C o stan zo P r ev e
In copertina:
H. Matisse, Icaro, 1943, tavola a pochoir per Jazz, pubblicato nel 1947.
G esù
U omo nella S toria
D io nel P ensiero
N o ta e d ito ria le
5
La realtà storica indagata è considerata dagli autori
infinitam ente più complessa dei modelli dello storico,
anche se in essi vuole essere compresa.
In questo passaggio d’epoca in cui tutto sembra dis
solversi in un confuso processo produttivo, Bontempelli e
Preve hanno dissotterato una «mina culturale», cercan
do di porsi ai confini del nostro orizzonte culturale, in
contrando la figura di Gesù così come canta Puskin in
una delle sue più profonde poesie (Versi composti in una
notte insonne)'. «Io ti voglio comprendere, / Cerco il senso
che è in te».
Porsi ai confini può anche significare non aver ségui
to, non essere compresi, vivere la solitudine della pro
pria ricerca. Ma giova ricordare due versi di un altro poe
ta russo, Tiutcev: «A noi non è dato predire, / l’eco delle
nostre parole».
Diremmo quasi che qui sia l’arte (“arte della filosofia”)
a fare irruzione nella storia (in quanto finestra sul pas
sato), aprendo così una finestra sul futuro, nella consa
pevolezza che “tra il presente e il futuro scorre l’impreve-
dibilità”.
«Ci vuole un immenso amore [...] per spendere una
vita intera a coltivare l’ideale di una società in cui ogni
essere umano sia libero di esprimere le sue potenzialità
umane. Gesù ha trovato in se stesso tutto questo amore,
e ne ha avuto compiuta consapevolezza, perché ha posto
l’amore al di sopra di ogni altra legge, prescrivendolo come
suo unico comandamento.
[...] L’amore, d’altra parte, essendo ontologicamente
radicato nel riconoscimento reciproco tra gli individui
umani necessario alla costituzione della loro identità sog
gettiva, rappresenta una sorgente umanamente perenne
di comportamenti creativi. [...] Ma la forza creatrice del
l’amore, il valore universale dell’individualità, la priori
6
tà assiologica della giustizia, il principio della speranza,
sono, filosoficamente parlando, le dimensioni di esisten
za della libertà, e le articolazioni concettuali della verità
logico-ontologica» (pp. 174 e ss.).
Sono questi contenuti che hanno ispirato anche la scel
ta deirimmagine di copertina: Ylcaro di H. Matisse. Ica
ro con le braccia aperte in volo, che «tende verso l’alto»,
verso la luce. La chiave per comprendere Tesplosione di
senso” di questa opera d’arte ce la fornisce lo stesso Ma
tisse, che aspirava a realizzare una «pittura ariosa, addi
rittu ra aerea» collocata in uno spazio senza frontiere.
Nella rivista d’arte da lui diretta, Jazz, Matisse collega il
volo, Icaro, «alla purezza e alla semplicità», come dati
caratteristici del suo futuro metodo artistico nonché del
comportamento morale che lo sottende. Non sorprende
allora di trovare in Jazz molte citazioni che Matisse trae
da Imitazione di Cristo, un’opera attribuita al fiammin
go Tomaso Da Kempis (1380-1471) - altri la attribuisco
no all’italiano Giovanni Gersenio (c. 1180-1240). L'Icaro
di Matisse, nei suoi stessi scritti, è la figurazione di colui
che ama, e l’artista sottolineava per la sua teoria soprat
tutto questi passi di Imitazione di Cristo : «Chi am a vola,
co rre, g iubila, è lib ero e n u lla può tra tte n e rlo . Egli
dà tutto per tutti e tutto trova in tutte le cose. [...] Spesso
l’amore non conosce misura, ma divampa fuori misura.
L’amore non sente peso, non cura fatica, vorrebbe fare di
più di quel che può, non adduce a pretesto l’impossibili-
tà, perché si crede lecito e possibile tutto. L’amore si sen
te capace di qualunque cosa, e molte ne compie e vi rie
sce; mentre chi non ama, viene meno e si affloscia. [...]
Affaticato non è stanco; pressato, non opera per forza;
minacciato, non si turba».
C .F.
