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VI Colloquio
Internazionale Ragusa,
12-14 ottobre 2006
ATTI
a cura di Mirella Cassarino
Postfazione di Antonio
Pioletti
Rubbettino
2009
INDICE
171
11
29 183
43 193
61
81 205
91 221
103 233
127
253
141
Attilio Scuderi, Una notte più di mille: Sheherazade in viaggio 311
nel Novecento
Évanghélia Stead, La Mille et Deuxième Nuit. Réflexions sur un 321
cor- pus en construction et sur un titre
APPENDICE
341
Abdelfattah Kilito, La Seconde Folie de Shahriar
POSTFAZIONE
Antonio Pioletti, Del narrare storie su storie: i Colloqui «Medioevo 359
ro- manzo e orientale» e le orme di Shahrazàd
INDICI 373
Indice degli Autori e delle Opere 381
Indice della Bibliografia
Stefania Arcara
Shahrazàd narratologa postmoderna: «The
Djinn in the Nightingale’s Eye» di Antonia
S. Byatt
Salman Rushdie, nel suo Haroun and the Sea of Stories, rievoca
l’immagine di migliaia di storie in forma liquida che confluiscono in
un immenso oceano e che possiedono «l’abilità di cambiare, di
diventare nuove versioni di se stesse, di unirsi ad altre storie e
diventare così ancora nuove storie»1. Anche Italo Cal- vino, com’è
noto, evidenzia questo stesso irrefrenabile dinamismo delle storie che
non cessano di mescolarsi e rinnovarsi quando, nell’introduzione alle
Fiabe italiane, parla della «natura tentacolare, aracnoidea» 2 dell’oggetto
del suo stu- dio. Allo stesso modo, «la vita irreprimibile delle storie
antiche» e la loro persi- stenza in forme nuove sono argomento del
saggio di Antonia S. Byatt intitolato Old Tales, New Forms nel quale la
scrittrice inglese tratta delle «continue meta- morfosi»3 delle storie
antiche ed esplora il fascino che queste hanno esercitato ed
esercitano su scrittori moderni e contemporanei.
Come è stato notato da più parti4, la predilezione che molti
autori di fine millennio hanno mostrato per le Mille e una notte è da
ricondursi ad alcune affi-
1 «[I]n fluid form, they retained the ability to change, to become new versions of
themselves, to join up with other stories and so become yet other stories». S.
Rushdie, Haroun and the Sea of Stories, Granta, London 1990, p. 72 (trad. it. Haroun
e il Mar delle storie, Mondadori, Milano 1991). Il titolo del racconto di Rushdie è
ispirato a quello dell’antico testo indiano Katha Sarit Sagara, mentre i nomi dei due
protagonisti, Rashid e suo figlio Haroun, rimandano chiaramente al califfo Haroun al
Rashid delle Mille e una notte.
2 I. Calvino, Introduzione a Fiabe italiane, Einaudi, Torino 1956, p. XIX.
3 A.S. Byatt, Old Tales, New Forms, in On Histories and Stories: Selected Essays,
Chatto & Windus, London 2000, pp. 123-50: 124 (la traduzione è mia).
4 F.J. Ghazoul afferma al riguardo: «Il n’est sans doute pas surprenant que Les
Mille et Une Nuits soient devenues une source de fiction spéculative postmoderne.
Elles sont, après tout, le mythe des mythes, une histoire sur la narration, un récit
sur la fonction du récit». Cfr. F.J. Gha- zoul, Shahrazad postmoderne, in Les Mille et Une
Nuits en partage, sous la direction d’Aboubakr Chraïbi, Actes Sud, Paris 2004, pp. 162-
67: 167. Analogamente, M. Paino ha rilevato le suggestio- ni esercitate dal testo
orientale su alcuni scrittori italiani novecenteschi e in particolare, a proposi- to di Italo
Calvino, pone l’attenzione su «l’ardua architettura senza autore di quei racconti»
e la
«continua frammentazione che è [...] veicolo di dilazione e di una sempre
rinnovata chance affa- bulatoria garante di sopravvivenza». M. Paino, L’ombra di
Sheherazade. Suggestioni dalle Mille e una notte nel Novecento italiano, Avagliano, Cava de’
Tirreni 2004, p. 78.
2 Stefania Arcara
9 A. Carter, The Bloody Chamber and Other Stories, Gollancz, London 1979 (La
Feltrinelli, Milano 1997, p. 158. La studiosa dedica un paragrafo del suo libro alla
narratrice orientale, intito- lato significativamente «Sheherazade intrappolata
nel testo» (pp. 153-65).
4 Stefania Arcara
(translation by Richard F. Burton), Modern Library - Random House, New York 2001.
14 Cfr. M. Murai, Telling Your Own Stories: Women, Desire and Narrative in Fairy Tales,
care a uno scià le porte del sonno [...]. Non era una meddah, narratrice di racconti
meravigliosi alla corte ottomana o nei caffè del mercato. Era
semplicemente una narratologa, un essere di second’ordine, che
passava le sue giornate china in grandi biblioteche [...]. Due o tre volte
l’anno volava in strane città, in Cina, Messico e Giappone, in
Transilvania, a Bogotà e nei mari del Sud, dove i narratologi si radu-
navano come storni, parlamenti di saggi pennuti, per raccontare storie a
proposito delle storie16.
