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POSSEDERE DENARO SENZA POSSEDERE NEPPURE UNA MONETA

L’ontologia del denaro e la metafisica della moneta

1. PREAMBOLO
In qualsiasi conversazione a tavola se provo a chiedere ai commensali se c’è una differenza tra moneta
e denaro, dopo una prima perplessità e una certa sorpresa per la domanda, quasi tutti dicono si, ma poi
trovano difficile spiegare in che cosa si distinguano. Un dato però è certo: tutti pensano che una qualche
diversità vi sia.
Un secondo quesito potrebbe essere invece posto a chi come me ha intrapreso un’indagine per
comprendere le caratteristiche e la natura di tale differenziazione: perché è importante conoscere questa
distinzione?
L’interrogativo è più che legittimo poiché la dissomiglianza tra moneta e denaro è tutt’altro che
secondaria e l’uso sinonimico dei due termini ha condotto a specifiche interpretazioni di eventi sociali e a
fallimentari proposte di politica economica, anche se indubbiamente i due vocaboli hanno un legame, ma
non si identificano in quanto a natura. Le loro diverse sostanze richiedono, di conseguenza, un distinto
trattamento teorico-pratico.
Un esempio, tra i tanti, che evidenzia la necessità di una chiarificazione concettuale dei termini moneta
e denaro è rappresentato dalle politiche della Banca Mondiale nei confronti dei paesi in via di sviluppo
sostenute per alcuni anni sulla base delle tesi formulate da Hernando De Soto ne Il mistero del capitale1 e
attuate in forma fallimentare dal governo Lula in Brasile2. Tali proposte di politica economica e finanziaria,
che intendono essere una ricetta per risolvere le disparità economico-sociali delle nazioni povere, si
basavano sull’ambiguità terminologica e contenutistica tra capitale, denaro e moneta, vocaboli cardine del
testo di De Soto.
Questo economista dichiara esplicitamente di voler dimostrare che il principale ostacolo all’estensione
dei i benefici del capitalismo al “resto del mondo” è l’incapacità di un vasto numero di paesi di produrre
capitale.
Nel testo di De Soto si ritrovano almeno tre definizioni esplicite di capitale - simbolo, potenza,
risparmio -, che egli stesso vorrebbe ricondurre ad un unicum. Il risparmio inoltre viene definito ricchezza e
ciò consente a De Soto di sottolineare il valore immenso costituito dai risparmi delle popolazioni povere dei
paesi asiatici, africani, latino americani e mediorientali, i cui alti volumi potrebbero, in questa prospettiva,
rappresentare il presupposto che consente lo sviluppo del capitale. Ma se il risparmio viene ne Il Mistero del
Capitale definito ricchezza, se ne deve dedurre che il capitale per De Soto è diverso dalla ricchezza, perché i
poveri sono sì in grado di risparmiare, ma non di produrre capitale, e tuttavia il risparmio per l’economista

1
Hernando De Soto 2000
2
Il piano, che ha preso avvio immediatamente dopo l’insediamento di Inacio Lula de Silva come presidente della Repubblica - Il piano è
del 7 gennaio 2003, Lula è stato insediato il 1 gennaio 2003 - , prevedeva la possibilità per tutti gli abitanti delle favelas di trasformarsi
in proprietari delle baracche e del terreno sul quale risiedevano. Il tentativo di trovare una soluzione al problema delle favelas brasiliane
in questa direzione si è rivelato fallimentare. Contestualmente a questo progetto Lula lanciava il piano fame zero, che si dava come
obiettivo una diffusa crescita locale dell’autoproduzione alimentare attraverso l’agricoltura familiare, gli orti di vicinato, un insieme di
opere minime che facilitassero la convivenza con il semiarido e lo sfruttamento delle terre incolte, il mutuo soccorso e la riqualificazione
della vita stessa delle favelas. L’austerità di Lula è stata accompagnata da una profonda depressione e il Prodotto Interno Lordo ha
fatto un passo indietro e ha registrato una crescita negativa dello 0,2 per cento. La peggiore degli ultimi dieci anni.

1
peruviano è al contempo una delle definizioni di capitale. Di qui emerge una contraddizione terminologica e
contenutistica.
A ciò si aggiunge che per De Soto la connessione tra capitale e sistema monetario moderno3 funziona
attraverso la proprietà, ovvero perché si possa creare moneta deve esistere un diritto di proprietà; ma, tesi
questa, che egli attribuisce impropriamente a Joseph Schumpeter. Il capitale dunque non è creato dalla
moneta. Il considerevole aumento del capitale nei paesi occidentali nel corso degli ultimi due secoli è la
conseguenza, per il nostro economista, di sistemi proprietari sempre più efficienti, che consentono agli
agenti economici di scoprire e realizzare il potenziale delle loro attività, così da essere in grado di produrre la
moneta - non inflazionistica - con cui finanziare e generare produzione addizionale. Non è difficile vedere
come nell’intera proposta economica di De Soto non vengano mai chiariti i possibili nessi tra le varie
categorie economiche usate: risparmio, capitale, ricchezza, denaro e moneta.
Un secondo esempio possibile delle magagne causate dal mancato chiarimento terminologico e
contenutistico in oggetto è rivelato dai tentativi di applicazione della teoria quantitativa della moneta nelle
sue diverse versioni, da Irving Fisher a Milton Friedman. Come è noto, secondo questa dottrina la domanda
di moneta deve essere valutata alla stessa stregua della domanda di un qualsiasi bene. Tale teoria ha
inizialmente utilizzato una fraseologia secondo cui sono le banche che “prestano” i propri depositi o il
“denaro degli altri”, per poi sostenere che gli istituti che presiedono il credito “creano” depositi o biglietti di
banca e nessuno dei suoi sostenitori ha mai chiarito il passaggio da denaro a moneta. Il mondo occidentale
ha conosciuto tutti gli effetti negativi prodotti da tale teoria con le crisi finanziarie degli anni ’90, frutto di
diagnosi, prescrizioni e prognosi errate. Ulteriore dimostrazione della infondatezza dei presupposti della
teoria quantitativa della moneta è data dal fatto che la liberalizzazione dei mercati finanziari non solo
genera instabilità ma neppure è necessariamente foriera di crescita, tant’è che Cina e India sono state, nella
stessa misura, le economie a più rapido tasso di crescita nell’ultimo decennio senza che i mercati finanziari di
queste due nazioni subissero la benché minima forma di liberalizzazione, e anzi in Cina la crescita è avvenuta
in presenza di un sistema monetario fortemente regolamentato.
In ambito filosofico la mancata comprensione della diversa e specifica natura di moneta e denaro è
rivelatrice anch’essa di ambiguità concettuali, con significative conseguenze per la teoria degli oggetti sociali,
dato che, ad esempio, l’intera elaborazione di John Searle sugli oggetti sociali parte e si fonda sull’esempio
cardine del “denaro” 4. Dietro alla parola money, da lui utilizzata, sembrano celarsi due realtà oggettive
differenti e questa confusione searliana mette in seria discussione alcuni presupposti e alcune conclusioni
della sua teoria.
Nella lingua inglese, questa confusione terminologica è possibile5 senza che si alteri il senso della
frase, poiché l’uso corrente fa sì che entrambi i termini, moneta e denaro, siano generalmente espressi dal
vocabolo “money”. E’ su un’ambiguità di questo tipo, non riconducibile al campo terminologico, che si fonda
parte della teoria filosofica dell’oggetto sociale “money” sviluppata da John Searle6, e ripresa anche da Barry

3
La dimensione analitica del credito e della finanza è totalmente assente nell’elaborazione di De Soto.
4
John R. Searle 1995. Nel testo inglese di Searle si utilizza la parola money, e in quello italiano la traduzione è nella quasi totalità dei
casi “denaro”.
5
Questa osservazione, relativa alla lingua inglese, è rinvenibile anche in Vittorio Mathieu 1985
6
John R. Searle 1995

2
Smith7, i teorici che hanno posto l’attenzione sul fatto che la realtà è composta anche di oggetti sociali e
hanno utilizzato in termini esemplificativi nella loro trattazione “money” quale oggetto sociale per
antonomasia. I due filosofi anglosassoni fondano la loro formulazione teorica su basi ontologiche ed
epistemologiche differenti, ma in entrambi i casi introducono un’ambiguità sostanziale.
La novità contenuta nelle tesi di Searle e di Smith è data soprattutto dal tentativo di identificare, con
maggiore chiarezza, elementi che abbiano consistenza reale e oggettiva presenti nella realtà sociale. Realtà,
che è stata analizzata - quando la si è voluta accostare – prevalentemente, o unicamente, come il campo dei
rapporti di forza, di singoli o di gruppi di potere, che si esprimono in competizione accanita sul piano sia
culturale sia economico, o per ragioni intresecamente insite nella natura umana o per condizioni
socioeconomiche storicamente determinate. In entrambi i casi la realtà rappresenta il risultato di attività
soggettive, e non un “mondo” che fruisce di caratteri di oggettività, da identificare e classificare. Searle,
assai più che Smith, si è chiesto che cosa ci sia di veramente oggettivo che governa le nostre relazioni
sociali, nell’intento di sconfiggere la posizione di coloro che ritengono che tutto sia riconducibile ad una
soggettività discrezionale e arbitraria. Searle si è mostrato consapevole che tanto più quest’ultimo aspetto è
stato sostenuto, quanto più è emersa sul piano dei comportamenti etici e morali un’intrinseca debolezza,
poiché si sono sommati due relativismi, uno ontologico e uno morale, difficilmente districabili.
Se ad esempio considero relativo, arbitrario, soggettivo, possedere moneta o non possederne, ogni
mattina posso entrare in un bar, fare colazione, salutare e uscire senza pagare. Siamo certamente tutti certi
che questo non è ammesso. Una sanzione ne seguirebbe. Questa sanzione rappresenta il segno tangibile
dell’oggettività, dell’obbligatorietà, di usare la moneta per alcune funzioni, nella situazione specifica in
quanto mezzo di pagamento.
Per sommarie che siano queste considerazioni, esse consentono tuttavia di apprezzare pienamente lo
sforzo intellettuale compiuto principalmente da Searle su una teoria ancora agli albori, pur se non mancano
da circa un secolo indicative riflessioni8.
L’analisi che ci ha condotto ad individuare la natura che differenzia il denaro dalla moneta è sviluppata
all’interno di un quadro teorico che fa tesoro delle riflessioni ora richiamate e pertanto si assume, da un lato,
che la “realtà” sia costituita da soggetti e oggetti, e questi ultimi siano inventariabili in oggetti fisici (tavoli,
sedie), in oggetti ideali (teoremi matematici) e in oggetti sociali (promesse, moneta),9 che vivono nello
spazio e nel tempo e, dall’altro, che il “mondo” non è solo “posto” come uno scenario ma è anche dai noi
stessi attivato - diamo vita a un mondo sociale -, ed è attivato da una intenzionalità, l’intenzione di interagire
con noi stessi, con altri soggetti e con oggetti. Siamo, in quanto organismi umani, artefici di un contesto
sociale, laddove per sociale intendiamo una totalità, e non la sommatoria di singoli individui, o la somma di
relazioni tra soggetti.
Il sociale è analogo all’ambientale, poiché è un dato che ritroviamo come evoluzione biologica e come
opera e manipolazione degli uomini che ci hanno preceduti. La nostra relazione con l’ambiente sociale
comporta un processo di adattamento che conduce a un risultato, un essere adattato, che nel processo di

7
Barry Smith 2003a
8
Alexius von Meinong 1899 e 1904; Adolf Reinach 1913.; Michael E. Bratman 1992
9
Maurizio Ferraris 2005 e Maurizio Ferraris 2007

3
adattamento muta a sua volta. Creiamo e rimodifichiamo il sociale in un processo dinamico, nel quale noi
stessi siamo “creati” e “rimodificati” costantemente.
Uno dei risultati più interessanti ricavati dal percorso di ricerca attuato, al fine di comprendere la
natura di moneta e denaro, è che si sono mostrati assai più consapevoli gli antropologi, circa la loro
differenziazione e la loro diversa sostanza, piuttosto che gli economisti e i filosofi; in particolare, alcuni studi
antropologici hanno individuato puntualmente la priorità logica del denaro sulla moneta e unitamente a
esercizi di sociologici10 è stato posto in evidenza con forza l’importanza contestuale delle quattro funzioni
della moneta (numerario o misura del valore, mezzo di circolazione o pagamento, mezzo di scambio, riserva
del valore) e il ruolo vitale di riserva di valore di quest’ultima, caratteristica che la rende un oggetto a tutti
gli effetti e che rappresenta al contempo il legame con il denaro.
Particolarmente interessanti per l’argomentazione sono le argomentazioni di Marcel Mauss, Maurice
Godelier e Sahlins Marshall, dalle quali si evince una priorità logico-temporale del concetto di denaro rispetto
11
all’oggetto moneta, e un’intuizione già articolata della moneta quale oggetto sociale . Mauss, ad esempio,
sostiene che la funzione degli oggetti preziosi nelle società arcaiche corrisponde alla moderna funzione del
denaro, ed è in questo contesto che non è possibile cogliere nel denaro un aspetto economico allo stato
puro. Solo successivamente gli oggetti magici e preziosi, a cui le comunità avevano attribuito un potere
d’acquisto, impiegati originariamente anche per numerare e far circolare ciò che veniva considerato
ricchezza, si sarebbero autonomizzati dalle singole persone e dalla collettività e avrebbero assunto il
carattere stabile di misura del valore e anche di misura universale. L’insieme di queste argomentazioni
rappresentano seppur in modo embrionale, ma estremamente efficace, la genesi e la natura dell’oggetto
sociale moneta.12 Dai lavori di Mauss emerge che nella “economia naturale” o di baratto lo scambio non è
mai un questione fra singoli individui, ma tra collettività. Nelle società arcaiche lo scambio era basato sulla
triplice obbligazione di dare, prendere, ricambiare doni. La regola del dono interessava valori sociali e oggetti
materiali e il principio del valore era non autonomo, non astratto, ma globale, cioè non legato ai singoli ma
alla collettività sociale. Secondo Mauss, nel tempo le forme del denaro si sarebbero decisamente staccate dai
gruppi e dalle persone, ponendosi in funzione di una nozione astratta e quantificata di valore. La società una
volta superato lo stadio del dono, al cui interno fenomeni religiosi giuridici ed economici non erano
separabili, sarebbe arrivata al baratto mercanteggiato e l’ordine economico sarebbe infine emerso a
determinare altri fenomeni collettivi.
Le risposte date sul piano filosofico ed economico circa la priorità logica tra denaro e moneta, e sulla
natura della moneta, hanno preso avvio dalle riflessioni di Platone e Aristotele, poiché le considerazioni del

10
Marcel Mauss 1923-24, Karl Polanyi 1957, 1968, 1977, Maurice Godelier 1970, Marshall Sahlins 1972, Emile Durkheim 1893, 1895,
1902 , Francois Simiand 1932
11
Secondo Marcel Granet e Marcel Mauss in molte comunità la nozione di denaro si poteva in modo esplicito collegare a quella di potere
magico. Nel Saggio sul dono Mauss ha analizzato in modo suggestivo le relazioni fra cultura e scambio monetario. Bronislaw Malinowski
1922 e Francois Simiand 1932 mossero alcune obiezioni all’originaria formulazione di Mauss sul significato da attribuire al termine
“denaro” e lo costrinsero a riconsiderare l’origine e l’uso del termine. Il successivo lavoro di Mauss è rinvenibile in una importate nota
inserita nel secondo capitolo del Saggio sul dono.
12
La definizione di moneta come “realtà relativa”, ed il tentativo di risolvere il problema della sua genesi in rapporto ad una forma
arcaica dello scambio, non riconducibile ad un puro scambio economico, segnavano la superiorità delle sue tesi su quelle di Bernhard
Laum, che attribuiva soltanto ad aspetti religiosi, sacrali, la nascita del denaro o della moneta, o di quelle di Wilhelm Gerloff, che
vedeva nelle origini sociali, e non economiche, la genesi del denaro.