7
M a s s i m o B o n t e m p e l l i (1946) è nato e vissuto a Pisa, dove
insegna storia e filosofia in un liceo. Come studioso si è occupato so
prattutto del pensiero dialettico, in alcuni interventi su qualche rivi
sta italiana, e ultimamente in un libro scritto in collaborazione con
un altro studioso pisano, Fabio Bentivoglio, Percorsi di verità nella
dialettica antica (SPES Editrice, Milazzo 1996).
Ma il suo impegno maggiore è stato dedicato ad un tentativo con
tro corrente di immettere cultura viva, spessore di significati teorici,
e strumenti di orientamento etico, nell’insegnamento della filosofia e
della storia nella scuola italiana, attraverso corsi ai docenti e pubbli
cazione di manuali. Tra questi una storia del pensiero filosofico in tre
volumi, scritta in collaborazione con Fabio Bentivoglio, Il senso del
l’essere nelle culture occidentali (Trevisini, Milano 1992), che si se
gnala per la chiarezza con cui rende accessibili filosofie complesse,
quali ad esempio quella di Hegel e quella di Husserl.
Importante anche il suo testo in due volumi, Civiltà storiche e loro
documenti (Trevisini, Milano 1993), che offre un quadro complessivo
e coerente delle civiltà antico-orientale, greca, romana e alto-medioe-
vale, riconducendolo ai loro rispettivi modi di produzione, e presen
tandolo attraverso una scelta calibrata dei loro documenti.
Nel 1996 ha pubblicato, sempre con Fabio Bentivoglio, Percorsi di
Verità della dialettica Antica. Eraclito - Platone - Plotino (Spes Editri
ce, Milazzo).
8
to a Marx. Un’altra tappa fondamentale della produzione teorica di
Preve è stata segnata dalla pubblicazione de II convitato di pietra
(Vangelista, Milano 1991), in cui la dissoluzione nichilistica della si
nistra politica e sociale è illuminata da una serrata analisi filosofica e
storica della natura del nichilismo.
La maturazione teorica di Preve è culminata ne II tempo della
ricerca (Vangelista, Milano 1993), in cui una approfondita riflessione
sulle nozioni di modernità, postmodernità e fine della storia, retroa
gisce in una critica chiarificatrice delle dicotomie abituali del pensie
ro marxista e di alcuni punti essenziali dello stesso paradigma origi
nario di Marx. Su questa linea si è sviluppata la feconda collaborazio
ne di Preve con Giancarlo La Grassa, acuto studioso del modo capita
listico di produzione, da cui sono nati importanti saggi, tra i quali
ricordiamo La fine di una teoria (Edizioni Unicopli, Milano 1996),
magistrale resa dei conti teorica e storica con il collasso della tradi
zione politica e culturale marxista.
Nati culturalmente da esperienze formative giovanili molto diver
se, e passati attraverso diversi itinerari di ricerca, Bontempelli e Pre
ve hanno verificato una sempre più accentuata convergenza del loro
pensiero su elementi teorici forti: l’inevitabilità storica di un congedo
dalla tradizione culturale e politica marxista, la necessità etica di
mantenere aperto un orizzonte concettuale anticapitalistico, l’impe
gno filosofico nella costruzione di un paradigma di interpretazione
della realtà che superi i limiti di quello di Marx, mantenendone tutti
gli apporti conoscitivi e tutta la forza critica.
* * *
9
La Palestina al tempo di Gesù.
M assim o B o n tem pelli
U om o n e lla S to r ia
1. D a l Gesù d ella tradizion e c ristia n a
a l Gesù d e lla storia
1 1 Corinzi 15 , 3-8 .
5 Matteo 28 , 1- 10.
o sono stati proprio alcuni interpreti cattolici a notare come nel cap.
20 di Giovanni il v. 1 sia logicamente continuato dal v. 11.1 v. v. 2-10
costituiscono quindi, evidentemente, un blocco, proveniente da un’al
tra tradizione, che il redattore ha maldestramente inserito.
8 Nell’analisi delle fonti sono solitamente ritenuti elementi indica
tori di veridicità quei particolari molto dettagliati la cui menzione
non corrisponde ad alcuno scopo preciso della narrazione, e che si
spiegano perciò come relitti percettivi di autentiche testimonianze.
