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a cura di S. Voce
Riflettere sulla Natura è qualcosa di coinvolgente. Le sollecitazioni sono molteplici
tanto quanto plurime e complesse appaiono le sfaccettature. La Natura è una
“riserva naturale” di possibilità da attuare e ricreare, da sondare e interpretare, e di
cui giovarsi nel pieno rispetto della sua essenza. Da sempre l’uomo si rapporta e si
confronta con la Natura: benevola e complice, locus amoenus di svariate situazioni
poetiche, ma anche matrigna quale campeggia in pagine dense di inquietudine
in Lucrezio e Plinio il Vecchio, per giungere fino a Leopardi e Montale. Pensare la
Natura è anche il tema portante del presente volume, una miscellanea di contributi
che da diverse prospettive offrono un’analisi ampia, nuova e accattivante, frutto
di studi approfonditi e punto di arrivo di un percorso che prende le mosse da un
esperimento didattico presso i Licei dell’Emilia occidentale e si configura come
coronamento di un’esperienza nata all’insegna dello spirito di collaborazione tra la

Natura che m’ispiri


realtà universitaria (l’Ateneo di Parma) e quella scolastica. Il carattere multidiscipli-
nare dell’opera offre una lettura che spazia dall’archeologia alla papirologia, dal-
le letterature classiche a quelle moderne e contemporanee, nonché alle discipline
propriamente geografiche.

Con saggi di: Davide Astori, Mariella Bonvicini, Natura che m’ispiri
Carlo Alberto Gemignani, Giulio Iacoli, Massimo
Magnani, Fausto Pagnotta, Isotta Piazza, Nicola Alcuni percorsi letterari, linguistici,
Reggiani, Paolo Rinoldi, Gualtiero Rota, Riccardo archeologici, geografici
Villicich, Stefania Voce

a cura di Stefania Voce

€ 25,00 16
Natura che m’ispiri
Alcuni percorsi letterari, linguistici,
archeologici, geografici

a cura di Stefania Voce

PÀTRON EDITORE BOLOGNA


Copyright © 2019 by Pàtron editore – Quarto Inferiore – Bologna

ISSN 2421-2725
ISBN 9788855534505

I diritti di traduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mez-


zo sono riservati per tutti i Paesi. È vietata la riproduzione parziale, com-
presa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108,
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Prima edizione, giugno 2019

Ristampa
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Opera pubblicata con il contributo del Dipartimento di Discipline Umanistiche,


Sociali e delle Imprese Culturali dell’Università di Parma.

PÀTRON Editore – Via Badini, 12


Quarto Inferiore, 40057 Granarolo dell’Emilia (BO)
Tel. 051.767003
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Sito: www.patroneditore.com

Il catalogo generale è visibile nel sito web. Sono possibili ricerche per autore,
titolo, materia e collana. Per ogni volume è presente il sommario, per le novità
la copertina dell’opera e una breve descrizione del contenuto.

Realizzazione grafica copertina: Federica Cusato.


Stampa: Global Print srl, Gorgonzola (MI), per conto della Pàtron Editore.
NICOLA REGGIANI

PARLARE CON LA NATURA.


DAL MONOLINGUISMO AUREO PRIMORDIALE
ALLA LINGUA DEGLI UCCELLI

My great grand mother tongue was wing, or wind, or water.


Txori txiki-txikiak, orain hemen, gero han,
mogh̄nija b’gh̄erf arkan, b’muz·ga ta’ mitt elf nota
tressant des formes parfaites dans le bleu des savanes,
eta izan zen hitza. , , , ἰώτα,
del pecho a la boca, de Adán en Adán,
les mille voyelles du vent, in ever-shifting order,
lekutatik etorri, lekutara joan.
Denok dugu barruan ibai ezkutu bat,
manantial matinal, babbling hubbub of blood,
h̄amla ta’ nar u nida titkaxkar u tintradd.
Edan, erdaldunak, hau da zuen herria,
f’kull h̄amrija l-gh̄eruq, f’nifs ir-rih̄ kull z·erriegh̄a,
et avant tout vignoble ce vin du mot nomade1.

A. Cassar, Gonbidapena («invito»)

Il presente contributo intende suggerire un percorso fra le fonti


culturali del mondo ‘mediterraneo’2 alla ricerca di un fil rouge lingui-

1
 Da https://antoinecassar.wordpress.com/muzajk/gonbidapena. [«La mia lin-
gua bisnonna era ala, o vento, o acqua. / Il più piccolo degli uccelli, ora qua, ora
là, dotato di un’arcana conoscenza, / con la musica di un centinaio di migliaia di
note, intrecciando forme perfette nel blu delle savane, // e così fu il mondo. Nome,
uccello, aleph, iota, / dal petto alla bocca, da Adamo ad Adamo, / le mille vocali del
vento, in ordine sempre cangiante, / che vengono da lontano e vanno lontano. //
Dentro ciascuno di noi un fiume nascosto, / fonte di mattina, balbettante baraonda
di sangue, / torrente di fuoco e rugiada trascinata e restituita. // Bevete, stranieri,
ché questa è la vostra terra, / in ogni suolo le radici, nel respiro del vento ogni seme,
/ e davanti a ogni vigneto questo vino della parola nomade»]. Ringrazio Davide
Astori per alcuni preziosi spunti bibliografici e d’approfondimento. Le traduzioni dei
testi in altre lingue sono mie, salvo diversamente indicato.
2
 Intendo qui ‘mediterraneo’ nella sua accezione più ampia, comprendente
quel bacino culturale che fu – ed è tuttora – di riferimento per lo sviluppo della
civiltà mediterranea: incluso, dunque, il mondo del Vicino Oriente.
134 Nicola Reggiani

stico che individua nella possibilità di comunicare armonicamente


con una ‘Natura’ più o meno divinizzata un dato fondante dell’Età
dell’Oro, la mitica fase iniziale della storia umana3, e nella perdita di
questa utopistica possibilità4 il passaggio a stadi evolutivi ‘inferiori’.
Per la cultura occidentale, e ancora nel nostro inconscio collettivo,
il mito fondante e archetipico di una comunicazione ‘cosmica’ origina-
le e della sua caduta è naturalmente il racconto biblico della Torre di
Babele in Gn. XI, che delinea una fase iniziale di monolinguismo uni-
versale in cui tutti gli uomini parlano una sola lingua, e un successivo
momento di sottrazione di questa facoltà5:

3
  Cfr. B. Gatz, Weltalter, Goldene Zeit und sinnverwandte Vorstellungen, Hildes-
heim, Olms, 1967; M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, 1. Dall’età
della pietra ai Misteri Eleusini, Firenze, Sansoni, 1999, p. 279, con ulteriore biblio-
grafia (Histoire des croyances et des idées réligieuses, Paris, Payot, 1975).
4
 Sul concetto di ‘utopia’ e la sua relazione con l’Età dell’Oro cfr. R. Lauriola,
The Greeks and the Utopia: An Overview through Ancient Greek Literature, «Revista
Espaço Acadêmico», a. XCVII (2009), pp. 109-124: p. 109: «The ideal of a perfect
life characterized by harmony both among men and between men and nature, apart
from evil and sickness, immune to old age and even to death, a world so perfect that
does not exist and/or could not, in the end, be realized: these ideals are widespread
in almost all of the world cultures, and they constantly appear through times since the
beginning of human history. When the present life does not satisfy one’s expectations,
when the present conditions seem to worsen more and more, it is common to dream
of another life and of another world that are not simply ‘other’ than the present, but
also – and foremost – a perfection of the present. This ‘other’ and ‘perfect’ life is usually
located in a different time and/or different place. As to time, the model of a happy and
perfect life is usually projected to the primordial phase of human existence, the so-
called “Golden Age”, such an age that may be nostalgically recalled with and without
the auspicious feeling of its rebirth. As to place, the same model is usually located in a
distant, unknown – or completely imaginary – area, often at the borders of the known
world. The huge distance in terms of location between the unsatisfying real world and
the ‘other’ world tends to confer fantastic traits to the latter, or, still better, traits of
which one can just dream in the present, unsatisfying world». In generale, sulle utopie
nel mondo classico cfr. H.C. Baldry, Ancient Utopias, Southampton, University of
Southampton, 1956; J. Ferguson, Utopias of the Classical World, London, Thames &
Hudson, 1975; L. Bertelli, L’utopia greca, in Storia delle idee economiche, politiche e
sociali, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1982, vol. I, pp. 463-581; L. Bertelli, Genesi
e vicenda dell’utopia greca, in Utopia e distopia, a cura di A. Colombo, Milano, Franco
Angeli, 1987, pp. 221-252; C. Carsana, M. T. Schettino, Utopia e utopie nel pensiero
storico antico, a cura di C.C., M.T. S., Roma, “L’Erma” di Bretschneider, 2008.
5
  Cfr. F. Staal, Oriental Ideas on the Origin of Language, «Journal of the Ameri-
can Oriental Society», a. XCIX (1979), pp. 1-14: 5-6; U. Eco, La ricerca della lingua
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 135

[1] Ora l’intera Terra presentava una sola lingua e parole uniformi.
[4] Ed essi dissero: «Orsù, costruiamoci una città e una torre che
raggiunga con la cima il cielo, e diamoci un nome, affinché non ci di-
sperdiamo sull’intera Terra».
[5] E il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli dell’uo-
mo avevano costruito.
[6] E il Signore disse: «Ecco! Sono un popolo solo, e hanno tutti un
solo linguaggio, e questo è ciò che hanno iniziato a fare. Ora, non gli
sarà sottratto ciò che hanno pianificato?»
[7] «Orsù, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio, così che
ognuno non comprenderà più la lingua del suo compagno!»
[8] E il Signore li disperse sull’intera Terra, ed essi smisero di costru-
ire la città.