4
primo daranno luogo alla concezione del denaro come simbolo, mentre quelle del secondo diverranno
13
oggetto e stimolo per una indagine sulla moneta via via più accurata e complessa .

2. IL DENARO VIVE NEL TEMPO


Quando immaginiamo il denaro di Bill Gates o di Silvio Berlusconi non abbiamo davanti agli occhi la
stanza delle monete di Paperon de’ Paperoni. Presumibilmente immaginiamo una diversificazione della loro
ricchezza: case, terreni, titoli, aerei, imbarcazioni, mobili e quadri di pregio e, forse, anche moneta sotto
forma di conti correnti o di liquidità o di moneta elettronica, come le carte prepagate.
Il denaro, potendo assumere la forma di qualsiasi merce, è un concetto che, pur incarnando un
processo di astrazione, non comporta assenza di ontologia, esiste a tutti gli effetti, poiché si rifà a cose che
hanno consistenza materiale: quadri, case, monete, aerei, gioielli e così via.
Il denaro inoltre è un concetto condiviso, che va al di là delle frontiere linguistiche e geografico-
territoriali, prescinde dallo spazio; in qualsiasi luogo del mondo l’elenco degli oggetti sopra citati rappresenta
ricchezza che può essere convertita in moneta corrente e può conferire prestigio e potere.
Il denaro vive nel tempo14, perché ha origine con gli esseri umani ed è connesso con il loro agire
pratico, ma è a temporale, in quanto convertitore generale della ricchezza, sebbene assuma temporalmente
forme diverse. Sono queste forme che hanno un inizio e una fine: moneta, prodotti finanziari, immobili,
barche, e così via sono identificabili in una scansione temporale. Sia geograficamente sia nel tempo ci sono
oggetti che hanno perduto il significato di ricchezza (sale, conchiglie) e altri che l’hanno assunto (carte di
credito); alcuni oggetti sono stati denaro e hanno attualmente dismesso il significato di denaro, mentre altri
l’hanno assunto.
Il concetto di denaro fonda le sue radici in un’ontologia naturale15, quell’ontologia secondo la quale
nella vita quotidiana accettiamo che le cose siano così come sono, ne prendiamo semplicemente atto.
Cosicché gli oggetti che esperiamo, conosciamo e manipoliamo con consuetudinarietà rappresentano un a
priori sostanziale dell’atteggiamento pratico, non un a priori formale dell’atteggiamento teoretico. Ad
esempio al mattino quando ci alziamo dal letto non mettiamo in discussione che il pavimento ci sorreggerà,
non pensiamo né che ci sia un qualche difetto nella sua integrità molecolare che lo possa far curvare, né che
un’aberrazione del flusso quantico ci possa far passare attraverso. Nello stesso identico modo ci poniamo nei
confronti del denaro.
L’essenza del denaro è la sua efficacia, che non è fisica ma ideale, poiché il valore e la sua misura
sottostanno a ogni rapporto economico, anche il più elementare come quello dell’ autosussistenza. Si misura
sempre il valore di un oggetto, e la sua misurazione nella sfera economica è quantitativa. Tant’è che nel
linguaggio dell’economia “realizzare” significa trasformare in denaro, in valore astratto.

13
Platone La Repubblica, Libro II, 371; Platone Le Leggi, Libro V, 742 a-c; Aristotele Etica Nicomachea, Libro V, 5, 1133a 32;
Aristotele Politica, Libro I, 9, 1257b
14
Vittorio Mathieu sviluppa una teoria del denaro secondo la quale esso è una costruzione artificiale dell’uomo e non ha consistenza
ontologica. Per Mathieu il tempo domina il denaro e non viceversa, ed è il tempo futuro che domina il tempo presente. Tesi che appare
come una estremizzazione della teoria delle aspettative keynesiana. Di converso Mathieu propone di attribuire alla moneta la funzione
di realizzazione attuale di valori futuri. Questa tesi di Mathieu ha visto un tentativo di sviluppo da parte di Claus Offe e Rolf G. Heinze
1996. Questi due economisti sostengono che c’è un rapporto di convertibilità asimmetrica tra denaro e tempo, poiché frazioni di tempo
possono essere acquistate a misura delle proprie necessità, in modo da compensare gli squilibri tra disponibilità e scarsità di tempo.
15
Michele Prandi 2004. Ai nostri fini è di particolare rilevanza il capitolo V “The formal frame of natural ontology”, pagg. 119-149 e il
capitolo XI “Conflictual complex meaning: A philosophical grammar of tropes”. Michele Prandi 2004: 281-343. Nella stessa ottica e in
modo assai divertente si può leggere il romanzo di David Foster Wallace 2003

5
Il denaro opera pertanto in quanto concetto, in quanto idea, e genera azioni. In primo luogo, fa
muovere il pensiero, fa muovere la mente all’idea del suo stesso possesso, fa pensare a come “fare” denaro
e a che cosa fare di esso, a come impiegarlo, quale veste concreta dargli, a come produrre ricchezza per sé
e per altri, e in secondo luogo, in quanto derivato, fa muovere e moltiplicare le cose nella realtà sociale.
In questa sua funzione, dunque, il denaro precede il baratto, precede qualsiasi forma di scambio fra
individui, non ne deriva. E’ l’idea del denaro che sostanzia lo scambio, è l’idea di poter avere o accrescere
ricchezza che motiva lo scambio tra beni e che muove il processo economico e lo scambio sociale. Di
converso, la moneta come mezzo di scambio sorge logicamente16, non storicamente, dall’osservazione che è
difficile ottenere la quantità desiderata di una merce con una quantità dello stesso valore di un’altra merce
disponibile. Inevitabilmente una contabilizzazione quale misura del valore avviene anche senza riferirsi a una
particolare unità di conto. Quindi, paradossalmente, il baratto può fare a meno della moneta, ma non del
denaro, in quanto quest’ultimo è riserva e simbolo del valore.
Non c’è un’altra istituzione umana o realtà naturale che si avvicini al modo d’essere e di agire della
moneta nella sua forma idealizzata. La moneta è una delle forme del denaro e nel contempo il denaro è la
forma idealizzata della moneta. Il denaro agisce senza essere un oggetto fisico e senza essere costituito
direttamente da materia, ma come simbolo. E’ per questo che possiamo sostenere che il denaro ha una
natura anche ideale17, ma non è un oggetto ideale.
Per molti economisti il valore che ha reso efficace la moneta è stato l’oro, un metallo prezioso.
Seguendo la tesi proposta in questo scritto se ne deduce invece che il valore attribuito all’oro deriva dal suo
essere moneta, cioè dall’assumere la forma idealizzata di denaro18, vale a dire dal fatto che la moneta
assume la funzione di riserva di valore, diviene potere d’acquisto generalizzato e, perciò, possibile punto
finale di ogni atto di scambio.
La materialità sociale del significante, della moneta, può essere apparentemente evanescente, man
mano che il processo di smaterializzazione procede. Si pensi ad esempio all’evoluzione subita dall’inscrizione
dei valori borsistici, divenuto un riferimento quasi simbolico dei valori monetari delle azioni che rimanda
all’insieme informatizzato di tutti valori, ma di cui permane ugualmente una materialità: la loro forma
scritturale.
Questo esempio suffraga la tesi per cui il concetto di denaro non può essere confuso con il processo di
smaterializzazione della moneta o di finanziarizzazione del sistema economico; il concetto di denaro non
converge con la progressiva lontananza da un supporto materiale qualsiasi e non coincide pertanto con un

16
La ragione principe della confusione perpetuata tra denaro e moneta e la difficoltà di individuare la natura della moneta consiste
proprio nel confondere l’origine storica della moneta con la sua natura logica, che è invece del tutto indipendente dal carattere di merce
del materiale scelto come moneta. Ad esempio dal punto di vista logico non è indispensabile che la moneta debba essere convertibile in
una o più merci, il cui valore di scambio, in quanto merce, rappresenta la base del valore che consente lo scambio tra beni.
La confusione tra origine storica e natura logica è un abbaglio comune alla sfera delle scienze sociali, perché in esse si tende a
presupporre che le forme primitive delle istituzioni sociali non possano essere state più complesse di quelle contemporanee e che esse
possano nascondere e non rivelare gli aspetti logici essenziali.
17
L’idealità del denaro, spesso riconosciuta a parole, non sempre è riconosciuta in tutte le sue conseguenze. Il denaro c’è quando riesce
a far agire. Per questo il concetto di creazione di valore è in Adam Smith connesso al lavoro comandato. Anche se Smith non sviluppa
una teoria del denaro, ugualmente intuisce che l’essere “riserva di valore” genere le condizioni di un agire.
18
La moneta come segno scritturale possedeva – e in alcuni casi continua a possedere - un’utilità propria (oro, pecore, buoi, tori, ecc).
Questo è invalso nelle cosiddette “società primitive”, società però in cui la complessità è spesso maggiore di quella della società
contemporanea, come hanno teso a dimostrare studiosi come Mary Douglas, Marcel Mauss, Karl Polanyi, Jean-Pierre Vernant. I beni o
il bene utilizzato come moneta e come riserva di valore veniva o viene modificato in modo che il suo uso originario sia inibito. Ad
esempio, in Birmania il riso usato come moneta viene reso inservibile per il cibo o il sale nell’Africa occidentale (Mali, Mauritania, Niger),
usato come moneta, era sale che nessuno avrebbe mai utilizzato come cibo.

6
segno fisico - grafico, metallico, cartaceo, mentale, verbale, computazionale - o con un numero, con uno
specifico valore quantitativo. Il denaro non è né un oggetto fisico, né un oggetto ideale.
La moneta assume la caratteristica di essere denaro, cioè riserva di valore, solo quando ci si priva di
essa, solo quando la si aliena: il riso e il sale, così come la moneta cartacea o quella elettronica assumono la
caratteristica di essere denaro solamente privandosene19. Pertanto il valore intrinseco dell’oggetto moneta
e la funzione monetaria del denaro si muovono in direzioni opposte. Il denaro esiste solo nell’atto di essere
speso, impiegato in cambio di altro, sia esso un bene o un servizio. Tant’è che il processo economico per
procedere il più speditamente possibile richiede contestualmente, come atto unico, di ridurre il tempo di
circolazione della moneta20 e il passaggio al denaro come equivalente generale.
Si tratta, da un lato, di depurare il concetto di denaro da ogni confusione con un supporto materiale e
ciò risulta semplice quando esso è misura del valore, perché è un numero. Ma il fatto stesso che sia un
numero fa sì che esso possa essere scambiato per un oggetto ideale, alla stregua di un postulato o di un
teorema matematico, sottovalutandone la natura di concetto ontologico. Il riferimento a una materialità che
vi soggiace rimuove questo possibile equivoco. Dall’altra, per contro, quando, si fa riferimento al ruolo
assunto dal denaro come riserva di valore nel processo di circolazione, nello scambio, allora esso può essere
omologato all’ oggetto sociale moneta, poiché, in quanto moneta, mantiene una sua fisicità, seppur leggera,
una fisicità scritturale. Ma il denaro è moneta solo nella sua forma ideale, in quanto riserva di valore, e può
assumere forme diverse dalla moneta stessa.

