Sei sulla pagina 1di 34

Psicologia dello sviluppo

Luigia Camaioni, Paola Di Blasio

Capitolo 1: lo studio dello sviluppo


Quando si parla di “sviluppo psicologico” ci riferiamo ai cambiamenti che si verificano nel comportamento e
nelle capacità dell’individuo col procedere dell’età. I cambiamenti più drammatici si verificano nell’infanzia,
nella fanciullezza e nell’adolescenza. Questi periodi di età risultano i più studiati dagli psicologi dello
sviluppo rispetto alle ricerche dedicate all’adulto.

1. Natura e cause dello sviluppo


Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? Alcuni considerano il cambiamento di
natura quantitativa per cui vedono lo sviluppo come accrescimento o graduale accumulo di cambiamenti
nel tempo. Fra le teorie che scelgono l’opzione quantitativa troviamo il comportamentismo che considera il
bambino interamente plasmato dalle esperienze e dall’apprendimento. Altri invece considerano il
cambiamento di natura qualitativa per cui lo sviluppo implica la comparsa di nuove capacità o la
trasformazione di capacità già presenti. Scelgono l’opzione qualitativa le teorie cosiddette organismiche
secondo cui il bambino è attivo costruttore delle proprie capacità e lo sviluppo è dovuto a influenze interne
piuttosto che fattori ambientali esterni.

Quali processi causano questo cambiamento? Le teorie comportamentiste ritengono che le influenze
ambientali modellino il comportamento così da determinare la natura delle abilità che si sviluppano. Altre
teorie ritengono che il bambino si sviluppi in un determinato modo a causa della programmazione genetica.
Le teorie organismiche hanno una posizione intermedia su questo punto, ritengono cioè che lo sviluppo
risulti dall’interazione tra un organismo dotato di competenze e particolari condizioni ambientali.

Si tratta di un cambiamento continuo e graduale o viceversa discontinuo e improvviso? Caratterizzare lo


sviluppo come un processo continuo e graduale va d’accordo con l’idea dei cambiamenti quantitativi,
mentre si tende a vedere lo sviluppo come discontinuo quando lo si fa consistere in cambiamenti di
natura qualitativa.

2. I principali approcci teorici allo studio dello sviluppo


Possiamo individuare tre approcci che affondano le loro radici nella tradizione filosofica classica.
L’approccio si caratterizza per alcuni assunti di base, la delimitazione del proprio oggetto di indagine e la
scelta dei metodi più adeguati per studiarlo.
Approccio comportamentistico: l’individuo è un organismo docile e plasmabile, caratterizzato da una
capacità illimitata di apprendere. Il cambiamento evolutivo non proviene dall’interno dell’individuo ma è
l’ambiente a imporlo dall’esterno. L’organismo tende a ripetere i comportamenti che hanno avuto
conseguenze soddisfacenti ed a eliminare quelli che non le hanno avute.
Come metodo di indagine questo approccio predilige la sperimentazione e l’osservazione con il massimo di
controllo. L’esperimento in laboratorio rappresenta il metodo ottimale.
In questo approccio esiste una psicologia dell’apprendimento ma non una psicologia dello sviluppo.
Gli studiosi che si ispirano a questo approccio ne condividono gli assunti di base ma si collocano in due
correnti diverse:
 Comportamentismo radicale: lo sviluppo non è altro che una lunga sequenza di apprendimento. I
bambini si sviluppano allo stesso modo perché si trovano a vivere esperienze di apprendimento simili.
 Teoria dell’apprendimento sociale: Bandura sostiene che l’apprendimento può derivare anche
dall’osservazione; l’apprendimento per osservazione spiega numerosi comportamenti che i bambini
imparano osservando le altre persone. Questo apprendimento non è automatico.
Approccio organismico: considera l’individuo come un organismo attivo, spontaneo e teso a realizzare le
proprie potenzialità. Il bambino costruisce gradualmente la propria comprensione sia di sé che degli altri,
sia del mondo esterno attraverso un continuo interscambio con l’ambiente.

1
La strategia di ricerca adottata è evolutiva e induttiva. Si confrontano bambini di età diverse per individuare
i cambiamenti evolutivi e si parte da un ampia gamma di comportamenti per formulare ipotesi sulla natura
delle capacità cognitive sottostanti.
Approccio psicoanalitico: considera l’individuo come un organismo simbolico, capace di attribuire
significati a se stesso e al mondo. Il cambiamento che caratterizza lo sviluppo è essenzialmente qualitativo
e procede secondo stadi ben distinti.

2.1. Prospettive teoriche sullo sviluppo cognitivo


Gli psicologi dello sviluppo hanno descritto e spiegato lo sviluppo cognitivo individuando tre prospettive
fondamentali
Maturazionismo: meccanismo fondamentale che regola la comparsa delle nuove abilità con il procedere
dell’età. Il programma genetico è considerato così potente da influenzare sia gli schemi generali di sviluppo
comuni a tutti i bambini, sia le tendenze individuali proprie di ciascun bambino. Secondo Gesell (più
importante sostenitore del maturazionismo) lo sviluppo dovuto alla maturazione si verifica
indipendentemente dalla pratica e dall’esercizio. Questi schemi di maturazione possono venire alterati da
condizioni ambientali estreme come la denutrizione o il verificarsi di incidenti. Gesell vuole dimostrare che
l’esperienza gioca un ruolo marginale, accelerando o ritardando la comparsa di abilità che si sarebbero
comunque manifestate ad una certa età sulla base di un programma genetico.
Comportamentismo: l’individuo è plasmato dall’ambiente; lo sviluppo viene ridotto al più semplice
processo dell’apprendimento. I meccanismi dell’apprendimento operano allo stesso modo nell’intero ciclo
vitale. Il comportamento complesso non è che un insieme di comportamenti semplici o elementari. Un
meccanismo esplicativo generale va preferito ad un meccanismo che spiega una gamma ristretta di
fenomeni.
Costruttivismo: si afferma negli anni 60’ grazie alla diffusione e influenza della teoria di Piaget; sostiene
che il pensiero infantile è qualitativamente diverso dal pensiero dell’adulto. I bambini costruiscono le proprie
credenze e conoscenza che spesso cono discrepanti rispetto alle nostre e anche bizzarre. Il bambino
costruisce gradualmente la propria comprensione della realtà attraverso un interscambio bidirezionale con
l’ambiente.
Il costruttivismo trascura il contesto sociale in cui si svolge l’attività cognitiva dell’individuo.

3. L’ecologia dello sviluppo


Fino agli anni ’70 gli psicologi tendevano a considerare il contesto in cui il bambino si sviluppa in modo
ristretto. Il contesto si limitava ad esempio al rapporto madre- bambino in famiglia oppure all’interazione tra
compagni di gioco nella scuola materna.
In seguito si è affermata la tendenza ad allargare la nozione di contesto e si è riconosciuta l’importanza di
considerare lo sviluppo come un processo calato nel contesto. Bronfenbrenner fu il fondatore dell’approccio
ecologico allo sviluppo e individua all’interno dell’ambiente ecologico una serie ordinata di strutture incluse
l’una nell’altra.
Primo livello microsistema: situazione ambientale in cui è inserito l’individuo che si sviluppa, ad esempio
la relazione col genitore nella famiglia, relazione con l’insegnante o con i coetanei nella scuola.
Secondo livello mesositema: richiede di andare al di là delle singole situazioni ambientali per
considerare le relazioni tra di esse ad esempio l’abilità di un bambino nell’imparare a leggere e scrivere
all’inizio della scuola elementare può dipendere non solo da come gli viene insegnato ma anche dai legami
esistenti tra scuola e famiglia.
Terzo livello ecosistema: condizioni di vita e di lavoro della famiglia, della scuola e del gruppo di
coetanei. Ciò significa che lo sviluppo di un individuo viene influenzato da eventi che si verificano in
situazioni ambientali in cui egli non è neppure presente, ad esempio il tipo di attività lavorativa dei genitori.
È influenzato a sua volta dal macrosistema ovvero dalle politiche sociali e servizi che caratterizzano una
data comunità socioculturale.

2
4. Le differenze individuali nello sviluppo
Alcune teorie classiche (come quelle formulate da Piaget e Freud) si presentano come tipiche concezioni
stadiali dello sviluppo cognitivo e affettivo rispettivamente. La validità di queste teorie è stata fortemente
dibattuta nel corso degli ultimi decenni.
È andato al tempo stesso crescendo l’interesse degli psicologi dello sviluppo per l’analisi delle differenze
individuali. Le differenze individuali possono essere adeguatamente spiegate soltanto se si considera la
complessa interazione fra fattori maturativi e ruolo dell’ambiente, dell’apprendimento e istruzione.
In quali aspetti dello sviluppo si manifestano le differenze individuali?
Alcuni psicologi hanno analizzato le differenze nel temperamento, altri studiosi hanno analizzato le
differenze nello sviluppo del linguaggio.
Per quanto riguarda il temperamento definito come lo stile di comportamento di un individuo quando
interagisce con l’ambiente, un’importante ricerca americana ha studiato 138 individui dalla nascita fino ai
10 anni (ricerca condotta da Chess e Thomas). Ciascun individuo nasce provvisto di caratteristiche
temperamentali che persistono dall’infanzia fino all’età adulta. Considerare le differenze individuali nel
temperamento è importante perché l’ambiente e gli adulti risponderanno in modo diverso a bambini calmi e
vivaci rispettivamente.
Un altro aspetto in cui si manifestano forti differenze individuali è quello della popolarità di cui godono o
meno ragazzi e adolescenti nell’interazione con i coetanei.
Nel caso del linguaggio sappiamo che i bambini sono molto diversi nel ritmo di acquisizione della lingua
materna. La precocità di alcuni bambini e la lentezza di altri è la norma.

5. Metodi di indagine in psicologia dello sviluppo


5.1. Come descrivere i cambiamenti in funzione dell’età

Quando vogliamo studiare i cambiamenti legati all’età in una capacità o funzione psicologica ricorriamo a
due disegni di ricerca per raccogliere informazioni su individui in diversi momenti del loro sviluppo:
 Disegni di ricerca longitudinali: lo stesso gruppo di individui viene osservato e valutato per un
periodo più o meno lungo di tempo (di solito alcuni anni). Presenta evidenti vantaggi in quanto consente
di seguire lo sviluppo individuale nel tempo e di rispondere a domande circa la stabilità del
comportamento indagato. Ha anche degli svantaggi: si tratta di un metodo molto costoso in termini di
energie e investimenti, inoltre vi è il rischio di perdere soggetti nel corso della ricerca sia per cause
accidentali sia per abbandono volontario.
Per quanto riguarda la durata possiamo distinguere studi longitudinali a breve (valuta i soggetti in
almeno due punti di età) e a lungo termine (studio con durata minima di tre anni e almeno tre
osservazioni)
 Disegni di ricerca trasversali: si occupa di gruppi di individui di età diversa che vengono confrontati
nello stesso momento temporale. Consente di identificare le differenze tra le età ma non di studiare i
cambiamenti individuali in funzione del tempo. È poco costoso, veloce nell’esecuzione e facile da
replicare. Lo svantaggio principale è che questo tipo di ricerca non ci dice nulla sullo sviluppo all’interno
degli individui in quanto il comportamento viene osservato in un unico momento temporale.
Questi studi sono più numerosi di quelli longitudinali e sono indubbiamente utili quando si vuole operare
in breve tempo.
5.2. Metodi di ricerca
 Esperimento: metodo di ricerca in cui il ricercatore interviene attivamente, non si limita ad osservare
un fenomeno presente nell’ambiente naturale ma lo modifica o addirittura lo produce intenzionalmente.
Si caratterizza per la manipolazione e il controllo delle variabili e per l’assegnazione casuale dei
soggetti ai gruppi sperimentali e di controllo. Viene spesso condotto in laboratorio ma può essere
realizzato anche nell’ambiente naturale. I suoi limiti o svantaggi sono dovuti al fatto che i soggetti
osservati in condizioni controllate e artificiali potrebbero comportarsi in modo diverso dalla realtà.
 Osservazione: implica selezionare un fenomeno degno di interesse e raccogliere informazioni su di
esso nel modo più completo e accurato. Il comportamento va osservato quando si verifica
spontaneamente. Può essere condotta in diversi modi che variano per tipo di ambienti in cui si osserva

3
e per il grado di intervento sull’ambiente e sul comportamento osservato. L’ambiente può essere
naturale o artificiale ovvero il laboratorio. Vengono distinti due forme di osservazione:
Naturalistica: in cui il ricercatore sceglie di esercitare un minimo grado di controllo sul proprio oggetto di
studio
Controllata: il ricercatore sceglie di esercitare un grado medio o massimo di controllo sulle condizioni in
cui osserva e fornisce stimoli per evocare il comportamento che intende studiare.
L’uso dell’osservazione implica tra fasi:
1. Selezione del fenomeno da osservare
2. Registrazione del fenomeno individuato
3. Codifica dei dati registrati
In tutte queste fasi sono individuabili delle fonti di errore che è necessario conoscere e controllare
1° errore: i soggetti osservati possono reagire alla presenza dell’osservatore e comportarsi in modo
innaturale. Questa loro reattività può essere controllata sia abituandoli alla presenza dell’osservatore
sia adottando tecniche non invasive mascherando la presenza dell’osservatore dietro uno specchio.
2° errore: riguarda gli osservatori, il cui comportamento può variare in funzione delle condizioni
psicofisiche e della capacità personali.
3° errore: riguarda i ricercatori che possono influenzare l’osservazione sia formulando aspettative e
facendo commenti valutativi, sia adottando schemi di codifica eccessivamente complessi e difficili da
applicare.
 Interviste e questionari: possono essere utilizzati sia per interrogare i bambini sulle proprie idee,
esperienze e motivazioni, sia per interrogare gli adulti sul comportamento, capacità e personalità dei
bambini. Quando si interrogano i bambini è necessario accertarsi che essi posseggano una buona
capacità di comprensione e produzione del linguaggio (non si utilizza questa tecnica con bambini di età
inferiore ai 3 anni). Lo psicologo deve tener presente che i bambini e adolescenti possono rifiutarsi di
essere intervistati oppure resistere a comunicare i propri sentimenti, atteggiamenti e opinioni. Bisogna
assicurarsi che i soggetti intervistati posseggano un livello cognitivo adeguato alla effettiva
comprensione delle domande posta dall’intervistatore.
Quando si somministrano interviste e questionari agli adulti vi è il rischio che essi esprimano giudizio o
valutazioni soggettive cercano di conformarsi alle aspettative dell’intervistatore o al desiderio di apparire
come adulti competenti. Nell’intervista e nel questionario le domande possono richiedere una semplice
risposta “si o no” o “ vero o falso” oppure richiedere una risposta estesa e articolata.
5.3. Quale metodo scegliere?
Tutti i metodi descritti presentano punti di forza e di debolezza, vantaggi e svantaggi. Il metodo prescelto
dipende sia dal comportamento o fenomeno che si vuole indagare, sia dagli obiettivi che si pone la ricerca.

Capitolo 2: lo sviluppo fisico e motorio


1. Lo sviluppo prenatale
Durante la gravidanza si realizzano eventi che portano in un tempo relativamente breve all’organizzazione
di un individuo maturo e capace di sopravvivere nell’ambiente esterno. Oltre a sviluppare il patrimonio
genetico trasmessogli dai genitori, il feto è esposto a una serie di fattori ambientali a causa dello stretto
rapporto con l’organismo materno nella vita intrauterina. Attraverso il sangue materno passano non
soltanto il nutrimento e l’ossigeno ma anche una serie di agenti come sostanze chimiche, ormoni e virus
che possono lasciare tracce sullo sviluppo successivo. Un forte impulso a studiare le fasi dello sviluppo
prenatale e il modo in cui possono essere influenzate da ambienti di vario tipo scaturisce dalla volontà di
far nascere bambini il più possibile sani e diminuire il numero di aborti spontanei e parti prematuri. Dopo
che i processi di ovulazione, fertilizzazione e impianto dell’uovo hanno luogo, distinguiamo due fasi nello
sviluppo prenatale
1.1. Il periodo embrionale
Va dall’inizio della terza alla fine dell’ottava settimana di gestazione. Nel corso di questo periodo l’embrione
diventa feto ovvero un organismo con caratteristiche umane riconoscibili. Le cellule si differenziano dando
origine a diverse regioni corporee e a tessuti specializzati come quello muscolare e nervoso. All’inizio della
quarta settimana si sviluppano le cellule del sangue, inizia la formazione del sistema nervoso e del cuore e

4
comincia a battere. A partire dalla quinta settimana sono riconoscibili il cervello e il midollo spinale, gli
occhi, le orecchie e il naso e si stanno formando i reni e i polmoni.
1.2. Il periodo fetale
Comincia con la nona settimana e si conclude al termine della gestazione. La testa del feto cambia in
proporzione. Fino al quarto mese la madre può avvertire i movimenti del feto il quale apre e chiude la
bocca, compie alcuni movimenti con la testa e succhia il pollice. Anche se completamente formato sarebbe
incapace di sopravvivere se la connessione con la placenta venisse interrotta. Il quarto mese rappresenta il
periodo di crescita più veloce.
Dopo i cinque mesi la pelle è completamente sviluppata, compaiono anche i primi capelli e le unghie.
Negli ultimi mesi si completano l’accrescimento e la maturazione funzionale degli organi. Il feto sembra
meno attivo che nei mesi precedenti poiché crescendo ha a disposizione uno spazio minore all’interno
dell’utero.
2. La nascita e il neonato
Il bambino viene al mondo con le competenze necessarie per sopravvivere all’ambiente extrauterino. Il
neonato si trova ad affrontare una serie di compiti nuovi: deve respirare ossigeno attraverso i polmoni
anziché tramite il cordone ombelicale, nutrirsi attraverso la bocca anziché del sangue materno e
termoregolare il proprio corpo. Mancando quasi completamente di tessuti adiposi il neonato è svantaggiato
nel mantenere costante la temperatura corporea. Nel corso della gravidanza il feto si prepara anche a
rispondere allo stress della nascita, in particolare al rischio di ipossia, producendo livelli elevati di ormoni
dello stress che gli consentono un importante protezione dalle situazioni sfavorevoli.
3. La crescita prima e dopo la nascita
Con il termine “crescita” ci riferiamo a due tipi di fenomeni: l’uno è rappresentato dalla crescita vera e
propria, legata alla moltiplicazione cellulare che determina l’aumento di volume dell’organismo. L’altro
consiste nel processo di differenziazione e di sviluppo delle diverse funzioni corporee e psichiche, in senso
sia funzionale che biochimico. La crescita è un processo continuo che tuttavia presenta ritmi e velocità
diversi nelle diverse epoche dello sviluppo. Un’altra caratteristica della crescita è rappresentata dalla
asimmetria nel senso che i tessuti e gli organi non si sviluppano tutti nello stesso momento e con la stessa
velocità. Nella vita intrauterina l’incremento di statura e peso è maggiore che in qualsiasi altro periodo del
ciclo vitale. La velocità di crescita è massima nei primi sei mesi di gravidanza. La crescita rallenta a partire
dalla 35° settimana, probabilmente perché la placenta non è in grado di aumentare la quantità di sostanza
necessarie a soddisfare le esigenze del feto.
La crescita postnatale viene suddivisa nelle seguenti fasi:
 Periodo neonatale
 La prima infanzia
 La seconda infanzia
 La terza infanzia
 L’adolescenza.
Il neonato è lungo in media 50 cm e pesa 3.400kg. A un anno di vita il bambino ha aumentato del 50% la
propria lunghezza; nel corso del secondo anno la statura aumenta di circa 1 cm al mese mentre tende a
decrescere negli anni successivi.
Dal secondo anno e per tutta l’infanzia la crescita prosegue con un ritmo meno rapido, mentre nella
pubertà si verifica un nuovo consistente incremento.
I genitori devono rispettare e soddisfare le esigenze nutrizionali del bambino, in funzione delle sue
caratteristiche genetiche e individuali, anche per evitare carenze o eccessi alimentari.
4. Che cosa sa fare il neonato?
Se lo confrontiamo con il feto, il neonato appare come un organismo piuttosto autonomo sia dal punto di
vista della struttura anatomofisiologica che per quanto riguarda il repertorio comportamentale. Il neonato
presenta una postura con il capo ruotato e gli arti flessi a causa dello spazio ridotto in cui è stato costretto a
vivere nelle ultime settimane di gestazione. Egli presenta inoltre un repertorio di riflessi, considerati come
risposte motorie primitive e involontarie.
Già nelle prime fasi di sviluppo il sistema nervoso è capace di produrre spontaneamente movimenti ritmici
(come la suzione e la respirazione) o fasici. È capace di produrre spontaneamente movimenti autogenerati.

