandisce ogni suo intervento


con accordi o brevi figurazioni e ricorda le pratiche musicali del melo-
logo che proprio in quegli anni si stava diffondendo a Napoli, dopo
l’esecuzione cittadina dell’Arianna in Nasso di Benda nel 1783.34 È pro-
babilmente la prima volta che troviamo nelle opere di Paisiello un ruo-
lo così caratterizzato dal recitativo accompagnato, dopo l’esperimento
russo di Alcide al bivio nel 1780, quasi tutto intonato in quella modali-
tà.35
Le strategie letterarie e musicali divergono dunque radicalmente. Se
il letterato vorrebbe inscenare la catastrofe tragica d’una regina di stirpe
maledetta dagli dei, nella vicenda musicalmente costituita la sua Fedra
mette in scena le sfaccettature emotive di una coraggiosa principessa
separata dall’amato eroe che, a sua volta, dimostra il proprio valore mi-
litare in una eroica impresa. Ma soprattutto, su questo nocciolo emoti-
vo, usuale per la tragedia musicale settecentesca, costruisce ampie scene
pittoresche (Consacrazione, Inferi, Rientro al porto) e azioni pantomi-
miche (lotta di Teseo con le furie, lotta di Ippolito col toro marino).
Si capisce allora perché Salvioni abbia inserito l’episodio del ricatto
ad Aricia, inventato di sana pianta, e tutto sommato apparentemente
superfluo. Quell’episodio sottolinea la crudeltà di Fedra (altrimenti as-
solutamente inessenziale): serve a creare un nucleo emotivo che risulte-
rebbe troppo diluito tra scene spettacolari, pantomimiche e drammati-

34
La diffusione napoletana dei melologhi di Benda fu sostenuta da Norbert Hadrava,
ufficiale di origine ungherese e in quegli anni segretario dell’ambasciatore austriaco:
dopo Arianna a Nasso nel 1783 fece eseguire Medea, proposta assieme a sinfonie di
Ditters von Dittersdorf (Le quattro età del mondo, La caduta di Fetonte e Atteone
trasformato in cervo, di ciascuna delle quali viene pubblicato il programma descrittivo
tratto dalle Metamorfosi di Ovidio), e a farse inglesi, tedesche e francesi (rispettiva-
mente Il paggio, Il corsaro inglese, Gli originali). Sull’episodio si vedano gli studi di
LUCIO TUFANO, Un melologo inedito di Francesco Saverio Salfi: Medea, in Salfi librettista.
Studi e testi, a c. di Francesco Paolo Russo, Monteleone,Vibo Valentia 2001, pp. 97-131
e ID., Teatro musicale e massoneria: appunti sulla diffusione del melologo a Napoli (1773-1792),
in Napoli 1799 tra storia e storiografia, Atti del convegno (Napoli, 21-24 gennaio 1999), a
c. di Anna Maria Rao,Vivarium, Napoli in corso di stampa. Me ne sono occupato nel
mio “Medea in Corinto” di Felice Romani. Storia, fonti e tradizione, Olschki, Firenze 2004.
35
Cfr. ROBINSON, L’opera napoletana, p. 108 che sottolinea come Alcide fosse un caso
isolato degli anni russi di Paisiello, e come una volta rientrato in patria il maestro na-
poletano non avesse potuto utilizzare in modo più esteso il recitativo accompagnato
se non voleva alterare l’equilibrio della opera italiana e della sua vocalità. Il fatto che,
invece, in Fedra, un personaggio sia pressoché sempre intonato in quella modalità se-
gnala dunque l’intenzione di sperimentare nuovi equilibri espressivi entro il genere
operistico.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 15

che, e – non ultimo – a giustificare il titolo scelto da Salvioni. Il tenta-


tivo del librettista di promuovere Fedra a protagonista della tragedia
avrebbe voluto accogliere la moda del teatro terribile inoculata in Italia
dalle tragedie di Alfieri come connubio di potere e terrore36 ma la rea-
lizzazione musicale del libretto ignora quest’intenzione. Evidentemente
a Napoli l’interesse riformatore era rivolto soprattutto all’integrazione
tra pantomima e canto, alla nuova impostazione dei numeri musicali, in
generale a mettere in azione la scena del teatro lirico, per dirla con una
vecchia formulazione diderotiana:37 sta a dimostrarlo ulteriormente il
Pirro, un episodio cruciale dell’operismo napoletano, dove Paisiello e
Giovanni de Gamerra, introdussero per la prima volta i finali d’atto. In-
somma, a differenza di quanto contemporaneamente accadeva in altre
parti d’Italia, come Firenze e Venezia,38 al San Carlo si esploravano
piuttosto le poetiche del teatro patetico e naturale di marca illuministi-
ca con ascendenze nella drammaturgia di Diderot, che non le istanze
del ‘sublime terribile’ come fissate da Burke.39 Lo stesso Paisiello, ram-
mentando le innovazioni introdotte dalla «scuola operistica napoletana»
elencava soprattutto espedienti formali: «l’operistiche introduzioni di
finali nelle opere serie e nelle buffe, come anche le arie di due caratte-