Tre ulteriori informazioni sono implicite nel passaggio riportato: (1)


la lingua unica universale esiste in parallelo, o in sovrapposizione, ad
una differenziazione linguistica immanente e intrinseca6, tra i diversi
linguaggi delle popolazioni umane così come si erano diversificate a
partire dai figli di Noè, dopo il Diluvio universale (che è, nella cronologia
biblica, precedente a Babele)7; (2) tale lingua unica universale permet-
te all’uomo di comunicare con Dio, trattandosi essenzialmente della

perfetta nella cultura europea, Roma, Bari, Laterza, 2006 (prima ed. 1993), pp. 13-
16; Eliade, Storia delle credenze, op. cit., pp. 189-190. Sulla formazione del rac-
conto biblico cfr. K. Seybold, Der Turmbau zu Babel. Zur Entstehung von Genesis
XI 1-9, «Vetus Testamentum», a. XXVI (1976), pp. 453-479; C. Rose, Nochmals: Der
Turmbau zu Babel, «Vetus Testamentum», a. LIV (2004), pp. 223-238.
6
  La percezione di un intrinseco multilinguismo del mondo, nel quale ogni po-
polazione si identificava nel proprio idioma, è una costante del pensiero linguistico
antico. Sul multilinguismo nel mondo antico cfr. D. Astori, Multilinguismo e tradu-
zioni nel Mediterraneo antico, in Multilinguismo e società 2010, a cura di D. A., Pisa,
Edistudio, 2011, pp. 51-58; A. Bernini, N. Reggiani, Le vie del multilinguismo nel
mondo antico: il caso dell’Egitto greco-romano, in Multilinguismo e Società 2011, a
cura di D. Astori, Pisa, Edistudio, 2012, pp. 47-65.
7
  Gn. X 5: «Da costoro (sc. i figli di Noè) derivarono le nazioni disperse per le
isole nei loro territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro fami-
glie, nelle loro nazioni. [Tali furono i figli di Iafet]. [10,20] Questi furono i figli di Cam
secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori e nei loro popoli. [10,31]
Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori,
secondo i loro popoli». Cfr. Eco, La ricerca della lingua perfetta, op. cit., pp. 15-16.
Eliade, Storia delle credenze, op. cit., p. 189, riconosce che l’umanità post-diluvia-
na è ancora interessata dal monolinguismo aureo: «[i] figli di Noè divennero i pro-
genitori di una nuova umanità, allorché tutto il mondo parlava la medesima lingua».
136 Nicola Reggiani

stessa lingua sacra parlata da Adamo che, fin dall’Eden, conversa con
Yahweh8; (3) essa permette all’uomo anche di entrare in sintonia con
gli altri elementi della Natura, in primis gli animali, come appunto face-
vano Adamo ed Eva prima della cacciata9.
I primi due punti sono esplicitati nell’archetipo vicino-orientale di
Babele, il mito sumerico registrato nel cosiddetto ‘Incantesimo di Nu-
dimmud’, un passaggio dell’epica di Enmerkar e il Signore di Aratta (vv.
136-55) risalente al IV/III millennio a.C., in cui il ricordo del monolingui-
smo aureo delle origini si fa struggente auspicio di un suo eventuale
recupero10, con evidenti vantaggi pratici11:

8
  Gn. II 19-20. Rashi (vd. sotto) commenta Gn. XI 1 («una sola lingua») con: «La
Lingua Sacra». Cfr. A. Bausani, Le lingue inventate. Linguaggi artificiali, linguaggi
segreti, linguaggi universali, Roma, Ubaldini, 1974, pp. 78-79; Eco, La ricerca della
lingua perfetta, op. cit., pp. 13-15. Nell’ottica giudaica la lingua universale sovra-
nazionale è, naturalmente, l’ebraico: cfr. D. Levine Gera, Ancient Greek Ideas on
Speech, Language, and Civilization, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 21.
9
  Cfr. F. Gualandri, Il silbo, la lingua degli uccelli e le tradizioni iniziatiche: percorsi
culturali scritti nel vento, «Interlingvistikaj Kajeroj», a. II, 1 (2011), pp. 72-93: 76.
10
  Il passo, strutturato come un inno al dio Enki (Nudimmud, “Padre dell’uma-
nità”, è un suo attributo), è di difficile interpretazione: potrebbe essere il ricordo let-
terario di un passato ideale e/o il desiderio del suo recupero. I primi studi in merito
sono quelli di S. N. Kramer, Man’s Golden Age: A Sumerian Parallel to Genesis XI,
1, «Journal of the American Oriental Society», a. LXIII (1943), pp. 191-194, e del me-
desimo S. N. Kramer, The “Babel of Tongues”: A Sumerian Version, «Journal of the
American Oriental Society», a. LXXXVIII (1968), pp. 108-111. In sèguito J. van Dijk, La
“confusion des langues”. Note sur le lexique et sur la morphologie d’Enmerkar, 147-
155, «Orientalia», a. XXXIX (1970), pp. 30-310; D. I. Block, The Role of Language in
Ancient Israelite Perceptions of National Identity, «Journal of Biblical Literature», a.
CIII (1984), pp. 321-340: 334-337; T. Jacobsen, The Spell of Nudimmud, in Sha’arei
Talmon. Studies Presented to Shemarjahu Talmon, a cura di M. Fishbane, E. Tov,
Winona Lake, Eisenbrauns, 1992, pp. 403-416; H. Vanstiphout, Another Attempt at
the “Spell of Nudimmud”, «Revue d’Assyriologie», a. LXXXVIII (1994), pp. 135-154;
J. Klein, The Origin and Development of Languages on Earth: The Sumerian versus
the Biblical View, in Tehillah le-Moshe. Biblical and Judaic Studies in Honor of Moshe
Greenberg, M. Cogan, B.L. Eichler, J.H. Tigay eds., Winona Lake, Eisenbrauns, 1997,
pp. 77-92 (ebraico, con abstract inglese a p. 319); J. Klein, The So-Called “Spell of
Nudimmud” (ELA 134-155): A Re-examination, in: Studi sul Vicino Oriente Antico
dedicati alla memoria di Luigi Cagni, a cura di S. Graziani, Napoli, Istituto Universitario
Orientale, 2000, pp. 563-584; C. Mittermayer, Enmerkara und der Herr von Arata. Ein
ungleicher Wettstreit, Freiburg, Academic Press, 2009.
11
 L’epos è incentrato sui rapporti commerciali fra il re di Uruk, Enmerkar, e il
sovrano del lontano paese di Aratta, sicché le ricadute positive di un’efficace co-
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 137

Un giorno non vi saranno serpenti, né scorpioni, non vi saranno iene,


né leoni, non vi saranno né cani selvatici né lupi, e così non vi saranno
paure né timori, perché l’uomo non avrà nemici. Quel giorno le terre di
Shubar e di Hamazi, così come la bilingue Sumer, grande montagna del
potere della regalità, insieme ad Akkad, la montagna che possiede tutto
ciò che le è adatto, e anche la terra di Martu, che poggia su pascoli
verdi, sì, l’intero mondo dei popoli ben governati, sarà capace di par-
lare a Enlil in una sola lingua! Perché quel giorno, per le discussioni fra
signori e prìncipi e re, Enki […], Signore dell’abbondanza, Signore delle
salde decisioni, Signore della sapienza e della conoscenza sulla Terra,
esperto degli dèi, eletto per la saggezza, Signore di Eridu, cambierà le
lingue nelle loro bocche, tante quante un giorno vi collocò, e la parlata
dell’umanità sarà davvero solo una!

Le parole dell’inno evocano l’Età dell’Oro – il tempo felice, privo di


pericoli e paure – cristallizzata nel dato linguistico, in cui a un multi-
linguismo di fondo (la ‘bilingue Sumer’, le ‘lingue’ degli uomini) si so-
vrappone l’unica lingua di origine divina (è creata da Enki, il dio della
sapienza) che permette di comunicare con gli dèi (Enlil, la divinità su-
prema del pantheon sumerico). Il terzo punto ricordato sopra come
implicito nel mito babelico – il fatto che la lingua unica primordiale per-
mette all’uomo di parlare con gli elementi naturali – è sottinteso anche
nel brano sumerico, sebbene emerga evidente la percezione di una
comunione di fondo tra uomini e animali, nella descrizione dell’assenza
di bestie feroci e pericolose; esso viene invece esplicitamente valo-
rizzato nella ripresa greco-romana del mito dell’Età dell’Oro, di chiara
ascendenza vicino-orientale12. Così, ad esempio, la condizione aurea

municazione interlinguistica sul piano economico risultano evidenti: cfr. N. Reggiani,


Rovesciare la lingua: interpreti e traduttori nell’Egitto antico, in Produrre “quasi” lo
stesso effetto. Quindici percorsi nei boschi traduttivi, a cura di D. Astori, Parma,
Bottega del Libro, 2013, pp. 123-146: 124-125.
12
  Si veda il racconto nelle Fabulae di Igino: homines ante saecula multa sine
oppidis legibusque uitam exegerunt, una lingua loquentes, sub Iouis imperio, sed
postquam Mercurius sermones hominum interpretatus est, unde ἑρμενευτήϲ dicitur
[esse] interpres (Mercurius enim Graece Ἑρμῆϲ uocatur; idem nationes distribuit),
tum discordia inter mortales esse coepit, quod Ioui placitum non est [«Gli uomini,
molti secoli fa, vivevano senza città e senza leggi, parlando una sola lingua (lingua),
sotto il regno di Giove; ma dopo che Mercurio ebbe interpretato/tradotto i discor-
si degli uomini, da cui l’interprete è detto ἑρμενευτήϲ (Mercurio infatti è chiamato
Ἑρμῆϲ in greco; lui stesso distribuì le nazioni), allora iniziò ad esservi discordia fra i
mortali, cosa che non piacque a Giove»] (Igino fab. CXLIII, 2). Su Hermes distributo-
138 Nicola Reggiani

delle origini è descritta in rapide pennellate dal favolista Babrio (II/III


secolo d.C.), che nella prefazione ai suoi giambi esopici la inquadra nel
mito, già esiodeo, delle cinque razze13:

ἐπὶ τῆϲ δὲ χρυϲῆϲ καὶ τὰ λοιπὰ τῶν ζῴων


φωνὴν ἔναρθρον εἶχε καὶ λόγουϲ ᾔδει
οἵουϲ περ ἡμεῖϲ μυθέομεν πρὸϲ ἀλλήλουϲ,
ἀγοραὶ δὲ τούτων ἦϲαν ἐν μέϲαιϲ ὕλαιϲ.
ἐλάλει δὲ πεύκη καὶ τὰ φύλλα τῆϲ δάφνηϲ,
καὶ πλωτὸϲ ἰχθὺϲ ϲυνελάλει φίλῳ ναύτῃ,
ϲτρουθοὶ δὲ ϲυνετὰ πρὸϲ γεωργὸν ὡμίλουν.
ἐφύετ’ ἐκ γῆϲ πάντα μηδὲν αἰτούϲηϲ,
θνητῶν δ’ ὑπῆρχε καὶ θεῶν ἑταιρείη.

Ma fu l’età dell’oro quando tutti gli animali avevano una voce artico-
lata e potevano parlare, e tenevano assemblee nel mezzo delle foreste.

re di lingue e sul problema traduttivo del verbo interpretor si rimanda a N. Reggiani,


Rovesciare la lingua, op. cit., pp. 137-138. Cfr. M. Bettini, Vertere. Un’antropologia
della traduzione nella cultura antica, Torino, Einaudi, 2012, pp. 135-136. Su Hermes
inventore del linguaggio cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 113-
118, e vd. sotto.
13
 Cfr. F. E. Manuel, F. P. Manuel, Utopian Thought in the Western World,
Cambridge (MA), Harvard University Press, 1979, pp. 66-70 (nelle pagine seguenti,
le elaborazioni successive del mito esiodeo). Il mito delle razze, di cui J.-P. Vernant,
Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Torino, Einaudi, 2001, pp.
15-90 (Mythe et pensée chez les Grecs. Études de psychologie historique, Paris,
Maspero, 1965) ha dato un’imprescindibile interpretazione strutturale, contempla
il succedersi cronologico di una serie di cinque età in progressivo decadimento
sociale e culturale. Nell’esposizione di Erga 106-201 non si fa esplicita menzione
dell’eventuale monolinguismo aureo della prima fase, ma la tematica linguistica
permane in sottofondo (cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 46-
49). Gli uomini dell’Età dell’Oro sono detti vivere ὥϲτε θεοί (v. 112) «come dèi», il che
verosimilmente implica una comunione anche linguistica (cfr. Levine Gera, Greek
Ideas on Speech, op. cit., p. 58, e vd. anche il v. 108 ὡϲ ὁμόθεν γεγάαϲι θεοὶ θνητοί
τ’ ἄνθρωποι «origine comune avevano i mortali e gli dèi», su cui cfr. Vernant, Mito
e pensiero, op. cit., p. 81) almeno fino al banchetto di Mecone (Th. 535 ss.), che
segna il distacco definitivo degli uomini dagli dèi, con la creazione da parte di questi
ultimi di Pandora, la quale – avendole Hermes insufflato la «voce» – «brings a more
opaque and deceptive human language» (Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op.
cit., p. 66; cfr. ivi, p. 56), configurandosi come una vera e propria ‘Babele’ che pone
fine all’aureo monolinguismo delle origini. Su Hermes e le origini del linguaggio
umano vd. sopra e sotto.
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 139

Le lingue delle rocce e delle foglie erano libere; alla nave e al marinaio
parlava il mare; i passeri tenevano arguti colloqui coi contadini; la terra
produceva ogni frutto senza richiedere sforzi. I mortali e gli dèi erano
adusi a mischiarsi come amici (Babrio I 5-13).

