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Il mondo cambia velocemente, ecco chi

saranno gli analfabeti del XXI secolo"


Stefano Gatti ha spiegato in che modo le nuove tecnologie stanno cambiando i
processi aziendali e perché per gli uomini diventerà una necessità saper
"imparare, disimparare e reimparare" così come oggi lo è saper "leggere e
scrivere"

Sino a pochi decenni fa parlare di Algorithm Economy e Artificial


Intelligence proiettava la mente in universi extraterrestri. Oggi, la Data
Strategy e tutto quanto legato all’AI sono tra le aree di investimento
prioritarie di molte imprese italiane: quali sono gli ambiti in cui la
rivoluzione tecnologica sta dando buoni risultati e quali gli ambiti ancora
da esplorare?
"La storia, o meglio il romanzo, dell’intelligenza artificiale ha avuto, dalla metà
degli anni ’50, primavere e inverni che si sono alternati in maniera abbastanza
regolare. Ora, dagli inizi degli anni 2000, convergono tre trend tecnologici
importanti e correlati: l’aumento esponenziale della generazione dei dati,
l’aumento della capacità di memorizzazione e nuove e più efficaci metodologie
elaborative. Questi tre fattori sembrano aver allungato la durata e le aspettative
della primavera in corso. Sicuramente si sono fatti grandissimi passi avanti nella
risoluzione di problemi specifici e complessi (narrow artificial intelligence) quali
la visione artificiale, le capacità linguistiche (es: traduzione, comprensione e
capacità conversazionale) e le applicazioni di robotica in ambito industriale. In
estrema sintesi l’intelligenza artificiale ha consentito di ottimizzare e alcune volte
superare capacità umane che fino a qualche anno fa sembravano inavvicinabili.
Dove siamo ancora lontani da avere risultati significativi sono quelle attività dove
la creatività è un fattore importante e dove la sintesi e l’unione di più
competenze (es: ragionamento, empatia relazionale, sistemi decisionali in
ambienti molto complessi e alta imprevedibilità) sono e saranno per ancora
molto tempo ad appannaggio di noi umani."
Nel vademecum, edito da Franco Angeli, di cui sei autore insieme a
Giaume, si parla molto di formazione. Per un data scientist è fondamentale
essere inserito all’interno di team la cui formazione sia costante, continua.
Le realtà italiane più innovative come si organizzano in tal senso?
"In un mondo, quello dei dati e delle relative tecnologie, ad altissima dinamicità
la formazione continua è un aspetto fondamentale. La caratteristica
fondamentale delle figure professionali legate ai dati, che ho incontrato nelle
diverse realtà aziendali in cui ho lavorato negli ultimi 20 anni, siano essi data
analyst, data engineer o data scientist è la curiosità di esplorare nuove
tecnologie e nuovi domini dove gradualmente i dati acquisiscono via via più
rilevanza come per esempio quello della Credit Information, del Digital Marketing
e dei sistemi di pagamento digitali. Creare data community, cioè spazi fisici e
virtuali dove questi knowledge workers si possano incontrare al di là dei loro
posizionamenti negli organigrammi aziendali e dei progetti che stanno
realizzando, ritengo essere uno degli investimenti che una azienda che guarda
al futuro deve sicuramente fare. Questo perché, come ha detto in maniera
efficace, il futurologo Alvin Toffler, gli analfabeti del XXI secolo non saranno
quelli che non sanno leggere e scrivere, ma quelli che non saranno in grado di
imparare, disimparare e reimparare. E questo ciclo nel mondo dei dati si
accorcia sempre più."

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