Con termine aprassia s’intende un deficit primitivo dell’attività motoria, che compare
specificamente durante l’esecuzione intenzionale di un movimento finalizzato. Si può parlare di
aprassia quando il deficit riscontrato non è attribuibile a disfunzioni nella ricezione dell’input (deficit
sensoriali come cecità, sordità, disturbi di comprensione, anestesia tattile, agnosie) né nella
produzione dell’output (motorio primario: paresi, tremore, ipocinesia, atassia).
Inoltre, l’aprassia è caratterizzata dalla dissociazione automatico/volontario, è quindi possibile che
in situazioni strutturate (su richiesta nell’ambito di una valutazione neuropsicologica) il paziente
aprassico non riesca ad eseguire il gesto richiesto a differenza di quanto accade in contesti familiari,
dove la sollecitazione è ambientale e l’esecuzione spontanea.
Modello classico
Hugo Liepmann è stato il primo a proporre un modello neurofisiologico del disturbo aprassico
distinguendo tra 3 forme di aprassia: ideativa, ideomotoria, melocinetica.
L’aprassia ideativa corrisponde ad un deficit nell’ideazione del programma motorio (“progetto
d’azione”) da attuare, quindi il paziente non sarebbe in grado di rappresentarsi la sequenza di
movimenti da eseguire.
L’aprassia ideomotoria corrisponde ad una difficoltà nell’implementare la sequenza di gesti (ideata
correttamente) in un adeguato schema motorio, costituito dalle memorie cinestetiche. Questa
forma emerge quando viene chiesto al paziente di eseguire un’azione su comando verbale e su
imitazione.
L’aprassia melocinetica infine consiste nell’incapacità di utilizzare memorie cinestetiche (“engrammi
cinestetico-innervatori”) perché danneggiate a causa di una lesione. In questo caso sono interessati
dal deficit più i movimenti complessi che quelli semplici.
Il circuito principale che controlla l’organizzazione intenzionale del gesto va dalle regioni retro-
rolandiche parieto-temporo-occipitali fino alla regione premotoria omolaterale; da cui
l’informazione è proiettata alla corteccia motoria omolaterale e, tramite il corpo calloso, alla
corteccia premotoria controlaterale (De Renzi e Faglione ritengono che il passaggio tra i due emisferi
avvenga anche a livello dei lobi parietali). Una lesione in una regione di questo circuito provoca i
differenti tipi di disfunzioni prassiche, in particolare: la lesione delle regioni retrorolandiche provoca
AI, una lesione delle connessioni tra queste regioni ed il “senso-motorio” provoca AIM, ed una
lesione a carico del “senso-motorio” provoca AM.
Generalmente, nei destrimani, le lesioni sono sinistre ed interessano entrambi gli arti ad eccezione
dell’AM, dove è interessato l’arto controlaterale.
Aprassia ideativa
L’aprassia ideativa di manifesta come l’incapacità di utilizzare oggetti d’uso comune, sia presi
singolarmente che utilizzati in una sequenza complessa.
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Secondo De Renzi e Lucchelli [1988], l’AI sarebbe dovuta ad un’amnesia d’uso, per cui i pazienti non
sarebbero in grado di accedere al repertorio semantico delle caratteristiche funzionali degli oggetti
(infatti risulta danneggiata la corteccia posteriore dell’emisfero sinistro, in particolare la parietale
posteriore sembra attivarsi di fronte all’uso di oggetti). Può manifestarsi a seguito di lesioni focali
vascolari, ma anche in concomitanza con demenze.
Aprassia ideomotoria
Il paziente può sapere quale azione eseguire (rappresentazione), ma non come realizzare quel
determinato movimento. Emerge bene nei compiti di imitazione e su comando verbale e si mostra
con incertezza nel movimento, sostituzioni con altri gesti, gesti goffi, deficit nella successione dei
gesti, conduite d’approche (correzioni spontanee). Consegue a lesioni parietali inferiori e dell’area
premotoria dell’emisfero sinistro, e a lesioni del corpo calloso (in questo caso colpisce solo l’arto
controlaterale).
Aprassia melocinetica
I azienti con AM mostrano di solito movimenti goffi e incompleti con la mano controlaterale al lato
della lesione. In questa forma di aprassia non si osserva la dissociazione automatico/volontario e
consegue a lesioni focali (eziologia prevalentemente vascolare) delle arre corticalis sensoriali e
motorie primarie.
Si presenta come deficit nei movimenti del tronco (muscolatura assiale) e consegue di solito a lesioni
bilaterali frontali, spesso insieme con aprassia della stazione eretta e della marcia.
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Modello cognitivo
Il modello di Rothi, Ochipa e Heilman [1991] supera la classificazione di Liepmann. Esso postula due
vie di elaborazione per la produzione di gesti: la prima non lessicale (sublessicale), coinvolta
nell’imitazione dei GNS (gesti intransitivi non significativi), mentre la seconda lessicale, sarebbe
coinvolta nel riconoscimento, comprensione e produzione di gesti significativi (GT, GIS).
La via lessicale segue l’attivazione di rappresentazioni dei movimenti conosciuti immagazzinati nei
lessici di azione (“piani di azione”). Il lessico d’ingresso è coinvolto nel riconoscimento dei GIS e dei
GT, mentre quello di uscita contiene le rappresentazioni del programma motorio. Il collegamento
tra i due lessici può essere diretto o mediato dal sistema semantico; esso contiene le memorie
relative alla funzione degli oggetti, significato di gesti convenzionali, modalità di sequenzizazzione
dei movimenti elementari. Infine il programma motorio del lessico d’uscita è tradotto in schemi
motori (engrammi). Mentre la vista dell’oggetto ed il comando verbale attivano la via indiretta,
l’imitazione attiva la via diretta che indiretta.
