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ISSN 0012-3447

GENNAIO - FEBBRAIO PUBBLICAZIONE BIMESTRALE Vol. LXXXIV - N. 1

A.V. UCKMAR - DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA - Vol. LXXXIV - N. 1 - 2013


FONDATORE
ANTONIO UCKMAR

DIRETTORE
VICTOR UCKMAR
UNIVERSITÀ DI GENOVA

DIRETTORE SCIENTIFICO
CESARE GLENDI
UNIVERSITÀ DI PARMA

COMITATO DI DIREZIONE

ANDREA AMATUCCI MASSIMO BASILAVECCHIA PIERA FILIPPI


UNIVERSITÀ FEDERICO II DI NAPOLI UNIVERSITÀ DI TERAMO UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

GUGLIELMO FRANSONI FRANCO GALLO ANTONIO LOVISOLO


UNIVERSITÀ DI FOGGIA UNIVERSITÀ LUISS DI ROMA UNIVERSITÀ DI GENOVA

CORRADO MAGNANI GIANNI MARONGIU GIUSEPPE MELIS


UNIVERSITÀ DI GENOVA UNIVERSITÀ DI GENOVA UNIVERSITÀ DEL MOLISE

LIVIA SALVINI DARIO STEVANATO


UNIVERSITÀ LUISS DI ROMA UNIVERSITÀ DI TRIESTE
9!BM CF>:RQUVQ !
5!;E ; F:SOQW S!
ISBN 978-88-13-32672-2

00140288

CEDAM
CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
2013

€ 60,00
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

LA CONFISCA PER EQUIVALENTE NEI REATI TRIBUTARI:


TRA LEGALITÀ ED EFFETTIVITÀ

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’evoluzione del rapporto tra processo tributario e procedi-


mento penale: la crisi del «doppio binario». – 3. I caratteri distintivi e la qualificazio-
ne giuridica della confisca per equivalente. – 3.1. La qualifica di «misura sanzionato-
ria» irretroattiva. – 3.2. I requisiti. – 4. Il concorso di persone nel reato e l’applicabi-
lità della misura della confisca per equivalente alle persone giuridiche. – 4.1. La quo-
ta sequestrabile. – 4.2. La responsabilità amministrativa della persona giuridica alla
luce del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. – 4.3. La confisca sui beni sociali per il reato
tributario contestato al rappresentante legale. – 5. Risvolti applicativi: la duplicazione
del tributo ed il caso del «patteggiamento». – 6. Conclusioni.

1. – Premessa

La confisca per equivalente è entrata a piè pari nel nostro ordinamento,


in materia di reati tributari, con il fine ultimo di recuperare le somme dovute
a saldo dell’obbligazione tributaria, sorte dall’azione di accertamento del-
l’Amministrazione finanziaria nonché dall’eventuale condanna in sede giudi-
ziaria.
Tale misura ablativa risulta, dunque, fortemente dinamica ed aggressiva,
rivolta ad implementare concretamente le potestà attribuite ai funzionari della
riscossione (1) e risponde ad esigenze di tenuta dei conti pubblici (2).

(1) La critica maggiormente rivolta all’Amministrazione finanziaria era quella di ri-


scuotere una quota minima del debito d’imposta definitivamente accertato, a motivo della
mancanza di beni sui quali esercitare l’azione di riscossione coatta.
(2) A tal riguardo basta consultare la relazione del Ministro dell’Economia e Finanze
sullo stato della giustizia tributaria del 2010, la relazione della Corte dei conti sull’anda-
mento del contenzioso fiscale nel triennio 2006-2008, le relazioni periodiche della Guardia
di Finanza. Le Commissioni Tributarie Provinciali, in particolare, hanno deciso 271.900 ri-
corsi in prevalenza (circa il 61 per cento) su atti emessi dall’Agenzia delle entrate con per-
centuali di vittoria per la parte pubblica del 40 per cento (a fronte del 36 per cento del con-
tribuente). Se si considerano solo le controversie in cui è stata adottata una decisione di
merito le percentuali si invertono, infatti, nel 47 per cento dei casi vince il contribuente a
fronte del 39 per cento dell’ufficio. Ovviamente nei casi restanti per arrivare alla totalità si
collocano decisioni processuali. Il valore economico del contenzioso è imponente: nel 2010
le stime del Ministero sono di 28 miliardi di euro. Gli studi della Corte dei conti fornisco-
no per il triennio considerato cifre congruenti: nei tre gradi di giudizio il valore delle cause
decise a favore degli uffici finanziari è di circa 40 miliardi di euro. Più contenuti i valori
citati nelle relazioni periodiche della Guardia di Finanza: nel 2009 risultavano denunciati
174 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Tuttavia, la genesi della confisca per equivalente (o di valore), prevista


