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Acqua a rischio petrolio!

Modificare il Piano Tutela delle Acque della Regione


Abruzzo per far fronte alla petrolizzazione della
Regione.

Acqua e petrolio: 3 milioni di galloni di olio rilasciati nelle acque dolci del lago Charles, Louisiana.(tratto dal sito www.darrp.noaa.gov)

Rapporto a cura di: Augusto De Sanctis, referente acque WWF Abruzzo

Novembre 2010
Introduzione
La Regione Abruzzo ha adottato il Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo con Delibera
di Giunta Regionale n.614 (BURA 24 settembre 2010). Il Piano di Tutela delle Acque, sulla base di
quanto previsto dall’art.121 del Decreto 152/2006 e relativi allegati, “contiene, oltre agli interventi
volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del
presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.”
Il Piano di Tutela delle Acque è un piano di settore che si occupa delle acque interne, delle acque
sotterranee (comprese tutte “le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da
riferimento per definire il limite delle acque territoriali”) e delle acque marino-costiere. (così definite
dal D.lgs 152/2006 “le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria
distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di
base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono
eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”).
Il Piano deve esaminare analiticamente tutti gli elementi di pressione antropica e definire tutte le
misure per la protezione e conservazione delle acque.
Attualmente il Piano è nella fase di ricezione delle osservazioni (sei mesi a partire dall’adozione del
Piano), di Valutazione Ambientale Strategica e di Valutazione di Incidenza Ambientale sugli effetti
del Piano sui Siti di Interesse Comunitario e sulle Zone di Protezione Speciale della Rete
Natura2000 (anche nell’ambito di queste procedure è possibile presentare osservazioni). Dopo il
passaggio al Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della Regione, il Piano passerà
all’esame del Consiglio Regionale per la sua approvazione definitiva.

Per il Piano il problema petrolio e gas in Abruzzo non esiste!


Il Piano di Tutela delle Acque nella versione adottata dalla Giunta incredibilmente non accenna in
alcuna parte al tema dello sfruttamento degli idrocarburi. Non cita le concessioni petrolifere che
attualmente coprono il 51,07 % del territorio regionale (coinvolgendo il 72% dei 305 comuni
abruzzesi) e le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi (sia metano che idrocarburi liquidi) in
corso di svolgimento e in progetto sia nell'entroterra sia nelle acque prospicienti la costa della
Regione (FIG.1).

FIG.1 Concessioni in Abruzzo (fonte WWF e Legambiente 2010)


Tale lacuna appare del tutto inaccettabile in quanto è universalmente riconosciuto il ruolo degli
idrocarburi nell’inquinamento delle acque.

Il quadro conoscitivo del Piano: cosa dice del petrolio


Il quadro conoscitivo del Piano è del tutto carente su questa tematica quando dovrebbe includere
almeno le informazioni circa la presenza di pozzi abbandonati, pozzi in funzione, aree di
stoccaggio e aree in concessione. A tal proposito, a mero titolo di esempio circa la necessità di
reperire e includere queste informazioni, si può ricordare un recente servizio del Tg3 Abruzzo in
cui nel territorio della Majella, versante orientale del Morrone, grandi quantità di idrocarburi si
riversavano in un torrente affluente del Fiume Pescara (tanto che una briglia era diventata di color
nero pece). La presenza di idrocarburi nel Fiume Pescara è stata rilevata più volte (si vedano le
analisi per la classificazione delle acque ai fini della potabilizzazione). Ciò testimonia l'impatto
potenziale sulla qualità delle acque delle strutture esistenti/abbandonate e l'enorme influenza che
la pianificazione dello sfruttamento degli idrocarburi potrebbe avere sulle finalità del Piano di
Tutela delle Acque. Ovviamente solo un quadro conoscitivo soddisfacente su questa tematica può
permettere di prevedere e prevenire impatti negativi sulle acque superficiali, sotterranee e marino-
costiere.
Appare incredibile che la Regione non abbia neanche recepito lo studio di WWF e Legambiente
presentato ormai un anno fa in cui si riportavano analiticamente tutti i dati georeferenziati relativi ai
pozzi presenti nella Regione Abruzzo (compresi quelli a mare) e alle concessioni rilasciate e in
esame. Al 31 dicembre 2007 sono state effettuate in Abruzzo 722 perforazioni, concentrate
essenzialmente nella fascia pedemontana e collinare costiera. (FIG.2).