In un compito di imitazione, un danno alla via lessicale fa imitare gesti appresi in maniera meno
accurata di quelli nuovi; viceversa un danno alla via sublessicale (diretta) permette di imitare meglio
gesti già appresi rispetto a quelli nuovi (aprassia visuo-imitativa). Un danno al lessico d’entrata non
dovrebbe permettere di distinguere gesti nuovi da quelli già noti (agnosia per le pantomime); un
paziente con sistema semantico danneggiato non dovrebbe essere in grado di esprimere le proprie
conoscenze su azioni, oggetti (aprassia concettuale) e dovrebbe presentare incapacità di mimare
un’azione nota su comando verbale. Il danno al sistema semantico è considerato la causa principale
dell’AI. Infine un danno al lessico d’azione in uscita dovrebbe permettere di produrre solo gesti su
imitazione.
Nei casi di lesioni frontali è tipico un alterato controllo volontario del movimento, tuttavia con alla
base una corretta programmazione di quest’ultimo. Un disturbo classico è di solito riconosciuto
come sindrome della “mano anarchica” (o aliena). Si tratta di movimenti involontari che
interferiscono spesso con le azioni desiderata effettuate con l’altra mano. Di solito i pazienti
riconoscono la mano come propria e sono imbarazzati dalla bizzarria del loro stesso
comportamento; i movimenti inusuali più comuni sono:
- Mano anarchica (movimenti finalistici complessi involontari da parte della mano non
controllata).
- Conflitto intermanuale (una mano interferisce con le azioni dell’altra)
- Movimenti speculari (una mano imita le azioni compiute dall’altra)
- Sincinesie facilitatorie (il paziente non riesce ad effettuare azioni con una mano sola, ma vi
riesce con entrambe).
- Riflesso di prensione forzata (elicitato dal contatto diretto con un oggetto)
- Prensione compulsiva di oggetti (impulso ad inseguire uno stimolo che si allontana)
- Comportamento di utilizzazione (manipolazione compulsiva di oggetti)
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Quest’ultimo di solito riguarda ambo gli arti in assenza di competizione. Il termine fu
introdotto da Lhermitte [1986], che lo indicò come un aspetto di una sindrome da
dipendenza ambientale. Tipico è il comportamento di imitazione. In questo caso i pazienti
riconoscono la/e mano/i come propria/e ma non sembrano turbati a differenza della mano
anarchica.
Il fenomeno della mano anarchica di solito coinvolge la corteccia frontale mesiale (area
motoria supplementare, giro del cingolo anteriore), il corpo calloso anteriore o entrambi.
Secondo Marchetti e Della Sala [1998] la lesione dell’SMA e del corpo calloso determina
mano anarchica nell’arto controlaterale a conflitto intermanuale. Lesione del solo corpo
calloso è facilmente reversibile. Invece lesioni frontomesiali con risparmio del corpo calloso
comporterebbero movimenti speculari.
Goldberg e Bloom [1990] hanno proposto la teoria del doppio sistema premotorio, secondo
cui due sistemi, corteccia frontale mesiale (SMA e giro del cingolo) e laterale (premotoria)
controllano l’attività dell’area motoria primaria e si inibiscono a vicenda. Il sistema mediale
è responsabile dell’attività generata dalle intenzioni del soggetto, mentre il sistema laterale
è guidato dagli stimoli esterni. Un danno al sistema mediale porta la mano anarchica, mentre
un danno al sistema laterale porta a comportamenti di utilizzazione (lesione bilaterale SMA).
Nel primo caso i pazienti sono in grado di rappresentare le proprie intenzioni motorie e
percepiscono la discrepanza; nel secondo caso i pazienti sono deficitari nella formulazione
di intenzioni motorie, per cui commettono atti non intenzionali e solo a posteriori li
giustificano provando a dare una spiegazione plausibile. Una lesione delle aree mesiali
potrebbe anche spiegare comportamenti di imitazione come danno ai sistemi mirror.
Infine è stato proposto che il comportamento di utilizzazione sia dovuto a una lesione
orbitofrontale, per cui i pazienti non comprendono il contesto d’esame né le richieste
dell’esaminatore per un disturbo delle abilità sociali.
Recentemente è stato visto che alcuni pazienti possono manifestare incapacità di realizzare
una corretta sequenza di azioni in contesti quotidiani, questo deficit è stato descito come
“sindrome di disorganizzazione delle azioni” (SDA). Più che come segno specifico di lesione
frontale (quindi nel programmare e monitorare le azioni), tale deficit è stato ipotizzato
essere causato da una riduzione delle risorse cognitive generali; risulta così difficile svolgere
compiti sempre più complessi per il fallimento nella selezione nella competizione tra vari
schemi motori.
Modello computazionale
Cooper [2002] riprende la teoria di Norman e Shallice [1986] del doppio sistema di controllo
delle azioni e la adatta alla descrizione dell’aprassia. La teoria del doppio sistema di controllo
ritiene che il comportamento sia controllato da un sistema automatico CS (Contention
Scheduler) e dal sistema supervisore attenzionale (SAS). Il CS possiede degli schemi di azioni
già strutturati per sopperire alle necessità di compiti quotidiani; il SAS invece opera in
situazione nuove e/o insusuali, modulando l’attività del CS e formando le corrette sequenze
di azione. Rispetto a questo sistema, l’aprassia ideativa corrisponderebbe ad un disturbo
delle conoscenze procedurali depositate nel CS; l’aprassia frontale deriverebbe da un deficit
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del SAS nel regolare l’attività del CS, portando quindi ad una difficoltà a rigettare le
alternative sbagliate elicitate dall’ambiente.
