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La Convenzione di Ginevra e lo status dei rifugiati PAOLO BENVENUTI

La convenzione relativa allo status dei rifugiati (Ginevra 28 luglio 1951) è lo strumento di riferimento per la
protezione di colui che: "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è
cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non
avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non
può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra".

La Convenzione è stata integrata da un protocollo, 31 gennaio 1967, che impegna gli Stati ad applicare la
Convenzione a prescindere dalle limitazioni temporali e geografiche da questa previste => il protocollo mira a far
cadere il limite temporale della convenzione, cioè il 1 gennaio 1951. Il limite geografico era riferito all’applicazione
Europea della Convenzione , mentre grazie al protocollo sarà possibile applicare la convenzione anche “altrove”.
Dicembre 1950 venne istituito l’UNHCR (alto commissariato),[organo sussidiario dell’AG]per risolvere il problema dei
120.000 rifugiati europei , ma i governi ritennero di non firmare un assegno in bianco rispetto a situazioni future e
decisero di limitare lo scopo della convenzione soprattutto ai rifugiati in Europa e agli avvenimenti verificatesi
anteriormente il 1 gennaio 1951; l’UNHCR aveva scadenza triennale e venne rinnovato sempre fino al 2003 quando
gli venne attribuito un mandato permanente. Parallelamente al fenomeno dei rifugiati si è posta l’emergenza de 25
milioni di sfollati , persone che , sradicate dai loro luoghi di origine , NON hanno attraversato il confine del proprio
stato e pertanto non rientrano nel campo di applicazione della convenzione.

La finalità della convenzione è essenzialmente umanitaria =>[se ne deve tener conto nell’interpretazione delle
regole che impedisce di riconnettere al riconoscimento dello status di rifugiato valutazioni di natura politica che
potrebbero creare tensione fra gli stati.]NON E’ VOLTO A CONTRASTARE LE CAUSE POLITICO / SOCIALI IN CUI SI
TROVA IL FENOMENO DELLA FUGA ma fornisce alle vittime della persecuzione protezione internazionale e
assistenza in attesa di un ritorno volontario nel Paese di origine, allorché questo sia tornato sicuro.
Lo strumento umanitario non deve essere concepito come sostituto della responsabilità e dell’azione politica degli
Stati nell’evitare e nel risolvere crisi future.

RELAZIONE CONVENZIONE CON IL SISTEMA di PROTEZIONE INTERNAZIONALE.

La convenzione si inserisce nel più ampio sviluppo della normativa internazionale volta a proteggere i diritti
fondamentali della persona; questo sviluppo si articola in più indirizzi:
1)quello del diritto internazionale umanitario (4 convenzioni di Ginevra del ’49),
2)quello dei diritti umani [al momento dell’elaborazione della Convenzione trova la sua espressione nella:
-Convenzione per prevenzione e repressione del crimine del genocidio(9/12/48)
-nella dichiarazione universale dei diritti umani del 10/12/48)]
3) quello della protezione dei rifugiati.
Per molti aspetti la normativa posta a tutela dei rifugiati può essere considerata strumentale rispetto alla normativa
posta a tutela dei diritti umani, poiché mira ad assicurare ai rifugiati il più ampio esercizio dei diritti e delle libertà
sanciti dalla Carta delle NU e dalla Dichiarazione Universale
Il diritto di cercare asilo si arricchisce a partire dalla convenzione del 1951, con l’obbligo a carico degli Stati di
concedere accoglienza ai richiedenti asilo che ne facciano richiesta, nonché di attribuire loro un livello minimo di
trattamento che copra i fondamentali aspetti della loro vita la convenzione enuncia una serie di diritti primari che
può dirsi siano equivalenti a quelli di cui godono i cittadini stranieri che vivono legittimamente in un dato paese.

La Capacità di adattamento della Convenzione a nuove situazioni.

La convenzione ed il suo protocollo restano il punto di riferimento della protezione dei rifugiati a livello universale;
alcune sue disposizioni, come il principio del non refoulement, sono riconosciuti dal diritto internazionale
1
consuetudinario.
A partire dalla Convenzione si sono sviluppate iniziative regionali portatrici di notevoli contributi al sistema di
protezione [ convenzione che regola il problema dei rifugiati in africa del 9 , sia la dichiarazione di Cartagena de
Indios del 1984.]
Art. 63 del Trattato della Comunità europea ha provveduto a vincolare la normativa europea a quella della
convenzione e del suo protocollo che agiscono come limite di legittimità della legislazione comunitaria derivata.
Vari Stati, preoccupati che tale sistema di protezione possa costituire fonte di abusi, e non sufficiente fonte di
contrasto contro il fenomeno dell’ immigrazione illegale, hanno escogitato varie forme di protezione alternativa con
l’effetto di deviare le persone in pericolo verso forme più deboli di tutela rispetto a quelle della Convenzione.
L’UNHCR ha lanciato così iniziative per riconfermare la Convenzione come la Global Consultations che ha elaborato
una Agenda for protection con lo scopo di dettare agli stati gli obiettivi che riconfermano i principi della Convenzione.

I REQUISITI PER IL RICONOSCIMENTO DELLO STATUS di RIFUGIATO.

Il riconoscimento dello statuto di rifugiato è legato al ricorrere di una serie di condizioni indicate in modo generale e
astratto nella convenzione. [eleggibilità del rifugiato]
Le clausole di inclusione si fondono su 3 requisiti:
1) fondato timore di persecuzione (art. 33.1 secondo cui gli Stati contraenti non potranno espellere o respingere un
rifugiato verso le frontiere dei luoghi dove la sua vita e la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza,
religione, nazionalità ecc..) sulla base dei motivi elencati nell’art 1°A (emerge un aspetto soggettivo della posizione
dell’interessato, esiste poi un elemento oggettivo dato dalla fondatezza),
2) l’allontanamento dal Paese di origine,
3) la mancanza di protezione da parte dello Stato di origine.

1)FONDATO TIMORE di PERSECUZIONE


- ASPETTO SOGGETTIVO: la valutazione delle posizione dell’interessato è assunto dall’esame delle sue
dichiarazioni e dalla sua percezione del timore[ si tiene conto dei suoi precedenti personali e familiari , razziali ecc..]
- ASPETTO OGGETTIVO (fondatezza): il timore è valutato secondo criteri di OBBIETTIVITA’ considerando
alcuni elementi di verifica. In tale contesto è opportuno condurre una valutazione autonoma di ciascuna situazione
individuale, anche se non è esclusa la determinazione collettiva di status( quando non è possibile procedere alla
determinazione caso per caso).