3. LA MONETA VIVE NEL TEMPO E NELLO SPAZIO


La moneta non è un puro oggetto fisico, bensì un oggetto sociale. Per oggetto sociale intendiamo lo
status che un oggetto fisico può assumere grazie a un processo attuato da esseri umani: a un dato tempo si
può, tramite un’azione intenzionale, attribuire a un oggetto fisico una certa funzione, che a sua volta viene
codificata grazie a un segno, a una traccia, che è l’elemento proprio di quell’oggetto fisico perché esso possa
venire riconosciuto come oggetto sociale. In seguito a ciò l’oggetto fisico perde il proprio specifico e unico
significato, anche polifunzionale, per assumere in toto il valore delle funzioni attribuitegli; contestualmente si
autonomizza dall’atto costitutivo originario e in virtù di ciò si configura a tutti gli effetti come un oggetto
sociale e, pertanto, agisce in un ambiente determinato in cui gli individui divengono strumenti di un oggetto
che ha vita autonoma dal singolo soggetto, ma non può prescindere dalla socialità dell’ambiente.
Qualsiasi oggetto sociale non solo si rende indipendente dai soggetti che lo costituiscono, ma questa
sua autonomia è tale che esso procede in virtù di leggi sue proprie. Le leggi autonome degli oggetti sociali
sono l’espressione di un’intenzionalità sociale, di un noi che si relaziona a un noi.
La condizione necessaria dell’oggetto sociale moneta, il modo in cui esso si costituisce a seguito di un
atto compiuto da almeno due individui, è una iscrizione che gli conferisce una riconosciuta validità-legalità.
Tant’è che in alcune società primitive, la merce usata come moneta veniva “segnata”, in modo da inibirne
l’uso originario ( conchiglie, sale o attualmente la firma del Governatore della Banca Centrale Europea). È

19
La consapevolezza di questa caratteristica precipua del denaro è argomentata da Immanuel Kant 1797.
20
Qualsiasi risparmio non utilizzato genera una potenzialità in meno di impiego nel sistema produttivo

7
soltanto il “segno distintivo” a permettere che la merce sia accettata come moneta e svolga le funzioni
assegnatele.
Il nome stesso della moneta - libbra, dirham, ecc. - è il segno della sua identità, della sua autonomia e
della sua garanzia, cosicché la moneta rappresenta la prima “pubblicazione” ampliamente circolante nella
storia umana, creata per opera umana, in specifici luoghi e in dati tempi.
La moneta è un oggetto sociale in quanto vive autonomamente dalle singole volontà, dall’attribuzione
di funzioni da parte di singoli specifici esseri umani. Io, in quanto singolo, non posso decidere funzioni e ruoli
della moneta. Uso la moneta per le funzioni che la società gli ha intenzionalmente attribuito, e io
rappresento il tramite delle funzioni che definiscono l’esistenza stessa della moneta.
Una specifica moneta può essere introdotta con un atto convenzionale - è il caso dell’Euro – ma, data
la forma e la sostanza, la natura, delle relazioni economico-sociali non si sarebbe potuto, in ogni caso,
prescindere dall’oggetto sociale moneta. Così come non è possibile fare a meno del denaro e non solo nella
forma monetaria di riserva di valore, ma anche in quanto normazione della ricchezza. Infatti, i sistemi
economici fondati sulla produzione e sullo scambio necessitano per il loro funzionamento di una specifica
merce che assuma oltre alla funzione di misura del valore, rappresentazione e misura della ricchezza, altre
tre funzioni: di mezzo o strumento di circolazione, ossia moneta in senso stretto, di mezzo di pagamento -
da cui poi si sviluppa il sistema del credito -, e di riserva di valore.
Proprio il riconoscimento della funzione di riserva di valore, unitamente all’elemento della validità-
legalità riconosciuta tramite un’iscrizione, la traccia, permette il passaggio della moneta dall’essere oggetto
fisico al divenire oggetto sociale, contestualmente l’essere riserva di valore consente alla moneta di essere
riconosciuta in quanto forma del denaro e ne rappresenta il legame.
Il modo in cui è stata concepita la motivazione cardine dell’agire umano è ciò che ha anche
condizionato la possibilità di venire a capo della vera sostanza del denaro e della moneta, dei loro punti di
contatto e delle loro differenze. Fondamentalmente, e molto schematicamente, si sono contrapposte due
visioni; l’una sostiene che ciò che è intrinseco alla natura umana, che ne determina l’agire, è il bisogno;
l’altra afferma che nell’essere umano è riscontrabile un’intrinseca natura di scambista. Lo scambio assurge
così a elemento caratterizzante la natura dell’essere umano e rappresenta ciò che distingue l’animale
dall’uomo. Nel primo caso, denaro e moneta sono stati oggetto di indagine in una prospettiva ontologico-
metafisica, nel secondo caso è stata adottata una prospettiva epistemologica.
Economisti come Adam Smith, sociologi come Mark Spencer e filosofi come Georg Simmel, solo per
citare alcuni importanti pensatori, hanno fatto dipendere la divisione del lavoro e le relazioni tra soggetti
dalla propensione allo scambio e hanno esplicitamente o implicitamente assunto che il linguaggio umano
rappresenti l’indicatore della natura umana di essere votato allo scambio.
Da questa concezione sulla struttura intrinseca dell’uomo al definire la moneta prevalentemente come
mezzo di scambio il passo è stato breve, passo compiuto anche da alcuni antropologi che lo hanno esteso a
società anteriori all’introduzione della scrittura, cosicché sarebbe avvenuto prima lo scambio e poi la
scrittura21. In questo sfondo è la natura di scambista dell’essere umano ad aver generato bisogni non

21
Raymond Firth 1973

8
colmabili da comportamenti autarchici e ad aver creato le condizioni perché fosse necessaria una merce in
grado di fungere da mezzo di scambio.
Si spiega così ulteriormente perché nella storia del pensiero economico e del pensiero filosofico la
moneta, quale mezzo di scambio, abbia spesso rappresentato l’esclusivo oggetto di un’analisi che individuava
nella caratteristica di facilitatore degli scambi l’unica funzione ad essa attribuibile o che, nella migliore delle
ipotesi, la considerava come la funzione primaria rispetto ad altre due, numerario e mezzo di pagamento e
perché soltanto molto tardi, si arriva da parte di alcuni economisti (Karl Marx, Knut Wicksell, Joseph
Schumpeter, John Maynard Keynes) , ad attribuire alla moneta la sua quarta funzione, quella di riserva di
valore.

4. L’OGGETTO SOCIALE MONETA


Ne La costruzione della realtà sociale Searle assume la distinzione22 fra fatti “bruti” – gli oggetti fisici -
23
e fatti “istituzionali” – gli oggetti prodotti dall’attività sociale - e si chiede se esistono davvero fatti
istituzionali e oggetti sociali, e, in tal caso, da che cosa siano costituiti. Le due domande sembrano
presentarsi come la naturale scissione di un'unica questione.
I fatti che dipendono espressamente da organismi umani sono per Searle racchiudibili nella locuzione
“fatti istituzionali”. Un fatto è istituzionale se, e solo se, a uno specifico oggetto viene assegnata, in virtù
della sociale intenzionalità, una determinata funzione che l’oggetto non è di per sé in grado di adempiere. La
costituzione fisica dell’oggetto non è elemento sufficiente, seppur necessario, per adempiere a tale funzione,
e ciò può avvenire solo in virtù del riconoscimento sociale. La società di cui parla Searle non è composta da
monadi, da singole individualità24, bensì è una “totalità” che vive di vita propria.
Il processo descritto da Searle secondo il quale un oggetto fisico può assumere la connotazione di
oggetto sociale ne prevede la dematerializzazione, parziale o pressoché totale; in tal caso viene caricato di
valenze simboliche da parte della comunità umana. Nel caso dell’attribuzione di valenze simboliche a un
oggetto dematerializzato siamo in presenza del conferimento di un potere, del costituirsi di una funzione di
status. Questo potere, questa funzione di status è tale se viene conferita da almeno due soggetti, due
persone25. Ne consegue che gli oggetti sociali - istituzioni, promesse, debiti, contratti, leggi e ovviamente il
“denaro” - non hanno la stessa natura degli oggetti fisici - una pietra, una pianta, un animale, che esistono
indipendentemente dalle funzioni loro attribuite temporaneamente dagli esseri umani -, ma neppure hanno
la natura degli oggetti ideali - assiomi, postulati, numeri -, e, infine, non sono neanche riconducibili a
costruzioni individuali quali un’opinione, un ricordo.

22
Distinzione elaborata da Elisabeth Anscombe 1958, allieva di Wittgenstein.
23
John R. Searle 1969: 80-84. Distinzione che lo stesso Searle aveva già fatto propria sin dalla prima metà degli anni Sessanta
24
Nella teoria sociale si confrontano tre modi per intendere il sociale - 1. come somma di singoli individui (Menger, Weber, von Hayek,
Simon,ecc.); 2. come somma delle relazioni tra individui (Simmel, Moscovici); 3. come totalità (Durkheim, Simiand) - e due modi di
intendere l’intenzionalità - come “somma di individualità” (Menger, von Mises, von Hayek) o come “sociale” (Durkheim, Simiand) - . La
maggior parte dei teorici dell’economia, e in particolare la scuola austriaca, hanno preso in considerazione solo la prima accezione di
intenzionalità, unitamente alla definizione di società come somma di singoli individui. E’ alla linea teorica che vede come attore nella
realtà sociale unicamente l’individuo che fa riferimento Barry Smith. Infatti, parte delle sue obiezioni a John Searle derivano da queste
diverse premesse teoriche, tant’è che l’intenzionalità è un requisito che Barry Smith non prende in considerazione come condizione
sufficiente per la definizione degli oggetti sociali.
25
Elisabeth Anscombe sostiene che il comportamento ha un carattere intenzionale quando viene inserito in un contesto di obiettivi e
cognizioni, quindi è intenzionale unicamente quando è volontario, è inintenzionale quando ha una natura neurofisiologica. Le sue tesi
sono riassunte in un articolo del 1957. I recenti studi sui neuroni mirror sembrano dare corpo all’idea che esista una “intenzionalità”
organico-biologica: Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia 2006

9
La tesi proposta da Searle, secondo cui alla “base” di un oggetto sociale sta sempre un oggetto fisico,
un “fatto bruto”, non è del tutto applicabile all’oggetto sociale moneta, e tanto meno al denaro, dato che
quest’ultimo è un concetto e non un oggetto. In particolare, lo schema rigido proposto da Searle non regge,
per esempio, all’evidenza che un debito, che è un oggetto sociale, abbia un oggetto fisico a esso
corrispondente. Il debito è notoriamente un “buco” di bilancio, un vuoto.
Per contro, pare assai più convincente la formulazione degli oggetti sociali proposta da Maurizio
Ferraris26. Ferraris dopo aver adottato la distinzione tra oggetti fisici, oggetti ideali e oggetti sociali,
precedentemente richiamata, e si pone l’obiettivo di individuare la condizione necessaria dell’oggetto sociale,
il modo in cui esso si costituisce. Gli oggetti sociali dipendono da atti sociali, essi sono tali se sono il prodotto
di una relazione almeno tra due individui, inoltre, essendo il prodotto di atti umani, hanno inizio nel tempo.
L’atto compiuto da almeno due individui comporta una iscrizione, che può essere anche un’iscrizione nella
memoria del singolo individuo o nella memoria collettiva, non soltanto un segno grafico o una traccia
magnetica. L’oggetto sociale si costituisce mediante una registrazione. Esempio di un oggetto sociale
inscritto, registrato nella memoria di due individui, è la promessa. Si tratta di una teoria degli oggetti sociali
che affonda le proprie basi nell’archiscrittura di Jacques Derrida27.
La tesi proposta da Ferraris ben si adatta all’oggetto sociale moneta cosicché, partendo da questo
assunto, procediamo all’analisi circa la natura, le funzioni e il ruolo della moneta, vale a dire gli aspetti
esaminati nella nostra trattazione, che consentono di definirla come oggetto sociale. Con il termine ruolo
indichiamo l’azione che la moneta svolge nel sistema economico-sociale, indipendentemente dalla sua fase
costitutiva.
John Searle sostiene la tesi secondo cui “…ogni genere di cosa può essere money …28”. Tesi che si
fonda sulla dottrina mainstream - che si configura come un insieme del tutto coerente – relativa alla nascita
della moneta, le funzioni di volta in volta attribuitele, le proprietà materiali che si suppone essa debba
possedere.
La ricostruzione delle posizioni della scuola mainstream è utile ad analizzare in modo puntuale le
posizioni di John Searle e Barry Smith circa l’identità tra denaro e moneta in quanto entrambi - il primo in
modo implicito e il secondo in modo più esplicito29 - si riferiscono alla Scuola austriaca di economia,
secondo cui è moneta qualsiasi merce usata da una data collettività come intermediario degli scambi. Ne
consegue, in linea di principio, che qualunque merce può essere adottata in qualità di moneta; e, di fatto, è
storicamente incontestabile che a tal fine sono state adoperate le merci più disparate: dalle conchiglie al
sale, dalle pelli ai capi di bestiame, fino ad arrivare ai metalli pregiati.
Secondo la suddetta dottrina la moneta è stata in origine - e tale permane - una merce prodotta e
scambiata alle medesime condizioni a cui sono prodotte e scambiate tutte le altre merci. Il ragionamento
procede sia dalla constatazione che conchiglie, bestiame o metalli hanno essi stessi un valore, e
conseguentemente un prezzo, sia dall’osservazione che esiste una stretta interdipendenza tra i prezzi delle
merci all’interno del sistema economico e la moneta. In quanto merce, la moneta non potrebbe svolgere la

26
Maurizio Ferraris 2005 e Maurizio Ferraris 2007
27
Jacques Derrida 1962; 1967a; 1967b.
28
John R. Searle 1995:52
29
Nel caso di Barry Smith sono numerosi i riferimenti fatti alle asserzioni di Ludwig von Mises più che al suo fondatore Karl Menger o a
Friedrich von Hayek, massimo esponente novecentesco della Scuola.

10
sua funzione di misura del valore se non essendo direttamente partecipe anch’essa del sistema economico e
possedendo essa stessa un valore e un prezzo in quanto merce.
In questa visione, storia e teoria della moneta coincidono e la teoria della moneta collima con la storia
dei materiali che l’hanno rappresentata.
Molti aspetti della dottrina monetaria mainstream sono stati messi in discussione da economisti e da
studiosi di antropologia sociale, determinati a individuare sul piano dell’indagine elementi assai più
convincenti. E tra questi il fatto che, le analisi antropologiche sugli scambi asimmetrici, come il dono,
evidenziano il ruolo qualitativo e simbolico che i singoli beni assumono nelle relazioni individuali e sociali. Su
questa base la “storia della moneta” non può pertanto coincidere con la storia dei materiali da cui è
30
costituita.
Marcel Mauss ha evidenziato la serie dei materiali che, in forma generalmente diversa da quella
assunta nelle società moderne, hanno inizialmente espresso la qualità di denaro, e ha ragionato di moneta in
termini di “realtà relativa” nella direzione poi sviluppata dall’economista Francois Simiand, che definirà con
pertinenza la natura di oggetto sociale della moneta.
Se non tutte le merci possono assurgere allo status di moneta, si tratta allora di definire quali sono le
proprietà che deve possedere il materiale da cui è costituita per poterne assumere il ruolo e quali siano le
caratteristiche, necessarie e indispensabili, perché questo materiale possa prendere su di sé questa
posizione.
Secondo la dottrina mainstream sono i requisiti fisici rendere la moneta un oggetto fisico, e null’altro,
un oggetto tangibile e con ben determinate caratteristiche. Esattamente come accade per una sedia, un
tavolo, il pavimento, il pane, un fiume, una montagna, la luna e così via.
E’ palese che una merce funziona tanto meglio da moneta in quanto in maggiore misura possiede le
seguenti caratteristiche: stabilità di valore, convertibilità e facile trasferibilità. Più il valore della merce-
moneta è stabile nel tempo, minori sono le variazioni che subiscono i prezzi delle altre merci espressi in
quella moneta; e quanto minori sono le variazioni di questi prezzi, tanto più certo e sicuro è il modo in cui la
moneta assolve alla sua funzione di misura comune dei valori, soprattutto per quanto riguarda il confronto
tra valori in momenti diversi nel tempo e nello spazio. Tanto più semplice e facile è la possibilità di
conservare la merce-moneta, tanto più compiutamente essa assolve alla funzione di soggetto
rappresentativo della ricchezza in generale.
La possibilità di esser suddivisa in parti anche molto piccole, ma connotate da un alto valore,
contenuto in poco peso e in modesto volume, sembra aver inciso sulla scelta della merce destinata ad
assumere la funzione di moneta. La scelta della merce-moneta viene dunque compiuta in base alle esigenze
dettate dalle funzioni che essa deve assolvere.
Per riassumere: in seguito alla crescita della complessità degli scambi, nello spazio e nel tempo, la
moneta sempre più a dovuto configurarsi come un oggetto non facilmente usurabile, così da poter svolgere
la funzione di mezzo di circolazione; non corruttibile per poter essere conservata a lungo; divisibile in piccole
quantità, e ricomponibile, così da scambiarsi con merci di diverso prezzo; infine non deve essere