Relativamente pochi studi hanno valutato il ruolo delle lesioni frontali, questi in generale
sembrano avere deficit meno gravi rispetto a pazienti con lesioni parietali, e sembrano
essere coinvolgere più la produzione del gesto anziché la comprensione e la
discriminazione. L’area motoria primaria è coinvolta nell’esecuzione dell’azione. L’SMA
posteriore e l’area premotoria dorsale sembrano essere coinvolte nella formazione degli
engrammi; la memoria di lavoro invece sarebbe sostenuta dalla corteccia frontale
dorsolaterale. L’area di Broca e la vicina corteccia premotoria ventrale si attivano su
comando e imitazione e quando viene anche solo osservato un gesto: sono parte del
sistema mirror. Il sistema mirror frontoparietale potrebbe corrispondere alla via
sublessicale del modello cognitivo, tuttavia è stato suggerito che può contribuire alla
formazione di rappresentazioni motorie complesse.
L’SMA anteriore invece sarebbe coinvolta nella selezione delle azioni, mentre il cingolo
anteriore nell’inibizione degli atti motori non rilevanti.
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Disturbi visuo-spaziali
Mediante le proprie funzioni senso-motorie l’uomo è in grado di avere cognizione dello
spazio circostante, di muoversi all’interno di esso e di conoscere la posizione del proprio
corpo nello spazio. Inoltre, egli può dirigere la propria attenzione verso regioni dello spazio
per avere un’elaborazione più accurata e veloce degli stimoli. Sebbene l’esperienza spaziale
è unitaria, essa è composta da molteplici rappresentazioni e diversi tipi di attenzione
spaziale; un danno selettivo ad una di queste funzioni può produrre deficit specifici.
Manifestazioni cliniche
I test di uso più frequente sono carta e matita: cancellazione di bersagli, bisezione di un
segmento, disegno a memoria o tramite copia, lettura.
Estinzione del doppio stimolo: il paziente è in grado di elaborare un singolo stimolo posto
nella parte ipsilesionale o controlesionale dello spazio. Quando sono presentati due stimoli
nelle due parti dello spazio egli estingue quello nella parte controlesionale; questo può
avvenire per stimoli della stessa modalità sensoriale (estinzione unimodale) o per stimoli di
diverse modalità sensoriali (estinzione crossmodale).
Interpretazioni
Le interpretazioni si distinguono in 2 gruppi: quelle che inquadrano l’eminegligenza come
un deficit senso-motorio periferico e quelle che la inquadrano come un deficit di livello più
elevato.
Le prime, popolari tra gli anni ’50 ’60, sono incompatibili con le osservazioni di pazienti con
neglect senza deficit senso-motori; inoltre la prevalenza emisferica del disturbo fa pensare
ad una disfunzione cognitiva; infine, è riscontrata eminegligenza anche per immagini
mentali (esperimento della piazza del Duomo di Milano).
Le seconde si distinguono in:
- Ipotesi attenzionali: l’emisfero destro e sinistro permettono di dirigere l’attenzione verso lo
spazio controlesionale, ma essendo leso l’emisfero destro si creano problemi di
orientamento dell’attenzione vero lo spazio ipsilesionale e di disancoraggio dallo spazio
controlesionale.
- Ipotesi rappresentazionali: la rappresentazione interna avviene solo per lo spazio
ipsilesionale, ma non è in contrasto con la prima, in quanto l’orientamento dell’attenzione
può essere visto come l’attivazione di una rappresentazione.
- Ipotesi di deficit multicomponenziale: il neglect sarebbe causato da un complesso di deficit
selettivi, per questo le diverse manifestazioni possono essere isolate (eminegligenza
spaziale o personale; neglect percettivo o premotorio; neglect della rappresentazione
egocentrica o allocentrica; neglect sinistra-destra o altitudinale; deficit “produttivi”).
- Ipotesi dell’analisi senza consapevolezza: Il paziente può elaborare informazioni senza
saperle riportare esplicitamente (prova della casa in fiamme; associazione di parole (torre-
fazione, caffè)).
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L’asimmetria emisferica potrebbe essere spiegata col fatto dall’emisfero di destra partono
due vettori attenzionali verso il lato ipsilesionale e controlesionale; mentre dall’emisfero di
sinistra solo verso il lato controlesionale.
Basi neurali
Mentre è confermato il ruolo di una lesione del lobulo parietale inferiore e della giunzione
temporo-parietale nell’eminegligenza; anche lesioni di altre regioni corticali (regione
premotoria e temporale superiore) e sottocorticali (nuclei posteriori del talamo, gangli
della base) possono causare eminegligenza. Infine, possono essere coinvolti anche i fasci di
sostanza bianca che connettono il lobulo parietale inferiore e i nuclei posteriori del
talamo). Il deficit è più grave, più le lesioni sono estese.
Aprassia costruttiva
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Per questo è opportuno somministrare prove relativamente semplici, perché compiti
complessi rischiano di essere poco informativi. L’AC può conseguire a lesioni ad entrambi gli
emisferi, ma più spesso pazienti destri mostrano il deficit.
L’AC è comune nell’ Alzheimer avanzato e non è secondaria ad aprassia degli arti; nel caso di
lesioni frontali saranno maggiori i deficit esecutivi (corteccia frontale dorsolaterale), mentre
nel caso di lesioni posteriori (parietale posteriore, insula, circuiti temporo-parietali) saranno
più evidenti deficit visuo-spaziali. Si può accompagnare ad anosognosia.
