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Il presidente di assemblea di s.p.a.

Il presidente di assemblea di s.p.a.

Gerardo Pizzirusso
(avvocato in Macerata)

Sommario: 1. Premessa – 2. Necessità della presenza dell’ufficio presidenziale – 3. Natura


dell’ufficio presidenziale – 4. La modifica dell’art. 2371 c.c. – 5. La legge delega n.
366/2001 – 6. La relazione accompagnatoria al d. lgs. n. 6/2003 – 7. Nomina del presidente
– 8. I limiti ai poteri del presidente – 9. Poteri originari o derivati – 10. I poteri del
presidente – 11. Considerazioni conclusive

1. La riforma delle società di capitali ha inciso anche sull’art. 2371 c.c. che disciplina,
come noto, la figura del presidente dell’assemblea della s.p.a.

L’intervento riformatore non passa inosservato se si presta attenzione al fatto che la norma
previgente aveva un contenuto prescrittivo minimo, limitandosi ad individuare il soggetto
deputato ad assumere la presidenza dell’assemblea in colui che fosse indicato nell’atto
costitutivo o, in mancanza, in colui che fosse stato designato dai soci intervenuti.

Il vecchio testo dell’art. 2371 c.c. non diceva nulla in ordine all’attività che il presidente
era chiamato a svolgere, né forniva utili spunti interpretativi per ricostruire la natura ed i
poteri propri dell’ufficio presidenziale.

E’ principalmente dovuto ad un’attenta elaborazione dottrinale il merito di aver chiarito il


fondamento, i poteri ed i limiti propri del presidente di assemblea, pur con le inevitabili
difficoltà che conseguono all’assenza di precedenti giurisprudenziali in grado di arricchire
l’analisi e lo studio dell’istituto in questione.

In considerazione di ciò, da più parti si era invocato un intervento normativo che


esplicitasse adeguatamente l’attività ed i poteri dell’ufficio presidenziale e ne riconoscesse
l’imprescindibile ruolo all’interno delle società di capitali (1).

L’istituto in esame, infatti, ha una rilevanza centrale nella vita assembleare e di questo il
legislatore delegato ha mostrato di tenerne conto, viste le modifiche apportate alla
disciplina.

2. Anche dalla nuova formulazione dell’art. 2371 c.c. si ricava la necessità dell’ufficio
presidenziale nelle società di capitali, questione spesso trascurata, nonché controversa,
specie in dottrina.

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Tale problematica é di notevole importanza per meglio comprendere il ruolo del presidente
in rapporto al funzionamento dell’organo assembleare.

Sul tema non si rinvengono contributi specifici, né il testo previgente dell’art. 2371 c.c. è
stato di qualche aiuto sul piano interpretativo, visto che mancava (ma in tal senso manca
tuttora) qualsiasi previsione in ordine alla necessità della presenza del presidente in
assemblea.

Pur in assenza di un espresso dato normativo, detta necessità era desunta da un esame
sistematico delle disposizioni in cui si rinveniva il riferimento alla figura del presidente.

Tali disposizioni erano costituite dall’art. 2371 c.c. che si limitava ad enunciare le modalità
di nomina del presidente, nonché dall’art. 2375 c.c. che si riferiva al presidente solo per
richiederne la sottoscrizione del verbale che, peraltro, secondo certa dottrina, poteva essere
sostituita da quella dei soci intervenuti in assemblea (2).
Da tali norme, si diceva, la prevalente dottrina ha giustificato la necessità e l’effettività
della presenza del presidente in assemblea, dato che sarebbe stato inutile prevedere le
modalità di nomina o l’obbligo di sottoscrizione del verbale e non ritenerne poi
indispensabile la sua partecipazione.

Tanto più che, in caso di assenza di qualsiasi previsione da parte dello statuto circa le
modalità di nomina, dovevano essere i soci a provvedere all’elezione del presidente, come
d’altronde i soci sono egualmente tenuti a fare secondo l’attuale formulazione dell’art.
2371, comma 1 c.c.

Dalla disciplina di queste due situazioni (modalità di nomina e sottoscrizione del verbale)
si giustificava (nella previgente disciplina) l’inequivocabile necessità della presenza del
presidente in assemblea.

