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Esame Papatantuono

È normale che un bambino abbia difficoltà sociali, emotive e comportamentali, è il modo in cui
sono gestite a fare la differenza. Per i caregiver l’imperativo dovrebbe essere: come gestire
efficacemente queste difficoltà.
Quando le difficoltà sono trattate o gestite male allora diventano problemi, se non veri e
propri disordini o patologie. I sintomi delle difficoltà trattate male peggiorano. Quando il fare non
aiuta a risolvere i problemi, finisce per mantenere o anche peggiorare il problema. La difficoltà
trattata male comincia a essere vista e agita come un problema. Con tutte le buone intenzioni si crea
un pattern interattivo disfunzionale: il tentativo di risolvere la difficoltà finisce per peggiorarla.

Le modalità interattive disfunzionali sono quelle modalità che reiterano certi comportamenti
nonostante essi non diano risultati, irrigidendo il proprio sistema di percezione e di credenze.

Da una prospettiva costruttivista-strategica i problemi psicologici in origine sono interazionali e non


patologie. I problemi sono considerati dalla prospettiva ecologica più che da quella che tende a
trovare qualcosa, una causa nel soggetto.
L’approccio costruttivista-strategico è particolarmente utile ad aiutare gli educatori, che possono
sentirsi impotenti di fronte ai problemi più persistenti dei loro studenti e/o di fronte alla resistenza
espressa quando si agisce con le usuali azioni correttive. Le indicazioni sono ad hoc per gestire le
difficoltà degli studenti, aiutano gli insegnanti ad intervenire efficacemente, evitano che le
difficoltà si trasformino in problemi più seri. Ciò diventa un vantaggio per l’alunno, per sé e per
la scuola. Tale approccio si integra bene nel contesto scolastico, perché si completa in un breve arco
temporale, in più non richiede un eccessivo dispendio di energia.
L’approccio costruttivista-strategico rappresenta uno dei più efficaci orientamenti per intervenire a
scuola e sulle difficoltà degli studenti. Nasce al Mental Research Istitute di Watzlawick di Palo Alto,
e rappresenta un approccio rivoluzionario per la soluzione dei problemi in tutti gli ambiti
psicologici (clinico, familiare e organizzativo), gli interventi seguono una delle logiche non-
ordinarie e non quella tradizionale di causa-effetto. Di recente è stato impiegato anche per le
difficoltà sociali, emotive e comportamentali che si presentano nei soggetti in età scolare.

I principi di base dell’approccio Costruttivista-Strategico:


1. Il primo principio dell’approccio costruttivista strategico è che la scuola è una varietà di
realtà costruite. Per il costruttivismo gli individui percepiscono e costruiscono realtà basate
sulle loro esperienze. Tutto è percezione e la percezione è tutto. Non ci sono vere realtà
ontologiche, ma secondo Watzlawick, molte realtà soggettive che variano in funzione
del punto di vista adottato.
Come costruiamo la realtà? La nostra percezione influenza come descriviamo il mondo e la
nostra descrizione del mondo influenza le nostre reazioni che a loro volta influenzano
l’ambiente e le risposte degli altri.
Si tratta di una causalità circolare che evita le posizioni deterministiche di quella lineare,
che osserva i dati della realtà e sa che intervenire significa anche cambiare.
Di conseguenza, l’approccio strategico-sistemico non si occupa di scoprire le causa
profonde (il perché), ma cerca di essere efficace nelle azioni, si focalizza sul come le cose
funzionano per farle poi funzionare meglio. In altri termini, negli interventi strategico-
sistemici si va a identificare il modo più funzionale di conoscere ed agire, cioè si interviene
con “consapevolezza operativa”.
Con la domanda “COME” si evita il gioco delle colpe, si determina come si mantiene il
nuovo equilibrio, si comprende come interrompere l’equilibrio disfunzionale.
nell’osservazione, poi, si fa attenzione alla persistenza del problema, piuttosto che alla sua
formazione. È proprio sulla persistenza di un problema che possiamo intervenire e non sulla
sua formazione passata.
2. Il secondo principio dell’approccio costruttivista-strategico è che esistono dei riduttori di
complessità, e tali riduttori sono:
1. Tentate soluzioni: i problemi psicologici persistenti in genere derivano da
comuni difficoltà trattate in maniera inadeguata che si presentano in seguito a
cambiamenti di vita trattati altrettanto inadeguatamente. Ciò che non risolve
il problema nel tempo lo complica (tentativi di soluzione disfunzionali). Si
crea allora una causalità circolare tra difficoltà e tentata soluzione). Le tentate
soluzioni agiscono come riduttori di complessità perché chiedendosi cosa è
stato fatto per risolvere questo problema, si può cominciare a evitare di
reiterare le soluzioni che non funzionano. Non occorre per forza fare più di
prima, ma occorre fare meglio.
2. Percezioni
3. Eccezioni