Alle consuete coordinate felici dell’Età dell’Oro – la terra che pro-


duce i frutti senza richiedere lavoro e fatica – si affianca l’immagine di
una intercomprensibilità cosmica14, un grande dialogo universale cui
prendono parte gli elementi naturali, gli animali, gli uomini e gli dèi15.
In modo più articolato e filosofico Platone introduce gli stessi temi
nel Politico, in quel mito di Kronos che viene narrato a Socrate dallo
Straniero di Elea nel tentativo di tracciare i connotati dell’arte politi-
ca16:

ἄλλα θ’ ὅϲα τῆϲ τοιαύτηϲ ἐϲτὶ κατακοϲμήϲεωϲ ἑπόμενα, μυρία ἂν εἴη λέγειν.
τὸ δ’ οὖν τῶν ἀνθρώπων λεχθὲν αὐτομάτου πέρι βίου διὰ τὸ τοιόνδε εἴρηται. […]
ἐκ γῆϲ γὰρ ἀνεβιώϲκοντο πάντεϲ, οὐδὲν μεμνημένοι τῶν πρόϲθεν· ἀλλὰ τὰ μὲν
τοιαῦτα ἀπῆν πάντα, καρποὺϲ δὲ ἀφθόνουϲ εἶχον ἀπό τε δένδρων καὶ πολλῆϲ
ὕληϲ ἄλληϲ, οὐχ ὑπὸ γεωργίαϲ φυομένουϲ, ἀλλ’ αὐτομάτηϲ ἀναδιδούϲηϲ τῆϲ
γῆϲ. γυμνοὶ δὲ καὶ ἄϲτρωτοι θυραυλοῦντεϲ τὰ πολλὰ ἐνέμοντο· τὸ γὰρ τῶν
ὡρῶν αὐτοῖϲ ἄλυπον ἐκέκρατο, μαλακὰϲ δὲ εὐνὰϲ εἶχον ἀναφυομένηϲ ἐκ γῆϲ
πόαϲ ἀφθόνου. τὸν δὴ βίον, ὦ ϲώκρατεϲ, ἀκούειϲ μὲν τὸν τῶν ἐπὶ Κρόνου·
τόνδε δ’ ὃν λόγοϲ ἐπὶ Διὸϲ εἶναι, τὸν νυνί, παρὼν αὐτὸϲ ᾔϲθηϲαι […] εἰ μὲν
τοίνυν οἱ τρόφιμοι τοῦ Κρόνου, παρούϲηϲ αὐτοῖϲ οὕτω πολλῆϲ ϲχολῆϲ καὶ
δυνάμεωϲ πρὸϲ τὸ μὴ μόνον ἀνθρώποιϲ ἀλλὰ καὶ θηρίοιϲ διὰ λόγων δύναϲθαι
ϲυγγίγνεϲθαι, κατεχρῶντο τούτοιϲ ϲύμπαϲιν ἐπὶ φιλοϲοφίαν, μετά τε θηρίων
καὶ μετ’ ἀλλήλων ὁμιλοῦντεϲ […] εἰ δ’ ἐμπιμπλάμενοι ϲίτων ἅδην καὶ ποτῶν
διελέγοντο πρὸϲ ἀλλήλουϲ καὶ τὰ θηρία [μύθουϲ] οἷα δὴ καὶ τὰ νῦν περὶ αὐτῶν
λέγονται […] (Platone Plt. 271e-272c).

14
  Sul monolinguismo aureo in Babrio cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech,
op. cit., pp. 19-22.
15
 Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 58 («When animals are
able to communicate with men in the idyllic age of Kronos, apparently using the
same language, this not only points to the harmony prevailing between the two
groups, but also indicates that beasts and men are perceived as being essentially
alike») e 59 («A common tongue with animals points towards a higher joint form of
civilization»).
16
 Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 22-23; Platone, Politi-
co, a cura di G. Giorgini, Milano, BUR, 2005, pp. 96-108, con ulteriore bibliografia.
140 Nicola Reggiani

Ma vi sarebbe molto altro da dire riguardo a quel che segue a tale


assetto dell’universo. Quanto si dice degli uomini e della loro vita in
cui tutto si generava spontaneamente, si è detto per questo motivo.
[…] Tutti ritornavano in vita dalla terra, e non vi era alcun ricordo della
situazione precedente: questi beni allora mancavano, però avevano
abbondanza di frutti dagli alberi e di molta altra vegetazione, sen-
za esser generati mediante l’agricoltura, ma offerti spontaneamente
dalla terra. Nudi e senza coperte vivevano trascorrendo la maggior
parte del tempo all’aria aperta: le stagioni erano temperate perché
non provassero dolore, e avevano confortevoli letti costituiti dall’erba
abbondante che cresceva di continuo dalla terra. La vita di cui stai
ascoltando il racconto, Socrate, è quella di coloro che vissero al tem-
po di Crono: questa di adesso, invece, che il discorso indica come
del tempo di Zeus, tu stesso la stai sperimentando di persona. […] Se
allora coloro che furono allevati da Crono, avendo essi molto tempo a
disposizione e la possibilità di poter incontrarsi e discorrere non solo
con gli uomini, ma anche con le bestie, si servivano di tutte queste
circostanze favorevoli per la filosofia, conversando con gli animali e
fra loro […]: ma se riempiendosi a sazietà di cibo e di bevande con-
versavano fra loro e con gli animali […]

Se il contesto cosmico che fa da sfondo all’ampio racconto del-


lo Straniero di Elea ci conferma la matrice vicino-orientale di questa
concezione dell’Età dell’Oro17, l’idea che alle gioie, spensieratezze e

17
  Il mito di Kronos, nel Politico, si fonda su un’idea di cicli cosmici (cfr. Vernant,
Mito e pensiero, op. cit., pp. 19-20 e 84) associati a devastazioni universali che
ritroviamo anche nei commenti tradizionali ebraici al racconto di Babele, e che
risale in ultima analisi a quel complesso cosmologico magistralmente indagato
ormai cinquant’anni fa da Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend (ora in
edizione aggiornata: G. de Santillana, H. von Dechend, Il Mulino di Amleto. Saggio
sul mito e sulla struttura del tempo, Milano, Adelphi, 2003). Sono le parole di
Rabbi Solomon ben Isaac (1040-1106), meglio noto col suo acronimo Rashi, il
più influente commentatore ebreo della Bibbia nel Medioevo (cfr. E. Shershevsky,
Rashi: The Man and His World, New York, Sefer-Hermon, 1982; A. Grossman,
Rashi: R. Shelomoh Yitsh. ak. i, Gerusalemme, Merkaz Zalman Shazar le-toldot
Yiśra’el, 2006), ad Gen.11,1 («essi dissero “Una volta ogni 1.656 anni il cielo
vacilla, come fece al tempo del Diluvio. Andiamo a costruire dei supporti per
esso!”»; cfr. Rashi di Troyes, Commento alla Genesi, a cura di L. Cattani, Casale
Monferrato, Marietti, 1985, pp. 79-82) a formare quasi un basso continuo per la
visione platonica: τὸ γὰρ πᾶν τόδε τοτὲ μὲν αὐτὸϲ ὁ θεὸϲ ϲυμποδηγεῖ πορευόμενον καὶ
ϲυγκυκλεῖ, τοτὲ δὲ ἀνῆκεν, ὅταν αἱ περίοδοι τοῦ προϲήκοντοϲ αὐτῷ μέτρον εἰλήφωϲιν ἤδη
χρόνου, τὸ δὲ πάλιν αὐτόματον εἰϲ τἀναντία περιάγεται, ζῷον ὂν καὶ φρόνηϲιν εἰληχὸϲ
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 141