A maggior ragione ciò vale alla luce di quanto prevede il novellato art. 2371 c.c. nella
parte in cui enuncia, in via esemplificativa, i poteri spettanti al presidente di assemblea (di
cui, come detto, nella previgente formulazione non v’era traccia).

Infatti, aver stabilito quali sono i poteri che possono essere esercitati dall’ufficio
presidenziale denota, ancor di più, l’indispensabilità della presenza del presidente in
assemblea.

Non avrebbe avuto senso elencare siffatti poteri e non ritenere essenziale la sua presenza in
assemblea.

La necessità dell’ufficio presidenziale si giustifica, anzitutto, sul piano sistematico ove va


rilevato che la presenza di un presidente è fenomeno costante ed ineliminabile in qualsiasi
organo collegiale (3), specie nel diritto pubblico (4), in quanto connaturata alla necessità di
avere una figura che sia in grado di coordinare e dirigere la riunione assembleare.

Sul piano pratico, invece, la presenza di un presidente è di indubbia di utilità dato che il
procedimento assembleare implica lo svolgimento di una serie di adempimenti che non
possono essere svolti dall’organo collegiale, ma da un soggetto che abbia l’ineliminabile

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funzione di regolamentare e di dirigere la riunione.

L’ufficio presidenziale, dunque, riveste un ruolo di fondamentale importanza nell’ottica


del funzionamento dell’organo assembleare, in quanto deputato ad espletare funzioni
direttive e di coordinamento dell’assemblea.

Esso manifesta tutta la sua centralità e la sua insostituibilità in tutti quei casi in cui i) si
hanno assemblee affollate a cui partecipano soci animati da interessi contrastanti, ii) vi
sono argomenti complessi posti all’ordine del giorno che saranno discussi nel corso
riunione, iii) vi sono da risolvere preliminarmente questioni connesse alla legittimazione
ad intervenire dei soci ovvero, questioni connesse al calcolo dei quorum costitutivi e, poi,
anche di quelli deliberativi, iv) vi è da valutare l’esistenza di limiti all’esercizio del diritto
di voto a carico dei soci.

In queste ipotesi emerge la necessità, prima di tutto organizzativa (5), che il regolare e
corretto svolgimento dell’assemblea sia coordinato sotto la direzione di un soggetto che
regolamenti il dibattito assembleare e la formazione della volontà collegiale.

3. Assai discussa, specie in passato, è anche stata la questione relativa alla natura giuridica
del presidente di assemblea.

A fronte di una remotissima sentenza che aveva addirittura qualificato il presidente come
un organo necessario della società (6), nel panorama dottrinale sono state notoriamente due
le interpretazioni che hanno affrontato questa problematica.

Secondo una prima tesi il presidente costituirebbe una figura dotata di proprie funzioni e,
dunque, titolare di poteri autonomi (7), mentre altro orientamento ritiene che il presidente
sarebbe un soggetto privo di autonomia sostanziale, in quanto esercita poteri e funzioni
delegate dall’assemblea (8).

La prima interpretazione non ha raccolto particolari consensi in dottrina, in quanto


condurrebbe ad ammettere una limitazione della sovranità assembleare che non trova
riscontro nella disciplina positiva.

Non vi è alcuna norma che consenta una limitazione dell’autonomia decisionale


dell’assemblea a favore di altri soggetti e tale limitazione non può essere nemmeno dedotta
in via sistematica (9).

L’assemblea deve essere presieduta, al pari di qualsiasi altro organo collegiale, da un


presidente che governi la riunione, ma l’assemblea resta sovrana nel dettare le regole per il
suo funzionamento.

E’ invece prevalente, e peraltro condivisibile, la tesi che ravvisa nel presidente un soggetto
privo di autonomia sostanziale, il quale esercita le attività delegate dall’assemblea dei soci
(10).

Si ritiene, infatti, che le funzioni espletate dal presidente non siano altro che quelle proprie
dell’assemblea e che da questa, quale organo sovrano per eccellenza, gli vengano attribuite
per organizzare e coordinare le riunioni assembleari.

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L’art. 2371 c.c., come del resto altre norme contenute nella disciplina delle s.p.a., non pone
alcun limite al potere deliberativo dell’assemblea (11).

La presenza del presidente soddisfa l’esigenza organizzativa di disciplinare e coordinare lo


svolgimento dei lavori assembleari, senza che ciò implichi alcuna abdicazione da parte
dell’assemblea ai poteri ad essa attribuiti dalla legge o dallo statuto.