dall’art. 322-ter del codice penale, non la si deve esclusivamente al nostro le-
gislatore. Nello specifico, infatti, il 3o comma, dell’art. 3, della Convenzione
OCSE ha, per primo, sancito l’obbligo delle parti contraenti di adottare le mi-
sure necessarie affinché le tangenti ed i proventi, derivanti dalla corruzione di
un pubblico ufficiale, o beni, il cui valore corrisponde a quello di tali proven-
ti, siano soggetti a sequestro e confisca o sanzioni di simile effetto (3).
Tale obbligo, dunque, è stato tradotto in legge con l’art. 3, l. n. 300 del
2000 che ha previsto, nel codice penale appunto, l’art. 322-ter (4).
Per una ricostruzione prettamente descrittiva, inoltre, occorre sottolineare
che le disposizioni in questione debbono essere lette anche in relazione agli
articoli 19, 25 e 53 del Decreto legislativo n. 231 del 2001, che hanno soste-
nuto la nascita della disciplina riguardante la responsabilità delle persone giu-
ridiche per i reati commessi dagli amministratori o rappresentanti legali, og-
getto di analisi nei seguenti paragrafi.
La categoria dei reati presupposti, infatti, che consente il ricorso sia al
sequestro preventivo che alla confisca per equivalente, è stata estesa, median-
te un’elencazione di tipo tassativo, anche a taluni reati tributari dall’art. 1,
143o comma, della l. n. 244 del 2007. Si è così delineato, come detto, un si-
stema avente lo scopo di neutralizzare i vantaggi economici derivanti dai de-
litti contro la pubblica amministrazione con un potenziale effettivo tenden-
zialmente dirompente.
Dal punto di vista oggettivo, pertanto, come meglio si spiegherà in se-
guito, l’autorità giudiziaria può aggredire beni individuati in base alla corri-
spondenza con i benefici che il reo ha avuto commettendo il reato, a prescin-
dere dal loro collegamento con l’illecito. Dal punto di vista soggettivo, inve-
ce, lo strumento è efficace in quanto non richiede la titolarità formale del be-
ne, bensì la sua disponibilità anche per interposta persona. Tali doti sono
molto significative in termini di contrasto alla criminalità economica, special-

circa 11.500 autori di reati fiscali con sequestri di beni per circa 307 milioni di euro; nei
primi 5 mesi del 2011 le denunce penali erano 5.360 con sequestri di 542 milioni di euro.
È evidente che comunque si leggano i dati sono in gioco diversi punti di prodotto interno
lordo.
(3) L’articolo in questione, fa più in generale riferimento alla lotta alla corruzione di
Pubblici Ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, conclusa a Parigi il
17 dicembre 1997.
(4) Con questa norma si prevede che nel caso di condanna o di applicazione della
pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per uno
dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320 (peculato, malversazione ai danni dello Stato,
indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, concussione e corruzione) è sempre
ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che non ap-
partengano a persone estranee al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di
beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo. Il 2o com-
ma stabilisce, in aggiunta, con riferimento al reato di cui all’art. 321 del codice penale (pe-
ne per il corruttore) che è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il pro-
fitto, salvo che non appartengano a persone estranee al reato, ovvero quando essa non è
possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente
a quello di detto profitto. Il 3o comma, infine, stabilisce che il giudice con la sentenza di
condanna (o di applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale) determi-
na le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il
profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prez-
zo del reato.
PARTE SECONDA 175

mente quella attuata mediante frodi fiscali, dal momento che il provento di
tali illeciti è assai difficilmente individuabile nella sua materialità (5).
In questo quadro di riferimento in cui è evidente il conflitto tra interessi
di pari rango costituzionale, relativi alla proprietà privata ed alla tenuta dei
conti pubblici, le decisioni della Suprema Corte risentono fortemente del di-
lemma ed in alcuni casi il rischio è quello di enunciare principi di diritto che
sacrificano la legalità a vantaggio del principio di effettività.
Il tutto appare al quanto più critico se si pensa che il diritto penale tribu-
tario sconta i limiti di una legislazione frutto di compromessi ed ancor più
l’esasperato tecnicismo nella formulazione delle norme. Risulta pertanto indi-
spensabile esordire con una breve disamina circa la complessità interpretativa
delle norme che regolano la materia, frutto di una stratificazione legislativa
quanto mai inopportuna.