PERSECUZIONE la Convenzione non ne fornisce alcuna definizione per, dall’articolo 33 .1 deduciamo che
persecuzione è “ ogni minaccia alla vita o alla libertà della persona per ragioni di razza(..)” si deve prescindere
anche gli ulteriori strumenti internazionali rilevanti in materia della tutela dei diritti umani, per cui costituisce
persecuzione la privazione intenzionale e grave dei diritti fondamentali della persona per le stesse ragioni di razza,
religione, nazionalità ecc..  distinzione tra il termine persecuzione e atto di discriminazione.. una atto di
discriminazione diventa persecuzione nel momento in cui implichi conseguenze gravi per l’individuo che le subisce..

2) L’ALLONTAMENTO DAL PAESE D’ORIGINE.


Elemento di inclusione è costituito dall’allontanamento dal Paese d’origine, gli Stati sono tenuto ad ammettere la
domanda d’asilo presentata:
1) da persona che abbia fatto ingresso nel territorio dello Stato nel quale ha motivo di ritenersi sicuro,
2) dalla persona che quando si determinano nel paese d’origine le condizioni per le quali vi sarebbe un
fondato timore di persecuzione in caso di ritorno.(rifugiati sur place)
Nessuna restrizione può essere posta se non quelle previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie alla
sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico ecc … eventuali misure di
detenzione dei richiedenti d’asilo sono dunque eccezionali.
Si è discusso se la domanda di asilo sia ammissibile per persone che non hanno ancora fatto ingresso nel territorio
dello Stato, ci si è domandati se esista un obbligo dei governi di ammettere nel territorio e di non respingere colui
2
che presentandosi alla frontiera faccia domanda d’asilo alle autorità li dislocate. Una simile interpretazione restrittiva
in merito alla richiesta di asilo in frontiera è del tutto fuori luogo, sia perché contraria allo spirito della convenzione
sia perché conforme ad una lettura sistematica delle sue regole. Queste non giustificano alcuna discriminazione tra
colui che si trova a contatto con le autorità statali in frontiera rispetto a coloro che sono riusciti a entrare nel
territorio dello Stato, e per di più illegalmente. È obbligo degli Stati ammettere alla valutazione di eleggibilità le
domande di asilo di coloro che si presentano in frontiera e perciò stesso si pongono in contatto con le autorità dello
Stato. Il principio di non respingimento è di fondamentale importanza anche nella circostanza in cui il richiedente
asilo si presenta in frontiera.

3) L’ASSENZA di PROTEZIONE DA PARTE DELLO STATO di ORIGINE.

Il terzo elemento di inclusione è costituito dall’assenza di protezione da parte dello Stato di origine.
Si può cogliere l’occasione per sottolineare che appare dubbia la legittimità di soluzioni quale quelle contenuta nella
direttiva della comunità europea relativa alla qualificazione del rifugiato, in virtù della quale si ipotizza che lo status
di rifugiato possa essere negato quando la protezione dell’individuo possa essere offerta da partiti o organizzazioni
comprese le organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio. È chiaro
che qst autorità non statali NON SONO UNA GARANZIA ADEGUATA perché, oltretutto, non sono parti del trattato
internazionale a tutela della persona e non possono essere considerate responsabili di un’eventuale violazione del
trattato ( o della sua mancata attuazione ). Pertanto gli Stati membri non devono negare automaticamente la
protezione in base alla circostanza che un’organizzazione è presente e opera sul territorio, ma devo considerare in
che misura la singola persona ha accesso alla protezione effettiva.
INDIVIDUAZIONE DELL’AGENTE di PERSECUZIONE stesso apparato statale: organi de jure e organi de facto. Inoltre
può anche essere un agente terzo non statale ( movimento ribelle, milizia locale..) che opera all’interno del territorio
dello Stato e non è identificabile con esso ( o si oppone ad esso , oppure non è in grado di opporsi ad esso).
È opinione dell’UNHCR che l’origine delle persecuzione non deve essere decisiva nel determinare lo status del
rifugiato , è invece rilevante la circostanza che una persona necessità di protezione nei confronti di un qualunque
agente di persecuzione anche se si tratta di entità non statali.

LE CAUSE di PERSECUZIONE.

Indicate negli art.1 e 33. Per quanto riguarda la “ appartenenza a una determinata categoria sociale” in cui , grazie
alla formulazione elastica sono fatte rientrare anche le PERSECUZIONI di GENERE( anni 90 , è emerso il consensus
per cui certe richieste di asili o per persecuzioni di genere , rientrano nell’ambito di applicazione della Convenzione).
Oltre a qst si aggiungono le persecuzioni per motivi sessuali e la mutilazione sessuale. Il problema è , in qst
circostanze l’individuazione degli agenti statali spesso presenti nella situazione di persecuzione della donna che non
si conformi a stringenti codici sociali o l’intento malizioso nel ledere la vittima, assente per quanto riguarda le
mutilazioni sessuali; è ormai condotta dell’ UNHCR che le persone che subiscono attacchi ecc.. e i cui governi non
possono o non voglio proteggerli vengano riconosciuti come rifugiati. Stesso discorso vale anche per i disertori in
caso in cui non sia previsto il diritto a l’obiezione di coscienza o se il conflitto viene condotto a disprezzo del diritto
umanitario internazionale.

LE CAUSE di ESCLUSIONE DALLA PROTEZIONE.

Vi sono alcune categorie di persone che sono escluse dal possibile riconoscimento dello status di rifugiato comprese
nelle categorie indicate all’art. 1F della Convenzione che nega l’estensione del trattamento di protezione a quegli
individui nei confronti dei quali si hanno serie ragioni di ritenere:
1) che abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o contro l’umanità,
2) che abbiano commesso un crimine grave di diritto comune al di fuori del Paese di accoglimento e prima di esservi
ammesse in qualità di rifugiati,
3) che si siano rese colpevoli di azioni contrarie ai fini e ai principi delle NU.
3
Da qui emerge come diritto internazionale dei rifugiati esclude la protezione a coloro che hanno violato i diritti umani
o hanno altrimenti commesso reati molto gravi ( Vd . Art. 14 §2). Le clausole di esclusone hanno natura di eccezione
rispetto alle prevalenti finalità umanitarie della convenzione, devono essere applicate in modo scrupoloso per
proteggere l’integrità dell’istituto dell’asilo con grande cautela e solo dopo valutazione delle circostanze individuali
del caso. Le clausole di esclusione dovrebbero seguire un’ interpretazione restrittiva del resto insita nel carattere
nominativo della elencazione. Anche l’iter logico
che conduce a prendere in considerazione per deciderne la rilevanza deve rispondere a questo loro carattere, i profili
relativi all’inclusione devono essere valutati prioritariamente, rispetto a quelli che potrebbero condurre
all’esclusione (post 11 settembre => applicazione slabbrata delle clausole di esclusione per paura di nuovi attacchi
terroristici).