libertà delle origini si accompagnasse una intercomunicabilità univer-


sale appare ben recepita dal pensiero ellenico18, visto che la ritroviamo

ἐκ τοῦ ϲυναρμόϲαντοϲ αὐτὸ κατ’ ἀρχάϲ. […] φθοραὶ τοίνυν ἐξ ἀνάγκηϲ τότε μέγιϲται
ϲυμβαίνουϲι τῶν τε ἄλλων ζῴων, καὶ δὴ καὶ τὸ τῶν ἀνθρώπων γένοϲ ὀλίγον τι περιλείπεται·
περὶ δὲ τούτουϲ ἄλλα τε παθήματα πολλὰ καὶ θαυμαϲτὰ καὶ καινὰ ϲυμπίπτει, μέγιϲτον δὲ
τόδε καὶ ϲυνεπόμενον τῇ τοῦ παντὸϲ ἀνειλίξει τότε, ὅταν ἡ τῆϲ νῦν καθεϲτηκυίαϲ ἐναντία
γίγνηται τροπή. […] τότε γὰρ αὐτῆϲ πρῶτον τῆϲ κυκλήϲεωϲ ἦρχεν ἐπιμελούμενοϲ ὅληϲ
ὁ θεόϲ, ὣϲ δ’ αὖ κατὰ τόπουϲ ταὐτὸν τοῦτο, ὑπὸ θεῶν ἀρχόντων πάντ’ ἦν τὰ τοῦ κόϲμου
μέρη διειλημμένα· καὶ δὴ καὶ τὰ ζῷα κατὰ γένη καὶ ἀγέλαϲ οἷον νομῆϲ θεῖοι διειλήφεϲαν
δαίμονεϲ, αὐτάρκηϲ εἰϲ πάντα ἕκαϲτοϲ ἑκάϲτοιϲ ὢν οἷϲ αὐτὸϲ ἔνεμεν, ὥϲτε οὔτ’ ἄγριον
ἦν οὐδὲν οὔτε ἀλλήλων ἐδωδαί, πόλεμόϲ τε οὐκ ἐνῆν οὐδὲ ϲτάϲιϲ τὸ παράπαν (Platone
Plt. 269c ss.) [«Questo universo ora è lo stesso dio che lo guida insieme nel
cammino e lo segue nei suoi movimenti, ora lo lascia andare, quando i movimenti
circolari dell’andata abbiano ormai raggiunto il limite di tempo prestabilito, e di
nuovo, muovendosi spontaneamente, volge la sua orbita dalla parte opposta,
poiché è un essere vivente che ha ottenuto in sorte un’intelligenza per opera di
colui che lo ha costituito in principio. […] Necessariamente avvengono dunque
in quell’occasione gli stermini più grandi degli altri animali, e anche il genere
degli uomini sopravvive in piccola parte: riguardo a costoro avvengono altri
patimenti, numerosi, incredibili e inaspettati, ma questo è il più importante e che si
accompagna al rivolgimento dell’universo, allorquando avviene il mutamento della
direzione nel senso opposto a quello attuale. […] Allora il dio guidava innanzitutto
la stessa rotazione, prendendosene totalmente cura, e – cosa che avviene allo
stesso modo anche adesso in alcuni luoghi – tutte le parti del cosmo venivano
ripartite dagli dèi che le governavano: e dei demoni divini come fossero pastori
avevano ripartito anche gli animali viventi secondo i generi e i gruppi, e ciascuno
bastava in tutto a ciascun gruppo essendo esso stesso pastore, sicché non vi era
nessun essere selvatico e nessuno procurava cibo all’altro, e non esisteva affatto
guerra né rivolta»]. Non sarà pertanto un caso se, nella tradizione confluita in Igino
(vd. sopra), è Hermes, il Distributore cosmico per eccellenza (cfr. N. Reggiani,
Rethinking Hermes: Cosmic Justice and Proportional Distributions, in Tracking
Hermes and Mercury, J. F. Miller, J. Strauss Clay eds., Oxford, Oxford University
Press, in corso di stampa), a operare la differenziazione delle lingue e in qualche
modo la perdita del monolinguismo aureo (su Hermes vd. anche sopra). Sul mito
dell’Età dell’Oro in un contesto cosmologico si veda più recentemente J. Godwin,
Il mito polare. L’archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo,
Roma, Edizioni Mediterranee, 2001, part. pp. 13-19 (Arktos. The Polar Myth in
Science, Symbolism, and Nazi Survival, London, Thames & Hudson, 1993).
18
  L’armonia linguistica delle origini fra animali, uomini e dèi, così come narrata
nel Politico, sembra a sua volta ispirata a Platone da Empedocle, che in una fanto-
matica ‘Età di Afrodite’ ambienta una comunione fra uomo e Natura (31B128 e 130
142 Nicola Reggiani

ancora non solo in Platone, nel Cratilo19, ma anche nel pensiero stoico20
e – con specifico focus sulla comunicazione fra gli animali – nella cul-
tura alessandrina rappresentata da Filone e Callimaco21, nonché nella
costruzione delle utopie esotiche22 quale quella, attribuita a Iambulo
(un presunto mercante e viaggiatore erudito del III/I secolo a.C.), dell’I-
sola del Sole, così descritta da Diodoro Siculo23:

D.-K.) che, sia pure implicitamente, sembra suggerire anche il dato linguistico: cfr.
Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., p. 62.
19
  La lingua degli dèi e la sua progressiva decadenza: Cra. 391d2-e3, 397b-c,
400d6-9, 418b-419b, 434c-d, 435c, 438c. Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech,
op. cit., pp. 24-25.
20
 Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 25-26.
21
  Filone d’Alessandria (405,6-406,8 Cohn-Wendland) racconta il mito di un lin-
guaggio comune parlato dagli animali alle origini, e successivamente perduto nella
scomposizione in idiomi dialettali a causa della loro hybris; Callimaco, nel secondo
giambo (fr. 192 Pfeiffer, conservato lacunoso da P. Oxy. 1011 e riassunto in Dieg.
VI 22-32), narra una storia molto simile, in cui la punizione per gli animali consiste
nella sottrazione da parte di Zeus della lingua comune, che viene data all’uomo. Cfr.
Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 31-32.
22
  Per altre utopie esotiche nel mondo ellenistico cfr. Ferguson, Utopias, op.
cit., pp. 122-129; Manuel, Manuel, Utopian Thought, op. cit., pp. 81-92; Bertelli,
Genesi e vicenda, op. cit., pp. 239-243; L. Bertelli, L’Utopia greca nell’Età elleni-
stica tra realtà e immaginazione, in Res Publica Litterarum. Documentos de tra-
bajo del Grupo de Investigación ‘Nomos’. Suplemento Monográfico Utopía 2006, a
cura di F. Lisi, M. A. Ramiro, Madrid, “Lucio Anneo Séneca” (Instituto de Estudios
Clásicos sobre la Sociedad y la Política), 2006, cap. 4 (https://e-archivo.uc3m.es/
handle/10016/472).
23
 Iambulo è citato in VH I 3 di Luciano di Samosata come autore di molte
cose sorprendenti sull’Oceano Atlantico, ovviamente non vere, ma non per que-
sto meno piacevoli, cfr. H.J. Rose, The Date of Iambulos, «Classical Quarterly»,
a. XXXIII (1939), pp. 9-10; Ferguson, Utopias, op. cit., pp. 124-129; D. Winston,
Iambulus’s Island of the Sun and Hellenistic Literary Utopias, «Science Fiction Stu-
dies», a. III (1976), pp. 219-227; Manuel, Manuel, Utopian Thought, op. cit., pp.
86-87; Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 33-35; Bertelli, L’Utopia
greca nell’Età ellenistica, op. cit., pp. 11-13; M. S. Fernandez Robbio, La travesía de
Yambulo por las Islas del Sol (D.S., II.55-60). Introducción a su estudio, traducción y
notas, «MORUS – Utopia e Renascimento», a. VII (2010), pp. 27-41; D. Clay, In the
Wake of Atlantis. The Continuators of Plato’s Atlantikos Logos from Theopompos
to Plutarch, in Harmonia. Scritti di filologia classica in onore di Angelo Casanova,
a cura di G. Bastianini, W. Lapini, M. Tulli, Firenze, Firenze University Press, 2012,
pp. 233-248: 242-244; P. von Möllendorff, Stoics in the Ocean: Iambulus’ Novel as
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 143

περὶ δὲ τῆϲ κατὰ τὸν ὠκεανὸν εὑρεθείϲηϲ νήϲου κατὰ τὴν μεϲημβρίαν
καὶ τῶν κατ᾽ αὐτὴν παραδοξολογουμένων πειραϲόμεθα ϲυντόμωϲ διελθεῖν,
προεκθέμενοι τὰϲ αἰτίαϲ τῆϲ εὑρέϲεωϲ ἀκριβῶϲ. […]εἶναι δὲ τοὺϲ τὴν νῆϲον
οἰκοῦνταϲ ταῖϲ τε τῶν ϲωμάτων ἰδιότηϲι καὶ ταῖϲ ἀγωγαῖϲ πολὺ διαλλάττονταϲ
τῶν κατὰ τὴν ἡμετέραν οἰκουμένην: πάνταϲ μὲν γὰρ παραπληϲίουϲ εἶναι
τοῖϲ ἀναπλάϲμαϲι τῶν ϲωμάτων, καὶ κατὰ τὸ μέγεθοϲ ὑπεράγειν τοὺϲ
τέτταραϲ πήχειϲ, τὰ δὲ ὀϲτᾶ τοῦ ϲώματοϲ ἔχειν ἐπὶ ποϲὸν καμπτόμενα καὶ
πάλιν ἀποκαθιϲτάμενα παραπληϲίωϲ τοῖϲ νευρώδεϲι τόποιϲ. εἶναι δὲ τοῖϲ
ϲώμαϲιν ἁπαλοὺϲ μὲν καθ᾽ ὑπερβολήν, εὐτονωτέρουϲ δὲ πολὺ τῶν παρ᾽
ἡμῖν: δραξαμένων γὰρ αὐτῶν ταῖϲ χερϲὶν ὁδηποτοῦν μηδένα δύναϲθαι τὸ τοῖϲ
δακτύλοιϲ περιληφθὲν ἐκτρέψαι. τρίχαϲ δ᾽ ἁπλῶϲ μηδαμῇ τοῦ ϲώματοϲ ἔχειν
πλὴν ἐν τῇ κεφαλῇ καὶ ὀφρύϲι καὶ βλεφάροιϲ, ἔτι δὲ καὶ πώγωνι, τὰ δὲ ἄλλα
μέρη τοῦ ϲώματοϲ οὕτω λεῖα ὥϲτε μηδὲ τὸν ἐλάχιϲτον χνοῦν ἐν τῷ ϲώματι
φαίνεϲθαι. εἶναι δὲ καὶ τῷ κάλλει διαπρεπεῖϲ καὶ ταῖϲ ἄλλαιϲ περιγραφαῖϲ τοῦ
ϲώματοϲ εὐρύθμουϲ. καὶ τὰ μὲν τῆϲ ἀκοῆϲ τρήματα πολὺ τῶν παρ᾽ ἡμῖν ἔχειν
εὐρυχωρέϲτερα, καὶ καθάπερ ἐπιγλωττίδαϲ αὐτοῖϲ ἐκπεφυκέναι. ἴδιον δέ τι καὶ
περὶ τὴν γλῶτταν αὐτοὺϲ ἔχειν, τὸ μὲν φυϲικῶϲ αὐτοῖϲ ϲυγγεγενημένον, τὸ
δ᾽ ἐξ ἐπινοίαϲ φιλοτεχνούμενον: δίπτυχον μὲν γὰρ αὐτοὺϲ ἔχειν τὴν γλῶτταν
ἐπὶ ποϲόν, τὰ δ᾽ ἐνδοτέρω προϲδιαιρεῖν, ὥϲτε διπλῆν αὐτὴν γίνεϲθαι μέχρι
τῆϲ ῥίζηϲ. διὸ καὶ ποικιλωτάτουϲ αὐτοὺϲ εἶναι καὶ ταῖϲ φωναῖϲ οὐ μόνον
πᾶϲαν ἀνθρωπίνην καὶ διηρθρωμένην διάλεκτον μιμουμένουϲ, ἀλλὰ καὶ τὰϲ
τῶν ὀρνέων πολυφωνίαϲ, καὶ καθόλου πᾶϲαν ἤχου ἰδιότητα προΐεϲθαι: τὸ δὲ
πάντων παραδοξότατον, ἅμα πρὸϲ δύο τῶν ἐντυγχανόντων λαλεῖν ἐντελῶϲ,
ἀποκρινομένουϲ τε καὶ ταῖϲ ὑποκειμέναιϲ περιϲτάϲεϲιν οἰκείωϲ ὁμιλοῦνταϲ:
τῇ μὲν γὰρ ἑτέρᾳ πτυχὶ πρὸϲ τὸν ἕνα, τῇ δ᾽ ἄλλῃ πάλιν ὁμοίωϲ πρὸϲ τὸν ἕτερον
διαλέγεϲθαι. εὐκρατότατον δ᾽ εἶναι τὸν ἀέρα παρ᾽ αὐτοῖϲ, ὡϲ ἂν κατὰ τὸν
ἰϲημερινὸν οἰκοῦνταϲ, καὶ μήθ᾽ ὑπὸ καύματοϲ μήθ᾽ ὑπὸ ψύχουϲ ἐνοχλουμένουϲ.
καὶ τὰϲ ὀπώραϲ δὲ παρ᾽ αὐτοῖϲ παρ᾽ ὅλον τὸν ἐνιαυτὸν ἀκμάζειν […]. εἶναι
δὲ διὰ παντὸϲ παρ᾽ αὐτοῖϲ τὴν ἡμέραν ἴϲην τῇ νυκτί, καὶ κατὰ τὸ μέϲον τῆϲ
ἡμέραϲ μὴ γίνεϲθαι παρ᾽ αὐτοῖϲ ϲκιὰν μηδενὸϲ διὰ τὸ κατὰ κορυφὴν εἶναι
τὸν ἥλιον. βιοῦν δ᾽ αὐτοὺϲ κατὰ ϲυγγενείαϲ καὶ ϲυϲτήματα, ϲυνηγμένων τῶν
οἰκείων οὐ πλειόνων ἢ τετρακοϲίων: τούτουϲ δ᾽ ἐν τοῖϲ λειμῶϲι διαζῆν, πολλὰ
τῆϲ χώραϲ ἐχούϲηϲ πρὸϲ διατροφήν: διὰ γὰρ τὴν ἀρετὴν τῆϲ νήϲου καὶ τὴν
εὐκραϲίαν τοῦ ἀέροϲ γεννᾶϲθαι τροφὰϲ αὐτομάτουϲ πλείουϲ τῶν ἱκανῶν. […]
εἶναι δὲ καὶ πηγὰϲ ὑδάτων δαψιλεῖϲ, τὰϲ μὲν θερμῶν εἰϲ λουτρὰ καὶ κόπων
ἀφαίρεϲιν εὐθέτουϲ, τὰϲ δὲ ψυχρῶν τῇ γλυκύτητι διαφόρουϲ καὶ πρὸϲ ὑγίειαν
ϲυνεργεῖν δυναμέναϲ. ὑπάρχειν δὲ παρ᾽ αὐτοῖϲ καὶ παιδείαϲ πάϲηϲ ἐπιμέλειαν,
μάλιϲτα δὲ ἀϲτρολογίαϲ: γράμμαϲί τε αὐτοὺϲ χρῆϲθαι κατὰ μὲν τὴν δύναμιν
τῶν ϲημαινόντων εἴκοϲι καὶ ὀκτὼ τὸν ἀριθμόν, κατὰ δὲ τοὺϲ χαρακτῆραϲ ἑπτά,
ὧν ἕκαϲτον τετραχῶϲ μεταϲχηματίζεϲθαι. γράφουϲι δὲ τοὺϲ ϲτίχουϲ οὐκ εἰϲ
τὸ πλάγιον ἐκτείνοντεϲ, ὥϲπερ ἡμεῖϲ, ἀλλ᾽ ἄνωθεν κάτω καταγράφοντεϲ εἰϲ