2. – L’evoluzione del rapporto tra processo tributario e procedimento penale:


la crisi del «doppio binario»

Circa il tema dei rapporti tra giudicato penale e processo tributario, oc-
corre sottolineare come alla base di un tale contesto vi sia la consapevolezza
che la norma penale tributaria sia rappresentata da una norma penale in bian-
co. In cui il precetto è completamente tipizzato dal momento che si compie
integrale rimando al contenuto di altra norma, tributaria, la quale disciplina
attività di per sé neutre e prive di un disvalore percepibile con il solo senso
comune (6).
Tali ed altre problematiche, pertanto, hanno reso sempre più scivoloso il
terreno sul quale si poggia la materia. È evidente, peraltro, che ogni legge ri-
sponda principalmente alle esigenze dell’epoca ed, infatti, nel caso di specie,
la stratificazione legislativa di cui si parlava nelle premesse al presente lavoro
ha visto la luce con la creazione di un meccanismo fondato sulla subordina-
zione del procedimento penale alla definitività del contenuto dell’avviso di

(5) La tematica della confisca per equivalente ha riflessi importanti anche in merito
alla tassazione dei redditi da attività illecite, in cui l’argomento della confisca è l’unico de-
cisivo per escludere la tassazione. Si veda in proposito, Cass., 23 gennaio 2008, n. 1416 in
tema di usura, in GT - Riv. giur. trib., 2008, 331, con nota di M. Procopio, La legittimità
del ricorso all’accertamento induttivo basato su indici di spesa ed investimenti patrimonia-
li; nonché Id., 18 gennaio 2008, n. 1058 in tema di tangenti, in Corr. trib., 2008, 1131, con
nota di D. Mauro - M. Beghin. Se infatti il reo è esposto alla confisca per equivalente del
prezzo del reato, si può sostenere la mancanza sin dall’origine del possesso dei redditi ne-
cessario ai fine della tassazione.
(6) Cfr. D. Guidi, Brevi note sull’efficacia del giudicato penale nel processo tributa-
rio, retro, 2011, II, 827. In questo contesto non è possibile affrontare l’argomento interes-
sante ma scivoloso della rilevanza dell’errore sulla norma tributaria che integra il precetto;
tuttavia, appare rilevante, ad esempio, segnalare la vischiosità della previsione contenuta
nell’art. 15, del d.lgs. n. 74 del 2000 che esclude la punibilità dell’autore quando le viola-
zioni della norma tributaria (sono) dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla lo-
ro portata e sul loro ambito di applicazione. In tal caso, appare evidente l’ambigua codifi-
cazione di un caso tipico di errore scusabile con buona pace dell’art. 5 del codice penale
come interpretato dalla nota sentenza della Corte costituzionale del 1988 n. 364. Cfr., su
tutti, G. Lattanzi - E. Lupo, Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Vol. I,
La legge penale e le pene, Milano, 2010, 249 ss.
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accertamento e, quindi, al giudicato formatosi nell’ambito del processo tribu-


tario: la c.d. pregiudiziale tributaria (7).
Le ragioni alla base di tale istituto, che ha regolato i rapporti tra proces-
so penale e processo tributario per oltre un cinquantennio, vanno individuate
nell’esigenza di salvaguardare la natura speciale dei tributi diretti e nel com-
plesso tecnicismo della materia tributaria: l’accertamento dell’avvenuta eva-
sione non poteva che essere demandato ad organi specializzati e non al giudi-
ce penale che non poteva vantare alcuna specifica competenza in merito (8).
La situazione non è mutata con la riforma tributaria dei primi anni set-
tanta, ed appariva sempre più evidente che la pregiudiziale tributaria realiz-
zasse esclusivamente un sostanziale rallentamento del processo penale, con
conseguente inefficacia della sanzione penale stessa, aggravato dalla moltepli-
cità dei gradi di giurisdizione (9).
Sulla base di tali presupposti, il legislatore, con la l. 7 agosto 1982, n.
516, ha introdotto, in luogo della pregiudiziale tributaria, il principio del dop-
pio binario, sia pure con un senso di attenuazione nei confronti del processo
penale, di cui all’art. 12, 1o comma, in forza del quale la sentenza irrevoca-
bile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio rela-
tiva a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore
aggiunto ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto
concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale.
Di conseguenza, il legislatore con la riforma del 1982 se, da un lato, si è
adoperato per la separazione dei procedimenti, dall’altro ha confermato la
prevalenza dell’uno rispetto all’altro. In particolare, come detto, iniziava a
prender piede, la prevalenza dell’accertamento penale su quello tributario in
caso di precedente formazione del giudicato penale.
Tale situazione, tuttavia, suscitava perplessità nella ricostruzione dei rap-
porti tra i due procedimenti, in quanto l’art. 12 non prevedeva espressi limiti
di natura soggettiva ed, inoltre, non figurava nella norma alcun limite connes-
so all’eventuale difformità dei regimi probatori, per cui la pronuncia penale
irrevocabile aveva efficacia vincolante anche laddove l’accertamento si fosse
fondato su mezzi di prova preclusi al giudice tributario (10).
È, malgrado ciò, con l’art. 20, del d.lgs. n. 74 del 2000, che viene abro-