LA PROCEDURA di RICONOSCIMENTO DELLOO STATUS di RIFUGIATO.

L’accertamento dello status di rifugiato ai sensi della convenzione spetta allo Stato contraente nel cui territorio si
trova la persona nel momento in cui chiede il riconoscimento. La convenzione è solo un quadro giuridico entro il
quale gli Stati costruiscono la propria politica di asilo e adempiono alla loro responsabilità di protezione dei
rifugiati, ogni stato agisce in conformità con il proprio sistema di diritto e secondo la procedura che si è data. [
l’UNHCR può cmq offrire la propria consulenza e svolgere il ruolo di sorveglianza che le è riconosciuto dal art.35.] L’
UNHCR ha invitato i Governi all’adozione di procedure eque rapide e flessibile e non restrittive in tema di asilo, che
tengano conto di quanto sia difficile in certi casi documentare la persecuzione. [ linee guida inserite nel Handbook on
procedures and criteria for determining refugee Status].
Anche per quanto concerne Stati dove non c’è un rischio di persecuzione , le richieste dei loro cittadini devono
essere adeguatamente ed individualmente considerate e, seppur con procedure accelerate, non si esclude che colui
che cerca asilo debba sempre disporre di una corretta procedura per far valere le proprie ragioni sostanziali.
Negli esodi di massa siffatta valutazione individuale potrebbe non essere possibile e può rendersi necessaria una
determinazione di gruppo o provvisoria di protezione alternativa che non può essere preclusiva della richiesta
dell’individuo a ottenere l’leggibilità a rifugiato ai sensi della convenzione.

PRINCIPIO DEL NON-REFOULEMENT E LA SUA PORTATA PRESCRITTIVA.

L’esito positivo della procedura porta al riconoscimento del diritto di non refoulement: si fa divieto allo Stato di
respingere il richiedente asilo verso i luoghi dove vi è rischio che la sua vita e la sua libertà sia minacciata in ragione
della sua razza, religione, nazionalità ecc... il principio di non refoulement sancito dall’art 33.1 ha una collocazione
centrale all’interno della convenzione, oggi di siffatto principio si afferma il carattere consuetudinario. Il
principio del divieto di respingimento si applica al richiedente asilo come tutela prodromica rispetto all’esito della
procedura, poiché la decisione relativa all’ asilo non è costitutiva dello status , bensì ricognitiva di uno status che si
acquista ex tunc in relazione ai requisiti per l’eleggibilità. La convenzione del 1951 definisce rifugiato una persona
che soddisfi le condizioni previste a prescindere dalla circostanza che non sia stato ancora formalmente riconosciuto
come tale ai sensi di una procedura di diritto interno.
L’operare del principio del non refoulement a favore del richiedente costituisce una necessaria misura cautelare
rispetto al pericolo imminente di una danno grave, ingiusto , irreparabile. Il rifugiato ha diritto ad un asilo sicuro, ciò
significa che non può essere in nessun modo respinto verso il Paese che costituisce per lui serio pericolo di
persecuzione  la responsabilità degli Stati si configura come una qualsiasi loro azione che conduca a un
refoulement. Tale responsabilità non è limitata a ciò che avviene sul proprio territorio, ma gli individui rientrano
nella giurisdizione dello Stato in circostanze nelle quali essi sono sotto l’effettivo controllo statale o sono lese da
coloro che agiscono per conto dello Stato  il principio del non refoulement si applica alla condotta degli agenti
statali e di altri che agiscono per conto dello Stato dovunque questo avvenga.

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L’ECCEZIONE DEL PERICOLO PER LA SICUREZZA DELLO STATO E DELLA SUA COMUNITA’.

Il beneficio del divieto di espulsione e di respingimento potrebbe subire un’eccezione nell’ipotesi contemplata all’art.
33.2  la regola del non refoulement non potrà essere invocata da un rifugiato , già riconosciuto come tale, quando
vi siano gravi motivi per considerare la persona un pericolo per la sicurezza dello Stato in cui si trova, oppure da un
rifugiato il quale, essendo stato oggetto di condanna passata in giudicato per un crimine o un delitto particolarmente
grave, rappresenti una minaccia per la comunità dello Stato. È evidente che i rifugiati sono tenuti, come qualsiasi
altra persona che viva sul territorio a rispettare le leggi dello Stato.
Un rifugiato non può restare sul territorio di uno Stato per 2 motivi:
1) in caso di serio pericolo della sicurezza dello Stato ospite,
2) nel caso che la sua provata e grave condotta criminale costituisca un pericolo per la comunità. In entrambi i casi
serve una corretta procedura giudiziaria che verifichi il caso individuale secondo i criteri generali esposti nell’art.33.2.

IL TRATTAMENTO DEI RIFUGIATI.

Il rifugiato ha titolo a una protezione internazionale più ampia della mera sicurezza fisica, si mira a garantire al
rifugiato una soglia di godimento di diritti che lo possono equiparare al cittadino dello Stato ospite, o alla posizione
dello straniero che vive legalmente all’interno del territorio. Il primo obbligo di trattamento a carico dello stato è
quello di non discriminazione fra i rifugiati.. ( art3) … Devono essere garantiti gli stessi trattamenti che sono garantii
anche ai cittadini, come la libertà religiosa e la libertà di istruzione .. per l’articolo 5 nessuna disposizione della
Convenzione può ledere i diritti e i vantaggi garantiti al rifugiato indipendentemente dalla Convenzione stessa 
importante per quanto riguarda i trattati posti a tutela dei diritti umani elaborati successivamente alla Convenzione.

LE CAUSE di CESSAZIONE.

La convenzione contempla una condizione di protezione destinata prima o poi a risolversi, una persona termina di
essere rifugiato quando gli elementi che stanno a fondamento del riconoscimento del suo status vengono meno e si
realizzano quelle cause di cessazione sulle quali l’UNHCR ha fatto chiarezza.
Le cause di cessazione sono divise secondo 2 aree:
1) riguarda i cambiamenti della condizione personale del rifugiato, cioè:
a)della riassunzione volontaria della protezione nazionale,
b) riacquisto volontario della cittadinanza,
c) acquisto di nuova cittadinanza,
d) ristabilimento volontario della residenza nel paese rispetto al quale sussisteva il timore di persecuzione.
2) venir meno delle circostanze oggettive, quando accade che gli elementi su cui si basava il timore non sussistono
più, quindi:
e) non può continuare ad avvalersi della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza,
f) nel caso di apolide, è in grado di tornare nel proprio Paese di cui possedeva la residenza abituale.
Il venir meno dello status di rifugiato, non vuol dire che la persona possa essere costretta automaticamente al
ritorno. Il ritorno deve essere assicurato e realizzato in sicurezza con dignità.
Un’altra possibilità di porre termine alla condizione di provvisorietà, oltre al rimpatrio volontario e l’integrazione
definitiva nella comunità dello Stato ospite, è il re insediamento della persona in uno Stato terzo.