36
Cfr. MICHELA GARDA, Musica sublime. Metamorfosi di un’idea nel Settecento musicale, Ri-
cordi-Milano, LIM-Lucca 1995, p. 137.
37
Cfr. FRANCA CELLA, Aspetti e problemi dell’opera, la librettistica: verso l’approdo romantico,
in Storia dell’opera, a c. di Guglielmo Barblan e Alberto Basso, UTET, Torino 1977,
III/2, pp. 17 ss., a cui risponde LUISA COSI, Un contributo napoletano al “falso piano dell’o-
pera francese”: il “Pirro” di De Gamerra-Paisiello, in Gli affetti convenienti all’idee. Studi sul-
la musica vocale italiana, a c. di Maria Caraci Vela, Rosa Cafiero, Angela Romagnoli,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli-Roma-Benevento-Milano, 1993, pp. 167-191.
Sul Pirro si veda anche FRANCESCO PAOLO RUSSO, Il “Pirro” di De Gamerra e Paisiello e il
rinnovamento del linguaggio operistico tardo-settecentesco, «Nuovi Studi Livornesi», V, 1997,
pp. 173-91 e il capitolo che a quest’opera dedica SERGIO DURANTE, Mozart and the Idea
of “Vera Opera”: A Study of «La Clemenza di Tito», Ph. D. Harvard University, 1993, pp.
259-89.
38
Sul ruolo di Venezia in questa prospettiva cfr. MARITA P. MCCLYMONDS, The Venetian
Role in the Transformation of Italian Opera Seria During the 1790’s, in I vicini di Mozart,
Atti del convegno internazionale di studi (Venezia 7-9 settembre 1987), vol. I: Il teatro
musicale tra Sette e Ottocento, a c. di Maria Teresa Muraro, Olschki, Firenze 1989, pp.
221-40.
39
EDMUND BURKE, Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and
Beautiful, scritto nel 1756 ma diffuso in Francia a partire dagli anni sessanta e settanta:
cfr. LUCA ZOPPELLI, Lo stile sublime nella musica del Settecento: premesse poetiche e recettive,
«Recercare», II, 1990, pp. 71-93. Sulla diversa accezione delle teorie sul sublime sette-
centesche, e in particolare quelle che animavano Diderot piuttosto che Burke cfr.
GARDA, Musica sublime, pp. 30-2.
16 PAOLO RUSSO

ri, le arie con gli cori, le arie cantabili, la marcia militare frammischia
[ta] col canto, le sinfonie a tre tempi ed a un tempo solo».40
Rendere Fedra protagonista avrebbe creato inoltre, un’altra difficoltà:
come già in Frugoni e Pellegrin, l’interesse concentrato su Ippolito e
Aricia consentiva di rispettare la logica conclusione del mito con la
morte di Fedra, senza inficiare il lieto fine.41 L’ultimo episodio del se-
condo atto, infatti, liquida in poche battute di recitativo la morte della
regina e dimostra ulteriormente come fabula e drammatizzazione musi-
cale rispondano a logiche differenti: non necessariamente fasi cruciali
dell’intreccio narrato hanno adeguato peso nel dramma musicale e vi-
ceversa. L’epilogo tragico, la confessione e il suicidio di Fedra, è neces-
sario e fondante del dramma narrabile, del mito, ma appare accessorio e
trascurabile in quello musicale che infatti non gli dedica alcun numero
complesso, e nell’ultima aria preferisce piuttosto dar voce all’ansia di
Aricia convinta della morte di Ippolito. Salvioni e Paisiello d’altra parte
non avrebbero potuto fare altrimenti: la scena della confessione e mor-
te di Fedra aveva senso, nella tragedia, come conclusione logica di un
dramma ‘chiuso’,42 di una vicenda esemplare e catartica, ma nella logica
di un dramma ‘aperto’, com’è quello musicale – che utilizza cioè una
vicenda, una fabula, per inscenare singole situazioni ritenute significati-
ve sotto il profilo musicale – non poteva avere alcun ‘peso’, non poteva
essere costituita in quanto dramma e non ha quindi visibilità. Di nuovo,
logiche drammatiche letterarie e musicali divergono: se Salvioni può
essere sedotto dal fascino ‘terribile’ del soggetto letterario, non ha an-
cora gli strumenti, poetici in primo luogo, per renderlo musicalmente
rilevante. Affinché un finale tragico potesse essere accettato nell’opera,
e quindi diventare musicabile, era necessario che alla scena della morte