4. Se nel vigore della precedente norma poteva valere l’affermazione per cui non era
individuando i limiti a cui erano soggetti i poteri del presidente che diveniva possibile
individuarne, al contrario, il loro contenuto positivo, tale affermazione è ora superata dalla
intervenuta modifica dell’art. 2371 c.c.

Siffatta modifica ha radicalmente posto fine a qualsiasi sforzo interpretativo di ricostruire,


specie in via sistematica, l’attività ed i poteri di cui è titolare il presidente, indicando
espressamente proprio le attribuzioni che sono state ad esso riconosciute (12).
E’ stata altresì modificata la disciplina relativa alla nomina del presidente, pur essendo
marginale, in proposito, l’intervento del legislatore delegato. Ma procediamo con ordine
nell’analisi dei profili che più vengono in rilievo alla luce del novellato art. 2371 c.c.

5. Anzitutto va osservato che un primo utile spunto interpretativo per comprendere la ratio
dell’intervento riformatore dell’art. 2371 c.c. proviene dalla legge delega n. 366/2001,
nella quale non si prevedeva espressamente alcunché in tema di modifica della disciplina
dell’ufficio presidenziale.

Infatti, l’art. 4, comma 7 lett. a) disponeva, riguardo alla disciplina dell’assemblea, che la
riforma doveva essere diretta a “semplificare, anche con adeguato spazio all’autonomia
statutaria, il procedimento assembleare anche relativamente alle forme di pubblicità e di
controllo, agli adempimenti per la partecipazione, alle modalità di discussione e di voto”.

La norma delegante non diceva nulla in tema di riforma della figura del presidente di
assemblea, sicché l’intervenuta modifica dell’art. 2371 c.c. sembrerebbe porre, prima facie,
dubbi di costituzionalità per eccesso di delega.

A meno di ritenere l’ufficio presidenziale implicitamente ed istituzionalmente collocato


nell’ambito del procedimento assembleare, quale specifica materia su cui il legislatore
delegato è stato chiamato ad intervenire.

E’ vero che qualsiasi trattazione, anche manualistica, avente ad oggetto la figura del
presidente di assemblea si pone all’interno, per ragioni di coerenza sistematica, della più
vasta problematica concernente l’iter assembleare ed è altrettanto vero che tale figura, pur
rivestendo un autonomo rilievo giuridico nell’ambito della disciplina della assemblea delle
società di capitali, è titolare di poteri e svolge delle funzioni che mirano proprio ad
assicurare esigenze di snellezza e di rapidità del dibattito assembleare.

Ad esempio, il presidente deve pur sempre controllare che il diritto di intervento in


assemblea spetti a coloro che hanno diritto di voto (ai sensi di quanto prevede il nuovo art.
2370 c.c.) ovvero, come sin qui successo, a coloro che risultavano iscritti nel libro dei soci
almeno cinque giorni prima della riunione e che avevano depositato le loro azioni, nello

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stesso termine, presso la sede sociale o presso gli istituti di credito indicati nell’avviso di
convocazione (ai sensi di quanto disponeva il previgente art. 2370 c.c.).

E’ senza dubbio ravvisabile un collegamento tra l’obiettivo di semplificare il procedimento


assembleare nelle sue varie fasi e la modifica della norma che disciplina la figura del
presidente di assemblea.

Tale profilo, però, non è dirimente o decisivo per spiegare le ragioni dell’intervento del
legislatore delegato sull’art. 2371 c.c.

Da una più attenta lettura si evince che la modifica dell’art. 2371 c.c., seppur non
rientrante tra i criteri direttivi indicati dalla legge delega, non consiste, in realtà, che in una
mera esplicitazione dei poteri spettanti al presidente di assemblea.

Non vi è stata, dunque, alcuna riforma sostanziale dell’ufficio presidenziale, né una


modifica di tali poteri.
L’intervento del legislatore delegato merita di essere valutato per aver soprattutto colto
l’opportunità, all’interno di un più ampio disegno riformatore, di enunciare quelli che sono
i poteri minimi di cui è dotato il presidente dell’assemblea e che, nella disciplina
previgente, sono stati ricostruiti solo attraverso un’attenta elaborazione dottrinale.