(7) La pregiudiziale tributaria ha preso le mosse dall’art. 21, 3o comma, della l. 7


gennaio 1929, n. 4 in forza del quale per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l’azio-
ne penale ha corso dopo che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta è di-
venuto definitivo a norma delle leggi regolanti la materia.
(8) In tal senso, si veda, A. Marcheselli, La circolazione dei materiali istruttori dal
procedimento penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 84.
(9) Si veda, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, il quale prevedeva ben quattro gradi di
giurisdizione, mentre nella precedente disciplina la situazione era addirittura molto più
complessa in quanto successivamente alle commissioni amministrative tributarie era con-
sentita l’azione giudiziaria avanti agli organi della giurisdizione ordinaria e così, in defini-
tiva, i gradi di giurisdizione divenivano sei.
(10) I maggiori dubbi, però, erano connessi alla circostanza che l’operatività dell’art.
12 era ancorata al mero fattore casuale della maggiore o minore celerità del processo pena-
le rispetto a quello tributario. Inoltre, si posero dubbi, con l’entrata in vigore del d.p.r. 24
settembre 1988, n. 447 (nuovo codice di procedura penale), circa il sistema di riferimento,
in quanto ci si chiedeva se, in assenza di un’espressa disposizione, potesse considerarsi vi-
gente l’art. 12 della l. n. 516 del 1982, oppure fosse stato implicitamente abrogato dal com-
binato disposto degli artt. 654 del codice di procedura penale e 207 disp. att. del codice di
procedura penale (d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271).
PARTE SECONDA 177

gato l’art. 12, della l. n. 516 del 1982, sottolineando che il procedimento am-
ministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere so-
spesi per la pendenza del procedimento penale avente per oggetto i medesimi
fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.
La norma in questione, come asserito nella Relazione governativa al
d.lgs. 10 marzo 200, n. 74, ha una portata imponente nell’ambito dei rap-
porti tra procedimento penale e processo tributario ed, in particolare, si ri-
volge al sistema repressivo penale tributario a fronte del generale sposta-
mento «a valle» della linea di intervento punitivo e dell’introduzione di so-
glie di punibilità ragguagliate all’ammontare dell’imposta evasa, con con-
seguente devoluzione al giudice penale di compiti di verifica spesso inte-
gralmente sovrapponibili a quelli del giudice tributario.
Eppure la norma mostra tutta la sua perfettibilità nel non esser riuscita a
disciplinare in toto la materia. L’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, infatti, no-
nostante fosse imperniato su una promettente rubrica dedicata ai rapporti tra
procedimento penale e processo tributario, si limita a stabilire che il procedi-
mento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono
essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente a oggetto i
medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa de-
finizione. Il tutto affinché l’Amministrazione finanziaria possa procedere al-
l’accertamento ed alla riscossione in tempi rapidi, senza dover attendere l’esi-
to dell’eventuale procedimento penale per reati tributari instauratosi per i me-
desimi fatti (11).
Malgrado, inoltre, la norma non menzioni espressamente che anche il
processo penale è autonomo rispetto a quello tributario, tuttavia tale principio
è da ritenersi insito nel sistema processuale penale (12).
In buona sostanza, esclusa la sussistenza di un rapporto di pregiudiziali-
tà, nell’uno o nell’altro senso, appare pacifico riconoscere nel nostro ordina-
mento un principio di autonomia reciproca di procedimenti identificativo di
un doppio binario. Si tratta, però, di un sistema che, se da un lato appare si-
curamente vantaggioso per le ragioni del Fisco, dall’altro pone gravi inconve-
nienti applicativi e delicati problemi sul piano della certezza del diritto, com-
portando che, su un medesimo fatto, giudici diversi possano pronunciarsi in
modo difforme o, addirittura, confliggente.
Pertanto, sulla base della riconosciuta autonomia penale processuale ri-
spetto all’accertamento tributario ed al relativo contenzioso, occorre rilevare,
come meglio approfondito nel prosieguo, che il giudice penale abbia ormai