Mentre in pazienti con lesioni posteriori sembra essere compromessa la capacità di analisi
delle relazioni spaziali, nei pazienti frontali sono compromesse le abilità di programmazione
motoria. Questi dati sembrano confermati dal fatto che i primi migliorano le proprie
prestazioni quando vengono dati punti di riferimento spaziali; mentre i secondi migliorano
se viene suggerito un piano di copia. I pazienti frontali presentano difficoltà soprattutto nella
copia di figure complesse (figura di Rey) [Grossi e Trojano, 2001].
Le perseverazioni si presenta spesso nei pazienti frontali con disturbi del disegno (continua
o ricorrente). Insieme ad essa può presentarsi anche rotazione nella copia rispetto al
modello, pur rispettando la relazione tra le parti del disegno.
Nella ricostruzione di modelli bi- e tridimensionali può verificarsi il fenomeno del closing-in
(spesso presente in AD avanzati). I pazienti non in grado di strutturare lo spazio vuoto,
possono aver bisogno di prendere un punto di riferimento nel modello; è una strategia per
compensare deficit visuo-spaziali o di memoria spaziale a breve termine.
Nel caso dei pazienti frontali il closing-in può emergere in assenza di deficit nell’elaborazione
spaziale; prova ne è il fatto che se viene fornito un punto di riferimento da cui iniziare il
disegno, il closing-in sembra non manifestarsi. Questo fenomeno può essere spiegato come
la liberazione di comportamenti elementari normalmente inibiti dalle aree frontocorticali,
come nella sindrome di dipendenza ambientale.
Danny-Brown e Chalmers [1958] ritengono che il funzionamento del sistema nervoso sia
determinato da comportamenti di avvicinamento e di allontanamento. La lezione frontale
inibirebbe il controllo sui comportamenti di avvicinamento regolati dai lobi parietali.
Pazienti con lesioni frontali non presentano di solito deficit di memoria immediata spaziale;
questa infatti è sostenuta soprattutto da circuiti posteriori. Tuttavia lesioni dorsolaterali
possono provocare prestazioni deficitarie quando il compito richiede prestazioni visuo-
spaziali differite nel tempo, o implica la manipolazione delle informazioni (span differito,
span all’indietro). Queste sono le funzioni della working memory, specializzata a destra in
compiti spaziali, a sinistra in compiti verbali. La WM ha 2 sottocomponenti: “mantenimento”
e“ripasso attivo” [Baddeley, 2003]. La funzione di mantenimento è localizzata in corteccia
parietale, mentre quella di ripasso in corteccia premotoria.
E’ discusso il ruolo delle regioni prefrontali nella WM. La prima posizione (teoria dominio-
specifica) sostiene che la corteccia dorsolaterale, connessa al circuito dorsale,
manipolerebbe le informazioni visuo-spaziali; la corteccia ventrolaterale, connessa al
circuito ventrale, manipolerebbe le informazioni relative all’identità ed il colore degli oggetti.
La seconda posizione (teoria processo-specifica) ritiene che la WM sia coinvolta nei processi
di elaborazione a prescindere dal tipo di materiale. La corteccia ventrolaterale
organizzerebbe le sequenze di risposta in funzione delle memorie tratte dalle aree posteriori
(ponte tra MLT e MBT); la corteccia dorsolaterale sarebbe coinvolta nei compiti che
implicano manipolazione e monitoraggio di informazioni depositate nella MBT.
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Disturbi di memoria
La memoria è un complesso sistema che comprende diverse funzioni. Può essere distinta in una
memoria a breve termine (MBT), relativa alla ritenzione momentanea di informazioni, ed in una
memoria a lungo termine (MLT) che regola la ritenzione duratura di esse. La MLT può essere a sua
volta suddivisa in una memoria episodica (conoscenze legate ad episodi vissuti) ed in una memoria
semantica (conoscenze possedute e non dipendenti da ricordi specifici); queste componenti fanno
parte della memoria dichiarativa o esplicita (consapevole). Un’altra componente della MLT è la
memoria implicita (inconsapevole) che comprende la memoria procedurale (abilità motorie,
percettive, cognitive), le conoscenze legate alla facilitazione (“priming”) e i comportamenti derivanti
dal condizionamento.
I processi che regolano la memoria sono la codifica (elaborazione iniziale dell’informazione), il
consolidamento (generazione di una traccia mnestica) che porta all’immagazzinamento
(registrazione permanente della traccia), e il recupero (richiamo delle informazioni).
Vi sono pazienti con deficit selettivi in alcuni di questi ambiti di memoria.
Un’informazione udita ha bisogno di essere ritenuta per il tempo del suo utilizzo affinché non vada
persa. Questa quindi entra in un magazzino fonologico a breve termine e viene tenuta attiva
attraverso la funzione di ripasso articolatorio. Queste due componenti formano la MBT uditivo-
verbale o circuito fonologico.
I deficit selettivi della MBT sono rari e spesso emergono casualmente in un esame neuropsicologico.
Le cause più frequenti sono danni vascolari sinistri in sede parietale inferiore, temporale postero-
superiore e frontale inferiore. Questi casi sono valutati classicamente con prove sullo span di
memoria.