3. Il terzo principio dell’approccio costruttivista strategico è l’irrigidimento del sistema


percettivo e delle credenze. Le nostre sensazioni sono un prodotto delle nostre percezioni.
Le percezioni danno vita a sensazioni e reazioni, esse costruiscono la realtà che possiamo
subire o godere. Si tende spesso a creare il caso, in effetti. Il senso di impotenza di fronte a
certe difficoltà crea in noi la percezione dell’impossibilità.
Si può giungere talvolta anche all’etichettamento. Allora la diagnosi inventa la malattia:
proviamo in tutti i modi di far rientrare i comportamenti in specifiche categorie. Oppure si
ha l’effetto Pigmalione e le profezie auto-avveranti. Le categorie mediche, del resto,
inducono un senso di impotenza e possono diventare marchi indelebili per i bambini e i
ragazzi.

Il linguaggio usato gioca un ruolo significativo sul come gli studenti si relazionano alle
difficoltà e come si approcciano ad esse. I termini depressione ADHD, fobia ecc.
trasformano il problema di oggi in un caso clinico domani. Mentre parole come tristezza,
mancanza di attenzione, comportamento scorretto ecc. fanno rientrare il comportamento del
bambino nella quotidianità, per cui genitori e insegnanti si sentono più capaci di gestirlo. Il
linguaggio usato per descrivere il comportamento del bambino dovrebbe evitare la
cristallizzazione in un problema permanente riconoscibile in un’etichetta.
Austin ha coniato il termine Linguaggio performativo, che crea e condanna, mentre per
Watzlawick citare qualcosa significa renderla una realtà, anche se non esiste.
Usare il termine difficoltà psicologica non è una scelta meramente lessicale: il suo utilizzo
implica un prospettiva funzionale orientata verso soluzioni che contrasta con la prospettiva
tassonomica orientata a definire sindromi, disturbi e malattie.

L’effetto Pigmalione o la profezia che si auto-avvera: le nostre aspettative, positive o


negative, influenzano enormemente percezione, interazione, comunicazione e
comportamento. l’espressione effetto pigmalione è stata presentata da Rosenthal e Jacobson
in riferimento agli effetti delle aspettative sul comportamento. l’espressione evoca il mito di
Pigmalione, lo scultore greco che fece una statua di donna così bella e perfetta tanto da
innamorarsene perdutamente e a chiedere a Venere di animarla.
Gli stereotipi, come le profezie, si auto-avverano, in più sono un modo profondo e a lungo
termine per plasmare la realtà e la personalità di coloro ai quali sono rivolti.

I terapeuti strategico-sistemici esaminano i sintomi, i problemi e le psicopatologie solo


allo scopo di ristrutturare e decostruire aspettative, etichette e stereotipi.
Con la ristrutturazione si ridefinisce il significato del comportamento e si rende possibile il
cambiamento in un sistema bloccato. Percependo la realtà in un’altra cornice si
ridefiniscono le premesse, ossia quelle etichette che governano certe modalità interattive che
alimentano il problema.