Philosophical Fiction, in Philosophy and the Ancient Novel, M. P. Futre Pinheiro, S.


Montiglio eds., Groningen, Barkhuis, 2015, pp. 19-33.
144 Nicola Reggiani

ὀρθόν. πολυχρονίουϲ δ᾽ εἶναι τοὺϲ ἀνθρώπουϲ καθ᾽ ὑπερβολήν, ὡϲ ἂν ἄχρι τῶν


πεντήκοντα καὶ ἑκατὸν ἐτῶν ζῶνταϲ καὶ γινομένουϲ ἀνόϲουϲ κατὰ τὸ πλεῖϲτον.
[…]γυναῖκαϲ δὲ μὴ γαμεῖν, ἀλλὰ κοινὰϲ ἔχειν, καὶ τοὺϲ γεννηθένταϲ παῖδαϲ
ὡϲ κοινοὺϲ τρέφονταϲ ἐπ᾽ ἴϲηϲ ἀγαπᾶν: νηπίων δ᾽ ὄντων αὐτῶν πολλάκιϲ τὰϲ
τρεφούϲαϲ διαλλάττειν τὰ βρέφη, ὅπωϲ μηδ᾽ αἱ μητέρεϲ ἐπιγινώϲκωϲι τοὺϲ
ἰδίουϲ. διόπερ μηδεμιᾶϲ παρ᾽ αὐτοῖϲ γινομένηϲ φιλοτιμίαϲ ἀϲταϲιάϲτουϲ καὶ
τὴν ὁμόνοιαν περὶ πλείϲτου ποιουμένουϲ διατελεῖν. […]πάντα δὲ παρ᾽ αὐτοῖϲ
ὡριϲμένην ἔχειν τάξιν τὰ κατὰ τὴν δίαιταν, οὐχ ἅμα πάντων τὰϲ τροφὰϲ καὶ τὰϲ
αὐτὰϲ λαμβανόντων…

Ma, per quanto riguarda l’isola che è stata scoperta nell’Oceano


a sud e le meravigliose storie narrate su di essa, dobbiamo ora for-
nire un breve resoconto, dopo aver accuratamente anticipato le cau-
se che portarono alla sua scoperta. [segue il racconto] Gli abitanti di
quest’isola differiscono notevolmente dagli uomini della nostra parte
di mondo abitato, sia nelle caratteristiche fisiche che nelle maniere;
perché essi sono tutti quasi simili nella forma dei loro corpi e sono
alti oltre quattro cubiti, ma le loro ossa hanno la capacità di piegarsi
fino a un certo punto e poi raddrizzarsi nuovamente, come i tendini.
Sono anche estremamente delicati rispetto ai loro corpi, eppure più
vigorosi di quanto accade presso di noi, sicché quando afferrano un
oggetto in mano nessuno può estrarlo dalla stretta delle loro dita. Non
c’è alcun pelo su qualsiasi parte del loro corpo, tranne che su testa,
ciglia e palpebre, e sul mento. Sono anche rimarchevolmente belli
e ben proporzionati nei lineamenti del corpo. Le aperture delle loro
orecchie sono più ampie delle nostre e i padiglioni si sono sviluppati
in valve, per dir così, atte a chiuderle. E hanno una peculiarità relativa
alla loro lingua, in parte naturale e congenita e in parte realizzata ad
artificio: cioè la lingua è sdoppiata da un certo punto in poi, ma loro ne
dividono la parte interna ancora di più, col risultato che essa diventa
una doppia lingua fin dalla base. Di conseguenza, loro sono molto
versatili per quanto riguarda i suoni che possono emettere, tanto che
possono imitare non solo ogni linguaggio articolato usato dagli uomi-
ni, ma anche i vari cinguettii degli uccelli, e in generale possono ripro-
durre ogni peculiarità sonora. E la cosa più notevole è che allo stesso
momento, contemporaneamente, possono conversare perfettamen-
te con due persone, sia rispondendo a domande che discorrendo in
modo pertinente sulle circostanze del momento, poiché con una delle
due parti di lingua possono conversare con una persona, e ugual-
mente con l’altra parte conversano con l’altra persona. Il loro clima è
descritto come più temperato, considerando che vivono all’Equatore,
e non soffrono né di caldo né di freddo. Inoltre, i frutti nella loro isola
maturano tutto l’anno […]; e il giorno è sempre della stessa lunghezza
della notte, e a mezzogiorno nessuna ombra è lasciata da alcunché
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 145

perché il sole è allo zenit. Questi isolani, secondo quanto si dice, vi-
vono in gruppi basati sulla parentela e su organizzazioni politiche; non
più di 400 membri per clan vengono raggruppati in questo modo, ed
essi passano il tempo nei campi, poiché la terra fornisce loro molti
prodotti per il sostentamento; per questa ragione della fertilità della
terra, e per la mitezza del clima, i frutti si producono da soli in quantità
più che sufficienti per i loro bisogni. […] Ci sono anche, nell’isola, ab-
bondanti sorgenti d’acqua, calde per i bagni e il sollievo dalle fatiche,
fredde eccellenti in dolcezza e dotate del potere di giovare alla salute.
Inoltre, gli abitanti prestano attenzione ad ogni ramo del sapere, e
specialmente all’astrologia: essi usano lettere che, secondo il valore
del suono che rappresentano, sono in numero di ventotto, ma i carat-
teri sono solo sette, ciascuno dei quali può essere formato in quattro
modi diversi. Ed essi non scrivono le righe orizzontalmente come noi,
ma perpendicolarmente dall’alto al basso. E quegli abitanti, si dice,
sono estremamente longevi, vivendo persino all’età di 150 anni, senza
soffrire per la maggior parte di malattie. […] Essi non si sposano, ma
possiedono figli in comune, e li mantengono come fossero figli di tutti,
e li amano tutti egualmente; e quando sono infanti, coloro che li allat-
tano spesso cambiano il loro ordine, in modo che nemmeno le madri
possano conoscere i figli da loro generati. Di conseguenza, siccome
non v’è rivalità fra loro, non conoscono disordini civili e non smettono
mai di riporre il massimo valore nell’armonia interna. […] Sebbene tutti
gli abitanti godano di abbondante provvista di tutto ciò che cresce da
solo in quelle isole, essi non indulgono nel godere di questa abbon-
danza senza limiti, ma praticano la semplicità e prendono come cibo
solo ciò che basta alle loro necessità (D.S. II 55-59).

I ‘buoni selvaggi’ di Iambulo, che vivono un’evidente età aurea


nella loro isola dal clima mite e dalla spontanea produzione di ogni
alimento naturale24, hanno la proprietà fisica di replicare ogni suono
naturale ed ogni lingua umana. Si tratta di un carattere fisiologico25,
accentuato ad arte, piuttosto che di una capacità cognitiva, ma è ab-
bastanza evidente come l’idea del monolinguismo aureo sia appro-
dato alla descrizione di quella che è, di fatto, un’Età dell’Oro contem-

24
  Sul recupero di temi ‘aurei’ nelle utopie esotiche greche cfr. Lauriola, Greeks
and Utopia, op. cit., p. 114. In generale sulle utopie esotiche greche del ‘buon sel-
vaggio’ cfr. Ferguson, Utopias, op. cit., pp. 16-22.
25
 Un tratto distintivo che riaffiora carsicamente nella menzione, da parte di
Konrad Gessner (Mithridates sive de differentiis linguarum, Tiguri, Froschoverus,
1555), citata da Eco, La ricerca della lingua perfetta, op. cit., p. 90, sugli esseri
dotati di doppia lingua per parlare un doppio linguaggio.
146 Nicola Reggiani

poranea, un fantastico isolamento che riproduce i tratti primordiali


di un’umanità che vive in pace e serenità, ancora in armonia con la
Natura. All’esatto opposto, calato in pieno in una evidente distopia,
il Polifemo omerico, etimologicamente “Colui che parla molto”, che
non riesce a farsi comprendere dai fratelli Ciclopi ed è beffato da
Odisseo proprio sul piano linguistico, parla inutilmente al suo stesso
caprone (Od. IX passim)26.
Non sfuggirà l’attenzione peculiare del racconto citato da Diodo-
ro per la comprensione / comunicazione con gli uccelli: e proprio
intorno a questi ultimi ruota la costruzione di un’altra ben nota uto-
pia ellenica, questa volta politica e non esotica, quella dell’omoni-
ma commedia di Aristofane, in cui la comunità ideale, conseguita
da Pistetero ed Evelpide, fuggitivi dalle nequizie della democrazia
ateniese, è proprio quella degli Uccelli, Nubicuculia (ovvero Nefelo-
coccigia, che dir si voglia)27. Vero è che sappiamo di altre commedie
che mettevano in scena utopie incentrate su animali diversi (i Pesci di
Archippo, ad esempio, o le Bestie di Cratete, dove gli animali e per-
sino l’acqua parlano agli uomini, ovviamente in chiave comica)28, e il

