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Letteraturaitaliana 2 - Cotrone

Letteratura italiana 2  (Università degli Studi di Bari)

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L ETTERATURA ITALIANA 2 – R. Cotrone

La Trititia del presente - Introduzione

La tristizia è il declinamento di sé: un senso di insoddisfazione e di delusione.


Questo sentimento ricorre spesso negli autori del secondo ‘700: potremmo definirlo un sentimento di disillusione da parte di molti
intellettuali che, con fervore, decisero di credere agli ideali dell’Illuminismo.
Il sentimento di disillusione deriva, per l’appunto, dalla scomposizione e dal frazionamento di questi ideali.
Il mondo dei lumi e la sua stagione letteraria: altamente inquieta e spesso conflittuale che vede affermarsi il sistema romantico in
Italia.
Temi e suggestioni di ascendenza illuministica continueranno ad orientare e caratterizzare i percorsi intellettuali di numerose figure
di spicco dell’Ottocento: ad esempio il Breme e i ‘conciliatoristi’ erano influenzati dalla lezione riformatrice dell’Illuminismo
lombardo: ciò che li muoveva era il principio di razionalità, funzionale alla dinamica evolutiva e all’incivilimento della nazione.
E’ l’insistente rivolgersi all’antico l’ideale punto di riferimento o ineludibile termine di confronto che lega percorsi di vita e di
pensiero dislocati lungo un arco temporale abbastanza ampio.
Interessate è al proposito la figura del Gravina: egli, nel suo programma classicistico, avvia una proposta correttiva della statutaria
nozione di regola, reinterpretandola alla luce delle modificazioni storiche, civili e culturale di cui si fa portavoce la modernità.
Ambito nazionale: il riferimento all’antico mentre per tanti homnes des lettres settecenteschi rappresenta uno spazio
antropologico mitico e atemporale o, in certi casi, addirittura una risorsa salvifica da apporre alla tristitia del presente, per
l’avanguardia romantica della Restaurazione si configura come alterità storica ovvero tradizione di cui salvaguardare i vertici
estetici e speculativi.
Metafora della luce: l’uomo ad un certo punto della sua storia vorrà approcciarsi in maniera nuova alla realtà rompendo il tessuto
ossificato delle traduzioni.
I romantici, ad esempio, si rivolgeranno alle parola d’ordine degli Illuministi: la comunicabilità della cultura.
Cos’è la sociabilità? E’ la diffusione innovativa delle idee: mentre prima prevalevano le Accademie, ad un certo punto gli illuministi
italiani e non (Rosseau, Diderot, Dalembert) pretendono che le idee nascano dal dibattito, dal dialogo.
Tali idee erano tutte rivolte al bene sociale, al benessere della società in generale: in ciò è fondamentale l’ideale felicitario: gli
uomini della società devono trovare un loro appagamento individuale e collettivo.
Ed è così che, questi uomini, cominciarono a favorire un dispotismo iluminato: si tratta dei filosofi a corte.
Ad esempio Muratori nella sua opera Della pubblica felicità dirà che è necessario che i principi si occupino della società in primo
luogo in qualità di cittadini che governano.
In Italia questa ventata innovativa, questo grande entusiasmo arrivò attraverso la filosofia francese: la ragione degli illuministi
francesi doveva, infatti, rischiarare la mente degli uomini.
Molti intellettuali italiani, però, si accorgono ben presto dello stato immobilistico dell’Italia: gli elementi di libertà e di
rinnovamento stentavano a crescere.
Come conseguenza di ciò nasce una nuova cultura volta all’antico, il Classicismo: si tratta di un recupero dei valori classici
progressivi, ad esempio quello della libertà della pòlis in cui il cittadino partecipava alla cosa pubblica.
Tutto questo rappresenta un nuovo sguardo all’antico, non è una semplice imitazione.
Due sono gli elementi fondamentali prevalenti: la crisi della razionalità e l’insistente rivolgersi all’antico.
Il concetto di solitudine: si verifica un ritorno al concetto di solitudine dopo la presa di coscienza riguardo a frammentazione di
questi ideali di libertà.
Pindemonte parlerà di “Literata Solitudo”: è una precisa scelta dell’intellettuale che si ritira in sé dopo aver creduto negli ideali
illuministici.
Cassoli tradurrà Orazio e si impegnerà molto per la cosa pubblica e, inoltre, elogerà la solitudine, un emblema dell’esistenza
umana: la definisce la lucerna con cui uno studia di notte.
E’ una sensazione di epocale dimensione: alla fine si sperimenterà il concetto di fallibilità del concetto di ragione proposto dagli
Illuministi → Jean Starobinski nella sua opera “1789: i sogni e gli incubi della ragione” dirà che la Rivoluzione Francese
(conseguenza dell’iniziativa della borghesia) fu sanguinaria e non rispondente ai principi illuministici.
In Italia all’interno di questo panorama inquieto troviamo i due fratelli Alessandro Verri e Pietro Verri, esponenti della maggiore
nobiltà milanese: Alessandro Verri è un’anima più tranquilla, si recò in Francia dove trovò un cima di maggiore irrequietezza e poi
successivamente in Inghilterra, dove gli inglesi decisero di affidarsi intellettualmente a Hume.
Pietro Verri, invece, crederà nell’Illuminismo fino alla fine.
Alessandro Verri: attivo negli anni del Caffè come fervido promotore degli ideali illuministici e poi fautore del suo ‘ritiro romano’,

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può essere considerato un esempio probante di tale progetto di rifondazione/valorizzazione del classico.
Questo è un modello di vita e di pensiero concepito al riparo dai rivolgimenti sociali e ispirato al culto dell’antico e su tale linea di
esemplificazione si colloca anche la forza modellatrice di un testo come La virtù sconosciuta dell’Alfieri: attraverso l’esclamazione
dell’amico e confidente Gori Gandellini mette in evidenzia l’opportunità di istituire un ideale colloquio con i grandi spiriti
dell’antichità → nel passato vi è un ordine etico-esistenziale irrealizzabile nel presente.
Caso più emblematico: il Foscolo post-ortisiano → verso il 1803 sulla scorta di letture vichiane e lucreaziane si dedica all’imponente
lavoro critico e traduttivo del poemetto catulliano-callimacheo La chioma di Berenice: questa decisione suscitò molte perplessità
nell’antico maestro Cesarotti (poi lo stesso Foscolo ne prese le distanze) e rappresenta il disincanto rispetto alla contemporanea
poesia ragionatrice, non è altro che un adesione a un’idea di bellezza ispirata all’autenticità del mito greco.
Foscolo guardava al passato come un orizzonte vitale, un momento di felice attuazione della completezza e potenzialità umana in
virtù della perfetta rispondenza nella polis fra individuo e contesto sociale.
Foscolo parla di “età ferocemente magnanime”: un campo di forze attive e stimolanti per un rinnovato rapporto con la storia.
Il raffronto approda però ad esiti sconfortanti: la nostra poesia non ha né lo scopo né i mezzi dei greci e delle altre nazioni
magnanime → è l’amara registrazione di una sconfitta e della presa d’atto della irrealizzabilità del sogno giacobino del Triennio → la
fuga dal presente rappresenta una modalità di esistenza imposta e coatta e non costruttivamente ricercata come ne caso di Verri.
L’orizzonte dell’antico: è un territorio di confronto e scontro in cui si ritrovano risposte eterogenee e individuate ai grandi temi o
interrogativi dell’epoca.
Verri: fa valere una interpretazione del mito in chiave del tutto ‘funzionale’, è uno strumento pratico-regressivo per consolidare
l’esercizio dell’autorità e il privilegio dei ceti ristretti → il linguaggio favoloso delle origini ha ancora un suo diritto di cittadinanza
nella modernità, custodisce alcuni principi importanti quali la stabilità dei costumi e delle credenze ataviche, l’ossequenza al
culto degli dei e lo stato di minorità delle classi subalterne.
Parabola critico-esistenziale del Verri: dapprima vi è l’adesione insidiosa alla raison illuministica, poi arriva una severa revisione: la
scepsi della razionalità diventa manifestazione collaterale di un disagio conoscitivo diffuso particolarmente nel tardo Settecento.
Alessandro Verri: si adatta ai principi della filosofia di Hume, si limita perciò a rendersi conto soltanto di ciò che è ‘osservabile’ o,
accanto alle ‘ipotesi fertili’ menziona anche le ‘ipotesi fittizie’.
Il romanzo d’esordio di Alessandro Verri: Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene → nella trama narrativa vi è un confronto tra
due sistemi di valori: la saggia e moderata condotta di Eutichio e l’ansia totalizzante della protagonista.
Il giudizio sul mito: Eutichio pensa che sia un espediente utilitaristico e funzionale, Saffo invece dirà che il mito è un elemento
‘pre-cosciente’ dell’Io, esprime il bisogno di sicurezza e durata tramite l’ideale colleganza con la divinità.
Alessandro Verri prende le distanze dal tema della sociabilitè, riesce a coglierne il risvolto ambiguo e problematico → prevale il
principio del ‘dissipamento’, vi è una possibile deriva di esteriorità e dispersione dell’io: a questo porta un’indiscriminata
propensione a socializzare.
Ottocento: la modernità richiede ancora un confronto con l’antico e la verifica della tradizione → nel caso della situazione italiana,
che vede un forte ruolo della cultura umanistica, il confronto determina un bifrontismo fra promotori e detrattori dell’idea di
classico. In ambito nazionale il riferimento al classico rimanda a un’idea di bellezza appiattita sul principio di mimesis, a discapito
della potenza creativa del genio.
Goethe dall’ottica del suo filellenismo, in un articolo pubblicato sull’Antologia nel 1825 esortava gli esponenti della polemica
classico-romanza a non perdersi in schematismi e apriorismi concettuali, dal momento che sono i rischi rivenienti da posizioni
critiche bloccate e da dinamiche di esclusione reciproca: la disposta si risolverebbe facilmente se ciascuno riconosca sempre con
gratitudine ciò che deve ai maestri che più non sono.
Il Breme che aveva stilato il primo manifesto romantico avvertiva il pericolo di un eccessivo antagonismo fra le parti: nelle
Osservazioni sul Giaurro (la novella byroniana viene utilizzata qui come pretesto per rivisitare i principi della nuova dottrina) cerca
di allontanarsi dalla prima fase della querelle caratterizzata da una certa concettualizzazione accesa e frontale. → privilegia i
meccanismi causativi – le cause – delle questioni trattate, notevole è la sua affinità con gli esponenti più in vista del circolo di
Coppet (la Stael, il Constant, il Bonstetten o il Sismondi) che incontrò nell’estate del 1816.
Il Breme seguendo le indicazioni del pensiero idéologique riteneva che il moderno concetto di sapere dovesse prevedere
l’abbattimento delle ‘venerate generazioni di dogmi’ e dovesse conferire il giusto rilievo a quei vertici speculativi italiani ed europei
→ i riferimenti sono a Bacone, Galilei, Newton, Dante, Petrarca, Tasso, Gravina e altre figure del passato dalla mente moderna.
Le nuove generazioni romantiche: pensare al di fuori di tradizioni consolidate e non ‘illuminate’ → la dimensione attiva del
tradere implica la costruzione di un sapere volto al potenziamento della capacità decisionale del singolo e all’attivazione di
cognizioni funzionali all’orizzonte della modernità: tutto questo è messo in pratica dal Breme nella sua permanenza alla Casa dei
Paggi → la sua fu una riforma didattica, egli ipotizza una figura di educatore in forma di liberale condottiero, quasi un Cartesio
poetico, lontano dal compromesso degli studi convenzionali e roussovianamente lo sviluppo delle facoltà intellettive e ideative
del giovane allievo.
Il percorso caratterizzato dal confronto con l’antico e col sapere tradizionale si chiude con Giovita Scalvini che negli ultimi anni ha
destato un rinnovato interesse → rispetto a Foscolo ancora profondamente legato a temi e suggestioni del meccanicismo

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settecentesco, Scalvini, giovane intellettuale bresciano, guarda al divenire storico come a un processo preordinato e ascendente,
capace di rimuovere il timore del fatum e della fortuna → il suo antico maestro non perde occasione per sottolineare la
discontinuità degli avvenimenti.
Scalvini, in un ambito più prettamente filosofico, consente di fare un rapporto fra grecità e cristianesimo, il problema
dell’imitazione, il destino dell’arte nel moderno o la classificazione dei generi letterari.
Scalvini → trattazione del tema della mimesis: evidente è la tonalità herderiana, a tratti winckelmanniana, delle sue osservazioni →
il solo livello di imitazione consentito è quello di replicare nel presente l’atteggiamento mentale – etico, cognitivo e creativo –
proprio degli antichi.
Herder: mitologo e ispiratore dei romantici jenesi → il discorso sulla modernità presupponeva una re immersione ermeneutica nel
mito e nella poesia del passato, era importante come gli antichi mitologizzavano.
Scalvini, con riferimento a Schiller e a Schlegel, dirà che nella poesia uscita dal Cristianesimo l’idea è sempre stata più grande della
forma: la forma accenna sempre più che non può dire e le è forza accennarlo con un non so che di simbolico e di parabolico →
l’uomo moderno è un uomo di cultura che ha perso il contatto con la semplicità delle origini, eccelle e si realizza attraverso
l’esercizio del pensiero → Scalvini espliciterà la propria estraneità mentale e sentimentale, dichiarando di preferire la scrittura
operativa e persuasiva di un contemporaneo quale Manzoni (aderisce ai canoni della ‘scienza del bello’) → dirà che siamo genti di
meditazione più che di fantasia.
Scalvini riecheggia le parole di Schiller → l’uomo coltivato non può mai raggiungere la perfezione, la sua prerogativa identitaria è
quella di tendere a una meta infinita, una futuribilità da conquistare → l’uomo ingenuo, invece, raggiunge vertici di eccellenza
perché non conosce l’alterità dell’ignoto.
Scalvini dirà che ciò che fa la lode di uno scrittore è il concetto, l’idea, l’anima → l’opera manzoniana rappresenta una verifica in re
di come l’esercizio della riflessione risulti una componente essenziale nell’ambito dell’esperienza estetica → nei Promessi Sposi il
severo discorso morale ispirato al cristianesimo delle origini diventa una presenza coercitiva e monocorde, la verità del principio
evangelico è progetto, verifica, utopia, dottrina che obbliga e si fa norma di ogni pensiero.
L’artista moderno deve essere disposto a correre per rimarcare la propria appartenenza alla contemporaneità → la filosofia
contemporanea in contrasto con i modelli ciclici dell’antichità promuoveva una nozione lineare e unidirezionale del processo
storico, avallando l’ipotesi di un tempo prospettico in cui non predomina più il passato della tradizione.