30
Marcel Mauss 1923-24, Karl Polanyi 1957, 1968, 1977, Maurice Godelier 1970, Marshall Sahlins 1972, 1976. La valorizzazione degli
studi antropologici in relazione alla scienza economica si trova in Roberto Marchionatti 1985

11
ingombrante, deve cioè essere tale che una sua piccola quantità possa scambiarsi con grandi quantità di
altre merci.
Storicamente si riconobbe che i requisiti descritti spettavano al massimo grado ai metalli, e in
particolare ad alcuni di essi, sicché infine furono esclusivamente questi, e in special modo l’oro, a divenire
merce-moneta31. Tant’è che le problematiche legate alla moneta sono state per la prima volta oggetto di
analisi sistematica nei secoli XVI e XVII, parallelamente al verificarsi della cosiddetta ”rivoluzione dei prezzi”,
conseguenza dell’arrivo in Europa dell’oro prodotto dalle miniere americane.
Il passaggio dai beni moneta alle monete metalliche, dalle monete metalliche alla moneta cartacea,
dalla moneta cartacea alla moneta elettronica ha contribuito a rendere più complesso il quadro teorico e
pratico relativo alla moneta, ma, al contempo permette di definire ulteriormente sul piano logico che cosa sia
la moneta e quale la sua natura effettiva. Questi passaggi hanno comportato, da un lato, il mutamento della
relazione diretta fra bene e moneta, fra oro e moneta metallica e, dall’altro, hanno delegittimato la relazione
fra il valore di una merce e il valore della merce-moneta e fra una moneta e l’oro o altro metallo in essa
contenuto.
Il biglietto di banca e, più in genere, la moneta bancaria sono il principale strumento individuato nel
tempo per variare la quantità di moneta offerta, resa disponibili per il funzionamento del sistema economico.
L’origine del biglietto di banca risale ai certificati emessi dalle prime banche a favore di coloro che per ragioni
di sicurezza vi depositavano monete d’oro. Tali certificati, in quanto rappresentavano un deposito d’oro,
erano usati come mezzi di pagamento; con la loro cessione veniva infatti contestualmente ceduto il diritto di
prelevare presso la banca il deposito d’oro.
Un reale cambiamento nella storia della moneta avviene quando la banca si trasforma da banca di
deposito in banca di credito; allorché, cioè, la banca acquisisce una fiducia tale per cui i certificati emessi
iniziano a circolare senza che vi sia più la richiesta di riconvertirli in metallo prezioso. Le caratteristiche che
contraddistinsero i primi certificati, rispetto al metallo, furono la loro maggiore sicurezza e praticità, ciò che
consentiva di evitare il rischio del trasporto del metallo prezioso e il fastidio del suo relativo peso. Le banche
iniziarono così ad emettere propri biglietti, impegnandosi a convertirli, a vista o a scadenza, in monete d’oro
senza che questi dovessero necessariamente essere coperti da un precedente deposito.
I biglietti sono stati il primo tipo di moneta emessa dalle banche e rappresentano la loro prima forma
di smaterializzazione e di autonomizzazione da una merce o da un metallo prezioso e dall’intrinseco valore
della merce-moneta. Il valore del materiale da cui è composto un biglietto di banca è assai insignificante
rispetto al valore che esso rappresenta in termini di potere d’acquisto.
Il distacco dal metallo prezioso non è stato immediato. Tant’è che a garanzia dei biglietti emessi le
banche hanno tenuto per lungo tempo una riserva d’oro, consistente in parte in capitale proprio e in parte in
depositi di monete d’oro che affluivano alla banca stessa. Ne conseguiva che il valore nominale dei biglietti
emessi era molto superiore a quello delle monete d’oro tenute a riserva, pur rimanendo queste ultime
l’elemento di riferimento imprescindibile.

31
Sono molte le monete che ancora oggi mantengono una denominazione che si riferisce o al peso, o alla sua misura, o al metallo di
conio (lira da libra, dirham fa riferimento all’argento e il dinar all’oro, ecc).

12
Fin dalla sua nascita, una delle funzioni primarie del sistema bancario consiste nella concessione del
credito, sicché la banca è indotta a creare moneta in forma di propri depositi, a emettere cioè promesse di
pagamento documentate dai fogli scritti. La promessa di pagamento è a tutti gli effetti un titolo di credito.
Attraverso la banca passa continuamente una massa di moneta metallica e di biglietti di banca che non si
fermano mai all’interno della banca medesima.
I titoli di credito si aggiungono ai biglietti cartacei e alle monete metalliche.
In questo processo di “allontanamento” da una specifica merce preziosa il passaggio successivo è dato
dalla creazione dei depositi bancari e dalla nascita del conto corrente. Tuttavia, il deposito stesso, che
originariamente dà luogo all’emissione dei biglietti, costituisce una forma di moneta più sicura di questi ultimi
visto che può essere trasferito senza uscire dalla banca, essendo sufficiente un semplice ordine scritto dato
alla banca dall’intestatario del deposito stesso. La banca stessa crea moneta, attribuendo al cliente un
deposito che può essere trasferito. La banca in questo modo non emette biglietti ma tiene per ogni cliente
un conto, il conto corrente. Il titolare di un deposito può a tutti gli effetti effettuare un pagamento
trasferendo il deposito, o una sua frazione, a un’altra persona attraverso un ordine scritto rivolto alla sua
banca semplicemente mediante un assegno bancario. La banca addebita il conto corrente del primo suo
cliente e accredita quello del secondo dell’ammontare indicato sull’assegno: nasce così la moneta bancaria
moderna, ossia il deposito. L’assegno bancario è lo strumento col quale i depositi vengono trasferiti; i
depositi svolgono esattamente le medesime funzioni dei biglietti di banca. Attraverso i depositi dei loro clienti
le banche si procurano moneta di riserva - monete d’oro o depositi presso altre banche che possono essere
convertiti in monete d’oro - per aumentare il credito sulla base di essa. L’importanza dei depositi consiste nel
fatto che essi costituiscono una nuova forma di moneta. La banca, infatti, crea ora nuova moneta senza
emettere materialmente i biglietti, ma semplicemente creando essa stessa nuovi depositi attraverso la
concessione del credito. La moneta bancaria circola quindi attraverso una serie infinita di iscrizioni contabili
che fanno variare i valori dei conti correnti, diminuendone e aumentandone di volta in volta il valore.
Quotidianamente le banche compensano tra loro i debiti e i crediti reciproci all’interno di un organismo che
prende il nome di “stanza di compensazione” e regolano i saldi debitori mediante trasferimento di moneta di
riserva.
Sembrerebbe così, all’apparenza, che si sia interamente perduto il legame tra la moneta bancaria,
nelle componenti fin qui descritte, e la merce-moneta, che misurava il valore delle merci e conferiva valore ai
biglietti di banca, accettati in pagamento in quanto potevano essere convertiti in ogni momento nella merce-
moneta. Tuttavia un legame continua pur sempre a persistere dato che la banca centrale deve impegnarsi a
conservare, a fronte delle sue emissioni di moneta, una riserva sufficiente di merce-moneta. La merce-
moneta diventa così moneta mondiale. Ogni banca centrale, ovvero l’istituto che regola la circolazione
nazionale, deve tenerne una quota per compiere transazioni internazionali.

Attualmente, nel processo di smaterializzazione, siamo giunti alla “plastic money”, alla moneta
elettronica, alla moneta puramente scritturale. La “plastic money” è una formula che non fa riferimento solo
al supporto materiale della carta di credito, ma anche a quella sua qualità essenziale, che abbiamo descritto
come una caratteristica costitutiva della moneta, vale a dire la sua plasticità indefinita, e cioè la sua capacità,
nella forma più semplice, di essere lo scambiatore universale, il convertitore assoluto, il cui potere di

13
conversione trova il suo unico limite nell’ammontare del conto in banca del titolare. Anche la “plastic card”
necessita per essere valida e legale di un segno grafico: il codice Pin che la rende operativa.
La “plastic card”, la moneta elettronica, la moneta scritturale sembrano essere le forme più prossime,
se non addirittura equivalenti, all’immaterialità, al totalmente immateriale. In ragione di questa presunta
32
immaterialità, esse sono state confuse con il convertitore universale di tutti i valori materiali, il denaro,
invece di essere analizzate come moneta, individuando nell’elemento scritturale la condizione necessaria
della validità e dell’accettabilità della moneta stessa.
Ed è su questa confusione che si fonda l’ambiguità sostanziale della teoria di Searle piuttosto che
sull’ambiguità terminologica consentita dalla lingua inglese grazie alla possibile doppia accezione della parola
“money”.
La moneta è ora diventata pressoché vicina all’immaterialità. La complessa evoluzione delle forme
assunte dalla moneta e la sua separazione dalla forma originaria di merce hanno indotto molti economisti ad
affermare che moneta è semplicemente ogni cosa accettata in pagamento. Posizione assunta acriticamente
anche da Searle.

Resta il fatto che il processo di smaterializzazione trova un suo limite oggettivo: un’iscrizione
telematica nella memoria di un computer.
Anche facendo riferimento alle specifiche funzioni della moneta risulta evidente che il segno grafico
rappresenta la condizione necessaria della sua esistenza sociale.
La moneta, nella sua funzione di unità di conto, per essere tale deve essere espressa in un segno
grafico: un numero.

La moneta, nella sua funzione di sistema di pagamento, per essere tale deve essere supportata da un
segno grafico: marchio distintivo sulla moneta metallica, firma sulla moneta cartacea, firma su assegni o
bonifici, codici a barre, numeri PIN quali codici di identificazione personale.33
La moneta, nella sua funzione di mezzo di scambio, per essere tale deve essere supportata dagli stessi
segni che sono necessari alla moneta, nella sua funzione di mezzo di pagamento.
La moneta, nella sua funzione di riserva di valore, sia nella sua forma liquida (monete e banconote
sotto il materasso o nel portafoglio, depositi bancari34) sia nella sua forma mobiliare (titoli) necessita sempre
di una firma di convalida, che la contraddistingua come tale o una traccia elettronica.
Una critica sostanziale di Barry Smith alle tesi espresse da John Searle ne La costruzione della realtà
sociale concerne l’affermazione secondo cui alla base dell’oggetto sociale moneta vi possa ancora oggi
essere un fatto “bruto”. Per Barry Smith il processo di smaterializzazione della moneta è tale per cui non vi è
più un oggetto fisico quale fondamento dell’oggetto sociale e per contrastare l’argomentazione di Searle egli
utilizza il debito come esempio cardine. Per Barry Smith le sole tracce dei computer, che testimoniano la
transazione del denaro, non hanno realmente valore di moneta, né si possono usare queste tracce come
valori di scambio. E qui sta l’errore di Barry Smith, nel ridurre a pura rappresentazione dei soggetti l’oggetto

32
Pierangelo Dacrema 2003, Giuliano Lemme 2003
33
Per una distinzione, da noi non condivisa, fra moneta fisica, moneta scritturale e moneta elettronica si veda Giuliano Lemme 2003 .
Tale distinzione fa riferimento al supporto materiale con cui è fabbricata la forma della moneta.
34
L’art. 1835 del c.c. sostiene: “Se la banca rilascia un libretto di deposito a risparmio, i versamenti e i prelevamenti si debbono
annotare sul libretto. Le annotazioni sul libretto, firmate dall’impiegato della banca che appare addetto al servizio, fanno piena prova nei
rapporti tra banca e depositante”. [ Il corsivo è nostro ]

14
sociale moneta. Lo stesso Searle, riconosce fondatezza e validità alle obiezioni di Smith35 circa il debito e
procede così, a sua volta, a un indebolimento della propria formulazione teorica. Il carattere ontologico-
metafisico delle sue tesi si affievolisce e sembra perdere del tutto la connotazione principale: il fatto “bruto”,
il riferimento alla fisicità dell’oggetto. Sempre più la sua teoria assomiglia a un “idealismo forte” in assonanza
con le formulazioni di Barry Smith.
Nel corso della nostra ricostruzione abbiamo invece riscontrato come sin dalle società primitive, la
merce usata come moneta venisse “segnata”, in modo da limitarne l’uso originario e come soltanto il “segno
distintivo” abbia consentito a una merce di essere accettata in qualità di moneta e di svolgere le funzioni
assegnatele. A esempio in Birmania il riso veniva, e viene tutt’ora, reso inservibile come alimento, oppure il
sale usato nell’Africa occidentale (Mali, Mauritania, Niger) in quanto moneta era tale che nessuno l’avrebbe
mai usato per il cibo.
A tal proposito Louis Gernet36 si serve nelle sue ricerche del termine “segni premonetari”, svelando
così l’ambiguità del momento in cui, mentre il simbolo cessa di essere “polivalente”, incomincia a realizzarsi
una ampia diffusione dei segni37 “esteriori” della ricchezza.
Il segno grafico era dunque ciò che rendeva tale la moneta. Questa sua essenza non è andata perduta
nel corso del tempo, anzi si è potenziata, tant’è che il significante monetario ha subito un’evoluzione storica
per cui alla progressiva riduzione della sua materialità fa da contrappeso una sempre maggiore importanza
dell’elemento scritturale.
Ciò che accomunava e accomuna, rende validi e accettati i “beni moneta”, le monete metalliche e i
biglietti di banca, è un segno grafico, un segno distintivo, come un disegno, una scritta, o una firma ( per
esempio quella del Governatore della Banca Centrale) apposta sul supporto metallico o cartaceo o magnetico
(dietro alla carta di credito dobbiamo apporre la nostra firma). Ne consegue una storia di progressiva
smaterializzazione della moneta, in cui il segno grafico permane, assolvendo al suo ruolo sostanziale di
condizione necessaria perché un oggetto sia moneta e perché questo oggetto sia accettato come tale da un
singolo individuo e dalla comunità. Il segno grafico è la garanzia della sua validità e legalità.
Ne La costruzione della realtà sociale lo Stato, in quanto istituzione, in quanto Autorità, è un oggetto
sociale sul quale si applica la formula dell’intenzionalità coniata da Searle: X al posto di Y in un contesto C.
Dato uno specifico contesto sociale (C), un oggetto fisico (Y) viene sostituito da un altro oggetto, per lo più
simbolico (X).
Nel momento in cui è lo Stato a decidere materia e forma della moneta, allora viene meno
l’espressione diretta dell’intenzionalità sociale, non essendo più l’intenzionalità sociale diretta a decidere che
una specifica merce, con determinate caratteristiche, è moneta. Per limitarci a un esempio molto recente,
riguardante milioni di cittadini europei, si può ben dire che l’adozione dell’Euro non è stata l’espressione
diretta di un’intenzionalità sociale dal momento che è stata l’Unione Europea a decidere di adottare un’unica
moneta, prima inesistente, per più paesi. Tant’è che in molte nazioni è stato necessario ricorrere a un

35
Barry Smith 2003b
36
Louis Gernet 1955, 1967, 1968.
37
Per Gernet simboli e segni possono essere tenuti distinti, perché al simbolo appartengono significati immediati ed effettivi, mentre il
segno si esaurisce sostanzialmente nella sua stessa funzione. Gernet riconosce l’origine della moneta nel passaggio dal simbolo al
segno. I tratti fondamentali della sua ricerca prendono avvio da presupposti simili a quelli di Marcel Mauss, a cui fa esplicito riferimento
nei suoi testi, arricchendoli degli elementi emersi dal dibattito sulla funzione sociale della moneta, svoltasi all’Istituto francese di
sociologia, nei primi anni del XX secolo, con particolare riferimento alle posizioni espresse da Francois Simiand.