Il modello del problem solving strategico

1. Definire il problema attraverso l’osservazione: dalla diagnosi medica a ciò che è in realtà
il comportamento. Come si manifesta l’attuale comportamento problematico? Qual è la
sensazione dominante? Occorre strappare l’etichetta e osservare il problema secondo le
cinque W (quela è il problema presente? Quali sono gli attori principali? Quando si verifica?
Dove si verifica? Come funziona?) e da diverse prospettive (insegnanti, genitori,
studenti…).
2. Definizione dell’obiettivo: occorre definire uno SMART Goal, ossia un obiettivo che sia
specifico, misurabile, attuabile, rilevante e temporale (con una scadenza). Occorre poi
interrogarsi sulle strategie migliori per raggiungerlo, andare cioè a interrogarsi su tutte le
previe tentate soluzioni
3. Occorre individuare delle eccezioni, e cioè chiedersi quando lo studente fa qualcosa di
diverso. Nessun problema infatti accade tutto il tempo. Identificare ed esplorare le eccezioni
già esistenti può essere un potente strumento da usare per aumentare le possibilità di
cambiamento e di successo. Per fare ciò occorre cambiare lenti, perché spesso gli agenti
intorno al bambino cercheranno indizi per confermare la loro tesi. Focalizzando l’attenzione
sulle eccezioni già esistenti si mette in discussione l’etichetta e la propria percezione rigida.
Inoltre, sapere che esistono delle eccezioni anche in sistuazioni apparentemente senza via
d’uscita fa considerare il possibile cambiamento avviandone il suo processo.
4. Come peggiorare: tecnica problem-oriented: se voglio deliberatamente peggiorare la
situazione cosa posso fare o non fare, dire o non dire, pensare o non pensare? Se voglio
raddrizzare qualcosa prima devo capire come storcerla ancora di più.
5. La domanda del miracolo: lo scenario oltre il problema: se accadesse un miracolo cosa
cambierebbe nello studente, nella classe e e nel mio comportamento? Occorre insomma
chiedersi quale sia lo scenario oltre il problema (che lo studente studi in maniera autonoma,
che confidi maggiormente nelle proprie capacità…).
6. Creare un piano d’azione con il quale procedere passo dopo passo secondo la tecnica dello
scalatore. Partire dall’alto verso il basso, dall’obiettivo finale smart fino a ciò che è
necessario per raggiungerlo.
Le 4 sensazioni di base sono paura, rabbia dolore e piacere, da esse derivano tutte le nostre
altre emozioni.

Difficoltà basate sulla paura

La aura è una sensazione primitiva umana fondamentale, che ha aiutato l’uomo nel suo processo
evolutivo e di adattamento in un ambiente a volte anche pericoloso. Tuttavia, quando la paura
persiste diventa ansia che si manifesta sottoforma di fobie, comportamenti compulsivi e
somatizzazioni.

Il disturbo d’ansia secondo il DSM-V

Nei bambini così come negli adulti l’ansia cambia e non è più episodica quando interferisce sul
funzionamento o se inficia l’apprendimento. In questi casi si evolve divenendo problema e
addirittura disturbo.
Trascurare il disordine d’ansia aumenta i rischi nei bambini: basso profitto scolastico, riduzione
delle attività sociali, abuso di sostanze… l’eccessiva ansia in età scolastica sembra essere correlata
ai disturbi di ansia nella vita adulta.
La paura può dunque manifestarsi in varie forme: esperienze di ansia patologica, sintomi
psicosomatici, attacchi di panico.
La paura conduce al blocco della performance per paura del fallimento o la paura di commettere
errori e conseguente senso di vergogna e paura del giudizio: si cerca il controllo, ma ci si inceppa
quando si agisce e si perde il controllo. Non si riesce a fare quello che si faceva. Si evitano così
esami, di parlare in pubblico, di rispondere all’insegnante, di ultimare lavori, gare sportive, ecc.

Tra i disturbi d’ansia vi sono: le fobie specifiche di specifici oggetti, attività e situazioni; che
innescano comportamenti evitanti; l’agorafobia, rara in infanzia e presente in adolescenza, che è la
paura di restare soli in luoghi pubblici da cui la fuga è difficile; la fobia sociale che può verificarsi
in tarda infanzia o adolescenza e si presenta sotto forma di paura irrazionale del giudizio si
manifesta quando bisogna fare qualcosa in presenza di altri.

Anche il distrubo ossessivo-compulsivo rientra nei disturbi legati alla paura: si ha la presenza di
pensieri ossessivi e idee intrusive che persistono nonostante la consapevolezza della loro
irragionevolezza. Sono pensieri molto resistenti di solito accompagnati da azioni compulsive
finalizzate al controllo (pulizia, rituali magici…). Nessun argomento razionale e logico fa invertire e
convince di smettere di fare i rituali di che possono essere preventivi o riparatori.

I Tic sono noti anche con contrazioni o spasmi abitudinari ed involontari. Sono movimenti di
muscoli o gruppi di muscoli involontari e improvvisi, senza uno scopo evidente. Possono essere
anche accompagnati da suoni e insorgono tra i 4 e i 5 anni di età.

La balbuzie è invece l’interruzione ripetuta del flusso del discorso, con ripetizione, prolungamento
o blocco dei suoni. Nel discorso dei bambini e degli adolescenti ci sono spesso esitazioni e
irregolarità nel ritmo del discorso. La gravità della balbuzie varia dalla ripetizione occasionale del
discorso, delle parole, al grave blocco del discorso che interferisce seriamente con la
comunicazione. Le balbuzie possono avvenire in certe situazioni o possono essere generalizzate.