16 Byatt, Il genio, cit., pp. 7-8 (Byatt, The Djinn, cit., pp. 95-96).
17 Ivi, p. 23 (Byatt, The Djinn, cit., p. 121).
18 Ivi, p. 78 (Byatt, The Djinn, cit., p. 212).
6 Stefania Arcara
lo, proprio come viene narrato nella «Storia dei ginn e dei diavoli
imprigionati nei boccali» nelle Mille e una notte.
Il racconto procede attraverso una serie di storie interpolate,
quando il genio racconta a Gillian la storia della propria vita che, a
sua volta, “contiene” le storie delle donne che egli ha servito nel
corso dei secoli tra harem e palazzi reali: in tempi remoti la Regina
di Saba, quindi una giovane schiava alla corte di Solimano il Magnifico
e, nell’Ottocento, Zaffira moglie di un mercante di Smir- ne. Anche
Gillian, a sua volta, racconta al genio la storia della propria vita e il
testo diventa così un proliferare di storie di donne, antiche e moderne,
ambien- tate tra Oriente e Occidente negli ultimi tremila anni.
A partire dall’entrata in scena del genio della bottiglia, riconoscibile
abitan- te del mondo delle Notti, e dal suo primo incontro con la
narratologa inglese nella camera d’albergo – uno dei momenti più
riusciti del racconto – Byatt ope- ra un delicato incantesimo testuale,
riuscendo a intrecciare magicamente favola e realismo, fantastico e
verosimile, il passato mitico delle storie orientali e la
contemporaneità familiare ai lettori. Con tocchi di sottile umorismo
descrive le difficoltà del ginn ad adattarsi agli usi e costumi della
nuova era in cui egli si trova; per esempio, incuriosito dal televisore
acceso nella camera d’albergo, il ginn commenta:
L’atmosfera qui è piena di presenze che non capisco – [...] emanazioni
elettriche di esseri viventi, e non solo di esseri viventi, ma anche di frutta
e fiori e luoghi lontani [...]. È accaduto qualcosa di terribile al mio
spazio [...]. Sono maghi questi uomini, o tu sei una strega, visto che
li hai messi in una scatola?
– No, è scienza. È la televisione. È fatta con onde luminose e sonore e raggi
catodici
– non so come sia fatta, sono solo una studiosa di letteratura [...].
Oggigiorno, cre- do che la maggior parte della gente guardi queste
scatole, in tutto il mondo. [...]
Il ginn si accigliò19.
E ancora:
[Gillian] sapeva di essere fortunata. Le sue antenate, a cui pensava
sempre più spesso, probabilmente non raggiungevano la sua età.
Morivano di parto, di influen- za, o tubercolosi, o febbre puerperale, o
semplice spossatezza, morivano, andando ancora più indietro nel
tempo, a causa dei denti cariati e inservibili, delle rotule fratturate,
della fame, dei leoni, delle tigri [...]. Alcune narratologhe parlavano con
compiaciuta reverenza di vecchie rugose e sagge, ma lei non era una
vecchia rugo- sa, era un essere senza precedenti, una donna con i denti
incapsulati in porcellana, la vista corretta col laser, denaro proprio, propria
vita e sfera di potere, che volava, e dormiva tra magnifiche lenzuola
qua e là per il mondo [...]23.
metaforico, il filo della sua narrazione, con il sudario che le viene preparato ogni
giorno per la mattina successiva. Poiché re Shâhrîyâr, come il conte
Gualtieri, si assume il compito di essere marito e destino [...]25.
28 Byatt, Old Tales, New Forms, cit., p. 132 (la traduzione è mia).
29 Esso rappresenta sia «la morte come forza che rinvigorisce, sia la passione di
leggere sto- rie» (Byatt, Old Tales, New Forms, cit., p. 132). In termini freudiani il ginn
con la sua eternità può essere letto come una manifestazione dell’inconscio; cfr.
S. Sellers, The Double-Voice of Lau- ghter: Metamorphosing Monsters and Rescripting Female
Desire in A.S. Byatt’s “The Djinn in the Nightingale’s Eye” and Fay Weldon’s “The Life and Loves
of a She Devil”, in Myth and Fairy Tale in Contemporary Women’s Fiction, Palgrave, New
York 2001, pp. 35-50: 48.
30 Byatt, Il genio, cit., p. 106 (Byatt, The Djinn, cit., p. 257).
10 Stefania Arcara
signoria così sul loro marito come sul suo amore e d’aver dominio sopra di
lui». Ivi, p. 182.
33 Byatt, Il genio, cit., p. 112 (Byatt, The Djinn, cit., p. 266).
34 Ivi, p. 116 (Byatt, The Djinn, cit., p. 272).