La nuova formulazione dell’art. 2371 c.c. recepisce la centralità del ruolo del presidente di
assemblea ed è ulteriore espressione, in forza di un intervento avente natura meramente
integrativa-additiva, del rilievo organizzativo che l’ufficio presidenziale riveste
nell’ambito del procedimento assembleare.

6. Un altro spunto interpretativo per cogliere il senso della modifica apportata all’art. 2371
c.c. proviene dalla relazione accompagnatoria al d. lgs. n. 6/2003.

Il paragrafo 5 dedica solo brevi osservazioni a tale modifica disponendo testualmente che
“i poteri del presidente dell’assemblea sono stati analiticamente determinati, così
superando incertezze interpretative al riguardo, per soddisfare le esigenze di funzionalità e
di certezza dell’attività sociale raccomandate dalla legge delega”.

Anche dalla relazione accompagnatoria emerge che l’intervento del legislatore delegato è
principalmente consistito nell’esplicitare i poteri di cui è dotato il presidente di assemblea
e ciò al fine di superare tutte quelle incertezze interpretative che hanno sinora
caratterizzato proprio l’individuazione di siffatti poteri.

In tal senso l’obiettivo di perseguire esigenze di funzionalità e di certezza dell’iter


assembleare è senza dubbio condivisibile ed apprezzabile.

La relazione accompagnatoria afferma anche che i poteri del presidente sono stati
analiticamente determinati, ma non pare potersi attribuire un decisivo peso (o un autonomo
rilievo interpretativo) a siffatta affermazione che presupporrebbe il carattere tassativo
dell’elencazione contenuta nell’art. 2371 c.c.

E’ fuori discussione, infatti, che i poteri del presidente siano non solo qualitativamente, ma

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anche quantitativamente, diversi e più estesi rispetto a quelli indicati nell’art. 2371 c.c.

Basta pensare, come affermato in giurisprudenza, al potere del presidente di di non


calcolare nel quorum deliberativo il voto espresso dal socio in conflitto di interessi (13) e
che (tale potere) non sembra essere venuto meno a seguito dell’intervento riformatore.

Così come rientra tra i poteri del presidente, seppur non menzionato nell’attuale
formulazione dell’art. 2371 c.c., il diritto di rinviare l’assemblea in presenza di una
richiesta che provenga dai soci rappresentanti un terzo del capitale sociale presente in
assemblea, stante quanto prevede l’art. 2374 c.c.

Si deve dunque ritenere che l’elencazione dei poteri presidenziali sia meramente indicativa
e non esaustiva, in quanto non ricomprende una serie di attività che il presidente è
comunque in grado di compiere.

7. Il primo profilo interessato dalla modifica dell’art. 2371 c.c. concerne la nomina del
presidente.

Anche l’attuale formulazione dell’art. 2371 c.c. dispone che l’assemblea sia presieduta
dalla persona indicata nello statuto (la modifica è, sul punto, marginale atteso che la
disposizione previgente faceva riferimento all’atto costitutivo).

Invece, la novità introdotta dalla riforma risiede nel fatto che ora, in mancanza di
previsione statutaria, il presidente deve essere eletto con il voto della maggioranza dei soci
presenti in assemblea (secondo la norma previgente, invece, la nomina doveva essere
effettuata, senza ulteriori specificazioni, dagli intervenuti).

E’ da ritenere, nel silenzio della norma, che il calcolo della maggioranza, ai fini della
nomina, debba avvenire per capitale e non per teste.

E, visto che la nomina del presidente è un adempimento anteriore alla costituzione


dell’assemblea, deve ritenersi che essa avvenga a maggioranza semplice, senza bisogno di
far riferimento alle maggioranze previste dagli artt. 2368 e 2369 c.c.

Secondo la prevalente dottrina l’art. 2371 c.c. rappresenterebbe un’importante limitazione


al principio della sovranità dell’assemblea, dato che essa è anzitutto obbligata a rispettare
l’individuazione della persona del presidente fatta dallo statuto e l’effettiva partecipazione
di questa alla riunione assembleare (14).

L’esistenza di una clausola statutaria che indica espressamente il soggetto (o, in via
alternativa, gli altri soggetti) a cui è conferito l’incarico di coprire l’ufficio presidenziale
vincola in modo determinante l’assemblea che, infatti, non può derogare o contravvenire
ad essa.