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LA CONDIZIONE DELLA DONNA TRA PROTEZIONE E DIVIETO O di DISCRIMINAZIONE.
MARIA CLARA MAFFEI.

La tutela della donna nel diritto internazionale.

I diritti delle donne trovano completa salvaguardia nei numerosi strumenti di tutela dei diritti umani a carattere
generale e particolare, universale e regionale. Molte società, culture, religioni relegano le donne in condizioni di
inferiorità, negando loro i più elementari diritti, anche il basilare diritto alla vita. È vero che tutti gli esseri umani
nascono liberi ed eguali in dignità e diritti, ma sovente la società provvede rapidamente a rendere o a considerare gli
individui diversi, soltanto in ragione del loro sesso, di qui la necessità che il diritto nazionale ed internazionale
intervenga quanto meno a ripristinare e garantire la perduta uguaglianza.
I trattati internazionali che si occupano di condizione femminile possono essere suddivisi in 2 categorie:
1) quelli che vietano la discriminazione cioè intendono assicurare alle donne gli stessi diritti di cui godono gli
uomini (esempio trattati sulla parità di retribuzione ecc. …),
2) quelli che, sul presupposto che le donne sono soggetti deboli e per tale motivo esposte a determinati pericoli o
disagi, predispongono delle misure di tutela rafforzata (situazioni di oggettiva diversità rispetto all’uomo).
La distinzione cmq è debole, molto spesso infatti i trattati del 2 tipo perseguitano anche il fine di evitare una
discriminazione che potrebbe derivare dalla condizione di debolezza stessa.
Il primo gruppo di trattati e potenzialmente inesauribile, poiché ogni diritto si presta ad essere esercitato in modo
discriminatorio.
Nel secondo gruppo di trattati possono essere compresi quelle situazioni di oggettiva diversità, che possono porre la
donna in una situazione di svantaggio  abbiamo così una protezione rafforzata. Appartengono al secondo tipo le
convenzioni adottate in sede ILO a tutela della maternità.
Il primo trattato in materia è l’accordo internazionale per la repressione della tratta delle bianche (1904 Parigi)
seguito dalla convenzione internazionale relativa alla repressione della tratta delle bianche (1910 Parigi), dalla
convenzione internazionale per la repressione della tratta delle donne e dei bambini (1921 Ginevra), dalla
convenzione per la repressione della tratta delle donne maggiorenni (1933 Ginevra). 1950 => convenzione per la
repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui innova le precedenti
convenzioni superando le discriminazioni di tipo razziale e quelle di tipo sessuale.

L’OPERA DELLE NU.

Gli strumenti utilizzati dalle NU per affrontare il problema della condizione femminile sono molteplici: risoluzioni,
dichiarazioni di principi dell’ AG, istituzioni ad hoc, organizzazione di conferenze, adozione di trattati internazionali
ecc … finora si sono svolte 4 conferenze mondiali dedicate alla donna: 1975 Città del Messico, 1980 Copenhagen,
1985 Nairobi, 1995 Pechino. I risultati più significativi si sono avuti con la terza conferenza che ha prodotto le Nairobi
Forward - looking Strategies for the Advancement of Women.
Nel 2000 l’AG ha tenuto una sessione speciale intitolata Women 2000.. che ribadisce l’impegno a perseguire i fini e
gli scopi individuati a Nairobi e Pechino. I risultati delle conferenze mondiali sulla donna rivestono un’importanza
fondamentale per quanto riguarda l’opera dei compete tenti organi delle NU la cui attività ruota intorno
all’attuazione di principi e degli obiettivi emersi dalle Conferenze. L’elenco degli enti delle NU coinvolti a qualche
titolo nella promozione della condizione della donna potrebbe continuare, il loro limite però è quello d non avere
poteri vincolanti nei confronti degli Stati e di monitorare l’applicazione di strumenti che hanno valore meramente
raccomandatorio.
Hanno forza vincolante per gli Stati che li abbiano ratificati, i trattati adottati dall’AG in materia di diritti della donna
=> 3 convenzioni:
1) Conv. Diritti politici della donna (1953 NY) che costituisce l’applicazione del principio di uguaglianza sancito
dalla carta delle NU, [3 art. sostanziali, voto, elezioni, pubbliche funzioni..]
2) Conv. Nazionalità delle donne coniugate (1957 NY) rendere la nazionalità della donna indipendente dalle
sue vicende coniugali e di prevedere delle procedure privilegiate per l’acquisizione della nazionalità del
marito,( 72 stati parte)
3) Conv. Sul consenso al matrimonio (1962 NY)  età minima al matrimonio per entrambe le parti,registro
ufficiale e riferimento al fidanzamento delle bambine pre-puberi. ( 51 stati parte)

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LA CONVENZIONE SULL’ELIMINAZIONE di OGNI FORMA di DISCRIMINAZIONE CONTRO LA DONNA.

Si è avvertita la necessità di adottare uno strumento specificatamente dedicato al divieto di discriminazione in


ragione del sesso. La Convenzione sulla donna rappresenta il successo più rilevante nel campo della tutela della
donna. Attualmente, le Parti contraenti sono ben 180, tuttavia nonostante gli impegni assunti con la ratifica della
convenzione, l’AG rileva che molti paesi ancora non hanno dato pienamente corso ai precetti dettati dalla suddetta
convenzione.
La convezione sulla donna è stata preceduta da una dichiarazione di principi dell’AG delle NU del 1967 =>
discriminazione contro la donna come fondamentalmente ingiusta e un’offesa contro la dignità umana .(art1)senza
però fornire una vera e propria nozione di discriminazione( non era ancora stata prospettata l’idea che la
discriminazione in sé potesse costituire la violazione di un diritto )
Nemmeno la convenzione sulla donna vieta direttamente la discriminazione sessuale, non esiste una norma che
disponga che la discriminazione è vietata. Però L’art.2 della convenzione condanna la discriminazione contro la
donna e sancisce l’impegno delle parti a prevedere l’uguaglianza fra i sessi a predisporre misure che proibiscano
ogni discriminazione contro la donna ad astenersi da atti o pratiche discriminatori.
Le misure discriminatorie a favore della donna saranno ammissibili soltanto in via transitoria per accelerare il
raggiungimento dell’effettiva uguaglianza tra uomo e donna e dovranno essere abrogate una volta raggiunto tale
scopo.
Devono essere considerate inammissibili le riserve a carattere generale che rendono di fatto la convenzione
applicabile soltanto nella misura in cui essa sia compatibile con l’ordinamento interno dello Stato o con le
prescrizioni religiose in esso vigenti.[ alcune disposizione della convenzioni sono suscettibili di formare oggetto di
riserva, come quelle relative ai rapporti familiari.. Il COMITATO PER L’ELIMINAZIONE DELLA DESCRIMINAZIONE
CONTRO LA DONNA ha indicato gli art.2 e 16 come “ core provisions” della Convenzione e chiedendo agli stati di
ritirare eventuali riserve presentate su di essi.