I. I fratelli Verri e il principio della sociabilité illuministica

Prerogativa fondamentale del secolo dei Lumi è: l’esperienza di società e il gusto di esercitare al massimo l’arte della
conversazione.
Per gli illuministi lombardi (collaboratori del Caffè): risultava chiaro dove incontrarsi e dialogare, mentre più emblematico era il
come esercitare e vivere il principio di una corretta sociabilité.
Pietro Verri nel celebre articolo La buona compagnia: non dà per scontato che la propensione alla socievolezza fosse di per sé una
risorsa di positività e sortisse uno stato di appagamento e benessere per l’individuo.
Affronta la questione ab imis: reinterpreta il tema della civil conversazione e lo reinterpreta alla luce della contemporanea
philosophie → chiama in campo la nozione di amor proprio centrale nell’articolo Sul ridicolo in opposizione all’amor proprio
paragonato di Parini, in riferimento alla trattazione utilitaristica del riso presente nella Human nature.
Hobbes, XIII capitolo del Leviatano: risulta essere piuttosto scettico sulla possibilità che uomini in un continuo stato di belligeranza
possano fruire del piacere dalla reciproca compagnia → primigenia e sfrenata tensione alla libertà individuale che rende
incontrollabile il principio di competizione, rappresenta un ostacolo per i giusti dinamismi conversativi e relazionali.
Pietro Verri ad apertura dell’articolo identifica i connotati costitutivi e i prerequisiti essenziali dell’atto del socializzare: è una sorta
di bisogno artefatto → è necessario pertanto cogliere al meglio il proprium di questo bisogno artefatto che si trova in contrasto con
il principio di amor proprio, con la naturale disposizione dell’individuo ad auto affermarsi, nei limiti dell’ossequenza al factum
sociale.
Quesito: come impedire che l’impulso alla socialità si trasformi in sopraffazione reciproca → secondo Pietro Verri: rendere attivi e
operanti valori archetipici, quali virtù, gentilezza, onestà, fratellanza fra gli uomini → P.V. si interroga sull’eccesso di amor proprio
che possa inceppare il meccanismo di una perfetta dialogicità → esposti agli esiti poco felicitanti del socializzare sono le belle
donne (desiderio di primeggiare) e gli uomini di lettere.
Alessandro Verri nel Saggio di legislazione sul pedantesimo elabora un nuovo concetto di cultura e dice: SCIRE NON EST
REMINISCI, SCIRE EST RATIOCINARI = Il sapere non è ricordare, ma elaborare il sapere → questa è un idea illuministica dal
momento che la ragione elabora un nuovo sapere: A.V. condivide pertanto le posizioni dei caffettisti e dell’Accademia dei Pugni.
Alessandro Verri nell’articolo intitolato Lo spirito di società affronta il genere di perplessità esposte dal fratello → parla del
principio di sociabilité con un allusione al medioevo: prima infatti gli antenati erano chiusi nelle loro lotte e nelle loro faide,
descrivendo quei ‘palazzi chiusi’ dove l’idea della congiura è reale.

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Quei palazzi chiusi erano dei veri e propri meandri, non si viveva in pace e non vi era libertà di dialogo → la Chiesa infatti durante il
papato di Alessandro III (1159) costituì le tregue di Dio: la Chiesa faceva delle emanazioni legislative (ad esempio nel periodo di
Quaresima i signori non si uccidono → le lotte si interrompono.)
Durante l’Illuminismo, invece, si cambia costume: prevale il benessere e la stabilità sociale.
Fino ad ora A.V. utilizza un tono argomentativo uguale a quello di P.V., ad un certo punto però espone un dubbio sull’Illuminismo:
ecco che introduce la tecnica dell’apologo di una piccola novella che vede come protagonisti un selvaggio del Canada, Don Canadà
(espressione ella trasparenza e dell’autenticità di pensiero) e un Pechinese (la folla dei pekinesi con cui entrerà in contatto Don
Canadà sono eccessivamente comunicativi e rispettosi del cerimoniale) → è la tematica del selvaggio.
Rousseau dirà che alle origini l’uomo era più puro: riprende in ciò la massima platonica → i poeti devono essere cacciati dalla
Repubblica perché corrompono; il demiurgo, invece, ha l’idea giusta che rimanda alla natura, i poeti invece ritraggono la natura →
l’idea va osservata nella sua purezza e i poeti non sono altro che dei corruttori. (idea della cosa giusta → realtà → poesia sull’idea)
Gli spettacoli teatrali, ad esempio, corrompevano la società, trasmettevano una idea alterata del bene (come sostenevano
Dalembert e tutti i romantici).
La purezza dell’idea delle origini: A.V. mette a confronto due estremi, un canadese in una terra piena di foreste dove la natura è
incontaminata e un pechinese che, invece, vive in una realtà cerimonializzata → questo porta a un dialogo dalle estreme
conseguenze.
Perché questo dialogo? La ricerca della sociabilité deve stare nel giusto mezzo: se ogni uomo vuol essere amico di tutto non sarà
mai amico di nessuno.
Principio di dispersione: nel dialogo collettivo si ha solo una dispersione della propria identità; bisogna fidarsi invece soltanto
della giustezza dei propri principi.
P.V. elencando i possibili errori e le possibili deviazioni del giusto principio della sociabilità, critica il rumoreggiare della grande
società propri delle solenni convenienze → il socializzare diventa soltanto ritualità → non è altro che un analista del cuore
umano già da ora, analizza le tendenze del cuore umano a livello antropologico. → troppa società = troppa solitudine → va
cercata la MEDIETA’.
LE RIFLESSIONI SUL SELVAGGIO : il selvaggio prova un senso di profonda ammirazione verso la realtà pechinese, l’amico pechinese
gli fa da guida: quest’ultimo fa capire al canadese la vuotezza che si nasconde dietro il cerimoniale → regna la finzione, sotto la
cortesia si nasconde la falsità (ad esempio dei due rivali in politica) → i selvaggi con la logica della purezza non capirebbero le
degenerazioni della civiltà → vi è in ciò un’allusione alla massima seicentesca della ‘ dissimulazione onesta ’ (ossimoro), un libro
scritto nel 1641 da Torquato Accetto (in quei tempi vi era la dominazione spagnola, quindi non vi era libertà) → la dissimulazione
onesta non è un atteggiamento di sfida ma di prudenza che non giunge alla menzogna volgare ma, invece, nelle mani di un uomo
saggio è un’arma contro il sopruso dei ridenti. ( → Per P.V. sarà un importante confronto sociale per l’accrescimento della propria
identità. )
E’ bene pertanto cambiare atteggiamento con moderazione né da pechinesi né da selvaggi → il pechinese lo accompagna ad una
festa di un mandarono (una casta che governa in Cina) → il Canadà fu molto colpito dal lusso e dallo splendore ma sentiva un
volgare indistinto e vuoto → il pechinese dirà che si tratta di una conversazione anarchica in cui è vigente il principio della
maldicenza, è un circuito di vacuità e di cattivissima sociabilitè.
Nel frattempo entra una pechinese, cioè la moglie del principe che non ha affatto rispetto della diversità → tutti cominceranno a
parlar male del Canadà (→ i Discorsi del ‘700 di Roussau.)
Dopo i lamanti di don Canadà ( non erano cortesi i pechinesi? ), il pechinese risponderà dicendo che i presenti (ossia i pechinesi)
deridono, ma deridono sempre: il loro comportamento viene dall’uomo, è un’espressione de tutto vuota quella dei pechinesi.
Nella società illuministica vige la regola del rispetto del cittadino (venuta meno durante la rivoluzione francese.) → qui pertanto vi
è un accenno alla filosofia, il selvaggio si aspetta il rispetto da parte dei pechinesi e il pechinese, philosòf, dice che non solo i
selvaggi non vengono rispettati, ma neanche i filosofi.
I caffettisti illuministi parleranno di trionfo della ragione e non delle apparenze, non solo l’omologazione delle menti → parleranno
di accettazione del diverso → la tematica del viaggio settecentesca: è sentita anche nell’interiorità, nella felicità per l’individuo.
Vi è poi un improvviso silenzio: gli uomini si mettono attorno a tanti tavolini e giocano a carte: cos’è il gioco? E’ un’arte con cui si
può vincere o perdere tutto. Che tipo di passatempo è? E’ un passatempo che porta l’uomo alla rovina.
Il pechinese dirà che i presenti parlano, urlano, si lamentano … poi, ad un certo punto, cessano le idee e gli uomini finiscono nella
perdizione quando c’è il vuoto nella nostra mente.
Due sono gli schemi principali: la SELVATICHEZZA (cioè la rozzezza dei costumi) e il DISSIPAMENTO (la dispersione delle energie
individuali, la non realizzazione di quella perfetta sintonia fra mondo esterno e coscienza soggettiva → INSECURITAS: gli uomini
civilizzati spinti dall’ansia di socializzare perdono la propria connotazione identitaria e indossano la maschera dell’omologazione
e dell’ipocrisia → questo tipo di uomini non gustano le vere delizie dell’amicizia ( articolo ‘le vere delizie della villa’ → la villa è
dispersione: qui si possono scrivere libri)
Nel momento in cui c’è vuotezza → SELETTIVITA’ DELL’AMICIZIA: né americano né pechinese, né selvaggio né civiltà artefatta dei
pechinesi → E’ questa la morale di Pietro Verri che tenta di non far trasformare il principio di sociabilitè in un vano cerimoniale.

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ESERGO SENECHIANO DELL’ARTICOLO: recede in te ipsum quantum potes, cum his conversare qui te meliorem facturi sunt =
raccogliti in te stesso più che puoi contro il dissipamento: conversa con quelli che possono renderti migliori. )
Alessandro Verri sarà uno degli intellettuali del ritiro, si allontanerà dall’illuminismo troppo forte e si ritirerà nei propri libri → la
massima di Seneca che Verri fa propria è: fuge moltitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam solum = stai alla larga dalla moltitudine,
dai circoli ristretti, anche da una sola persona se ti può ledere.
Qui Verri allude al primo capitolo delle Avventure di Saffo intitolato La disputa commensale (disputa = garbato e civile confronto
anche fra opinioni fortemente discordanti) in cui viene fatto un esempio di perfetta sociabilità.
Il quesito verte sull’opportunità che la filosofia e in genere la cultura possa essere un patrimonio non dei soli addottrinati ma
dell’uomo comune e indotto, bisognoso di acquisire nuova conoscenza.
Da un lato vi è la posizione di Nomofilo (sostenitore delle tesi illuministiche) per il quale il mito è un impedimento alla conoscenza
della pura oggettività ed è veicolo di dannose superstizioni (gli isolani di fronte all’Etna in fiamme credono alla finzione del gigante
incatenato sotto il monte → livello di barbarie mentale e comportamentale.)
Eutichio invece, generoso intellettuale siciliano, accoglie con gioia e liberalità i suoi ospiti e partecipa all’impegnativo dibattito →
sostiene che la cultura e l’orizzonte della conoscenza debbano rimanere una prerogativa degli addottrinati, dei ceti più abbienti.
Segue un terzo punto di vista che è quello di Saffo, la quale tace fino alla fine e irrompe ponendo un quesito filosofico che è anche
denso di complicazioni esistenziali: disquisire su questioni che mettono a tema il rapporto fra l’uomo e i suoi dei ( il supplizio di
Encelado, il gigante che sorreggeva l’Etna è conseguenza della giustizia divina ) → Saffo si chiede perché deridere gli dei, se un
uomo sbaglia va punito.
L’eroina è innamorata di Faone ma non è ricambiata, Nomofilo invece si innamora di Saffo: non gli interessa la disparità di opinioni,
lo spaventa la disparità dei nostri cuori che però Saffo non ricambia → la sua è proprio una dichiarazione d’amore fatta in pubblico
secondo il principio della sociabilité → nei confronti di Eutichio, invece, Nomofilo ha rispetto anche se non è un illuminista → le
proprie convinzioni devono convivere con l’amicizia.

2. La ‘Saffo’ di Alessandro Verri: rivisitazione di un mito

La tematica del mito: nel ‘700 il mito non ha carattere di centralità → il romanzo Verriano, invece, ritorna all’antico → la crisi della
razionalità porta in generale a un ritorno winkelmanniano all’antico.
Alessandro Verri traduce l’Iliade omerica non però secondo un’imitazione pedissequa e, inoltre, esegue una profonda lettura di
Shakespeare, una lettura basata sull’analisi delle passioni → traduce l’Amleto e L’Otello (1776-1777) e poi si avvicina al teatro:
produce l’Aratea e la Congiura di Milano.
A.V. fa poi dei tentativi drammatici: non produce dei drammi perché c’erano state delle personalità assai più forti in questo campo,
come ad esempio Alfieri, Gravina, Maffei …
Decise così di scrivere Le avventure di Saffo, poetessa di Mitilene: qui il mito rivive nella realtà → Pietro Verri dirà che è un’opera
che farà epoca, per lo stile e per la maniera di pensare: nell’opera vige la tranquillità ma al di sotto di questa tranquillità si nasconde
la passione calda di Saffo.
Hume parlerà di passioni calde e di passioni fredde → le passioni calde: geneticamente riottose, impermeabili alla volontà e non
ricomponibili in una struttura d’ordine.
Saffo decide di togliere i fiori dal suo vestito e di darli a Faone che, però, ne rimane del tutto indifferente → quando si incontrano al
tempio cominciano a disquisire: Saffo si lamenterà della non corrispondenza d’amore (a Faone, invece, corrisponde Cleonice ) →
Faone come rimedio all’amore non corrisposto propone di cambiare un passione non corrisposta con una passione corrisposta.
Il mito saffico nel ‘700 riscontrerà molto successo, il genere femminile infatti rivive in quest’epoca soprattutto nei salotti
femminili → Verri distingue due Saffo, la Saffo di Efeso e la Saffo di Mitilene; la Saffo di Efeso era dissoluta e aveva avuto molti
amori sia con uomini sia con donne, quella di Mitilene invece è la vera poetessa di cui vorrà parlare nella sua opera → in realtà, dice
Verri, sono stati attribuiti dei costumi illeciti anche alla Saffo di Mitilene, fanciulla pure che aveva ricevuto il dono della poesia senza
aver studiato dei trattati poetici → il romanzo pertanto segue una doppia traiettoria, quella della narrazione filosofico-allegorica
(politica) e la narrazione della modernità.
La Saffo che soffre rimanda sia al Werther di Goethe sia ad Ettore proprio per la paura provata da Saffo che decide di gettarsi di
spalle dalla rupe → La Saffo di Verri non è però scostumata, dal momento che l’altra ha dei costumi non approvabili: la sua Saffo è
una figura inalterata e a testimonianza di ciò vi è la decisione di dedicarle un monumento pubblico da parte degli dei Mitilenei.
Alessandro Verri pertanto va contro quella tradizione che vede Saffo come una poetessa dissoluta dai comportamenti poco leciti
con le fanciulle del Tiaso → il Tiaso è ‘il luogo della socialità femminile’ → ci parla del Tiaso una studiosa di una certa rilevanza,
Adriana Chemello: “il Tiaso è un circolo, piccola comunità e consorteria con delle connotazioni religiose legate al culto di Afrodite:
qui Saffo si intratteneva con delle giovani di nobile origine, istruendole alle arti femminili, alla cura della loro formazione
intellettuale e religiosa.