5
Il neonato è un organismo complesso e dotato di tutte le abilità necessarie per nutrirsi, respirare,
proteggersi da situazioni dannose e stabilire le prime relazioni sociali. Pochi secondi dopo la nascita la
respirazione è già efficace e ben coordinata con la suzione.
Oltre a produrre una serie di risposte motorie sotto forma di riflessi è in grado di estrarre informazioni
dall’ambiente che lo circonda tramite i suoi recettori sensoriali: vista, udito, odorato, gusto e tatto. Alla
nascita i suoi sistemi percettivi in gran parte funzionano e sono efficienti. Il numero di ricerche dedicate alla
vista è assai più ampio di quello relativo alle altre modalità sensoriali; sappiamo ancora poco sul gusto,
odore e sensibilità cutanea.
Heinz Prechtl distingue cinque diversi “stati di coscienza”: sonno profondo, sonno attivo, veglia tranquilla,
veglia attiva, pianto e irrequietezza. Questi stati si ripetono in modo ciclico durante la giornata.
Una delle implicazioni di questo ritmo ciclico è che per stabilire uno scambio sociale con il neonato, il
momento migliore è quando il bambino si trova in uno stato di veglia tranquilla.
5. Lo sviluppo motorio
Nella prima infanzia si verifica un rapido sviluppo delle capacità motorie. Nello spazio di alcuni mesi il
bambino passa da una quasi completa dipendenza dall’adulto ad una relativa autonomia: egli è capace di
manipolare oggetti, muoversi nell’ambiente ed esplorarlo. In seguito alla maturazione del sistema nervoso
comportamenti inizialmente controllati dai centri sottocorticali passano sotto il controllo di strutture corticali
più evolute. Lo sviluppo viene visto come una sequenza universalmente invariabile di tappe e si invoca il
ruolo dell’esperienza soltanto per spiegare le differenze individuali nell’età di comparsa delle nuove abilità.
Nel corso dei primi due anni di vita il bambino conquista le principali abilità motorie; analizzando questa
conquista più in dettaglio possiamo individuare due linee di sviluppo:
 Prima: tendenza del bambino a raggiungere una sempre maggiore mobilità, essa gli permette di
ampliare il proprio raggio di azione, esplorare un ambiente più vasto, vedere cose nuove e raggiungere
qualsiasi oggetto attragga la sua attenzione.
 Seconda: tendenza a conquistare una posizione eretta in modo da avere le mani libere per fare cose
interessanti.
5.1. Postura e deambulazione
Tappe attraverso cui il bambino acquisisce la posizione eretta
1. Sostenimento della testa; nei primi giorni di vita è ciondolante. Nel primo mese quando è coricato sul
ventre il bambino solleva il mento; nel secondo mese solleva la testa e le spalle; al terzo mese si
appoggia sugli avambracci.
2. Conquista della posizione seduta
3. Posizione eretta; inizia ad acquisirla mentre ancora perfeziona la posizione seduta.
I primi passi sono ancora incerti ed esitanti: il piede viene sollevato più in alto del necessario, il corpo è
piegato in avanti, le braccia sono tenute lontano dal corpo per bilanciarlo. Tuttavia egli affronta questo
compito con entusiasmo (nonostante le varie cadute) e trae grande soddisfazione dai successi che ottiene
5.2. Manipolazione
Nel corso del primo anno e mezzo di vita si sviluppa la manipolazione. Nello sviluppo di questa capacità si
individuano alcune fasi che riguardano sia il movimento del braccio verso l’oggetto sia il gesto della
prensione vera e propria. Distinguiamo tre tipi di avvicinamento che corrispondono alla progressiva
utilizzazione delle tre articolazioni: spalla, gomito e polso.
1. Primo avvicinamento: interviene soltanto l’articolazione della spalla mentre la mano rimane fissa
rispetto all’avambraccio
2. Secondo avvicinamento: l’articolazione del gomito consente lo spostamento dell’avambraccio e della
mano avanti e indietro
3. Terzo avvicinamento: le tre articolazioni intervengono ben coordinate tra di loro consentendo alla mano
di arrivare all’oggetto.
La percezione visiva svolge un ruolo fondamentale di guida all’azione della mano; nel neonato il semplice
vedere l’oggetto determina l’avvicinamento del braccio ad esso.
L’abilità di utilizzare l’informazione direzione per guidare la prensione dell’oggetto diventa sempre più
precisa nei mesi successivi insieme alla capacità di controllare la postura e l’orientamento del corpo. Alla

6
fine del primo anno di vita il bambino è così abile da programmare la direzione del movimento anticipando
la futura posizione di un oggetto che si muove davanti a lui così da poterlo prendere al volo.
Dopo che ha imparato non soltanto ad afferrare ma anche a trattenere l’oggetto nelle mani per guardarlo e
manipolarlo il bambino deve imparare a lasciarlo andare.
Soprattutto nel primo semestre di vita, durante il quale il bambino è ancora incapace di muoversi in modo
autonomo, la prensione e la manipolazione rappresentano la principale modalità per entrare attivamente in
contatto con l’ambiente circostante.
5.3. Differenze individuali nello sviluppo motorio
Le tappe di sviluppo indicano una progressione che in realtà non è così lineare ne identica in tutti i bambini.
Ogni bambino ha il proprio ritmo di sviluppo e impara le diverse abilità scegliendo i tempi e i modi che
meglio si adattano al suo stile di movimento e agli obiettivi che di volta in volta si pone. Ci sono
appuntamenti importanti da rispettare e alcune abitudini motorie suscitano preoccupazioni o dubbi nei
genitori e educatori. In questi casi fornire una corretta informazione ai familiari e agli educatori li aiuterà a
capire le difficoltà del bambino e ad aiutarlo nei modi più adeguati.
6. Lo sviluppo sessuale
Al momento della fecondazione si stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione. All’ottava settimana di
gestazione diventano riconoscibili i testicoli e alla nona settimana si differenziano nel testicolo le cellule che
producono il testosterone, l’ormone responsabile della formazione dei genitali maschili. La gonade
femminile non richiede uno stimolo ormonale specifico per differenziarsi; è sufficiente che non venga
prodotto testosterone.
L’individuo raggiunge la completa maturazione degli organi deputati alla riproduzione grazie a complessi
cambiamenti ormonali. Tali cambiamenti riguardano i caratteri sessuali sia primari che secondari. L’ordine
con cui si succedono gli eventi della pubertà di norma è lo stesso in tutti gli individui mentre varia l’età in cui
questi eventi si realizzano.
7. Lo sviluppo del sistema nervoso
Nel corso della gestazione la crescita del sistema nervoso è molto rapida ed è maggiore rispetto a quella di
altri tessuti. Lo sviluppo del sistema nervoso è un processo continuo, all’interno del quale alcuni eventi si
collocano cronologicamente nella vita prenatale e altri nella vita postnatale. Alla nascita è già presente la
maggior parte dei neuroni, anche se le connessioni tra i neuroni sono ancora imperfette. Un altro processo
importante è la mielinizzazione che inizia durante la gestazione continua fino all'età adulta, con tempi
diversi a seconda delle diverse parti del cervello. La mielina è una sostanza che avvolge come una guaina
le fibre nervose svolge la funzione di aumentare la velocità di trasmissione dell'impulso nervoso.

Capitolo 3: lo sviluppo percettivo


1. Percezione e sensazione
Gli organi di senso forniscono informazioni essenziali sulla realtà che ci circonda e permettono di
percepire i sapori, gli odori, i suoni, gli oggetti e le persone dell'ambiente. Il modo in cui percepiamo non è
una semplice registrazione passiva frammentaria di stimoli, ma un'organizzazione dinamica e significativa
dei dati delle realtà risultato di mediazioni e di attività svolte dall'organismo. La percezione consente di
analizzare, selezionare, coordinare, in una parola, organizzare in modo coerente e significativo i dati.
Quando parliamo di sensazione ci riferiamo all'effetto soggettivo immediato provocato dagli stimoli sui
diversi apparati dell'organismo deputati recepire gli stimoli olfattivi, gustativi, uditivi visivi ecc..
Intendiamo cioè un processo attraverso cui le informazioni dell'ambiente vengono recepite dai recettori
sensoriali e trasmesse al cervello. La percezione è un processo attivo e dinamico di elaborazione degli
stimoli sensoriali che procede attraverso l'analisi, la selezione, il coordinamento e la elaborazione delle
informazioni. Solo dalle ripetute esperienze con l'ambiente e dall'apprendimento che ne consegue
inizierebbe a svilupparsi la percezione vera e propria interpretata come un processo progressivamente
sempre più affinato di organizzare in modo significativo i dati forniti dalla sensazione. La capacità di
percepire sarebbe il prodotto di un lungo apprendimento.
2. Sviluppo delle competenze percettive nel neonato e nel primo anno di vita
Grazie alle tecniche di indagine più raffinate, le ricerche psicologiche sulle competenze percettive e
cognitive precoci si sono arricchite di nuovi dati che hanno contribuito a modificare l'immagine del neonato.

7
Da mero recettore di stimoli a soggetto attivo nella elaborazione delle informazioni e già dotato di capacità
che hanno bisogno delle interazione con l'ambiente per potersi interamente di spiegare ed evolvere.
2.1. Percezione gustativa e olfattiva
Le sensazioni gustative e olfattive rivestono una certa importanza non solo ai fini della nutrizione ma per
il ruolo di mediazione nella relazione con l'adulto che si prende cura del bambino. Le ricerche che hanno
esaminato la sensibilità gustativa hanno chiarito che fin dalle prime ore i neonati sono in grado di
manifestare configurazioni facciali ben differenziate ai sapori piacevoli o sgradevoli. I piccoli percepiscono
la diversità tra varie concentrazioni di zucchero inoltre le soluzioni salate tendono ad abolire il riflesso di
suzione mentre quelle dolci lo provocano.
La sensibilità olfattiva appare ben sviluppata alla nascita grazie alla maturazione del sistema olfattivo già
nella fase fetale. Il neonato reagisce in modo differenziale a diversi tipi di odore fin dal primo giorno di
vita, come l'ammoniaca l'anice o l'acido acetico.
L'odore del latte materno stimola un’attività motoria generale e movimenti di orientamento della testa
necessari guidare il piccolo verso il capezzolo. Il bambino ha una netta preferenza per l'odore familiare del
latte materno.
2.2. Percezione uditiva
Nel neonato la conformazione anatomica dell’organo recettore non presenta sostanziali differenze rispetto
a quello dell'adulto.
Percezione uditiva precoce: i neonati sono reattive ai suoni dopo la nascita e orientano la direzione degli
occhi della testa verso i suoni ritmici. Molti studi hanno dimostrato la capacità dei piccoli di discriminare
suoni umani da altri tipi di suoni sia la propensione a preferire la voce materna.
Nella prima settimana di vita i piccoli mostrano una maggiore rispondenza ai suoni simili al linguaggio
umano piuttosto che a suoni puri riuscendo ad isolare gli stimoli <<umani>> da quelli <<non umani>>
segno che l'apparato uditivo alla nascita è predisposto a recepire la voce, e in particolare, la voce materna
come un segnale preferenziale.
Preferenza per la voce materna: I neonati sono in grado, entro i primi tre giorni di vita, non solo a
riconoscere la voce della madre ma anche di preferirla a quella non nota e lo dimostrano attraverso
un'intensa attività di suzione.
I suoni possono raggiungere il feto provocando risposte motorie modificazioni del ritmo cardiaco a partire
dalla ventesima settimana di gestazione. Già nei primi tre giorni dopo la nascita i neonati preferiscono
ascoltare una storia nota che avevamo sentito leggere durante le sei settimane precedenti il parto rispetto
ad una storia mai ascoltata, oppure prediligono una melodia ascoltata durante la gravidanza rispetto ad
una mai sentita. Analoga preferenza non emerge in relazione la voce paterna che non viene riconosciuta
dopo la nascita e non viene preferita quella di un altro adulto di sesso maschile.
Il feto è sensibile alla voce materna trasmessa attraverso gli organi interni, ma non è in grado di distinguere
la voce della madre da quella di un'estranea quando entrambe giungano ai suoi organi di senso solo
attraverso canali esterni.
Caratteristiche fenologiche della lingua: I bambini non solo sono in grado di discriminare i fonemi nella
propria lingua ma mostrano analoga abilità anche nei confronti di tutte le altre lingue.
2.3. Percezione visiva
Il neonato non può certo vedere il mondo come lo vede un adulto a causa di alcune limitazioni che derivano
da una incompleta maturazione del sistema visivo e del sistema nervoso. La imperfezione del sistema
visivo dipende dal fatto che la macula lutea posta nella retina è ancora immatura e impedisce la visione
centrale. Già intorno al primo mese comincia a manifestarsi una migliore visione centrale che apparirà
adeguata intorno ai 4 mesi.
I movimenti oculari consentono l'ispezione visiva dell'ambiente e sono governati dalla zona motoria
corticale che alla nascita appare sufficientemente sviluppata.
Il riflesso pupillare osservato anche nei prematuri rivela che il neonato è sensibile alle diverse intensità
degli stimoli visivi. Il neonato inizia a mettere a fuoco poche ore dopo la nascita seppure in forma
rudimentale.
La labilità attentiva del neonato gli impedisce di prestare una prolungata attenzione agli oggetti e alle
persone che pure compaiono me lo spazio visivo a lui prossimo. Un neonato potrà seguire con lo sguardo
per alcuni istanti un punto luminoso che si muove lentamente entro il suo campo visivo e potrà reagire a
questa stimolazione con altre risposte di tipo respiratorio o circolatorio, ma non riuscirà a mantenere tale
attività che per un tempo breve.
Entro i tre mesi si verifica un miglioramento straordinario dovuto allo sviluppo della visione binoculare
nella quale si definisce la capacità di mettere a fuoco gli oggetti con entrambi gli occhi.
Percezione cromatica: Il mondo che i neonati percepiscono non è in bianco e nero ma già dotato di
sfumature cromatiche. I piccoli preferiscono i colori più saturi come il rosso e il blu e sanno distinguerli

8
indipendentemente dalla loro brillantezza. A 4 mesi la loro percezione cromatica somiglia per molti versi a
quella degli adulti.
2.4. L’attenzione focalizzata
Le capacità visive del piccolo nelle prime settimane vengono esercitate nella osservazione e nella
esplorazione visiva degli stimoli che attirano la sua attenzione e che si trovano nello spazio lui contiguo.
Dopo pochi giorni dalla nascita gli oggetti dalle dimensioni piuttosto grandi, e preferibilmente in movimento,
provocano risposte oculari di inseguimento che indicano una attenzione selettiva e un'esplorazione
tutt'altro che casuale.
La capacità di seguire gli oggetti con lo sguardo si sviluppa precocemente ma è irregolare e intermittente
dato che il piccolo perde visivamente un oggetto che si muove anche lentamente accanto al viso. Nei mesi
dopo la nascita la capacità di seguire l'oggetto in movimento migliora soprattutto in relazione a oggetti
grandi, veloci e ad alto contrasto.
I piccoli sono attratti dalla novità dello stimolo e dalla sua complessità e quando si trovano di fronte a
elementi complessi impiegano più tempo per osservarlo ed esplorarlo rispetto ad uno stimolo già noto o
semplice.
Attenzione obbligatoria: con questa espressione ci si riferisce al fatto che nei primi mesi i bambini
sembrano così attratti da uno stimolo da non riuscire a distogliere lo sguardo. Le ricerche hanno
sottolineato come uno dei meccanismi dell'attenzione obbligatoria consista nella difficoltà a distogliere
lo sguardo. Dopo questo lungo periodo di fissazione il bambino mostra segni di stress, irritabilità e spesso
reazioni di pianto che pongono fine all'attenzione obbligatoria.
Le ipotesi adottate per spiegare questo fenomeno sottolineano che a causa di un incompleta maturazione
neuronale i piccoli sono obbligati a fissare qualcosa.
2.5. La preferenza per il volto
La preferenza precoce per il volto umano favorisce le relazioni tra gli esseri umani e in particolare
legame di attaccamento. Fino a due mesi di vita l'attenzione del piccolo viene attratta dai volti non per il
fatto che questi vengano differenziati l'uno dall'altro né tantomeno riconosciuti, ma perché possiedono una
serie di caratteristiche a cui l'apparato percettivo infantile è predisposto.
La percezione del volto: Il neonato accorda un’attenzione preferenziale alla struttura schematica del
volto umano. Il riconoscimento del volto si sviluppa rapidamente nel primo mese di vita e in certe
condizioni molto prima, vale a dire alcune ore dopo la nascita. Gli studi classici sostengono che il motivo
di attrazione per il volto è la presenza di caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono e che
attraggono l'attenzione quali: la nitidezza dei contorni, il movimento e probabilmente la simmetria e la
complessità. Il motivo di attrazione è determinato dai contorni mercanti e nitidi; i piccoli di un mese
muovono gli occhi soprattutto nella esplorazione delle zone di confine tra il collo e il mento e tra la fronte e i
capelli.
A due mesi la direzione dell'attenzione cambia e movimenti oculari si concentrano sulle parti interne del
viso come gli occhi e la bocca; ora la ricerca visiva si concentra su un numero più elevato di elementi
relativi sia i dettagli interni sia a quelli esterni.
I piccoli rispondono con un sorriso a rappresentazioni di sagome che raffigurano due occhi in modo ben
visibile così come mostrano interesse per la bocca serve in evidenziata e in movimento. Un altro aspetto
che sollecita l'interesse del piccolo, e contribuisce a permettergli di discriminare i volti, è il movimento. Il
volto umano è preferito anche quanto viene messo a confronto con stimoli più complessi e vari. I piccoli
sono attratti da volti regolari rispetto a configurazioni del volto irregolari.
Riconoscimento del volto: molti ricercatori hanno tentato di stabilire a quale età i bambini siano in
grado di riconoscere i volti familiari e in particolare quello della madre. Dopo due giorni dalla nascita i
bambini preferiscono guardare il viso della madre rispetto a quello di una donna estranea; gli studiosi si
sono domandati se i neonati non avessero utilizzato indizi olfattivi e si fossero così orientati verso la madre
perché ne riconoscevano l'odore ma non il volto. Sì sono anche domandati se le madri dei piccoli nel corso
della seduta non avessero involontariamente esibito mimiche atte a stimolare l'interazione producendo un
interesse per le espressioni del volto.
Studi ulteriori hanno confermato che il lattante, già a 4 giorni, guarda più a lungo il volto della madre
rispetto a quello di una persona non familiare.
Nei mesi successivi il contatto con persone diverse favorisce ulteriori apprendimenti e dai 3 ai 6 mesi i
bambini esibiscono una capacità sempre maggiore di discriminare tra volti diversi e di reagire in modo
differenziato quando li vedono. Con l'età cresce l'attenzione verso le persone sconosciute e, a partire
dai 3 mesi, il volto dell'estraneo comincia ad essere attentamente e stabilmente osservato. Intorno ai 3
mesi nei bambini si perfezione anche l'attenzione ai segnali emotivi: diventano abili nel discriminare un
volto sorridente da uno imbronciato e rivelano un alto livello di sensibilità alle diverse espressioni del volto.