FIG.2 Localizzazione dei pozzi scavati in Abruzzo dagli inizi del novecento al 2007
(fonte WWF e Legambiente 2009)
La cosa appare ancora più grave perché il tema è stato sollevato dalle associazioni durante
un’assemblea pubblica di presentazione del piano ancora in bozza avvenuta il 29 aprile 2010
(punto 8 del relativo verbale), ricevendo in quella sede una semplicistica risposta (il Piano di Tutela
delle Acque in base al D.lgs 152/2006 non si occuperebbe di idrocarburi!).
La cosa non corrisponde alla realtà dei fatti. I poteri assegnati alle regioni dal D.lgs 152/2006 al
fine di stabilire misure specifiche per le acque sono molto ampi. Ad esempio, l’Art. 94. Disciplina
delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano
prevede che siano le Regioni ad individuare limitazioni e prescrizioni anche per le attività
produttive nelle zone di protezione individuate. Spetta alla Regione stessa l’individuazione delle
zone di protezione (l’Art.94 comma 1 del D. lgs 152/2006 così recita “Su proposta delle Autorità
d'ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali
e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che
riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le
aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei
bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda”).
Il D.lgs 152/2006 dispone altresì per le zone di protezione che: “Le zone di protezione devono
essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la
protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del
territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro-
forestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia
generali sia di settore.”
Addirittura il successivo Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della direttiva
2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal
deterioramento” all’Art. 7. Misure per prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque
sotterranee prevede che “…al fine di prevenire o di limitare le immissioni di inquinanti nelle acque
sotterranee e di perseguire gli obiettivi di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n.152 del
2006, le regioni assicurano che il programma di misure stabilito conformemente all'articolo 116 del
medesimo decreto legislativo comprenda:
a) tutte le misure necessarie a prevenire scarichi ed immissioni indirette nelle acque
sotterranee di sostanze pericolose di cui articolo 74, comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n.
152 del 2006. Le regioni individuano le sostanze pericolose tenendo conto, in particolare, di quelle
appartenenti alle famiglie o ai gruppi di inquinanti tra quelle dell'Allegato 8, alla Parte Terza, punti
da 1 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006;

b) tutte le misure necessarie per limitare gli scarichi e le immissioni indirette nelle acque
sotterranee di sostanze non considerate pericolose di cui al citato Allegato 8 del decreto legislativo
n. 152 del 2006 e di altri inquinanti non pericolosi, al fine di evitare un deterioramento ed una
significativa e duratura tendenza all'aumento della concentrazione di inquinanti nelle acque
sotterranee. Nell'individuazione delle misure si tiene conto delle migliori pratiche ambientali e delle
migliori tecniche disponibili.
In realtà il D.lgs 152/2006 demanda allo Stato solamente le autorizzazioni agli scarichi negli strati
profondi di acque derivanti da coltivazione di pozzi per l’estrazione di idrocarburi. Le Regioni
hanno pieni poteri nel prevedere norme, anche più restrittive, per le localizzazioni di attività
produttive, fasce di rispetto ecc. qualora possano influenzare il raggiungimento degli obiettivi di
qualità obbligatori; ciò, ovviamente, attraverso un’adeguata motivazione tecnica.
Di seguito offriamo una breve disamina degli impatti sulla qualità delle acque che rende
inoppugnabile questo approccio, che, peraltro, renderebbe tali norme non impugnabili da parte del
Governo nazionale davanti alla Corte Costituzionale in quanto derivanti da specifici poteri
assegnati alle regioni dalle norme nazionali.
Acquiferi, falde e fiumi a rischio petrolio
Le attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi dovrebbero essere tra quelle vietate:
-nelle aree di Rispetto, di Tutela e di Protezione di cui agli art.21, 22, 23 e 24 delle Norme
Tecniche di Attuazione del Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo (e delle relative
Linee Guida allegate al Piano per la definizione di tali aree) che si riferiscono alla salvaguardia
delle aree importanti per la qualità delle acque destinate al consumo umano;
-in tutte quelle aree in cui siano presenti acquiferi rilevanti (FIG.3), ancorché già degradati (come
prevede il già richiamato Art.7 del Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della
direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione elle acque sotterranee dall'inquinamento e dal
deterioramento.");
-nelle aree limitrofe al reticolo idrografico superficiale (FIG.4).