Particolari di tal genere sono abbondantissimi in questo episodio, a
partire dalla sua individuazione temporale, del tutto superflue nel
l’economia del racconto, con l’avverbio npcut, “di buon mattino”, e l’ul
teriore precisazione oKortag eri oùar|g, cioè che, pur essendo già mat
tino, era ancora buio. Poi ci sono le notazioni relative alla corsa verso
il sepolcro di Pietro e del discepolo prediletto: quest’ultimo corre più
veloce, arriva per primo, ma si ferma, ed è Pietro, non lui, ad entrare
per primo nel sepolcro.
Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni» (Luca 8, 2): esso
sottolinea dunque come Maddalena non fosse il suo nome originario,
e come avesse avuto una infermità mentale. Il primo Vangelo, però, la
chiama Maria di Magdala (Matteo 28,1). Nel quarto Vangelo è egual
mente menzionata come Maria di Magdala (Giovanni 20,1), ma an
che come Maria sorella di Marta e di Lazzaro (Giovanni 11,1). L’iden
tità di Maria Maddalena con Maria di Magdala e con Maria sorella di
Marta e di Lazzaro non appare immediatamente evidente nei testi
evangelici, ma risulta tuttavia con sicurezza dalla loro comparazione,
e dalla loro interpretazione antica. Basti pensare che l’antica liturgia
latina celebrava il 22 luglio la festività di Maria Maddalena, identifi
candola sia con Maria di Magdala, sia con Maria sorella di Marta e di
Lazzaro, sia con la peccatrice del terzo Vangelo (Luca 7,37). La figura
di questa donna è stata brutalmente cancellata da Paolo, e pesante
mente ridimensionata e contraffatta dai primi tre Vangeli, tanto che
non saremmo in grado di capire la sua importanza se nel Vangelo di
Giovanni, il cui redattore, pure, mira egualmente a tenerla in ombra,
non fosse confluita una tradizione che la ricordava. Ciò può essere
ragionevolmente spiegato soltanto con una volontà di esclusione de
gli apostoli, che trova conferma nei testi apocrifi, dove è riferito, ad
esempio, il fortissimo disappunto di Pietro per il ruolo riconosciuto da
Gesù a questa donna (Vangelo apocrifo di Tommaso 114). La gelosia
degli apostoli è intuibile, se si pensa al maschilismo dell’ambiente
ebraico, e al posto che questa donna aveva nel cuore di Gesù. In un
testo apocrifo si legge che «Gesù amava Maria più di tutti i suoi disce
poli, e spesso la baciava pubblicamente sulla bocca» (Vangelo apocrifo
di Filippo 55). Una traccia del rapporto speciale di Maria con Gesù è
rimasta del resto nello stesso Vangelo di Giovanni, specie nell’episo
dio dell’incontro con il custode del giardino. Questi, allo slancio di
Maria verso di lui, nel quale ha riconosciuto Gesù, le risponde «pf|
pou cottou» (Giovanni 20,17), cioè «non mi abbracciare», pudicamen
te tradotto «non trattenermi», come se il verbo fosse usato nella forma
attiva anziché media, come cioè se ci fosse scritto «pf| pou cotte». Ma
ria, dunque, era solita abbracciare Gesù. Se si pensa che Gesù è spes-
14 Giovanni 21, 5.
15 Giovanni 21, 6-7.
16 Giovanni 21, 4.
Sappiamo solo, dai Vangeli, dai Manoscritti del Mar Morto, da Giu
seppe Flavio e da Filone Alessandrino, che ai tempi di Gesù la figura
del Messia aveva ormai acquistato una valenza escatologica, e si era
identificata con quella di un liberatore chiamato ad instaurare il re
gno di Dio sulla Terra. Basandoci in Giuseppe Flavio, dovremmo dire
che il Messia fosse un capo guerriero a cui Dio avrebbe fatto vincere le
battaglie decisive per la liberazione di Israele. I Vangeli ci offrono
una immagine più spirituale e pacificatrice del Messia. Nei Mano
scritti del Mar Morto troviamo due figure messianiche, il messia di
Aronne, che avrebbe purificato il Tempio di Gerusalemme ricondu
cendolo alla sua funzione di tramite tra Dio e gli uomini, e il Messia di
David, che avrebbe regnato su Israele liberata. Si ha la netta impres
sione che ai tempi di Gesù la fortissima attesa messianica fosse con
nessa ad una polivalenza non sempre conciliabile dei significati con
cui il Messia era inteso.