9
La preferenza per volti attraenti, la cosiddetta sensibilità estetica, si evidenzia in età precoce ed è
testimoniata dalla capacità di rispondere in modo differenziato a stimoli costituiti da volti non familiari e
attraenti e non attraenti.
2.6. Coordinazioni intermodali
Gli psicologi hanno cercato di comprendere quando i bambini iniziano combinare le diverse informazioni.
Sono presenti due principali posizioni teoriche:
1. Piaget: l'integrazione tra i diversi sensi si costruisce con l'esperienza e non è possibile prima di un
anno poiché il bambino ha bisogno di toccare, ascoltare e vedere specifici e vari oggetti per un certo
lasso di tempo prima di poter collegare assieme le percezioni.
2. Gibson: il coordinamento intermodale delle percezioni inizia a costituirsi subito dopo la nascita poiché i
diversi sensi, sebbene abbiano funzioni diverse, agiscono insieme e sono ugualmente importanti
nell'acquisizione delle informazioni.
Le ricerche hanno confermato il punto di vista di Gibson.
2.7. Costanze percettive e percezione della profondità
La conoscenza dell'ambiente avviene grazie a informazioni che segnalano la dimensione, la forma, il
colore degli oggetti, le loro relazioni nello spazio e nei confronti di chi le guarda. Assumono una notevole
importanza le costanze della forma e della dimensione.
La costanza della forma consente di identificare la forma di un oggetto anche se questo cambia
orientamento e inclinazione. Appare precocemente Come dimostra la capacità del neonato di identificare
come forme identiche due sagome presentate da angolature diverse.
La costanza della dimensione consente di riconoscere la grandezza di un oggetto anche se questo si
allontana o si avvicina; è altrettanto importante perché permette al bambino di riconoscere che un oggetto
è sempre lo stesso anche se non sempre si trova alla stessa distanza da lui.
Bower in esame anche lo sviluppo della percezione della distanza e della profondità, abilità importanti
per permettere al bambino di muoversi nello spazio e per consentirgli di percepire la distanza tra sé e gli
oggetti che desidera raggiungere. Le procedure utilizzate per comprendere la percezione della profondità
utilizzano il cosiddetto “precipizio visivo” nella quale il bambino viene collocato su un piano rialzato coperto
da una coperta a scacchi bianchi e neri che viene prolungato con un vetro trasparente adatto a sopportare
il peso del bambino. A terra ad una distanza di circa un metro viene collocato perpendicolarmente un
tessuto identico così per creare l'effetto di un precipizio o baratro. se la madre si può né al di là del vetro e
chiama a sé il bambino; questi camminando a carponi sul piano rialzato giungono fino al punto in cui
comincia il vetro. Se si ferma mostrando timore e perplessità vuol dire che percepisce la profondità. Ai
bambini di età inferiore ai 2 mesi non è possibile replicare lo studio in quanto incapaci di muoversi;
Vengono valutate risposte dei bambini come la direzione dello sguardo oppure il battito cardiaco.
3. Lo sviluppo percettivo nell’infanzia e nella fanciullezza
La maturazione del sistema nervoso del bambino è particolarmente rapida nel primo anno di vita; negli
anni successivi prosegue ad un ritmo meno accelerato e la percezione si arricchisce di elementi provenienti
dalle nuove esperienze di deambulazione e di esplorazione dell'ambiente.
3.2. Il sincretismo percettivo infantile
Il termine sincretismo infantile si intende quel fenomeno per cui la percezione della struttura di insieme
ostacola l'individuazione delle singole parti e dunque il tutto resiste alla scomposizione la quale lo si
vorrebbe sottoporre. I bambini piccoli non riescono facilmente a svincolarsi percettivamente dalla struttura
di insieme in cui è inserito l'elemento da trovare. I bambini possono percepire i dettagli se questi sono
significativi ho vistosi.
Se mostriamo ad un bambino il modello isolato di una figura e poi gli chiediamo di trovarlo in un'immagine
più grande in cui il modello è mascherato, ci accorgiamo che fino a 5/6 anni i bambini hanno grandi
difficoltà a risolvere il compito poi che non sono in grado di contrastare le forze percettive e
dell'organizzazione.
3.3. La percezione visiva nella fanciullezza
Tra i 6 e gli 8 anni maturano processi di fondamentale importanza per ciò che riguarda la percezione anche
sul piano neurofisiologico. Si assiste al superamento del sincretismo infantile tra i 6 e i 9 anni, e in
concomitanza con l'affermarsi delle operazioni concrete emerge una migliore capacità di analisi e di
esplorazione e sistematica degli stimoli. Durante la fanciullezza la costanza della grandezza progredisce,
consentendo la percezione di oggetti che sono collocati a distanze sempre più ampie. Si raggiunge quella
che viene chiamata la “costanza perfetta” e secondo alcuni può anche determinarsi il fenomeno della

10
“super costanza” intesa come una tendenza compensatoria che induce a percepire un oggetto distante
come leggermente più grande di quanto in realtà non sia.

Capitolo 4: lo sviluppo cognitivo


In questo capitolo esamineremo le principali teorie dello sviluppo cognitivo a cominciare da quella elaborata
da Piaget per poi passare alle spiegazioni proposte da Bruner e Vygotskij.
1. Lo sviluppo mentale dall’infanzia all’adolescenza secondo Piaget
1.1. I concetti fondamentali della teoria
Piaget si era posto fin dall'inizio il problema di come gli organismi viventi si adattano al proprio ambiente.
Egli riconobbe una fondamentale continuità tra organizzazione biologica e intelligenza. L'intelligenza è un
caso particolare dell’adattamento biologico: mentre l'organismo si adatta costruendo forme nuove,
l'intelligenza costruisce nuove strutture mentali che servono a comprendere ea spiegare l'ambiente.
L'individuo è un attivo costruttore delle proprie conoscenze.
Propone una teoria organismica i cui assunti di base sono:
A) lo sviluppo è comprensibile all'interno della storia evolutiva della specie di cui l'organizzazione biologica
e psicologica dell'uomo costituisce l'apice.
B) l'organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l'ambiente
C) lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture che non sono innate ma si costruiscono grazie
all'attività dell'individuo.
1.2. Lo sviluppo come adattamento: assimilazione e accomodamento

L’intelligenza è assimilazione in quanto incorporano nei propri schemi i dati dell'esperienza ma è al tempo
stesso accomodamento poiché gli schemi attuali vengono modificati per adattarli ai nuovi dati. Se
l’assimilazione tende alla conservazione l'accomodamento tende alla novità. Queste due funzioni
complementari, che garantiscono un equilibrio tra continuità e cambiamento, determinano l'adattamento
dell'organismo all’ambiente. L’atto di intelligenza è la forma più alta di adattamento.

1.3. Gli stadi di sviluppo


Lo sviluppo cognitivo è un processo non solo continuo ma anche discontinuo in quanto col crescere
dell'età si verificano delle modificazioni strutturali così rilevanti da contrassegnare veri e propri stadi di
sviluppo. Il passaggio da uno stadio al successivo può essere graduale e può variare con l'età ma ogni
stadio è qualitativamente diverso dal precedente ed è interamente coerente, ovvero presenta forma e
regole proprie. Le acquisizioni di uno stadio non si perdono con il passaggio allo stadio successivo ma
vengono integrate in strutture più evolute. La sequenza e la medesima in tutti gli individui ciò che può
variare è la velocità con cui vengono raggiunti diversi stadi. Tra la nascita e l'adolescenza lo sviluppo
cognitivo passa attraverso 4 stadi principali:
Lo stadio senso motorio: dalla nascita ai 18 mesi: Questo stadio copre i primi due anni di vita nel corso
dei quali l'intelligenza consiste in schemi di azione pratici. Le analisi effettuate da Piaget sono state
condotte attraverso l'osservazione dei suoi tre figli nell'ambiente familiare; si tratta di un’osservazione sul
campo guidata da ipotesi in cui lo studioso spesso crea delle situazioni critiche per verificare la reazione
del bambino.
Lo stadio senso motorio si caratterizza per i seguenti aspetti:
- La risposta del bambino piccolo alla realtà è di tipo sensoriale e motorio
- Il bambino reagisce al presente immediato non fa progetti e non si propone scopi
- il bambino non ha una rappresentazione interna degli oggetti, non possiede immagini mentali né parole
che possono essere manipolate mentalmente.
L'intelligenza senso motoria si sviluppa attraverso sei sotto stadi:
1. Esercizio dei riflessi (0-1 mese): anche se i riflessi sono reazioni innate, il neonato li esercita e li
applica a situazioni sempre più numerose: succhia tutto ciò che gli capita e stringe tutto ciò che
tocca il palmo della sua mano. Si manifesta inoltre un iniziale capacità di discriminazione ad
esempio il neonato rifiuta qualsiasi sostituto del capezzolo quando ha fame in quanto è incapace di
nutrirlo. In questo sotto stadio il neonato è chiuso in uno stato di egocentrismo radicale e non ha
nessuna consapevolezza di sé stesso ne dell'esistenza di un mondo fuori di sé.
2. Le reazioni circolari primarie e i primi adattamenti acquisiti (1-4 mesi): L'attività' senso motoria
si trasforma in funzione dell'esperienza. Piaget chiama questo bisogno reazione circolare primaria
perché le azioni sono tutte centrate sul corpo dell'infante. Altri schemi cominciano a coordinarsi tra
di loro: l'infante cerca di guardare ciò che ode, afferra un oggetto per guardarlo o per portarlo alla
bocca o guarda le proprie mani mentre le nuove.

11
3. Le reazioni circolari secondarie (4-8 mesi): La novità di questo stadio è l'interesse per la realtà
esterna: il bambino non si limita a riprodurre un risultato interessante scoperto per caso sul proprio
corpo ma cerca di conservare e ripetere un'azione che ha provocato casualmente uno spettacolo
interessante nell'ambiente. Una delle più importanti acquisizioni è la capacità di coordinare gli
schemi della visione e della prensione che consente al bambino di afferrare gli oggetti visti e di
portare davanti agli occhi gli oggetti afferrati.
4. Coordinazione degli schemi secondari e la loro applicazione alle situazioni nuove (8-12
mesi): quando vuole raggiungere uno scopo non immediatamente accessibile il bambino utilizza gli
schemi che già possiede ma li applica a una situazione nuova ( ad esempio quando degli ostacoli si
frappongono tra lui e il giocattolo da afferrare). La scoperta che esiste un mondo fuori di sé e il
conseguente interesse per la novità porta alla comparsa delle condotte esplorative in cui ogni
oggetto viene assimilato a tutti gli schemi di azioni disponibili allo scopo di conoscerlo .
5. Le reazioni circolari terziarie e la scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva
(12-18 mesi): vengono costruiti nuovi schemi e applicati a una varietà di situazioni. Questa
scoperta di schemi nuovi avviene per mezzo delle reazioni circolari terziarie: quando trova un
risultato interessante il bambino non lo ripete più semplicemente ma lo varia e lo modifica al fine di
studiarne la natura. Si tratta di vere e proprie esperienze per vedere caratterizzate dall'interesse per
la novità.
6. L’invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale (18-24 mesi):In una situazione
nuova il bambino non procede più per tentativi ho per prove ed errori ma per invenzione compiendo
un atto mentale. Le azioni sono ora interiorizzate e questa nuova capacità segna la comparsa della
rappresentazione; la rappresentazione porta con sé un'ulteriore conseguenza, nel momento in cui
attribuisce agli oggetti una permanenza reale ( indipendente dalla propria azione dalla percezione
diretta) il bambino percepisce anche il proprio corpo come un oggetto in mezzo agli altri,
rappresenta se stesso e immagina i propri spostamenti nello spazio come se li vedesse
dall'esterno.

Lo stadio preoperatorio: dai 2 ai 6 anni: Il grande cambiamento che si verifica alla fine del secondo anno
di vita è la conquista della rappresentazione: il bambino ora è in grado di usare simboli, immagini, parole
e azioni che rappresentano altre cose. Le principali manifestazioni dell'attività rappresentativa sono
l'imitazione differita, il gioco simbolico e il linguaggio.
Imitazione differita il bambino riproduci un modello qualche tempo dopo che l'ha percepito, questo vuol dire
che ha conservato una rappresentazione interna del modello.
Nel gioco simbolico il bambino tratta un oggetto come se fosse qualcosa di diverso; perché ci sia finzione
vera e propria il bambino deve applicare i suoi schemi di azione a oggetti inadeguati cioè diversi da quelli a
cui li applica abitualmente oppure deve attribuire a un oggetto qualità diverse da quelle effettive.
Quando adopera il linguaggio per riferirsi a oggetti persone o situazioni assenti il bambino mostra di saper
utilizzare schemi verbali per designare una realtà che si rappresenta mentalmente.
questi tre comportamenti hanno in comune il fatto che si riferiscono tutti alla realtà non percepita in quel
momento e la evocano. Il limite principale di questi I schemi mentali e di essere isolati di essere cioè
pensati uno alla volta. Questo limite influenza l'attività cognitiva e il modo di concepire la realtà generando
quello che Piaget chiama egocentrismo intellettuale: il bambino pensa in modo egocentrico in quanto
non riesci a immaginare che la realtà possa presentarsi ad altri diversamente di come la percepisce.
Tra i 4 ei 6 anni bambino riconosce che gli oggetti le persone conservano la propria identità nonostante
subiscono trasformazioni che ne possono modificare l'aspetto. In secondo luogo il bambino impara a
decentrarsi cioè non considerare più se stesso come unico punto di riferimento.
Lo stadio operatorio concreto (dai 7 ai 12 anni): Le azioni mentali isolate si coordinano tra loro e
diventano operazioni concrete. Le operazioni sono strutture mentali caratterizzate dalla reversibilità per cui
ad ogni operazione corrisponde un’operazione inversa. La reversibilità segna la genesi del pensiero logico
in quanto permette la coordinazione di diversi punti di vista tra loro.
Lo stadio operatorio formale (dai 12 anni in poi): il pensiero operatorio formale è di tipo ipotetico
deduttivo perché consente di compiere operazioni logiche su premesse puramente ipotetiche e di ricavarne
le conseguenze appropriate. Il pensiero operatorio formale opera su un piano puramente astratto e non ha
bisogno di supporti materiali. Il ragazzo in questa fase deve imparare ad estendere le sue capacità di
ragionamento alle situazioni che non ha conosciuto o vissuto in prima persona o che non è in grado di
osservare e manipolare direttamente. Deve cominciare a pensare in termini di eventi possibili e non
soltanto di fatti reali; ciò gli consentirà di passare all’ideale, ai mondi possibili, valori e futuro. Permettono

12
all’adolescente di risolvere una serie di problemi piuttosto complessi attraverso una ricerca sistematica e
metodica delle possibili soluzioni.

2. Critiche alla teoria di Piaget


1. Diversi studiosi hanno argomentato che il disegno di molti compiti piagetiani rende difficile fornire
risposte corrette. Riformulando la consegna o le domande poste al bambino durante il compito si
ottengono risposte migliori e in generale le capacità di ragionamento del bambino risultano più
avanzate rispetto a quelle valutate da Piaget.
2. Intenso dibattito riguardante l’esistenza o meno degli stadi.
3. Il bambino può trovarsi in una certa fase per quanto riguarda un dato compito e in un’altra per un
compito diverso.
4. Tutti riconoscono che lo sviluppo cognitivo procede secondo delle sequenze universali e che i bambini
acquistano i concetti fondamentali con lo stesso ordine. Piaget aveva torto nel riferirsi agli stadi come
strutture globali e coerenti.
5. Piaget sostiene che il bambino è un individuo isolato che costruisce le sue esperienze e conoscenze
della realtà senza essere influenzato dal contesto sociale e culturale in cui vive.
3. Lo sviluppo mentale come interiorizzazione di forme culturali: Lev Semenovic Vygotskij:
è stato uno studioso praticamente sconosciuto in occidente fino al 1962. È considerato il fondatore della
scuola storico culturale e svolse le sue ricerche nell’istituto di Psicologia di Mosca.
Ritiene che lo sviluppo storico culturale abbia prodotto l’evoluzione dell’umanità attraverso i mediatori
simbolici (lingua parlata, calcolo, disegno) che consentono agli individui di entrare in relazione tra loro
all’interno della stessa cultura e tra culture diverse. Nella prospettiva storico culturale lo sviluppo del
bambino dipende in ampia misura dal contesto storico e socioculturale in cui vive e da come viene messo
in grado di padroneggiare gli strumenti della propria cultura.
La zona di sviluppo prossimale definisce la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo
potenziale, consente di valutare la differenza tra ciò che il bambino è in grado di fare da solo e ciò che è in
grado di fare con l’aiuto e il supporto di un individuo più competente. Il bambino può risolvere grazie alla
guida di un esperto, problemi e compiti che non sa ancora risolvere da solo ma che diventeranno presto
parte delle sue abilità individuali.
L’adulto fornisce il supporto necessario affinché il bambino diventi capace di produrre abilità che è già in
grado di comprendere. Se il bambino dimostra di saper fare da solo quello che precedentemente era in
grado di fare soltanto con la guida dell’adulto, ciò prova che l’abilità interiore è stata interiorizzata.
Mentre secondo Piaget nelle prime fasi di sviluppo il pensiero e il linguaggio sono “egocentrici” ovvero non
adattati alla realtà e non comunicabili agli altri, Vygotskij formula un punto di vista diverso; il bambino è sin
dall’inizio un protagonista attivo nelle relazioni sociali e il primo uso del linguaggio è di tipo sociale e
comunicativo.
4. Lo sviluppo cognitivo nella teoria di Jerome Bruner
Bruner è uno psicologo statunitense influenzato dalla teoria storico culturale di Vygotskij. Bruner propone
che nel processo di acquisire il pensiero maturo il bambino passi attraverso tre forme di rappresentazione:
esecutiva, iconica e simbolica a seconda che si basi sulla azione, sull'immagine e sul linguaggio
rispettivamente.
Nella rappresentazione esecutiva, che caratterizza il primo anno di vita, la realtà viene codificata
attraverso l'azione.
La rappresentazione iconica codifica la realtà attraverso immagini. Queste immagini possono essere
visive, uditive, olfattive e tattili. L'immagine consente di evocare mentalmente una realtà assente ma non di
descriverla verbalmente.
La rappresentazione simbolica codifica la realtà attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici, come il
numero e la musica. Il linguaggio è arbitrario che consente di ragionare in termini astratti mentre l'immagine
conserva una stretta somiglianza con la realtà che rappresenta.
Grazie alla rappresentazione simbolica il bambino e l'adolescente sviluppano ma ho di più evoluti e raffinati
di trattare l'informazione, ma ho di che vanno al di là dell'informazione data; formulano aspettative e
inferenze, costruiscono ipotesi, concetti e conoscenze che manipolano e trasformano la realtà. La cultura
forma la mente degli individui essa è intrinseca al l'individuo e non qualcosa che si sovrappone alla natura
umana.