I deficit di memoria episodica conseguenti a lesioni cerebrali o traumi psicologici prendono il nome
di amnesie. Questi possono riguardare la capacità di apprendere nuove informazioni a partire
dall’insorgenza della malattia (amnesia anterograda) o di ricordare eventi precedenti alla malattia
(amnesia retrograda) o entrambi i tipi (amnesia globale). La memoria autobiografica è una
particolare forma della memoria retrograda e anterograda. E’ controverso il ruolo della memoria
semantica negli amnesici; nel caso di H.M., a cui furono asportati 2/3 del lobo temporale mediale
anteriore bilateralmente, si presentava un’amnesia anterograda; un’amnesia retrograda per episodi
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precedenti l’intervento; intelligenza, linguaggio, percezione, MBT normali; memoria procedurale
intatta (disegno della stella allo specchio, riconoscimento di un’immagine disvelata
progressivamente nelle sue parti); la memoria semantica invece sembrava intatta ma HM non era
in grado di apprendere alcuna nuova nozione. Ciò ha fatto supporre che l’ippocampo sia implicato
nell’acquisizione e consolidamento di informazioni nuove, ma non nel mantenimento di
informazioni precedenti all’evento che ha provocato l’amnesia.
Sul ruolo dell’ippocampo vi sono due teorie: il modello standard è quella appena citata; la teoria
della traccia multipla ritiene che l’ippocampo sia sempre coinvolto nel ricordo perché riattiva il
contesto dell’episodio in cui è avvenuto l’apprendimento. Una volta che l’evento è richiamato di
costruisce una nuova traccia, per questo gli eventi meno recenti possono essere ricordati più
facilmente se hanno un elevato numero di tracce mnestiche.
Non solo il lobo temporale mediale è coinvolto nelle amnesie. Lesioni frontobasali (nuclei mediali
del setto) possono provocare amnesia. Al livello del diencefalo, lesioni del Circuito di Papez (nucleo
dorsomediale del talamo, corpi mamillari, fascio mamillo-talamico), a causa di problemi vascolari,
tumorali, traumatici, dovute all’etilismo (carenza di vitamina B1), possono provocare amnesia.
L’amnesia da alcolismo cronico prende il nome di sindrome di Korsakoff e si associa spesso a
confabulazioni. Infine l’amnesia si può associare ad anosognosia.
Amnesia post-traumatica
Si riferisce ad un periodo di durata variabile (da minuti a settimane) in cui il paziente è confuso e
presenta amnesia retrograda e anterograda. In genere è anosognosico. Quando la persona comincia
a riapprendere informazioni si può ritenere che il disturbo sia concluso.
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comprende vari processi: codificazione dell’intento, intervallo di ritenzione, intervallo di esecuzione,
esecuzione, valutazione. La difficoltà negli anziani sta nel fatto di dover ricordare qualcosa in
relazione ad un momento preciso; la memoria retrospettiva di solito porta a ricercare informazioni
specifiche su ciò che bisogna ricordare, quindi a facilitare il processo.
1. Ipotesi del deficit di codificazione: gli amnesici non sarebbero in grado di operare
un’elaborazione profonda delle informazioni, tuttavia l’effetto di facilitazione è di solito
minimo. Questa è improbabile.
2. Ipotesi del consolidamento della traccia: il paziente amnesico non sarebbe in grado di
consolidare in modo stabile nuovi ricordi. Questa contrasta con i casi di amnesia retrograda
che si espande a più di alcuni minuti.
3. Ipotesi del deficit di richiamo: o l’amnesico non sa selezionare le risposte appropriate in
corrispondenza di stimoli (ma facilitazioni in questo senso sembrano non aiutare), o il
richiamo dipende strettamente dalla codifica.
4. Ipotesi del contesto: gli amnesici non sanno come utilizzare le informazioni contestuali per
richiamare o codificare gli eventi.
Pazienti con ampie lesioni frontali possono presentare problemi di memoria se i danni
coinvolgono strutture diencefaliche. Lesioni circoscritte in sede frontale invece comportano
una dissociazione tra prove di rievocazione libera (deficitarie) e riconoscimento (preservate).
Ciò potrebbe essere spiegato con l’incapacità di adottare strategie di recupero adeguate per
richiamare informazioni possedute.
I pazienti con lesione dorsolaterale [Gershberg, Shimamura, 1995] hanno difficoltà in compiti
di rievocazione libera perché sembra che adottino una scarsa organizzazione soggettiva del
materiale da ricordare ed una normale organizzazione seriale. In un altro esperimento gli
stessi autori hanno dimostrato una scarsa capacità di utilizzo di strategie di raggruppamento
semantico. Infine, in un terzo esperimento fu visto che se venivano forniti dei suggerimenti
durante la presentazione del materiale, la prestazione migliorava. Anche la prestazione a
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prove di apprendimento incidentale [Mangels, 1997] (dove i partecipanti non sanno di dover
ricordare il materiale mostrato) ha mostrato una capacità preservata di memoria nei pazienti
frontali dorsolaterali. Sembra che siano deficitarie le strategie di codifica, dunque.
Il materiale depositato poi, può essere rievocato tramite recupero associativo (funzione dei
lobi temporali mediali) o recupero strategico (funzioni prefrontali), restringendo sempre più
il campo di informazioni contestuali fino a recuperare il ricordo ricercato. Gershberg e
Shimamura [1995] nel terzo esperimento hanno fornito suggerimenti anche nella fase di
recupero (presentando la lista di categorie a cui appartenevano le parole). I pazienti frontali
miglioravano anche in questo caso, dimostrando difficoltà nell’adozione di strategie di
recupero.
Nelle prove di memoria i pazienti frontali hanno difficoltà ad inibire risposte inappropriate,
controllare il prodotto del recupero, verificare la correttezza e la congruità col contesto.