Ciò in considerazione dei danni agli acquiferi che normalmente si riscontrano sia durante le
normali attività di sfruttamento dei giacimenti sia per incidenti di più vasta portata ed eccezionali.

FIG.3 Corpi idrici sotterranei significativi e d’interesse della Regione Abruzzo


(Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo, carta 1.5)
FIG.4 Corpi idrici superficiali significativi e d’interesse della Regione Abruzzo
(Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo, carta 1.3)
Contaminazione della falda e attività produttiva dell’industria petrolifera
L'impatto dello sfruttamento degli idrocarburi sulla qualità dell'acqua è incontrovertibile. A tal
proposito è illuminante citare i dati riguardanti i casi di contaminazione dell'acqua di falda avvenuti
nel solo New Mexico negli Stati Uniti (elaborazione O.G.A.P. su 705 eventi di contaminazione delle
falde dal 1990 ad oggi, registrati dall'ente che si occupa dello sfruttamento petrolifero!).

FIG.5
Eventi di contaminazione in New Mexico - fonti di perdita di olio e contaminanti.

La FIG.5 mostra che larga parte degli eventi di contaminazione è connessa a oleodotti e a punti di
stoccaggio dei fluidi che costituiscono le maggiori cause di rilasci di inquinanti nel terreno e nelle
acque. La FIG.6 evidenzia come la gran parte di questi eventi avvenga nei pressi dei pozzi.

FIG.6 New Mexico - Localizzazione dei punti di stoccaggio causa di eventi di contaminazione
I rilasci accidentali e/o gli incidenti che portano al rilascio di olio o sostanze contaminanti nel suolo
interessano in larga misura le acque superficiali ma possono causare contaminazione delle falde
fino a decine di metri di profondità (FIG.7).

FIG.7 Questo grafico dimostra come gli incidenti possono coinvolgere anche la falda profonda.

Un caso di contaminazione della falda molto studiato negli Stati Uniti è quello avvenuto a Bemidji
in Minnesota. Le due Figure seguenti, la 8 e la 9, tratte da Delin (1998) mostrano chiaramente il
percorso di contaminazione della falda a seguito dello sversamento superficiale di olio.

FIG.8 Processo di contaminazione della falda.


FIG.9 Processi chimico-fisici che avvengono a seguito di sversamento su terreno di olio..

Le fonti di rilascio di olio e sostanze contaminanti nelle aree interne


Negli Stati Uniti vengono monitorati da alcuni decenni gli sversamenti di olio nell’ambiente. Nella
banca dati dell’Environmental Protection Agency dal 1980 al 2003 sono stati registrati 51.829 casi
di perdite di olio nelle aree interne del paese con una media di quasi 40 milioni di litri di olio
sversati nell’ambiente ogni anno (FIG.10). Gli sversamenti derivano in larga parte dalle strutture
fisse che stoccano in qualche modo oli (strutture sottoposte a SPCC, TAB.1) quali raffinerie,
strutture nei pressi di pozzi, aziende che stoccano prodotti petroliferi ecc. E’ interessante notare
come, nonostante il varo di regole più restrittive di sicurezza, le strutture di stoccaggio continuino
ad essere comunque i punti a maggior rischio di sversamento (FIG.11)

FIG.10 Andamento degli sversamenti sul territorio degli Stati Uniti (comprese acque superficiali).
Tratta da Etkin 2001)
TAB.2 Numero di sversamenti nelle aree interne degli Stati Uniti per fonte (Etkin 2006).