13
Fino al primo anno di vita colloca le relazioni sociali del bambino con gli adulti significativi alla radice
dello sviluppo mentale nella prima infanzia. Le credenze i valori della cultura vengono trasmessi attraverso
il linguaggio e in particolare attraverso la narrazione che è lo strumento privilegiato della trasmissione
culturale. I genitori usano i racconti e le narrazioni per introdurre i bambini e le bambine nella propria
cultura così da farli diventare membri a pieno titolo della stessa cultura quando arrivano a condividerne le
credenze e gli atteggiamenti.
5. Lo sviluppo cognitivo secondo l’approccio dell’elaborazione dell’informazione
Non è una vera e propria teoria dello sviluppo cognitivo ma piuttosto un approccio allo studio del
pensiero e della memoria con i relativi metodi di indagine. All'interno di questo approccio gli studiosi si
chiedono che cosa fa un bambino quando affronta un compito e quali processi intellettivi adopera e in che
modo questi processi cambiano in funzione dell'età. Nasce nel rivoluzione legata all’intelligenza artificiale e
adotta la metafora che vede la mente umana simile a un computer. La mente elabora manipola in vario
modo le informazioni che provengono dall'ambiente o che sono conservate in memoria ad esempio
codificandole, ricodificandole, combinandole, conservandole o recuperandole dalla memoria. Nello
spiegare lo sviluppo cognitivo questo approccio pone l'enfasi sulla prestazione piuttosto che sulla
competenza vede i cambiamenti nell' intelligenza come quantitativi e lo sviluppo come continuo. Questo
approccio pone l'enfasi su come si sviluppa l'intelligenza non su cosa si sviluppa. i processi di sviluppo
identificati dalla approccio dell'elaborazione dell'informazione riguardano sia le capacità di base di
elaborare, sia le strategie di elaborazione che diventano più complesse, sofisticate e potenti in funzione
dell'età.
6. Lo sviluppo della “teoria della mente”
Teoria della mente: teoria di come funzionano gli esseri umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati. gli
esseri umani si muovono autonomamente, hanno desideri, scopi, credenze pensieri. Il mondo
psicologico è ben diverso da quello caratteristico degli oggetti, che vengono mossi meccanicamente, non
desiderano e non provano emozioni. Il punto di partenza della teoria della mente sono le emozioni
fondamentali, gli stati fisiologici e la percezione e sensazione. Gli stati mentali chiave in questa teoria sono
i desideri e le credenze; essi causano sia alle azioni che le reazioni emotive e congruenti con i risultati di
tali azioni.
I bambini di 2 anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni sulla base dei desideri e
spiega le reazioni emotive congruentemente al fatto che i desideri siano stati o meno soddisfatti. Verso i 3
anni i bambini padroneggiano una più complessa psicologia della credenza- desiderio grazie alla quale
sono in grado di prevedere che le azioni di una persona saranno guidate non soltanto dei suoi desideri ma
anche dalle sue credenze e che quest'ultime possono essere vere o false. Un importante cambiamento
avviene con la comprensione della falsa credenza cioè comprendere che le azioni possono essere
determinate da credenze erronee.
Lo sviluppo della teoria della mente non si esaurisce ma prosegue raggiungendo me e te è ancora più
elevate con la comprensione delle false credenze di secondo ordine che permette di cogliere in modo
sottile forme di comunicazione più ambigue e complesse tra cui ad esempio quelle caratterizzate da ironia.
Il gioco simbolico e la teoria della mente hanno in comune la capacità di rappresentare una realtà diversa
da quella percepita; nel giocare a far finta un oggetto viene impiegato per rappresentarne uno diverso.
La teoria meta rappresentazionale dell’autismo si è rivelata una chiave esplicativa importante poiché ha
consentito sia di superare l'idea che l'autismo consiste in un disturbo della relazione affettiva precoce sia di
individuare alcune specifiche difficoltà nello sviluppo dei processi comunicativi non sovrapponibile il ritardo
intellettivo linguistico.

7. La valutazione dell’intelligenza
Le teorie dello sviluppo cognitivo non si occupano delle differenze nel potenziale intellettivo.
Come e perché sono nati i test d’intelligenza? Nascono tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento
e sono contemporanei ai progressi della scolarizzazione che caratterizzano le società occidentali avanzate.
La scolarizzazione porta dietro di sé problemi del disadattamento e dell’insuccesso scolastici in quanto si
rivolge anche agli individui culturalmente svantaggiati. I responsabili dell'Istruzione dei diversi paesi
ritennero necessario ricorrere a uno strumento diagnostico che consentisse di valutare le differenze
individuali nel funzionamento dell'intelligenza e individuare così ritardo mentale. Il risultato fu la scala
Binet la quale distingueva tra intelligenza normale e ritardo e differenziava tre gradi di ritardo mentale.
Questa scala può essere considerata il primo test di intelligenza in quanto da un lato valuta l'intelligenza
vista come una capacità unilaterale e stabile e dall'altro consiste in compiti di tipo prettamente mentale
piuttosto che di tipo fisico e sensoriale.
Sìa la scala Binet-Simon e le successive revisioni, sia gli altri test d’intelligenza sono destinati ai bambini di
età scolare e consentono di misurare il quoziente di intelligenza: esso è il rapporto tra l'età cronologica del
bambino e la sua età mentale. Questo sistema non è più usato. I test di intelligenza oggi maggiormente

14
utilizzati sono la versione aggiornata della Scala Binet che comprende 10 sotto scale divise in due gruppi; il
primo valuta soprattutto le capacità verbali e l'altro valuta le capacità percettive la logica non verbale
(adattamento).
Nel corso degli anni 80’ alcuni studiosi hanno cercato di superare i limiti dei test d’intelligenza e la
concezione stessa dell’intelligenza come una capacità globale. Gardner propone l’esistenza di otto tipi
distinti di intelligenza, due soltanto dei quali misurabili con i tradizionali test.
Sternberg propone una teoria triarchica secondo la quale esistono tre aspetti dell’intelligenza: intelligenza
componenziale (ciò che si misura con i test); intelligenza esperienziale (intuitiva e originale); intelligenza
contestuale (rende possibile un buon adattamento sociale e implica la capacità di comprendere e sfruttare
le situazioni a proprio vantaggio). Per lui i test d’intelligenza trascurano di valutare alcuni di questi aspetti
inoltre al di fuori del contesto scolastico l’intelligenza esperienziale e quella contestuale possono essere
necessarie al buon adattamento dell’individuo.
I test di intelligenza validi per l'età scolare non possono essere usati con bambini al di sotto dei 3 anni in
quanto si basano essenzialmente sul linguaggio, una capacità non ben padroneggiata dal bambino piccolo.
Come è possibile misurare l'intelligenza di un bambino dalla nascita ai tre anni? negli anni 30 studiosi
europei e americani si misero al lavoro per costruire un test con l'intento di valutare lo sviluppo mentale dal
primo mese di vita in poi; ci si aspettava che questi test avessero una validità predittiva ovvero che i
punteggi ottenuti da ciascun bambino dovessero prezzi predire il suo quoziente d'intelligenza da adulto.
Questa aspettativa fu smentita.
Negli anni 40’ furono ideati nuovi test di intelligenza infantile.
L'intelligenza non è un fattore unitario ma piuttosto è un insieme di capacità che cambiano
qualitativamente nel corso dello sviluppo; ad ogni fase evolutiva l'intelligenza consiste in un insieme di
capacità che sono relativamente specifiche di quella fase. I punteggi ottenuti a un test di intelligenza vanno
considerati come una misura delle capacità presenti piuttosto che come un indice delle capacità future. È
necessario tenere in conto l'influenza dell'ambiente e delle diverse esperienze sullo sviluppo intellettivo. Si
possono avere ritmi di sviluppo diversi dovuti alla disponibilità di determinate condizioni ambientali
oppure alla plasticità dell'individuo nell’ adattarsi a queste condizioni.
Nel facilitare o ritardare la comparsa di una capacità non è l'ambiente in quanto tale che influenza, bensì il
tipo particolare di stimolazione che il bambino riceva all'interno dell'ambiente in cui si sviluppa. La
disponibilità di scale ordinali per valutare l'intelligenza nei primi anni di vita ha contribuito a smentire la
nozione di intelligenza come capacità unitaria è stabile rivendicando il giusto ruolo all'ambiente e diversi tipi
di stimolazione.
Capitolo 5: lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione
1. Che cosa è il linguaggio?
Imparare a parlare significa acquisire in un tempo relativamente breve una capacità straordinariamente
complessa. Negli anni successivi il sistema linguistico si espande si specializza e si consolida fino all'inizio
dell'età scolare quando l'acquisizione della lingua scritta segna un altro progresso importante.
2. Le più importanti teorie sull’acquisizione del linguaggio
2.1. La spiegazione innatista
Negli anni 60 sulla base delle teorie esposte dal linguista statunitense Chomsky venne ipotizzata
l'esistenza di un dispositivo innato per l'acquisizione del linguaggio. Per lui il linguaggio è un insieme di
regole che il bambino deve scoprire a cominciare dalle più generali e semplici per arrivare alle più
specifiche e complesse. L'acquisizione del linguaggio è un processo attivo di scoperta di regole e di
verifica di ipotesi. L'apprendimento per imitazione e l'insegnamento da parte degli adulti hanno un qualche
ruolo nello sviluppo linguistico? Chomsky risponde negativamente a questa domanda in quanto il bambino
è creativo nell'usare il linguaggio e cioè capace di produrre capire espressioni nuove mai ascoltate in
precedenza. Il linguaggio infantile viene visto non più come una rozza imitazione del linguaggio adulto ma
come un processo attivo, creativo e guidato da regole; il bambino cioè possiede le regole prima di saperle
usare.
2.2. La spiegazione interazionista
All'inizio degli anni 70 comincia a entrare in crisi l'idea che il linguaggio si sviluppi indipendentemente da
altre capacità dell'individuo. Si ritiene che i bambini debbano sviluppare una sufficiente conoscenza del
mondo prima di cominciare a parlare e che tale conoscenza consentirà loro di esprimere verbalmente
concetti e relazioni. Contemporaneamente all'acquisizione del linguaggio intorno ai 18 mesi i bambini
esibiscono altre manifestazioni della nuova capacità simbolica come imitare azioni osservate, disegnare e
giocare a far finta.
2.3. Sviluppo del linguaggio e contesto sociale

15
Saper parlare significa usare il linguaggio in modo non solo grammaticalmente corretto ma anche
contestualmente appropriato. Si ipotizza che tra la comunicazione prelinguistica e la comparsa del
linguaggio vi sia una relazione di continuità piuttosto che discontinuità. Numerose ricerche documentano la
capacità del bambino di comunicare prima di saper parlare utilizzando gesti e vocalizzi.
Bruner sostiene che i bambini apprendono il linguaggio nel contesto famigliare degli scambi con chi li
accudisce e individua nei cosiddetti formati di “attenzione condivisa” e di “azione condivisa” le sequenze
sociali più significative per imparare a esprimere le proprie intenzioni e a comprendere quelle altrui. Si
tratta di formati di gioco o routine che madre-bambino producono ripetutamente nell'interazione quotidiana.
3. La fase prelinguistica
3.1. I primi suoni
I suoni che il neonato e il lattante producono sono di natura vegetativa e compaiono legati al pianto. Dal
punto di vista fonologico le vocalizzazioni non di pianto presentano l'evoluzione più interessante. Tra 2 e 6
mesi di età compaiono e si stabilizzano i suoni vocalici.
6-7 mesi: lallazione canonica. Il bambino produce sequenze consonante-vocale con le stesse
caratteristiche delle sillabe spesso ripetute due o più volte.
10-12 mesi: lallazione variata. La maggior parte dei bambini produce sequenze sillabiche complesse che
caratterizzano la lallazione variata. Sempre a questa età compaiono i primi suoni simili a parole o proto-
parole.
3.2. Gesti comunicativi
Negli ultimi mesi del primo anno di vita il bambino comincia a utilizzare gesti come indicare, mostrare,
offrire, dare e richieste ritualizzate. Questi gesti vengono definiti performativi o deittici. A differenza delle
azioni di tipo strumentale come l’afferrare, questi gesti sono inadeguati a raggiungere l’obiettivo in modo
diretto ma sono adeguati a comunicare tale obiettivo ad un’altra persona. I gesti deittici sono accompagnati
dallo sguardo al destinatario del gesto.
I gesti comunicativi hanno tre caratteristiche:
1) Sono usati con un’intenzione comunicativa
2) Sono convenzionali
3) Si riferiscono a un oggetto o evento esterno.
I gesti deittici vengono utilizzati sia per chiedere aiuto dell’adulto sia per attirarne l’attenzione e condividere
con lui l’interesse per un evento esterno.
A partire dagli 11-12 mesi fa la sua comparsa un nuovo tipo di gesti: referenziali o rappresentativi.
Esprimono un’intenzione comunicativa ma rappresentano anche un referente specifico, il loro significato
non varia sulla base del contesto. Questi gesti nascono spesso all’interno di routine sociali o di giochi con
l’adulto e vengono appresi per imitazione.
Nello stesso periodo in cui il bambino usa i gesti referenziali compaiono le prime parole le quali sono
inizialmente legate a situazioni specifiche.
Ad un anno di età la modalità prevalente è quella gestuale per cui i bambini usano gesti referenziali per
esprimere significati per i quali non possiedono ancora le parole. Nei mesi successivi la produzione vocale
aumenta e a 16 mesi il numero di gesti e di parole è lo stesso. Dopo quest’età l’uso di gesti referenziali
decresce mentre il numero di parole continua a crescere.
4. Le prime parole
L’età di comparsa delle prime parole varia considerevolmente ma in generale si colloca tra 11 e 13 mesi
d’età. I bambini tendono inizialmente a parlare delle stesse cose: le prime parole stanno a indicare persone
e oggetti, familiari oppure azioni che il bambino compie abitualmente. Tutte queste parole vengono usate in
contesti specifici e spesso ritualizzati, sono cioè legate alle situazioni e agli eventi che servono a
significare. È utile differenziare questo uso non- referenziale dalle parole da un uso referenziale che
compare più tardi ed è legato alla capacità del bambino di comprendere il carattere arbitrario della
relazione tra suono e significato.
4.1. L’esplosione del vocabolario
Nello sviluppo lessicale si distinguono due fasi durante il secondo anno di vita punto nella fase iniziale
l'ampiezza del vocabolario si attesta in media sulle 50 parole. La fase successiva si caratterizza per una
maggior rapidità nell'acquisire nuove parole e può assumere la forma di un esplosione del vocabolario. la
maggior parte degli studiosi ritiene che questa esplosione non sia una tappa universale in primo luogo
perché la presenza di questo fenomeno è stata accertata principalmente su bambini di lingua inglese e in
secondo luogo perché il fenomeno può verificarsi in tempi e fasi diverse da un bambino all’altro. La
comparsa di nuove parole facilita il passaggio dalla referenza, caratteristica della fase delle parole singole,

16
alla predicazione caratteristica della fase delle combinazioni di parole. Il “questionario sullo sviluppo
comunicativo e linguistico nel secondo anno di vita” e “il primo vocabolario del bambino” sono due
importanti strumenti che permettono di confrontare lo sviluppo linguistico e comunicativo di bambini di età
compresa fra 8 e 30 mesi in modo da individuare precocemente problematiche che possono avere pesanti
ripercussioni sullo sviluppo cognitivo e psico affettivo del bambino.
4.2. L’evoluzione del significato delle parole
Nel primo lessico infantile troviamo errori che segnalano chiaramente le difficoltà che il bambino incontra
nell'identificare a cosa si riferiscono i nomi nel loro uso standard. Si tratta di errori di sovra estensione, sotto
estensione e sovrapposizione. Secondo alcuni studiosi il bambino costruisce il significato delle parole sulla
base delle somiglianze percettive tra gli oggetti o eventi, mentre secondo altri studiosi vengono
categorizzate all'inizio le somiglianze funzionali cioè l'uso degli oggetti le loro proprietà dinamiche.
Di solito i bambini cominciano imparare nomi che si situano ad un livello base di generalità è soltanto in
seguito imparano nomi più specifici o non mi più generali e astratti. In parte ciò dipende dalle strategie che
gli adulti adottano nel nominare gli oggetti quando si rivolgono i bambini piccoli (ad esempio tendono a
chiamare e fiori sia le rose che i tulipani). Il sistema semantico che il bambino padroneggia quando
produce le prime parole non è ancora un sistema convenzionale; l'evoluzione del sistema semantico tende
verso la progressiva convenzionalizzazione nell'uso delle categorie concettuali dei nomi.
5. Lo sviluppo della grammatica
Nello sviluppo della grammatica si individuano due componenti: la morfologia (ci riferiamo
all'acquisizione di quei suffissi e prefissi che servono a formare il singolare e plurale oppure il maschile e
femminile) e la sintassi (ci riferiamo la capacità del bambino di costruire combinazioni di parole che
rispettino le regole della propria lingua materna). lo sviluppo della grammatica nelle sue componenti
morfologica e sintattica inizia precocemente alla fine del secondo anno di vita e prosegue nell'età
prescolare e scolare.
5.1. Dalle prime frasi al linguaggio completo
Di bambini in media producono le prime combinazioni di parole a 20 mesi di età. All'inizio degli anni 60
alcuni autori hanno cercato di individuare le regolarità nelle prime frasi dei bambini raggruppando in classi
le parole che compaiono nei medesimi contesti. Hanno in tal modo individuato due classi: la classe perno
(comprende un piccolo numero di parole che ricorrono frequentemente è sempre in posizione iniziale nella
frase) e la classe aperta (appartengono tutte le altre parole del vocabolario che sono più numerose).
Antinucci e Parisi hanno applicato un analisi semantica alla produzione linguistica nel secondo e terzo
anno di vita dei bambini e hanno individuato due stadi di sviluppo:
1. Struttura nucleare: i bambini producono espressioni di due o più parole costruite tutte allo stesso
modo.
2. Strutture facoltative: la struttura nucleare minima si amplia e vengono inclusi gli avverbi.
Nel terzo anno di vita i bambini cominciano a produrre espressioni complesse che contengono una frase
esplicita inserita nella frase principale.
5.2. Lo sviluppo morfosintattico
Tra 2-3 anni di età compaiono in rapida successione diversi meccanismi morfosintattici uno sviluppo
spesso caratterizzato come esplosione morfologica.
La morfosintassi della lingua italiana pone numerosi problemi in quanto l'italiano è una lingua flessiva che
si affida a un complesso sistema di accordo morfologico fra gli elementi della frase e in particolare l'accordo
soggetto verbo.
I bambini italiani utilizzano l'accordo soggetto verbo entro i 3 anni di età e acquisiscono anche buona parte
della morfologia verbale.
Per quanto riguarda la morfologia nominale le forme del genere e del numero relative i nomi sono
padroneggiate intorno ai 3 anni di età mentre il sistema degli articoli risulta ancora incompleto.
Considerando la morfologia pronominale vediamo che i bambini imparano entro i 3-4 anni ad utilizzare in
modo efficace i pronomi personali negli scambi dialogici.
Alcuni autori ritengono che tra i 4 e i 6 anni si verifichi una riorganizzazione del sistema linguistico con il
passaggio da una grammatica intra frasale a una grammatica interfrasale.
6. Le differenze individuali nello sviluppo del linguaggio
6.1. Differenze nel ritmo
I bambini imparano a parlare con un ritmo diverso e utilizzano strategie differenti. L’età di comparsa delle
prime parole, che in media si colloca tra 11 e 13 mesi, può in alcuni casi verificarsi più precocemente o
ritardare fino a 18 mesi. Differenze analoghe si riscontrano nell’età di comparsa delle prime frasi e nel ritmo
di sviluppo della grammatica. Le prime combinazioni di parole compaiono in media a 20 mesi.
6.2. Differenze nello stile