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Le attività del Tiaso: la danza, il canto, la lettura, la recitazione di poesie → i versi delle poesie venivano accompagnati dal suono
della cetra; la fanciulla, inoltre, doveva essere elegante e posata.
Particolare è inoltre la pratica di profumarsi in onore della divinità: è una pratica di sensibilità estetica, tutte le pratiche sono in
armonia tra di loro → i versi di Saffo rappresentano l’etica del buon comportamento delle giovani donne, sono delle regole culturali
ed etiche.”
Noi moderni abbiamo pertanto il compito di interrogarci sul ruolo della donna: Saffo infatti anche se apparteneva al sesso minore
era uguale ad Omero, aveva ottenuto una posizione importante nella società.
Importante è la figura di Saffo nel ‘700, particolare è l’atto di rivolta verso la famiglia in cui la figura della donna è più centrale →
la famiglia infatti impazzirà dal dolore proprio perché Saffo non l’aveva rispettata.
Maria Fortuna, esponente dell’Arcadia, nel 1766 compie una rilettura del mito saffico e ci offre una sua versione della tragedia:
la modernità della fanciulla che per amore infrange tutte le leggi (probabilmente questa versione era conosciuta da Alessandro
Verri.)
Angelica Palli nel 1823 produce una tragedia su Saffo; Teresa Bandettini è autrice di un dramma, Saffo in Leucade, agli inizi
dell’800; Vincenzo Maria Imperiali nel 1780 scrive un poema La Faoniade (1780); Bianca Milesi invece è autrice di una biografia,
Vita di Saffo, nel 1815.
La tradizione ci avverte del fatto che ci sono ben due fanciulle, una doppia Saffo, una di Efeso ed una di Mitilene, tutte e due vivono
nell’isola di Lesbo ma probabilmente ‘si sono confuse le due traduzioni…’ → l’opera di Saffo infatti è ricostruibile solo per
trasmissione indiretta tranne due odi saffiche; la produzione letteraria di Saffo non ci è pervenuta per intero ma molti studiosi ce
ne hanno parlato.
Aristotele ad esempio nella Retorica (in tre libri) la nomina in varie occorrenze, parla della sua poesia e della sua saggezza: Saffo
inoltre era amica di Alceo (poeta a lei contemporaneo) che le dedica un verso: ‘vorrei parlare ma mi trattiene il cuore..’ a cui Saffo
risponde con una critica: probabilmente il pensiero di Alceo era licenzioso o erotico.
Sempre Aristotele nel secondo libro della Retorica ci dice che Saffo è alla pari di molti sapenti, ha una certa fama e i Cheronesi oltre
ad ammirare Archiloco ammirarono anche Saffo, alla pari di altri poeti.
Platone inoltre chiama Saffo ‘decima musa’, ‘l’Omero del minor sesso’; Strabone la chiama ‘femmina mirabile’, Galeno la celebrò
come poetessa per antonomasia, le fa un encomio e la accosta ad Omero.
Fra i poeti latini che parlano di Saffo vi sono Orazio, Cicerone, Catullo e Ovidio: Ovidio, poeta latino, nella quindicesima delle
epistole delle Eroides parla dell’amore di Saffo e Faone → Ovidio parla di un’unica Saffo, una grande poetessa non bella; (Saffo
infatti dirà di non essere affascinante, ma la sua terra la conosce e soltanto questa è la sua forza.) Ovidio sembra alludere,
comunque, tangenzialmente agli amori omoerotici → A.V. prenderà questa raffigurazione parlando di una poetessa non bella ma
affascinante.
Sempre facendo riferimento ad Ovidio, le epistole delle sue Eroides sono dedicate a dei rapporti d’amore infelici → Pag. 50 della
Tristitia, Saffo dice a Faone: “se una natura nemica mi negò la bellezza, (mi) chiedo al mio ingegno la grazia che mi manca. Benché
sono piccola (di breve statura); ma è il nome che riempe le terra a me, la mia vera misura è quella del mio nome. Ma quando mi
leggevi ti sembravo anche bella, giuravi che a me sola tu sapevi parlare, io cantavo, ricordo, tutto ha in mente chi ama (→ è stata
lasciata). E mentre io cantavo tu mi rubavi i baci, amavi pure questo. Io tutta ti piacevo e di più ti piacevo nelle ore d’amore.”
A differenza della raffigurazione che Aristotele fa di Saffo, come una grande persona etica e come donna dedica totalmente alla
poesia, qui Saffo è una grande poetessa che ama follemente e si trova in un momento di debolezza.
Sempre Ovidio in riferimento agli amori omoerotici di Saffo: “Le fanciulle di Pigma e quelle di Metimna non amo, non mi piace
Anactoria né la placida Cidro … come prima, o altre cento che amai di colpevole amore” → Ora Saffo non pensa più agli amori
omoerotici, ad Anactoria, ad Attide … ora ama solo Faone.
E continua: “e perciò io brucio d’amore, io ardo come un campo quando c’è il vento e il vento propaga l’incendio in questo campo,
mi possiede un calore non dissimile dal fuoco dell’Etna.” → il calore è l’espressione della passione, ma se è fuoco fa male → Hume
infatti dirà che le passioni calde portano alla distruzione ed è necessario salvarsi da esse.
Virgilio invece nel descrivere Saffo contamina diverse fonti: si avvicina da Alceo che parlerà di sguardo viola, chioma fluente,
sicuramente un po’ dissoluta ma sicuramente Virgilio ci rappresenta un’unica Saffo → Alessandro Verri, infatti, ha come esempio
questo primo archetipo, poi però si rifà ad altre fonti e mostra di sapere che c’è una vecchia Saffo.
LE FONTI DELL’ANTICHITA’ : rientra l’erudito greco antico Ateneo probabilmente di Naucrati che nel 200/300 d.C. scrive I
Deipnosofisti. I dotti a banchetto dicendo che Saffo poetessa di Ereso fece parlare di se a causa dell’amore per Faone, alludendo a
Ninfodoro di Siracusa (4/3 sec a.C.) che parlò di una doppia Saffo, una Saffo etera cortigiana di Ereso e una Saffo poetessa di
Mitilene.
Perché Ovidio non si attiene alla tradizione di Ninfodoro? Forse perché voleva costruire lui un suo personaggio, voleva riscrivere
lui la storia → per A.V. era necessario confrontarsi con un mito di lunga durata e bisognava attribuire una rappresentazione a
questa storia: ricostruisce una Saffo gloriosa perché aveva la possibilità di parlare della distruttività della passione.
Il Lessico di Suida è un’enciclopedia di X secolo che parlava di due Saffo entrambe dignitose e ingiustamente giudicate dissolute. →
la vera poetessa è quella di Ereso, poi c’è una falsa lesbia, quella di Mitilene, caratterizzata dall’amore per Faone, forse poetessa →

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la Saffo di A.V. è invece figlia di Scamandronimo.


Alla Saffo di Ereso il Lessico attribuisce le saffiche più importanti, ad esempio l’Ode ad Afrodite e l’Ode a Venere, A.V. invece nel su
romanzo inserisce due celebri componimenti, l’Inno a Venere e l’ode a Faone, emblematiche testimonianze della spontanea
capacità creativa (l’interna vampa) e della forte immaginazione della fanciulla.
Nell’inno a Venere, Saffo si lamenta con la divinità e della sua ambiguità, ha avuto pietà delle due colombe non sacrificate a Venere
e per questo quest’ultima decide di punire Saffo → tutto questo sarà costituirà una base per Leopardi nell’ultimo canto di Saffo →
Venere punisce Saffo con un amore infelice; all’inizio Venere proteggeva Saffo e voleva che fosse corrisposta, ma la poetessa
sapeva che prima o poi sarebbe stata ingannata → i lumi si prendono beffa di Saffo.
Nel romanzo Verri parla dell’Ode di Saffo e della sua disperazione e dell’amore che può distruggerla: l’incipit è famoso → felice
come un Dio chi è in grado di ascoltarti, più felice degli dei se una donna riesca a destare l’attenzione di Faone = Faone è un
semplice traghettatore: Venere le chiede un passaggio e Faone obbedisce alla sua richiesta → Venere poi gli fornisce un unguento
miracoloso e Faone diventa bellissimo.
L’incipit di Verri si trasforma così: che ragiono a fare se ragione più non ho? La prima volta che ti vidi rimasi misera e stolta, chiusa
in silenzio nelle mie labbra…
L’esordio del romanzo vede inoltre la classica invocazione alla Musa, è l’esordio formulare di ogni poema dell’antichità (dall’Iliade e
dall’Odissea) che diventerà un modello per i successivi poemi epici cavallereschi.
Winckelmann in riferimento ai capolavori greci userà l’espressione ossimorica di nobile semplicità e quieta grandezza, esattamente
come il libro di Verri, dallo stile elevato e tranquillo → un libro, però, che parla di una passione estrema → Verri si rifà alla novella
delle Heroides, la cui protagonista e il maestro non si incontrano a causa delle convenzioni sociali; il maestro non fa parte dello
stesso ceto sociale dela protagonista, infatti Rousseau non tollerò più queste convenzioni sociali.
Alessandro Verri rimarrà insoddisfatto di questa novella: al di sotto vi è infatti una morale falsa, dal momento che il maestro finirà
per avere un rapporto sessuale con la protagonista e per ingravidarla.
A.V. invece vuole essere invece winckelmanniano, i romanzi insegnativi non gli piacciono: vuole trascrivere un libro e farlo rivivere
nella modernità.
Il Verri pertanto dopo aver abbandonato la sua entusiastica propensione per la philosophie degli enciclopedisti opta per il quadro
concettuale ridisegnato dalla tranquilla profondità del pensiero humiano → Hume parlerà della poesia come risorgimento di una
antichità sotterrata, parla ad esempio del come la ragione non potrà mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà.
Alessandro Verri dirà che è l’esperienza che fa evitare una passione estrema, non la ragione → nel ‘Racconto Mattutino’, Eutichio
– alter ego dello stesso autore – parla del suo tormento d’amore, parla cioè del suo infelice naufragio, metafora tipica del ‘700
dell’infelicità d’amore.
Eutichio si accorge della donna che lo tradisce, un giorno però scoprirà tutta la verità e deciderà di fare irruzione nella casa della
donna che lo sta tradendo ( donna che sta facendo i suoi consueti lavori; Eutichio invece pensava si trattasse di una maldicenza ) →
alla fine però l’amore vince Eutichio, non riesce a superare la fase dolorosa della sua vita e si rivolge a Saffo con queste parole: O
sarai ricambiata oppure sarai uccisa da questa presa in giro → Saffo risponderà dicendo che la sua vicenda amorosa è diversa dalla
sua: Eutichio ha amato, ha provato la dolcezza d’amore, lei invece si trova nel labbro verace di Faone che ama Cleonice; Saffo
preferisce ricevere pietà dall’uomo che ama (pietà che si acquisisce attraverso l’esperienza), a lei invece non è concesso neanche
l’amore → è questa la descrizione di una passione estrema.
Saffo per amore sarà disposta a partire e ad infrangere i vincoli più sacri e stringenti e non è affatto insensibile all’ignoto che
l’amore promette → nel momento dell’espatrio l’attenzione dell’autore si concentra sullo spazio interiore fortemente tormentato
della protagonista: distingue i contorni sbiaditi delle case, dei tempi e delle torri della sua città natale e cerca di fissare in se ciò che
a lungo è stato confortante e familiare.
La figura di Saffo è pertanto scissa fra mito ( vittima di una divinità offesa ) e storia ( rivendica il diritto della sua autoaffermazione )
e rappresenta la condizione instabile del soggetto nell’epoca moderna: la sua caratteristica è quella di consumare in fretta il tempo,
di accumulare le esperienze senza poterle riportare a un orizzonte di stabilità → nel secolo dei Lumi infatti in opposizione alla ratio
cartesiana si afferma il richiamo alla natura inquieta del sensibile, con il tasso di relatività a trasgressione che comportava (Diderot
esaltava infatti la naturalità e quindi la liceità di ogni passione).
Le avventure rimandano quindi a una erranza del pensiero da parte della protagonista che rimane prigioniera del suo vano
congetturare, così come il soggetto narrante indaga da vero anatomista.

3. Alessandro Verri: l’esemplarità del mito di Encelado

L’intero romanzo di A.V. ruota attorno alla rivisitazione del mito: qual è pertanto la funzione del mito nel ‘700? A.V. decide di
soffermarsi sul mito di Encelado: in quegli anni il mito era considerato come un qualcosa da mettere in disparte → la poetica
arcadica era esaurita e aveva dedicato del tempo alle favole antiche; con l’Illuminismo e, quindi, con la metafora della luce,
subentra la crisi del tema mitologico, il mito non va d’accordo con le scoperte della modernità e con il suo nuovo linguaggio.

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La voce della mitologia e favole è stata curata da De Jaucourt, un illuminista che ha il compito di definire la mitologia → agli
illuministi e agli enciclopedisti la mitologia pare il retaggio dell’antichità che nel moderno non aveva retaggio di sussistere → la
mitologia è religione e poesia → Foscolo infatti parlando del Sacro diceva che nell’antichità il Sacro riguardava per l’appunto la
poesia.
De Jaucourt pertanto individuò un nesso fra religione e poesia: la religione a quel tempo,però, era idolatria e fanatismo → se però
dobbiamo conoscere la letteratura è necessario conoscere al contempo la mitologia, base espressiva della letteratura; l’antica
religione è necessario conoscerla e, al contempo, non bisogna darne un giudizio di carattere sommario.
La favola mitologica è patrimonio delle arti: parlando di letteratura ad un certo punto dice che gli enti astratti hanno dei corpi →
tutta la letteratura antica infatti è tramata da allegorie e antropoformizzazioni del divino e della natura: ogni elemento della vita
(gli alberi, il coraggio … ) assimilavano una forma umana e dietro le forme della natura c’erano degli dei che le rappresentavano.
La religione inoltre non è un’essenza, gli dei infatti vivevano tra gli uomini: questo è l’antropoformismo.
Secondo De Jaucourt i dotti, gli uomini di cultura devono occuparsi della mitologia dato che anche a livello di conversazione
estemporanea e mondana i miti diventano motivo di discussione e di confronto fra opinioni diverse → nel corso del Romanticismo
si avranno delle occasioni di dibattito → secondo di Breme, scrittore del ‘Conciliatore’, e secondo una nuova concezione della
natura non bisogna adottare l’estetica classica, perché per fare poesia bisognava dare forma di persona alle forme della natura → di
qui nasce una visione falsata del mondo, secondo di Breme infatti la natura è vivente, vive, tutto vive nel mondo, anche l’uomo.
Byron in una sua novella parla dell’amore fra un usignolo e una rosa: l’usignolo non ha bisogno di essere un pastore e la rosa non
ha bisogno di essere un ninfa → vivono entrambi nella propria identità, questa è un nuovo tipo di filosofia che rimanda a Spinoza e
a Leibniz → INSIEME DEL MONDO ANIMATO E DEL MONDO SEMOVENTE.
Durante l’Illuminismo si comprende la necessità di conoscere la mitologia e di non rifiutarla, è necessario infatti passare dal culto
della mitologia alla discussione → questo è ciò di cui gli uomini devono occuparsi.
La discussione rimanda certamente alla sociabilité che prevede conversazioni anche su temi impegnativi: se bisogna parlare di
letteratura, è necessario innanzitutto conoscerla per poi discuterne nel salotto → libera circolazione della cultura.
Ad un certo punto il Cavalier de Jaucourt parla di uomini di mondo: coloro cioè che sanno dialogare → la mitologia viene resa
oggetto delle loro analisi e De Jaucourt distinguerà opportunamente la poesia dal fanatismo.
Verri diventa un intellettuale che custodisce un nucleo di verità da rendere funzionale alla conservazione di un ordine sociale → a
riguardo ad esempio de mito di Encelado, è necessario far riferimento a come è stato guardato dai vari teologi → il mito infatti ci
spinge a credere in alcune tematiche che non hanno i loro piedi nella realtà; il mito riguarda anche la modernità, infatti ogni secolo
ha esaminato i propri miti.
Giorgio PASQUALI, filologo classico italiano, diceva che quando un autore scrive si rivolge al passato e c’è sempre un rapporto con
l’intertestualità: potremmo avere delle reminiscenze e delle allusioni → arte allusiva → la reminiscenza è un ricordo,
nell’allusione vi è un rapporto tra l’auctor, l’autore e ciò che si imita: l’autore reinterpreta.
Pasquali parla di reminiscenza come un semplice ricordo (allo stesso modo la pensava Petrarca) e l’allusione non è altro che una
reinterpretazione all’altezza della modernità di quella tematica → è necessario perciò ascrivere l’esperienza di A.V. a questo tipo
di esperienza di scrittura, sia quando tratta il mito di Saffo sia quando tratta il mito di Encedalo.
Non siamo più in periodo caffettistico: A.V. nel suo epistolario rispetto alle sue tematiche della giovinezza (prevalentemente
caffettistiche), adesso Verri crede molto nella philosophìe, la vera cultura è il ragionamento → la ragione infatti vuole essere
signora della mente umana, la ragione e la filosofia imperano su tutto.
Dopo il viaggio a Parigi e a Londra Verri parlerà di indolenza di pensieri e di stupidità: cos’è l’indolenza? → è la filosofia non
agguerrita; la stupidità è invece un pensiero riposato → a Parigi infatti non c’è libertà e questa è una visione ideologica.
Ad un certo punto si rivolge a Pietro Verri: quest’ultimo dice che i philosòf sono dei filosofi modesti, cioè dei filosofi tranquilli:
questi non fanno il bene dell’umanità → di questa idea sarà anche A.V. intellettuale del ritiro.
Il mito di Encedalo è il mito della gigantomachia, della lotta dei giganti, uomini alti e possenti che si paragonavano agli dei e che
fecero un assalto all’Olimpo.
Tra questi giganti vi era Encedalo, figlio di Tartaro e della Terra, il quale prese due montagne, Ossa e Pelia e le sovrappose
assieme agli altri giganti per poter raggiungere l’Olimpo e per impossessarsi del potere → i giganti però perdono e vengono
incatenati sotto i monti → mentre Encedalo era intento nella fuga, Zeus e altri prendono la Sicilia e incatenano Encedalo sotto
l’Etna: da quel momento in poi si pensava che tutte le eruzioni dell’Etna derivassero dall’insofferenza di Encedalo.
In fondo la gigantomachia porta in scena il tragico confronto fra le forze del cielo e quelle della terra, destinate a soccombere
inesorabilmente, anche se, nel caso dei giganti, si tratta di creature geneticamente vicine agli dei perché portatrici di alcune stille
del sangue di Urano.
La facetia utilizzata da A.V. quando parlò del mito della sociabilitè comincia con Saffo in Sicilia: il primo a prendere la parola è
Nomofilo, il quale rappresenta la parola degli illuministi → il punto di attacco edlla narrazione è costituito dalla divertita
osservazione di Nomofilo, il cui nome la dicel unga sulla coerenza e qualità raziocinante del suo eloquio: non riesce a enumerare
tutte volte in cui Encedalo si volge e si rivolge a causa della sua dispiacevole positura.
Un altro commensale prendendo le mosse da Nomofilo continua ad ironizzare sull’incongruenza logica di quella antica credenza:

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perché Encedalo, essendo un gigante, non cerca di liberarsi? Nomofilo pensa che sia necessario mettere da parte il mito: un tempo
il mito aveva una importante funzione sciale, dalla paura si instaurava la legge → ora che siamo civilizzati, il mito non serve →
Nomofilo quindi vuole trasmettere la conoscenza agli isolani, alla gran parte degli uomini → è difficile infatti reimpiegare il mito
nella modernità → è questo il tema della legittimità e non legittimità del mito.
Mentre Nomofilo parte da un’ottica democratica, Eutichio/ Alessandro è parecchio silenzioso, ha un atteggiamento perplesso e
pensoso → alla fine fa una osservazione significativa: le dottrine della mitologia nascono dai precetti che ci possono servire, sa
bene infatti che ci sono delle motivazioni scientifiche che spiegano l’eruzione del vulcano : chi ha il potere però deve essere
insegnativo, le moltitudini devono essere messe sotto controllo → un supplizio è più utile all’andamento della società , le
popolazioni devono credere al supplizio del gigante ribelle, cosicché possano temere gli dei e possano obbedire agli dei. Quindi
→ la posizione di Eutichio è una posizione conservatrice, come quella di Alessandro Verri: vi è un uso del mito in senso
utilitaristico, sotto non vi è una legge a favore utilitaristico → è necessario non dare cultura agli isolani → se così accadesse, il
potere sarebbe destabilizzato.
Eutichio quindi propone un ideale di moderazione e cautela intellettuale che possa garantire il potere e l’esercizio dell’autorità → il
possesso della cultura deve rimanere una prerogativa del ceto ristretto: l’esortazione a usare con parsimonia e saggezza del
patrimonio culturale era presente anche in una lettera inviata al fratello Pietro il 25 settembre del 1779: si evince quindi come il
Verri propenda per un concetto di cultura e di sapere che onori il senso del limite e della discrezione.
Eutichio dice che se se gli uomini si impadroniranno della legge, faranno la rivoluzione, cadranno nel vizio, vorranno eguaglianza e
non crederanno più negli dei → se daremo cultura a queste popolazioni, l’ordine sociale non sarà più uguale → Verri quindi è un
interprete della crisi della ragione.
Il filosofo tedesco Heirder scrive un saggio: Iduna o la Mela del ringiovamento -> qui esprime l’interpretazione vichiana del mito →
in particolare parla dell’amore del dio Praga per Iduna, dea della poesia e della giovinezza → vi è un dialogo tra Alfred (rappresenta
Herder) e Frei (rappresenta Oine (?), poeta tedesco) → a differenza di Frei, illuminista classico secondo cui il mito è apparenza,
Alfred dice che antropologicamente abbiamo la tendenza a crearci delle immagini, figuriamoci gli antichi, per gli antichi infatti la
fantasia era la loro ragione, pertanto non è importante il contenuto delle antiche favole, è importante come mitologizzavano → gli
antichi si avvicinavano al mito in modo puro e non erano neanche condizionati dal conformismo (dalla valenza sociale) → noi
moderni dobbiamo creare una nuova mitologia, quest’ultima è la poesia dei moderni ed è necessario produrre un nuovo
orizzonte di conoscenza.
Inizialmente il mito era canto, preghiera e poesia: ora la poesia deve essere patrimonio di una generale comunità, deve essere
comunicativa, deve essere breve e sensibile → la nuova mitologia deve quindi raggiungere tutto il popolo e fondare una generale
comunicabilità.
Il mito prima era visto come paura e speranza, ora invece viene visto come una zona di condensazione di esperienze popolari →
Bach (di base Junghiana (?) ) vede il mito come paura e stupore → è necessario però prendere le vere sostanze della loro mitologia,
cioè la loro autentica visione.
Herder nasce a Morag nella Russia Orientale nel 1744 → tra il 1801 e il 1803 scrive nella famosa rivista ‘Arastea’ intitolata a questo
personaggio che rappresenta la giustizia e la necessità, i due elementi che devono governare la mente del poeta → studia le origini
dei primordi e del nostro nascere, ha una capacità mitobietica → Jung, ad esempio, dirà che c’è l’archetipo di un fanciullo dentro la
nostra psiche.
Herder incontrò Kant e Hamann ed è uno studioso mitico della Bibbia e delle antiche tematiche religiose → il periodo più
produttivo di Herder si ha però a Königsberg quando incontra Kant.
Qui comincia a prediligere anch’egli come Schlegel la forma sistematica dei frammenti → i suoi pensieri sono incisivi, fa uno studio
della storia e della critica.
Dalla Prussia Herder aveva il desiderio di compiere il tipico viaggio in Italia ma non poté portare a termine questo viaggio e si fermò
a Parigi dove incontrò i maggiori illuministi come Diderot, Dalambert …
Egli sviluppa una nuova idea dell’arte e della poesia: l’arte deve essere sia pedagogica sia politica.
Cos’è l’Iduna? È una saga irlandese, Iduna è la dea della giovinezza perenne e sposa il dio Praga, dio della Poesia.
Herder propone di imparare a mitologizzare secondo le tecniche degli antichi: ad un certo punto incontra Lessing e Goethe,
personaggi che si sono rivolti all’antichità e che guardavano al dialogo fra le varie culture.
Lessing scrisse il Laoconte, Goethe invece era molto più solare e amichevole → Herder era un po’ chiuso e alla fine entrerà un po’
in contraddizione con i loro pensieri e condurrà quasi da solo l’ Arastea → tutto l’insegnamento lasciato da Herder rimarrà però
nel tempo → Herdering ed Hegel (fanno parte del circololo di Jena, quindi del romanticismo ) scrivono nel 1797 un testo
fondamentale: il più antico programma dell’idealismo tedesco → questo testo ci prospetta il mito in maniera innovativa al
massimo, Hegel e Herdering sinfilosofano, prospettano una nuova visione del’estetica e della realtà e, in particolare, una nuova
mitologia al servizio delle idee e della razionalità, se infatti non rendessimo estetiche le idee non avremmo più interesse per il
popolo → è necessario avere un linguaggio comunicativo per eccellenza → così come gli Illuminati devono tendersi la mano, la
mitologia deve essere filosofica per rendere il popolo più razionale → allo stesso modo la filosofia deve essere mitologica perché
i filosofi devono essere vicini alla sensibilità e non devono parlare un linguaggio specialistica ( posizione diversa rispetto a quella

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di Alessandro Verri )
La questio mitologica: i Romantici rifiutano la mitologia (insensata nella modernità) e non praticano i discorsi di Herder → i
Classicisti invece dicono che le figurazioni e il patrimonio dell’antichità devono rifluire nella poesia (Monti e Giordani parleranno
infatti di poesia intessuta dei miti del passato)
Leopardi invece nello Zibaldone affronta la questione mitologica e dice che il concetto di mitologia in pieno ‘900 sarà distorto e
finalizzato ad obiettivi oscuri → l’antica mitologia era sana, quella del presente non lo è → l’antica mitologia cercava di rendere
l’oscurità sana e tendeva a dichiarare le cose sensibili → le antiche mitologie non erano tecniche di nascondimento, producevano
chiarezze e volevano far conoscere → nel presente le mitologie cercano l’oscuro nel chiaro in ogni periodo → disquisizione sul mito.

Alessandro Verri esprime la posizione di Eutichio e Saffo e dicono che la cultura appartiene soltanto al cerchio ristretto → Saffo
esprime una terza posizione diversa da quella di Eutichio, diceva che la mente umana arriva a deridere gli dei e a non temere il
loro castigo → quel tipo di reverenza verso gli dei vale ancora che garantiscono che non ci siano cattiverie sulla terra, altrimenti
ci sarebbe la giustizia divina → dal momento che l’individuo si sente protetto, sicuro e tutelato perché si dovrebbe rinunciare a
tutto questo? → cosa comporta il rifiuto il rifiuto di queste entità superiori da parte dell’individuo?
Il mito pertanto deve essere preservato ma non funzionalizzato ad una determinata idea → il Dio ci dà sicurezza → non
dimentichiamo che Saffo è sotto la punizione di Dio, pertanto siamo in presenza di un tipo di insecuritas che nasce dalla
constatazione di non avere un dio o di avere un dio nemico che mette alla prova la fragilità dell’uomo.
Il mito è testimonianza di un processo psichico ed è rivelazione di questo modo di essere dell’animo precosciente (Hung) → Hung
dirà che fin dalla nascita abbiamo degli archetipi, l’individuo deve perciò emendarli, acriticarli (l’archetipo fanciullo) → segue Freud
in questo.
Saffo non riesce pertanto ad accettare questo archetipo del bisogno di dipendere da qualcuno (in questo caso dal Dio).
Nel ‘900 si assiste a un dibattito sul mito: Furio Jesi scrive il libro “il mito” e si rifà al pensiero di Kerényi, storico ungherese sulla
religione che mette in pratica la tematizzazione del nazionalismo germanico; Furio Jesi diceva che esiste il concetto di mito
tecnicizzato, monopolizzato a fini politici e un mito genuino, a cui alludeva Leopardi, come un archetipo fanciullo o un archetipo
delle origini.
Nella modernità il mito subisce una distorsione, l’attitudine a mitologizzare porta a dei miti distorti, a un mito tecnico → la
mitologia è un fatto naturale dell’uomo.
I teorici del nazional-socialismo a cui si rivolge sono ad esempio Alfred Rosenberg, membro del partito nazionalsocialista, amico di
Hitler, interprete della teoria della razza ariana, condannato per crimini contro l’umanità → Hitler lo vide completamente
antisemita, ebbe da lui degli incarichi e diventa responsabile sugli studi sulla questione ebraica → da qui il mito della superiorità
della razza.
Quando ci fu il processo non fece nessuna ritrazione e rimase convinto della sua idea: diceva che il massimo rappresentante di
questo antisemitismo era Gesù che sapeva parlare da anticonformista e che difendeva la sua idea → questo è il mito del ventesimo
secolo: Gesù viene visto come superuomo e viene accostato ai grandi pensatori del passato e non alla croce.
Rosenberg non fu condiviso, il Vaticano prese le distanza da tutto ciò, l’elaborazione di un mito non può arrivare a punti così
estremi → Furio Jesi istituisce pertanto una questione mitologica in Italia, negli anni ’70 nascerà in Germania proprio su questa
tematica.

4. Il viaggio della Saffo verriana: ricerca e verifica della propria identità

Storia del gusto e dell’analitica settecenteschi: immagine del mare come spazio mobile e inquietante → topos di largo consumo
perché → identità filosofica della nuova epoca è condizionata dal fascino dell’ignoto e la ricerca di voci in grado di esprimerlo e
spiegarlo adeguatamente.
Scritti kantiani → metafora nautica ricorrente: il territorio dell’intelletto è un’isola dai confini certi e misurabili, la metafisica è alto
mare che accoglie l’idea o la possibilità del naufragio.
Nostalgia del rimpatrio (approdo in terra ferma) in un secolo in cui il tema dell’erranza si costituiva come garanzia e modernità della
ricerca → intera tradizione filosofica da Locke a Hume → Locke: consiglia di non divagare nel vasto oceano dell’essere, Hume:
preferisce la morte sulla nuda roccia anziché affrontare un oceano senza confini. → Kant: per chi sfidi l’ignoto consiglia di portare
bussola e carta nautica, scelga inoltre rotte confinanti rispetto alla costa per evitare destino di non ritorno. → no avventure senza
scorta i sicuri principi o ancoraggi di scorta → Kant dice che prima di partire all’estero è necessario conoscer i propri concittadini e
compaesani, quindi la propria casa.
Burke → nel suo Enquiry l’oceano rappresenta ciò che non è misurabile, l’idea dello spaesamento e del perdersi → come misura di
auto preservazione dell’individuo una giusta distanza fra il soggetto teorizzato e oggetto teorizzante (problemi guardati ad un certa
distanza: dilettevoli)