L’efficacia delle norme statutarie è tale che essa si esplica non solo verso l’esterno
(efficacia reale o c.d. erga omnes), ma anche e soprattutto nei rapporti interni, con piena
vincolatività nei rapporti tra i soci e tra i soci e la società (15).

Normalmente lo statuto indica nel presidente del consiglio di amministrazione o, in caso di

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sua assenza, nel vice-presidente, la persona deputata a presiedere l’assemblea.

Solo in difetto di espressa previsione statutaria la nomina o la scelta del presidente deve
invece essere fatta dall’assemblea (“dalla maggioranza dei presenti”, recita l’art. 2371
c.c.).

Tale circostanza non solo denota la necessità della presenza di un soggetto che provveda a
coordinare i lavori e ad assicurare lo svolgimento del dibattito assembleare ma, soprattutto,
comporta una sorta di reimpossessamento della sovranità decisionale da parte
dell’assemblea.

Una simile sovranità decisionale può estrinsecarsi in vari modi, come la giurisprudenza ha
avuto modo di evidenziare in quei pochi casi di cui si è sinora occupata.

Alcune decisioni di merito hanno ritenuto non necessaria una forma espressa della
designazione, essendo sufficiente il consenso tacito dei soci agli effetti di cui all’art. 2371
c.c. (16), altre hanno affermato che l’assemblea svolta a seguito di rinvio è legittimamente
presieduta da persona designata dagli intervenuti, in assenza dell’amministratore cui lo
statuto attribuisce l’incarico presidenziale (17), altre ancora hanno statutito che
l’amministratore unico revocato nel corso dell’assemblea può continuare a presiederla se i
soci intervenuti tacitamente consentono (18).

8. La modifica dell’art. 2371 c.c. rileva, in maniera assai significativa, alla luce
dell’espressa previsione dei poteri attribuiti al presidente dell’assemblea.

Come già rilevato, nella previgente formulazione la norma de qua non precisava quali
fossero i poteri ed i compiti spettanti all’ufficio presidenziale, sicché solo grazie agli sforzi
interpretativi di dottrina e giurisprudenza si era riusciti a chiarire il contenuto e
l’estensione di tali attribuzioni.

In questa prospettiva è stato annoso il dibattito circa la natura dei poteri esercitati dal
presidente.

Le posizioni assunte su tale argomento sono state varie, a conferma della complessità del
tema e della sua capacità a sottrarsi ad inquadramenti teorici poi privi di dubbia utilità
pratica.

E’ opinione generale, anzitutto, che al presidente spettino attribuzioni che incontrano, al


pari dei poteri propri dell’assemblea, il limite costituito dalla legge e dallo statuto (19).

Tale rilievo è forse scontato, ma merita egualmente di essere evidenziato dato che consente
di tracciare dei sicuri limiti a siffatti poteri.

Ciò sta a significare, in altre parole, che i soci riuniti in assemblea non solo non possono
chiedere al presidente di assumere provvedimenti contrari alla legge o allo statuto, ma
nemmeno il presidente può - anzi, deve rifiutarsi per non incorrere in responsabilità
personale (20) -, dare corso a richieste dell’assemblea, ancorché assunte con regolare
votazione, che si appalesino parimenti illegittime (21).

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Il rispetto della legge e delle previsioni contenute nello statuto rappresenta, infatti,
l’estremo limite al di là del quale né l’assemblea, né tantomeno il presidente, possono
andare.

Sul punto deve ritenersi che anche con la riforma la linea di demarcazione costituita dalla
legge e dallo statuto funga da criterio guida per il presidente, nel senso che esso non può
discostarsi, né involontariamente, né consapevolmente (qualora indotto o sollecitato dai
soci intervenuti in assemblea), da ciò che delimita i suoi poteri.

9. Come si è anticipato, rimane fermo anche con la riforma l’annoso problema relativo al
fatto se il presidente sia titolare di poteri originari ed autonomi rispetto all’assemblea (22)
ovvero, se tali poteri siano derivati o delegati da quest’ultima (23).