17
Vi sono numerose differenze negli stili individuali con cui i bambini imparano a parlare. Nelson ha
caratterizzato due stili di acquisizione in:
- Referenziale: i bambini referenziali avevano uno sviluppo lessicale più rapido. Questi bambini tendono ad
essere primogeniti e di sesso femminile. È più frequente trovare questo stile di acquisizione in bambini che
appartengono a famiglie di livello socio economico alto. Sono più interessati agli oggetti e all’importanza di
nominarli. Le madri tendono a fare commenti sugli oggetti e a nominarli.
- Espressivo: i bambini espressivi acquisivano le prime dieci frasi più rapidamente dell’altro gruppo, erano
più precoci nello sviluppo sintattico. Sono più interessati alle relazioni sociali e parlano per esprimere i
propri sentimenti e bisogni oppure per influenzare gli altri. Le madri di questi bambini preferiscono
coinvolgere i figli in giochi e routine in cui il ruolo degli oggetti è secondario rispetto al ruolo svolto
dall’interazione e dalla conversazione.
7. Gli usi del linguaggio
Per diventare parlanti e ascoltatori competenti i bambini devono imparare ad utilizzare la propria lingua a
seconda del contesto sociale. Questa competenza include due aspetti: capacità di conversare e la capacità
di tener conto del punto di vista dell’ascoltatore e dei suoi bisogni comunicativi.
7.1. Imparare a conversare
Il bambino è precocemente capace di conversare utilizzando l’intonazione appropriata e un limitato numero
di frasi fatte. Le madri aiutano i bambini a sviluppare questa capacità in quanto fin dall’inizio conversano
con loro e si adattano alle loro limitate capacità.
Già a 4 anni i bambini sanno adattare il proprio stile conversazionale in funzione dell’interlocutore a
seconda che si tratti di un adulto, coetaneo o un bambino più piccolo.
Nei bambini di 3 anni è ancora assente la capacità di conversare su temi lontani dall’attività in corso,
mentre bambini di 5 anni cominciano a dialogare facendo riferimento a eventi passato o a progetti futuri.
7.2. Imparare a comunicare efficacemente
Piaget osservava che fino a 7 anni il bambino è incapace di considerare il punto di vista dell’interlocutore e
sembra parlare per sé piuttosto che rivolgersi ad un ascoltatore. Per lui nella produzione verbale spontanea
di bambini tra i 2 e i 7 anni il linguaggio egocentrico è presente in percentuali assai alte. Negli anni 70’
numerose ricerche hanno messo in luce che bambini sono più consapevoli delle caratteristiche e dei
bisogni dell’interlocutore di quanto pensava Piaget.
Fino a 8 anni i bambini hanno prestazioni piuttosto scarse nei cosiddetti compiti di comunicazione
referenziale ovvero producono messaggi raramente informativi e per lo più ambigui.
8. La consapevolezza metalinguistica
Il bambino utilizza linguaggio anche in assenza di stimoli comunicativi sia perché si diverte giocare con i
suoni con le parole sia perché si esercita con quelle forme linguistiche che sta imparando. Fino a 5-6 anni i
bambini tendono a privilegiare ciò che si vuol dire rispetto a ciò che si dice effettivamente e pertanto
sottovalutano quello che chiamiamo il significato letterale della frase rispetto al suo significato intenzionale.
Il bambino piccolo ha difficoltà a comprendere correttamente il significato del verbo sapere così come di
altri verbi simili che si riferiscono a stati mentali. Questi verbi mentali appartengono al metalinguaggio.
8.1. L’apprendimento della lingua scritta
Ricerche più recenti hanno evidenziato come l'apprendimento della lettura sia più facile e veloce nei
bambini che possiedono un’alta consapevolezza metalinguistica, cioè sanno meglio quali parole o classi
grammaticali si collocano in punti specifici della frase. Quando arrivano a scuola i bambini non sono
ignorati circa il leggere e lo scrivere, ma hanno una storia precedente di apprendimenti che corrispondono
forme non convenzionali di scrittura e lettura. Quattro sono le fasi principali del processo di conoscenza
della scrittura in età prescolare:
1. Fase presillabica: il bambino non differenzia la scrittura dal disegno e il testo dalle immagini in quanto
ritiene che entrambi rappresentino un significato. Il bambino si aspetta che la scrittura conservi alcune
proprietà dell'oggetto (ad esempio la lunghezza della scrittura sarà proporzionale alla grandezza
dell'oggetto.)
2. Fase sillabica: il bambino impara che il segno scritto non esprimono oggetto ma una forma sonora.
3. Fase sillabico- alfabetica
4. Fase scrittura alfabetica: Il bambino deve affrontare e risolvere alcune difficoltà che derivano dal fatto
che, mentre la sillaba corrisponde ad un segmento acusticamente riconoscibile della parola, non è vero
per la lettera.

18
I bambini giunti alla scuola primaria sono già in grado di riconoscere alcune parole brevi e molto frequenti
che fanno parte del loro esperienze quotidiane. È probabile che cambiando i caratteri con cui sono scritte o
scrivendole in verticale piuttosto che in orizzontale il bambino non si è più in grado di riconoscerle. La
padronanza della lettura e della scrittura consente nuove possibilità di riflettere sulla lingua.
Capitolo 6: lo sviluppo sociale
1. L’ambito di studio
L’individuo è immerso nei rapporti sociali fin da subito ed è contatto con gli altri, con le regole di
comportamento perseguite dal suo gruppo di riferimento e con sistemi di norme che deve imparare a
conoscere. Qualunque aspetto della vita infantile può essere considerato in una prospettiva sociale: dalle
prime esperienze con gli adulti che offrono cure, dalle interazioni con i coetanei, con i fratelli, con le
persone che svolgono un ruolo educativo etc.…
Il termine sviluppo sociale ha preso il posto di socializzazione: questo cambiamento terminologico si è
imposto nel momento in cui è diventato evidente agli studiosi l'errore fino ad allora commesso ovvero
quello di aver a lungo considerato il bambino una tabula rasa da plasmare, guidare e controllare in funzione
delle esigenze sociali attraverso le pratiche educative. Il termine sviluppo sociale viene impiegato per
rendere chiaro che il neonato un essere sociale fin da subito che diventa sempre più consapevole e
competente grazie a processi di interazione.
Schaffer afferma che l'ambito di studio dello sviluppo sociale riguarda essenzialmente il modo in cui i
bambini interagiscono con gli altri vale a dire gli schemi di comportamento, i sentimenti, gli atteggiamenti e i
concetti manifestati dai bambini in relazione alle altre persone e al modo in cui questi diversi aspetti variano
durante la crescita.
2. Comprensione di sé e degli altri
Per diventare competente sul piano sociale il bambino deve sviluppare la capacità di comprendere che le
persone sono dotati di stati interni, emozioni, pensieri, intenzioni e scopi che orientano il comportamento e
le relazioni con gli altri e con il sistema di norme di valori sociali. Quando il bambino comincia a capire cosa
gli altri provano riesce anche a capire se stesso e utilizza contemporaneamente la conoscenza che ha di
sé per comprendere le emozioni e sentimenti degli altri. La comprensione sociale subisce un’importante
svolta nel momento in cui il bambino sviluppa la distinzione tra sé e gli altri.
2.1. La coscienza di sé
All'inizio della vita il bambino non possiede ancora la consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri.
Lewis e colleghi parlano di un sé esistenziale inteso come la componente implicita del sé che organizza
l'esperienza e di un sé categorico, la componente esplicita del sé che deriva dall’autoconsapevolezza.
Ipotizzano uno sviluppo graduale del sé esistenziale nel primo anno di vita e ritengono che la comparsa di
un sé categorico coincida, intorno ai due anni, con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare
alcune semplici categorie esteriori quali il sesso, l’età, i lineamenti e l’aspetto fisico per identificare se
stesso.
Contribuiti successivi sull’evoluzione del sé precisano meglio la distinzione tra consapevolezza primaria,
essenzialmente fisica interpersonale e consapevolezza secondaria che richiede capacità rappresentative e
riflessive. La consapevolezza primaria si fonda su una percezione immediata e precoce che deriva dalle
informazioni sensoriali ed alla comunicazione verbale e non. La consapevolezza secondaria si basa sulla
capacità di rappresentazione e di autoriflessione e coincide con il sé categorico, vale a dire che il concetto
che il bambino ha di se stesso e che può svilupparsi solo dopo il secondo anno anche grazie
all'acquisizione delle competenze linguistiche.
Autoconsapevolezza e riconoscimento allo specchio: come stabilire quando si attua il passaggio dal sé
esistenziale al sé categorico che rende coscienti della propria identità separata da quella degli altri?
I ricercatori concordano che un buon segnale della conoscenza di sé consiste nell’abilità di identificare e
riconoscere visivamente la propria immagine. L’autoriconoscimento allo specchio richiede competenze
mentali complesse e simboliche. Il bambino deve comprendere che l’immagine riflessa non rappresenta
una persona estranea ma l’oggettivazione di se stesso.
Come reagiscono i bambini di diversa età di fronte alla propria immagine riflessa? Fino a 4-5 mesi i piccoli
sono fortemente attratti dall’immagine della madre riflessa allo specchio ma non dalla propria, mentre nei
mesi successivi cominciano a comprendere che esiste un rapporto tra sé e ciò che vedono fino a
raggiungere, tra i 12 e i 18 mesi, la capacità di riconoscersi. Per parlare di autoriconoscimento vero e
proprio è necessario che il bambino percepisca la propria immagine fisica e la riconosca come stabile e
continua nel tempo e nello spazio. Lewis e Gunn hanno utilizzato un metodo di ricerca nella quale veniva

19
applicata una macchia rossa sul naso del bambino senza che egli se ne accorga e controllare come
reagisce alla sua immagine allo specchio. Se tocca il proprio naso e cerca di cancellare la macchia vuol
dire che è consapevole che il viso nello specchio è il suo.
Tra i 9 e i 12 mesi pur guardando con interesse la propria immagine allo specchio i bambini non si toccano
il naso; cominciano a farlo tra i 15 e 18 mesi; tra i 21 e i 24 mesi portano la mano al proprio naso nella gran
parte dei casi. La consapevolezza di sé comincia ad apparire intorno ai 15 mesi.
2.2. La coscienza degli altri
Il bambino divenuto consapevole della distinzione tra sé e gli altri e anche in grado di comprendere che gli
altri hanno caratteristiche specifiche, diverse dalle proprie e che utilizzi ciò che conosce su di sé per
comprendere cosa sentono e pensano gli altri. Un criterio utile può essere la familiarità cioè il
riconoscimento delle estraneo e la sua identificazione come diverso da sé e dalle persone familiari.
Persone sconosciute a partire da tre mesi cominciano ad essere attentamente osservate e, tra i 6 e gli 8
mesi, suscitano timore e paura. Numerosi studi hanno verificato la molteplicità di fattori che concorre a
determinare risposte sia positive sia negative all'estraneo tra cui la presenza o assenza della madre, le
caratteristiche fisiche e vocali e le modalità più o meno brusche con cui l'estraneo entra a contatto col
Bambino. L'ipotesi di Lewis e Brooks presuppone una connessione tra sviluppo del sé e reazione
all'estraneo basata sull'idea che i bambini utilizzino gli schemi di conoscenza relativi al sé per comprendere
gli altri. La spiegazione degli autori è che i bambini utilizzano la conoscenza che hanno di se stessi e delle
persone familiari e valutino gli altri come “simile a me” o “non simile a me”.
Un secondo aspetto è la capacità di riconoscere le emozioni e di comprenderne il significato; nel corso
dei primi due anni di vita esprime il proprio stato emotivo e riconosce il significato di alcune emozioni
fondamentali negli altri e vi reagisce in modo congruo. Intorno ai 18 mesi la comparsa delle emozioni
sociali costituisce un preciso indicatore della coscienza di sé; ad esempio compaiono espressioni emotive
complesse come la colpa, la vergogna e l'imbarazzo legate strettamente alla socializzazione e alle pratiche
educative. manifestare queste emozioni è indicativo di una consapevole comprensione degli altri come
dotati di stati psicologici interni diversi dei propri.
2.3. Evoluzione del concetto di sé e degli altri
Le elaborazioni sul sé e sugli altri non sono statiche ma soggette a continue ristrutturazioni e
rielaborazioni Come esito delle esperienze sociali e di una diversa comprensione della realtà fornita dai
nuovi strumenti concettuali che si affermano nell'infanzia. Dopo la prima infanzia il senso dell'identità
personale e il rapporto con gli adulti e coetanei è caratterizzato dalla acquisizione dello spirito di iniziativa,
industriosità è superamento del senso di inferiorità. Il bambino tende a sviluppare azioni a svolgere attività
autonome, desidera imparare dimostrare la propria competenza e teme il giudizio degli altri punto sei
bambino costruito un'immagine di sé e degli altri è caratterizzata da insicurezza e se le circostanze
ambientali restano negative, le idee su se stesso e sulle altre persone saranno dominate da sfiducia e
incertezza. Questo dipende dal fatto che l'esigenza di essere accettati è fortemente sentita nell'infanzia e
rende particolarmente vulnerabili al giudizio degli altri.
L'insieme di valutazioni che riguarda il sé nelle sue diverse componenti vanno a comporre ciò che viene
abitualmente definita autostima. Un altro aspetto che determina il modo di percepire se stesso e gli altri
deriva dall'abilità di cogliere la prospettiva dell'altro e di metterla in relazione la propria. Dopo una fase
egocentrica, tra i 6 e gli 8 anni, giunge a concepire la soggettività dell'altro ma non mette ancora in
relazione diversi punti di vista. Solamente intorno ai 12 anni diventerà capace di differenziare le diverse
prospettive sia degli individui sia dei gruppi.
Fino a 6-7 anni il bambino privilegia l'uso di riferimenti alle caratteristiche fisiche ed esteriori delle persone
ed effettua confronti sulla base di indicatori comportamentali più che psicologici; non riesce a comprendere
la complessità dell'altro e non è in grado di descrivere il mondo interno proprio o altrui. A partire dai 7 anni
si riferirà le qualità interiori, personali e psicologiche non immediatamente visibili o identificabili degli altri.
2.4. Identità e tipizzazione sessuale
Quando il bambino cresce si rende conto che le persone sono distinguibili in base ad alcune categorie a cui
egli stesso appartiene: genere sessuale o età.
Già a 9-10 mesi i bambini capiscono che le persone si suddividono in maschi e femmine.
Ad un anno prestano più attenzione a coetanei dello stesso sesso.
A cosa si può attribuire l’identificazione così precoce del sesso biologico?
I bambini identificano inizialmente alcune caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari e
cominciano ad organizzare categorie mentali con le quali orientarsi nella distinzione tra maschi e femmine.
Gli studi sulle differenze sessuali sono stati fortemente influenzati dagli stereotipi sociali che hanno guidato
i ricercatori sia nella scelta di metodologia non sempre adeguate sia nella interpretazione dei risultati.

20
Le differenze tra i sessi si manifestano soprattutto in tre aree: preferenza nei giocattoli; scelta dei
compagni di gioco e nello stile relazionale. Si tratta di preferenze che indicano un orientamento congruo
con gli stereotipi di genere sessuale.
La scelta dei giochi: i maschi si impegnano di più in giochi di movimento e utilizzano giochi come le
costruzioni, armi, automobiline; le femmine si dedicano ad attività con bambole e colori.
La scelta dei compagni: si organizza in base alla differenze di genere e segue precise linee di sviluppo.
Lo stile relazionale: i bambini tendono a stabilire interazioni basate su forme di gerarchia e di dominanza e
rapporti con i compagni caratterizzati da livelli più elevati di attività e da modalità comunicative più dirette
contrassegnate da contatti corporei che sfociano in episodi di aggressione fisica. Le bambine mostrano
maggiore disponibilità alla collaborazione, sono più sensibili e propense ad attuare comportamenti
prosociali e ad attivare processi d’inclusione nel gruppo e a non dare molto spazio all’espressione diretta
dell’aggressività.
La psicoanalisi delinea una progressiva tendenza del piccolo ad identificarsi con il genitore dello stesso
sesso e ad interiorizzarne il ruolo sessuale. La teoria dell’apprendimento sociale assegna un ruolo
determinante ai meccanismi di imitazione che derivano non solo dall’osservazione del comportamento degli
adulti ma anche dalla esposizione ai modelli sociali.
Intorno ai 3 anni il bambino inizia a differenziare le due categorie di appartenenza sociale dei maschi e
delle femmine e a stabilire la propria identità di genere.
Verso i 4 anni il bambino comprende il concetto di stabilità di genere ovvero si rende conto che le
differenze sessuali non cambiano col tempo e che appartenere ad un genere sessuale significa diventare
donna oppure uomo, madre o padre.
3. Lo sviluppo morale
La comprensione delle regole e dei valori consentono di distinguere il bene dal male e costituiscono
importanti criteri guida per l'individuo. l'acquisizione di una norma morale è un processo che comprende
almeno tre dimensioni fondamentali:
1. La norma assume un significato affettivo- emotivo nella misura in cui contiene una qualche forma
di indicazione su come l'individuo si sente o dovrebbe sentirsi nei casi in cui la rispetta o la viola. Si
parla in tal caso di sensazione morale che comprende le emozioni di colpa, di imbarazzo, di
vergogna e di paura.
1. La norma rappresenta anche una guida per la condotta nel senso che prescrive comportamenti
socialmente desiderabili nel mentre ne proibisce o ne sanziona altri.
2. La conoscenza delle norme rende possibile comprenderne i significati espliciti o impliciti. Questa
dimensione è strettamente connessa allo sviluppo delle competenze intellettive grazie alle quali è
possibile valutare le diverse implicazioni sottese alle regole.
3.1. Il ragionamento morale
Piaget e Kohlberg si sono principalmente occupati della moralità nei termini di acquisizione di criteri di
ragionamento, indipendentemente dal contenuto delle norme stesse o delle azioni adesso e collegate.
Secondo tale prospettiva ogni azione può essere rilevante se intesa dall'individuo in senso morale come
nessun’ azione lo è se colui che agisce non la colloca in un'area morale.
3.1.1. Lo sviluppo morale secondo Piaget
Piaget attraverso il cosiddetto metodo clinico ha proposto a bambini tra 6 e 12 anni alcuni problemi
quotidiani (dire bugie, assegnare premi e punizioni) invitandoli a dare un giudizio e ad operare un confronto
tra alternative diverse. Attraverso l'osservazione diretta ha anche studiato il modo in cui bambini dai 4 ai
12-13 anni affrontano un gioco contraddistinto dalla applicazione di regole.
Fino ai 3-4 anni i bambini sono in un periodo pre morale caratterizzato da anomia vale a dire da assenza di
regole.
Dai 4-5 anni sino agli 8-9 prevale il realismo morale caratterizzato dall’adozione di un punto di vista
egocentrico. In questo stadio prevale una morale eteronoma secondo cui la validità dei principi morali
dipende sia dalle autorità di colui che li ha promulgati e sanciti sia dalla forza con cui vengono fatti
rispettare, attraverso punizioni e sanzioni.
La fase del relativismo morale si caratterizza per una concezione meno rigida delle regole concepite come
frutto di accordo e passibili di cambiamento.
Dopo gli otto anni troviamo una morale autonoma contraddistinta dalla progressiva importanza attribuita
agli elementi specifici della situazione e alle intenzioni.
Piaget ha approfondito come evolva nell'infanzia il concetto di giustizia. Lo sviluppo della morale presenta
due diversi aspetti:

21
1. Pratica della regola: il rapporto tra giudizio e azione si articola attraverso la presa di coscienza di
una regola dopo averla sperimentata e praticata in modo acritico per un certo periodo.
2. Presa di coscienza e di integrazione tra pensiero ed azione morale: la maturazione delle concezioni
morali procede parallelamente allo sviluppo delle capacità cognitive; il bambino comprende sempre
più le nozioni morali, le rielabora e le arricchisce.
3.2. Lo sviluppo morale secondo Kohlberg
Kohlberg riprende negli anni 60’ la posizione sul giudizio morale proposta da Piaget. Si oppone alla
tradizione comportamentista (e quindi all’idea che la morale sia il frutto di un abitudine, di imitazione e
apprendimento). Lo sviluppo morale è identificato nel passaggio da strutture cognitive più elementare a
strutture cognitive più mature ed evolute. Delinea una sequenza costruita da tre livelli di giudizio morale.
3.2.1. Livelli di giudizio morale
I tre livelli, pre convenzionale, convenzionale e post convenzionale ruotano attorno al concetto di
“convenzionale” che significa conformarsi ed attenersi alle regole, aspettative e alle convenzioni della
società o dell’autorità, proprio perché sono regole, aspettative e convenzioni della società
 Primo livello pre convenzionale (bambini di età inferiore ai 9-10 anni): il bene e il male vengono
giudicati in base alle conseguenze negative o positive per il soggetto stesso. Il primo stadio si
attribuisce più importanza all’autorità che ha emanato la norma che alle intenzioni dell’agente. Il
secondo stadio ha come riferimento centrale l’individualismo e il bambino giudica utile osservare le
regole solo quando da esse deriva un vantaggio immediato e concreto.
 Secondo livello convenzionale (periodo dall’adolescenza alla tarda adolescenza): incentrato sui
rapporti interpersonali e sui valori sociali a cui è data la precedenza rispetto alle forme di
individualismo. Il terzo stadio ha lo scopo principale di vivere in conformità con le aspettative della
propria cerchia sociale e con quelle connesse ai nostri ruoli (padre, figlio, fratello, amico) non
deludendo le aspettative altrui. Tenta di conformare il proprio comportamento ai modelli della
maggioranza per ottenere l’approvazione sociale. Nel quarto stadio si affina la capacità di
differenziare tra il punto di vista della società e le motivazioni interpersonali.
 Terzo livello post convenzionale: è caratterizzato dall’emergere di giudizi morali basati su principi
astratti, di natura etica, che possono essere o meno condivisi dal proprio gruppo di appartenenza.
Nel quinto stadio emerge la consapevolezza che le leggi e le regole sono relative e devono essere
rispettate e preservate in quanto garanzia di imparzialità che garantisce il rispetto dei diritti
individuali. Nel sesto stadio l’individuo acquista la consapevolezza che le leggi e gli accordi sociali
sono validi solo se basati su principi universali e valori etici.
3.2.2. Validità degli stadi di Kohlberg
È emersa la validità della sequenza stadiale che vede il ragionamento pre convenzionale decrescere con
l’età e quello convenzionale aumentare. Il legame tra assetto cognitivo e morale appare confermato nel
senso che il ragionamento di tipo convenzionale implica la capacità del soggetto di porsi dal punto di vista
degli altri, mentre quello di tipo post convenzionale poggia sullo sviluppo delle operazioni formali e del
pensiero astratto.
3.2.3. Regole morale e convenzionali
L’interazione sociale e le routine quotidiane favoriscono lo sviluppo delle regole convenzionali, tanto
che i bambini imparano rapidamente a stare a tavola, come salutare e come comportarsi a scuola.
apprendono anche se alcune di queste regole accomunano più persone e vengono riconosciute dotate di
un valore indipendente dal contesto quali la scuola e la famiglia.
4. Relazioni tra pari
Per differenziare il rapporto con gli adulti da quello con i coetanei, abitualmente si fa riferimento alla
struttura di tipo verticale e orizzontale che la relazione stessa genera.
 Relazione verticale: con gli adulti; deputata a dare cure, protezione e a garantire l’apprendimento e
lo sviluppo della persona.
 Relazioni orizzontali: parietarie; fondate sulla reciprocità e rappresentano una palestra per
l’apprendimento di capacità di negoziazione, cooperazione e gestione dei conflitti.
Nel corso dello sviluppo l’importanza delle relazioni con i coetanei aumenta e già dai 2-3 anni i bambini
cominciano ad interagire sempre di più con loro. Dalle interazioni con i coetanei spesso nascono e si
sviluppano le relazioni amicali, legami più forti caratterizzati da stabilità, costanza e selettività
nell’orientamento preferenziale verso uno o più partner con cui si trascorre abitualmente del tempo.
4.1. Il rapporto con i coetanei

22
Nel corso dello sviluppo le occasioni sempre più frequenti di contatto con i coetanei e la capacità del
bambino di interagire e valutare la prospettiva e il punto di vista degli altri, rendono la relazione tra pari
sempre più costruttiva, sincronica e coordinata.
Una specifica analisi delle interazioni di bambini di 2 e 3 anni ha chiarito come le competenze sociali si
vadano sempre più affinando, passando da un tipo di scambio caratterizzato da “imitazione speculare” a
interazioni “complementari e reciproche”.
Nel periodo prescolare fioriscono le attività di gruppo favorite sia dalla capacità di comunicare
verbalmente i propri desideri, sia dallo sviluppo di abilità simboliche. Studi osservativi hanno evidenziato
che nell’infanzia nei gruppi dei pari si vengono strutturando insiemi di regole di interazione e di significati
condivisi informalmente e che si configurano come vere e proprie culture dei pari.
Generalmente i gruppi di bambini si suddividono spontaneamente in base alle differenze di genere.
 Infanzia: si sviluppano relazioni sempre più selettive basate sull’affinità e i compagni vengono scelti in
funzione della comunanza d’interessi e d’attività e non su sollecitazioni. I rapporti con i coetanei
appaiono caratterizzanti dal fenomeno della segregazione sessuale soprattutto nelle attività di gioco.
 Preadolescenza e adolescenza: le relazioni con i coetanei risentono delle esperienze pregresse ma
allo stesso tempo assumono uno specifico valore come stimolo al confronto e come fonte di sostengo e
di supporto all’autostima.
Montagner ha suddiviso i bambini in due gruppi:
 Bambini popolari: manifestano precocemente e mantengono stabilmente negli anni
comportamenti e sequenze di interazioni non verbali, rassicuranti e non aggressivi.
 Bambini rifiutati: chiamati dominanti aggressivi, manifestano in misura consistente comportamenti
di minaccia attraverso movimenti bruschi e disordinati, attività instabili, scarsa concentrazione,
aggressioni fisiche che provocano pianto negli altri.
4.2. Le relazioni amicali
I bambini possono conoscersi e frequentarsi più o meno occasionalmente, ma diventano amici quando la
loro relazione diventa stabile nel tempo, reciproca e intima. Nei piccoli è presente un legame
preferenziale: adottano metodi basati sull’osservazione e mostrano differenti comportamenti tra coetanei
che hanno potuto familiarizzare stando assieme per un certo periodo di tempo e bambini che non si
conoscono.
Uno studio ha dimostrato che fin dalla prima infanzia l’amicizia si manifesta come una relazione reciproca
e stabile nel tempo, caratterizzata dall’esclusività del legame, dal chiedere e ricambiare l’attenzione,
manifestare interesse per gli stati emotivi dell’altro etc.
Cosa spinge il bambino a stringere relazioni preferenziali? A 3-4 anni l’esigenza di esplorazione e la
curiosità per gli altri diventa una spinta a stringere un numero elevato di relazioni. I legami preferenziali nei
primi anni di vita possono essere interpretati come legami affiliativi, caratterizzati da affettività, ricerca di
prossimità fisica e reciprocità nella rispondenza dei segnali.
Durante l’età prescolare le relazioni di amicizia assumono forme e funzioni diverse, diventano meno
esclusive e più flessibili. A partire da 4-5 anni i bambini iniziano a distinguere più nettamente gli amici dagli
altri compagni. Le interazioni si fanno complesse e si basano sullo scambio verbale.
L’amicizia favorisce i comportamenti prosociali e facilita la cooperazione e, in caso di conflitto, aiuta ad
appianare le incomprensioni.
I bambini già in età prescolare sono in grado di mettere in atto strategie di mitigazione e di risoluzione
positiva del conflitto adottando il compromesso, controproposta, giustificazione e la riconciliazione. La
capacità di collaborare è una delle competenze sociali meglio sollecitata dalla relazione amicale.
4.2.1. Il concetto di amicizia
Selman ha individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, che differiscono qualitativamente l’uno
dall’altro e si prestano in una sequenza invariante.
 Tra i 3 e i 5 anni: gli amici sono compagni di gioco momentanei e l’amicizia è concepita in chiave di
vicinanza e di contatto fisico. È assente la comprensione dei pensieri e sentimenti altrui e il bambini
presta attenzione agli attributi fisici del compagno e alle azioni che compie.
 Tra 6 e 8 anni: l’amicizia è concepita in termini di aiuto unilaterale che si pensa di dover ricevere
da parte dell’amico, ritenuto capace di capire e di intuire i desideri e soddisfare le aspettative.

23
 Tra i 9 e i 12 anni: cooperazione in circostanze favorevoli; con la capacità di coordinare i diversi
punti di vista emerge una maggiore consapevolezza della reciprocità del rapporto; iniziano ad
essere espresse e discusse valutazioni su opinioni, atteggiamenti, desideri e bisogni.
 Dai 12 anni in poi: condivisione mutualistica. L’amicizia è una relazione solida e duratura
caratterizzata da intimità e fiducia reciproca. Gli amici vengono descritti come capaci di capirsi,
condividere problemi e pensieri intimi e provvedere al sostegno reciproco.
Il bambino, che prima dell’età scolare non riesce a comprendere le caratteristiche psicologiche dell’amico,
progressivamente e con l’acquisizione del concetto di reciprocità, il punto di vista altrui viene compreso e
acquista significato la condivisione di attività e di interessi comuni.
4.3. I comportamenti aggressivi
Le relazioni tra coetanei assumono spesso la forma di interazioni aggressive. Tra i bambini sono diffuse
aggressioni di tipo diretto, mirate a colpire direttamente il bersaglio attraverso attacchi fisici o verbali ma
sono anche presenti aggressioni indirette volte a danneggiare l’immagine sociale dei coetanei e a
produrre un’esclusione sociale. Le aggressioni possono tendere principalmente a infliggere un danno o un
dolore all’altro, condotte aggressive ostili, o a ottenere oggetti o benefici, aggressività strumentale.
Con l’età si riduce le quantità di azioni aggressive; i bambini dall’età prescolare tendono sempre meno ad
agire in modo violento e l’incidenza delle condotte aggressive si riduce al 50% delle azioni posti in essere
da bambini di un anno.
Le condotte aggressive si differenziano anche in relazione alla presenza di componenti di attivazione
fisiologica; esistono forme di aggressività proattiva rappresentate da iniziative personali non attuate in
risposta a condotte altrui (a differenza dell’aggressione reattiva posta come risposta ad un’interazione
percepita come ostile). Le condotte aggressive reattive possono costituire una risposta ad una situazione
frustrante.
Le forme di aggressività possono essere apprese casualmente quando un bambino ottiene un beneficio
dalla messa in atto di un’azione aggressiva, venendone rinformato o attraverso l’osservazione e imitazione
di modelli aggressivi, reali o filmici.
La messa in atto di condotte aggressive è risultata associata a carenze nei processi empatici di
condivisione affettiva degli stati emotivi e una maggiore ricerca di dominanza e affermazione di sé nelle
relazioni con i coetanei. Può essere l’esito di carenze nelle abilità sociali che possono accentuarsi a seguito
di una scarsa relazione con i pari.
4.3.1. Il bullismo
Rappresenta un fenomeno complesso che riguarda sempre almeno due poli in interazione tra loro: bullo e
vittima. Si configura come una relazione di abuso sistematico di potere. Il bullo individua la sua vittima tra i
coetanei più deboli e insicuri, si avvale di una maggior forza fisica rispetto al compagno prevaricato ed è
spesso appoggiato nelle prepotenze da uno o più coetanei che sostengono le prevaricazioni.
La condotta bullistica si configura come una modalità di aggressione prevalentemente proattiva che può
esprimersi come bullismo diretto (gli attacchi di tipo fisico o verbale sono espliciti) e bullismo indiretto (le
prevaricazioni sono realizzate attraverso l’esclusione sociale).
Emergono diversi ruoli e oltre a quello di bullo e vittima è possibile prendere parte ad episodi di prepotenza
con i ruoli di aiutante del bullo, compagno che partecipa alla prepotenza, sostenitore del bullo, difensore
della vittima.
La facile diffusione delle prepotenze sarebbe riconducibile a fenomeni di contagio sociale ossia ad un
apprendimento imitativo della condotta prepotente tra bambini e ragazzi e di disinibizione dei freni inibitori
del comportamento aggressivo a seguito di una diffusione di responsabilità nel gruppo.
I bulli tendono a stringere reti amicali tra loro formando gruppi di pari che condividono le stesse dimensioni
comportamentali prepotenti e alla cui pressione può divenire difficile sfuggire.
I bulli sono caratterizzati da abilità cognitive di teoria della mente di secondo ordine, buone o nella media
che ti pongono in grado di prevaricare con forme di prevaricazione indiretta difficilmente rilevabili dagli
adulti. I prevaricatori, a differenza delle vittime, possiedono buone competenze narrative che consentono
loro di meglio giustificare le prevaricazioni che compiono e sono caratterizzati da livelli più elevati di
machiavellismo , da livelli di autostima nella media e da un generale atteggiamento positivo nei confronti
della violenza.

24
Le vittime si distinguono in vittime passive (bambini e ragazzi timidi e insicuri) e vittime provocatrici
(assumono involontari comportamenti di provocazione dei compagni associando a modelli di
comportamento ansioso modelli di condotta aggressiva prevalentemente reattiva.
Già a 8 anni bambini vittimizzati presentano livelli di autostima mediamente più bassi rispetto ai coetanei.
Le vittime di prepotenze inoltre risultano poco accette dai compagni che sono così meno disponibili a
prestare loro soccorso.
Nelle famiglie dei prevaricatori vi è una maggiore diffusione di stili educativi permissivi o autoritari e di
freddezza affettiva nell'infanzia, un più frequente ricorso a metodi di punizione violenti e livelli bassi di
coesione familiare. Le famiglie delle vittime presentano atteggiamenti e comportamenti iperprotettivi.
Il bullismo è causa di gravi conseguenze a breve e lungo termine sia per le vittime che per i prevaricatori.
Le vittime possono manifestare vissuti depressivi e di disaffezione per l’attività e il contesto scolastico oltre
che a disturbi psicosomatici. I prepotenti presentano un rischio più rilevante rispetto ai coetanei di rendersi
autori di atti devianti o criminali già nell’adolescenza, con segnalazione all’autorità giudiziaria.
Capitolo 7: lo sviluppo emotivo e le relazioni affettive
In questo capitolo verranno presi in esame il mondo emotivo e affettivo del bambino per comprendere se,
fin dalla nascita, egli sia dotato di capacità espressive che gli permettono di segnalare ciò che provano.
Vedremo come si evolve la capacità di sentire e la consapevolezza del sentire emotivo.
1. Significato e funzioni delle emozioni
Le emozioni sono una componente importante nel sentire e percepire se stessi, persone, l’ambiente e gli
oggetti. Gli studiosi concordano nell’affermare che l’emozione non rappresenti un’esperienza
disorganizzante o negativa a base solo biologica ma come un’esperienza complessa, multidimensionale e
processuale con una forte funzione d’organizzazione cognitivo-affettiva e che media il rapporto tra
l’organismo e l’ambiente. L’emozione è una risposta fisiologica, motivazionale, cognitiva e comunicativa,
sempre accompagnata da una dimensione sia soggettiva sia sociale.
 Livello fisiologico: entrano in gioco il sistema nervoso centrale e autonomo, responsabili di specifiche
reazioni corporee connesse alla manifestazione delle varie emozioni; e il sistema endocrino che regola i
livelli di stress e ansia.
 Livello motivazionale: orienta all’azione e modifica il comportamento, in funzione dei desideri e degli
scopi. Tendenzialmente gli eventi spiacevoli vengono evitati mentre quelli piacevoli sono ricercati.
 Livello espressivo e comunicativo: non appare semplice inibire o modificare la manifestazione delle
emozioni, soprattutto quando esse colpiscono l’individuo in modo improvviso. Ogni emozione
fondamentale presenta una sua configurazione comunicativa proveniente essenzialmente da movimenti
facciali. Le espressioni facciali sono un canale privilegiato ma non bisogna sottovalutare altre
manifestazioni non verbali come i movimenti corporei, l’assetto tonico-posturale ecc.
 Dimensione sociale: l’emozioni non si presentano mai casualmente o senza una ragione. Per provare
gioia e tristezza devono realizzarsi alcune condizioni generate da eventi o dalle azioni delle persone.
2. Principali teorie sullo sviluppo delle emozioni
2.1. La teoria della differenziazione emotiva
Condotta negli anni 30’ da Brigdes attraverso l’osservazione delle risposte fisiologiche di bambini di età
compresa tra un mese e due anni. La teoria della differenziazione emotiva si fonda sull’idea che, da un
iniziale stato di eccitazione indifferenziata, si vengano articolando, nel corso dello sviluppo specifiche e
diverse emozioni. Viene a delinearsi una sequenza evolutiva che vede progressivamente l’emergenza delle
diverse emozioni secondo tre diversi percorsi: piacere-gioia; circospezione- paura; rabbia- collera.
 Sistema piacere-gioia: relativamente rapido, vede affermarsi nel piccolo di 3 mesi reazioni emotive
puntuali, sostenute dal significato cognitivo che viene attribuito allo stimolo. Il piccolo indirizza il suo
sorriso verso l’oggetto o la persona con cui entra in contatto.
 Sistema circospezione- paura: le reazioni di disagio intorno ai 4 mesi si differenziano in
disappunto e in sorpresa in connessione a stimoli specifici che possono intimorire e spaventare.
 Sistema frustrazione- rabbia: si manifestano altre forme di disagio come la delusione e
l’insoddisfazione.
2.2. La teoria differenziale delle emozioni
Izard e colleghi sostengono che il neonato possegga, fin dalla nascita, un certo numero di emozioni
fondamentali e differenziate, basate su programmi innati e universali.