26
 Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 11-17. Sull’assenza
di comunicazione linguistica in Polifemo (e in generale nei Ciclopi) cfr. M. Ricca,
Polifemo: la cecità dello straniero, Palermo, Torri del Vento, 2011, con il commento
di D. Astori, Quando il mare si fa pietra, in M. Ricca, Il mare è pietra, Palermo, Torri
del Vento, 2012, pp. 103-113.
27
  Sull’utopismo degli Uccelli di Aristofane, e sul fallimento dell’esperimento
della città ‘ideale’, si veda in particolare Lauriola, Greeks and Utopia, op. cit., pp.
120-122. Cfr. inoltre L. Bertelli, Genesi e vicenda, op. cit., p. 249; B. Zimmermann,
Nephelokokkygia. Riflessioni sull’utopia comica, in W. Rösler, B. Zimmermann,
Carnevale e utopia nella Grecia antica, Bari, Levante, 1991, pp. 53-101: 75-87; N.
Dunbar, Aristophanes: Birds, Oxford, Oxford University Press, 1995, pp. 1-14; D.
Konstan, The Greek Polis and its Negotiations: Versions of Utopia in Aristopha-
nes’ Birds, in The City as Comedy. Society and Representation in Athenian Dra-
ma, G. Drobrov, Chapel Hill eds., University of North Carolina Press, 1998, pp.
3-22. In generale, sull’utopismo nella commedia greca e i suoi modelli culturali,
cfr. L. Bertelli, L’Utopia sulla scena: Aristofane e la parodia della città, «Civiltà
Classica e Cristiana», a. IV (1983), pp. 215-261; Bertelli, Genesi e vicenda, op.
cit., p. 249; Zimmermann, Nephelokokkygia, op. cit.; M. Faraioli, Mundus alter.
Utopie e distopie nella commedia greca antica, Milano, Vita e Pensiero, 2001,
pp. 3-26.
28
 Cfr. Faraioli, Mundus alter, op. cit., pp. 156-173 (sui Pesci) e Levine Gera,
Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 30 e 62 (sulle Bestie).
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 147

valore oracolare degli uccelli nel pensiero religioso greco potrebbe


essere qui richiamato in chiave politica29; risulta tuttavia notevole che
sia qui di nuovo alla ribalta il dato linguistico, pur trasfigurato dalla
vis comica e dal retroterra satirico del contesto. Dopo che Pistetero
espone all’Upupa il proprio piano di realizzare la ‘città ideale’, la sua
interlocutrice gli anticipa che sarà lui stesso ad esporlo agli altri uc-
celli, e la comunicazione non sarà un problema perché essi, grazie a
lei, sanno intendere «la voce» per eccellenza, la lingua greca30:

ἐγὼ γὰρ αὐτοὺϲ βαρβάρουϲ ὄνταϲ πρὸ τοῦ


ἐδίδαξα τὴν φωνήν, ξυνὼν πολὺν χρόνον
(Aristoph. Av. 199-200)

29
 Gli Uccelli vennero rappresentati nel 414 a.C., in concomitanza con la tragica
spedizione ateniese in Sicilia e all’indomani del clamoroso caso della mutilazione
delle Erme e delle profanazioni ai Misteri Eleusini, occorse l’anno precedente (cfr.
W.D. Furley, Andokides and the Herms. A Study in Crisis in Fifth-century Athenian
Religion, London, Insitute of Classical Studies, 1996). Al v. 685 il Corifeo inizia un
lungo elogio degli uccelli, dei quali viene sottolineata la divinità e, in conclusione, la
loro capacità profetica (vv. 716-722), ribadita poi dal coro successivo che ne esalta
il loro essere uno spunto oracolare vicino agli uomini (vv. 723-736). Non si tratta, tut-
tavia, della consueta ornitomanzia, la previsione del futuro attraverso la ‘lettura’ del
volo degli uccelli (sulla quale cfr. A. Bouché-Leclerq, Histoire de la divination, I, Paris,
1879, pp. 127-145; W. Halliday, Greek Divination, London, 1913, pp. 246-271; D.
Collins, Reading the Birds: Oionomanteia in Early Epic, «Colby Quarterly», a. XXXVIII
(2001), pp. 17-41). I caratteri profetici di ciò che viene qui definito ὄρνιϲ sono straordi-
nariamente vicini a quei tipi di oracoli che tradizionalmente si associavano a Hermes:
le coincidenze (ξύμβολον) e gli incontri fortuiti (il servo che s’incontra per strada), lo
starnuto (πταρμόϲ), la parola divina (φήμη) e la voce/suono (φωνή), rientrano nei domini
della cleromanzia e della cledonomanzia cari al dio delle Erme (sugli oracoli ermaici
ad Atene rimando a N. Reggiani, La Giustizia cosmica. Le riforme di Solone fra polis e
kosmos, Firenze, Le Monnier, 2015, pp. 211-269; su Hermes, la voce e il silenzio: N.
Reggiani, La voce del silenzio: il culto ateniese di Hēsychos e il dio Hermes, in Ascol-
tare gli Dèi / Divos Audire. Costruzione e percezione della dimensione sonora nelle
religioni del Mediterraneo antico, a cura di I. Baglioni, Roma, Quasar, 2015, vol. II,
pp. 71-81, con la bibliografia ivi citata). Sui rapporti fra gli Uccelli e l’attualità politica
ateniese cfr. B. R. Katz, The Birds of Aristophanes and Politics, «Athenaeum», a. LIV
(1976), pp. 353-381; Dunbar, Birds, op. cit., pp. 2-5; M. Vickers, Alcibiades at Sparta:
Aristophanes’ Birds, «Classical Quarterly», a. XLIV (1995), pp. 339-354; Furley, An-
dokides and the Herms, op. cit., pp. 136-140 (che addirittura identifica i protagonisti
con gli Ateniesi che furono costretti a fuggire per i processi del 415).
30
 Cfr. Dunbar, Birds, op. cit., p. 200.
148 Nicola Reggiani

 rima erano barbari, gli ho insegnato io a parlare, a furia di starci


P
assieme
(trad. B. Marzullo)

L’integrazione tra la Natura e l’uomo è qui giocata – comicamente –


su una direttrice uguale e contraria, e il comune linguaggio è accesso
ineludibile alla ‘umanizzazione’31 degli uccelli, originariamente ‘barba-
ri’. La comunità ideale si realizza ugualmente anche sul piano linguisti-
co, ma il linguaggio comune è questa volta il greco, che l’Upupa sa per
aver frequentato gli uomini.
La ricerca della società perfetta si coniuga sempre, insomma, con
la ricerca della lingua perfetta, la quale assume inderogabilmente i
tratti di un ritorno all’antica ‘lingua aurea’, a quell’universalismo che
permetteva di comprendersi fra uomini e di vivere in armonia con la
Natura e che era ormai perduto32. Questo ideale, risolto sul piano
umano dalla lunga serie di lingue internazionali (artificiali, pianifica-
te) che si sono succedute nella storia33, è incarnato nei suoi aspet-

31
  Aristofane, Gli Uccelli, a cura di G. Zanetto, introduzione e traduzione di D.
Del Corno, Milano, Fondazione Valla / Mondadori, 1987, p. 200. Cfr. Konstan, Greek
Polis, op. cit. È interessante notare, con Dunbar, Birds, op. cit., pp. 5-6, come i tratti
‘aurei’ dell’età delle origini siano pertinenti agli uccelli prima dell’incontro con gli
Ateniesi, e dunque prima della loro ‘umanizzazione’.
32
  L’anelito a un ritorno del monolinguismo aureo è una costante del pensiero
linguistico antico: dall’Incantesimo di Nudimmud, di cui abbiamo discusso sopra,
alle fonti ebraiche, che profetizzano un futuro rovesciamento di Babele (4Q464 frr.
2-3; Testamentum Judae XXV 3; Midrash Tanhuma a Gn. XI; cfr. Levine Gera, Greek
Ideas on Speech, op. cit., p. 33 con n. 55 e ulteriore bibliografia), alla famosa quarta
ecloga di Virgilio (che non menziona la lingua ma prospetta un’età di armonia fra
animali e uomini: cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., p. 64), a Plutar-
co, secondo cui i Persiani credevano a un futuro rinnovamento del mondo con gli
uomini che avrebbero parlato felicemente la stessa lingua (Mor. V 370b e XII 941e;
cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., p. 33). «In Greek eyes, a language
limited to humans represents a fall from grace» (ivi, p. 67).
33
 Cfr. Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., pp. 26-29; Eco, La ricerca
della lingua perfetta, op. cit.; D. Astori, Saussure e il dibattito (inter)linguistico
sulle lingue internazionali ausiliarie a cavallo fra XIX e XX secolo, «Atti del Sodalizio
Glottologico Milanese», a. III (2008), pp. 102-120; F. Gobbo, Fondamenti di
interlinguistica ed esperantologia, Milano, Cortina, 2009; D. Astori, La esperanta
espero fra creazione linguistica e costruzione identitaria, «Paideia», a. LXVI (2011),
pp. 383-403; D. Astori, La Zamenhofa revo inter lingvistika kaj religia planado:
interpopola dialogo kaj tutmonda interkompreno per Esperanto kaj homaranismo,
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 149

ti tradizionali dalla cosiddetta ‘Lingua degli Uccelli’, un linguaggio


mistico e magico, perfetto e divino, che sarebbe usato dagli uccelli
per comunicare con gli iniziati. L’idea è già antica, e affonda le radici
nella visione simbolica degli esseri alati, che vivono in cielo, come
tramiti privilegiati della comunicazione fra gli dèi e gli uomini34. Così
ad esempio narrava il mito di fondazione del famosissimo oracolo di
Zeus a Dodona (Erodoto II 54-57):

δύο πελειάδαϲ μελαίναϲ ἐκ Θηβέων τῶν Αἰγυπτιέων ἀναπταμέναϲ τὴν μὲν


αὐτέων ἐϲ Λιβύην τὴν δὲ παρὰ ϲφέαϲ ἀπικέϲθαι, ἱζομένην δέ μιν ἐπὶ φηγὸν
αὐδάξαϲθαι φωνῇ ἀνθρωπηίῃ ὡϲ χρεὸν εἴη μαντήιον αὐτόθι Διὸϲ γενέϲθαι, καὶ