MECCANISMI di CONTROLLO PER L’APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE.

La convenzione sulla donna prevede una seconda sezione( parte V) di carattere procedurale in cui sono disciplinati i
meccanismi di controllo sull’applicazione della convenzione stessa,e in cui è prevista l’istituzione di un Comitato per
l’eliminazione della discriminazione contro la donna, composto da 23 membri eletti per 4 anni dagli Stati.
Il controllo previsto è assai blando, le parti sottopongono al Comitato ogni quattro anni un rapporto sulle misure
legislative, giudiziarie, amministrative per l’applicazione della convenzione stessa. Il Comitato esamina i rapporti le
discute con lo Stato, formula eventuali suggerimenti e raccomandazioni.
I limiti di tale meccanismo sono evidenti: la veridicità di un rapporto è affidata alla buona volontà e alla sincerità
dello Stato che lo presenta, in più esiste il problema della mancanza di poteri vincolanti del Comitato che non è un
giudice quindi non può né condannare né adottare sanzioni verso gli Stati parti.
Il comitato può in alcune circostanze richiedere alle parti di presentare “reports on an exceptional basis”, oppure
adottare delle raccomandazioni generali concernenti particolari disposizioni della Convenzione, che, pur nel
perseguimento di condivisibili obiettivi, si sono discostate sensibilmente dallo scopo della Convenzione( es. la
circoncisione femminile non riguarda in strictu sensu la discriminazione)

IL PROTOCOLLO FACOLTATIVO ALLA CONVENZIONE.

Nel 1993 sono iniziati i lavori per l’adozione di un apposito protocollo alla convenzione che preveda una procedura
di ricorsi individuali.( si è visto che il lavoro del comitato era carente proprio per quanto riguarda le singole
violazioni).
Il protocollo( adottato dalle NU nel 1999) prevede che il Comitato possa ricevere e prendere in considerazione delle
comunicazioni sottoposte da individui o gruppi di individui che si ritengano vittime di una violazione dei diritti previsti
dalla convenzione.
Esaminata la comunicazione il Comitato trasmette alle parti interessate le sue osservazioni e raccomandazioni, lo
Stato coinvolto dovrà tenerle nella dovuta considerazione e rispondere al Comitato includendo le informazioni sulle
misure prese alla luce delle osservazioni del Comitato.
Il Comitato potrà condurre un inquiry in via confidenziale e trasmetterà i risultati della stessa allo Stato interessato,
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chiedendo gli di inviare un rapporto periodico sulle misure prese a seguito dell’inchiesta.
il Comitato rimane comunque sprovvisto di poteri coercitivi e vincolanti nei confronti degli Stati, dovendo limitarsi
ad inviare soltanto mere raccomandazioni, anche a seguito di violazioni gravi. Per alcuni la creazione del Protocollo si
sarebbe superflua, disperdendo le limitate risorse economiche.
Non vi è cmq una completa sovrapposizione fra i vari strumenti pattizi, anche per la formulazione letterale delle
disposizioni( rispetto alla CEDU del 1950, le disposizioni della Convenzione sulla donna sono meno incisive). Inoltre
sovente nei trattati si riconosco una serie di diritti, disponendo al contempo che non vi debba essere alcuna
discriminazione qst è 1 limitazione in quanto la violazione al divieto di discriminazione potrà farsi valere soltanto
se relativa a uno dei diritti garantiti, e non come violazione a sé stante. In alcuni casi cmq la Convenzione sulla donna
ha ampliato e precisato il concetto di uguaglianza dinanzi alla legge.

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LA CONVENZIONE DELLE NU CONTRO LA TORTURA E ALTRE PENE O TRATTAMENTI INUMANI E
DEGRADANTI MATTEO FORNARI.
L’obiettivo della messa al bando della tortura e la sua eliminazione è sempre stato ben presente agli organi delle
nazioni unite.
10 dicembre 1984 convenzione contro la tortura e trattamenti inumani e degradanti, entrata in vigore 26 giugno
1987 (spinta propulsiva circostanze degli anni ’70 in America Latina, Cile ecc … 1973 AG adottava una risoluzione con
cui condannava il ricorso alla tortura e chiedeva agli Stati di divenire parti agli strumenti internazionali che vietavano
tale pratica, si chiedeva agli Stati di adottarle misure necessarie per prevenire e vietare atti di tortura sul proprio
territorio, di garantire indagini e sottoporre a giudizio i torturatori).Nella Dichiarazione del 1975 venne per la prima
volta formulato un corpus di principi per combattere la tortura venne sottolineato il CARATTERE ASSOLUTO DEL
DIVIETO DI TORTURA, sottoporre a giudizio eventuali responsabili e fornire un equo risarcimento alle vittime.

La convenzione è articolata in 3 parti:

1) disposizioni che definiscono e proibiscono la tortura specificano le responsabilità degli Stati per prevenire e punire
gli atti di tortura compiuti nell’ambito della loro giurisdizione,

2) istituisce un sistema di monitoraggio basato sul Comitato contro la tortura competente a ricevere i rapporti degli
Stati sui provvedimenti adottati per svolgere i compiti in esso previsti,

3) contiene clausole facoltative.

L’originalità sta nella coesistenza di 2 sistemi distinti:

a) sistema di repressione degli atti di tortura,

b) sistema di controllo sull’applicazione della convenzione  ciò permette sia di applicare un controllo
internazionale degli Stati per atti di tortura nell’ambito della loro giurisdizione, sia di punire gli autori di tali atti, a
prescindere dal luogo dove essi si trovino, purché rientranti nella giurisdizione di uno Stato parte.