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Dennis: delizioso orrore rispetto alle Alpi; Burnet: mare e montagne → maestose e austere, ispirano grandi pensieri e passioni.
Impatto col paesaggio energico e selvaggio → interruzione rapporto amicale uomo-natura e risposta psico-emotiva dell’individuo.
Cos’è il viaggio in quest’epoca: ricerca documentaria, esperienza antropologica,osservatività e memoria, poetica
dell’immaginazione.
Berkeley: quando si viaggia potremmo raggiungere una condizione di sinestetismo, cioè l’attivazione di due o più sensi → ad
esempio potremmo sentire e osservare allo stesso tempo. → Dunque il conoscere comporta un atto di contemplazione estetica.
Diderot: nelle considerazioni in margine al Viaggio in Olanda parla del carattere inquieto e aperto dell’esperienza odeporica → il
viaggiatore è dotato di uno spirito di osservazione e attraversa la varietas del mondo senza correre rischi di desertificazione.
La realtà del viaggio: simbolo della complessità di una intera epoca nemica dei sistemi chiusi e delle metafisiche astratte.
Aurelio de’ Giorgi Bertola, Ippolito Pindemonte, Saverio Scrofani → si approcciano al tema della natura con scritti di memorabile
significativià; Lettere campestri di Bertola: descrivono i piaceri dell’immaginazione, il fremito del mare in tempesta diventa l’eco
nell’oasi tranquilla del locus amoenus ed evoca l’idea del naufragio.
Le avventure di Saffo, poetessa di Mitilene: particolare significatività in quanto racchiude tutte le occorrenze filosofiche, fantastiche
e simboliche →il termine avventure rimanda sia a un viaggio reale di ambientazione adriatica intrapreso da Saffo per raggiungere
Faone sia a un ideale percorso filosofico conoscitivo al fine di esplorare i recessi della mente umana nelle sue zone d’ombra e di
instabilità.
Il viaggio: doppia funzione reale e simbolica → il mare è inoltre matrice narrativa → economia del racconto: centrale riferimento
alla mitica rupe di Leucade (le cui acque ospitano gli amanti infelici) più descrizione del naufragio a cui scampò Faone.
Elemento di specificità: l’avventuroso viaggio per mare lo intraprende una figura femminile dall’attitudine alla poesie e alla
speculazione → Saffo non possiede di certo la disinvoltura delle altre viaggiatrici settecentesche ma è una figura eversiva dal
momento che non si cura dei consigli del padre Scamandronimo e della madre Cleide e segue una legge che va contro il sacrificio
degli impulsi naturali e del desiderio → di notte accompagnata dall’ancella Rodope e dal servo Clito si imbarca su un legno diretto in
Sicilia.
Verri descrive l’atmosfera calma e riposante della navigazione notturna, di buon auspicio per il felice esito del viaggio → poi mette
in primo piano gli stati d’animo inquieti della fanciulla, il suo cuore è più tempestoso del mare, quando vede allontanarsi le coste di
Mitilene immagina le tragiche conseguenze della sua scelta … poi subentra la stanchezza, il suo destino è di non decidibilità.
Verri pertanto si concentra di più sul tortuoso itinerario mentale della protagonista piuttosto che sulla realtà dei luoghi → allo
stesso modo Verri si interessa anche a determinate situazioni attinenti alla realtà siciliana, ad esempio si concentra molto sulla
dimora di Eutichio (ospite siciliano, sodale di Scamandronimo che darà protezione a Saffo), sul prospetto della sua casa infatti risalta
la scritta: tranquillità e salute come perfetta integrazione tra meditazione, vita nei rura e integrità fisica.
Albergo di Eutichio: situato su un verdeggiante pendio, ha l’aspetto di una dimora ideale pensata per esercitare al massimo
l’esperienza illuministica della sociabilité. → il motto sul prospetto della dimora: esergo virgiliano del notissimo articolo di P.V. le
delizie della villa: secura quies et nescia fallere vita.
A.V. insiste comunque sulla vita degli isolani, sui loro costumi e sulle loro credenze e, allo stesso tempo, insiste sull’atavica
arretratezza mentale e culturale di quelle popolazioni (l’eruzione dell’Etna è da mettere in correlazione con la sofferenza di un
mitico gigante, Encedalo).
Verri auspica attraverso le parole del suo alter ego Eutichio che quelle popolazioni permangano nel loro stato di minorità, che
credano alle antiche favole pur di preservare la stabilità giuridica e religiosa. → è un filosofico pellegrinaggio nei recessi dell’anima e
della vita interiore della protagonista, un viaggio reale reso particolare dalle soste da parte del narratore e del lettore.
Saffo da due marinai la notizia del tremendo naufragio nel quale crede che Faone abbia perso la vita → ricostruisce mentalmente
ciò che non ha visto e patisce con intensa disperazione → vicinanza dell’autore nei cfr della metodologia humiana (forza del sentire
= motore della creazione estetica)
L’itinerario che dovrebbe portare Saffo verso la persona amata è una inarrestabile discesa nel buio → dissipamento del proprio io.
L’infelice donzella quando è sicura del diniego definitivo di Faone mette in atto la disperata risoluzione : segue il consiglio della
divinatrice di estinguere le sue pene d’amore nelle acque del pelago →> Saffo va però incontro alla morte in maniera confusa ed
oppressa, sembra quasi vittima e non soggetto → per non manifestare il suo disagio interiore lascia il suo ospite siciliano senza un
cenno di saluto o una parola di gratitudine, abbandonando i suoi toni di gentilezza.
Il viaggio di Saffo quindi iniziato come una fuga dalla famiglia finisce con una fuga da Eutichio e dagli intellettuali che la circondava
→ particolare è il paragone che accomuna lo stato di ansietà della fanciulla all’impeto travolgente dei venti.
Riferimento al mito di Leucade: suggestioni e implicazioni nell’immaginario del tempo tramite le opere di Rosseau, Pindemonte,
Scrofani, Foscolo, Byron, Leopardi … → è soprattutto l’elemento fluido e instabile delle acque a creare una dimensione narrativa
emotivamente e concettualmente dinamica.
Nella storia del pensiero occidentale: fluttuare delle onde paragonato alla variabilità e al conflitto delle passioni ( ad esempio con
Spinoza, Epitteto e Plutarco -> nave che ha difficoltà a raggiungere il porto in balia delle onde )
Fase finale del romanzo: da un lato Saffo apprende la vera entità della prova da affrontare ed è intimorita dalle conseguenze del
suo gesto, dall’altro vi è la tranquillità del vate che crede nella presenza degli dei e invita la fanciulla a fare altrettanto → memoria

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di alcune figure mitiche come Deucalione, Fobo, Cefalo.


Alessandro Verri memore della lezione ovidiana e come anatomista delle passioni rievoca gli ultimi esitenti e atterriti gesti → Saffo
si arresta in preda a sentimenti di orrore e di ribrezzo sul mrgine dell’abisso, confermando il suo scetticismo verso gli dei.
Somiglianza della vicenda di Saffo con quella di Ettore: entrambi si trovano in una situazione di svantaggio, dal momento che Saffo
da inesperta nuotatrice deve lottare con le onde, Ettore invece è costretto a misurarsi con un semidio e ha paura, decide così di
fuggire intorno alle mura delle sue città.
Già sul nascere la vicenda di Saffo: possibilità bloccata.
Le giuste precauzioni per rimanere in prospettiva di realtà e salvezza: secondo metafora esperita da Kant → dotarsi di bussola e
carta nautica in caso di navigazione, secondo Hume → applicare la regola dell’accertamento empirico empirico ai propri slanci
emotivi e passionali (trattato sulla natura umana)
→ Saffo: catabasi nel buio della propria condizione interiore.

5. La magia nel Secolo dei Lumi tra letteratura e scienza

ORDINE DEL LIBRO


Nel corso del Rinascimento: la magia registra un interesse positivo per via della centralità riconosciuta all’uomo →Con Ficino,
Pico delle Mirandola e Della Porta la magia assurgeva a dignità di scienza con un carattere quasi sacrale.
Illuministi → chiamati a far luce sul significato della magia si trovano di fronte a materia densa di incertezze e di ambiguità
Diderot → tradiva una certa insecuritas conoscitiva: i fenomeni sono infiniti, le cause nascoste e le forme transitorie, disponiamo
soltanto di un’esperienza lenta e di una ragione illimitata. → atteggiamento critico che contraddistingue la vis indagativa di molto
Enciclopedisti di fronte a nozioni complesse e stratificate.
Polier de Bottens è invece curatore del lemma Magie presente nell’Encyclopèdie e riconvoca la tripartizione tra magia divina,
naturale e sovrannaturale, quest’ultima demonologica → parla molto bene invece della magie naturelle, lodevolissima in sé e
finalizzata a mettere ordine e chiarezza nel flusso caotico dell’universo → con magia naturale si intende lo studio della natura e
dei vantaggi che ha procurato in arti e scienze come la Fisica, L’astronomia, la medicina, l’agricoltura, la navigazione, la
meccanica, l’eloquenza; si augura quindi che la magia naturale acquisti uno statuto definitivo di scienza.
Nel Settecento inoltrato: si fa strada un modello epistemologico (in Germania culminerà con i trionfi della Naturphilosophie, a
favore di una concezione vitale dell’universo che mette in crisi il primato del meccanicismo fisico-matematico di stampo newtiano).
Newton, Condorcet, Lavoisier → i numi tutelari della rigida coerenza dell’universo-macchina che poi subirà un grave colpo a
fronte dell’ampliamento degli orizzonti della fisica (teoria dell’elettromagnetismo ed esperimenti di Galvani e Volta) più dagli studi
sulla chimica.
Ultimo scorcio del ‘700: Schelling → assieme ad altri esponenti del circolo jenese guardava all’Universo come a un grandioso
processo chimico sottoposto al principio di polarità che produceva nella materia modificazioni di carattere qualitativo.
Schlegel → i generi romantici frutto di una sottile alchimia o chimica universale delle forme dalle combinazioni progressive e
infinite, il Romanzo è la risultanza quasi chimica di una Mischung, è una mescolanza fra epos e dramma → anche Forster, Ritter
indulgevano a queste ipotesi metodologiche.
Ritorno di dottrine e orientamenti legati alla tradizione divinatoria (ad esempio il Mesmerismo e altre teorie cristiano-esoteriche i
cui portavoci erano: Lavater, setta degli Illuminati e Martinisti).
Ad un certo punto il discorso scientifico in senso stretto viene tacciato di arretratezza e subalternità ai vecchi schemi cognitivi dagli
ambienti intellettuali più aperti e antiaccademici → es. Marat: violento attacco contro oscurantismo degli accademici e le
istituzioni ufficiali della cultura → da qui le emergenti discipline dell’occulto diventavano antesignane di nuove verità → filosofo vs
magnetizzatore che metteva ordine nel disordine patologico dei comportamenti umani → termini di una ritualità spettacolare
(tinozze piene di limature di ferro, verghe di metallo, crisi convulsive … )
Francesi → dal Magnetiseur amoureux di Charles de Villers al più tardo Le Magnètiseur di Frederic Soulier: tutte le possibili
sfumature di giudizio.
Ambito italiano: Abaritte di Pindemonte (notevoli sono però le testimonianze letterarie inclini a valorizzare il fantastico e il
misterioso, ad esempio le macchine volanti nei romanzi di Seriman, Casanova, Bettoni e Gozzi.
Le avventure di Saffo: orrido speco della maga Stratonica (repertorio di immagini tetre e inquietanti) → Verri fa propria la
tradizionale partizione tra magia bianca e magia nera, la divinatrice perciò ci appare in tutta la sua positività, disposta a utilizzare
la scienza per scopi utili e virtuosi, il suo quindi è un operare legittimo.
Abaritte. Storia verissima → scritta nella fase finale del grand tour → scritto nella fase finale del grand tour, è un romanzo di
formazione per eccellenza che narra la vicenda di un giovane di estrazione nobiliare che parte dall’originario Tangut (=Italia) alla
volta di paesaggi fiabeschi come la Tartaria (= Austria e Russia) e la Nuova Zembla (Inghilterra) → l’intera narrazione è metafora del
lungo e tormentato processo di verifica degli ideali illuministici e della loro praticabilità nell’azione quotidiana → affermerà il
filosofo Dinato (mentore che accompagnerà il giovane durante il viaggio) l’insanabile dissidio tra principi speculativi e prassi
politica.

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Pindemonte inoltre intrecciò dei rapporti d’amicizia con esponenti della massoneria tra cui Sagramoso, Balì dell’ordine di Malta e il
Bertola → dopo aver assistito agli scenari poco rassicuranti della Rivoluzione, Pindemonte non sembra concedere molto credito al
mondo segreto dell’esoterismo → lo schema compositivo del romanzo è interrotto da colloqui con esponenti dei circoli
misteriosofici tedeschi e da una serie di situazioni e circostanze stranissime ai limiti della credibilità.
Pindemonte/Avaritte mostra curiosità nei confronti dei rituali mesmerici per individuarne gli aspetti illusori e ingannevoli →
L’autore si interessa ulteriormente della vita esoterica parlando di un imprecisato Dottor della Luna, guaritore fantasioso e riporta
poi le vane parole di un locandiere martinista, per poi finire con la messa in scena di una incandescente seduta spiritica.
Massimo scivolamento della deriva ironica: quando poeta e teologo Lavater tenta di convincere abaritte della infallibilità ella
dottrina fisiognomica, fissando il volto di un’ape o di una formica è possibile scoprirne i sentimenti e i comportamenti → il saggio
Achàr riporterà chiarezza in questo groviglio di congetture di ispirazione mistico-inniziatica: non si può trascurare ciò che si trova
all’interno del nostro orizzonte conoscitivo.
Ministro Cajumarath: rappresentazione grottesca e parodica di questo alto funzionario che allude alla miseria e alla vanagloria dei
suoi atteggiamenti mentali e comportamentali → volteggia sul suo cavallo, per insaponare e rasare la barba si serve di un grande
pittore e di un generale, usa profumi intensi da far svenire le dame → il culto della persona richiede che ogni gesto non passi
inosservato e sia accolto come segno di distinzione e di eccellenza → è quindi distante da ogni barlume di philosophie e impone la
pratica dell’omologazione e del conformismo → i muri del suo palazzo: testimonianza del suo ego ipertrofico e narcisistico, ogni
volta che parla si crea una portentosa Eco che dice tre volte ‘Bravo’, poi le statuette della Cina si animano improvvisamente e con la
testa fanno cenni di consenso.
* secondo profeta Isaia deformitas = deiformitas, il mostro piange sulla salma del suo creatore e quest’ultimo conflittualmente la
ama : è un suo doppio e straziante alter ego.
APPUNTI PROF COTRONE
Nel secolo del razionalismo e della filosofia per eccellenza → permane logica dell’ambiguo ; la ragione illuministica è in crisi ed è
aperta a tante prospettive → il favorire di diverse scientifiche favorirà l’apertura di diversi orizzonti scientifici e a campi riguardanti
qualcosa di inedito. (Newton → meccanicismo)
II metà del ‘700: la figura di Frankestein*(Mary Shelley) diventa di grande attrattività e subentra una lotta tra due tipi di scienza,
quella di carattere tradizionale e quella aperta a nuove frontiere di sperimentazione che va a sfiorare gli ambiti dell’occulto → In
base ad esempio alla diffusione dell’elettromagnetismo si ipnotizza di dare vita con delle scosse elettriche a persone defunte ( →
ad esempio a dei cadaveri dei cimiteri, si procedeva con l’assemblaggio dei cadaveri ) → l’uomo quindi violando i codici della natura
realizza un mostro: Frankestain che ad un certo punto pretende di avere l’identità di un uomo normale ed anche una sposa → il suo
creatore si affezionerà a lui, ma il mostro ad un certo punto si ribellerà contro di lui → alla fine entrambi soccomberanno per
troppa arditezza dal momento che violano i codici della natura.
La creatura emblematizza l’ansia di scoperta del pensiero illuministico → Diderot ad esempio dirà che le cause sono nascoste e le
forme dei fenomeni sono transitorie, nel senso cioè che variano nel tempo.
L’autocritica dell’illuminista pertanto è che la ragione è limitata, non si può quindi realizzare la felicità con i principi illuministici →
L’ansia di conoscenza pertanto sfocia nel mistero (quindi nella scienza) → sorgono nuovi scienziati e nuove scienze come il
MESMERISMO → si contraddice il concetto di scienza → si pensava che vi fosse il ristabilimento di giusti fluidi all’interno per chi
sapeva trasmettere questo fluido all’uomo malato e così guarirlo.
Le sedute di magnetismo: il magnetizzatore toccava l’ammalato per stabilire un contatto con lui; vi erano anche delle
magnetizzatrici donne. → toccavano i corpi degli ammalati con pezzi di ferro e i corpi si comportavano da grande calamità → i
nostri corpi accolgono dei campi magnetici e il mesmenista riusciva a ristabilire un ordine nel malato. → dopo la crisi il paziente
guariva, infatti veniva utilizzate delle tinozze per immagazzinare il fluido che veniva trasmesso al malato attraverso dei pezzi di
metallo.
In Francia esistevano inoltre le camere della crisi, il malato aveva una crisi di nervi e tramite la crisi si liberava (il tutto con dei
musicisti di sottofondo.) →Discepolo di Mesmer sarà Bergasse.
La magia però non ha sempre un significato negativo come la magia nera come sostenevano Agrippa e Paracelso: quest’ultimo è
stato un medico alchimista e un astrologo svizzero → la sua opera si colloca nell’ambito del naturalismo rinascimentale secondo
cui l’uomo era al centro della Terra e potva conoscere la natura → sono queste tematiche distanti dalla scienza nell’ambito
dell’occulto.
I padri della chiesa come Tertulliano e Agostino avevano condannato la magia, una ricerca di carattere demoniaco.
Nel Rinascimento ritroviamo Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e della Porta: Ficino, nato nel 1433 e morto nel 1499 fa un
esame delle cose naturali e si interroga su come guarire l’uomo → dice che fa una vita un po’ chiusa sui libri e dice che è
necessaria la luce, il contatto della natura per curare la bile nera dell’intellettuale, è necessario avvicinarsi a qualcosa di fresco e di
giovane che gli possa far vedere la vita in maniera diversa → questi sono i metodi alchemici che poi sfociano nelle cose
fatalistiche.
Il De vita di Ficino: il mago è semplicemente il filosofo che ha ansia di conoscenza, non ha nulla di demoniaco, è il contadino che fa
l’innesto, non deve far paura anche perché è presente anche nel vangelo → I re Magi ad esempio sono stati i primi adoratori di