«Beletra Almanako», a. V, 12 ( 2011), pp. 156-166; D. Astori, Il Solresol fra musica,


letteratura e linguistica, «La torre di Babele», a. VII (2011), pp. 153-167; D. Astori,
Zamenhof, Nimrod kaj la universala lingvo, «Homarane», a. II, 2 (2013), pp. 97-105;
D. Astori, From the Tower of Babel to the Internet: Educating Humanity to Peace By
Re-stabilizing Communication, in Communication, Culture, Creation: New Scientific
Paradigms, a cura di V. Popović, I. Janjić, S. Milancovici, E. Gagea, Arad, Novi
Sad, Vasile Goldiş University Press, Fundatia Europa, 2015, pp. 49-58; D. Astori,
De Sargon al Eŭropa Unio: enserĉade de “lingvo por la mondo”, in Perspectives
of Language Communication in the EU, a cura di D. Tekeliová, Nitra, Constantine
the Philosopher University in Nitra, Faculty of Central European Studies, 2016,
pp. 43-49; N. Reggiani, Zamenhof, l’esperanto e l’idea della lingua universale, in
Ludwik Zamenhof 1859-1917. Atti del Convegno (Roma, 11 dicembre 2017, a cura
di B. I. Brozda, Roma, Accademia Polacca delle Scienze, 2019, pp. 31-42. Se
l’identità linguistica, anche e forse soprattutto in chiave di neo-formazione creativa,
assume stringente carattere identitario (cfr. D. Astori, Creazione linguistica e identità
socio-nazionale: da Alessarco di Macedonia all’Isola delle Rose, in Multilingualism.
Language, Power, and Knowledge, a cura di P. Valore, Pisa, Edistudio, 2011, pp.
145-158), la ricerca di una lingua unitaria per un’umanità idealmente unita diviene
quasi una fisiologica necessità storico-sociale.
34
  Il collegamento ‘lingua degli uccelli’ – ‘lingua degli angeli’ – ‘lingua degli dèi’
si trova già in R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Milano, Adelphi, 1997, pp.
56-59 (Symboles fondamentaux de la Science sacrée, Paris, Gallimard, 1962). Cfr.
B. Rovere, A proposito del “linguaggio degli uccelli”, «Rivista di Studi Tradizionali»,
a. LXIV (1986), pp. 108-115; Gualandri, Il silbo, op. cit., pp. 75-76 e 83-85. Sulle
‘lingue degli angeli’ e altri linguaggi mistici più o meno recenti cfr. anche D. Asto-
ri, Tradurre l’ineffabile, in Passione letteratura: Olga Gogala di Leesthal, a cura di
M. Biasiolo, Bologna, CLUEB, 2010, pp. 151-166: 153-156. Per le stesse ragioni,
nella simbologia alchemica gli uccelli (in particolare aquile, ma non solo) alludono
esotericamente alla volatilità mercuriale: cfr. A. Roob, Il Museo Ermetico: Alchimia
& Mistica, Köln, Taschen, 2014, pp. 288-289 (Museum Hermeticum: Alchemie &
Mistik, Köln, Taschen, 1997).
150 Nicola Reggiani

αὐτοὺϲ ὑπολαβεῖν θεῖον εἶναι τὸ ἐπαγγελλόμενον αὐτοῖϲι, καί ϲφεαϲ ἐκ τούτου


ποιῆϲαι. (Erodoto II 55,1-2)

Due colombe nere vennero volando da Tebe in Egitto, una in Libia


e una a Dodona. Quest’ultima si sistemò su una quercia e da lassù,
parlando il linguaggio umano, dichiarò che il luogo di divinazione per
Zeus dovesse essere lì; il popolo di Dodona capì che il messaggio era
di natura divina, e stabilì quindi l’oracolo.

Secondo Apollonio Rodio, la polena della nave Argo, costruita


con legno di quercia proveniente proprio dal bosco sacro di Dodo-
na, poteva per questo parlare e profetizzare (I 524-527; IV 580-583).
Si diceva, inoltre, che famosi indovini o saggi del calibro di Tiresia,
Melampo, Democrito, Apollonio di Tiana ed altri comprendessero tale
linguaggio35. Il poeta Alcmane, inoltre, dichiarava di conoscere le me-
lodie di tutti i diversi tipi di uccelli e di aver scoperto il modo di trasla-
re in linguaggio umano il canto della pernice36, mentre Proclo «when

35
 Tiresia: Ferecide 3F92a FGH; Sofocle Ant. 999-1004; Pausania IX 16,1.
Melampo: Apollodoro I 9,11; Plinio nat. X 70 (dei serpenti, leccandogli le orec-
chie, gli avrebbero trasmesso la virtù di conoscere il linguaggio degli animali).
Democrito: Gellio IX 12 (gli si attribuiva la teoria che certi uccelli hanno la propria
lingua e parlano tra loro; mescolando il loro sangue, si genererebbe un serpente,
mangiando il quale si arriverebbe a comprendere le parole degli alati). Apollonio:
e.g. Filostrato VA I 20 (lo avrebbe imparato dagli Arabi, i quali acquisiscono que-
sta facoltà mangiando il cuore o il fegato dei serpenti). La tradizione confluisce
poi negli États et Empires du Soleil di Cyrano de Bergerac (1662), che nel capitolo
Histoire des oiseaux descrive un uccello meraviglioso che parla cantando: «…allo
stesso modo che fra voialtri si son trovati degli uomini così illuminati che hanno
compreso e parlato il nostro linguaggio, come Apollonio Tianeo, Anassimandro,
Esopo e molti altri di cui taccio i nomi, allo stesso modo, fra noi, si trovano di
quelli che comprendono la vostra lingua…» (cfr. M. Ruggeri, Apollonio di Tiana. Il
Gesù pagano, Milano, Mursia, 2014, pp. 140-141). Sul tema ricorrente della carne
del serpente (o del drago) come generatrice della comprensione mistica della ‘lin-
gua degli uccelli’, e in generale dunque di conoscenza, cfr. V. J. Propp, Morfologia
della fiaba / Le radici storiche dei racconti di magia, Roma, Newton, 1992, pp.
349-351 (Morfologija skazki, 1928; Istoričeskie korni volšebnoj skazki, 1946). An-
cora nella nostra cultura moderna, la ‘lingua dei serpenti’ è una prerogativa quasi
‘iniziatica’ (anche se negativa) di una determinata categoria di maghi, secondo la
ben nota saga letteraria e cinematografica di Harry Potter.
36
  PMG 39-40. Cfr. G. Nagy, Pindar’s Homer: The Lyric Possession of an Epic
Past, Baltimore, London, The Johns Hopkins University Press, 1990, p. 88.
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 151

discussing this passage of Plato [i.e. il mito di Kronos nel Politico]


(Theologia Platonica 5.7-8) thinks that the men […] did in fact use their
time to acquire wisdom by conversing with other species, plucking
intellectual fruits […]»37.
Che la comprensione della ‘lingua degli uccelli’ potesse portare a
un avanzamento conoscitivo38 non è la cifra distintiva solamente dei
sapienti greci. Dallo sciamanesimo39 alla mitologia norrena, il potere di
capire il linguaggio degli uccelli era ugualmente considerato segno di
grande saggezza. Il dio Odino possedeva due corvi, chiamati Huginn
(“Pensiero”) e Muninn (“Memoria”), che volavano per il mondo e gli rife-
rivano ciò che avveniva tra i mortali40. Analogamente, anche il leggen-
dario re svedese Dagr Spaka (“Dag il Saggio”, III sec. d.C.) aveva un
passero che girava il mondo per portargli notizie41. Nell’Edda Maggiore
e nella Saga dei Volsungar, Sigurd¯r (Sigfrido) assaggia casualmente il
sangue del drago Fáfnir e ciò gli conferisce l’abilità di capire il linguag-
gio degli uccelli, cosa che gli permette di salvarsi la vita, in quanto at-
traverso i discorsi di alcuni volatili appollaiati su un ramo scopre i piani
del padre adottivo Reginn per ucciderlo42.

37
  Levine Gera, Greek Ideas on Speech, op. cit., p. 29 («Plutarch, in similar fash-
ion, has the inhabitants of the island of Kronos spend their time in philosophical
conversation ([…] De Facie 941e)»).
38
  Così, nell’anti-utopia degli Uccelli di Aristofane descritta sopra, non è l’uomo
che arriva a comprendere la lingua degli uccelli per elevarsi, ma gli uccelli che im-
parano la lingua degli uomini, e così decadono dalla loro condizione ‘aurea’.
39
  Cfr. M. Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma, Edizioni Me-
diterranee, 1974, pp. 118-121 (Le Chamanisme et les techniques archaïques de
l’extase, Paris, Payot, 1968). In un contesto parallelo ma completamente ‘altro’, le
cerimonie mistiche tribali dei Dogon del Mali contemplano l’utilizzo di una lingua
iniziatica chiamata Sigi-sò ‘Lingua del Sigi’ (un’importante festa legata al rinnova-
mento ciclico del mondo) o ‘della Tortora’, il cui nome è in sé notevolmente signifi-
cativo. La tortora, a sua volta, è detta conoscere la lingua del Sigi. Cfr. M. Leiris, La
langue secrète des Dogons de Sanga (Soudan français), Paris, Institut d’Ethnologie,
1948, pp. 24 e 30-31.
40
  Ljóða Edda, Grímnismál 20 (traduzione con testo norreno a fronte su http://
www.bifrost.it/GERMANI/Fonti/Eddapoetica-4.Grimnismal.html).
41
  Snorri Sturluson, Ynglinga Saga 18 (Frá Dag Spaka).
42
  Fáfnismál 143-150 (versione italiana in L’Edda. Carmi norreni, a cura di C. A.
Mastrelli, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 121-130). Sul tema dell’acquisizione della co-
noscenza dal drago o dal serpente si veda sopra, nota 35. Uno dei tre carmi eddici
di Helgi, la Helgakviða Hiorvarzsonar (VI/VII sec., vv. 15-35), presenta un Attila che
152 Nicola Reggiani

Nel Sufismo, la corrente mistica islamica, il linguaggio degli uccelli


è un ideale linguaggio angelico. Il Verbo degli uccelli (Mantiq at-tair)
è il titolo del poema allegorico in 4647 versi del poeta persiano di XII
secolo Farid al-Din al-Attar, che narra la vicenda degli uccelli del mon-
do i quali, guidati dall’upupa, partono alla ricerca del loro leggendario
re, Simurgh, la cui reggia sorge oltre la montagna di Qaf, ai confini del
mondo43. Quando i soli trenta uccelli rimasti44 raggiungono finalmente il
luogo dove vive il Simurgh, essi trovano uno specchio in cui scorgono
la loro stessa immagine riflessa. L’intero racconto è allegoria dei disce-
poli che il maestro sufi guida verso l’illuminazione finale, la scoperta
di Dio nel proprio sé profondo; il dato linguistico è ancora importante:
gli uomini, come gli uccelli, parlano lingue differenti, mentre gli iniziati
condividono lo stesso linguaggio ‘aureo’. Analogamente, il mistico ira-
niano Fazlullah Astarabadi, fondatore della setta sciita degli Hurufi alla
fine del XIV sec., dopo un sogno profetico, udì degli uccelli cantare e
ne comprese la lingua, dopodiché venne chiamato dai suoi discepoli
sahib-i ta’vil, «il maestro dell’interpretazione esoterica»45.
Nella tradizione ebraica, la saggezza proverbiale di Salomone era
dovuta al fatto che egli capiva il linguaggio degli uccelli, per dono di-
vino. Salomone, fra l’altro, sarebbe stato avvisato dell’esistenza del
regno di Saba e della sua regina da un’upupa46 (identificabile vero-