DEFINIZIONE di TORTURA PREVISTA DALL CONVENZIONE E IL SUO CONTENUTO.

Lo scopo della convenzione è di aumentare l’efficacia della lotta contro la tortura, secondo art. 1.1 con tortura si
intende:

“qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti,
fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o
confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata d’aver
commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o far pressione su una terza persona, o
per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze
siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su
sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle
sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate”.

La nozione di tortura è caratterizzata dai seguenti elementi:


a) include non soltanto la sofferenza fisica ma anche mentale,
b) la convenzione contempla soltanto la tortura ufficiale, quella praticata o ordinata da un soggetto che riveste una
carica ufficiale dello Stato,
c) deve essere inflitta per un fine o uno scopo preciso cioè ottenere informazioni o confessioni da un individuo o una
terza persona
Può però anche essere basata su qualsiasi forma di discriminazione, quest’ultimo elemento risulta impreciso in
quanto la discriminazione di per sé risulta essere una nozione giuridica difficilmente definibile.
Perplessità nascono laddove viene specificato che il dolore o le sofferenze derivanti da sanzioni legittime non
rientrano nella definizione di tortura e sono quindi sottratte alla disciplina della convenzione  gli Stati occidentali
erano concordi nel ritenere che la deroga prevista per le sanzioni legittime non fosse ammissibile qualora queste
avessero violato i criteri internazionali generalmente accettati.( come l’art 2 della Convenzione sui diritti umani e
all’art 31 della Convenzione di Vienna sui trattati sull’interpretazione dei trattati risp. all’oggetto stesso del trattato)
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Inizialmente all’art1 si specificava che la tortura costituiva una forma aggravata di trattamento crudele e degradante;
qst venne tolta, lasciando un margine di discrezionalità agli stati .Tuttavia nella convenzione è stata inserita una
disposizione di compromesso , l’art. 16 che proibisce atti consistenti in pene e trattamenti inumani e degradanti che
non siano atti di tortura qualora siano compiuti da un funzionario pubblico, o sotto sua istigazione o con il suo
consenso espresso o tacito. Emergono delle perplessità poiché
1) un atto inumano e degradante viene definito in “ negativo”, non viene definita la soglia di gravità tra qst e un atto
di tortura.
2) L’art.16 sembra meno vincolante per gli Stati , si limita a stabilire che questi si impegnano a proibire atti
consistenti pene e trattamenti inumani.
Il contenuto dell’art 16 sembra avere un carattere programmatico a discapito della tutela dell’integrità degli
individui; inoltre la mancanza di una chiara distinzione tra atti inumani e tortura crea concrete conseguenze, dovute
al fatto che alcune disposizioni della Convenzione si applicano solamente agli atti di tortura ( e non anche agli atti
inumani e degradanti caso T .M. c. Svezia).
La definizione formulata dalla convenzione è molto più restrittiva risp. a quella prevista in altri trattati
internazionali, : vi deve essere uno scopo specifico e il coinvolgimento di un pubblico ufficiale( CEDU ha ammesso
anche le azioni individuali)cmq la convenzione formula un divieto assoluto di tortura che non può essere derogato in
nessuna circostanza art. 2.2:

“Nessuna circostanza eccezionale, qualunque essa sia, si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra,
d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato eccezionale, può essere invocata in giustificazione della
tortura”.

22 novembre 2001 il Comitato ha sottolineato il divieto assoluto e la natura inderogabile dell’arti 16 della
convenzione art 3.3
(“1. Ogni Stato Parte si impegna a proibire in ogni territorio sotto la sua giurisdizione altri atti costitutivi di
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti che non siano atti di tortura quale definita all’articolo 1,
qualora siano compiuti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisce a titolo ufficiale,
o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso a tacito. Gli obblighi enunciati agli articoli 10,
11, 12 e 13, in particolare, sono applicabili sostituendo la menzione di tortura con quella di altre forme di
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
2. Le disposizioni della presente Convenzione lasciano impregiudicate le disposizioni di qualsiasi altro
strumento internazionale o della legge nazionale che proibiscono le pene o i trattamenti crudeli, inumani o
degradanti o che concernono l’estradizione o l’espulsione”).

LE NORME SOSTANZIALI DELLA CONVENZIONE: LA PREVENZIONE DELLA TORTURA.


La parte 1 della convenzione è costituita da norme sostanziali che formulano principi o dettano agli stati parte
determinati comportamenti.
La convenzione però prevede norme volte alla prevenzione della tortura: gli Stati hanno l’obbligo di adottare
provvedimenti legislativi, amministrativi o giudiziari efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un
territorio sotto la loro giurisdizione; (art 2) =>il corollario: art. 4. gli Stati devono contemplare nel loro codice penale
come reato, nonché prevedere pene adeguate, qualsiasi atto di tortura.
Art.3 vieta agli stati di espellere, respingere o estradare un individuo verso un altro Stato qualora vi siano motivi di
credere che in tale Stato esso rischi di essere sottoposto a tortura, questa norma è basata sul principio di
presunzione a favore dell’individuo, si ritiene cioè che laddove si verifichino sistematiche violazioni, sia altamente
probabile il compimento di atti di tortura. LA convenzione riconosce una particolare importanza anche alla
formazione professionale dei funzionari addetti alla custodia e al trattamento dei detenuti.( art10)
Per quello che riguarda la repressione degli atti di tortura, art. 5 introduce un sistema di giurisdizione universale per
perseguire gli autori di tale tortura, ogni Stato parte ha giurisdizione sugli atti di tortura qualora:
1) il reato sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione,
2) il presunto autore sia un cittadino del suddetto Stato,
3) la vittima sia un cittadino del suddetto Stato.
Esiste un giurisdizione territoriale universale in quanto subordinata alla presenza dell’accusato su territorio dello
Stato parte => art. 5.2:

“Ogni Stato Parte prende ugualmente i provvedimenti necessari al fine di stabilire la propria competenza
per conoscere dei suddetti reati qualora il presunto autore si trovi in un territorio sotto la sua giurisdizione e
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qualora il suddetto Stato non lo estradi, conformemente all’articolo 8, verso uno degli Stati di cui al
paragrafo 1 del presente articolo”.

L’esercizio dell’azione penale nei confronti di un presunto autore è garantita attraverso il rispetto del principio aut
dedere aut judicare. Lo Stato sul cui territorio si trova un individuo sospettato di aver commesso atti di tortura ha 2
possibilità: 1)estradarlo, 2) esercitare l’azione penale.( art 6 e 7). Infine è riconosciuto il diritto ad ogni individuo,
sottoposto a tortura, di poter sporgere denuncia e le autorità competenti sono tenute a procedere mediante
inchiesta imparziale.