(11) In effetti, abrogato da tempo e certamente non reintroducibile nel nostro ordina-
mento, l’istituto della pregiudiziale tributaria, c’era il rischio che la previsione di reati ca-
ratterizzati, per lo più, da un evento di evasione potesse dar luogo ad una pregiudiziale pe-
nale qualora la pretesa dell’Amministrazione finanziaria fosse subordinata alla definizione
del processo penale, con conseguente danno per l’Erario.
(12) Il divieto di sospensione del processo penale, pur in presenza di un accerta-
mento tributario o di parallelo contenzioso amministrativo, si desume infatti, a contrario,
dagli artt. 3 e 479 del c.p.p. i quali prevedono, rispettivamente, che il giudice penale pos-
sa sospendere il processo per questioni pregiudiziali inerenti lo stato di famiglia o di citta-
dinanza ovvero, in pendenza di una controversia civile o amministrativa di particolare
complessità, soltanto se la legge non pone limitazione alla prova della posizione soggetti-
va controversa. Limitazioni che, nel processo tributario, invece sussistono, come nel caso
del divieto di prova testimoniale di cui all’art. 7, 4o comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992,
n. 546.
178 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

piena cognizione in ordine alla determinazione dell’imposta presuntivamente


evasa (13).
Con riferimento a tale compito, ci si chiede come il giudice penale e,
prima ancora, il pubblico ministero possano accertare il quantum del tributo
dovuto, dal momento che la determinazione di esso presuppone la ricostruzio-
ne dell’intera posizione fiscale del contribuente (14).
A tale riguardo, va tuttavia rilevato che il giudice penale, oltre a even-
tuali consulenti tecnici e periti, il cui utilizzo comporta uno spreco di tempo
tendenzialmente simile a quello imputato alla pregiudiziale tributaria, può av-
valersi anche di prove testimoniali, disponendo, ad esempio, la citazione di
funzionari dell’Amministrazione finanziaria affinché forniscano i necessari
chiarimenti per la ricostruzione del reddito e/o del volume di affari del contri-
buente e la conseguente determinazione dell’imposta asseritamente eva-
sa (15).
La giurisprudenza, al fine di escludere ogni qualsivoglia dubbio in tal
senso, si è esaustivamente espressa chiarendo che incombe esclusivamente sul
giudice penale il compito di procedere, al fine di verificare l’avvenuto o me-
no superamento della soglia di punibilità, all’accertamento e quindi alla de-
terminazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che
può venirsi a sovrapporre e anche ad entrare in contraddizione con quella
eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configura-
bile alcuna pregiudiziale tributaria (16).
Sulla base di quanto detto, altresì, la condizione di assoluta autonomia e
distinzione tra il processo tributario e quello penale, non esclude che taluni
elementi dell’uno possano in qualche misura refluire nell’altro (17). Non c’è

(13) Tale elemento assume rilevanza dirimente soprattutto ai fini del superamento
delle soglie minime di punibilità previste per la configurabilità della maggior parte dei reati
tributari contemplati nel d.lgs. n. 74 del 2000, con l’unica esclusione di quelli di cui agli
artt. 2, 8 e 10 del medesimo decreto.
(14) Il che si traduce in una effettiva sostituzione, da parete dei giudici penali, dei
pertinenti uffici finanziari, caratterizzata dall’attività di valutazione della natura e disciplina
fiscale vigente all’epoca dei fatti, delle singole componenti di reddito mediante la determi-
nazione, per ciascun periodo, dell’imposta dovuta, con tutto ciò che ne comporta in termini
di tecnicismo e di esperienza.
(15) Cfr. A.E. La Scala, Prova testimoniale, diritto di difesa e giusto processo tribu-
tario, in Rass. trib., 2012, 90; nonché, in termini più specifici circa gli elementi probatori,
A. Marcheselli, L’efficacia probatoria nel processo tributario del patteggiamento penale,
retro, 2003, 704.
(16) Si veda, Cass., sez. III pen., 26 febbraio 2008, n. 21213.
(17) Sul tema, si vedano, come primissimo orientamento e non trascurando i profili
di ordine concreto, R. Schiavolin, Le prove, in AA.VV., Il processo tributario - Giurispru-
denza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, 1999, 517 ss.; G. Porcaro,
L’utilizzo ai fini tributari degli elementi probatori raccolti in violazione dei poteri istrutto-
ri, in Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, a cura di V. Uckmar - F. Tundo, Piacen-
za, 2005; V. Uckmar - A. Marcheselli, Il diritto tributario tra tutela della riservatezza e
trasparenza delle attività economiche, retro, 1998, I, 227 ss.; G. Caputi, Accertamento tri-
butario ed indagine penale, in Il Finanziere, 1997, Panorama tributario e professionale; S.
Gallo, Accessi domiciliari e inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, in Riv.
Guard. fin., 2005, 881 ss.; S. Gallo - G. Gallo, La legge penale e processuale tributaria,
Milano, 1994, passim; P. Liccardo, Attività investigativa e funzione accertativa, retro,
1990, II, 641 ss.; S. Romeo, L’utilizzo ai fini fiscali delle prove acquisite in sede penale, in
Il Finanziere, 2002, Panorama tributario e professionale; Id., L’irrituale acquisizione di
PARTE SECONDA 179