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Cristo.
La metafora del contadino: costui vuole conoscere tutte le cose del mondo trae l’ispirazione dal cielo, produce uno
svalvolamento verso qualcosa di infinito.
Della Porta è un filosofo alchimista e scienziato, viene accusato da un filosofo francese, Bodin, di essere un magus beneficus →
Della Porta dice che esistono due tipi di magia, 1) magia infame che non è altro che stregoneria dalla quale dobbiamo stare
distanti e 2) una filosofia naturale come studio della natura.
Nel Rinascimento la magia diventa un fatto naturale e viene esaltata da Ficino, Pico della Mirandola, Bruno, Campanella, Keplero,
Bacone, Cartesio che non ne diedero un giudizio negativo.
Pico della Mirandola distingue la magia e l’astrologia: è meglio la magia perché lasciava libertà di sperimentazione all’uomo,
mentre l’astrologia determina la sudditanza dell’uomo a forze esterne; gli astri invece rappresentano un’influenza sull’uomo che
così è meno libero.
Nel 700’ invece vi è il trionfo della razionalità, Bodin ad esempio si rifà alla divisione di della Corte e di Paracelsio che è favorevole
verso la magia nera (anche nel de Occulta di Agrippa); Polier de Bottens parla di magia divina, magia naturale e magia
supernaturel, che va cioè al di là della natura → parla molto mal della magia supernaturel, viene addirittura assimilata alla magia
nera, cioè alla superstizione e lle cose tetre, non è altro che quindi un retaggio dell’oscurità del passato → parla poi della magia
naturale ed esce dalla contraddizione, quello della magia naturale è uno studio specialistico molto vicino allo studio della natura,
inoltre assimila la magia alla dignità che hanno le altre discipline.
Nella seconda metà del ‘700 ritorna l’alone di misticismo → Brioché sarà accusato di stregoneria per aver animato le sue
marionette di fronte a una folla attonita e ignorante; Galvani (1737-1798) fece esperimenti sulle rane dandogli una carica
elettrostatica → la rana morta si muoveva; Alessandro Volta → in Germania sorge la Nature Filosofìe che, in seguito, sarà molto
detestata dagli scienziati del positivismo che facevano una mistione fra filosofia, scienza, fede e letteratura.
La nature filosofie prevedeva una concezione del mondo non come voleva Newton, ma un meccanicismo fisico basato sulla
materia.
Questa è una concezione messa in crisi da Spinoza (1632-1677), il quale nasce ad Amsterdam e si pone il problema di Dio = Deus
sive natura = La natura è Dio → pertanto la Res Cogitans e la Res Extensa convivono insieme → Tutto è Dio nel mondo.
Leibniz, invece, dirà che la natura è fatta di tanti punti inestesi che si chiamano Monadi, il movimento avviene per attrazione e
repulsione; la Terra con tanti atomi che si tengono insieme per attrazione e repulsione, l’uomo è perciò dentro la natura e la natura
è dentro l’uomo → la natura balla)
Schlegel dà vita ad una nuova filosofia della modernità, il suo romanzo è una mescolanza, somiglia molto alla chimica.
Alessandro Verri dirà che il mago conosce l’apparenza delle persone e il loro pensiero; Saffo dirà alla maga che la magia nea è
invece viziosa, è un’arte da mettere da parte, invoca gli dei maligni → l’uomo che non segue le leggi diventa odioso agli dei, la sua è
un’arte divinatoria che governa gli istinti degli animali, le virtù dei corpi (vita della natura) e la chimica delle persone.

6. Ugo Foscolo: fantasie naturali e poesia ragionatrice nel commento alla Chioma di Berenice

La Chioma di Berenice è la traduzione di un’opera di Callimaco , arrivata in forma frammentaria → Berenice è la figlia di Arsinoe e
Tolomeo Filodelfo, è quindi una famosa regina egiziana → il padre di Berenice aveva dedicato un tempio a sua moglie sotto il nome
di Venere → Berenice tempo dopo sposò Tolomeo Evergete, il quale partì in battaglia e non faceva più ritorno: così Berenice
sacrificò la sua chioma nel tempio di Venere → Conone, astronomo di corte, disse che gli dei notte tempo l’avevano portata in cielo
→ la Chioma si trasformò in una costellazione che tutt’oggi è chiamata Chioma di Berenice.
E’ pertanto mirabile che una Chioma mortale rapita da Zefiro Alato diventi una costellazione (per mirabile intendiamo ciò che piace
agli dei), ed è mirabile che sia rapita dagli dei → il mirabile deve pertanto appoggiarsi alla nostra vita e alla nostra realtà → così
deve essere fatta la poesia.
In un passo del commento alla Chioma di Berenice, Foscolo dice che la nostra poesia non può avere né lo scopo né i mezzi dei greci
e delle nazioni magnanime; poco può conferire inoltre alla politica. → Foscolo quindi si ritrova ad ammettere il progressivo
restringimento dell’ambito di determinazione positiva della parola poetica, in un tempo di forte decaduta degli ideali individuali e
comunitari → crisi dell’utopia rivoluzionaria → la poesia quindi che ha una forte valenza etica e storico-testimoniale, a quale
destino va incontro, in un contesto di profonda mediocrità e rassegnazione? → Questa è la verifica che Foscolo vuole condurre
nella sezione della Chioma, una manifesto estetico della prima stagione teorica foscoliniana.
La Chioma di Berenice è il manifesto poetico di Foscolo: le lettere della modernità hanno valore civile ed etico, le lettere e le arti
sono inoltre indispensabili per il progredire della civiltà dell’uomo → se pertanto nel presente non c’è libertà si guardi
vichianamente alla poesia delle origini e si cerchi di usare la poesia autentica (questa è invece la poetica dei sepolcri)
Foscolo inoltra nota come lo stato di degrado e di asservimento della contemporanea situazione culturale italiana mostra dei punti
di tangenza con l’età augustea (mecenatismo e adulatori; della decadenza della letteratura latina fu responsabile Augusto →
politica culturale miope. → i grandi dell’età di Augusto hanno un rapporto intrinseco con il potere, la letteratura è un vero e proprio

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strumento di governo → il potere dei Romani aveva un suo dipinto che nasceva direttamente dalla divinità: Enea non è altro che il
risultato delle guerre tra Greci e Romani; Foscolo dice che abbiamo avuto dei grandi poeti nel periodo augusteo che sarebbero
stati più grandi se non ci fosse stato Augusto a favore del mecenatismo → Il linguaggio scientifico è pertanto all’altezza della
modernità della poesia? Secondo Foscolo, no.
La Chioma di Berenice racchiude gli elementi del Mirabile e del Passionale → la poesia è propria del mirabile → il sacro invece
costituisce una correaltà, la religione era vissuta dall’uomo, era la vita dell’uomo e le passioni dell’uomo: la poesia deve essere
pertanto la modernità (i nuovi romantici tedeschi come Herder propongono invece una nuova mitologia.)
La poesia non è altro che moralità ed eticità delle passioni: la poesia riformatrice però può essere utilizzata solo nelle satire, in tutte
le altre forme invece non muore la sensibilità degli uomini → la Satira ha origine dagli avvenimenti reali e civili rappresentati
poeticamente; la teologia del sacro invece non è altro che una correaltà estetica del sacro.
Secondo un principio etno-antropologico la poesia è funzionale alla crescita della civiltà → non sa se però le arti portino davvero
alla felicità: nessuno è felice se come contrappeso non produce l’infelicità nell’altro. → viviamo in una grande epoca di progresso
scientifico: la scienza è neutra o viene diretta dove ci sono grandi capitali? → Tempi di Foscolo: religione istituzione → Hegel e
Rousseau si interrogano su essa e finiranno sul discorso letterario → Hegel: nei discorsi di Tubinga dice che la religione era fatta
soltanto da dogmi, doveva invece essere elemento dello Stato, il cemento tra i cittadini e le istituzioni.
Il discorso quarto può essere considerato un manifesto di poetica → visto che non c’è più libertà e non può più scrivere un
romanzo secondo la poetica passionale dell’Ortis, Foscolo deve elaborare una nuova maniera di poetare → dal momento che si è
ridotto lo spazio di libertà degli intellettuali, quale spazio spetta alla letteratura nella modernità?
Nel discorso quarto Foscolo dice che mentre gli antichi per lodare i privati encomiavano le patrie, i moderni hanno bisogno di
disseppellire le virtù di qualche privato per poter onorare di qualche elogio le nostre città → dice Foscolo che in passato la virtus
individuale era connessa all’agire collettivo e aveva carattere morale: l’encomio del singolo rimandava all’intera comunità → nel
presente l’eticità ha luogo solo nel proprio microcosmo interiore.
Attenzione sulla centralità della metafora del ritiro, molto diffusa nella letteratura di fine secolo (es. Eutichio verriano) anche se
la scelta di solitudine del Foscolo non è frutto di una autonoma decisione ma pare imposta dagli eventi → il termine ruggire fa da
controcanto a questa opzione di inattività e di rinunzia all’impegno politico sociale (negli scritti fra il 1802-1803 in alcuni sonetti o
nei Frammenti lucreziani è evidente l’autobiografismo → a causa della rivoluzione e dell’esilio non ha tetto e sepolcro, attraverso la
scrittura manda fuori dal suo petto un certo fuoco che ruggiva dentro di me e che cresce con gli anni)
Sono i tempi a dare rilevanza estetica e morale alle arti → allora si guardi all’antico, ai suoi ideali incontaminati, ai suoi valori →
l’antico è uno spazio antropologico visto come alterità che salva → siamo in presenza di una re immersione ermeneutica del
passato, come a molti esponenti della Klassic: antecedenti possono essere il Vico e il Conti e lo stesso Rousseau che aveva posto il
tema di uno stato di natura eccedente per incorruttibilità e per potenza creativa.
Foscolo poi espone e tematizza in merito a questo ordine di idee e rende evidente la sua opzione verso un classicismo non
canonizzato, primitivistco, pieno di sapienza umana e di sensi religiosi → netto rifiuto della poesia ragionatrice di quei leggeri
conoscitori dell’uomo.
In seguito l’argomentazione foscoliniana si dimostra prossima a quei settori del pensiero europeo che avevano tentato di
riaccreditare il linguaggio archetipico del mito, idoneo ad esprimere quell’imponderabile che i concetti della scelta non riuscivano a
significare → in particolare è evidente il tono dubitativo di Foscolo con cui guarda ai presunti benefici del progresso (le arti
veramente utili sono figlie del caso o delle scienze?) → evidente vichismo di queste affermazioni, di tonalità fortemente
drammatiche → severo giudizio critico nei cfr del sapere scientifico e della sua cattiva astrazione → Foscolo per conferire spessore e
credibilità alla sua proposta estetica si rivolge poi alla religione che ha una piena centralità nell’ambito dell’esperienza umana e
suo elemento irrinunciabile → possibile ontologia estetica del sacro e sui modi del suo funzionamento in un contesto poetico → il
discorso poi si concentra sull’assoluta e congenita esteticità dell’elemento religioso (→ Hegel e Rousseau)
Frammenti lucreziani: insiste sulla possibilità di restituire l’istituzione religiosa alla sua fisionomia originaria ed i salvaguardarla in
quanto depositaria di moralità (rendere cittadino ogni prete e prete ogni cittadino) → il sacro: ambito di codificazione di valori
creati dall’uomo e trasfigurati nella scrittura mitica delle origini.
Categorie portanti del suo progetto estetico: mirabile e passionato, Foscolo poi accentua il ruolo propulsivo dell’idea religiosa.
L’idea del sacro di Foscolo → sfocia in un discorso di carattere letterario, crea una religione nella mistica → un cielo gremito di dei in
cui trovano posto i bisogni della sensibilità e le passioni: la religione che reca un uso stabile e continuato nella poesia è quella greca
→ la religione greca ha a che fare con il mondo abitato dall’uomo, è la vita che vivono gli uomini →la proposta di Foscolo entra
pertanto in sintonia con quella cultura tedesca che aveva celebrato il mondo greco e i suoi dei come esempio di buona conciliazione
tra vita sensibile e ragione (Herder,Goethe,Winckelmann,Schiller) → propone una religione che conservi elementi di operosità verso
il mondo e che abbia efficacia nella concretezza della vita e nell’agire degli uomini → rifiuto dei tradizionali significati
misteriosofici, delle superstizioni, ecc … → per quanto riguarda la nostra religione, Foscolo dice che sarebbe un fallimento
partecipare a questa religione, preferisce dedicarsi al mistero: maestro della religione è dante secondo cui la religione non è un
dogma, è la vita dei mortali → Foscolo preferisce la religione armata, la guerra delle crociate perché era la cosa in quel momento
sentita dagli uomini: così la religione diventa realtà.

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I moderni pertanto fanno bene a usare i processi di antropoformizzazione degli antichi.


Concorda invece con Schlegel quando dice che senza la poesia la religione diviene incerta, triste, sanguinosa e falsa.
Quella di Foscolo è una letteratura aforismatica: se la religione non è vivibile diventa triste, subentra la violenze e la guerra → il
discorso sull’idea di sacro sfocia quindi nelle immagini mitiche e favolistiche → Rousseau batte sul fronte dell’altezza delle
religione che deve moralizzare l’istituzione → è necessario rendere cittadino ogni prete e prete ogni cittadino che deve avere un
sentimento autenticamente religioso.
Dice Foscolo che sono fortunati quei popoli ai quali toccava in sorte una religione che a tutte le umane necessità assegnava un Dio
→ approda alla grande quaestio mythlogica di fine secolo (i romantici jenesi invece ipotizzano un progetto mitologico all’altezza
della modernità → il Breme invece dichiarava decaduto il classico espediente stilistico-retorico delle personificazioni ed era vicino a
Byron soprattutto quando parlava degli amori fra l’usignolo e la rosa → in alcune parti dell’Ortis: poeticità dei processi di
personificazione e antropoformizzazione del divino, il protagonista ha bisogno di evocare un mondo gremito di immagini
fantastiche e consolatrici (beati gli antichi che trovavano il bello e il vero accarezzando gli idoli della loro fantasia, beate le illusioni
… ) quindi l’espediente della personificazione soddisfa una doppia esigenza: estetica ed esistenziale → le illusioni dei filosofi, il mito
servono a farci uscire dalle dimensioni oggettive → costituisce il proprium di una situazione che gli fa dimenticare le sventure e al
tempo stesso agisce come vis compensativa nei cfr della nojosa indolenza del quotidiano.
Foscolo pertanto nutre delle diffidenze verso la poesia romantica: i poeti primitivi (omero, Dante, Shakespeare, inaugurano
qualcosa di nuovo nelle loro nazioni) → i romantici italiani invece esportano l’elemento medievalistico degli altri romanticismi,
sfociano nell’atmosfera lugubre (Londonio, Cesarotti → poetica della sensibilità e della creatività; Foscolo ritiene Cesarotti un
maestro, traduce i volumi ossidici del Mecfesson, un autore inglese)
Col passare del tempo Foscolo cambia il suo operare filologico e si avvicina alle greche e latine lettere, rivisita un testo di dubbio
interesse quale la Chioma catulliano-callimachea → riaccredita una nozione di classico distante dai protocolli di gusto normativi
dei retori e dei pedanti e dall’oltranza sperimentativa di certo romanticismo nordico e medievalistico. → quella del cielo di Ossian
è una poesia legata al fascino delle origini e quindi difficilmente assimilabile al clima culturale italiano → guarda preoccupato alla
confusa volontà dell’europeismo culturale che dettava inserimenti della spiritualità d’Oltralpe sul ceppo nazionale.
Poi Londonio: polemica vs meraviglioso nordico e medievalistico in nome di uno specifico letterario italiano → poi ripropone la
poeticità delle immagini mitiche e si sofferma sull’efficacia del procedere arazionale dell’uomo → manca un preciso richiamo al
tema della bellezza in quanto poesia dell’inizio, del nascimento (Vico) ed è affievolita la fiducia nella vis insegnativa della parola
poetica, restauratrice di vaori morali e politici, così → il bello = vero e la letteratura = luogo topico di rigenerazione dell’intera
comunità.
Nel 1803 la Chioma di Berenice viene scambiata per un trattato di filologia (dedica – argomento – 4 discorsi introdotti → nel 4° si
parla della ragione poetica di Callimaco.)
Nel primo discorso, contro le risse dei pedanti, Foscolo non voleva fare un discorso precettistico: è questo una grande
interrogazione sul ruolo della letteratura all’altezza della modernità.
Foscolo inoltre riporta per intero il testo dell’epistola di Catullo che tradusse la Chioma di Berenice, la traduce in italiano e riporta
anche il testo dell’epistola ad Ortalo più una nota complessiva finale, il 4 ialogo è quindi considerato un commento.
La Chioma di Berenice fu un flop a livello editoriale → la sua è una esortazione sconsolata → Secondo Platone gli intellettuali vanno
cacciati dalla Repubblica perché portano malessere al governo dello Stato, Rousseau nella lettera degli spettacoli entra in polemica
con Dalambert: quando si scrive un dramma lo si fa per compiacere gli spettatori → questa polemica non è altro che un metafora
del rapporto fra arte e istituzioni: la letteratura è di beneficio rispetto all’istituzione? Rousseau dice di no, Foscolo invece dice che
sono le istituzioni a corrompere la poesia e non viceversa =) tematica del mecenatismo tra ‘700 e ‘800: Di Breme devalorizzerà
l’età umanistica-rinascimentale → soltanto il demiurgo possiede la presenza della realtà e gli uomini dovevano dipendere dal
demiurgo → i poeti secondo Platone non accedono alla realtà pura, non parlano con i termini propri del reale → Rousseau
riprenderà la massima platonica.