40
Cfr. AGOSTINO ZIINO, La dissertazione sullo stato attuale della musica italiana (Venezia
1811) di Giovanni Agostino Perotti ed una lettera inedita di Giovanni Paisiello, «Quadri-
vium», XXII, 1981, pp. 201-13 e GIULIANA GIALDRONI – AGOSTINO ZIINO, “Compositori
originali” e “compositori imitatori”, in Napoli e il teatro musicale in Europa tra sette e ottocen-
to. Studi in onore di Friedrich Lippmann, a c. di Bianca Maria Antolini e Wolfgang Wi-
tzenmann, Olschki, Firenze 1993, pp. 369-81. Cfr. anche LIPPMANN, Il “Grande finale”.
41
Sul problema del finale tragico nell’opera cfr. MARITA P. MCCLYMONDS, “La morte di
Semiramide ossia La vendetta di Nino” and the Restoration of Death and Tragedy to the Ita-
lian Operatic Stage in the 1780s and 90s, in Trasmissione e recezione delle forme di cultura mu-
sicale, atti del XIV Congresso della Società Internazionale di Musicologia, a c. di Angelo
Pompilio et al., EDT, Torino 1990, III: Freepapers, pp. 285-92.
42
Sui concetti di dramma ‘aperto’ e ‘chiuso’ cfr. CARL DAHLHAUS, Wagners Konzeption
des musikalischen Dramas, Bosse Verlag, Regensburg 1971, traduzione it., La concezione
wagneriana del dramma musicale, Discanto, Fiesole (FI), 1983, pp. 24 ss.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 17

venisse riconosciuto un valore autonomo in se stessa, non come mo-


mento conclusivo di una vicenda esemplare ma come valore estetico
autosufficiente: è ciò che accadrà solo qualche decennio dopo, quando
le opere di Mayr e Orlandi non si faranno scrupolo di chiudere sen-
z’altro nei toni della catastrofe tragica; nelle loro opere la morte di Fe-
dra ha valore lirico proprio: Romanelli, il librettista, degusta ormai «il
gemer tronco d’un cor che muore» d’amore43 nei rondò dedicati a Fe-
dra innamorata. Questa volta sì, Fedra dovrà essere impersonata dalla
prima donna del cast: rispettivamente Teresa Belloc e Giuseppina Gras-
sini, mentre Aricia potrà essere tranquillamente trascurata e ridotta a
pura onomastica, nome citato ma personaggio virtuale.
TABELLA 1: Il mito di Fedra sulle scene operistiche italiane (1750-1850)

Ippolito e Aricia
Parma, Ducale, 1759
Carlo Maria Frugoni, musica di Tommaso Traetta
Fedra
Napoli, San Carlo, 1788
Abate Salvioni, musica di Giovanni Paisiello
Teseo a Stige
Firenze, Pergola, 1791
?, Musica di Sebastiano Nasolini
Ippolito
Napoli, San Carlo, 4 novembre 1798
?, musica di Pietro Gugliemi (dedica di Onorato Balsamo)
La Fedra o sia il ritorno di Teseo
Roma, Torre Argentina, 1804
?, musica di Giuseppe Nicolini

43
Per dirla con un verso tratto dal libretto di Anna Bolena di qualche anno successivo.
Già del 1804, comunque, un allestimento romano del mito intonato da Giuseppe Ni-
colini – La Fedra | o sia | Il ritorno di Teseo | Dramma serio per musica | da rap-
presentarsi | nel Nobil Teatro | di Torre Argentina | il Carnevale dell’anno 1804. |
Dedicato a sua eccellenza | la signora principessa | D. Paolina Borghese | nata Bona-
parte | In Roma, | presso Michele Puccinelli a Tor Sanguigna. | Con licenza de’ su-
periori – aveva dato molto più rilievo a Fedra cui spettano due arie, un duetto con
Ippolito, uno con Teseo, e un Rondò, mentre Aricia, Ippolito, Teramene e Cleone si
limitano a due arie ciascuno; si conferma poi la particolarità del ruolo di Teseo con
l’attribuzione di due arie di cui una sostenuta dal coro.
18 PAOLO RUSSO