PROCEDIMENTI di GARANZIA:
- IL COMITATO CONTRO LA TORTURA.

La convenzione istituisce un sistema internazionale di controllo, incentrato sul Comitato contro la tortura (art 17)
composto da 10 esperti che partecipano a titolo personale con un mandato di 4 anni.( rinnovabile 1 sola volta) Il
Comitato si riunisce 2 volte l’anno a Ginevra ed è coadiuvato dall’ Alto Commissariato delle NU per i diritti umani
che svolge funzioni di Segretariato.

- I RAPPORTI PERIODICI DEGLI STATI.

Il sistema di controllo del Comitato è disciplinato dagli artt. 19, 20 della convenzione, lo Stato interessato entro il
termine di un anno dall’entrata in vigore della convenzione nei suoi confronti, deve sottoporre al comitato un
rapporto sui provvedimenti adottati per assolvere i compiti previsti dalla convenzione stessa; dopo gli Stati devono
sottoporre dei rapporti quadriennali su qualsiasi nuovo provvedimento adottato.
Il Comitato esamina il rapporto, può fare dei commenti e trasmetterli allo Stato interessato che a sua volta può
comunicare qualsiasi osservazione utile. ( basato sul dialogo costruttivo fra le parti)
Il Comitato si deve limitare a formulare commenti di carattere generale; ogni anno deve presentare agli Stati e all’AG
un rapporto sulle attività intraprese in applicazione della convenzione e può decidere di inserire nel rapporto
annuale i commenti formulati in occasione degli esami dei rapporti periodici degli Stati.
L’efficace sistema di controllo, attraverso la trasmissione dei rapporti da parte degli Stati è rimesso interamente alla
volontà e buone fede di quest’ultimi.
Non essendo dotato di poteri coercitivi, il Comitato non può costringere uno Stato a presentare il suo rapporto entro
i termini e secondo le modalità stabilite. Una volta ricevuto il rapporto, il Comitato non potrà che limitarsi a
deplorare il ritardo dello Stato nell’assolvimento dei suoi obblighi in materia di reporting procedure.
LIMITI:
a) non c’è alcun obbligo per lo stato interessato di inviare un proprio delegato per ribattere ai fatti contestati, né è
tenuto a rispondere a particolari questioni sollevate da Comitato;
b) una volta contestato il compimento di atti di tortura in uno Stato, il Comitato non ha alcuna possibilità di ritornare
di sua iniziativa su questa particolare situazione nell’immediato futuro per verificare se lo Stato abbia adottato le
misure necessarie per eliminare tale pratica: dovrà attendere la presentazione del nuovo rapporto da parte dello
Stato interessato.

- IL POTERE di INCHIESTA DEL COMITATO.

IL Comitato è competente a ricevere informazioni credibili che contengano indicazioni fondate concernenti la
pratica sistematica della tortura esercitata sul territorio di uno Stato parte.
Può invitare lo Stato interessato a collaborare all’esame delle informazione e a comunicargli le sue osservazioni in
proposito, il Comitato può anche decidere di procedere ad un’inchiesta che sarà condotta da uno o più dei suoi
membri. L’esito di tale inchiesta è subordinato alla volontà dello Stato di collaborare: il Comitato deve richiedere la
cooperazione dello Stato e solo con il suo consenso i membri della missione di inchiesta potranno recarsi nel luogo in
cui c’è motivo di ritenere che siano stati compiuti atti di tortura. Alle fine delle indagini essi devono trasmettere al
Comitato un rapporto, e dopo aver esaminato le conclusioni ivi contenute, trasmette il rapporto allo Stato
interessato. Tutti i lavori del Comitato sono di carattere confidenziale . Il Comitato può decidere anche di inserire un
resoconto dei risultati dell’inchiesta nel rapporto annuale previo consultazione dello stato interessato.
Secondo l’art. 20 il Comitato non ha potere illimitato d’inchiesta: potrà infatti svolgere indagini soltanto qualora
riceva informazioni credibili sullo svolgimento di una pratica SISTEMATICA della tortura in uno Stato, tale condizione,
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perciò, risulta essere un limite all’azione del Comitato nella lotta contro la tortura, in quanto non potrà esercitare
inchieste su casi isolati di tortura anche se fosse in possesso di notizie ben fondate al riguardo. Inoltre , altro limite è
la possibilità degli stati di non riconoscere, al momento della firma o ratifica, la competenza del comitato di
procedere a inchieste nei loro confronti

-LE COMUNICAZIONI DEGLI STATI AL COMITATO.

La convenzione prevede un controllo consistente nella possibilità per gli Stati di comunicare al Comitato eventuali
violazioni delle disposizioni della convenzione ad opera in un altro Stato parte. Ogni Stato può dichiarare in ogni
momento di riconoscere la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare le comunicazioni con cui uno Stato
parte dichiara che un altro Stato parte non adempie agli obblighi derivanti dalla convenzione. questa procedura
interstatale è ammessa soltanto se entrambi gli Stati hanno riconosciuto la competenza del Comitato a pronunciarsi
sulla denuncia; ad oggi nessuno Stato ha adito il comitato in base all’art. 21:

“Ogni Stato Parte della presente Convenzione può, in virtù del presente articolo, dichiarare in ogni
momento di riconoscere la competenza del Comitato per ricevere ed esaminare le comunicazioni con cui
uno Stato Parte dichiara che un altro Stato Parte non adempie i suoi obblighi verso le disposizioni della
presente Convenzione. Tali comunicazioni possono essere ricevute ed esaminate conformemente al
presente articolo unicamente se emanano da uno Stato Parte che ha fatto una dichiarazione di
riconoscimento, per quanto lo riguarda, della competenza del Comitato. Il Comitato non riceve alcuna
comunicazione concernente uno Stato Parte che non abbia fatto tale
dichiarazione”.

Lo Stato che ritiene che un altro Stato non applichi le disposizioni della convenzione può chiedere a quest’ultimo la
trasmissione di chiarimenti( indicando le norme procedurali e rimedi giuridici già esperiti) per spiegare i motivi della
presunta violazione.( procedura che coinvolge soltanto gli stati)
Se entro sei mesi dalla richiesta di spiegazioni la questione non è stata risolta amichevolmente, ciascuno dei 2 Stati
ha il diritto di adire il Comitato, il quale esamina, a porte chiuse, la comunicazione ricevuta e mette i suoi buoni uffici
a disposizione degli Stati interessati al fine di giungere ad una soluzione amichevole della questione.
entro 12 mesi dal giorno in cui ha ricevuto la notifica dello Stato, il Comitato deve presentare un rapporto
contenente una breve esposizione dei fatti e della soluzione raggiunta. Se esso non è riuscito ad raggiungere una
soluzione amichevole , il rapporto del Comitato si limiterà ad una breve esposizione dei fatti .
LIMITI: no ruolo giudiziario, no adozione sentenze. La questione è lasciata alla volontà degli stati.

