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Acqua e petrolio: 3 milioni di galloni di olio rilasciati nelle acque dolci del lago Charles, Louisiana.(tratto dal sito www.darrp.noaa.gov)
Novembre 2010
Introduzione
La Regione Abruzzo ha adottato il Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo con Delibera
di Giunta Regionale n.614 (BURA 24 settembre 2010). Il Piano di Tutela delle Acque, sulla base di
quanto previsto dall’art.121 del Decreto 152/2006 e relativi allegati, “contiene, oltre agli interventi
volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del
presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.”
Il Piano di Tutela delle Acque è un piano di settore che si occupa delle acque interne, delle acque
sotterranee (comprese tutte “le acque sotterranee all'interno della linea di base che serve da
riferimento per definire il limite delle acque territoriali”) e delle acque marino-costiere. (così definite
dal D.lgs 152/2006 “le acque superficiali situate all'interno rispetto a una retta immaginaria
distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di
base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono
eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione”).
Il Piano deve esaminare analiticamente tutti gli elementi di pressione antropica e definire tutte le
misure per la protezione e conservazione delle acque.
Attualmente il Piano è nella fase di ricezione delle osservazioni (sei mesi a partire dall’adozione del
Piano), di Valutazione Ambientale Strategica e di Valutazione di Incidenza Ambientale sugli effetti
del Piano sui Siti di Interesse Comunitario e sulle Zone di Protezione Speciale della Rete
Natura2000 (anche nell’ambito di queste procedure è possibile presentare osservazioni). Dopo il
passaggio al Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della Regione, il Piano passerà
all’esame del Consiglio Regionale per la sua approvazione definitiva.
FIG.2 Localizzazione dei pozzi scavati in Abruzzo dagli inizi del novecento al 2007
(fonte WWF e Legambiente 2009)
La cosa appare ancora più grave perché il tema è stato sollevato dalle associazioni durante
un’assemblea pubblica di presentazione del piano ancora in bozza avvenuta il 29 aprile 2010
(punto 8 del relativo verbale), ricevendo in quella sede una semplicistica risposta (il Piano di Tutela
delle Acque in base al D.lgs 152/2006 non si occuperebbe di idrocarburi!).
La cosa non corrisponde alla realtà dei fatti. I poteri assegnati alle regioni dal D.lgs 152/2006 al
fine di stabilire misure specifiche per le acque sono molto ampi. Ad esempio, l’Art. 94. Disciplina
delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano
prevede che siano le Regioni ad individuare limitazioni e prescrizioni anche per le attività
produttive nelle zone di protezione individuate. Spetta alla Regione stessa l’individuazione delle
zone di protezione (l’Art.94 comma 1 del D. lgs 152/2006 così recita “Su proposta delle Autorità
d'ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali
e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che
riveste carattere di pubblico interesse, nonché per la tutela dello stato delle risorse, individuano le
aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché, all'interno dei
bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda”).
Il D.lgs 152/2006 dispone altresì per le zone di protezione che: “Le zone di protezione devono
essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la
protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del
territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro-
forestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia
generali sia di settore.”
Addirittura il successivo Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della direttiva
2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal
deterioramento” all’Art. 7. Misure per prevenire o limitare le immissioni di inquinanti nelle acque
sotterranee prevede che “…al fine di prevenire o di limitare le immissioni di inquinanti nelle acque
sotterranee e di perseguire gli obiettivi di cui agli articoli 76 e 77 del decreto legislativo n.152 del
2006, le regioni assicurano che il programma di misure stabilito conformemente all'articolo 116 del
medesimo decreto legislativo comprenda:
a) tutte le misure necessarie a prevenire scarichi ed immissioni indirette nelle acque
sotterranee di sostanze pericolose di cui articolo 74, comma 2, lettera ee), del decreto legislativo n.
152 del 2006. Le regioni individuano le sostanze pericolose tenendo conto, in particolare, di quelle
appartenenti alle famiglie o ai gruppi di inquinanti tra quelle dell'Allegato 8, alla Parte Terza, punti
da 1 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
b) tutte le misure necessarie per limitare gli scarichi e le immissioni indirette nelle acque
sotterranee di sostanze non considerate pericolose di cui al citato Allegato 8 del decreto legislativo
n. 152 del 2006 e di altri inquinanti non pericolosi, al fine di evitare un deterioramento ed una
significativa e duratura tendenza all'aumento della concentrazione di inquinanti nelle acque
sotterranee. Nell'individuazione delle misure si tiene conto delle migliori pratiche ambientali e delle
migliori tecniche disponibili.
In realtà il D.lgs 152/2006 demanda allo Stato solamente le autorizzazioni agli scarichi negli strati
profondi di acque derivanti da coltivazione di pozzi per l’estrazione di idrocarburi. Le Regioni
hanno pieni poteri nel prevedere norme, anche più restrittive, per le localizzazioni di attività
produttive, fasce di rispetto ecc. qualora possano influenzare il raggiungimento degli obiettivi di
qualità obbligatori; ciò, ovviamente, attraverso un’adeguata motivazione tecnica.