FIG.11 Trend della probabilità di sversamenti per ogni fonte (Etkin 2006).

Incidenti di larga scala e acque interne: tre casi-studio


Per quanto riguarda gli incidenti di grande rilevanza che possono accadere negli impianti per lo
sfruttamento, trasporto e lavorazione degli idrocarburi illustriamo tre esempi molto significativi, uno
per ciascuna di queste tre fasi della produzione e lavorazione degli idrocarburi.

Incidenti nelle fasi di produzione - Trecate


Nel 1994 a Trecate un pozzo è esploso causando la dispersione di circa 12.600 mc di petrolio, 1
milione di mc di gas naturale e 1.000 mc di acqua di pozzo su un'area vasta 5.000 ettari e
densamente coltivata e abitata. L'incidente ha comportato l'inquinamento del suolo e della falda,
determinando la necessità di un'azione di bonifica su circa 1200 ettari e l’asportazione di 27.000
mc di terreno superficiale scarificato nelle aree maggiormente impattate. Qui di seguito alcune
immagini dell'incidente di Trecate (FIG.12-15, 12,14 e 15 tratte da Arlotti D. et al. 1998).
FIG.12 Il pozzo AGIP di Trecate (MI) durante l’incidente.
Si noti la ricaduta a destra sui terreni circostanti.

FIG.13 Auto coperta da olio a Trecate (da www.notriv.it/public/macchina%20petrolio_p.jpg)


FIG.14 Aree di ricaduta dell’olio attorno al pozzo AGIP (cerchio bianco) di Trecate (MI).

FIG.12 L’olio copre i campi attorno al pozzo AGIP di Trecate (MI)


Incidenti nella fase di trasporto – Il fiume Kalamazoo
Nel luglio 2010 nel fiume Kalamazoo negli Stati Uniti sono stati rilasciati 1.000.000 di galloni di
petrolio a causa della rottura di un oleodotto che ha portato alla dichiarazione di emergenza
nell'intero stato (il fiume Kalamazoo s’immette nel lago Michigan). Alcune decine di persone sono
state evacuate e i lavori di pulizia sono tuttora in corso ad oltre 4 mesi dallo sversamento (FIG.16 e
FIG.17).

FIG.16 Il Fiume Kalamazoo inquinato

FIG.17 Cartello di divieto per l’uso delle acque del fiume, insicure a causa dello sversamento.
Fase dello stoccaggio -Il caso del Lambro
A febbraio 2010 lo sversamento nel Lambro di 2600 tonnellate di materiale oleoso dalle cisterne
dell’ex raffineria di Villasanta può essere stato il colpo di grazia per un fiume da decenni in un
vergognoso stato di degrado, simile per alcuni versi a quello di alcuni fiumi abruzzesi. La marea
nera ha bloccato il depuratore di Monza che serve 700.000 persone. E' stato dichiarato lo Stato di
Emergenza Nazionale per far fronte a questa minaccia. Qui sotto due immagini dell’incidente e
delle conseguenze sulla fauna (FIG.18 e FIG.19)

FIG.18 Germano reale soccorso sul Lambro FIG. 19 Olio in acqua nel Lambro

Acque marino-costiere e rischio petrolio


Dopo l'incidente nel Golfo del Messico è divenuta più chiara a tutti la rilevanza del rischio di
incidenti del genere per l'Adriatico (basti pensare che la macchia principale sversata nel Golfo
avrebbe coperto un'area pari a 2/3 dell'Adriatico). Alcuni hanno sostenuto che un incidente del
genere sarebbe impossibile in Adriatico a causa dei bassi fondali rispetto all'incidente nel Golfo del
Messico. In realtà:
a)diverse concessioni riguardano il basso adriatico dove le profondità sono importanti (oltre 1000
metri di profondità);
b)pochi ricordano che nel 1979 un altro incidente coinvolse la piattaforma Ixtoc I nel Golfo del
Messico riversando circa 3 milioni di barili di petrolio in mare. Il pozzo rimase aperto per circa un
anno nonostante fosse a 50 metri di profondità (FIG.20).
E’ interessante notare come ormai la maggior parte dei 9.522 sversamenti registrati in mare sia
collegata alle fasi di normale operatività e non ad incidenti. Inoltre le fasi di carico e scarico sono
quelle a maggiore rischio. L’ITOPF (FIG.21) ha dimostrato come gli sversamenti in mare siano
sempre meno connessi alla fase di trasporto con petroliere e sempre più legati alle altre attività
petrolifere (estrazione; carico e scarico; oleodotti ecc.).