Questo porta ad omissioni, falsi riconoscimenti ed intrusioni. In generale si può definire
come una difficoltà del working with memory.
Secondo Shimamura [2000] la corteccia prefrontale agirebbe come un filtro dell’attività delle
regioni posteriori, inibendo le attività irrilevanti e incrementando quelle selezionate; un suo
danno porta all’incapacità di inibire informazioni interferenti.
Queste intrusioni possono essere viste come confabulazioni (distorsioni non intenzionali
della memoria). In particolare, quelle spontanee manifestano una profonda alterazione dei
processi di controllo e una grave anosognosia. Si è pensato per lungo tempo che le
confabulazioni spontanee fossero una forma più grave di quelle provocate; ma i due deficit
sembrano essere regolati da funzioni differenti. Anche persone normali possono confabulare
nei casi di vuoti di memoria, mentre solo i pazienti frontali attuano confabulazioni
spontanee; si ritiene che siano un fallimento nei processi di controllo della rievocazione
(controllo delle fonti). Secondo Schneider [2003] invece esse sarebbe dovute all’incapacità
di inibire rappresentazioni decontstualizzate.
Anche l’anosognosia sembra giocare un ruolo nei deficit di memoria dei pazienti frontali,
prima come mancanza di metamemoria e poi come capacità di dirigere l’attenzione sul Sé,
verso i propri pensieri ed emozioni.
Le demenze
La demenza è un deterioramento progressivo acquisito delle funzioni cognitive e/o motorie
che ha impatto significativo sulla vita quotidiana. Le oligofrenie, differentemente, sono
patologie pre- peri- e postnatali che compromettono il normale sviluppo delle funzioni
stesse. Spesso vengono coinvolte anche le funzioni affettivo-comportamentali.
L’esordio può essere “strumentale” coinvolgendo appunto le funzioni strumentali (deficit di
memoria seguiti a breve distanza di tempo da deficit afasici, aprassico e agnosico), oppure
“disesecutivo”, coinvolgendo le funzioni di controllo (motivazione, attenzione, capacità di
inibizione). Questi quadri corrispondono alla degenerazione di diverse aree corticali
(temporo-parietale per esordio strumentale; prefrontale per esordio disesecutivo).
Oltre alle malattie neurodegenerative, possono provocare demenza i traumi cranici, malattie
infettive, malattie vascolari, ipossia, etilismo, tumori (demenze paracarcinomatose). La
diagnosi di demenza può essere fatta quando sono coinvolte più aree cognitive dal deficit, il
paziente è vigile, la compromissione interferisce in maniera significativa con la vita
quotidiana.
Le forme con esordio disesecutivo possono essere distinte in varianti con atrofia anche
sottocorticale (con deficit anche motori) e varianti senza interessamento sottocorticale.
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In genere è bene programmare un follow-up dopo 6/12 mesi, per rilevare se vi sia stato
peggioramento. In tal caso la diagnosi di demenza è confermata. Nel caso la causa non fosse
degenerativa, ed è stata trattata, il quadro dovrebbe migliorare.
La malattia di Alzheimer
E’ una sindrome demenziale ad esordio insidioso con segni neurologici aspecifici fino a
malattia avanzata. I fattori di rischio sono la storia familiare, basso livello di scolarità. Il
deterioramento porta fino ad uno stato di cachessia ed infine alla morte.
L’AD si sospetta quando sono presenti disturbi della memoria ad esordio insidioso ed
ingravescenti, tali da interferire con attività quotidiane; inoltre a breve distanza deve essere
seguita da deficit aprassici e/o di linguaggio e/o spaziali. La diagnosi si pone dopo due
osservazioni consecutive a distanza di 6/12 mesi anche se in vivo si può parlare di “probabile
malattia di Alzheimer”.
Nella fase precoce il paziente presente disturbi aspecifici (alterazioni del ritmo sonno-veglia,
uno stato depressivo (in parte reattivo ai propri fallimenti)). In genere però il paziente è
condotto alla visita per deficit mnesici. La presenza di amnesia (di solito anterograda) è
necessaria per poter diagnosticare l’Alzheimer. Di solito si accompagnano anche deficit di
memoria prospettica. Sono tipici inoltre episodi amnesici demenziali, che vengono vissuti
come vuoti di memoria inusuali su attività quotidiane (come lavarsi i denti, come mettere in
moto l’’auto).
Nell’arco di 6/12 mesi si manifestano i deficit in altre aree cognitive (orientamento spaziale,
linguaggio, disturbi visuo-spaziali). I pazienti presentano aprassia dell’abbigliamento,
disorientamento topografico, aprassia costruttiva (closing-in); fino ad arrivare ad agnosia e
prosopagnosia. In fase avanzata poi generalmente vengono compromesse le funzioni di
controllo (attenzione, ragionamento astratto, problem solving). L’anosognosia è presente a
tratti nelle prime fasi, per poi diventare invasiva ed invalidante.
L’analisi anamnestica viene fatta col paziente in compagnia di un familiare, a cui segue il
colloquio con il paziente (caratterizzato di solito da titubanza cognitiva) e poi la valutazione
strutturata.
Malattia di Pick
E’ caratterizzata dalla degenerazione del lobo frontale con la peculiare presenza di tipiche
inclusioni citoplasmatiche (corpi di Pick) nei neuroni corticali. Le prime fasi sono
caratterizzate da disturbi comportamentali quali disinibizione, impulsività, irritabilità e
riduzione dell’attenzione. Oltre a questo si presentano disturbi del linguaggio (anomie) e
deficit di memoria episodica; sono rari disturbi visuo-spaziali nella fase d’esordio (- 65 anni).