Fedra
Milano, La Scala, 1821
Luigi Romanelli, musica di Giovanni Simone Mayr
Fedra
Firenze, Pergola, 1823
Luigi Romanelli, musica di Ferdinando Orlandi
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 19

TABELLA 2: OSSATURA DELLA «FEDRA» DI SALVIONI E PAISIELLO, NAPOLI, SAN CARLO, 1788

N. 144 ouverture

Gran tempio dedicato a Diana, ara e fuoco acceso Cerimonia di consacrazione di Aricia a Diana interrotta dalla Dea

I,1 Ippolito Aricia

N. 2 Aria di Ippolito, «Contro ogni nembo irato»

Dichiarazione di Ippolito verso Aricia.

I,2 Aricia, Coro, sacerdotessa, Fedra Preparativi per la cerimonia di consacrazione, rifiuto di Aricia e
alterco con Fedra.

N. 3 Coro e sacerdotessa, «In sì placido soggiorno»

N. 4 Marcia sopra il teatro

I,3 Diana e detti

N. 5 Coro, «Giusti dei che in ciel regnate»; (Ballo) Intervento di Diana in soccorso di Aricia.

N. 6 Sinfonia,

N. 7 Aria di Diana, «Chi le mie leggi adora»

I,4 Aricia sola

44
Utilizzo la numerazione adottata in ROBINSON, Giovanni Paisiello. A Thematic Catalogue, pp. 408-14.
20 PAOLO RUSSO

N. 8 Aria di Aricia, «Se nell’amar chi l’ama» – Reazione affettiva alla dichiarazione di Ippolito e alla intercessione
di Diana.

N. 9 - 10 Ballo – Gavotta

Breve galleria nella reggia Dichiarazione di Fedra a Ippolito e reazione di Aricia nel vedere
Ippolito turbato

I,5 Fedra, Learco

N. 11 Aria di Learco, «D’un labbro sincero» Learco incita Fedra a rivelare l’amore incestuoso.

I,6 Fedra e Ippolito

N. 12 Rec. accompagnato e aria di Fedra, «Cessa, o crudele – Sve- Dichiarazione di Fedra e scandalo di Ippolito.
gliati all’ire omai»

I,7 Aricia, Ippolito Ippolito, turbato non riesce a spiegare il suo smarrimento

I,8 Aricia sola

N. 13-14 Rec. accompagnato e aria di Aricia, «Che sarà mai? – Aricia che, sola, esprime le sue ansie d’amore.
Mille perigli insieme»

Antro orrido e oscuro … Processo, liberazione di Teseo dagl’inferi e profezia

I,9 Teseo, Tisifone Teseo è tormentato dalla furia infernale.

I,10 Teseo, Tisifone e Plutone, Coro, una voce Plutone condanna Teseo alle pene infernali lontano dall’amico Pi-
ritoo. Teseo invoca l’aiuto di Nettuno.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 21

N. 15-17 Recc. accompagnati di Teseo e Tisifone,


Plutone, «Lascia omai ch’io respiri»

N. 18 Coro, «È vano chiedere»

I,11 Mercurio e detti Teseo è tormentato dalla furia infernale.

N. 19 Sinfonia e rec. secco di Mercurio Scende Mercurio che intercede per Teseo. L’eroe esce dall’inferno
tra le minacce delle furie e la funesta profezia di Plutone.
N. 20 Rec. accompagnato di Teseo, «Oh minaccia ond’io sento»

N. 21 Aria di Teseo con coro45, «Quanto ha d’orribile – Ah che al


suono dell’empia minaccia»

PICCIOLA DELIZIOSA ORNATA DI VARIE FONTI … Ricatto di Fedra ad Aricia

II,1 Learco, Fedra Complotto di Learco e Fedra contro Aricia.

N. 22 Aria di Learco, «Pietà non merita»

II,2 Fedra, Learco, Aricia

N. 23 Aria di Fedra, «Vuoi dar morte a chi t’adora» Ricatto di Fedra e Learco ad Aricia obbligata a rifiutare le rifiutare
le profferte d’amore di Ippolito.