dubbio, infatti, che gli atti compiuti nel corso di accessi, ispezioni e verifiche
eseguiti dalla Guardia di finanza oppure dall’Agenzia delle entrate ovvero le
prove acquisite nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, siano in qual-
che misura utilizzabili nel processo penale (18).
In particolare, ad esempio, si ritiene che il processo verbale di constata-
zione, dal quale quasi sempre trae origine il procedimento penale, per giuri-
sprudenza consolidata, costituisca atto amministrativo extraprocessuale, ac-
quisibile come prova documentale ex art. 234 c.p.p. anche nei confronti di
soggetti non destinatari della verifica fiscale (19).
Altri atti del processo tributario, tra i quali, ad esempio, eventuali prove
acquisite, possono, inoltre, rientrare nel giudizio penale come meri documen-
ti, a norma dell’art. 234 del c.p.p., fermo restando, tuttavia, che tali atti non
possono autonomamente fornire la prova dei fatti in essi descritti, in quanto il
giudice non può ritenersi assolutamente vincolato da prove né, tantomeno, da
decisioni adottate in sede amministrativa (20). Nonostante ciò, la trasmissione
di documenti, dati e notizie raccolti durante la fase delle indagini preliminari
ovvero anche nel processo penale, oltre che consentita è, anzi, auspicata (21).
Ebbene, in questa prospettiva il Supremo Collegio, dalla sentenza n.
14953 del 2006 in poi, correttamente precisa che pur non operando più il vin-
colo del giudicato, la sentenza penale può essere comunque prodotta e costi-
tuire una prova documentale, ai sensi degli artt. 32, 1o comma, e 58, 2o com-
ma, del d.lgs. n. 546 del 1992, liberamente apprezzabile dal giudice ai fini

prove nel corso di indagini tributarie, in Il Finanziere, 2003, Panorama tributario e pro-
fessionale; Id., Acquisizione e utilizzazione dei documenti di terzi, in Il Finanziere, 2003,
Panorama tributario e professionale; N.A. Toscano, Illegittimo l’accesso domiciliare moti-
vato con il rinvio a fonti confidenziali, in Riv. Guard. fin., 2002, 2583 ss.; nonché F. Bati-
stoni Ferrara, Il regime probatorio del processo tributario, in Rass. trib., 2008, 1267.
(18) Cfr. A. Marcheselli, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento
penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 84.
(19) Si veda, Cass., sez. III pen., 18 novembre 2008, n. 6881. Secondo alcune pro-
nunce della Suprema Corte, tale documento sarebbe addirittura qualificabile come atto irri-
petibile e, in quanto tale, direttamente inseribile nel fascicolo per il dibattimento nella par-
te in cui riproduce situazioni di fatto esistenti in un determinato momento e suscettibili di
subire modifiche. Su tutte, Cass., sez. III pen., 15 gennaio 1998, n. 1944. Da ultimo, inol-
tre, si veda, la sentenza di Corte di Cassazione, 19 ottobre 2012, n. 17940, ai sensi della
quale il deposito del processo verbale di constatazione avvenuto nel corso del primo grado
di giudizio oltre i termini consentiti dalla norma processuale, non ne pregiudica l’utilizzabi-
lità in sede di gravame allorché esso sia stato nuovamente riprodotto in secondo grado ov-
vero sia stato, a ogni modo, acquisito al fascicolo processuale e invocato dalla parte a sup-
porto dei motivi di appello.
Questo il principio di diritto desumibile dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.
17940, depositata lo scorso 19 ottobre.
(20) Sul tema si veda, P. Russo, Manuale di diritto tributario - Il processo tributa-
rio, Milano, 2005, 153 ss.; Maffezzoni, La prova nel processo tributario, in Boll. trib.,
1977, 1684 ss.; Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 45 e 138; G.M. Cipolla,
Sulla ripartizione degli oneri probatori nel processo tributario tra nuovi (quanto, forse, or-
mai tardivi) sviluppi giurisprudenziali e recenti modifiche normative, in Rass. trib., 2006,
601; F. Fontana, La valenza probatoria della testimonianza penale nel processo tributario,
in GT - Riv. giur. trib., 2002, 738; nonché A. Marcheselli, Testimonianza scritta e deposito
di documenti in appello, in Corr. trib., 2009, 2695.
(21) Si veda, in tal senso, l’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale prevede la co-
municazione dalla sede penale a quella tributaria della sentenza irrevocabile che esclude la
rilevanza penale del fatto.
180 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