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Nella fase avanzata compaiono generalmente disturbi motori. La diagnosi differenziale è
complessa con la demenza frontotemporale.
Demenza frontotemporale
E’ la terza in ordine di frequenza. Ha esordio tra i 40 e i 65 anni, insidioso, e progredisce
lentamente fino ad una durata dai 10 ai 14 anni. Si distinguono 3 varianti: la variante frontale
(fvFTD), temporale (tvFTD) o demenza semantica, l’afasia progressiva non fluente (NFPA).
L’ipoperfusione frontale permette la diagnosi differenziale con l’AD, che presenta
generalmente ipoperfusione temporoparietale.
Demenza semantica
Perdita progressiva del significato delle parole, della conoscenza degli oggetti, fatti, persone.
Eloquio fluente ma privo di significato, comprensione compromessa a livello di singole
parole. Anomia e incapacità di descrivere gli oggetti non nominati; agnosia visiva associativa.
In genere è causata da un’atrofia temporale più marcata a sinistra.
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si pensa ad un coinvolgimento precoce delle aree orbito frontali e dorsolaterali, tuttavia non
risultano distinguibili dai normali AD nelle prove per le altre funzioni cognitive.
Infine, rispetto all’fvFTD, qui i deficit più marcati sono quelli di memoria e visuo-spaziali; nella
fvFTD deficit comportamentali.
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Bradicinesia e rigidità seguite da problemi di deglutizione, disartria e perdita dell’equilibrio.
Dura dai 5 ai 7 anni.
Sintomi psichiatrici (cambiamenti di personalità), irritabilità, depressione. Rallentamento
delle funzioni esecutive in primis; deficit di memoria per difficoltà di recupero; deficit della
cognizione sociale.
Corea di Huntington
E’ una malattia degenerativa ereditaria autosomica-dominante, con decorso progressivo,
caratterizzata da deficit motori, cognitivi e comportamentali. Il gene responsabile è sul
cromosoma 4. E’ caratterizzata da movimenti improvvisi (ipercinesie) prima in sezioni del
corpo, poi in tutto il corpo. La causa è la distruzione progressiva dei gangli della base, atrofia
del nucleo caudato e del putamen. Clinicamente è possibile distinguere tre tipologie:
ipocinetico-rigido, ipercinetico-coreico, misto.
Compare tra 30-45 anni e dure circa 15-20 anni.
Degenerazione corticobasale
Malattia rara che colpisce le regioni sottocorticali e successivamente quelle corticali. Età
media di esordio tra i 60 e gli 80 anni. Morte dopo 5-10 anni. Interessa soprattutto la
substantia nigra e i lobi frontale e parietale. Tipica è la contemporanea manifestazioni di
sintomi motori (rigidità, tremore posturale e/o intenzionale) e corticali (aprassia, deficit
corticali sensoriali, mano aliena, afasia). Il più tipico sono l’aprassia degli arti asimmetrica e
deficit esecutivi.
Sindromi diesecutive
La corteccia prefrontale è implicata nella formulazione e nella esecuzione di complessi
schemi di azione e nel controllo dei processi cognitivi superiori. Questo insieme di attività
costituisce le “funzioni esecutive”. Bianchi [1895] riteneva che i lobi frontali
rappresentassero il luogo della coordinazione e della integrazione dei prodotti
dell’elaborazione di numerose aree motorie e sensoriali della corteccia cerebrale. Per il gran
numero di funzioni che i lobi frontali regolano, un danno in queste aree può portare a quadri
molto eterogenei di deficit.
Le aree in cui di solito sono divise le regioni prefrontali sono la dorsolaterale, l’orbitofrontale
e l’area mediale.
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Sindrome disesecutiva e aree dorsolaterali
I deficit più evidenti nel caso di un danno a queste aree sono distraibilità, ridotta capacità di
giudicare in modo critico una situazione, scarsa flessibilità cognitiva e difficoltà ad affrontare
situazioni complesse. Tali incapacità si mostrano soprattutto in situazioni nuove e poco
familiari.
In alcuni compiti sono richieste stime cognitive, intese come capacità di utilizzare
conoscenze già possedute per risolvere un problema complesso o insolito. Non basta solo
rievocarle ma anche combinarle in modo nuovo; i pazienti dorsolaterali sono carenti in
questa prova.
Nell’ambito del modello di Baddeley [1986, 2003] della working memory, essa costituisce un
sistema multicomponenziale che consente il mantenimento in forma attiva e la
manipolazione di una quantità limitata di informazioni. La WM è costituita da sistemi schiavi
(specializzati nell’elaborazione di un tipo di materiale) e dall’esecutivo centrale (CE) che
coordina il funzionamento dei sistemi schiavi distribuendo le risorse attentive. Il CE
corrisponde all’attività delle funzioni esecutive (simile al SAS) e se danneggiato non permette
la corretta distribuzione delle risorse attenzionali.
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alterazioni comportamentali come distraibilità, perseverazioni e fallimento in compiti di
attenzione e pianificazione.
Damasio [1996] concentra il suo modello sul ruolo della corteccia orbitofrontale nella
regolazione del comportamento e delle facoltà cognitive. In esso l’ipotesi dei segnali somatici
teorizza che ogni decisione è regolata da segnali somatici (emozioni soprattutto), memorie
di esperienze passate, immagazzinati nelle aree orbitofrontali. Un danno a queste regioni
comporta l’incapacità di regolare il comportamento in maniera vantaggiosa e funzionale
rispetto al contesto.