15
referendum popolare perché l’adozione diventasse effettiva. Non dissimili da questo esempio, ma
storicamente meno recenti, sono i cambi di moneta effettuati all’interno di singoli stati come nel caso del
passaggio dal franco leggero al franco pesante.
Sulla base dei presupposti della teoria di Searle, nel caso della moneta, e in particolare nel caso
dell’adozione dell’Euro, si verificherebbe una situazione nella quale un oggetto sociale – lo Stato o l’Unione
Europea – esprime in un atto concreto, normativo, la propria intenzionalità, dando origine, a sua volta, a un
altro oggetto sociale per interposta intenzionalità: X al posto di Y in un contesto C generato da X° al posto di
Y° in un contesto C°. Un processo che potrebbe prevedere per alcuni oggetti sociali una regressione
progressiva.
Da quanto sopra detto risulta che se non si sviluppa un’analisi sulla natura sociale della moneta si può
sostenere, in modo assai semplificato, che la moneta nasce per convenzione e non per intenzionalità
indiretta, per decisione di un’Autorità riconosciuta dai singoli individui che compongono una comunità.
Un’argomentazione questa, sostenuta nel 1905 dall’economista tedesco Georg Fredrich Knapp, che non è in
grado di spiegare appieno la “forza” che la moneta esercita nelle relazioni sociali e che non consente di
comprendere i punti di contatto e di differenza con il denaro.
Sulla base della teoria degli oggetti sociali esposta da Searle la tesi che un oggetto fisico diviene
oggetto sociale per convenzione è quindi sostituibile con la tesi che la convenzione è l’espressione di una
intenzionalità sociale indiretta.
L’essenza della moneta risulta essere strettamente correlata con il ruolo da essa svolto nel sistema
economico-sociale, cioè con l’azione che essa vi compie, indipendentemente dalla sua fase costitutiva.
La legge costitutiva degli oggetti sociali crea e norma nuove forme di comportamento che non
esisterebbero in sua assenza. Nel caso delle regole costitutive, nelle forme di comportamento, il concetto è
logicamente dipendente dalle regole in questione; nel caso delle regole regolative o normative, il concetto è
logicamente indipendente dalle regole medesime. L’oggetto sociale è il risultato di un’intenzionalità collettiva,
che si fonda sulle intenzionalità soggettive; non c’è un principio di delega o di consegna dell’intenzionalità
singola a un’intenzionalità sociale, sul modello del “contratto sociale” di matrice roussoniana. L’intenzionalità
sociale, sostiene Searle, non è un semplice “incontro di soggettività monadiche”38. Nella teoria di Searle
Divengono così centrali la funzione di status assunta da un oggetto “bruto” e la funzionalità dell’oggetto
stesso; il naturale diventa culturale, e l’oggetto fisico si trasforma in oggetto simbolico che agisce
socialmente.
Nell’esposizione di Searle sono riscontrabili oscillazioni concettuali fra ontologia ed epistemologia,
poiché il movimento da entità epistemicamente soggettive, l’insieme di rappresentazioni e credenze
individuali, a entità ontologicamente oggettive, indipendenti dal riconoscimento soggettivo, è reso
problematico dal rapporto fra rappresentazioni mentali stabilizzate, intenzioni, credenze, desideri e status
dei fatti sociali.
Searle sin da Mente cervello intelligenza39 sostiene che i fenomeni mentali sono causati da processi
che avvengono nel cervello e che, di conseguenza, i pensieri non sono eterei, ma fanno parte di un processo

38
Maurizio Ferraris 2003
39
John R. Searle 1984

16
anche fisico. Searle rifiuta in modo netto sia la possibile riproduzione al calcolatore della mente umana -
rifiuto che egli lega alla natura della coscienza, della conoscenza e dei contenuti semantici racchiusi nella
mente umana -, sia il dualismo cartesiano mente-corpo. Searle in La mente40, interrogandosi sul rapporto tra
aspetti neurofisiologico e neurobiologico in relazione alla coscienza e all’intenzione, afferma: “ Non ci sono
ragioni per cui un sistema fisico quale un organismo umano o animale non debba avere stati qualitativi,
soggettivi e intenzionali. Di fatto, nella vita reale, lo studio dei sistemi percettivi e cognitivi costituisce
esattamente l’ambito in cui la qualitatività, la soggettività, e l’intenzionalità originaria sono trattate come
appartenenti al dominio delle scienze naturali e dunque al mondo fisico. La distinzione tra quantità e qualità,
per inciso, è probabilmente fittizia.
Non c’è alcune ragione metafisica per cui non si possa misurare, per esempio, il grado di dolore o
della consapevolezza cosciente”.41 l’intenzionalità è in qualche modo un’immagine speculare della
coscienza42, pertanto le azioni umane non sono riconducibili in modo meccanico a elementi fisici, e quindi ai
soli processi neurofisiologici. Searle è altamente consapevole che il problema cruciale è quello del libero
arbitrio umano, non tanto sul piano teorico, quanto come spiegazione della possibile connessione tra lo
stadio di conoscenza dei processi neurofisiologici e l’oggettiva percezione che ciascun individuo ha di
esercitare la propria volontà. Nel contesto adottato non risulta possibile spiegare il dolore e la sua intensità
unicamente con le modificazioni neurofisiologiche che esso comporta. Il dolore non è riconducibile a puri
meccanismi fisici.
Procedendo secondo questa via, il filosofo americano riconnette al ruolo della mente la spiegazione del
perché il riduzionismo nelle scienze sociali non funziona e nelle scienze sociali convergono diversi aspetti
dell’intenzionalità, derivanti dalla difficoltà di demarcare nettamente i confini della singola disciplina, di
definirne con precisione gli ambiti d’indagine e di comprendere appieno le influenze derivanti da discipline
attigue. Searle, proprio in riferimento alla disciplina economica, argomenta che questa “non può essere
libera dalla storia o dal contesto”43.

5. LA MONETA COME OGGETTO ININTENZIONALE E LA SOCIETÁ COME LA SOMMA DI


SINGOLI INDIVIDUI
Se, come sostiene Searle, la moneta è il prodotto di un’intenzionalità sociale, che ne rappresenta la
condizione sufficiente e opera in modo tale che l’oggetto viene usato per le funzioni attribuitele, è necessario
cercare di chiarire contestualmente i due termini: intenzionale e sociale. Entrambi sono stati, e sono, oggetto
d’ interpretazioni difformi perché dipendono dal modo in cui ci si rapporta con il mondo in termini conoscitivi
e pratici, dipendono dal modo in cui “guardiamo” il mondo, il sociale con noi dentro, e noi con il sociale fuori
di noi.
Risulta indispensabile per la comprensione dei nodi che ruotano intorno ai termini intenzionale e
sociale compiere alcuni passi indietro, e partire dal modo in cui è stato inteso il processo cognitivo razionale
e il comportamento razionale.

40
John R. Searle 2004
41
John R. Searle 2004: 107
42
John R. Searle 2004: 145
43
John R. Searle 1998: 72

17
Aristotele, come è noto, ha definito l’uomo un animale razionale, pertanto la razionalità è la
caratteristica peculiare che rende l’umano umano. La razionalità è ciò che segna la differenza dal resto degli
esseri viventi. Dal che deriva che la razionalità è una facoltà speciale, è una facoltà cognitiva, è una facoltà
tra altre facoltà e rappresenta l’essenza del genere umano.
La razionalità, così concepita, svolge due funzioni: da un lato coordina credenze e desideri e dall’altro
controlla le emozioni. L’azione di coordinamento e controllo, compiuta dalla razionalità, fa sì che le azioni
avvengano nel modo giusto e i comportamenti siano quelli corretti. L’uso della razionalità causa azioni giuste
e corrette. Il rapporto causale rimanda alla causa come causa efficiente44. La razionalità o c’è o non c’è, non
segue procedure ben identificate, non segue regole, ma esercita un’azione prevalentemente in forma
inconscia. La razionalità è una facoltà che non può essere acquisita tramite esercizio, poiché per esercitarsi
è necessario avere un manuale di regole da seguire45. In questo modello la razionalità è concepita come
universale, unica e identica per tutti gli individui e, se esercitata correttamente, è tale da annullare i conflitti
tra gli individui stessi, dato che questi sono causati da una razionalità debole. Tale potenza della razionalità è
stata giudicata, giustamente, come pericolosa46, egemonica e opprimente, poiché essa rappresenta la
capacità di controllo e di coordinamento su un’umanità che ha una volontà debole, avendo una facoltà
razionale per lo più esercitata con debolezza.
Il mancato rapporto tra causa ed effetto desiderato, o tra intenzione e realizzazione della volontà è
stato spiegato sostanzialmente in due modi: sul piano teoretico, con la non completezza delle informazioni
che genera distorsioni in due elementi di partenza, le credenze e i desideri; sul piano pratico, con la
debolezza della volontà. Cosicché il riconoscimento della limitatezza della razionalità, con la relativa
dissoluzione del soggetto, sostenuto da filosofi come Nietzsche, Heidegger, Foucault e dai cosiddetti teorici
del postmodernismo, ha generato e convalidato l’idea di un essere umano intrinsecamente debole. Ma l’idea
di razionalità dipende dall’idea di mente che si ha in “testa”47. I vincoli di razionalità sono insediati nella
struttura della mente e più propriamente nella struttura dell’intenzionalità. Pertanto l’idea di razionalità è
strettamente connessa con ciò che s’intende per intenzionalità. Inoltre le più recenti ricerche in campo
neurofisiologica attestano che processi cognitivi sono strettamente connessi e “dipendenti” dai processi
emozionali48.
Ad esempio Herbert Simon49, sulla scia degli studi e delle affermazioni di Friedrich von Hayek,
riconoscendo la problematicità del concetto di razionalità insito nel modello aristotelico-cartesiano, propone
un’idea del pensiero quale mescolanza formale di simboli: il sistema nervoso umano è così concepito come
un sistema inconscio di manipolazione fisico-simbolica, in analogia con le operazioni compiute da un
elaboratore elettronico50. Dal che deriva che è possibile simulare processi cognitivi, data una positiva

44
Rudiger Bubner 1976
45
Un punto di riferimento imprescindibile di questa posizione è Philip N. Johnson-Laird 1983 e 1989.
46
Max Horkheimer, Theodor W. Adorno 1947
47
Uno dei primi lavori sistematici che ha cercato di collocare le problematiche legate alla ragione in un contesto di conoscenze
neurobiologiche è quello di Rupert Riedl 1980. Il contributo sostanziale di Riedl sta nel rendere assai complesso il concetto di causalità.
48
Gherardo Amadei 2005, Antonio Damasio 2003, Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia 2006
49
Herbert A. Simon 1983: 38
50
Hilary Putnam 1960. Successivamente Putnam ridimensiona notevolmente la propria posizione e dichiara che “ il modello della
macchina proposto da Turing non va necessariamente preso sul serio come modello dell’organizzazione funzionale del cervello.
Ovviamente, il cervello presenta elementi digitali nelle scariche si-no dei neuroni, ma in questo momento non abbiamo alcun modo di
sapere se l’organizzazione più ampia del cervello è rappresentata correttamente da qualcosa come un diagramma di flusso per un
algoritmo, o da qualcosa di completamente diverso”. Hilary Putnam 1981a:73

18
valutazione delle analogie nella risoluzione di problemi tramite calcoli computazionali usati sia dagli strumenti
informatici sia dal cervello umano. I due termini cardine della proposta teorica di Simon sono computazionale
e simbolico51: gli elaboratori elettronici riproducono processi che dagli esseri umani sono valutati come
razionali, cosicchè diventa ridondante indagare ulteriormente sia la natura sia la struttura del supporto che
consente la manipolazione di elementi simbolici, di modo che risultano insignificanti le indagini sulla struttura
neurale del cervello.
Il cognitivismo, così inteso, rivela una natura riduzionistica52, dal momento che attribuisce alla mente
una funzione prettamente computazionale, conferendo così un ruolo determinante alle rappresentazioni
(conoscenza come pura epistemologia e totale assenza di elementi ontologici), privilegiando lo studio di
aspetti cognitivi nello sviluppo dell’intelligenza umana a scapito delle emozioni o di fattori determinati
dall’ambiente o dall’ evoluzione biologica (il contesto), e infine precludendo o trascurando aspetti derivanti
da studi interdisciplinari.
Il presupposto implicito delle tesi di Simon è l’assunto che tra credenze, desideri e atti razionali vi sia
una relazione di tipo causale, di causalità efficiente. In realtà proprio lo spazio - ciò che Searle chiama la
lacuna53 - tra credenza, desiderio e azione è lo spazio del libero arbitrio54. La razionalità non è una procedura
attuata in base a regole o leggi. E, soprattutto, la razionalità non è una facoltà separata da altre facoltà.
L’intenzionalità stessa incorpora già di per sé, costitutivamente e intrinsecamente, vincoli di razionalità. Le
azioni implicano un coordinamento, e questo coordinamento è governato dai vincoli della razionalità. La
debolezza della volontà non è, infine, altro che l’esercizio del libero arbitrio esercitato nella lacuna tra
credenze, desideri e azioni: esercizio di scelta condizionato da ciò che Searle definisce lo sfondo, cioè il
substrato biologico soggettivo e il contesto storico culturale nel quale il soggetto è cresciuto e inserito. Ne
consegue che per formulare una corretta teoria della mente non si può prescindere dall’ambiente fisico-
biologico, dalla struttura fisico-biologica ereditata, dal contesto sociale nel quale si vive e dal contesto socio-
culturale nel quale si è inseriti. Tutto ciò mette in discussione una questione centrale: ci sono, infatti, miriadi
di azioni quotidiane compiute sulla base di ragioni che non dipendono né da credenze né da desideri, come
pagare il conto al ristorante, alzarsi la mattina ad una certa ora per andare a lavorare, e così via, e che
hanno un’ intrinseca oggettività.
Le posizioni filosofiche legate al concetto di razionalità limitata prendono avvio in modo organico e
sistematico dalle riflessioni di Friedrich von Hayek. Per Hayek le scienze sociali teoriche trovano la loro ragion