della decisione. La circostanza, dunque, che il giudicato penale non faccia


stato nel giudizio tributario, non implica che non si possa tener conto dei dati
e degli elementi acquisiti nel corso dell’investigazione penale che il giudice
tributario dovrà valutare secondo le proprie regole procedurali (22).
Ovviamente il giudice tributario non può limitarsi a porre a fondamento
della propria decisione la sentenza penale, bensì, al fine di procedere ad
un’autonoma ricostruzione e valutazione dei fatti, può prendere in considera-
zione gli elementi in essa emergenti dando conto della natura e consistenza
degli stessi e delle ragioni del proprio convincimento (23).
Un’ulteriore problema in tema di rapporti tra processo tributario e pro-
cesso penale attiene alla valenza probatoria delle presunzioni tributarie, degli
accertamenti induttivi e sintetici e degli studi di settore nel processo per reati
tributari.
Molti processi per reati tributari traggono origine, in realtà, da accerta-
menti fiscali di carattere induttivo, basati per lo più su presunzioni contem-
plate nella normativa tributaria, pertanto ci si domanda quale sia la valenza di
tali presunzioni nell’ambito del procedimento penale.
In tal senso, l’opzione per il principio guida del doppio binario comporta
la possibilità di giudicati contrastanti, ma questa appare una situazione fisio-
logica e non più patologica visti i rapporti tra i due procedimenti, in cui
l’eventuale divergenza è il portato implicito di una valutazione di giudici di-
versi, sulla base di materiale probatorio diverso e, soprattutto, di regole pro-
batorie diverse (24).
Tenuto conto, dunque, che nel processo penale l’unica presunzione esi-
stente è quella di non colpevolezza dell’imputato sino alla condanna definiti-
va (25), è evidente che le presunzioni tributarie, seppur idonee a integrare la
notizia di reato, non possono poi assumere, di per sé, valore di prova nel giu-
dizio penale. Per quanto attiene al regime probatorio processuale penale, ven-
gono meno l’inversione dell’onere della prova, nonché le eventuali limitazio-
ni poste dalla legge tributaria alla prova contraria, di talché l’imputato potrà
avvalersi di tutti i più ampi mezzi probatori previsti dal codice di rito (26).

(22) Cfr. A. Marcheselli, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento


penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 84.
(23) Con specifico riferimento ad esempio all’esclusione della prova testimoniale,
appare opportuno ricordare che la Corte costituzionale, con pronuncia n. 18 del 2000, ha
sancito che il divieto posto dal 4o comma, dell’art. 7, in parola non può essere esteso alle
dichiarazioni rilasciate da terzi, le quali, anzi, possono trovare accesso nel giudizio tributa-
rio. Con tale decisione, la Consulta ha così precisato che la valenza probatoria di tali di-
chiarazioni non è quella delle prove, ma quella di elementi indiziari che possono concorre-
re a formare il convincimento del giudice, pur non essendo idonee di per sé a costituire
fondamento della decisione.
(24) Basti pensare al meccanismo delle presunzioni tributarie che sposta sul contri-
buente un onere probatorio che in sede penale è indefettibilmente a carico del Pubblico mi-
nistero.
(25) Cfr. l’art. 27, 2o comma, della Costituzione. Per ciò che concerne i principi fon-
damentali in materia di prove, si evidenziano: il libero convincimento del giudice (art. 192,
1o comma 1, c.p.p.), la libertà di prova (art. 189 c.p.), l’inesistenza di limiti legali alla pro-
va (art. 193 c.p.p.), il diritto alla prova riconosciuto alle parti ed il relativo onere a carico
delle stesse (art. 190 c.p.p.) e la valenza probatoria degli indizi soltanto se gravi, precisi e
concordanti (art. 192, 2o comma, c.p.p.).
(26) Si veda, sul punto, P. Russo, Manuale di diritto tributario. Il processo tributa-
rio, cit., 156 ss. e Id., Il divieto di prova testimoniale nel processo tributario: un residuato
PARTE SECONDA 181

