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Ricorso straordinario
Tale rimedio è definito straordinario perché, come accennato, presuppone che sia esaurita
la possibilità di esperire altri rimedi amministrativi, essendo infatti ammesso nei confronti
di atti amministrativi definitivi; è stato tradizionalmente classificato come un rimedio
impugnatorio, in quanto finalizzato all’annullamento di un provvedimento (benché sia
stato ammesso anche nei confronti di ipotesi di silenzio-inadempimento), ed eliminatorio,
in quanto comporta, in caso di accoglimento, solo decisioni di annullamento; infine, è
proponibile, a tutela di interessi legittimi e diritti soggettivi, soltanto per vizi di
legittimità.
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo
amministrativo), la giurisprudenza affermava il carattere generale del rimedio in esame,
da cui ne conseguiva l’esperibilità in tutti i casi in cui ciò non fosse espressamente
escluso dalla legge e, comunque, anche nelle materie devolute alla giurisdizione ordinaria
tra cui, ad esempio, le controversie aventi ad oggetto atti di gestione del rapporto di
impiego privatizzato, salve le ipotesi in cui erano attribuite al giudice ordinario
competenze speciali e funzionali (nel qual caso si riteneva che il legislatore avesse voluto
escludere il rimedio del ricorso straordinario).
Il procedimento del ricorso straordinario prevede che sia adottato, nel corso
dell’istruttoria, un parere obbligatorio del Consiglio di Stato: se il Ministro intenda
discostarsene deve sottoporre la questione al Consiglio dei Ministri.
Voci correlate
Giustizia amministrativa
Ricorsi amministrativi