FIG.20 L’incidente della piattaforma Ixtoc I (immagine tratta da Wikipedia)


FIG.21 Trend degli sversamenti in mare – in blu gli interventi su sversamenti da nave
(interventi ITOPF, tratto dalla presentazione di Johnson 2010)

Se si esaminano i 9.522 sversamenti in mare da nave censiti tra il 1970 e il 2009 per quantità di
olio (<7 tonnellate; 7-700 tonnellate e >700 tonnellate), si vede chiaramente come le cause
cambino radicalmente tra le diverse categorie (FIG.22-24, tratte dal sito dell’ITOPF). I maggiori
sversamenti sono causati da incidenti (collisioni o incidenti durante l’attracco) oppure avvengono
durante le fasi di scarico a terra (loading/discharging). Quest’ultima causa è invece
progressivamente più frequente se si prendono in considerazione gli sversamenti più piccoli.
Questo aspetto è molto importante per la qualità delle acque marino-costiere abruzzesi visto che
nei porti di Pescara, Ortona e Vasto avvengono operazioni di scarico di idrocarburi.

FIG.22 Cause degli sversamenti in mare di maggiori dimensioni >700 tonnellate (interventi ITOPF)

FIG.23 Cause degli sversamenti in mare di medie dimensioni 7-700 tonnellate (interventi ITOPF)
FIG.24 Cause degli sversamenti in mare di minori dimensioni <7 tonnellate (interventi ITOPF)

Sversamenti in Mediterraneo e in Adriatico


Secondo Moretti (2008) il 30% del greggio mondiale trasportato per nave segue rotte
mediterranee. Circa 1/3 di questo arriva in Adriatico. Trieste è il maggiore porto petrolifero italiano
per arrivi (il greggio viene immesso nell’oleodotto SIOT verso Austria e Germania). In Adriatico, vi
sono una decina di porti petroliferi, 7 terminali, 3 oleodotti, 13 raffinerie, oltre a quasi un centinaio
di piattaforme offshore (alcune attive). Il Mediterraneo è già ora il mare più contaminato al mondo
da idrocarburi con una media di 38 milligrammi per metro cubo di acqua (contro i 3,8 del sistema
giapponese, i 2,2 della Corrente del Golfo, ad esempio).

FIG.25 Principali rotte e flussi di petrolio nel Mediterraneo (fonte WEBGIS ITOPF)

Il grande pubblico è a conoscenza dei rischi connessi al trasporto di idrocarburi con le navi a causa
degli incidenti che hanno coinvolto petroliere in diversi paesi mediterranei (basterà ricordare la
Haven in Liguria). Il rischio di incidente è strettamente collegato sia al volume di traffico (FIG.25)
sia ad alcune caratteristiche delle navi, come la velocità di crociera e le loro caratteristiche
strutturali. Sversamenti di grandi dimensioni sono avvenuti anche nel basso Adriatico, come
mostra la FIG.26 basata su dati dell’European Environment Agengy.
Uno studio di Savini e Corso (2008) ha studiato il traffico marittimo nell’Adriatico nel periodo 2003-
2007. Gran parte delle navi censite battevano bandiera italiana. Le altre, per ordine di
abbondanza, battevano la bandiera di Panama, Malta, Liberia, Grecia, Marshall Islands, Bahamas
Islands, Turchia, United Kingdom, Cipro, Iran, Isola di Man (per un totale di 85 bandiere diverse,
alcune delle quali inserite nella “Black List” redatta dal Paris MOU nel 2005). Sempre questo studio
ha evidenziato come nell’Adriatico passano navi con carichi pericolosi anche di medie e grandi
dimensioni (da 1000 a 88000 ton). Le navi che circolano in Adriatico sono risultate abbastanza
vecchie in quanto per le “chemical tanker” sono stati registrati ben 3 transiti di navi degli anni ‘70,
16 degli anni ’80, 44 degli anni ’90, 41 degli anni ’00. Per le “oil tanker” 3 sono i passaggi di navi
costruite negli anni ’70, 14 negli anni ’80, 36 negli anni ’90 infine 89 negli anni 2000. Si stima che
ogni giorno nell’Adriatico centrale passano 5-6 navi che trasportano sostanze pericolose,
escludendo i traghetti.