4 Queste vicende sono raccontate aH’inizio del II libro della Guerra
giudaica di Giuseppe Flavio, nei primi cinque capitoli.
5 Etnarca, termine greco che significa letteralmente capo del popolo,
è un sovrano, di rango inferiore al re, che non può trasmettere eredi
tariamente il suo potere, e che non può esercitarlo indiscriminata
mente sul suo territorio, dove può comandare soltanto su una deter
minata stirpe della popolazione.
8 In Marco 1, 9 si dice che Gesù eI8 ev, cioè vide, seppe, che i cieli si
aprirono, e che lo Spirito discese cu? jispicrtEpàv, cioè similmente ad
una colomba. In Luca 3, 21 si dice che èyéveto, cioè accadde, che il
cielo si aprì, e che lo Spirito discese ocopaxiKw eìSei, cioè in forma
corporea.
9 Matteo 3,13-15.
10 Giovanni 1, 32.
setta religiosa nazorea o nazirea, cioè alla setta dei seguaci di Gio
vanni Battista (esistente ancora oggi in Iraq).
Qualche studioso ha creduto di poter identificare la città natale di
Gesù in Gamala, situata sulle alture a oriente del lago di Galilea (oggi
alture del Golan, tristemente famose perché elemento di contesa tra
Israele e Siria). Gamala potrebbe essere stata la città natale di Gesù
per una sua triplice caratteristica: si trovava presso il lago di Galilea,
sorgeva su un monte, ed era il centro della setta messianica di indi
rizzo zelotico dei galilei. Ma si tratta di nulla più che di una congettu
ra.
2 La data del 4 a. C. è quella della morte di Erode il Grande. Gesù
non può essere nato dopo tale data, perché sono concordi le attesta
zioni evangeliche che egli nacque al tempo del re Erode (del re Erode,
e non del tetrarca Erode o dell’etnarca Erode, per cui non può trattar
si né di Erode Antipa né di Erode Archelao). La data del 12 a. C. è
quella della comparsa, nel cielo dell’Oriente, della cometa di Halley,
che rappresenta l’evento più antico collegabile con la nascita di Gesù.
I Vangeli dicono infatti che quando nacque Gesù comparve in cielo
una stella. Essi parlando di stella, non di cometa, per cui è probabile
che Gesù sia nato nel 7 a. C., quando si ebbe una luminosa congiun
zione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci.
3 Come è detto in maniera del tutto esplicita in Marco 6, 3 e in M at
teo 13, 33. La supposizione che fossero cugini, perché in aramaico
esiste una sola parola (ach acha) per indicare sia il fratello che il cugi
no, è ridicola. I Vangeli sono stati scritti infatti non in aramaico, ma
in greco, e il greco ha vocaboli distinti per indicare ogni grado di pa
rentela. Se perciò i redattori dei Vangeli avessero inteso, anche tra
ducendo un testo aramaico, parlare di cugini, avrebbero scritto àveipiOL
Essi hanno invece scritto à&Ekpoi, che non vuol dire altro che fratelli
carnali.
4 Cfr. Marco 3, 31-35.
8 Se era nato sotto la stella del 7 a. C., aveva, quando andò a farsi
battezzare da Giovanni, trentadue anni (cfr. nota precedente). Ciò
concorda con un’altra attestazione di Luca (Luca 3, 23), secondo la
quale Gesù, quando iniziò il suo impegno religioso «aveva circa
trent’anni».
14 Matteo 21, 12-13; Marco 11, 15-17; Luca 19, 45-46; Giovanni 2,
13-16.
16 Cfir. Marco 11,16 dove è scritto « o ù k riqpisv iva xig òievévKr) c n c e tio g
8ià T o t) lepaò», dove aKEùog, in connessione con L e p ó g , è l’arredo sacro.
23 In Giovanni 2,1 9 Gesù dice Xuckxte tòv vaòv tctutov: il verbo che
viene solitamente tradotto con “distruggete” è Xvoaxt, che alla lettera
vuol dire “sciogliete”.