- LE RACCOMANDAZIONI DEGLI INDIVIDUI AL COMITATO.

La convenzione consente anche agli individui che sostengano si essere vittime di una violazione di rivolgersi al
Comitato. Tale diritto è subordinato alla volontà degli Stati, un individuo potrà adire il Comitato soltanto se lo Stato
presunto autore della violazione della Convenzione abbia dichiarato di riconoscere la competenza del Comitato a
ricevere ed esaminare le comunicazioni a esso sottoposte.
Una volta ricevuta la comunicazione il Comitato deve accertarne l’ammissibilità valutando se sussistono tutte le
condizioni indispensabili, la comunicazione non deve essere anonima, non deve essere incompatibile con le
disposizioni della convenzione, la questione non deve essere, o essere stata all’esame di un’altra istanza
internazionale.
Una volta accertata la ricevibilità del ricorso il Comitato deve portare la comunicazione all’attenzione dello Stato
chiamato in causa che deve fornire spiegazioni o dichiarazioni che delucidino la questione e indichino gli eventuali
provvedimenti adottati per rimediare alla situazione. Il comitato, a porte chiuse, esamina le comunicazioni ( any
communication) valutando anche aspetti e circostanze connesse alla questione, consultando qualsiasi altra fonte
ritenga opportuna. Alla fine del procedimento, il comitato comunica al ricorrente e allo stato le sue considerazioni e
le conclusioni di ogni caso analizzato vengono presentate annualmente all’AG. Lo stato interessato può formulare
qualsiasi commento che il comitato può rendere pubblico.

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- LE MISURE PROVVISORIE RICHIESTE DAL COMITATO.

Nel corso degli anni il Comitato ha chiesto più volte agli Stati di adottare misure provvisorie per impedire una
probabile violazione delle disposizioni della convenzione.
il Comitato non dispone di alcun potere coercitivo per indurre gli Stati a rispettare la richiesta di misure provvisorie,
si può ritenere che qualora uno Stato non adottasse tale provvedimenti esso porrebbe in essere un comportamento
in contrasto con l’oggetto e lo scopo della convenzione e terrebbe un comportamento contrario alla buona fede.

IL PROTOCOLLO FACOLTATIVO.

AG delle NU ha adottato il 18 dicembre 2002, il protocollo facoltativo alla convenzione contro la tortura, aperto alla
firma o alla ratifica degli Stati che hanno ratificato la convenzione. Il protocollo introduce un sistema di visite
regolari, condotto da un Sotto-comitato appositamente istituito, nei luoghi in cui individui sono privati della libertà
al fine di prevenire atti di tortura.
Il protocollo introduce un meccanismo di controllo parallelo basato sull’istituzione del Sotto-comitato per la
prevenzione della tortura e sulla istituzione di uno o più meccanismi nazionali preventivi composti da personale
esperto e qualificato.
Gli Stati garantiscono l’accesso dei membri del Sotto-Comitato sul loro territorio, forniscono le informazioni,
promuovono e agevolano i contatti tra il S-C e il loro meccanismo di prevenzione nazionale. Al termine di ogni visita il
S-C comunica le sue raccomandazioni allo Stato parte interessato e pubblica un rapporto a cui sono uniti gli eventuali
commenti dello Stato. vengono garantiti alcuni poteri essenziali ai meccanismi nazionali. Inoltre non è consentito
formulare riserve al protocollo. Per quanto riguarda il rapporto con gli altri strumenti internazionali, il protocollo
attribuisce al S- C una competenza SUSSIDIARIA rispetto al sistema di monitoraggio delle convenzioni regionali.( la
consultazione fra i vari organi è utile per evitare una duplicazione di ricorsi davanti a differenti istanze internazionali.
Il protocollo riconosce la supremazia delle disposizioni delle 4 convenzioni di Ginevra del 1949 e dei protocolli di
Ginevra del 1977 così come la possibilità per gli Stati di autorizzare il Comitato Internazionale della Croce Rossa a
visitare i luoghi di detenzione in situazioni non coperte dal diritto internazionale umanitario.

CONCLUSIONI.

Le procedure di controllo previste dalla convenzione possono dare adito a qualche perplessità:
1) è evidente la mancanza di strumenti coercitivi che obblighino gli Stati ad attuare le raccomandazioni,
2) possibilità di apporre riserve a norme fondamentali della convenzione limita l’efficacia di questo strumento
giuridico.
3) L’attuazione delle sue disposizioni viene lasciata alla discrezionalità e alla volontà delle parti.
Il Comitato si è trovato nella necessità di sfruttare in maniera ottimale la funzione riconosciutagli dalla convenzione,
di stimolo e incentivo per gli Stati a lottare efficacemente nella lotta contro la tortura => maggio 2002 viene istituita
la figura del Relatore per monitorare il rispetto delle decisioni adottate a seguito dei ricorsi ex art.22. il Relatore ha il
compito di controllare l’attuazione delle raccomandazioni del Comitato dialogando costantemente con gli Stati
interessati.
Il Comitato può adottare periodicamente dei commenti generali su specifiche questioni che rientrano nell’ambito di
applicazione della convenzione (pubblicato un solo commento nel 1997 sull’applicazione dell’art.3). è stato
sostenuto che nella repressione degli atti di tortura si sia affermato un meccanismo di giurisdizione universale
anche al di fuori della dimensione pattizia costituita dalla convenzione del 1984 (1980 Secondo Circuito degli USA,
1998 Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia hanno affermato il valore di jus cogens del divieto di
tortura).
Nel caso Furundzja il tribunale internazionale ha affermato il valore di jus cogens del divieto di tortura
Nella sentenza del 24 marzo 1999 della House of Lords i giudici hanno riconosciuto in linea teorica , l’affermarsi di un
meccanismo internazionale attivabile da qualsiasi stato, volto a punire gli autori di particolari crimini , nel caso di
specie però il generale Pinochet era perseguibile soltanto per i crimini commessi dopo l’entrata in vigore della
Convenzione .
Inoltre il funzionamento effettivo ed efficace della disciplina della convenzione può essere garantito soltanto dal
recepimento della stessa negli ordinamenti interni degli stati parte caso Hissène Habré non processato in Senegal
perché qst in qst stato il codice penale non prevedeva il reato di tortura.

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