51
Tra gli studiosi si è raggiunto con una certa facilità un accordo sul termine computazionale, mentre assai più problematico si è rivelato
conferire un significato univoco alla natura simbolica degli elementi oggetto di manipolazione. In particolare, forte è stata la
contrapposizione tra studiosi quali Fodor (Jerry A. Fodor 1980; Jerry A. Fodor 1983), che intende i simboli come rappresentazioni fornite
di contenuto semantico e che distingue il momento semantico della loro interpretazione da quello sintattico della manipolazione, e
Simon, secondo cui i simboli significano una configurazione fisica dell’hardware che realizza il programma. Una teoria non semplicistica
del termine computazionale, che comprende sia l’organismo che l’ambiente, sicché il computer è visto come una macchina in costante
fase di aggiornamento, la si trova in Hilary Putnam 1988
52
Per una critica articolata all’immagine di mente computazionale e alle teorie cognitiviste si veda Felice Colombini 2004
53
Questa tesi di Searle appare confermata dalle ricerche di Benjamin Libet (2004)
54
In un recente lavoro Dennet assume una posizione assai differente. Egli, in riferimento alla tesi espressa da Robert Kane 1996,
sostiene che di fronte a due opzioni, a due scelte, come ad esempio di fronte all’opzione se accettare un lavoro in una certa località o in
un’altra, entrambe le decisioni di per sé sono razionali. Nel momento in cui viene presa la decisione la scelta è indeterminata e il libero
arbitrio si manifesta nel fatto che ci sarà sempre una buona ragione per sostenerla e questa è la sua ragione. Il libero arbitrio si
manifesta nell’indecisionismo. Non esiste lacuna nel processo razionale. Daniel C. Dennet 2003. Questa posizione di Dennet non è
dissimile da quelle espresse dai sostenitori della razionalità limitata. In comune hanno infatti l’adesione all’approccio funzionalista e
computazionale, cioè ritengono valida l’analogia tra cervello ed elaboratore elettronico. Un esempio in tal senso Dennet lo aveva già
formulato in Daniel C. Dennet 1978: 440-441

19
d’essere proprio nelle conseguenze inintenzionali che gli atti dei singoli individui producono sulla realtà,
innestando così le proprie argomentazioni teoriche nella tradizione austriaca di Karl Menger e Ludwig von
Mises55. La difficoltà derivante dalla possibilità di prevedere i comportamenti cagionati da azioni inintenzionali
scaturisce da una causa ben specifica e affermata con forza da Hayek a partire dalla sua elaborazione del
1952 L’ordine sensoriale56: la diversa distribuzione della conoscenza nella società57 e nei limiti della ragione
stessa58.
Nell’elaborazione teorica di Hayek assume un ruolo significativo l’indagine circa il modo in cui si
possono comprendere le azioni individuali tendenti al perseguimento di fini soggettivi, e su come tali azioni
possano produrre un ordine sociale59 che, in gran parte, risulta genesi involontaria del loro agire.
Hayek formula in modo assai più complesso e articolato il presupposto epistemologico di Menger60 e di
Mises che la conoscenza umana sia ineluttabilmente limitata e fallibile, cosicché valori e scopi dell’azione
individuale e soggettiva - fondamento delle azioni umane e delle loro conseguenze sociali - non hanno in
alcun modo un carattere oggettivo61. Il riconoscimento di un carattere non oggettivo a valori e scopi ha di
mira non tanto una valutazione delle conseguenze immediate delle azioni, ma la possibilità stessa di
prevederne le conseguenze future62.
Il secondo presupposto, strettamente connesso al primo, è che ogni azione umana orientata al
raggiungimento di scopi individuali o collettivi è sottoposta al rischio di produrre effetti inintenzionali, il più
delle volte imprevisti e valutati negativamente.63.
Hayek introduce esplicitamente la complessità delle motivazioni soggettive64 quale sinonimo di
imprevedibilità del comportamento. Un’accezione che in qualche modo si contrappone alla tesi di Georg
Simmel che indaga la complessità individuale in quanto ricchezza delle relazioni.

55
Per Menger (1871,1884, 1892, 1909) moneta, prezzi, linguaggio, diritto, stato, religione sono in realtà, e contrariamente a quanto
riteneva l’economia classica, produzioni “irriflesse”, sistemi normativi spontanei, generati proprio dalle azioni in intenzionali dei singoli
individui. Menger è accusato da Mises di essere influenzato dall’empirismo e dallo psicologismo di J.S. Mill. Mises, pur riconoscendo le
differenze in tema di teoria del capitale, accomuna Menger e Bohm-Bowerk nella sua critica all’eccessiva attribuzione ai caratteri
naturalistici nella loro teoria dei beni e dei bisogni. Mises ne accentua invece i caratteri soggettivistici.
Per Hayek si tratta di arrivare ad una teoria della conoscenza rispetto ai fenomeni.
E Mises afferma: “tutte le azioni sono compiute dagli individui (e) per una collettività sociale non vi è esistenza e realtà al di fuori delle
azioni dei membri individuali. La vita di una collettività è vissuta nelle azioni degli individui che ne costituiscono il corpo. Non v’è
collettività sociale concepibile che non funzioni per le azioni di qualche individuo. La realtà di un tutto sociale consiste delle azioni degli
individui che lo compongono. Così la via per arrivare alla conoscenza di tutti collettivi passa attraverso l’analisi degli individui”. Ludwig
von Mises 1962:179
56
Friedrich A.1952 Hayek
57
Friedrich A. Hayek 1952: 49
58
Nell’importante capitolo secondo de La società libera, Hayek argomenta che la causa della libertà è fondata sul riconoscimento
dell’ignoranza. Friedrich A. Hayek 1960:49; Friedrich A. Hayek 1960: 50; Friedrich A. Hayek 1960: 58
59
Per un’analisi dei concetti di “ordine sociale” in Hayek si veda Stefano Moroni 2005
60
Il filosofo Barry Smith in 1986 analizza l’a priori nella scuola austriaca e rintraccia una continuità che va in qualche modo da Kant a
Brentano a Husserl a Menger, il cui presupposto è Hume. L’assunto epistemologico comune consisterebbe nella eterogeneità tra gli
oggetti della natura e gli oggetti sociali. Barry Smith si rifà anche ad uno studio importante, ma fuorviante perché le questioni
epistemologiche vengono confuse con quelle ontologiche, di Fabian e Simons 1986. La natura e la società avendo oggetti diversi fanno
si che sia impossibile non procede che per via epistemologica. Non dissimile da questa analisi sono i lavori di Hayek The Place of
Menger’s Grundsatze in the History of Economic Thought e The Austrian Theory of Capital and its Rebirth in Modern Economics di John
R. Hicks, entrambi contenuti in John R. Hicks 1973a e l’elaborato dell’anno seguente dello stesso Berry Smith 1987
61
Per una critica a queste posizioni si veda il quarto capitolo intitolato Scienza economica e ignoranza degli obiettivi in Hans Jonas 1978.
62
Valori e scopi devono poter essere soggetti ad una critica che li valuti nella prospettiva del loro contributo alla creazione di un ordine,
che ha come presupposti la libertà individuale e la possibilità del mutamento non violento delle regole astratte di condotta e delle
istituzioni politiche e sociali.
63
Friedrich A. Hayek 1952: 57
64
In una prospettiva diversa questa complessità era stata sottolineata da Joseph Schumpeter e da Oskar Morgenstern. Sul tema della
complessità delle motivazioni soggettive che intervengono nei singoli processi decisionali, ovvero nell’azione umana, ritorna in Amartya
Sen 1987, dove osserva che l’approccio ingegneristico all’economia, tipico dell’economia “positiva”,,“ ha anche avuto l’effetto di far
ignorare una gamma di complesse considerazioni etiche che influenzano il comportamento umano effettivo”. Amartya Sen 1987: 13-15.
L’obiettivo polemico di Sen è la teoria dell’homo oeconomicus e i suoi sviluppi razionalistici.

20
All’individualismo metodologico, Hayek oppone il collettivismo metodologico che individua delle realtà
sostanziali, oggettive, dei concetti collettivi. Pertanto il collettivismo metodologico non è altro che un
realismo ingenuo65, poiché tratta come oggetti reali, quasi avessero uno statuto ontologico, quelli che
66
invece sono costrutti mentali , concetti. Una siffatta convinzione, diffusa e radicata, è dovuta anche al fatto
che “l’esistenza, nell’uso corrente, di termini come “società” o “economia” è ingenuamente considerata come
prova evidente dell’effettiva esistenza di determinati “oggetti” che a quei termini concretamente
corrispondono”.67.
Per Hayek dai vizi privati possono scaturire pubblici benefici68. Pertanto cartesiani, illuministi e
positivisti sono stati costruttivisti: non hanno usato la ragione, ma ne hanno abusato. Le considerazioni di
Hayek sui limiti della ragione trovano fondamento nella sua teoria della mente. Il caso di Hayek rientra
pienamente in quella “gran confusione” di cui parla Searle69 a proposito delle nozioni di oggettività e del
conflitto tra oggettività e soggettività. Hayek è alla ricerca di verità scientifiche “oggettive”, ma non distingue
nettamente, da un lato, tra oggettività e soggettività ontologica, e dall’altro, tra oggettività e soggettività
epistemica70.
Una seconda questione concernente il pensiero di Hayek è che egli rimane prigioniero di un concetto
di ragione unificante - ragione teorica e ragione pratica - o, almeno, del fatto che esse debbano coincidere. Il
rifiuto di Hayek di considerare la ragione onnipotente lo induce, correttamente, a mettere in discussione la
relazione fra razionalità-intenzionalità, trasformandola in irrazionalità-inintenzionalità. Le lacune71 tra gli atti
razionali e gli atti intenzionali non vengono minimamente prese in esame. La concezione di razionalità è
fondata sul ruolo vincolante della relazione causa- effetto. Hayek, non riuscendo a riformulare il concetto di
azione razionale, è costretto ad ammettere che venendo meno la razionalità di un’azione viene meno anche
l’intenzionalità della stessa72.
Per Hayek il riferimento teorico è a un modello di ragione pratica che ha percorso la storia della
filosofia a partire da Aristotele73, cosicché Conoscenza e coscienza, in questa fase del suo pensiero, appaiono
strettamente connesse. 74.
Nelle scienze sociali il metodo esplicativo primario di conoscenza è dato dall’introspezione, un metodo
proposto da Wundt e non applicato da Brentano, ma che verrà successivamente ridimensionato da Hayek
per rispondere all’obiezione che esistono individui, e di conseguenza menti, assai diversi tra loro75. Ragion
per cui risulta assai difficile prevedere comportamenti collettivi sulla base di analogie tra una persona e

65
Friedrich A. Hayek 1952: 61
66
Hayek partendo da tematiche kantiane prettamente legate all’epistemologia disconosce la possibilità che gli stessi concetti possano
avere un qualche statuto ontologico.
67
Friedrich A. Hayek 1952: 61
68
Friedrich A. Hayek 1952: 62
69
John R. Searle 2001: 51
70
Si veda anche John Searle 1995
71
Il concetto di lacuna e apparente contraddittorietà di due intenzioni, entrambe mosse da razionalità, sono sviluppate da Searle in
2004.
72
John Elster adotta il termine “controfinalità” per esprime la distanza tra possibile ed effettivo, cioè tra le conseguenze inattese che
derivano da azioni non coordinate e fa riferimento espressamente ad Hayek per tale formulazione. Jon Elster 1978. Robert Nozik
adotta invece l’espressione “spiegazioni basate sulla mano invisibile” per significare “una trattazione che spiega ciò che sembra il
prodotto del progetto intenzionale di qualcuno senza essere stato generato dalle intenzioni di qualcuno”. Richard Nozik 1974: 19
73
Per un’analisi del rapporto intenzionalità-ragione in Aristotele vedere Aristotele: la fragilità della vita buona in Martha Nussbaum 1986.
Aristotele esclude espressamente l’intenzionalità dalla vita animale.
74
Friedrich A. Hayek 1952: 123
75
Ernst Nagel 1952:560-565

21
l’altra. E’ a seguito di questo ridimensionamento che prende vigore la tesi della complessità,
precedentemente descritta.
Per sua stessa ammissione, fin dal 1914, Hayek elabora una psicologia che contempla il passaggio dal
concetto di sostanza al concetto di funzione. Le qualità che noi attribuiamo agli oggetti esperiti non sono
affatto proprietà degli oggetti stessi ma rappresentano piuttosto un complesso di relazioni in base alle quali il
nostro sistema nervoso li classifica. In altre parole, tutto ciò che conosciamo del mondo esterno è di natura
teoretica. Ogni percezione sensoriale è necessariamente astratta, in quanto seleziona sempre certi aspetti o
caratteristiche di una data situazione. Non si danno oggetti permanenti o stabili di conoscenza, ma soltanto
modi di conoscere oggettivamente, cioè si dà solo epistemologia oggettiva, e persino i modi di conoscere
oggettivamente non sono stabili, o sono soltanto relativamente stabili, poiché le stesse modalità del
conoscere sono soggette a modificazioni. Assumono importanza le caratteristiche dell’ambiente in cui viene a
costituirsi l’apparato di classificazione o di ordinamento della conoscenza sia durante la vita dell’individuo sia
nel corso dello sviluppo filogenetico e l’esperienza precede e modifica la percezione. Avviene costantemente
un processo di feedback76 tra percezione e azione e tra adattamento e conoscenza.
Preoccupazione fondamentale di questa concezione della mente è trovare un principio unitario, seppur
complesso, che renda certa la conoscenza, pur mantenendo fermo l’assunto che il comportamento
individuale è imprevedibile.
Le attuali ricerche in campo neurofisiologico77 vanno in realtà in una direzione molto diversa da quella
proposta da Hayek. Hayek parte dalle percezioni, gli attuali studi neurofisiologici prendono in esame come
elemento fondamentale dello sviluppo intellettivo le emozioni. E anche in ambito filosofico le ricerche
scientifiche valorizzano le emozioni come fondanti del processo cognitivo.78
Rimane centrale l’intuizione di Hayek che la complessità dell’agire umano vada ricercata nell’intreccio
tra neurofisiologia, neurobiologia, neuropsichiatria, un’intuizione largamente confermata dagli studi più
recenti e in particolare dai lavori di Gerald Edelman79. Mostrare che le funzioni del cervello, così come la sua
struttura, dipendono dal contesto e dalla storia, e non da funzioni localizzate e da memorie fisse, è quanto si
propone di dimostrare la teoria di Edelman della selezione dei gruppi neuronali. Edelman ha sviluppato una
teoria scientifica della coscienza basata sul principio generale darwiniano della selezione dei gruppi neurotici
TSGN (Teoria della selezione dei gruppi neuronali):80. Su questa base Edelman definisce l’intenzionalità
come la “natura informativa degli stati che sottendono la coscienza”.81 L’ intenzionalità è una sorta di
proprietà informativa della coscienza.82
La ricerca in campo neurobiologico e neurofisiologico di Edelman è inserita in una visione del processo
evolutivo che si fonda sul principio popolazione di Ernst Mayr83. Edelman stesso vi ricorre sempre in modo