Entrambe le tesi, detto per inciso, hanno risvolti positivi e negativi, come attenta dottrina
ha in passato autorevolmente sottolineato (24).
Nell’un caso, infatti, il riconoscimento di poteri originari in capo al presidente comporta un
più rapido svolgimento dei lavori assembleari, soddisfando quell’esigenza “efficientistica”
(25) finalizzata alla formazione ed all’espressione della volontà collegiale; anche se, in tale
ipotesi, vi é il rischio di un affievolimento dei diritti dei soci di minoranza di fronte ad
eventuali abusi o comportamenti discrezionali da parte del presidente, consentiti
dall’autonomia dei poteri ad esso riconosciuti e dalla funzione di dirigere e coordinare i
lavori assembleari.

Nell’altro caso, invece, ritenere che i poteri del presidente derivino dall’assemblea
significa enfatizzare la sovranità della volontà assembleare, ma non eliminare il rischio sia
di comportamenti ostruzionistici dei soci alle decisioni presidenziali, sia di comportamenti
lesivi dei diritti dei soci minoritari da parte della maggioranza azionaria (26).

Tra queste due tesi, a cui va il merito di aver posto all’attenzione degli studiosi un
problema più volte manifestatosi nello svolgimento delle riunioni assembleari, si colloca
un altro orientamento che fornisce una soluzione intermedia all’annosa questione (27) e che
si segnala per un’analisi di tali poteri effettuata in via sistematica; da tale tipo di analisi si
traggono utili spunti interpretativi che presuppongono il coordinamento con le norme che
disciplinano le competenze ed il ruolo dell’assemblea.

Tale orientamento afferma la natura delegata dei poteri spettanti al presidente, ma nel
limitare il potere dell’assemblea di modificare o revocare i provvedimenti del presidente
(28) opera un distinguo che si segnala e merita di essere apprezzato per il suo fine
pragmatico.

Questa tesi distingue, in sostanza, tra l’ipotesi in cui la decisione del presidente é vincolata
al rispetto della legge e/o dello statuto (per cui sarebbe completamente inutile
un’interferenza dell’assemblea) e quella in cui il presidente può invece assumere decisioni
che si basano su valutazioni discrezionali (per cui l’assemblea mantiene integra la
sovranità di decidere difformemente, ma sempre nel rispetto della legge e/o dello statuto).

Nella prima ipotesi é ovvio che l’adozione di decisioni presidenziali conformi alla legge o
alle previsioni statutarie agevola il regolare e corretto svolgimento dell’assemblea, sicché

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appare corretto limitare intromissioni, spesso ostruzionistiche o anche palesemente
dilatorie dei lavori assembleari, da parte dei soci intervenuti.

Nella seconda ipotesi é altrettanto ovvio il diritto della maggioranza assembleare di


controllare l’operato del presidente e di evitare che questo assuma decisioni arbitrarie che
divergono dalla legge o da quanto previsto dallo statuto.

La soluzione prospettata da tale orientamento attribuisce al presidente un potere sì derivato


o delegato, ma indipendente nel suo esercizio solo ove questo si ponga nella piena
osservanza di quanto dispone, in concreto, la legge o lo statuto.

Viceversa, tale potere può essere sindacato e revocato laddove si manifesti in decisioni
arbitrarie che non trovano alcuna giustificazione in queste fonti regolamentative.

Rimane dunque ferma la centralità (e la sovranità) dell’assemblea che delega al presidente


l’esercizio dei poteri connessi e finalizzati allo svolgimento dei lavori assembleari, ma può
in qualsiasi momento revocare o modificare detti poteri o addirittura sostituire, in ipotesi
estreme, la persona che ricopre la carica presidenziale.

10. Secondo l’elencazione effettuata dal novellato art. 2371 c.c. il presidente ha il potere di
verificare la regolarità della costituzione, di accertare l’identità e la legittimazione dei
presenti, di regolare lo svolgimento dell’assemblea e di accertare i risultati delle votazioni
(29).

Di tali accertamenti, recita l’art. 2371, comma 1 ultimo capoverso c.c., deve darsi conto nel
verbale.