25
La denominazione teoria differenziale indica il carattere distintivo delle espressioni fenomenologiche e
motivazionali delle emozione che si palesano attraverso configurazioni facciali e vocali specifiche.
L’emozione non è la risposta ad uno stimolo ma rappresenta una forma di organizzazione innata che
motiva il comportamento e gli affetti. Alcune emozioni sono giù presenti alla nascita mentre altre emergono
nel corso dello sviluppo in quanto assolvono un compito adattivo. Nel primo e nel secondo mese di vita, il
neonato manifesta a livello di esperienza sensorio-affettiva, le emozioni negative e positive, quelle di
interesse, disgusto e trasalimento, essenzialmente per comunicare i propri bisogno e per stabilire un
contatto con le figure di allevamento. In una seconda fase intorno al terzo mese di vita è caratterizzata da
più evidenti processi percettivo- effettivi, il piccolo comincia a manifestare un’attenzione specifica verso le
persone e gli oggetti. Emergono emozioni che consentono di elaborare le informazioni derivanti da eventi
inattesi, di reagire agli ostacoli o di evitarli.
A partire da 9 mesi acquisisce una maggiore consapevolezza di sé come agente e comincia a sviluppare
una certa memoria degli eventi e una coscienza maggiore dell’ambiente che lo circonda.
A partire dal secondo anno i bambini imparano a mostrare ciò che provano in accordo con le regole sociali
e diventano capaci di esagerare, minimizzare, neutralizzare, mascherare o simulare le espressioni emotive.
Per la teoria della differenziale le emozioni hanno un forte valore comunicativo, sono distintive,
caratterizzate da precisi correlati espressivi a base neuronale e concorrono alla costruzione della
consapevolezza di sé.
2.3. L’approccio funzionalistica
Campos e colleghi introducono un approccio funzionalista che pone in evidenza il ruolo delle emozioni
nella regolazione die rapporti fra l’organismo e l’ambiente. Afferma che tutte le emozioni fondamentali
sono presenti fin dalla nascita e relativamente autonome dalle conquiste cognitive. Le emozioni vengono
intese come sistemi di azione che spingono ad esprimere e a soddisfare bisogni che hanno un significato
adattivo. Esse hanno il compito di regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e
interpersonali in quanto orientano nella selezione delle informazioni, predisponendo l’organismo all’azione.
Le emozioni di base hanno un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali in quanto dotate di
specifiche configurazioni mimiche e vocali che ne consentono il riconoscimento e utilizzano un processo
comunicativo non codificato culturalmente. Una delle caratteristiche distintive della teoria funzionalista è
l’aver concettualizzato le emozioni in relazione al ruolo che svolgono e quindi in termini di famiglie di
emozioni.
3. Sviluppo delle emozioni
3.1. Le emozioni fondamentali
Izard chiarisce che per essere considerata primaria o di base, un’emozione deve possedere uno specifico
substrato neurale, esprimersi attraverso una specifica e distinta configurazione facciale, essere collegata
ad una precisa esperienza emotiva che raggiunga la consapevolezza, derivare da un processo biologico-
evoluzionistico e possedere proprietà motivazionali e organizzative finalizzate all’adattamento.
Le espressioni emotive del volto hanno offerto svariate conferme empiriche alla tedi della universalità
delle manifestazioni emotive. Emozioni come la tristezza, felicitò, sorpresa, paura, collera e il disgusto
vengono espresse nello stesso modo da membri appartenenti a gruppi a e società diverse e riconosciute e
identificate in modo universale.
3.2. L’emergere delle emozioni
Le emozioni, pur presente fin dalla nascita, si modificano passando da un livello poco articolato a livelli
sempre più sofisticati. Vediamo ora i diversi periodi della sequenza evolutiva:
1° Periodo: caratterizzato dalle reazioni emotive presenti alla nascita che sono regolate da processi
biologici fondamentali per la sopravvivenza. Il sistema edonico ha lo scopo di sollecitare il sistema
gustativo, le reazioni di trasalimento hanno lo scopo di proteggere da stimoli luminosi o acustici intensi, le
risposte di sconforto segnalano disagio alle stimolazioni dolorose e quelle di d’interesse l’attenzione per gli
stimoli nuovi. Queste risposte non possono essere considerate forme intenzionali di comunicazione
2° Periodo: inizia verso il secondo mese e si conclude intorno al primo anno, comporta grandi scoperte e
cambiamenti poiché, grazie alle interazioni sociali, un bambino inizia a comunicare le proprie intenzione e
ad attuare le prime forme di controllo emozionale. Compare il sorriso sociale non selettivo in risposta alla
voce umana e successivamente alle persone familiari sia il sorriso sociale selettivo tendenzialmente rivolto
alla madre. Il bambino sviluppa l’emozione della paura e della circospezione il relazione ai progressi nelle

26
capacità di locomozione e al sorgere di esigenze esplorative. Al termine di questo periodo compare anche
la paura dell’estraneo che si manifesta nel contatto con persone sconosciute e che indica la presenza di un
legame affettivo di cura e protezione tra il bambino e la persona che si occupa di lui.
3° Periodo: appaiono le emozioni complesse come la timidezza, la colpa, la vergogna, l'orgoglio e
l'invidia il cui sviluppo può dirsi completo intorno ai 3 anni. Le emozioni complesse hanno origine da forme
di autoriflessione o di associazione mentale e richiedono un autoconsapevolezza che consenta di valutare
il proprio Sé e le proprie azioni in relazione alle norme sociali agli standard condivisi della cultura di
appartenenza. Le emozioni complesse sono dipendenti dalla cultura, delle aspettative e dalle norme di
comportamento socialmente prescritte e per essere identificate e manifestate richiedono una certa
competenza sociale.
4. Espressione e riconoscimento delle emozioni
4.1. Espressione delle emozioni nel bambino
Espressione delle emozioni del neonato: si tratta di capire se le configurazioni mimico espressive che
appaiono sul suo viso corrispondano alle tipiche configurazioni mimiche delle emozioni di dolore, di
disgusto, di gioia o di sorpresa dell'adulto oppure se segnalino un generico stato di piacere e di disagio .I
ricercatori che aderiscono alla teoria differenziale delle emozioni, ritengono che le emozioni primarie sono
facilmente riconoscibili in virtù del loro carattere universale e perché vengono espresse attraverso una
serie di segnali specifici e distinti per ogni singola emozione.
Le espressioni di disgusto e di piacere non sembrano denotare specifiche emozioni, almeno nel primo
mese di vita, ma sono piuttosto pattern espressivi generali comuni anche ad altre sensazioni, risposte o
azioni motorie. Gli unici pattern mimici in grado di comunicare in modo universale uno stato emotivo
facilmente riconoscibile sarebbero quelli di piacere- dolore; le altre espressioni emotive non sono
specifiche e distintive fin da subito ma lo diventano grazie all'occasione prolungati di contatto di relazione.
4.2. Riconoscimento e comprensione delle emozioni
Durante il primo anno il bambino impara a riconoscere gli stati emotivi degli altri ed è capace di reagire in
modo appropriato. Appare opportuno distinguere tra riconoscimento delle espressioni altrui, che si realizza
in tempi relativamente rapidi e comprensione psicologica delle emozioni proprie e altrui che richiede
competenze capacità più affinate.
4.2.1. Il riconoscimento delle espressioni altrui
Il riconoscimento delle emozioni richiede la capacità di distinguere e differenziare le espressioni emotive
altrui. Degli studi hanno osservato che bambini di 10 settimane sono in grado di reagire a tre espressioni
facciali e vocali ovvero la gioia, la tristezza e la collera rispondendo alle mimiche della madre in modo
appropriato.
Tra i 4 ei 7 mesi riescono a distinguere le variazioni di espressioni emotive in fotografie che ritraggono i
medesimi volti. Queste evidenze empiriche dimostrano che riconoscimento delle emozioni è alquanto
precoce. Il passaggio dal riconoscimento delle espressioni emotive altrui alla comprensione del loro
significato non è altrettanto rapido.
4.2.2. La comprensione delle emozioni
Con lo sviluppo, emergono modi più raffinati di interpretare le espressioni della madre che diventano indizi
di cui servirsi per affrontare situazioni di paura e di disagio. L’espressione emotiva della madre assume
un carattere comunicativo e diventa un segnale che trasmette sicurezza o paura e che orienta il
comportamento del bambino. Questo fenomeno prende il nome di riferimento sociale e richiede la
capacità di avvalersi delle emozioni altrui per orientare il proprio comportamento. La situazione di
riferimento sociale consiste nel fatto che il bambino si volge verso la persona significativa, ne coglie lo stato
emotivo e lo utilizza per interpretare ciò che ha di fronte.
La ricerca di riferimento sociale comporta che il bambino di fronte ad uno stimolo prima di agire non solo
guardi il gioco ma anche la persona di riferimento.
Agisce anche nel contatto con le persone estranee.
La capacità di comprendere le emozioni è meditata dai comportamenti empatici che sottendono la
presenza di processi di risonanza emotiva grazie ai quali il bambino può sentire e provare le emozioni
altrui.
A 14 mesi i bambini sono capaci di chiedere e dare conforto ai fratelli in difficoltà e, nel secondo anno di
vita, di prevedere le reazioni emotive altrui sia per attivare comportamenti di consolazione e aiuto sia per
comprendere cosa possa indispettire o provocare fastidio.
Il bambino impara a modificare le proprie emozioni adeguandosi alle circostanze sociali; questo fenomeno
prende il nome di regole di ostentazione delle emozioni.

27
Verso i 4-5 anni è in grado di mettersi nei panni degli altri e di sviluppare la comprensione di ciò che
avviene nella mente altrui, sia in termini di emozioni che di pensieri. Intorno ai 5-6 anni riescono a spiegare
con precisione sempre maggiore ipotesi sullo stato emotivo altrui.
Ambivalenza: il bambino attorno ai 6-7 anni capiscono che è possibile provare, nello stesso momento e
nei confronti delle stesse persone o stessi situazioni, emozioni e sentimenti opposti. Verso i 9 anni è
capace di unificare emozioni di valenza opposta rispetto allo stesso oggetto o evento raggiungendo una
rappresentazione completa e consapevole dei sentimenti ambivalenti.
5. Sviluppo affettivo e legami di attaccamento
5.1. Emozioni e interazione sociale
Le emozioni non hanno solo lo scopo di esprimere uno stato d’animo ma assumono significato nelle
relazioni con l’adulto.
Le emozioni possono essere controllate, vale a dire espresse secondo diversi gradi di intensità e fungono
da mediatori nella regolazione della interazioni. Sono definiti anche mediatori sociali.
Scaffolding: rispondere in modo appropriato ai segnali del piccolo modulando il proprio comportamento in
base al suo livello di sviluppo. L’azione dell’adulto contribuisce ad orientare o canalizzare le espressioni
emotive in accordo con le regole e aspettative sociali.
Attraverso la socializzazione delle emozioni il bambino apprende dagli adulti del suo ambiente quali siano
le condotte emotive appropriate nelle diverse situazioni e accettate dalla sua cultura di appartenenza.
Apprende quali siano i modi più consoni per manifestare le emozioni; apprende che può o deve modificare
l’espressione emotiva per renderla sintonica alle richieste sociali o per raggiungere uno scopo.
5.2. La teoria dell’attaccamento
Elaborata da Bowlby è stata successivamente arricchita e ampliata da numerosi studiosi che ne hanno
verificato l’applicabilità anche in età adulta. Il suo approccio complesso e articolato ha riconsiderato il modo
di concepire sia il legame tra madre e figlio sia il suo manifestarsi in situazioni di separazione, deprivazione
e perdita.
Bowlby teorizza l’attaccamento come una predisposizione biologica del piccolo verso la persona che gli
assicura la sopravvivenza prendendosi cura di lui. Sono il bisogno di contatto e il conforto a muovere
primariamente il piccolo verso una figura di attaccamento privilegiata. Vi è una differenza tra attaccamento
(sistema comportamentale intorno al bambino che organizza le emozioni e i sentimenti che egli prova verso
se stesso e verso gli altri) e il comportamento di attaccamento (modalità attraverso cui si esprimono i
sentimenti).
Il sistema di attaccamento ha lo scopo di mantenere un equilibrio omeostatico tra vicinanza ed
esplorazione.
5.2.1. Fasi dello sviluppo del legame di attaccamento
Bowlby differenzia 4 fasi dello sviluppo del legame di attaccamento:
1. Comportamenti di segnalazione e avvicinamento (primi due mesi): il bambino si orienta verso
qualunque persona e produce segnali di attaccamento di cui è dotato il pianto, sorriso e le
vocalizzazioni allo scopo di indurre l’avvicinamento. Sono comportamenti che hanno una funzione
biologica ovvero che assicurano benessere, sicurezza e protezione.
2. Comunicazioni dirette (dai 3 ai 6 mesi): appare sempre più in grado di discriminare tra figure familiari
e persone sconosciute e comincia ad orientarsi verso le figure familiari, in particolare verso quella che
si prende cura di lui.
3. Segnali di mantenimento della vicinanza (dai 6 mesi ai 2 anni): il bambino impara a camminare e
amplia il suo repertorio comportamentale. Ora può seguire la madre, avvicinarsi, allontanarsi da lei. Si
manifesta l’ansia da separazione e la paura dell’estraneo che indicano il timore di essere lasciato solo.
4. Scopo programmato (dai 2 anni in poi): il sistema comportamentale del bambino è simile ad un
sistema di controllo e per raggiungere il proprio scopo opera attraverso tentativi. Si stabilisce un
rapporto reciproco, basato sulla abilità del bambino di intuire e di comprendere le emozioni e i
sentimenti della madre e di adattarsi alle sue esigenze.
5.2.2. Tipologie di attaccamento
Alcuni studi hanno condotto osservazioni di tipo qualitativo e longitudinali su bambini piccoli per studiarne
le differenze individuali in relazione alla sicurezza dell’attaccamento. Vengono distinte tre fondamentali
tipologie di attaccamento che corrispondono a legami affettivi strutturatisi nel corso del primo anno di vita.

28
Attaccamento insicure evitante: caratterizza i bambini che durante il primo anno di vita hanno
sperimentato un rapporto con una figura di attaccamento insensibile ai loro segnali e rifiutante sul piano del
contatto fisico. Non hanno fiducia in un’adeguata risposta materna e mostrano uno spiccato distacco ed
evitamento dalla vicinanza e del contatto con la madre. In assenza della madre si mostrano indifferenti
Attaccamento sicuro: caratterizza i bambini che hanno avuto una madre sensibile ai segnali di sconforto
e di disagio e responsiva alle loro richieste. Sono capaci di equilibrare il comportamento esplorativo con
quello di attaccamento.
Attaccamento insicuro ansioso ambivalente: caratterizza i bambini che durante i primi mesi di vita
hanno avuto una madre imprevedibile nelle risposte: affettuosa per un proprio bisogno e rifiutante su
sollecitazione del bambino. Appaiono quasi completamente assorbiti dalla figura di attaccamento ma non
riescono ad utilizzarla come base sicura da cui partire per esplorare l’ambiente.
5.2.3. Modelli operativi interni
La teoria dell’attaccamento ipotizza la continuità dell’attaccamento oltre il periodo della sua formazione
grazie alla costituzione di modelli mentali complessi sia delle figure affettive sia di se stesso. Queste
rappresentazioni costituiscono modelli operativi interni che hanno la funzione di indirizzare l’individuo nella
interpretazione delle informazioni che provengono dal mondo esterno e di guidare il suo comportamento
nelle situazioni nuove. I modelli mentali sono rappresentazioni mnestiche che derivano dalla memoria
episodica e dalla memoria semantica delle immagini che il soggetto ha costruito dei genitori e di se stesso.
5.3. Sviluppi della teoria dell’attaccamento
La sensibilità materna non è più concepita come il fattore centrale e determinante per lo sviluppo dei
legami affettivi. Dati confermati da ricerche successive sottolineano la presenza e l’importanza dei legami
simultanei, anche alla luce di ciò che avviene nella società nelle quali la divisione dei compiti favorisce
relazioni con un numero più elevato di persone.
Separation Anxiety: attraverso una serie di vignette, che riproducono situazioni di separazione più o meno
impegnative, vengono approfonditamente indagate sia le emozioni e le modalità di farvi fronte sia le
reazioni comportamentali. I bambini con un attaccamento sicuro non negano di provare ansia da
separazione ma riescono positivamente a far fronte alla situazione; i bambini insicuri tendono a manifestare
paralizzanti ed esagerate reazioni emotive oppure a dimostrare disinteresse ed indifferenza.
6. Le relazioni familiari
6.1. Il sistema familiare
La specificità e intensità dei rapporti di intimità e fiducia con i genitori, fratelli e sorelle, nonni e con i parenti
rendono la famiglia un luogo unico e insostituibile; è la fonte potenziale di arricchimento necessario per la
costruzione dell’identità e dell’equilibrio psicologico. Nella famiglia si sviluppano le prime relazioni affettive
col Caregiver che consentono la sopravvivenza del piccolo della specie umana.
La famiglia viene concettualizzata come sistema aperto che scambia informazioni al suo interno e con
l’esterno e che, come tutti i sistemi viventi, segue nel suo funzionamento i principi di totalità, equi finalità e
autoregolazione. In base al principio della totalità, la famiglia non è un semplice aggregato delle
caratteristiche del padre, madre e figlio ma un gruppo con storia che trascende le caratteristiche dei singoli
dando luogo ad una organizzazione del tutto peculiare.
Ogni componente della famiglia offre il suo contributo al funzionamento generale e lo stesso bambino viene
concepito come dotato di un ruolo attivo capace di influenzare ed essere influenzato.
Diversamente da quanto avviene nei sistemi chiusi (dove sono le condizioni iniziali a predeterminare l’esito
finale) nei sistemi aperti, come la famiglia, il comportamento equi finale è indipendente dalle condizioni
iniziali.
6.2. Famiglia e relazioni triangolari
La relazione è sempre quantomeno triangolare e anche nei casi in cui il bambino venga allevato dalla sola
madre o dal solo padre la presenza di un terzo (parente o educatore) richiede capacità di cogliere la
molteplicità delle relazioni. I contesti in cui gli individui quotidianamente vivono e sperimentano le proprie
abilità sono spesso composti da due persone.
Il costrutto utilizzato per studiare le relazioni triangolari è quello di alleanza familiare definita come la
capacità di collaborare nelle interazioni quotidiane che coinvolgono padre, madre e bambino.
Concretamente l’alleanza implica la capacità dei partner di: partecipare; organizzare l’attività in relazione ai
rispettivi ruoli; mantenere congiuntamente il focus attentivo.