76
Efficace termine di cui siamo debitori a Salvatore Rizzello 1997: 54-55
77
Antonio R. Damasio 1994; 1999; 2003; Gherardo Amadei 2005; Enzo Soresi 2005. I neurologi e i neuroscienziati citati dimostrano
ampiamente come l’assenza di emozioni, o il controllo eccessivo esercitato sulle emozioni che conduce alla loro atonia, comporta una
perdita di fascie neuronali tali da produrre perdite effettive delle capacità intellettive. In questo senso la mente si ammala, perde
oggettivamente delle facoltà che potenzialmente può esercitare.
78
Martha Nussbaum C. 2001
79
Gerald M.Edelman 2004. Questa ipotesi era già presente in 1992
80
Gerald M.Edelman 2004: 118
81
Gerald M.Edelman 2004: 104
82
Gerald M.Edelman 2004: 104
83
Ernst Mayr 1982; Mayr Ernst 1980; Mayr Ernst 1991

22
esplicito, cosicché la sua proposta non è assimilabile alle tesi riduzionistiche di Dawinks84 o di Dennet85.
Edelman nelle sue ricerche tiene infatti in gran considerazione i principi di riconfigurazione e di interazione
tra organismo e ambiente, tra specie e ambiente, tra deme e ambiente, sviluppati in particolare da Richard
Lewontin86, di cui adotta anche l’accezione di fitness. Infine Edelman fa ampiamente ricorso, per mostrare la
dipendenza della percezione dal contesto, a esempi di fenomenologia delle illusioni sensoriali, con esplicito
riferimento ai lavori di Kanizsa.87
Ritornando ad Hayek, possiamo affermare che egli ha avuto l’indubbio merito di insinuare il dubbio su
uno specifico modello di razionalità astratta e pratica, dal quale però non si è sostanzialmente distaccato,
poiché il processo cognitivo-logico è rimasto dominante e quale indicatore dell’intelligenza umana. Non di
meno Hayek è il precursore a tutti gli effetti della Rational Choice Theory.
Proprio grazie a questo dubbio che la disciplina economica, anche valorizzando in modo differente gli
apporti provenienti dalla matematica, ha sviluppato una nuova sensibilità verso metodologie e contenuti
teorici differenti. Le teorie che qui di seguito elenchiamo presuppongono tutte una concezione della
razionalità di stampo aristotelico-cartesiano e cercano di circoscriverne, di definirne i limiti e di inglobare
questo “nuovo” tipo di razionalità in formulazioni matematiche, geometriche, econometriche o sociometriche:
1. La teoria delle catastrofi di René Thom88, 2. La teoria dei giochi di John von Neumann e Oskar
Morgenstern 89 ; 3. Il principio di razionalità limitata sviluppato da John C. March e Herbert A.Simon90,
4. La teoria del processo adattativo di Richard Cyert e John March91.
Uno sviluppo teorico, parzialmente diverso, frutto di un’originalità intrinseca, è dato dalla teoria dei frattali
sviluppata da Benoit B. Mandelbrot92. I presupposti che la teoria dei frattali mette in discussione sono tre: a)
l’homo oeconomicus non è razionale e non è interessato unicamente al proprio tornaconto; b) la variazione
dei prezzi non segue la curva a campana; c) le variazioni dei prezzi non sono, per usare la definizione degli
statistici, variabili indipendenti e identicamente distribuite, così come in una partita a testa e croce il lancio di
una moneta non è condizionato dal lancio precedente.

6. LA SOCIETÁ COME RELAZIONE INITENZIONALE E COME TOTALITÁ INTENZIONALE


Afferma Searle nell’Introduzione alla Costruzione della realtà sociale: “Noi abbiamo un grande debito con
i grandi filosofi-sociologi del XIX secolo e dell’inizio del XX – penso a Weber, Simmel e Durkheim – ma dalla
frequentazione che ho della loro opera mi sembra che essi non fossero nella posizione di rispondere alle
domande che per me sono problematiche, dal momento che essi non avevano gli strumenti necessari. Ciò

84
Ci riferiamo al fatto che questa posizione non ha nulla a che fare con il riduzionismo biologico sviluppato da Richard Dawkins in diversi
testi: Richard Dawkins 1976; 1982; 1986; 2004. Sostanzialmente Dawkins sostiene che tutto ciò che è pertinente alla biologia
evoluzionistica si lega o deriva dal potere della selezione naturale di plasmare la struttura dei singoli organismi. Tutto ciò che avviene a
livello di specie può essere spiegato con ciò che avviene a livello di organismo. Dopo alcune obiezione all’uscita del primo libro citato,
Dawkins corregge parzialmente la propria visione sostenendo che esiste legittimità interpretativa tra coloro che spiegano alcune
strutture evolutive partendo dai geni e coloro che le spiegano usando metodologie legate alla specie come gli equilibri punteggiati.Il
riferimento è ovviamente a Stephan Jay Gould e a Richard Lewontin, con la sua teoria dei pennacchi di San Marco.
85
Daniel C. Dennet 1995. Dennet utilizza espressamente il termine “ingegneria biologica”.
86
Richard Lewontin 1985
87
Gaetano Kanizsa 1980
88
Renè Thom 1972
89
John von Neumann e Oskar Morgenstern 1944
90
Herbert A. Simon 1955; Herbert A. Simon 1958;John C. March e Herbert A. Simon 1966; Herbert A. Simon 1983
91
Richard M. Cyert e John G. March 1956; Richard M. Cyert e John G. March 1963; Richard M.Cyert e John G. March 1964
92
Benoit B. Mandelbrot e Richard L. Hudson 2004

23
significa che, senza addebitare loro nessuna colpa, essi erano privi di una teoria adeguata degli atti
linguistici, dei performativi, dell’intenzionalità collettiva, del comportamento regolato da regole, ecc”93.
Riteniamo che gran parte dell’elaborazione di Searle nasca da molte delle riflessioni sviluppate dai tre
studiosi in esame. Da Simmel, Searle elabora l’idea che le relazioni sociali si fondino su un atto intenzionale:
il desiderio. Per Simmel il desiderio era relegato all’interno di una visione psicologica e di un pensiero
filosofico di matrice kantiana, connessa a una questione epistemologica. Searle trasferisce questa intuizione
su base ontologica. Per Searle, solo a seguito di un atto intenzionale può avvenire una qualche valutazione
dell’oggetto stesso, sia esso oggetto fisico o oggetto sociale. D’un sol colpo egli cancella le teorie che
vorrebbero fondare la realtà sociale sulla base del valore: da Ricardo a Sraffa, passando per Marx.
Il simboleggiare, il significare, sono il risultato di processi mentali, partecipano della rappresentazione
della realtà, di quella produzione che ha una natura epistemologica. Come è possibile fondare
ontologicamente simboli e significati, come riconnettere un universale a un particolare? La difficoltà può
essere superata unicamente riconducendo il simbolo e il significato ad una qualche materialità, a una
relazione type – token (tipi e gettoni)94. Ciò che può essere creato è un token, ma un type deve o pre-
esistere o esistere nel momento in cui ci sono almeno due token che si riferiscono ad un type. Rimane la
questione del grado e della caratteristica assunta da questa materialità.
La sociologia si è mossa prevalentemente all’interno o del paradigma weberiano, che pone al centro
dell’analisi sociologica l’azione dotata di senso, o del modello durkheimiano che considera i fatti sociali come
cose. Possiamo prendere come esempio della prima corrente, che sviluppa una teoria della conoscenza
sociologica a carattere prettamente epistemico, Jeff Coulter, le cui categorie concettuali, nettamente
antirealiste, hanno come bersaglio esplicito la dottrina di Searle.95 Di contro, la posizione di Durkheim
costituisce la base per quella visione ontologica del sociale di cui John Searle è l’esponente di spicco, se non
l’unico96.
L’analisi di Simmel, che interpreta le relazioni anche come espansione dalla diade alla triade, si muove
in una dimensione autonoma rispetto a queste due, pur non riuscendo a fondare un’oggettività della realtà
sociale. Alle elaborazioni di Simmel si avvicina la posizione di Michael E. Bratman secondo cui la società è
costituita da una base comune cognitiva dell’individuo che risulta in grado di “leggere” l’intenzione dell’altro
individuo, ma il coordinamento delle reciproche intenzioni avviene sulla base di uno scopo comune97. Non
siamo in presenza di una teoria dell’intenzionalità debole, bensì di un’intersoggettività.
La differenza sostanziale tra queste teorie sta nel pronome: l’intenzionalità individuale parte dal
pronome “io”; l’intersoggettività, la relazione, continua a partire dal pronome “io” ma si estende al pronome
“tu”; l’intenzionalità sociale parte dal pronome “noi”98 e interagisce con il pronome “noi”.

93
John R. Searle 1995: 4
94
Richard Davies 2005
95
Jeff Coulter 1989: 143
96
A supporto della tesi di Searle pensiamo di dover richiamare qui, brevemente, anche la teoria della memoria collettiva in quanto
struttura sociale della memoria. In essa, l’attenzione rivolta al contesto sociale nell’ambito del quale si trova l’accesso al passato rivela
che i ricordi concernono perlopiù ciò che facciamo in quanto membri di una particolare comunità. Si tratta di memorie collettive,
condivise da famiglie, gruppi etnici, nazioni e altre comunità. Ad esempio, in una qualsiasi festività commemorativa si tende spesso a
ricordare il passato insieme ad altri, rammentando così il nostro ambiente sociale, che impone non solo cosa ricordare, ma anche
quando ricordare. Si verifica in tal modo una sincronizzazione della memoria. Eviatar Zerubavel 2004. Per una concezione del tempo in
senso collettivo e le relative influenze nell’adozione dei calendari e nelle festività si veda Paolo Sacchi 1986
97
Michael E. Bratman 1992. Ed è in questa direzione che vanno le ricerche riportate in Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia 2006
98
John R. Searle 1995: 36

24
In Simmel il rapporto individuo-società non è posto in termini dicotomici. Al centro di una rete fitta di
relazioni e di comunicazioni sociali vi è l’individuo che, pertanto, risulta essere costruito socialmente. Il libero
arbitrio dell’individuo non è ontologicamente fondato, ma si alimenta dalla possibilità di muoversi nel tessuto
complesso di una società sempre più differenziata. Per converso, la società non è un ente che si erge in
contrapposizione99 agli individui che la compongono, non essendo altro che la somma di tutte le reti di
relazioni. Individui e società sono costruiti con lo stesso materiale. 100
Simmel si poneva così in aperto contrasto con Emile Durkheim che in un suo saggio del 1900101 si
preoccupa di rispondere soprattutto alle tesi esposte in Il problema della sociologia e in Come si conservano
le forme sociali. A sua volta, la replica di Simmel in Come è possibile la società? rappresenta un’indiretta
risposta a Durkheim, il quale propugna una sociologia come scienza della totalità cosale, ricostruibile
mediante leggi universali.
Per Simmel sono i fattori che costituiscono la differenza a rendere comprensibile l’innumerevole variare
delle mescolanze individuali.
Nella teoria di Searle sugli oggetti sociali il debito verso Durkheim è quello più significativo e mostra
più che mai l’attualità delle tesi sviluppate dal sociologo francese a cavallo del XX sec. E, invero,
un’assonanza di contenuti e una certa corrispondenza terminologica accomunano le tesi di Searle
sull’intenzionalità sociale all’idea di coscienza collettiva sviluppata da Durkheim. Soprattutto, entrambi
riconoscono una natura ontologica ai fatti sociali. Alcune debolezze riscontrabili nel pensiero di Durkheim si
riflettono anche nelle difficoltà teoriche di Searle.
Durkheim si è proposto di costruire una teoria sociologica razionalmente chiara, empiricamente
dimostrabile e moralmente obbligante102. La sociologia come scienza, avendo il fine di riferirsi a una realtà
obiettiva, deve essere empiricamente dimostrabile. Per Durkheim il sociale non è una semplice ipotesi, ma
una realtà che nel suo operare deve essere resa manifesta dall’indagine empirica. La ricerca empirica non
deve rinvenire la realtà, essa è; non deve scoprire quale influenza esercitino i fattori sociali sul
comportamento degli uomini, bensì dedurre questo comportamento dai fattori sociali103. Ne consegue che
Durkheim pone la problematica sociologica sul piano dell’ontologia, cercando di chiarire il nesso tra ontologia
ed epistemologia oggettiva dei fatti sociali.
La socializzazione104 non si basa sull’interesse individuale – come avevano tentato di spiegare la
filosofia morale inglese, Kant e Hegel – essa è piuttosto un condizionamento che l’individuo subisce, è un
fatto endogeno. Secondo Durkheim il compito della sociologia è illustrare il dispiegarsi di questo
condizionamento. Egli è un dualista radicale che respinge la tradizione di Hume e Kant legata alla
conoscenza. Egli osserva che la sociologia esiste come scienza solo perché il sociale è un oggetto autonomo
della conoscenza, chiaramente delimitabile rispetto a ciò che è individuale105. Per Durkheim la vita umana si