29 Giovanni 6, 32-33.
30 Giovanni 6,15.
ra, con una figura ben definita, né, tanto meno, chiariva
a coloro che se lo chiedevano se si considerasse il Messia
liberatore di Israele.3 Si limitava a dire che il suo tempo
non era ancora venuto.4
Poco dopo, attorno al 30 d. C., si fece promotore di un
proprio rito di immersione. Il redattore del quarto Van
gelo, dopo aver riferito a quel periodo l’autoproclamazio-
ne di Gesù quale Messia,567si trova in imbarazzo a parlare
di Gesù battezzatore, al punto da farvi prima soltanto un
brevissimo cenno,® e poi a contraddirlo, sostenendo che
non era Gesù a praticare il rito dell’immersione, ma era
no i suoi discepoli.?
Il rifiuto di Gesù di far precipitare lo scontro tra le
attese messianiche coagulatesi attorno alla sua figura e
l’aristocrazia sacerdotale sfociò insomma, ad un certo
momento, nella sua rinuncia ad ogni aspirazione imme
diata di regalità messianica, e nel suo ritorno alla prepa
razione battesimale dell’attesa del regno di Dio. Tale si
tuazione durò per alcuni anni.
Questo è quanto sappiamo dell’itinerario storico per
corso da Gesù negli anni meno conosciuti della sua vita,
quelli che abbiamo chiamato gli anni oscuri. E poco, ri
spetto a quello che vorremmo sapere di un periodo che è
stato piuttosto lungo, e durante il quale si è formata, tra
dubbi e contrasti, la personalità di Gesù. Ma è molto ri
spetto alla media di quel che sappiamo dei personaggi
dell’età antica della storia. Sappiamo, infatti, il senso
generale del suo percorso, e sappiamo la contraddizione
nella quale si dibatteva. Egli voleva intensamente giun
3 Giovanni 7, 40-43.
4 Giovanni 7, 6.
6 Giovanni 4, 26.
6 Giovanni 3, 22.
7 Giovanni 4, 2.
11 Marco 1, 15.
12 Matteo 11,12.
13 Matteo 4, 17.
14 jteX.f| porcai ò Kaipóg. La forma verbale jteXf|parcai è il perfetto me
dio di nX-ripóco, che significa “riempio”, “colmo”, e quindi “porto a com
pimento”. Il soggetto a cui è riferito è Kcupóg, il tempo, inteso però non
come durata (altrimenti sarebbe stato usato il termine xpóvog), ma
come momento adatto per qualche realizzazione.
21 È ben vero che esistono anche parabole di Gesù nelle quali il re
gno di Dio viene inteso come un evento che sopravviene inaspettato.
Poiché però sono molto più numerose le parabole che presentano l’av
vento del regno di Dio come un processo di maturazione storica, raffi
gurandolo come lo sviluppo di un lievito o la germinazione di un seme,
le prime devono essere considerate sotto un aspetto diverso. La loro
più logica spiegazione è che siano il risultato di una sovrapposizione,
sulle parole originarie di Gesù, dell’attesa, da parte delle prime co
munità cristiane, della seconda venuta del Cristo, assimilata all’av
vento del regno di Dio. Una cosa tuttavia colpisce, e cioè che tutte le
parabole che presentano il regno di Dio come un evento che soprav
viene inatteso nell’ignoto futuro, sono collocate nelle narrazioni evan
geliche durante la predicazione di Gesù negli ultimi suoi giorni a Ge
rusalemme. È quindi anche possibile che Gesù, prospettandosi la sua
morte, avesse mutato, in relazione ad essa, l’ottica con cui guardare
al regno di Dio.
24 Marco 8,11-12.
28 Luca 12,49.
29 Luca 12, 51.
32 Giovanni 1, 38-42.
36 Luca 4, 21.
37 Luca 4,28-30.
43 Marco 2,19.
44 Marco 2,23-28.
Gesù 119
U omo nella storia
6. Gesù n ell’orizzonte d i Gerusalemme
3 Matteo 16, 21-23. Gli anziani sono i capi dei più ricchi clan paren
tali, ammessi di diritto al Sinedrio anche se privi del rango sacerdota
le.
4 Matteo 11,16-19.
14 tic; àcr0Evcòv Accapo?, dice il testo greco (Giovanni 11, 1), dove il
participio di ào0 evéco può voler dire malato, ma anche semplicemente
debole, spossato, fiacco.