Più in dettaglio, i poteri del presidente sono estesi in quanto esso ha il compito di: a)
verificare la parte di capitale rappresentata in assemblea e se essa, di conseguenza è
regolarmente costituita, anche tenendo conto di computare le azioni prive di voto (arg. ex
art. 2368 c.c.); b) accertare l’identità dei soci presenti e la loro legittimazione ad
intervenire in assemblea, escludendo quelli privi di valida delega o i nudi proprietari delle
azioni); c) di regolare lo svolgimento della riunione assembleare, ad esempio ponendo in
discussione gli argomenti posti all’ordine del giorno o invertendo il loro ordine; se adottato
ex art. 2364 n. 6 c.c., il presidente ha il compito anche di far rispettare il regolamento di
assemblea; d) di accertare i risultati delle votazioni, calcolando il raggiungimento del
quorum deliberativo.

Anche nel nuovo testo dell’art. 2371 c.c. permane la distinzione, in tema di contenuto e
non solo di forma, tra poteri decisori ed ordinatori (30).

Seppur tale distinzione sia rilevante solo sul piano descrittivo, va detto che i primi si
ritengono diretti a consentire il corretto svolgimento dell’assemblea (31), mentre i secondi
sono finalizzati a garantire la regolare costituzione dell’assemblea ed a decidere sulla
partecipazione dei soci intervenuti, anche nella fase della discussione e della votazione (32).

In sostanza, i poteri ordinatori e decisori si articolano e si sovrappongono nelle varie fasi in


cui l’ufficio presidenziale esercita i poteri attribuiti dall’art. 2371 c.c.

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11. Anche con la riforma delle società di capitali può ritenersi indiscutibile la centralità del
ruolo svolto dal presidente dell’assemblea nelle società di capitali.

In tale prospettiva l’indicazione dei poteri, ora espressamente prevista dall’art. 2371 c.c.,
rappresenta l’inequivoco riconoscimento da parte del legislatore delegato della avvertita
necessità di chiarire le funzioni ed i compiti che spettano all’ufficio presidenziale nello
svolgimento dell’assemblea.

Ciò allo scopo di eliminare incertezze interpretative sul contenuto dei poteri di cui è
titolare il presidente, nonché al fine di attribuire certezza e funzionalità all’attività sociale,
come espressamente stabilito nella relazione accompagnatoria al d. lgs. n. 6/2003.

Se lo sforzo del legislatore merita senza dubbio di essere apprezzato, in quanto finalizzato
a delimitare la funzione ed il ruolo di tale figura all’interno del procedimento assembleare,
è opportuno in ogni caso evidenziare che l’intervento normativo non pare essere stato
risolutivo.
Si é sottolineato, infatti, che i poteri di cui dotato il presidente hanno un’estensione
superiore rispetto a quella genericamente ricavabile dall’art. 2371 c.c., articolandosi in
diverse altre direzioni all’interno delle varie fasi dell’iter assembleare.

Ne deriva che situazioni di incertezza, lungi dall’essere state eliminate a seguito


dell’intervento riformatore, potranno ben presto presentarsi sul piano pratico ponendo gli
stessi problemi interpretativi che la disciplina previgente ha fatto emergere.

Non resta che attendere i primi riscontri giurisprudenziali i quali forniranno un quadro più
esatto dell’intervenuta modifica dell’art. 2371 c.c., consentendo di ulteriormente
approfondire lo studio di un istituto di peculiare importanza all’interno delle società di
capitali.

________________

1() Sui poteri e sulla figura del presidente di assemblea nelle società di capitali v., per
alcuni cenni introduttivi, Morano, Il presidente dell’assemblea di società per azioni, in
Società, 2000, pp. 403 ss.; Sacchi, Il presidente dell’assemblea, in Riv. dir. civ., 1996, I,
pp. 287 ss.; Cenni, Presidente di assemblea di società per azioni, in Contr. impresa, 1993,
pp. 847 ss.; Pettiti, Note sul presidente dell’assemblea di società per azioni, in Riv. soc.,
1963, p. 481; Limardo, Per una rilettura dell’art. 2371 c.c., in Dir. fall., 1981, I, p. 267.

2() In tali termini Salanitro, Il presidente di assemblea nelle società di capitali, in Riv. soc.,
1961, pp. 975-976.

3() Cenni, op. cit., p. 849; Paciotti, Osservazioni intorno alla natura e funzioni del
presidente dell’assemblea, in Temi, 1966, p. 358.

4() V. ad esempio, in materia parlamentare, Di Ciolo, Parlamento (organizzazione), in


Enc. dir, XXXI, Milano, 1981, p. 824.