29
Sono state individuate alcune forme di alleanze funzionali e disfunzionali:
Cooperative e in tensione funzionali. Le alleanze cooperative implicano collaborazione, vitalità e
armonia. Le alleanze in tensione richiedono il superamento di ostacoli, incidenti o imprevisti.
Collusive e quelle disturbate disfunzionali. Le alleanze disfunzionali sono dominate da difficoltà che
portano ad esclusioni e a divisioni. Quella collusiva è caratterizzata da una coalizione tra i genitori ostile ed
esplicita oppure nascosta che finisce per trasferire il conflitto sul bambino. Nelle alleanze disturbate alla
collusione si aggiunge l’ambiguità.
6.3. Famiglia e processi di adattamento e disadattamento del bambino
Process-oriented: si tratta di uno schema che vede al centro il funzionamento del bambino, vale a dire
processi e le risposte che mediano la relazione tra le influenze sociali e ambientali passate e attuali, da un
lato, e gli esiti connessi all’adattamento o al disadattamento dall’altro.
La direzione delle influenze non è lineare ma è mediata da specifici processi e pattern psicologici che
riflettono il funzionamento quotidiano dal punto di vista emotivo, cognitivo, fisiologico e sociale. Le
traiettorie di sviluppo possono cambiare nel tempo perché i processi che li caratterizzano non sono statici
o predeterminati dai primi eventi o dalle sue caratteristiche.
I fattori di rischio possono determinare una certa quota di vulnerabilità e se perdurano cronicamente e si
sommati ad ulteriori eventi negativi, possono essere predittivi di disadattamento. I fattori protettivi
consistono in particolari eventi o relazioni che in condizioni abituali non esercitano alcuna funzione
particolare e sono neutri, ma assumono un valore protettivo quando intersecano situazioni di rischio e
quindi entrano a far parte di un processo protettivo.
L’esposizione ad interazioni ostili tra adulti e le espressioni facciali di rabbia e collera dei genitori
provocano, anche in bambini di 1 o 2 anni, emozioni spiacevoli, intensa attivazione fisiologica e difficoltà
nel modulare e regolare le espressioni affettive.
Quando il bambino assiste al conflitto tra i genitori si attiva un processo d’elaborazione del conflitto che
spinge a porsi domande del tipo “cosa sta succedendo”?. Attraverso l’elaborazione primaria il bambino
tenta di ricavare informazioni sul livello di negatività, minaccia e rilevanza del conflitto; attraverso
l’elaborazione secondaria approfondisce e cerca di individuare strategie per far fronte al conflitto.
Nel caso in cui l’esito dell’elaborazione induca a valutare il conflitto come blando e non pericoloso
l’attenzione viene distolta; se invece è percepito come pericoloso il processo di elaborazione prosegue con
l’obiettivo di comprendere meglio e decidere come far fronte al conflitto.
I bambini emotivamente sicuri hanno fiducia nella stabilità e nella prevedibilità della relazione coniugale,
si aspettano che eventuali conflitti giungano ad una soluzione e sentono di poter comunque contare sulla
disponibilità psicologia e fisica dei genitori. I bambini emotivamente insicuri percepiscono i litigi come
particolarmente minacciosi per il proprio benessere psicologico, possiedono una minore capacità di
COPING e presentano livelli di disequilibrio tra emozioni e comportamento.
Capitolo 8: l’adolescenza
1. La transizione adolescenziale: aspetti generali
L’adolescenza è il periodo di transizione tra l’infanzia e la vita adulta e corrisponde ad un arco di anni
piuttosto ampio, ma variabile da individuo ad individuo sia per quanto riguarda l’entità e le caratteristiche
dei cambiamenti che l’attraversano sia per quanto riguarda i limiti temporali che ne scandiscono l’inizio e la
fine.
Studi sull’adolescenza concordano con l’opinione che si tratti di una fase caratterizzata da grandi
cambiamenti che attraversano i diversi aspetti della esistenza. Il punto di avvio del passaggio dal mondo
del bambino a quello dell’adolescente è la trasformazione fisica e biologica.
Pubertà e adolescenza:
Pubertà: fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione fisiologica del bambino alla
condizione fisiologica dell’adulto;
Adolescenza: passaggio dallo status sociale del bambino a quello dell’adulto che varia per durata, qualità e
significato da una civiltà all’altra e da un gruppo sociale all’altro.
Nella preadolescenza vengono affrontati problemi nuovi e del tutto diversi da quelli dell’infanzia, legati alla
crescita fisica, identità corporea e definizione sessuale. Più che un età di “transizione” rappresenta un età
“in transizione” connotata da suoi peculiari processi.

30
Durante il periodo adolescenziale molto spesso si formano forme più evidenti di difficoltà legate
soprattutto alla crescita fisica e psicologica. Sebbene i cambiamenti siano molti e importanti, non si
esprimono in forme negative, dirompenti o problematiche.
Se adottiamo l’espressione “compito di sviluppo” per indicare i diversi problemi che l’adolescente
progressivamente incontra, possiamo osservare come ognuno dei mutamenti tipici di questa fase della vita
imponga alcuni fondamentali compiti la cui soluzione fornisce un patrimonio di risorse che consente di
affrontare adeguatamente gli ostacoli che si presentano. Lo sviluppo corporeo impone il passaggio da
una struttura fisica ancora infantile ad una ormai simile all’adulto.
2. Cambiamenti somatici nell’adolescenza: la pubertà
Nella fase prepuberale iniziano a manifestarsi, se non in tutti i ragazzi, alcune lievi modificazioni corporee
caratterizzate da un arrotondamento delle forme e da un leggero aumento di peso.
Il corpo assumerà un’importanza determinante nella pubertà, periodo in cui si realizzano cambiamenti
rapidi e disarmonici. Le modificazioni osservabili nella pubertà possono essere raggruppate in due
categorie:
 Scatto di crescita: accomuna maschi e femmine in un rapido e improvviso aumento dell’altezza e
del peso.
 Piena maturazione dei caratteri sessuali: sancisce la differenziazione di genere maschile e
femminile
Nel sesso femminile le modificazioni visibili si manifestano nello sviluppo del seno, comparsa dei primi peli
pubici, arrotondamento dei fianchi, comparsa del primo ciclo mestruale. Nei maschi le modificazioni fisiche
visibili implicano la crescita dei testicoli e del pene, comparsa dei primi peli pubici, prima eiaculazione,
modificazione della voce e crescita della barba.
Nella fase postpuberale e tarda adolescenza i mutamenti sono meno evidenti e proseguono portando a
compimento la diffusione della peluria, sviluppo dei tessuti sottocutanei e lo stabilizzarsi della forza
muscolare.
2.1. Effetto dei cambiamenti corporei
La consapevolezza dei mutamenti corporei è anche motivo di orgoglio e di soddisfazione per la percezione
di distanza dal mondo dell’infanzia e di progressiva appartenenza a quello degli adulti. Le trasformazioni
fisiche rischiano di mettere alla prova le capacità di adattamento dell’adolescente in quanto introducono il
problema del confronto con i coetanei.
Le ragazze che maturano fisicamente prima non condividono più con i coetanei le stesse esperienze e
aggregandosi a gruppi di giovani di età più elevata della loro rischiano di sentirsi inadeguati e di attuare
comportamenti contrari alle norme o di incorrere in gravidanze indesiderate.
Sia i maschi che le femmine possono vivere questa fase in solitudine con ripercussioni sul piano sia fisico
che psicologico. La presenza di lievi difetti può diventare fonte di forte preoccupazione dando luogo a
quella paura chiamata DISMORFOBIA che consiste nella convinzione di avere qualcosa di anomalo nel
proprio aspetto.
2.2. Lo sviluppo delle pulsioni libidiche
Secondo il padre della psicoanalisi, l’adolescenza coincide con l’abbandono delle pulsioni di tipo pro
genitale e dell’investimento libidico sulle zone erogene parziali a favore delle pulsioni sessuali di tipo
genitale, ed è caratterizzata da cambiamenti “che devono condurre la vita sessuale alla sua definitiva
strutturazione normale”. Il pericolo di perdita del controllo pulsionale o la forte presenza di fantasie sessuali
richiedono all’intero sistema di difesa dell’Io di entrare in campo per controllare le spinte libidiche.
L’ascetismo è caratterizzato dalla rinuncia ad ogni piacere dei sensi per dedicarsi ai più alti ideali religiosi e
morali.
3. Identità adolescenziale
Uno dei compiti fondamentali dell’adolescenza è di portare a compimento il processo di formazione
dell’identità personale. Tale costrutto è composto da due principali aspetti: l’idea che un individuo ha di se
stesso e ciò che l’individuo è. Può accadere che quello che l’individuo pensa di essere sia diverso da quello
che effettivamente è.
I ragazzi si impegnano attivamente nella ricerca di esperienze e situazioni nelle quali mettersi alla prova. Si
sviluppa un’idea di sé cercata (spiccato interesse per la vita di relazione, amicizie, prime emozioni

31
sentimentali) e nell’idea di sé riflessa (l’impegno attivo si coniuga con la ricerca di una coerenza nella
quale confluiscano e si intreccino le qualità personali e le diverse esperienze).
3.1. Il modello di Erikson
Erikson introduce l’idea che la ricerca dell’identità si manifesta pienamente e in forma più evidente
nell’adolescenza. Propone uno schema evolutivo caratterizzato da otto stadi organizzati in sequenza a cui
corrispondono altrettante crisi psicosociali che, se superate con successo, rappresentano un passo avanti
verso la maturità psicologica.
Il periodo adolescenziale è dominato dalla tensione fra identità e confusione o dispersione dell’identità, ed
è caratterizzato essenzialmente dalla messa in discussione di tutte le conquiste precedenti.
3.2. Stati di identità
Il suo modello è stato ulteriormente articolato grazie agli studi di Marcia.
Marcia ha sviluppato una personale metodologia di intervista atta a verificare il complessivo status di
identità in relazione ad importanti aspetti della vita adolescenziale: lavoro, valori religiosi, credenze politiche
e gli atteggiamenti sessuali. Ha così definito quattro stati di identità.
Identità realizzata: esito di un’esperienza esplorativa positiva, coniugata con un valido impegno
Blocchi d’identità: la pressione verso impegni seri è precoce fino al punto da non consentire la libera
sperimentazione.
Diffusione d’identità: l’esplorazione è incerta e l’impegno poco soddisfacente; l’individuo non ha ancora
seriamente scelto o riflettuto.
Moratoria dell’identità: viene a determinarsi una situazione di stallo e un prolungamento della fase
esplorativa e valutativa; è caratterizzata dal dubbio tra alternative diverse all’interno delle quali non si riesce
ad operare una scelta.
4. Lo sviluppo cognitivo dell’adolescente: il pensiero operatorio formale
Piaget è stato il primo a riconoscere ciò che caratterizza il pensiero adolescenziale, cioè la capacità di
pensare in termini di possibilità anziché di semplice realtà concreta. L’adolescente adotta verso i problemi
strategie cognitive caratterizzate dal tentativo di prospettare tutte le relazioni possibili e di combinare la
sperimentazione e la riflessione logica per scoprire quale tra tali relazioni potrebbe risultare vera nei fatti.
La strategia del pensiero formale possiede una propria specificità:
 È un pensiero ipotetico deduttivo, caratterizzato sia dalla capacità di formulare ipotesi sia di effettuare
deduzioni, vale a dire partire da determinate ipotesi per trarne conseguenze.
 Abilità di compiere un’analisi combinatoria
 Proposizionale, vale a dire capace di utilizzare la logica delle proposizione, distinguendole e
collegandole tra loro per compiere inferenze di vario tipo.
Nell’adolescenza si impone anche il desiderio di elaborare personalmente i dati su cui fondare le proprie
convinzioni, di scoprire il piacere della discussione e dell’esercizio delle capacità critiche. Gli adolescenti
diventano più capaci di concepire contenuti astratti e situazioni ipotetiche, riflettono maggiormente sul
modo in cui gli altri percepiscono, esercitando la capacità di adottare la prospettiva altrui.
Bruner ha sottolineato l’importanza dei processi sottesi allo sviluppo del racconto e dell’interpretazione
degli eventi personali, attraverso il ragionamento quotidiano che attinge alle vicende personali e specifiche
della cultura e della società di appartenenza.
4.1. Il pensiero operatorio formale: revisione critica
Alcune ricerche hanno messo in discussione l’utilità di concepire il ragionamento logico come centrale del
funzionamento mentale nell’adolescenza. La logica, privilegiando l’aspetto astratto e formale del
ragionamento, sottovaluta l’importanza sia di schemi inferenziali diversi da quelli logici sia delle regole del
pensiero comune. L’impiego di compiti che si fondano sul ragionamento normalmente adottato nella vita
quotidiana e che appaiono legati al contesto e esperienze familiari, facilita l’adolescente e l’adulto nella
soluzione dei problemi. Ciò sembra indicare che il pensiero formale non è come afferma Piaget slegato dai
contenuti su cui si applica o dall’esperienza che deriva dai contesti di riferimento.
I contenuti realistici e familiari permettono di utilizzare strategie di pensiero analoghe a quelle che vengono
adottate nella vita quotidiana più di quanto avvenga con compiti non abituali che implicano regole arbitrarie.
Le strategie del pensiero formale, come le ha intese Piaget, non sono adeguate a comprendere appieno le
modalità attraverso cui si articola lo sviluppo mentale dell’adolescente.

32
5. Lo sviluppo morale dell’adolescente
Nello stadio dell’adolescenza l’individuo impara a concepire il bene universale in termini ideologici.
Nell’adolescenza lo sviluppo morale spazia verso orizzonti fino ad allora poco esplorati grazie alla
conquista della abilità cognitive.
Il ragionamento morale può avvalersi degli strumenti del pensiero formale ed è sostenuto dai progressi
conseguiti nel processo di formazione dell’identità.
Dalla preadolescenza, in cui si raggiunge il livello convenzionale (nella quale conta il rispetto delle norme
socialmente approvate e non più le conseguenze immediate dell’azione individuale), gli adolescenti
passano ad un livello post convenzionale regolato da principi di base ai quali le leggi morali vanno
rispettato, ma sono create dall’uomo e possono essere modificate e interpretate in modo che siano garantiti
sia i diritti individuali sia i valori universali.
5.1. Giudizio e comportamento morale
Kohlberg ritiene che il piano cognitivo rappresenti una condizione necessaria ma non sufficiente per l’agire
morale. Stimolare lo sviluppo cognitivo rappresenta un compito educativo importante per favorire il
comportamento morale dato che non si possono seguire principi morali se questi non vengono capiti o se
non si crede in essi.
Alcune ricerche mostrano come i giovani, capaci di assumersi responsabilità in attività che implicano il
perseguimento di valori, raggiungono livelli post convenzionali, mentre quelli disinteressati alle iniziative
politiche e sociali presentano un assetto morale di tipo convenzionale.
Nell’adolescenza, la pressione di alcuni gruppi di coetanei e i mass media possono svolgere un ruolo
significativo nell’adozione di meccanismi di disimpegno morale.
Le ragazze adottano in forma privilegiata meccanismi di giustificazione morale mentre i ragazzi forme di
deresponsabilizzazione morale.
6. Famiglia e gruppo dei pari in adolescenza
Il ruolo dei coetanei svolge un ruolo importante ma non tale da sostituire quello esercitato dalle relazioni
familiari. I genitori rivestono un ruolo fondamentale su questioni riguardanti le scelte scolastiche e
professionali, gli orientamenti di vita futura e svolgono un’insostituibile funzione protettiva in condizioni di
stress e di disagio.
6.1. Relazioni familiari
L’adolescenza rappresenta una fase critica e delicata per l’intero sistema familiare che ora deve affrontare
il delicato compito di integrare la legittima esigenza di indipendenza e autonomia dei figli, con la coesione
degli affetti e con la negoziazione di nuove regole di rapporto.
Approccio dello sviluppo: l’adolescenza rappresenta sia un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli,
sia un periodo della vita caratterizzato dalla trasformazione dei legami precedenti.
Nella prima adolescenza può verificarsi un contro movimento della famiglia che accentua il controllo con
l’intento di proteggere o preservare il figlio da esperienze negative, determinando reazioni di distanza e di
ribellione che rischiano di innescare una spirale di incomprensioni reciproche in cui controllo e opposizione,
rappresentano la dinamica saliente.
Lo stile personale con cui i genitori entrano in relazione con i figli adolescenti gioca un ruolo importante
nel favorire la competenza sociale e il processo di sviluppo dell’identità. Lo stile genitoriale e il clima che
essi sono in grado di creare mantiene una certa stabilità nel corso dello sviluppo dei figli. Esercita
un’importante influenza anche sullo sviluppo dell’identità personale. Dalla ricerca condotta su un ampio
campione rappresentativo di adolescenti italiani, di età compresa tra i 14 e i 19 anni, sono emerse tre stili
genitoriali:
 Genitore relazionato: genitori capaci di capire i punti di vista o le richiesta dell’adolescente, di
prendere in considerazione le sue proposte, apprezzarne i contributi, fornire consigli, senza imporre le
proprie ragioni
 Genitore autocentrato: tende a restare fermo sulle proprie posizioni nella convinzione di possedere
migliori strumenti per comprendere quale sia il bene dei figli e per stabilire le regole alle quali si deve
obbedienza e il rispetto.
 Genitore evasivo: appare spesso arrabbiato o deluso e psicologicamente assente.

33
Dimensione dell’autonomia: propensione a conquistare spazi di indipendenza dalla famiglia, non appare
connessa all’atteggiamento dei genitori, ma sembra seguire percorsi diversi. L’importanza del ruolo dei
genitori, viene ribadito anche nelle ricerche che hanno preso in esame alcune circostanze difficili o
particolari nelle quali possono trovarsi i figli preadolescenti, come ad esempio una malattia fisica o problemi
psicologici.
6.2. Il gruppo dei pari
I ricercatori concordano nell’attribuire alla relazione con i coetanei il ruolo di rafforzare i processi di
identificazione, di differenziazione- individuazione e di integrazione relazionale. Le caratteristiche che
accomunano i componenti di tali gruppi sono sostanzialmente la somiglianza in termini di età e il fatto di
non comprendere membri della rete famigliare.
L’appartenenza al gruppo che nasce da un iniziale bisogno di affiliazione, non sempre selettivo e che
risponde all’esigenza di trovare supporto, si trasforma in un bisogno di appartenenza che implica la scelta
selettiva di attività e di riferimenti valoriali che meglio si conciliano con valori e scelte congrue con
l’immagine di sé che l’adolescente pian piano costruisce.
Si distinguono due forme di aggregazione giovanile:
 Gruppi formali: esiste un’integrazione stretta con le istituzioni. I giovani che appartengono ai gruppi
formali appaiono più legati alla famiglia, tendono a contare sull’aiuto degli adulti, perseguono valori
fondati sull’autodisciplina, cultura, studio e formazione personale.
 Gruppi informali: tendenzialmente slegati dalle istituzione e luogo di espressione di tendenze più
personali. I giovani si confrontano e cercano sostegno dai coetanei più che dagli adulti, perseguono
maggiormente l’autonomia personale e l’indipendenza dalla famiglia.
6.2.1. Le relazioni di amicizia
La capacità di instaurare relazioni di amicizia è generalmente ritenuta un indice del benessere psicologico
dell’adolescente. I preadolescenti concettualizzano l’amicizia a partire dal significato positivo che rivesto lo
stare insieme, condividere tempo e attività e stabilire rapporti di cooperazione.
Nell’adolescenza e tarda adolescenza la peculiarità del legame di amicizia sta nel fatto che essa viene
concepita come una relazione dalla quale esigere maggiore vicinanza e intimità.
6.2.1. Le relazioni sentimentali
L’esigenza di appartenenza al gruppo dei coetanei e stabilire una relazione di coppia sono compiti
impegnativi che in alcuni casi vengono sperimentati in sequenza, nel senso che la scelta del partner è
successiva al progressivo disinvestimento sul gruppo, in altri casi le coppie si radicano all’interno dello
stesso gruppo di coetanei nel quale devono essere rimodulate le regole di relazione.
I ragazzi più giovani sono spinti da infatuazione e riversano nelle relazioni sentimentali bisogni
sostanzialmente affiliativi, quelli più grandi hanno esigenze di intimità, sicurezza e maggiore impegno
reciproco.
I bisogni di natura sessuale assieme a quelli affiliativi sono i primi motori nella scelta sentimentale, mentre i
bisogni di attaccamento e accudimento emergono nella tarda adolescenza.
Le relazioni sentimentali svolgono funzioni importanti nella definizione del ruolo sessuale e
nell’affermazione di un autonomia personale e dalla famiglia.

34

Potrebbero piacerti anche