15 CTUjwpépEi iva elg avOpcoirog cmoOavr) iuièp toù >.aoù Koà [xp òX.ov tò
è'0vog àjióÀi'|tai (Giovanni 11, 50). La traduzione «un uomo al posto
del popolo», che a volte si trova, è chiaramente sbagliata, perché ùjtèp
con il genitivo indica il vantaggio.
16 Giovanni 11, 53.
17 Giovanni 11, 47-48.
18 Giovanni 1 2 ,1 - 3 .
• 19 Matteo 2 6 , 6-7; Marco 1 4 , 3; Luca 7 , 3 6 -3 8 .
1 Matteo 1 7 ,1 2 - 1 3 .
11 Giovanni 18,13.
14 Luca 22,66-71.
15 Matteo 27, 1; Marco 15, 1.
16 Giovanni 18, 28.
21 Giovanni 19, 6.
22 Giovanni 19,12.
23 Secondo tutti e quattro i Vangeli Gesù morì una vigilia del sabato,
cioè un venerdì. Per i Vangeli sinottici quel venerdì era il giorno di
Pasqua (il quattordicesimo del mese di Nisan). Per il Vangelo di Gio
vanni quel venerdì era invece la vigilia della Pasqua (cioè il tredicesi
mo giorno del mese di Nisan). Sembra più attendibile l’indicazione di
Giovanni, perché un’esecuzione capitale nel giorno di Pasqua sarebbe
stata offensiva per i costumi ebraici. Secondo tale indicazione, tutta
via, la Pasqua dell’anno in cui morì Gesù sarebbe caduta di sabato, e
ciò sembrerebbe in contraddizione con la cronologia da noi adottata.
Nel decennio del governo di Pilato, infatti, la Pasqua (il quattordici
Nisan) cadde di sabato due sole volte: l’8 aprile del 30 d. C. e il 4 aprile
del 33 d. C .. Non dovrebbe quindi Gesù essere morto nel 30 o nel 33,
e non nel 36 d. C.? Abbiamo visto a suo tempo le concordanze cronolo
giche che impongono di fissare la morte di Gesù al 36 d. C. . Questa
data non è contraddetta dal fatto che allora la Pasqua sia caduta di
sabato. Il calendario ebraico fissava infatti la Pasqua al quattordice-
1 Matteo 27, 57-58; Marco 15, 43; Luca 23, 50; Giovanni 19, 38.
2 Marco 15, 44.
3 H ugh S chonfield , Cristo non voleva morire, Tinaldo Editore, 1968.
7 L’amore più grande è dare la vita per i propri amici, dice Gesù in
Giovanni 12,13. Anche per lui, quindi, come per molti filosofi greci la
<piXia è l’architrave di ima vita sensata. Alla base stessa dell’amore,
quindi, c’è la «piXXa, intesa come condivisione di intenti spirituali, de
clinata da Gesù come condizione della speranza nell’avvento storico
del regno di Dio.
8 Giovanni 12,12-15.
9 Matteo 25,35-40.
17 Giovanni 8, 32.
18 Nel testo evangelico c’è un pregnante «ó jtoiròv xr)v ctX.r|0ewxv», che
vuol dire alla lettera “colui che fa la verità”.
D io n el P e n sie ro
Ringrazio l’amico fraterno Marino Badiale, ordinario di Matema
tica alla Scuola Normale Superiore di Pisa, per la feconda collabora
zione nella stesura del testo finale di questo saggio.
Costanzo Preve
1. Prologo
4 Nello stesso tempo, il fatto che nel quinto libro AeWEtìca Spinoza
tematizzi la saggezza umana in modo indubbiamente “soggettivisti-
Ge s O 246 D io n el pensiero
C ostanzo P reve
mico sta nel fatto che l’imbecille sega il ramo su cui era
seduto, l’elemento tragico sta nel fatto che lo sventurato
si sfracella orribilmente al suolo, l’elemento dialettico sta
nel fatto che l’imbecille e lo sventurato sono la stessa per
sona.