7. Ludovico di Breme e la tradizione umanistico-rinascimentale

Cultura italiana di primo ‘800: nozione di classico → verifiche insistenti e ultimative; cosa si mette in discussione? → la validità del
suo sistema estetico-normativo, i valori etici ed ideali che la fondano, il late biosas, vivere in solitudine (la cultura oraziana di
fine ‘700) che diede vita ad una palese sconfessione nei settori intellettuali impegnati in un progetto di diffusione-comunicabilità
della cultura (es. Il conciliatore)
Fase socio-economica in vorticosa evoluzione: rivoluzione francese, normalizzazione napoleonica, l’Italia restaurata → impensabile
pratica letteraria votata al riuso di autori del passato in funzione riparativa rispetto alla tristitia del presente.
Dirigenza della Biblioteca Italiana: significative e complementari figure del plenipotenziario austriaco Bellegarde e del direttore
Acerbi → politica culturale di promozione del consenso.
Per i dissidenti del Conciliatore: nuova figura dell’uomo di lettere per contrasto e contrario rispetto al quietismo dell’ideologia del
ritiro di marca tardo-settecentesca → Il Breme, in una lettera a Giuseppe Grassi del 7 agosto del 1816 .

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Il carattere del mondo storico → determina il ministero poetico e forza propulsiva dell’impegno intellettuale per produrre una
poesia dei vivi che parli il linguaggio della modernità. → per Breme (+ ala progressista cultura lombarda): riaffermare e far
progredire il carattere creativo e pedagogico della raison illuministica, una leva che affranca le moltitudini dalla passività e
dall’ignoranza.
Romagnosi e di Breme: prefigurano crescente cooperazione fra le classi, una vera sociabilità grazie a una trama intelligibile e
coerente di valori etici unitari e di rinnovati archetipi immaginativi; Borsieri → ‘invisibile catena d’intelligenza e di idee tra il genio
che crea e la moltitudine che impara’; Berchet → il discorso estetico è un messaggio che vale per quelle mille e mille famiglie che
pensano, leggono, scrivono, sentono tutte le passioni. → uso della scrittura letteraria in termini di linguaggio persuasivo e
comunicativo.
A fronte di ciò → denervato e anacronistico il codice letterario proposto dai classicisti con un sistema di evidenze già dato e
indirizzato a obiettivi di tipo scolastico-accademico → i programmi agguerriti dei ‘Conciliatori’: abbattere le forme più vistose di
idolatria degli antichi.
Dibattito: giudizio sul passato; lo schieramento classicista → l’attenzione critica verso la tradizione si risolveva in un generico
richiamo alla serietà e alla congruenza degli studi e non investiva sulle reali condizioni di arretratezza della cultura ufficiale → il
giudizio sulla civiltà umanistico-rinascimentale assumeva posto di rilevata evidenza → le formazioni aristocratico-oligarchiche
rinascimentali: figura del letterato cortigiano, uomo di lettere integrato nelle istituzioni e protetto dal mecenatismo e l’istanza
retorico-filologica e lo spirito di codificazione acquistano autorità indiscussa e diventano via elettiva per accedere all’esperienza
poetica.
I Romantici, invece → vastità di orizzonti estranea alla prospettiva accennata fino ad ora → i novatori sulla cultura i matrice
retorico-umanistica: ottica unilaterale e omologante che guidava i loro pareri negativi → nell’immaginario dei lettori tendenziose
equazioni: filologia = vuota erudizione; equilibrio formale = ossequio al regolismo precettistico. → quindi il puro gioco retorico
ricercato nella forma letteraria faceva da pendant al vuoto morale degli individui.
Nelle pagine della Storia desanctisiana: severe e decise affermazioni sull’indifferenza etica del ceto dei colti → quadro negativo
dell’intero periodo.
Milano romantica e liberale di primo ‘800: presupposti per il fraintendimento del fenomeno umanistico, assimilato alle
manifestazioni del bembismo deteriore → modello ermeneutico presente negli scritti della Stael e del Sismondi e nella riflessione
condotta dall’Alfieri nei cfr del modello di perfezione artificiale, cortigiana, sviluppatosi nei secoli aurei del mecenatismo.
Alfieri: voce alternativa e illuminante rispetto al moderatismo politico-culturale del governo austriaco → teoria del forte sentire
o nozione di magnanimità delineata nel trattato Del principe e delle lettere → escludere ogni rapporti di subordinazione
dell’uomo di cultura al potere costituito → Il Breme si trovò d’accordo con questo schema interpretativo tanto da renderlo
operante nel suo manifesto programmatico sul Romanticismo, il Discorso intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani →
celebre pamphlet del ’16: carica polemica e contestativa, numerosi e caustici riferimenti agli esponenti più rappresentativi della
grammatica umanistica, dall’autore ironicamente rubricati come Bembi e Buonmattei, Sperone Speroni, Salviati e Bastian de’
Rossi e Domenichi e Castiglioni più altri esponenti della atavica passività del ceto dei colti come Danielli, Gesualdi, Giambullari,
Vellutelli, Landini, Simon Fornari, Orazio toscanella → carattere di una critica radicale nei cfr di ogni paradigma speculativo basato
sulla modalità ineffetual dell’exemplum o sul recupero acritico della tradizione. → Umanesimo: grande archetipo di una filosofia
che non accede alla verità ma all’ordinamento e alla classificazione → il pensiero è una vera rabbia analitica, geometrica, è un
operari, non un credere.
L’atto della riflessione: perfetta sintonia con la massima di Bacone (scientia propter potentiam = trasmutazione del sapere in agire
produttivo) → è un progetto sulla realtà e un confronto col contesto storico → secondo Breme l’ammirazione eccessiva nei cfr
della produzione e dei criteri estetici del classicismo umanistico impediva uno sguardo oggettivo e critico nei cfr delle trascore
stagioni culturali. → le ultime generazioni di studiosi: particolare forma di omologazione e inerzia mentale, rifiutavano il cfr con la
moderna grammatica intellettuale europea → La Stael dirà che siamo inerti e molli nel culto del vero e del sublime, svogliata è
l’anima italiana … non si pensa a tradurre gli scritti di quegli uomini che senza dubbio precedono colla fiaccola in mano alla
generazione tutta d’Europa. → I Romantici milanesi: Pellico, Ugoni, Berchet e il pamphlet borsieriano del ’16 → ritornano le
considerazioni della Stael e i rinvii al vero e a il sublime delle lettere.
Il Foscolo: antesignano di queste idee → nella prolusione pavese del 1809 si fa paladino della trasparenza e della affidabilità della
parola letteraria al di là delle distorsioni dei retori e dei pedanti: l’eloquenza diventa luogo de bene e della verità → richiamo per i
romantici lombardi.
Il Breme → elaborazione di una scienza letteraria non astratta, al servizio della società + tensione critico valutativa nei cfr del
patrimonio culturale del passato → la conoscenza per essere tale deve avere origine da un percorso di sperimentazione non
pregarantito.
Le Osservazioni sul Giaurro: approfondisce questa prospettiva di ricerca e dice che il pensiero per superare l’a priori della pura
trasmissione deve ammettere alla base una ‘studiosa ignoranza’ così come Cartesio quando con un gesto moderno aveva
decretato la legittimità del cogito → la ratio diventa il luogo fondativo delle ricerca da cui si rende possibile uno sguardo sul
mondo, al riparo dalla natura condizionata degli idola umani.

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I cultori della rigidezza dottrinaria: con accenti non immuni da retorica → uso strumentale del patrimonio culturale del passato → il
Breme invece contestava ai settori più retrivi dell’intellettualità contemporane la mancata assimilazione delle istanze critico-
metodologiche della nuova cultura europea. → i riferimenti: Bacone e Leibniz come fondatori della scienza e della filosofia
moderna più richiamo ai cultori delle metodologie induttivo-sperimentali (Galilei, Newton, Locke, Condillac).
Situazione culturale d’Oltralpe → gusto per l’erudizione senza sostanza (Borsieri, Avventure letterarie)
Tono incalzante e interrogativo: crescente preoccupazione dell’autore.
Sul suolo italico: ‘forestieri’ risultavano i teorici europei del rinnovamento critico-estetico (Blair, Batteux, La Harpe) e il
decentramento toccava anche i pensatori più arditi e innovativi del settecento fra cui Genovesi che non era stato ancora ritenuto
degno di una edizione completa delle opere a fronte delle quaranta dedicate a Metastasio; sbiadita considerazione anche nei cfr di
Vico che porta elementi evolutivi nel campo letterario e scientifico.
Breme → gli Italiani ‘dispensatori di gloria’ avevano riservato un trattamento poco lusinghiero ai vertici espressivi della nostra
tradizione letteraria: Dante mandato in esilio, Petrarca mal considerato dai contemporanei, Ariosto respinto ai margini della corte,
Tasso ridotto alla disperazione, Galileo e Machiavelli sposesi alle carrucole … → contata l’effettiva in poeticità del mondo dei colti
poco propensi a valorizzare l’autonomia e la tensione realizzatrice del soggetto e inclini a premiare le espressioni disimpegnate
→ elenco di responsabilità: Metastasio, grammatici ed eruditi come Quadrio, Crescimbeni, Minturno, Corticelli, Muratori … →
l’unica eccezione è Gravina che rimane una stella fissa per i romantici per la sua concezione speculativa e non precettistica della
poesia → esempio di metodo e intelligenza critica da riproporre nel presente: Breme gli attribuisce uno stile efficace e
insegnante, Borsieri ne parla come l’unico profondo critico del Parnaso.
Breme: inizio della catabasi vero la disidentificazione e l’anonimato poetico viene fatto coincidere con la massiccia e diffusa
presenza sul territorio nazionale degli astiosi e incomodi bizantini, dei dotti di lingua greca che avevano trovato una cordiale
accoglienza nelle sedi umanistiche italiane.
Attività meritoria dei fuorusciti di Bisanzio → del tutto misconosciuta dal Breme → il bagaglio culturale di questi incomodi maestri
appare come un segno di debolezza teorica e u pericolo per lo sviluppo della nostra civiltà letterari → i nomi incriminati: Cardinal
Bessarione, Giorgio Gemisto Pletone, Manuele Crisolora, Trapezunzio → Breme contesta il carattere impositivo di tale esercizio
intellettuale, la pretesa di accreditare norme e criteri coercitivi. (quegli spuri Greci ci hanno recato Omero, Anacreonte, Senofonte,
Aristotele, ogni età seguente imparò ad emularli) → questa è la parte più considerevole dell’esposizione dibremiana, densa di
ragioni e ricognizioni da trasmettere al vasto pubblico.
Dura requisitoria nei cfr dell’influsso greco in Italia = sconferma dei fondamenti dell’estetica classica; dalla tesi di Breme nasce il
riuso scorretto delle opere dei classici ridotte a meri regesti di ecempla e una deviata interpretazione dell’idea di Mimesis. → il
criterio mimetico proposto dalla poetica classica: limita le capacità espressive del soggetto segnandoli dei percorsi mentali e creativi
obbligati → la natura, secondo i postulati epistemici della neue Physik condivisa dal gruppo di Coppet risultava animata da una
intrinseca vitalità e aveva le prerogative di un organismo vivente dove spirito e materia agivano in perfetta simbiosi → è una
interpretazione dinamica dell’universo, risultato della Naturphilosophie e del panteismo mistico tedesco: la natura aveva il suo
codice di significatività → l’unica forma di mimesis concessa all’artista era quella di assumere come modello la stessa energia
creatrice della natura → da qui proviene la perorazione accesa e imperativa del Breme: che anche tu sei la natura, e sei per di più il
suo interprete → il passo è abbastanza noto perché esprime la concezione dibremiana del bello e sarà ripreso nel Grand
Commentaire e nelle Osservazioni sul Giaurro: andare oltre il limite definito dal mondo fisico facendo leva sulla potenza riflessiva
della propria interiorità. → siamo di fronte al disarticolarsi dell’ideale della mimesis fondato su una coerenza di tipo tradizionale,
l’individuo non è un recettore di uno spettacolo esterno ma esalta la forza noetica e propulsiva dell’immaginazione. → alcuni
concetti di matrice panteistico-spinoziana venivano trasformati in altrettante categorie spiritualistiche (paradigma dell’Uno-Tutto e
la nozione di Indifferenz tra soggetto e oggetto proposta dal primo Schelling) → queste tesi segnano una discontinuità rispetto alla
cultura filosofico-estetica del passato, di qui l’intransigenza e la radicalità del suo atteggiamento critico. → il momento fondativo
della nostra civiltà culturale: la ragione filologica degli umanisti che aveva rappresentato la forza aggregante di realtà culturale
distanti e disomogenee: spazio di libertà di almeno due secoli nella scena europea → Di Breme però aveva fatto del’esercizio
della riflessione e dell’anticonformismo una bandiera per demolire la consuetudine e il pregiudizio (a Grassi dirà che negli animi
simmetrici come il suo non potrà che suscitare scandalo!)