FIG.26 Principali sversamenti di petrolio in mare in Europa. (EEA 2010)

Le nuove tecnologie per localizzare gli sversamenti in mare


Gran parte degli sversamenti in mare coinvolge quantità di olio piccole ed è spesso collegata a
comportamenti scorretti quali lo scarico illegale delle acque di sentina. Altra fonte importante di
inquinamento è quella connessa alle normali attività gestionali, come abbiamo già visto per gli
sversamenti su terraferma. Infatti, molte perdite avvengono durante le varie fasi di trasporto e
stoccaggio degli idrocarburi, come il carico e scarico dalle navi, il trasferimento degli idrocarburi
dalle piattaforme ai battelli cisterna e alle bettoline. Esistono diversi sistemi per cercare di
monitorare questi fenomeni e negli ultimi anni si stanno sviluppando le tecniche di remote sensing
quale l’esame delle immagini satellitari e aeree (FIG27).
Questa tecnica può essere utilizzata per studiare la variazione degli sversamenti nei diversi periodi
dell’anno, anche mensilmente (FIG.28)
Il Joint Research Center dell’Unione Europea (Tarchi 2006) ha pubblicato una mappa di 9299
possibili sversamenti in mare localizzati attraverso lo studio di oltre 18000 immagini satellitari
raccolte tra il 1999 e il 2004 (FIG.29).
FIG.27 Esempio di sversamento da piattaforma in Adriatico individuato grazie a foto aeree e satellitari
(R.E.M.P.E.C 2007)

FIG.28 Possibili sversamenti di petrolio in mare in Adriatico in un mese estivo ((R.E.M.P.E.C 2007))
FIG.29 Possibili sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006)

Partendo da questi dati reali, questo prestigioso istituto scientifico ha elaborato una mappa del
rischio per l’intermo Mediterraneo da cui si evince come l’Adriatico centrale sia una delle aree a
maggior densità di perdite di petrolio (FIG.30).

FIG.30 Mappa del rischio di sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006)
La tecnologia a servizio della prevenzione
In Adriatico sono in corso diversi progetti per elaborare modelli statistici in cui una grande mole di
dati relativi al clima, alle correnti marine, al moto ondoso, al traffico marittimo ecc viene utilizzata
contemporaneamente per elaborare mappe della vulnerabilità, del rischio, di impatto e per
implementare strategie di mitigazione in caso di effettivo sversamento. Le FIG. 31 e 32 sono
riprese da uno di questi progetti (Mosetti 2005) e mostra lo schema di lavoro e i risultati che si
ottengono.

FIG.31 Modalità di studio per la prevenzione del rischio inquinamento sulle coste e in mare

FIG.32 Modello previsionale che mostra il percorso probabile di una macchia d’olio sulla base di dati
ambientali quali l’andamento delle correnti, le condizioni climatiche ecc.
Questi modelli sono stati elaborati anche per i vari settori dell’Adriatico (Coppini et al. 2009,
FIG.33). Questi studi dimostrano l’esistenza di un rischio elevato di sversamenti nell’Adriatico
centrale e, quindi, una grande vulnerabilità per le acque marino-costiere abruzzesi (FIG.34).