5() Dubita della necessità giuridica della presenza del presidente in sede assembleare, con

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una tesi allo stato rimasta isolata, Salanitro, op. cit., p. 975-976.

6() App. Fiume, 12 febbraio 1942, in Foro it., 1942, I, 308.

7() Paciotti, op. cit., p. 371; nella stessa direzione anche Pettiti, op. cit., p. 484.

8() Cfr. Salanitro, op. cit., p. 974; Galgano, Le società per azioni, in Trattato di dir. comm.
e dir. pubbl. dell’economia, diretto da F. Galgano, vol. VII, Padova, 1984, p. 228-229.

9() Su tali rilievi v. Cenni, op. cit., p. 850; Galgano, op. cit., p. 229; Di Sabato, Manuale di
diritto commerciale, Torino, 1987, p. 370.

10() Cenni, op. cit., p. 850; Grippo, Assemblea nelle società per azioni, in Tratt. di diritto
privato diretto da P. Rescigno, II, Torino, 1985, p. 401.

11() Cfr. Galgano, op. cit., p. 229.


12() Associazione Preite, Il nuovo diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti e F.
Vella, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 125-126.

13() Cfr. Cass., 23 marzo 1996, n. 2562, in Giur. it., 1996, I, 1, 1332.

14() Cfr. Serra, Assemblea, in Trattato delle spa diretto da Colombo-Portale, 3, Torino,
1994, p. 147; Limardo, op. cit., p. 267 ss.

15() Sul rilievo reale, anche nei rapporti interni, delle clausole statutarie, sia pure sotto
altro profilo (in tema di prelazione), v. Trib. Bassano del Grappa, 15 settembre 1993, in
Società, 1994, 489; Trib. Como, 23 febbraio 1994, ivi, 1994, 684; Trib. Napoli, 29 giugno
1990, ivi, 1991, 47.

16() Trib. Milano, 9 novembre 1987, in Riv. not., 1989, II, 239.

17() Trib. Roma, 15 gennaio 1988, in Foro it., 1989, I, 257.

18() Trib. Milano, 16 marzo 1998, in Giur. it., 1998, I, 1, 1426.

19() Serra, op. cit., p. 149.

20() App. Milano, 11 settembre 1969, in Foro pad., 1970, I, 1015.

21() Serra, op. cit., p. 149; Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1997, p.
293.

22() Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1994, p. 525; Grippo, op. cit., p.
401; Pettiti, op. cit., p. 481; Paciotti, op. cit., p. 354.

23() Per tale impostazione v. invece Salanitro, op. cit., p. 974; Cenni, op. cit., p. 847 ss.

24() Sacchi, Il presidente, cit., p. 287 ss.

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25() Morano, op. cit., p. 406.

26() Morano, op. cit., p. 406.

27() Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1994, p. 439 ss.; nello stesso senso anche
Cenni, op. cit., p. 851.

28() Cfr. Di Sabato, op. cit., p. 439, secondo cui il presidente é un mero mandatario della
società e deriva i suoi poteri dall’assemblea; v. altresì Abbadessa, Assemblea, in Trattato
delle spa diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 3, Torino, 1991, p. 10 ss.

29() Cfr. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di dir. comm. e dir. pubbl.
dell’economia, diretto da F. Galgano, vol. XXIX, Padova, 2004, p. 212.

30() In argomento v. Serra, op. cit., p. 150; Morano, op. cit., p. 407; Campobasso, op. cit.,
p. 293.
31() Nel senso che le funzioni del presidente sono di natura ordinatoria ed informativa v.
App. Trieste, 7 febbraio 1977, in Giur. comm., 1977, II, 826; Trib. Lecce, 19 aprile 1982,
in Società, 1982, 1008, secondo cui rientra nel potere del presidente la sospensione
dell’assemblea anche senza l’approvazione dei soci.

32() Sul punto v. Sacchi, op. cit., p. 295; Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile
italiano, diretto da F. Vassalli, X, 3, Torino, 1987, p. 601. In giurisprudenza v. Cass., 30
ottobre 1970, n. 2236, in Foro it., 1970, I, 2658; Trib. Milano, 8 marzo 1981, in Banca
borsa e tit. cred., 1973, II, 274 secondo cui nella fase di accertamento della costituzione
dell’assemblea devono essere riconosciuti pieni poteri al presidente.

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