45
ROBINSON, Giovanni Paisiello. A Thematic Catalogue p. 411, considera questo numero come un unico coro di Teseo con Furie anziché
come aria di Teseo con coro: data la struttura e lo spiccato ruolo solistico di Teseo, mi sembra più opportuno considerarlo un numero ef-
fettivamente dedicato al cantante.
22 PAOLO RUSSO

II,3 Aricia e Ippolito (Fedra e Learco nascosti) Aricia dichiara di non amare più Ippolito.

N. 24 Aria di Aricia, «Parti, ma pensa oh Dio!»

II,4 Ippolito solo

N. 25-26 Rec. acc. e aria di Ippolito, «Sostenetemi o Numi – Fra Reazione emotiva di Ippolito, solo, all’inspiegato abbandono di
le miserie estreme» Aricia.

LIDO DI MARE IN PROSPETTO… Ritorno di Teseo e invocazione a Nettuno e intervento del dio

II,5 Fedra, Learco Complottano contro Ippolito per evitare che Teseo, inaspettata-
mente tornato in vita, venga a sapere il peccato di Fedra.

II,6 Coro e Teseo

N. 27-28 Marcia, Re maggiore – Coro, «Viva l’eroe, che il mon-


do»

N. 29-31 Ballo: Largo – [altro ballo] – Ciaccona Festosa accoglienza di Teseo da parte del popolo, smarrimento di
Fedra e Ippolito; reazione affettiva di Teseo.

N. 32 Rec. accompagnato di Teseo, «Onnipotenti dei questo è l’in-


contro»

II, 7 Learco,Teseo, coro popolo, guardie

N. 33 Aria di Learco, «È degno di pena» Calunnia di Learco nei confronti di Ippolito.

II,8 Teseo solo, poi con Ippolito


FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 23

N. 34 Rec. accompagnato di Teseo, «Giusto ciel! Quale appresi» Teseo invoca la vendetta di Nettuno e scaccia sdegnato il figlio.

N. 35 Rec. accompagnato di Teseo, «E giungi a questo eccesso an-


cor» (invocazione a Nettuno)

N. 36 Aria di Teseo, «Va t’invola a un Re sdegnato»

II,9 Ippolito e Aricia I due amanti chiariscono l’equivoco dovuto al ricatto, ma vengo-
no sorpresi dal toro marino. Aricia fugge, Ippolito s’avventa contro
il mostro.

N. 37 Duetto di Ippolito e Aricia, «No, non partir, ben mio»

II,10 Diana e Ippolito e coro Diana salva Ippolito e l’eroe rende onore alla Dea con un coro di
fauni, driadi e divinità silvestri .

N. 38 Cavatina di Ippolito con coro46


«Lode a lei, che a cinto impera»

Atrio del Tempio di Diana Reazione a corte della presunta morte di Ippolito e lieto fine

II,11 Aricia in ambasce poi Fedra Aricia incontra Fedra, e, sdegnata, la informa della morte (suppo-
sta) di Ippolito.

46
ROBINSON, Giovanni Paisiello. A Thematic Catalogue p. 413, considera questo numero un «Chorus of huntsmen», ma l’autografo indica
«Segue Cavatina di Ippolito e Dopo Coroe dopo subito scena XI con Rec. ed aria di Aricia»: dato lo spiccato ruolo di primo piano as-
sunto da Ippolito, mi sembra effettivamente più opportuno considerarlo un numero dedicato al cantante.
24 PAOLO RUSSO

N. 39-40 Rec. accompagnato e aria di Aricia47, «Ah chi mi dice al-


meno – Tu pagherai la pena»

II,12 Teseo Fedra Fedra si confessa a Teseo ed entra per togliersi la vita.

II,13 Teseo solo Teseo da voce alla propria disperazione e fa per uccidersi.