FIG.33 Mappe relative al rischio standardizzato per i vari settori dell’Adriatico (da Coppini et al 2009)

FIG.34 Residui oleosi spiaggiati in Abruzzo nel chietino


CAMBIARE IL PIANO DI TUTELA DELLE ACQUE:
LE RICHIESTE DI WWF E LEGAMBIENTE SUGLI IDROCARBURI

Gli studi citati dimostrano la totale incompatibilità tra sfruttamento degli idrocarburi e tutela degli
acquiferi, sia, ovviamente, nelle aree destinate alla salvaguardia delle acque destinate al consumo
umano sia nelle aree in cui siano presenti corpi idrici sotterranei significativi e d'interesse, peraltro
già fortemente pregiudicati dal punto di vista della contaminazione. Ciò senza neanche dover
richiamare l'enorme dibattito aperto negli Stati Uniti circa l'uso di particolari tecniche come
l'”hydraulic fracturing” nello sfruttamento del metano che ha portato recentemente l'EPA ad avviare
un'apposita ricerca in considerazione dei fortissimi sospetti circa l’impatto di queste modalità
estrattive sulle falde. Oltre agli aspetti collegati allo sfruttamento in terraferma, è necessario
affrontare proattivamente il rischio di sversamento in mare.
Per questo riteniamo che il Piano di Tutela debba prevedere specifici divieti alle attività di ricerca e
coltivazione di idrocarburi, sia per quanto riguarda la tutela dei corpi idrici sotterranei sia per
quanto riguarda la tutela dei corsi d'acqua (prevedendo consistenti buffer area attorno al reticolo
idrografico superficiale) e, infine, per le acque marino costiere.

WWF e Legambiente chiedono che nel Piano di Tutela delle Acque:


a) sia aggiornato il quadro conoscitivo usando i dati relativi a concessioni e pozzi (FIG.1 e 2);
b) sia realizzato e inserito nel Piano di Tutela delle Acque uno studio sui rischi connessi allo
sversamento di petrolio in mare individuando le aree a maggior rischio utilizzando le
ricerche citate nel presente dossier;
c) siano immediatamente perimetrate le zone di tutela, salvaguardia e protezione delle acque
destinate al consumo umano in cui vietare tutte le attività produttive connesse agli
idrocarburi;
d) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per l’estrazione, e di strutture
collegate all’estrazione di idrocarburi (oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la
raffinazione e la lavorazione ecc.) nelle aree interessate da corpi idrici sotterranei
significativi e di interesse (FIG.3)
e) sia vietata la realizzazione di pozzi, sia per la ricerca che per l’estrazione, e di strutture
collegate all’estrazione di idrocarburi (oleodotti; punti di stoccaggio; centri per la
raffinazione e la lavorazione ecc.) nelle aree attorno ai corpi idrici superficiali d’interesse,
individuando una fascia di rispetto di almeno 3 km attorno ad essi (FIG.4)
f) siano prescritte nel Piano di Tutela specifiche norme di comportamento e di monitoraggio
(analisi in continuo, telecamere ecc) presso i punti di attracco delle navi che trasportano
idrocarburi liquidi;
g) siano previste nel PTA forme di prevenzione e previsione connesse al rischio di
sversamento di idrocarburi liquidi in mare.
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http://www.wwf.it/UserFiles/File/AltriSitiWWF/Abruzzo/Dossier%20idrocarburi-
WWF%20%20LEGAMBIENTE%20Febbraio%202009.pdf

WWF e Legambiente (2010) Aggiornamento dati e numeri sulla ricerca e coltivazione degli
idrocarburi in Abruzzo.
WWF Abruzzo Legambiente Abruzzo
Via D’Annunzio 68, 65100 Pescara Via del Santuario 160, 65125 Pescara
Tel./fax 0854510236 Tel/fax 085 4152645
abruzzo@wwf.it info@legambienteabruzzo.it
WEB: www.wwf.it/abruzzo WEB: www.legambienteabruzzo.it

Il Piano di Tutela adottato è consultabile e scaricabile da sito:


http://www.regione.abruzzo.it/pianoTutelaacque/

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