Di seguito offriamo una breve disamina degli impatti sulla qualità delle acque che rende
inoppugnabile questo approccio, che, peraltro, renderebbe tali norme non impugnabili da parte del
Governo nazionale davanti alla Corte Costituzionale in quanto derivanti da specifici poteri
assegnati alle regioni dalle norme nazionali.
Acquiferi, falde e fiumi a rischio petrolio
Le attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi dovrebbero essere tra quelle vietate:
-nelle aree di Rispetto, di Tutela e di Protezione di cui agli art.21, 22, 23 e 24 delle Norme
Tecniche di Attuazione del Piano di Tutela delle Acque della Regione Abruzzo (e delle relative
Linee Guida allegate al Piano per la definizione di tali aree) che si riferiscono alla salvaguardia
delle aree importanti per la qualità delle acque destinate al consumo umano;
-in tutte quelle aree in cui siano presenti acquiferi rilevanti (FIG.3), ancorché già degradati (come
prevede il già richiamato Art.7 del Decreto Legislativo 16 marzo 2009, n. 30 "Attuazione della
direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione elle acque sotterranee dall'inquinamento e dal
deterioramento.");
-nelle aree limitrofe al reticolo idrografico superficiale (FIG.4).
Ciò in considerazione dei danni agli acquiferi che normalmente si riscontrano sia durante le
normali attività di sfruttamento dei giacimenti sia per incidenti di più vasta portata ed eccezionali.
FIG.5
Eventi di contaminazione in New Mexico - fonti di perdita di olio e contaminanti.
La FIG.5 mostra che larga parte degli eventi di contaminazione è connessa a oleodotti e a punti di
stoccaggio dei fluidi che costituiscono le maggiori cause di rilasci di inquinanti nel terreno e nelle
acque. La FIG.6 evidenzia come la gran parte di questi eventi avvenga nei pressi dei pozzi.
FIG.6 New Mexico - Localizzazione dei punti di stoccaggio causa di eventi di contaminazione
I rilasci accidentali e/o gli incidenti che portano al rilascio di olio o sostanze contaminanti nel suolo
interessano in larga misura le acque superficiali ma possono causare contaminazione delle falde
fino a decine di metri di profondità (FIG.7).
FIG.7 Questo grafico dimostra come gli incidenti possono coinvolgere anche la falda profonda.
Un caso di contaminazione della falda molto studiato negli Stati Uniti è quello avvenuto a Bemidji
in Minnesota. Le due Figure seguenti, la 8 e la 9, tratte da Delin (1998) mostrano chiaramente il
percorso di contaminazione della falda a seguito dello sversamento superficiale di olio.
FIG.10 Andamento degli sversamenti sul territorio degli Stati Uniti (comprese acque superficiali).
Tratta da Etkin 2001)
TAB.2 Numero di sversamenti nelle aree interne degli Stati Uniti per fonte (Etkin 2006).
FIG.11 Trend della probabilità di sversamenti per ogni fonte (Etkin 2006).
FIG.17 Cartello di divieto per l’uso delle acque del fiume, insicure a causa dello sversamento.
Fase dello stoccaggio -Il caso del Lambro
A febbraio 2010 lo sversamento nel Lambro di 2600 tonnellate di materiale oleoso dalle cisterne
dell’ex raffineria di Villasanta può essere stato il colpo di grazia per un fiume da decenni in un
vergognoso stato di degrado, simile per alcuni versi a quello di alcuni fiumi abruzzesi. La marea
nera ha bloccato il depuratore di Monza che serve 700.000 persone. E' stato dichiarato lo Stato di
Emergenza Nazionale per far fronte a questa minaccia. Qui sotto due immagini dell’incidente e
delle conseguenze sulla fauna (FIG.18 e FIG.19)
FIG.18 Germano reale soccorso sul Lambro FIG. 19 Olio in acqua nel Lambro
Se si esaminano i 9.522 sversamenti in mare da nave censiti tra il 1970 e il 2009 per quantità di
olio (<7 tonnellate; 7-700 tonnellate e >700 tonnellate), si vede chiaramente come le cause
cambino radicalmente tra le diverse categorie (FIG.22-24, tratte dal sito dell’ITOPF). I maggiori
sversamenti sono causati da incidenti (collisioni o incidenti durante l’attracco) oppure avvengono
durante le fasi di scarico a terra (loading/discharging). Quest’ultima causa è invece
progressivamente più frequente se si prendono in considerazione gli sversamenti più piccoli.
Questo aspetto è molto importante per la qualità delle acque marino-costiere abruzzesi visto che
nei porti di Pescara, Ortona e Vasto avvengono operazioni di scarico di idrocarburi.