Il mutismo selettivo/elettivo è una condizione in cui il bambino, anche se in grado di parlare, si


rifiuta di farlo in determinate situazioni, mentre parla liberamente in altre: principalmente in casa,
quando è in compagnia di familiari o altre figure familiari. Influenza la socializzazione scolastica e
l’apprendimento.
Rifiuto scolastico: frequente e persistente incapacità di frequentare la scuola per motivo sconosciuti
e ritenuti illegittimi dai regolamenti della scuola. L’assenteista evita intenzionalmente di andare a
scuola e spesso ciò è correlato al basso rendimento, a scarsa motivazione e mancanza di interesse. Il
rifiuto scolastico, riconosciuto anche come fobia scolare, è associato ad ansia e a un senso di
impotenza.

Dubbio: alcune domande si insinuano e si stabilizzano nella mente come un virus, conducendo a
uno stato di angoscia costante con picchi di ansia elevata. Il soggetto cerca di trovare la risposta alla
domanda che lo assilla e trovata una risposta subito nella sua mente contrappone argomentazioni
che si inseguono e si scontrano incessantemente.

Difficoltà basate sul dolore

Non tutti esprimono il loro dolore con il pianto. Altre forme per esprimere il dolore sono:
l’impazienza, l’intolleranza alla frustrazione, l’eccessivo attaccamento, l’avanzare eccessive
richieste e lamentele. In altri casi vi è la perdita di interesse per i giochi o le attività in precedenza
preferite, agitazione, stanchezza, difficoltà a pensare e a concentrarsi, oppure anche senso di
inutilità, di impotenza, di colpevolezza, bassa autostima, disperazione e talvolta pensieri suicidi.
Il dolore è una sensazione legata a qualche evento che ha avuto luogo in passato ma che
continua a infastidire il presente, come una ferita ancora aperta. Questa sensazionale abbraccia
varie dimensioni fisiche ed emotive ed è legata a una perdita. Non c’è modo di cancellare un
evento spiacevole, ma il modo in cui abbiamo a che fare con esso può aiutare a guarire o prolungare
il dolore.

Traumi e situazioni sgradevoli: non tutti i bambini reagiscono allo stesso modo di fronte alle
situazioni traumatiche. Ci sono anche bambini che l’attribuiscono un senso e che adattano a sé la
situazione rendendola funzionale al proprio processo di crescita: diventano resilienti.
Delusioni: le delusioni possono essere sperimentate in relazione a se stessi, agli altri (tradimento,
negligenza, abuso…), al mondo (catastrofi naturali, sfortuna…).

Comportamento autolesivo: sollievo al dolore. L’autolesionismo prevale in adolescenza. Spesso è


un comportamento non verbalizzato, con il quale si cerca sollievo da uno stato d’animo di difficoltà.
La ricerca dimostra che vari comportamenti autolesionistici non emergono come un atto volontario
auto-distruttivo o punitivo, ma sembrano essere atti con i quali indurre quel dolore fisico in grado di
sedare un dolore più grande, quello emotivo.
Il dolore che diventa piacere: Laborit sostiene che spesso la maggior parte dei comportamenti
compulsivi che mirano a sedare si trasformano in sensazioni piacevoli. I pazienti confessano che nel
tempo questo genere di compulsioni perde la funzione di sedare il dolore ma induce piacere.
Attraverso l’autolesionismo è possibile manipolare e tenere in ostaggio le persone intorno. Esso può
diventare un mezzo per ottenere ciò che si vuole dagli altri e che permette di avere il controllo. Dà
vantaggi secondari che portano a resistere e a rifiutare l’aiuto.

Anoressia nervosa sacrificante: solitamente sorge in particolari contesti familiari. Gli anoressici
sacrificano se stessi per una causa e mirano a ottenere vantaggi come impedire la separazione dei
genitori.
Anoressia nervosa astinente: solitamente sono molto intelligenti ma anche fragili. Mostrano
difficoltà nel controllare le emozioni. Attraverso l’astinenza dal cibo ed evitando le esperienze
piacevoli, gradualmente si anestetizzano sia dal punto di vista emotivo che percettivo.
Depressione: rinuncia alla vita. Senso di impotenza verso se stessi gli altri o il mondo. Una varietà
di sintomi accompagnano la sensazione di impotenza: irritabilità, disinteresse, perdita di piacere,
cambiamento nel ritmo del sonno, variazione di appetito e di peso, comportamenti di ritiro o episodi
di aggressività, diminuzioni della capacità di pensare e di concentrarsi, pensieri di morte…