La storia del materialismo dialettico, la “filosofia ide
ologica” di legittimazione del comuniSmo storico novecen
tesco, è dunque un episodio della storia del nichilismo, e
di essa fa parte integrante anche l’ateismo militante che
ne è una componente subordinata. Altrove chi scrive ne
ha seguito in dettaglio le vicende tragicomiche. In questa
sede basterà però averne mostrato il meccanismo per
verso di riproduzione.
come del resto era già chiaro negli anni Sessanta quando era ancora
in vita. La concezione erronea del modo di produzione capitalistico
che Lukàcs si portava dietro fino dagli anni Venti presupponeva in
fatti il postulato della capacità storica intermodale del proletariato
come classe generale, e pertanto della riformabilità del suo partito
politico. Si tratta di due postulati tolemaici che non permettono nes
suna rivoluzione scientifica copernicana, ed è chiaro che non esiste
soluzione intermedia fra il loro mantenimento ed il loro abbandono
conclamato. E così Lukàcs si attarda penosamente a polemizzare con
l'ateismo religioso di Schopenhauer o di Heidegger, senza capire che
l’ateismo religioso è direttamente e senza mediazioni l’economia capi
talistica, esteriorizzata nella forma della tecnica. Lukàcs, che resta
comunque il più grande filosofo marxista del Novecento (certo, molto
superiore allo stesso Althusser), è evidentemente convinto che vi sia
sempre una borghesia progressista (sostenitrice di Hegel e di Hus
serl) con la quale il proletariato marxista deve allearsi, contro la bor
ghesia reazionaria (sostenitrice di Nietzsche e di Heidegger). In que
sto modo l’epoca dei fronti popolari della metà degli anni Trenta è
trasfigurata in periodo storico epocale, e ci si preclude ogni possibilità
di comprensione delle novità storiche presenti.
In secondo luogo, Lukàcs cerca effettivamente di ristabilire l’ordine
veritativo che mette in successione dal basso in alto prima l’ideologia
(come forma di coscienza primaria da superare), poi l’epistemologia
(come correzione scientifica delle illusioni ideologiche e modellizza-
zione di una forma adeguata di certezza conoscitiva) ed infine la filo
sofia (come luogo della verità logica ed ontologica). E per questo, e
solo per questo, che gli concediamo volentieri il titolo di maggiore filo
sofo marxista del Novecento. Ma questo suo tentativo è talmente in
certo, contraddittorio e compromissorio, a causa della sua ripetuta
proclamazione di intemità al comuniSmo storico novecentesco, stali
nismo compreso, da vanificare nei fatti questa intenzione soggettiva.
Ed è per questo doppio ordine di ragioni che la sua interpretazione di
Nietzsche ha oggi esclusivamente un valore storico.
M a s s im o B ontem pelli
C o st a n z o P reve
1. P r o l o g o ....................................................................................................... 183
2. I n cosa cred o n o i c red en ti
303
4. I l D io d i H o b b e s ............................................................................. 2 0 1
5 . I l D io di P a s c a l .................................................................................... 2 0 6
6 . I l C r ist o di P a s c a l ..............................................................................2 0 9
7. I l D io di S p in o z a ................................................................................... 2 1 2
8. I l C r ist o di S p in o z a .................... ........................................................2 1 7
9. I l D io r a g io nevole di L o c k e ............. ............................................. 2 1 9
10. L a r e l ig io n e scettica d i H u m e .................................................... 2 2 4
11. L ’a t e is m o
ED IL MATERIALISMO FRANCESE DEL SETTECENTO ..................... 2 2 8
1 2 . I l D io e d il C r isto di K a n t ........................................................... 2 3 3
1 3 . I l C r ist o di H e g e l ............................................................................ 2 3 8
1 4 . I l D io di H e g e l ..................................................................................2 4 3
15. L a Vita di Gesù d i S t r a u s s ..........................................................2 4 6
1 6. I l D io d i F e u e r b a c h ....................................................................2 4 9
1 7. T r e sig n ifica ti
1 9. I l m a r xism o co m e a g n o s t ic is m o .
L ’e s e m p io d i A l t h u s s e r ....................................................................2 6 6
20. Il marxismo com e m eta fisic a .
U n c h ia r im e n t o in d is p e n s a b il e ..................................................... 2 7 2
2 1 . Ancora su l m arxism o .
2 2 . I l D io ed il C r isto di N ie t z s c h e ................................................. 2 8 5
2 3 . L’in terpr eta zio n e veritativa della storia
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Finito di stampare
nel mese di novembre 1997
presso la Tipografìa C .R .T ,
Cooperativa sociale di Pistoia.