FIG.22 Cause degli sversamenti in mare di maggiori dimensioni >700 tonnellate (interventi ITOPF)
FIG.23 Cause degli sversamenti in mare di medie dimensioni 7-700 tonnellate (interventi ITOPF)
FIG.24 Cause degli sversamenti in mare di minori dimensioni <7 tonnellate (interventi ITOPF)
FIG.25 Principali rotte e flussi di petrolio nel Mediterraneo (fonte WEBGIS ITOPF)
Il grande pubblico è a conoscenza dei rischi connessi al trasporto di idrocarburi con le navi a causa
degli incidenti che hanno coinvolto petroliere in diversi paesi mediterranei (basterà ricordare la
Haven in Liguria). Il rischio di incidente è strettamente collegato sia al volume di traffico (FIG.25)
sia ad alcune caratteristiche delle navi, come la velocità di crociera e le loro caratteristiche
strutturali. Sversamenti di grandi dimensioni sono avvenuti anche nel basso Adriatico, come
mostra la FIG.26 basata su dati dell’European Environment Agengy.
Uno studio di Savini e Corso (2008) ha studiato il traffico marittimo nell’Adriatico nel periodo 2003-
2007. Gran parte delle navi censite battevano bandiera italiana. Le altre, per ordine di
abbondanza, battevano la bandiera di Panama, Malta, Liberia, Grecia, Marshall Islands, Bahamas
Islands, Turchia, United Kingdom, Cipro, Iran, Isola di Man (per un totale di 85 bandiere diverse,
alcune delle quali inserite nella “Black List” redatta dal Paris MOU nel 2005). Sempre questo studio
ha evidenziato come nell’Adriatico passano navi con carichi pericolosi anche di medie e grandi
dimensioni (da 1000 a 88000 ton). Le navi che circolano in Adriatico sono risultate abbastanza
vecchie in quanto per le “chemical tanker” sono stati registrati ben 3 transiti di navi degli anni ‘70,
16 degli anni ’80, 44 degli anni ’90, 41 degli anni ’00. Per le “oil tanker” 3 sono i passaggi di navi
costruite negli anni ’70, 14 negli anni ’80, 36 negli anni ’90 infine 89 negli anni 2000. Si stima che
ogni giorno nell’Adriatico centrale passano 5-6 navi che trasportano sostanze pericolose,
escludendo i traghetti.
FIG.28 Possibili sversamenti di petrolio in mare in Adriatico in un mese estivo ((R.E.M.P.E.C 2007))
FIG.29 Possibili sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006)
Partendo da questi dati reali, questo prestigioso istituto scientifico ha elaborato una mappa del
rischio per l’intermo Mediterraneo da cui si evince come l’Adriatico centrale sia una delle aree a
maggior densità di perdite di petrolio (FIG.30).
FIG.30 Mappa del rischio di sversamenti di petrolio in mare in mediterraneo 1999-2004 (Tarchi 2006)
La tecnologia a servizio della prevenzione
In Adriatico sono in corso diversi progetti per elaborare modelli statistici in cui una grande mole di
dati relativi al clima, alle correnti marine, al moto ondoso, al traffico marittimo ecc viene utilizzata
contemporaneamente per elaborare mappe della vulnerabilità, del rischio, di impatto e per
implementare strategie di mitigazione in caso di effettivo sversamento. Le FIG. 31 e 32 sono
riprese da uno di questi progetti (Mosetti 2005) e mostra lo schema di lavoro e i risultati che si
ottengono.
FIG.31 Modalità di studio per la prevenzione del rischio inquinamento sulle coste e in mare
FIG.32 Modello previsionale che mostra il percorso probabile di una macchia d’olio sulla base di dati
ambientali quali l’andamento delle correnti, le condizioni climatiche ecc.
Questi modelli sono stati elaborati anche per i vari settori dell’Adriatico (Coppini et al. 2009,
FIG.33). Questi studi dimostrano l’esistenza di un rischio elevato di sversamenti nell’Adriatico
centrale e, quindi, una grande vulnerabilità per le acque marino-costiere abruzzesi (FIG.34).
FIG.33 Mappe relative al rischio standardizzato per i vari settori dell’Adriatico (da Coppini et al 2009)
Gli studi citati dimostrano la totale incompatibilità tra sfruttamento degli idrocarburi e tutela degli
acquiferi, sia, ovviamente, nelle aree destinate alla salvaguardia delle acque destinate al consumo
umano sia nelle aree in cui siano presenti corpi idrici sotterranei significativi e d'interesse, peraltro
già fortemente pregiudicati dal punto di vista della contaminazione. Ciò senza neanche dover
richiamare l'enorme dibattito aperto negli Stati Uniti circa l'uso di particolari tecniche come
l'”hydraulic fracturing” nello sfruttamento del metano che ha portato recentemente l'EPA ad avviare
un'apposita ricerca in considerazione dei fortissimi sospetti circa l’impatto di queste modalità
estrattive sulle falde. Oltre agli aspetti collegati allo sfruttamento in terraferma, è necessario
affrontare proattivamente il rischio di sversamento in mare.
Per questo riteniamo che il Piano di Tutela debba prevedere specifici divieti alle attività di ricerca e
coltivazione di idrocarburi, sia per quanto riguarda la tutela dei corpi idrici sotterranei sia per
quanto riguarda la tutela dei corsi d'acqua (prevedendo consistenti buffer area attorno al reticolo
idrografico superficiale) e, infine, per le acque marino costiere.
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WWF e Legambiente (2010) Aggiornamento dati e numeri sulla ricerca e coltivazione degli
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