II,14 Teseo, Diana, Ippolito, Aricia Scende Diana, ferma la mano di Teseo e gli rende il figlio. Unione
con Aricia e lieto fine

N. 41 Coro finale, «Nume arcier, nume pietoso»

Reazione a corte della presunta morte di Ippolito e lieto fine

TABELLA 3: SEGMENTAZIONE DI “IPPOLITO E ARICIA” DI FRUGONI E “FEDRA” DI SALVIONI

I. FRUGONI, IPPOLITO E ARICIA (1759) L. M. SALVIONI, FEDRA (1788)


I atto I atto

47
ROBINSON, Giovanni Paisiello. A Thematic Catalogue p. 413, aveva definisce questo numero come recitativo accompagnato di Aricia e Fe-
dra; Fedra ha tuttavia un ruolo secondario: è poco più che una spalla che provoca Aricia e la porta a sfogarsi nell’aria. Nella didascalia ci-
tata sopra, d’altra parte, l’autografo napoletano non fa menzione di Fedra.
FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 25

I. FRUGONI, IPPOLITO E ARICIA (1759) L. M. SALVIONI, FEDRA (1788)


Cerimonia di consacrazione di Aricia a Diana interrotta dalla Dea: I,1-4 Cerimonia di consacrazione di Aricia a Diana interrotta dalla
aria di Ippolito, coro, aria della Sacerdotessa, danze, aria di Diana, Dea: aria di Ippolito, coro e ballo, aria con coro di Diana, aria di
aria di Fedra, aria di Aricia, danze Aricia, ballo
I,5-8 Dichiarazione di Fedra a Ippolito e reazione di Aricia nel ve-

dere Ippolito turbato: aria di Learco, aria di Fedra, rec. acc. e aria
di Aricia
I,9-11 Processo, liberazione di Teseo agl’inferi e profezia: coro, recc.

acc. e aria di Teseo con coro

II atto

Teseo agli inferi: coro infernale, danze, aria di Plutone, danze, coro
infernale, duetto delle parche, aria di Teseo, coro infernale, danze

III atto

Dichiarazione di Fedra: aria di Fedra, aria di Aricia

II atto

II,1-4
Ricatto di Fedra ad Aricia: aria di Learco, aria di Fedra, aria
di Aricia, rec. acc. e aria di Ippolito.
e ritorno di Teseo: aria di Ippolito, aria di Teseo (invocazione a
II,5-8 Ritorno di Teseo e invocazione a Nettuno: coro e ballo, aria
Nettuno), coro di marinai, danze, canzonetta di una marinaia
di Learco, recc. acc. e aria di Teseo

IV atto
26 PAOLO RUSSO

I. FRUGONI, IPPOLITO E ARICIA (1759) L. M. SALVIONI, FEDRA (1788)


Fedra cerca di ritrattare l’accusa a Ippolito: aria di Fedra, aria di
Ippolito, aria di Teseo, aria di Aricia, coro di cacciatori, canzonetta
di una cacciatrice, danze

II,9-10Apparizione del mostro e vittoria di Ippolito: duetto di Ip-


polito e Aricia, aria con coro di Ippolito

V atto

Confessione, catastrofe e lieto fine: arietta di Diana, duetto Aricia e II,11-14 Reazione a corte della presunta morte di Ippolito e lieto
Ippolito, danze, coro fine: rec. acc. e aria di Aricia, coro finale.

TABELLA 4: RAFFRONTO DELLE GERARCHIA DEI RUOLI PREVISTI DAI LIBRETTI

FRUGONI SALVIONI [NASOLINI] 1791 [GUGLIELMI] 1798 [NICOLINI] [1804


ARICIA 3 arie, 1 duetto 4 arie, 1 duetto 3 arie, terzetto finale II 1 aria 2 arie

IPPOLITO 3 arie, 1 duetto 3 arie, 1 duetto 3 arie, 2 terzetti finali , 1 aria, 2 duetti, 2 arie, 1 duetto,

1 duetto 2 a 3, 1 Finale 1 a 3, 1 Finale.

TESEO 3 arie 3 arie 2 arie, 2 terzetti finali 2 arie, 1 duetto, 2 arie, 1 duetto

1 duetto, 3 numeri con 2 a 3, 1 Finale 1 a 3, 1 Finale.


FEDRA O ARICIA? LE RAGIONI DELLE “CAGIONI EPISODICHE” 27

FRUGONI SALVIONI [NASOLINI] 1791 [GUGLIELMI] 1798 [NICOLINI] [1804


coro

FEDRA 3 arie 2 arie 4 arie, terzetto finale I 2 arie, 1 duetto 3 arie, 2 duetti

2 a 3, 1 Finale 1 a 3, 1 Finale.

Confidente 3 arie 2 arie 2 arie 1 aria, 1 Finale 2 arie, 1 Finale.

DIANA 2 arie 1 aria 1 aria – –

Altri 4 arie – 1 aria 2 arie per Teramene

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