99
Georg Simmel 1894: 12
100
Georg Simmel 1894: 9
101
Emile Durkheim 1900
102
Come Comte e Rousseau è un moralista.
103
Durkheim conosce assai bene gli scritti di Kant e ne Il suicidio (Emile Durkheim 1895a) lo cita continuamene. Nella formazione di
Durkheim è altrettanto rilevante Hegel Per Durkheim il sociale rappresenta l’assoluta supremazia del volere generale nei confronti del
singolo. Durkheim si sforza di presentare il sociale come il vero contenuto della religione e della morale e di far risalire tutti i concetti
universali della coscienza umana alla società.
104
Emile Durkheim 1895b: 47
105
Emile Durkheim 1900

25
sviluppa intorno a due centri: la singola individualità che rappresenta il profano, e la dimensione sociale che
rappresenta il sacro. Si negherebbe la sociologia in quanto scienza se si dicesse che è composta da individui.
Le categorie del pensiero derivano dall’organizzazione della società, l’idea di tempo deriva dal “tempo
sociale”, così come lo spazio promana dallo “spazio sociale”. 106.
A detta di Durkheim ci sono domande funzionalistiche e spiegazioni causali107. Ne consegue che la
forma sociale, sebbene abbia le sue radici nella normatività biopsichica degli individui, rappresenta però un
nuovo livello del reale, che sta ad indicare una totalità irriducibile all’esistenza delle singole parti di cui essa si
compone. I fenomeni sociali non possono spiegarsi con il ricorso a caratteristiche biologiche o psicologiche
degli individui108. La realtà biologica rappresenta dunque la parte statica, non modificabile o poco variabile,
dell’uomo, di contro alla capacità di trasformazione e di adattamento della parte sociale, alla sua plasticità,
che è, sostiene Durkheim, la vera natura dell’uomo.109
Malleabile, per Durkheim, è la dimensione psichica dell’uomo che talora è agganciata allo strato
organico, talaltra, in quanto reputata dipendere dall’azione sociale, è definita come prodotto di questa
azione. Nel primo caso, lo psichico, pressoché indistinguibile dall’organico, contribuisce con questo alla
formazione e alla definizione dell’individualità umana, vale a dire di quell’elemento che caratterizza in
maniera inequivocabile ogni uomo. Nel secondo caso, invece, la dimensione psichica rimane una dimensione
generica, che assume significato attraverso la correlazione intrattenuta con il sociale.
Per Durkheim tutto ciò che non è riconducibile al biologico deve essere ricondotto al sociale.
Durkheim opera una scelta metodologica di tipo antiriduzionista: i fatti sociali non sono determinati da
cause biologiche, psicologiche economiche110. La spiegazione dei fatti sociali non può essere ricondotta a
pure motivazioni personali, psicologiche, degli individui che vi prendono parte e che, anzi, subiscono il fatto
sociale stesso. In Durkheim il sociale è trasportato all’interno dell’individuo. La generalità di molti fatti sociali
dimostra non la loro natura psichica111 - in quanto reali solo perché presenti nella mente di tutti - ma l’esatto
opposto. E’ proprio perché certi fatti sociali sono reali che essi riflettono nelle menti di tutti o di molti. In altri
termini, un fatto o fenomeno sociale non è collettivo in quanto generale, ma è generale in quanto collettivo.
La diffusione di un fatto sociale è perciò non la causa, ma la conseguenza del suo carattere sociale. Il fatto
sociale è, come già riconobbe Adam Smith, “the man whitin”, la coscienza collettiva112 nella coscienza
individuale.

106
Durkheim collega il valore economico al mana. Durkheim Emile 1912:417
107
Emile Durkheim 1895b: 95
108
Emile Durkheim 1895b: 103
109
Emile Durkheim 1902: 333
110
Il fatto sociale non può essere spiegato con quanto è conosciuto a livello dell’organismo biologico, tramite l’analogia di funzioni tra
l’organismo sociale e l’organismo biologico, come compie invece la teoria organicista. Né esso può essere spiegato riconducendolo al
libero gioco degli egoismi individuali, delle loro scelte, “razionali” o istintive, secondo la tesi sostenuta dall’economia classica, secondo
cui individui che agiscono spinti dai loro interessi egoistici costituiscono la migliore garanzia di funzionamento della società e dell’ordine
sociale, per cui gli individui sono quindi indirettamente “altruisti”.
111
Il sociale è oggettività mentre lo psichico è soggettività. L’oggettivo si connette ad un’essenza i cui movimenti sono determinati da
cause esterne ed impersonali come gli interessi o le regole comuni. Il soggettivo si esprime, invece, in un’apparenza i cui movimenti,
provenienti dall’interno, si distinguono dai precedenti per il loro carattere instabile e vissuto. Il sociale è inoltre razionale, poiché ogni
azione e ogni decisione seguono una logica, tengono conto della relazione tra mezzi e fini. Lo psichico è invece considerato irrazionale,
soggetto all’impulso dei desideri e delle emozioni. Durkheim pertanto sostiene l’impossibilità di spiegare i fenomeni sociali a partire da
cause psichiche, di definire le caratteristiche di un essere collettivo a partire dalle caratteristiche degli esseri individuali che lo
compongono: “Ogni volta che un fenomeno sociale è spiegato direttamente da un fenomeno psichico, possiamo essere certi che la
spiegazione è falsa”. Emile Durkheim 1895b:102.
112
. “Se sono alla fine diventato sociologo … è soprattutto per mettere un punto conclusivo a questi esercizi basati sui concetti collettivi,
il cui spettro è sempre in agguato. In altri termini, la sociologia stessa non può procedere che dalle azioni di un singolo individuo, di
alcuni individui, o di numerosi individui. E’ questo il motivo per cui essa deve adottare dei metodi strettamente ‘individualistici’”. Da una

26
Durkheim fonda la propria concezione di coscienza collettiva su basi morali. Il riferimento
imprescindibile sono le affermazioni del maggior psicologo dell’epoca, Wilhem Wundt113, secondo cui la
realtà sociale è indipendente dal singolo e i calcoli e le motivazioni individuali sono inutili nella spiegazione
dei fatti sociali. I fenomeni collettivi per Wundt non esistono al di fuori della mente umana.
Wilhem Wundt è stato il patrocinatore di una psicologia parzialmente antitetica a quella di Franz
Brentano. L’attenzione che Brentano ha posto sull’intenzionalità - la direzione verso un oggetto - quale
aspetto essenziale dei fenomeni psichici del credere, del desiderare e del percepire, lo induce a fondare una
nuova versione del dualismo cartesiano mente-corpo114. Brentano pone al centro della riflessione psicologica
la dimensione fenomenologica dell’esperienza: si tratta di fenomeni assai complessi e di grado elevato, legati
all’attività intenzionale, cioè a intenzioni, scopi e progetti dell’individuo. Di converso, Wundt appartiene
culturalmente allo spirito positivista, per cui egli tende a privilegiare una psicologia che scompone la vita
psichica nei suoi elementi costitutivi così da sostenere la necessità di una puntuale osservazione interiore per
chi voglia studiare scientificamente le caratteristiche dei singoli atti psichici. L’introspezione quale metodo
privilegiato di lavoro avrebbe dovuto essere adottabile anche con l’approccio proposto da Brentano. Ma
questi rivolge la propria attenzione principalmente alla qualità fenomenologica dell’attività psichica cosciente,
sottolineando la facilità con cui questa qualità può modificarsi in situazioni “innaturali” e tralasciando il
metodo introspettivo. Egli privilegia così una ricerca psicologica basata su una percezione interiore naturale,
immediata e indiretta dei vissuti fenomenologici. Questa impostazione brentaniana non è compatibile con la
ricerca sperimentale di laboratorio.
Wundt propugna e fonda una psicologia scientifica utilizzando una metodologia che insiste sul
controllo e sulla quantificazione delle esperienze psichiche esaminate in laboratorio. La qual cosa obbliga a
considerare e a privilegiare fenomeni sensoriali e percettivi molto semplici, cosicché l’introspezione diventa il
metodo privilegiato. Il metodo proposto da Wundt comporta la necessità di fornire riscontri oggettivi della
vita psichica indagata. Non è un caso che proprio da un allievo di Wundt, Edward Tichener, prenda avvio la
scuola psicologica strutturalista, che si propone di ricondurre la struttura mentale ai suoi elementi semplici, e
parimenti non è casuale che da Durkheim abbia origine quella parte della filosofia definita strutturalismo.
Le posizioni di Searle sull’intenzionalità individuale e sull’intenzionalità collettiva risentono della doppia
influenza metodologica: da un lato la fenomenologia di Brentano, dall’altro la psicologia scientifica di Wundt
con la relativa trasposizione sul piano sociale delle posizioni di Wundt operata da Durkheim. Al punto che
sulla coscienza collettiva è sostanzialmente riproposto da Durkheim in un’effettiva omogeneità dei contenuti
ne La divisione del lavoro sociale.115
La coscienza collettiva è rigorosamente definita come un insieme di credenze e di sentimenti, condivisi
dai membri della società costituitasi su base etica116. Lo sviluppo dell’individualismo è un fenomeno

lettera di Max Weber a R.Liefmann 1920; cit. da Raimond Boudon 1998: 69-70. E’ senza equivoci il rifiuto sistematico della sociologia
“organica” di Durkheim, anche se per Weber il riferimento polemico è A. Schaffle. Max Weber 1922: 14-15
113
Durkheim studia le opere dei principali studiosi della psicologia sperimentale, restando soprattutto colpito dal laboratorio di psicologia
di Wilhem Wundt che gli fornisce alcune categorie centrali della sua opera. Wilhem Wundt 1986: 253-254
114
Una teoria della mente che si fondi su basi scientifiche deve essere in grado di spiegare l’intenzionalità ricorrendo alle caratteristiche
fisiche e naturalistiche della mente. Di converso, l’autonomia del mentale dal fisico comporta l’inammissibilità di ridurre il mentale al
fisico. Sappiamo che sono state proposte teorie di genesi computazionale, da Hilary Purnam ad esempio, che sostengono invece una
naturalizzazione dell’intenzionalità, sostenendo che la psicologia ha un dominio autonomo, non riconducibile ad uno status fisico-biogico.
115
Wilhem Wundt 1986: 253-254. Emile Durkheim 1912: 101- 102
116
Emile Durkheim 1912: 146-7

27
inevitabilmente concomitante con l’espansione della divisione del lavoro; e l’individualismo può svilupparsi
solo a spese dell’intensità delle credenze e dei sentimenti comuni. 117.
I fatti sociali dovrebbero, invece, essere considerati come cose: “I fenomeni sociali sono cose e
devono venire trattati come cose”118. I fatti sociali costituiscono dei dati per quanto riguarda l’agire e il
pensare degli individui stessi. Pertanto i fatti sociali non sono semplicemente là, non sono solo posti, essi
esercitano anche una pressione sull’azione, impongono delle differenze rispetto ai modi in cui l’azione si
svolgerebbe se quei fatti non esistessero. L’agire nel suo dispiegarsi, incontra i fatti sociali come una sorta di
resistenza, che a sua volta resiste119. I fatti sociali costituiscono non solo un vincolo, ma anche una
compulsione. Nella Prefazione alla seconda edizione de Le regole Durkheim sostiene che i fatti sociali
possiedono un “potere coercitivo” sugli individui, e cioè che esercitano sulle coscienze individuali un
dominio120.
121
I fenomeni sociali si inscrivono nella realtà materiale unicamente grazie all’agire di altri fenomeni .
che, pur essendo a loro volta simili a cose, sono però “estremamente immateriali”, cioè i modi di agire e di
pensare122. I modi di agire ( la moneta agisce come oggetto sociale) e di pensare (il denaro agisce come
concetto ontologico e normativo) sono i fatti sociali per eccellenza, sono gli elementi costituitivi delle
istituzioni stesse: vale a dire sono l’insieme di quelle credenze e pratiche relative a un determinato ambito
della realtà sociale che, cristallizzatesi, s’impongono agli individui.
In analogia con quanto accade per gli oggetti sociali, anche in questo caso c’è un atto che li
costituisce, ed è in base a un’intenzionalità che essi prendono corpo, un corpo che ha una sua fisicità come
riferimento.
Ed ecco la teoria di Searle raccontata quasi 100 anni prima! Ovviamente in un contesto diverso e con
una terminologia solo parzialmente diversa e ancora intrisa di idealismo.
Durkheim, nel cercare di spiegare anche i mutamenti sociali, fa appello a modalità di pensiero e a
sentimenti che si impongono agli individui, informandone la condotta, senza aver raggiunto lo stato di
istituzioni. Pensieri e sentimenti operano come “correnti sociali” e nel tempo possono sostituire modi di agire
consolidato e routine comportamentali. Questo spiega la sostituzione di abitudini consolidate con modelli
diversi. Ma questi modelli sono a loro volta imposti e sanzionati e si trovano in relazione con fatti sociali già
istituzionalizzati, con modi di agire e pensare consolidati. I nuovi modi di agire e pensare, come nel caso dei
vecchi modi, si rapportano alle caratteristiche morfologiche già presenti in una determinata società.
I fatti sociali sono per Durkheim a tutti gli effetti cose, ma non “delle” cose materiali; essi sono di
123
natura espressamente mentale: sono costituiti da “rappresentazioni” . In quanto tali, esercitano sulle
menti umane una particolare pressione, di natura immateriale124. Questa argomentazione di Durkheim

117
Emile Durkheim 1912:183
118
Emile Durkheim 1895b: 44
119
Emile Durkheim 1895b: 45
120
Emile Durkheim 1895b: 17. La coercizione non è l’essenza del fatto sociale, è solo il rapporto dominante che questi fatti possiedono
in rapporto agli individui. La coercizione è una caratteristica di questi fatti, permette di osservarli nella realtà e di raggrupparli in un
campo scientifico della realtà, per esporlo all’osservazione, alla classificazione e all’analisi scientifica.
121
Emile Durkheim 1895: 26
122
Emile Durkheim 1895b: seconda Prefazione
123
Emile Durkheim 1914: 347
124
Emile Durkheim 1895: 19

28
corrisponde sostanzialmente al processo simbolico descritto da Searle rispetto agli oggetti sociali e in
particolare per il denaro.
Ha origine qui l’oscillazione tra livello ontologico e livello epistemologico evidente in Searle
relativamente all’intenzionalità collettiva legata agli oggetti sociali.
Esiste sì un cervello quale condizione “naturale” al quale bisogna sempre ricollegarsi per spiegare in
maniera plausibile la mente, ma ciò significa soltanto mettere in luce come la mente rappresenti
un’esperienza affiorante, che nasce nell’ambito del processo sociale, attraverso le esperienze di interazione
tra cervello e contesto sociale.125.
Il cardine sta nella plasticità126 del cervello.

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125
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126
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