I lobi frontali sono coinvolti nella modulazione e nel controllo dei meccanismi emozionali
sottesi al sistema limbico, infatti ricevono informazioni da strutture del sistema limbico quali
l’ipotalamo e l’amigdala; contemporaneamente ricevono informazioni provenienti dalle
aree associative visive, uditive e somato-sensoriali riguardo l’ambiente esterno. La
convergenza di informazioni provenienti dall’esterno e dall’interno dell’organismo ha
portato a ipotizzare che una lesione frontale comporti una dissociazione tra la valutazione
cognitiva delle situazioni ambientali e la concomitante esperienza emozionale; quindi una
mancata regolazione emotiva sulla base di esperienze esterne e interne all’organismo, che
porta alla modulazione di un comportamento adattivo nel contesto vissuto.
Secondo il modello di Craig [2009] la corteccia insulare anteriore (connessa con l’amigdala)
e il cingolo anteriore sono simultaneamente attive quando si provano emozioni (rete della
salienza); la funzione modulatrice delle emozioni spetta all’area orbitomediale che ha
connessioni reciproche con l’amigdala. L’amigdala integra le informazioni sensoriali e
mnesiche e aggiorna la corteccia orbitofrontale circa lo stato emotivo, la corteccia modula
lo stato emotivo sulla base delle informazioni contestuali. La corteccia cingolata interviene
valutando la salienza di uno stimolo emozionale e consentendo un comportamento motivato
(soprattutto in caso di conflitto tra stimoli esterni ed interni).
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L’apatia consiste nella riduzione di comportamenti finalistici, per mancanza di motivazione.
Va distinta la sindrome apatica primaria dall’apatia come sintomo secondario. Diminuiscono
anche gli aspetti cognitivi ed emozionali legati al comportamento finalizzato, per cui il
paziente apatico perde iniziativa nell’impegnarsi in attività sociali e legate alla cura
personale; inoltre presenta una ridotta cognitività finalistica (riduzione dei contenuti di
pensiero, perdita di interesse) e una ridotta reattività emotiva.
L’apatia va distinta dalla depressione perché anche se condividono i sintomi negativi, la
prima è una condizione di perdita di interesse e di indifferenza verso gli eventi circostanti; la
depressione invece è caratterizzata da un tono dell’umore negativo e da ansia talvolta.
Un danno ai circuiti che interessano l’amigdala e il giro cingolato conduce a primaria
mancanza di motivazione; un danno al circuito dorsolaterale conduce alla riduzione dei
processi di ideazione. Il quadro più estremo di apatia è il mutismo acinetico.
Disturbi da disinibizione
I pazienti disinibiti tipicamente sono a conoscenza delle norme sociali, ma non riescono a
seguirle. Secondo Damasio essi non “sentono” il loro agire. Questo è il sintomo principale
nella sindrome da disinibizione frontale, correlato al malfunzionamento della corteccia
orbitofrontale.
L’impulsività può essere definita come la tendenza ad attuare reazioni immediate a stimoli
interni ed esterni, senza valutare le conseguenze verso sé e verso gli altri. Tali risposte
possono essere quindi premature oppure inappropriate. Si manifesta con le perseverazioni.
E’ una funzione regolata dalla corteccia orbitofrontale mediale e può anche portare a
produrre risposte in assenza di stimoli (impulsività motoria).
L’incapacità di ritardare una gratificazione è invece detta impulsività cognitiva; di solito è
coinvolta nella lesione anche la regione del cingolo anteriore.
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L’alterazione dei comportamenti sociali a seguito di lesione frontale è detta “sociopatia
acquisita”. E’ caratterizzata da mancanza di empatia, sensibilità e sensi di colpa per i propri
atti aggressivi. Ciò sarebbe dovuto all’incapacità di riconoscimento delle espressioni facciali,
rendendo impossibili le inferenze sulle emozioni altrui. Il deficit è quindi specifico per la
cosiddetta “cognizione sociale” o intelligenza sociale, intesa come abilità di interpretare gli
stati mentali altrui.
Il danno orbitofrontale laterale causa incapacità di riconoscere i feedback ambientali
(reazioni delle persone circostanti) ed adattare il proprio comportamento ad essi.
Disturbi dell’affettività
Nelle patologie neurologiche i disturbi dell’umore sono “sindromi organiche” (DSM IV).
Depressione
Potrebbe essere causata non solo dall’effetto diretto della lesione cerebrale, ma anche da
una risposta psicologica alle conseguenze sociali e fisiche della malattia neurologica. Il
paziente depresso si associa all’abbassamento del tono emotivo anche un vissuto di inutilità,
incapacità e mancanza di energia. La focalizzazione è su eventi negativi e l’eloquio può essere
ridotto al minimo.
Alcuni pazienti possono soffrire di labilità emotiva, con bruschi cambiamenti del tono
dell’umore, dal riso al pianto.
Neuroanatomicamente si rileva un ridotto funzionamento della corteccia cingolata anteriore
e della dorsolaterale soprattutto a sinistra, con un’iperattività della corteccia orbitofrontale.
Mania
La mania è caratterizzata da un’anomala elevazione del tono dell’umore, con vissuti quali
scarsa preoccupazione per i risvolti etici e sociali del proprio comportamento, distraibilità,
disinibizione sessuale ed impulsività. E’ presente anche labilità emotiva per cui da uno stato
di euforia si passa ad uno di aggressività. Non è presente coscienza della malattia e l’eloquio
è logorroico.
Spesso il quadro sintomatologico si sovrappone alla sindrome pseudo-psicopatica ed alla
sociopatia acquisita. Sembra consegua ad un alterato funzionamento del circuito
orbitofrontale.
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