ascolta il cinguettio di un uccello del bosco, ne comprende il significato e dialoga


con lui (versione italiana in L’Edda, op. cit., pp. 121-130), mentre nella Rígsthula
174-190 un personaggio comprende l’esortazione a combattere rivoltagli da una
cornacchia (L’Edda, op. cit., pp. 263-269).
43
  In edizione italiana: Il verbo degli uccelli, a cura di C. Saccone, Milano, SE, 2007
(19861); nuova edizione interamente riveduta: Il verbo degli uccelli (Mantiq al-Tayr), a
cura di C. Saccone, Charleston (South Carolina), Centro Essad Bey – CreateSpace
IPP, 2016. Cfr. Gualandri, Il silbo, op. cit., pp. 82-83. Lo stesso tema iniziatico si trova
declinato nelle due omonime “Epistole agli Uccelli” (Risâlat at-tayr) del filosofo-me-
dico Avicenna (X/XI sec.) e del giurista-teologo Al-Ghazali (XI/XII sec.): si vedano, ri-
spettivamente, P. Heath, Allegory and Philosophy in Avicenna (Ibn Sînâ), Philadelphia,
University of Pennsylvania Press, 1992, pp. 98-99, e N. A. Faris, Al-Ghazzali’s Epistle
of the Birds, «Muslim World», a. XXXIV (1944), pp. 46-53.
44
  Questo finale cela un gioco di parole in lingua persiana fra Simurgh e si mur-
gh, “trenta uccelli”.
45
 Cfr. Astori, Solresol, op. cit., p. 164.
46
  La coincidenza col tipo d’uccello protagonista tanto della commedia di Ari-
stofane quanto del poema sufi è notevole, anche se al momento sfugge una pos-
sibile spiegazione.
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 153

similmente con il mercante Tamarim del racconto dell’etiopico Kebra


Nagast), di cui era in grado di comprendere la lingua (Targum Sheni
a Ester I 2). Lo stesso racconto si legge nella Sura XXVII del Corano
(intitolata An-Naml, «Le Formiche»)47:

Passò in rivista gli uccelli e disse: «Perché mai non vedo l’upupa?
È forse tra gli assenti? Le infliggerò un severo castigo, o la sgozzerò, a
meno che non adduca una valida scusa». Ma [essa] non tardò ancora
per molto. Disse: «Ho appreso qualcosa che tu non conosci: ti porto
notizie certe sui Sabâ: ho scoperto che una donna è loro regina, che è
provvista di ogni bene e che possiede un trono magnifico».

Le suggestioni procedono fino a tempi e spazi più vicini a noi. Sen-


za entrare nel mare magnum ricco di simboli, allegorie e rimandi cul-
turali che è la Langue des Oiseaux (o Langue Verte) fra Medioevo e
Rinascimento – linguaggio segreto, perfetto e iniziatico di trovatori ed
ermetici, maghi, cabalisti ed alchimisti, basato su giochi di parole (ana-
grammi) e simbolismi che nascevano dall’omofonia (cabala fonetica) e
dal valore allegorico delle lettere (cabala ermetica)48 –, o in una disa-
mina delle più moderne lingue artificiali create su basi musicali49, basti
pensare solo al San Francesco d’Assisi che predica agli uccelli50, che è

47
  Online su http://www.corano.it/corano_testo/27.htm. La menzione, nelle pa-
role di Salomone nella citata sura, del «linguaggio degli uccelli», utilizza la stessa
pericope mantiqa’t-tayr che dà il titolo al racconto di Attar.
48
 Cfr. Gualandri, Il silbo, op. cit., pp. 79-82. «La lingua degli uccelli» è ancora il
titolo di un recente saggio, in due volumi, sui rapporti fra letteratura ed esoterismo
/ alchimia: R. Khaitizine, La langue des oiseaux, I. Quand littérature et ésotérisme
se rencontrent, Paris, Dervy, 2011; Id., De l’alchimie du verbe à la permutation des
mots, Paris, Dervy, 2012.
49
 Si veda al proposito Astori, Solresol, op. cit., con espliciti riferimenti alla
‘Lingua degli Uccelli’.
50
  Legenda maior XII 3: «Andando il beato Francesco verso Bevagna, predicò
a molti uccelli; e quelli esultanti stendevano i colli, protendevano le ali, aprivano
i becchi, gli toccavano la tunica; e tutto ciò vedevano i compagni in attesa di lui
sulla via». Fioretti XVI: «…et venne fra Cannara et Bevagna. E passando oltre
con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su’quali
era quasi infinita moltitudine d’uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare
alli uccelli ch’erano in terra; e subitamente quelli ch’erano in su gli arbori se ne
vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco
compié di predicare (…). Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco
fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli
154 Nicola Reggiani

così presente alla nostra sensibilità e alla nostra memoria collettiva, o


al ricorrere del tema nel folklore51.
È abbastanza evidente, dal percorso seguìto fin qui, come il
cristallizzarsi della tradizione comune sulla ‘Lingua degli Uccelli’
vada in parallelo alla consapevolezza dell’impossibilità – almeno
(con)temporanea – di ritornare all’aureo monolinguismo originario, e
l’armonia con una Natura fonte di conoscenza e sapienza divina possa
essere coltivata e raggiunta solo da pochi iniziati. Gli uccelli si ergono
a depositari di questa sapienza e di questa armonia, in un complesso
simbolico che pare così (inconsciamente?52) radicato nel pensiero ‘oc-
cidentale’ da divenire i protagonisti di un inquietante e difficile film,
l’omonimo capolavoro del 1963 di Alfred Hitchcock (che è da un rac-
conto del 1953 di Daphne du Maurier), una interpretazione del quale
vede, nei volatili che sempre più intensamente assalgono e distruggo-

si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c’aveva fatta
loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (…) e ciascuna schiera n’andava
cantando maravigliosi canti». Tommaso da Celano, Vita prima XXI 59: «Un giorno,
recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere visto da tutti, chie-
se silenzio. Ma, mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano,
con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo
per quel rumore, rivolto agli uccelli, disse: “Sorelle mie rondini, ora tocca a me
parlare, perché voi lo avete fatto già abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e
quiete, finché il discorso sia finito”. Ed ecco subito obbedirono: tacquero e non si
mossero fino a predica terminata». Cfr. Gualandri, Il silbo, op. cit., pp. 76-77. Nei
Fioretti, XL, San Francesco parla anche ai pesci.
51
  Una per tutte, la fiaba russa di Ivan Korolevitch riportata da A. N. Afanasyev,
Russian Folk-Tales, a cura di L. A. Magnus, New York, Dutton, 1916, pp. 45-
48 (disponibile online su https://en.wikisource.org/wiki/Russian_Folk-Tales/
The_Language_of_the_Birds); cfr. V. X. Kalamatiano de Blumenthal, Folk Ta-
les From the Russian, Chicago, McNally, 1903, http://www.gutenberg.org/fi-
les/12851/12851-h/12851-h.htm#ivan%20learns%20the%20language%20
of%20birds (con illustrazioni). Lo stesso tema (un ragazzo che apprende la lin-
gua degli uccelli) si ritrova in una leggenda scozzese legata al castello di Eilean
Donan: cfr. B. Ker Wilson, Fairy Tales from Scotland, Oxford, Oxford University
Press, 1999, pp. 49-55 (19541). Per il folklore italiano (ma non solo) cfr. Gualandri,
Il silbo, op. cit., pp. 78-79 (i testi originali si possono trovare in I. Calvino, Fiabe
italiane, Torino, Einaudi, 1956, I, pp. 8-10). Anche Le mille e una notte si aprono
col racconto di un mercante che sapeva comprendere la lingua degli animali e
degli uccelli.
52
  Ma cfr. Guénon, Simboli, op. cit., pp. 46-49, su «tradizione e ‘inconscio’».
Parlare con la Natura. Dal monolinguismo aureo primordiale... 155

no gli uomini in una distopica Bodega Bay in cui trionfa l’incomunica-


bilità, agli antipodi della Nubicuculia aristofanea, sullo sfondo di una
colonna sonora che riproduce artificialmente rumori d’uccelli quasi in
un ‘linguaggio’ disarticolato e minaccioso, la ‘rivincita’ della Natura su
di un’umanità disarmonica e decaduta53.

53
 «La magnifica atmosfera impressionista della scena finale cos’altro è se
non l’incubo del Giudizio Universale tradotto in luce?» (N. Bruzzone, V. Caprara,
I film di Hitchcock, Roma, Gremese, 1992, p. 252). C. Paglia, The Birds, London,
British Film Institute, 1998, avanza un’interpretazione cosmologica secondo
cui nel film sarebbe rappresentato ciò che accadrebbe se si alterasse l’ordine
dell’universo, l’equilibrio di potere fra l’uomo e gli altri elementi della natura.
A. Bergala, Alfred, Adam et Ève, in Hitchcock et l’art: coincidences fatales, a
cura di D. Païni, G. Cogeval, Milano, Mazzotta, 2000, pp. 111-125, legge negli
uccelli un’ipostasi della divinità che punisce le colpe dell’umanità. Si veda
specialmente la bella analisi in chiave ecologica di R. Giudice, Quando la Natura
rivendica il suo ruolo: “Gli Uccelli” di Hitchcock a metà tra catastrofismo e paura
dell’abbandono, «Il Capolinea Online», 4 aprile 2018 (http://ilcapolineaonline.
it/2018/04/04/quando-la-natura-rivendica-il-suo-ruolo-gli-uccelli-di-hitchcock):
«Emozioni interiori complesse e ambigue che conducono una tranquilla cittadina
statunitense verso un vortice di follia portatore di distruzione: un sovvertimento
che, tuttavia, cerca di ricondurre verso la ricreazione di un nuovo ordine cosmico
che, a sua volta, nega all’uomo una riconciliazione finale con l’elemento naturale.
Il tema della distruzione accompagna lo spettatore fino al finale volutamente
lasciato sospeso e privo, addirittura, della consolatoria scritta The End: un finale
enigmatico che porta con sé la consapevolezza della debolezza umana di fronte
alla Natura, madre benevola ormai esasperata dai soprusi dei suoi ingrati figli».
156 Nicola Reggiani

Dall’alto a sinistra: rappresentazione vascolare degli Uccelli di Aristofane (J. Paul


Getty Museum, inv. Malibu 82.AE.83, lato A, fine V sec. a.C. – courtesy of the
Getty’s Open Content Program); una moneta raffigurante lo Zeus di Dodona,
con la colomba profetica posata sulla quercia; Odino fra i suoi corvi messagge-
ri (da un manoscritto islandese, XVIII sec.); l’incisione di Rasmund (Svezia, ca.
1000 d.C.) raffigurante Sigfrido che beve il sangue del drago [no. 1] e ascolta gli
uccelli [no. 2]; codice miniato della Lingua degli uccelli; Il discorso degli uccelli
dipinto da Habib Allah; miniatura islamica raffigurante il re Salomone attorniato
dagli animali, in particolare dagli uccelli; la Predica di San Francesco agli uccelli
di Giotto ad Assisi; la locandina e la scena finale degli Uccelli di Hitchcock. Le
immagini, salvo la prima, sono tutte da Wikimedia Commons.

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