Difficoltà basate sulla rabbia

La rabbia nasce da un senso di ingiustizia e si innesca per un circolo vizioso tra illusione,
delusione e rabbia. Mentre il dolore è l’incapacità di reagire, la rabbia è l’incapacità di non
reagire.
La rabbia si può rivolgere verso di sé (limiti veri o presunti, mancanza di competenze,
autolesionismo e auto-sabotaggi); verso gli altri (persone specifiche, rivalità conflitto, litigio,
tradimenti, provocazioni); verso il mondo (natura società, sistema, Dio…).
Si ha un effetto pentola a pressione: spesso tendiamo a trattenere e reprimere i nostri sentimenti
finché non c’è uno sfogo o un’esplosione. Occorre invece fare defluire la rabbia e non aver paura di
essa. Bloccarla non è salutare. l’espressione è una liberazione.
Si ha rabbia sia quando ci si trova in una one-up position, e cioè ci si sente al di sopra di tutti gli
altri, sia quando ci si trova in una one-down position, ossia quando ci si sente umiliati e inferiori
agli altri che si incolpano di qualcosa.

Comportamenti basati sul piacere

Sono comportamenti che attirano l’attenzione, sono autolesivi, impulsivi, trasgressivi o giochi di
potere. In sintesi, tutti quei comportamenti che offrono vantaggi secondari. I comportamenti che
offrono questi vantaggi non possono essere risolti se prima l’educatore non ha saputo eliminare
questi vantaggi secondari.
Per intervenire in questi casi è necessario vincere senza combattere e cioè eliminare i vantaggi
secondari (indifferenza alle provocazioni quando un alunno fa lo sbruffone); prescrivere il sintomo
e cioè prendere il controllo sul comportamento indesiderato.
Occorre intervenire con Interventi paradossali: sviluppati negli anni ‘50 al Mental Research
Istitute di Paol alto ora sono utilizzati nei casi più resistenti, quando gli altri interventi sono
insufficienti. La manovra di base è chiedere al bambino di fare quello che farebbe in ogni caso,
intrappolandolo in un correttivo doppio legame, o una win-win situation: se lo studente agisce
con il comportamento indesiderato, l’adulto risulta avere il controllo siccome ha dato il permesso;
in caso contrario non verrebbe messo in atto il comportamento indesiderato. Entrambe le risposte
portano alla saturazione del comportamento indesiderato. L’intervento paradossale è
particolarmente efficace per i comportamenti oppositivi e provocatori.

Un problema comune in età infantile e adolescenziale è la manifestazione di tali comportamenti:


uso provocatorio di un’espressione volgare, ripetizione compulsiva di alcune frasi, scioccare
attraverso manifestazione di atti violenti, auto-indursi piacere erotico, autolesionismo.
Di solito si adottano ridondanti tentate soluzioni: richieste dirette o indirette per fermare o
ridurre il comportamento problematico; manovre correttive, come l’uso di punizioni (fatti uscire
dalla classe, esclusione, punizioni che danno vantaggi secondari, perché danno attenzione, rendono
lo studente come l’eroe della classe, sono percepite come ricompense perché si evita il lavoro di
classe…); ignorare l’agire indesiderato, spesso non può avvenire in maniera sistemica, perché non
può essere tenuto a lungo dall’insegnante che cede. Un atteggiamento di mancata attenzione non
solo non elimina il comportamento indesiderato, ma produce un effetto di rinforzo sul
comportamento che desideriamo cambiare; creare il caso, riportando e delegando ad altri il
problema.
Occorre innanzitutto dare una connotazione positiva al comportamento problema, invitando lo
studente più volte al giorno a mettere in atto il suo comportamento disturbante (sei un allievo
creativo e hai bisogno di esprimerti, quindi ti prego fai quello che devi fare per cinque minuti).
Si adottano poi gli interventi paradossali così da creare una win-win situation. Si chiede di
esibire un certo comportamento per ottenere un doppio effetto: l’educatore si sente più tranquillo
prendendo il controllo su un comportamento inappropriato, inquietante e provocatorio; si toglie
spontaneità al comportamento difficile e la bizzarra richiesta pone lo studente in un doppio legame:
continuare con il comportamento ormai svuotato del suo significato siccome viene richiesto da
qualcun altro; disobbedire alla prescrizione, dunque abbandonare il comportamento che non piace
all’adulto.

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