8. Giovita Scalvini e l’inquieta distanza dal magistero foscoliano

Rapporto tra Foscolo e Scalvini: conferma illuminante della tensione di criticità e di philìa che instaurarsi fra maestro e docente.
→ nella Londra dei primi decenni del secolo entrambi condividono l’esperienza dell’esilio; ecco che passeggiando fra i viali di
Regent’s Park Foscolo esprime un’opinione sul vincolo affettivo che lega un uomo a una donna (in tre modi si tengono le donne: con
l’amore, col denaro e con il terrore. Lui tiene la sua con il terrore, essendo brutto e vecchio)
La replica di Scalvini è immediata, non capisce che cuore possa essere quello di un uomo che sa di essere odiato in segreto e le
carezze che riceve partono dalla paura; Foscolo scalfito dalle parole del giovane amico persiste nella sua posizione e dice che la

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donna ama chi teme, pertanto cerca nel sesso maschile la forza pur vivendo di dolori e di rovine; Foscolo parte da un’esperienza
radicale di disseccamento delle aspettative e dei sentimenti in una stagione della propria vita avara di gioie e di gratificazioni e
immodificabile per via della povertà e della vecchiezza → Scalvini invece ama l’interiorità che non si corrompe, la sua è una
tensione etica sofferta e inalterabile e guarda al sentimento amoroso come massimo appagamento spirituale che non tollera
coercizioni, pena = derisione e tradimento; sono atteggiamenti e posizioni difficilmente assimilabili.
Atteggiamento critico di Scalvini: già ai tempi della partecipazione alla Biblioteca italiana Scavini sente la necessità di esprimere un
dissenso nei cfr della materia narrativa dell’Ortis → in una recensione all’edizione zurighese del romanzo con argomenti moralistici
criticava il modello plutarchiano-alessandrino di eroe votato alla rinunzia impersonato dalla figura di Jacopo → Incipit perentorio
dell’articolo: pone il problema dell’esemplarità didattica e della missione edificante che l’autore riconosce al genere romanzo; la
struttura epistolare dell’Ortis fa emergere la carica negativa e il destino di improduttività di quelle opere che non si inquadrano in
una prospettiva di utilizzabilità sociale.
Scalvini: la rinascita etico-estetica della nuova cultura → non passa per una pedagogia dell’inazione o del pessimismo animoso e
della solitudine monumentale: afferma la priorità del dovere sulla passione, della socialità sull’individualismo → basi per un
ripensamento della stessa idea di arte e di critica → la scrittura critico-estetica scalviniana: frutto di una meditazione serrata,
intensa, severa e riceve linfa e sostegno dal continuo incontro-confronto con la cultura europea della Restaurazione.
Il periodo dell’esilio (dal ’22 ritorna in patria nel ’39): attivo e accolto nei centri più vivaci dell’elaborazione del sapere filosofico e
letterario d’Oltralpe: Svizzera (1° tappa con Arrivabene e Ugoni), poi Parigi, soggiorna a lungo a Londra per quattro anni e
successivamente di nuovo a Parigi per poi spostarsi in Belgio, nel castello di Gaesbeeck come ospite degli Arconati, farà poi
incursioni in città della Germania → è un’esperienza di studio e di cultura assai vasta, ebbe modo di intrattenere contatti con
Sismondi, Fauriel, Guizot, Cousin, Schelling, Berchet e Borsieri.
Il soggiorno parigino: si avvicina a quella temperie spirituale che animava il movimento di reazione anti-sensista e anti-materialista
dei primi decenni del secolo. → Orientamento filosofico che rivendica una netta opposizione fra l’idea e la sua manifestazione nel
mondo = ossatura teorica portante del suo disegno di critica e di concezione della bellezza.
La nozione di temporalità e di storia → manifestazione progressiva dell’infinito; processo teleologicamente garantito → le posizioni
filosofiche cousiniane implicavano un confronto con le tematiche del divino (scritto Del vero, del bello e de bene → è una filosofia
che insegna la spiritualità dell’anima, la libertà e la responsabilità delle azioni umane, la dignità della giustizia … è l’alleata naturale
di tutte le buona cause, sostiene il sentimento religioso e asseconda la grande letteratura. → è un pensiero di forte suggestione che
aveva punti di tangenza con altre espressioni del tradizionalismo spiritualistico (Madame de Stael, Royer-Collard, Maine de Biran)
→ è una metodologia della ricomposizione delle coppie libertà-necessità → fruizione dell’istanza analitica e relazionale della raison
settecentesca.
Affezione vs valori localizzati nello spirito umano e partecipi della mente divina → mitologia della volontà, facoltà costruttiva
dell’equilibrio interiore e della sicurezza della vita civile e del progresso delle nazioni → il principio della conoscenza: unica
misura dell’agire umano e pone le condizioni per una convivenza civile del tutto rinnovata fondata sul principio del juste milieu
come correttivo della difformità degli eccessi rivoluzionari come della stasi politica e civile.
E’ un orientamento filosofico che influenzò anche Mazzini: il nuovo ordine politico doveva configurarsi come creazione coscienziale
e soggettiva.
Scalvini in occasione della giovane italia di Mazzini disse che sarebbe stato disponibile a offrire il proprio quattrinella ai bisogni
immensi della patria → progetto di rigenerazione etica della nazione con i termini di una tensione sacrificale ed utopica.
Pertanto il nuovo credo-politico scalviniano costituisce l’orizzonte di riferimento su cui si misura la distanza dall’antico maestro. →
la distanza: massimo impegno di chiarezza e coerenza argomentativa, si confronta con alcune asserzioni presenti nel testo Discorso
sul testo della Divina Commedia: in esso il Foscolo degli anni inglesi affidava non poco della sua fama e credibilità di interprete e
critico → lo scritto su Dante: intento di restituirci la memoria storica di un’intera epoca ma non mancava di incursioni con la vicenda
sociale e culturale del suo tempo → negli esordi: scarsa utilità di un esercizio critico improntato alla mera erudizione o alla ritualità
del già detto, riserva poi gli strali più pungenti al tipo di mentalità filosofica operante nel presente → idea di tempo storico come
spettacolo di compimento e progressività → permanenza sostanziale di salvezza → quest’ultima poteva essere deleteria se creava
aspettative di palingenesi della nazione e di riscatto dallo stato di subalternità allo straniero. → le considerazioni del Foscolo: vera
lezione di realismo, chiara è la disillusione per la fenomenologia politica e letteraria dell’età napoleonica e della successiva
restaurazione austriaca → lucida analisi del ritardo italiano rispetto al contesto europeo più acuta consapevolezza dell’intreccio
precario fra opinioni e forza dei governi, cioè la prova del carattere di necessità dell’accadere storico → Scalvini invece voleva
isolare e confutare quell’argomentazione Foscoliana in cui è contestato il carattere di equilibrato sviluppo del tempo storico; il suo
discorso prende avvio dalla preventiva distinzione tra fatti sottoposti al dominio della natura ed eventi prodotti e controllati dalla
mente umana, per quanto condizionati dall’incoerenza del sensibile → quando il fatto esula dall’ambito naturale (può creare
condizioni di morte di fronte alle quali l’umana ragione ammutisce) ed è costruzione dell’uomo, il so sviluppo è regolato da una
ultraterrena facoltà combinatoria che organizza e mette in rapporto le dissimmetrie → entra in un orine di riflessioni lontane
distanti dal presupposto immanentistico e materialistico del pensiero di Foscolo → forma di superiore concettualizzazione che
Foscolo confinava nelle derise questioni metafisiche → esigenza di un percorso teorico divergente rispetto a quello di Foscolo e il

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rovesciamento del dualismo libertà-necessità.


Confutazione del discorso Foscoliano: potenziamento della dialettica bene-male e alla riconsiderazione di un equilibrio fra durata e
discontinuità → teoria del secolo: potere decisamente risolutivo e trasfigurante fino a renderla una metafisica influente, siamo
distanti dalle formulazioni espresse dagli altri ingegni europei quali Coppet, Stael, Sismondi o Constant → secondo questi ultimi il
concetto di progresso si nutriva di linfa settecentesca e di interpretazioni contrastate e dialettiche tra cui quelle di Rousseau e
Diderot.
Scalvini, dinamica della libertà: ne cattura l’orizzonte emancipativo e la carica liberatrice; estranea concezione del tempo come
contenuto di esperienza e misura dell’esperienza stessa → Scalvini risulta essere distante anche dal discorso roussoviano secondo
cui gli avanzamenti del genere umano comportano un tasso di perdita in misura equivalente a quanto si è conquistato.
Così come per Breme, Borsieri, Berchet (il Conciliatore) il concetto di perfettibilità perde la sua morfologia originaria, sempre più
aspetto e funzioni di un progresso destinato vicino al ruolo della provvidenza.
Azione coordinata allo spazio politico e sociale ma funzionalizzata al paradigma religioso e teleologico → il mito della
perfettibilità agisce come rassicurante teleologia nei cfr delle teorie che fermavano l’individuo sulla soglia dell’inazione e della
passività. → questo pensiero era funzionale di una letteratura impegnata e coinvolta nella dinamica di avanzamento morale e
civile della nazione → lungo abbozzo di storia letteraria italiana che rifluisce nel saggio incompiuto Del poesia e del Faust di
Goethe (educare le nuove nazioni al bello).
Ulteriore fattore di lontananza fra i due autori: diversa maniera in cui affrontano il tema del giudizio estetico e quindi dalle opposte
vie prospettate per raggiungere un opportuno ed equilibrato criterio di valutazione di bellezza → Foscolo evidenzia una diffidenza
nei cfr di operazioni ragionative o sistematiche, nel campo della politica e della morale e del giudizio estetico → esigenza di evitare
pronunciamenti astratti (metafisiche sottigliezze) di carattere dogmatico (accademismo scolastico di retori e pedanti) in materia di
critica letteraria a favore di una dimensione psicologico-sentimentale del giudizio.
Esercizio critico del Foscolo: dialogo dinamico e incessante con le singole opere d’arte, con gli autori, con la loro identità storica ed
estetica → valorizza la disposizione soggettiva passionale e immediata del fruitore e mette in ombra l’attitudine asettica e censoria
del critico di professione: quest’ultimo si limita a emettere un verdetto sull’opera secondo leggi convenzionali → tale opera abbatte
il tradizionale steccato che separa poesia e critica, secondo Foscolo è indispensabile entrare in simbiosi con i percorsi mentali
dell’autore: nel primo articolo della Edinburgh Review afferma che il critico dee passare attraverso i ragionamenti e i giudizi che
hanno spinto il poeta a scrivere come ha scritto, un tale critico è però un poeta. → servono i principi generali o le poetiche
precettistiche; la figura de critico è prossima a quella del poeta e deve possedere attitudine analitica e immaginazione → esilio
londinese: Foscolo accentua i toni polemici (insidie del Criticismo e il suo movimento romantico era in crisi.)
Conoscenza di un’opera d’arte: percorso realizzato su base estetico-sensibile e attraverso indagine di tipo genetico che esaltasse
vichianamente le metafore antropomorfe del linguaggio primitivo → Foscolo: polemico vs idea regolativa di arte implicita nelle
poetiche precettistiche e vs nozione di estetica come disciplina filosoficamente auto fondata → sono questi sistemi convenzionali di
poetica proposti dai classicisti o degli oracoli metafisici dei Romantici: Foscolo mette in discussione il falso rapporto che queste
costruzioni dogmatiche istituiscono fra il freddo legiferare-ragionare sull’opera d’arte e la grandezza-irripetibilità ad essa intrinseca.

Attività critica: livello di approccio interattivo con l’oggetto analizzato → rappresentazione artistica e momento dell’agnizione
entusiastica di chi giudica non sono separati in senso assoluto → posizione di Scavini: diversa. E’ assertore di una scienza del
bello vicina a una teoria filosofica dell’arte e dell’attività creatrice → necessità di istituire un fondamento intrinseco alla stessa
modalità di realizzazione della forma, ricerca e progetto di una nuova determinazione concettuale della nozione di critica.
Nella traduzione del Faust Scalvini mette in evidenza la forte preminenza riconosciuta all’attività formativa del genio che
comportava una valorizzazione dello stato di ispirazione e di grazia e oponeva il problema del superamento di quel tipo di
prescrittività basata sulle opere del passato → Scalvini propone distinzione fra dottrina del bello (principi fondativi della disciplina) e
critica del bello (atto valutativo delle produzione artistiche) → Scalvini: normativa specifica della scienza dell’arte possibile solo con
individuazione dei principi costitutivi che presiedono alla sua manifestazione sensibile → archetipo della nozione di bellezza: il tipo
esemplare di bellezza è nella mente stessa dell’individuo ed è possibile istituire un initium che garantisca dignità di scienza al
momento del giudizio.
Dimensione storica del giudizio: funzione di verifica nei cfr della particolare modalità o intensità attraverso cui le singole opere
d’arte si avvicinano agli apriori assoluti del bello.
I poli divisi e complementari della riflessione scalviniana sull’arte: spirito e materia, realtà e idea ricuciti in una stessa catena di
emanazione, diventano i poli divisi e complementari della riflessione scalviniana sull’arte → poesia: ha la sua dimora nel mondo,
il sovrasensibile compisce la realtà del mondo e innerva di sé anche la realtà dell’arte → quindi l’atto critico deve sdoppiarsi e
guardare da un’angolazione non univoca ciò che nella realtà appare organicamente coeso.
Tipo di dualità più volte ribadito in quella messe di pensieri e riflessioni che sono i Materiali Goethiani: Foscolo individuava nella
mancata interagenza del ragionare e del sentire la causa prima della scarsa capacità ricostruttiva del critico di professione. → da qui
il severo dissenso di Scalvini: per Foscolo la conoscibilità dell’opera d’arte era affidata al lettore che si muoveva nell’esperienza
originaria del poeta e rivive la tensione creativa e l’entusiasmo di quest’ultimo, ma secondo Scalvini ciò avrebbe favorito un

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dominio incondizionato delle facoltà intuitive di contro alla potenza esplicativa dell’interpretazione filosofica.
Nella proposta del Foscolo: invalidata l’intenzione programmatica scalviniana cioè l’uscita da parte del critico d’arte dal territorio
confuso delle impressioni soggettive, delle analogie sentimentali con lo stato ideativo originario → in Scalvini quel sentire è
derivazione diretta del sentimento del bello e abilitata a conoscere quanto di quel valore ideale e originario la mente umana è
riuscita a catturare e a riprodurre. → i due studiosi non trovano un punto di accordo, dal momento che Foscolo mantiene forti
legami con l’orientamento speculativo settecentesco (Marmontel, Andrè, Locke) in cui si confrontano prospettive filosofiche,
istanze del sentimento e questioni antropologiche; Scalvini si apre alle teorie emergenti del nuovo secolo mostrando una capacità
selettiva e non dottrinaria.
Elementi comuni: deciso rifiuto del principio di imitazione e dello spirito di codificazione dei classicisti, Foscolo prende infatti le
distanze dal concetto di mimesis appellandosi al naturalismo primitivi stico dei grandi poeti, evocando l’esemplarità dei loro primi
passi nell’immaginazione e nella conoscenza.
Scalvini faceva valere ragioni filosofiche per respingere il tema imitativo, la sua improponibilità ha una duplice motivazione nel
presente: deriva della consapevolezza che il moderno è connaturato al suo orizzonte storico e non tollera la determinatezza e la
ritualità di immagini consacrate dalla tradizione, e poi dalla dimensione speculativa e razionale della nuova scienza critica
(descrivibilità → classico precettiamo e operatività indagativa e conoscitiva → investigazione del vero)
Scalvini difende le prerogative della nuova scienza del bello: carattere di insostituibilità nel processo di illimpidimento della
conoscenza fino a rendere accettabile una considerazione estrema: la consunzione o la scomparsa dell’arte (concezione molto
simile a Hegel) → Scalvini di fronte a ciò: diversa forma di attuazione dell’arte. La sua fine vien fatta coincidere con la ricerca di
una dimensione più vitale disposta a modellarsi secondo il tracciato discontinuo e complesso della contemporaneità →
inclinazione di quel paradigma ermeneutico (proprio di Foscolo) secondo cui l’eccessiva ricerca di sistematicità e di teoria
costituiva un impedimento alle condizioni di crescita e di intelligibilità della creazione artistica → Scalvini asserisce che in età
scadute di fede la ragione diventava il luogo di elezione del poetico → esplicita richiesta di filosoficità anche per il momento
della creazione = questi gli elementi scalviniani di una coscienza estetica moderna e del carattere speculativo che doveva
garantirla.
Ma l’atteggiamento di rigore e di fedeltà all’originale con cui egli affrontava il problema traduttorio è senz’altro un lascito della
lezione di Foscolo che per tutta la vita si dedicò alla traduzione del poema omerico.
Nel lontano 1810 Scalvini intuì la grandezza del lavoro foscoliano e ne intuì anche la grandezza del risultato, come affermerò
nella lettera all’Ugoni del 15 dicembre del 1810. → Scalvini affronta la traduzione del Faust con la stessa intensità e passione del
maestro rendendo operante il monito e l’auspicio della Stael; Niccolò Tommaseo si accorse ben presto del carattere tormentato
e umano di questa lunga amicizia.

Scaricato da Maria Montovoli (margherita.scarab97@libero.it)

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