Per quanto riguarda invece la valutazione delle presunzioni tributarie ai


fini della decisione, la loro non automatica trasferibilità in campo penale non
significa, però, che esse non rivestano alcuna rilevanza. Infatti, pur non aven-
do valore di prova in senso stretto, possono comunque formare indizi, come
tali, valutabili dal giudice penale alla stregua dei criteri dettati dall’art. 192,
2o comma, c.p.p.
La giurisprudenza, secondo un consolidato e del tutto condivisibile
orientamento, ha infatti chiarito, con specifico riferimento alla presunzione di
maggiori ricavi fondata su accertamenti bancari, che la disciplina della re-
pressione dei reati tributari comporta l’obbligo del giudice di valutare autono-
mamente le circostanze ed i fatti costitutivi della fattispecie incriminatrice,
anche discostandosi dalle risultanze e conclusioni dell’accertamento pretta-
mente tributario, dovendosi dare prevalenza al dato fattuale rispetto ai criteri
di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario,
precisandosi altresì che il giudice, ai fini della determinazione del reddito im-
ponibile, deve in ogni caso tener conto dei costi d’esercizio fiscalmente de-
traibili sostenuti dall’azienda (27).
Gli enunciati principi sulla valutazione della prova penale trovano altresì
applicazione con riferimento agli accertamenti induttivi e sintetici. Infatti, me-
diante l’accertamento induttivo (28), il reddito imponibile viene rideterminato
sulla base di presunzioni anche sprovviste dei requisiti di precisione, gravità e
concordanza ed anche prescindendo dalle risultanze della contabilità, mentre
con l’accertamento sintetico (29), riguardante esclusivamente il reddito delle
persone fisiche, la materia imponibile viene determinata attraverso elementi
indicativi di maggiore capacità contributiva elencati in apposito decreto mini-
steriale ovvero con l’accertamento di spese per incrementi patrimoniali. In tal
senso, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il giudice può legittimamente
fondare il proprio convincimento sia sull’informativa della Guardia di Finan-
za che abbia fatto riferimento a percentuali di ricarico attraverso una indagi-
ne sui dati di mercato, e sull’accertamento induttivo dell’imponibile operato
dall’ufficio finanziario quando la contabilità imposta dalla legge non sia sta-
ta tenuta regolarmente, ma ciò a condizione che il giudice non faccia apodit-
tico richiamo agli elementi in esso evidenziati, ma proceda a specifica, auto-
noma valutazione degli elementi nello stesso descritti, comparandoli con
quelli eventualmente acquisiti aliunde (30).
È infine da segnalare che gli uffici finanziari possono altresì effettuare
accertamenti, a norma dell’art. 62-sexies della l. 29 ottobre 1993, n. 427, sul-
la base dei c.d. studi di settore di cui all’art. 62-bis della medesima legge.

storico che resiste all’usura del tempo, in Rass. trib., 2000, 567 ss.; F. Moschetti, Utilizzo
di dichiarazioni di terzo e divieto di prova testimoniale nel processo tributario, retro,
1999, II, 17; A. Viotto, Legalità dell’attività istruttoria e utilizzo di dichiarazioni di terzi
nel procedimento di accertamento e nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2001, II, 53
ss.; S. Muleo, Diritto alla prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimo-
niale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali, in Rass.
trib., 2002, 1989 ss., nonché, ancorché alquanto risalente, F. Batistoni Ferrara, Processo
tributario: riflessioni sulla prova, retro, 1983, I, 1603 ss.
(27) Cfr. Cass., sez. III pen., 26 novembre 2008, n. 5490.
(28) Di cui all’art. 39, 2o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 in materia di imposte
sui redditi, nonché all’art. 55 del d.p.r. n. 633 del 1972 in materia di iva.
(29) Di cui all’art. 38, 4o e 5o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973.
(30) Cfr. Cass., sez. III pen., 21 dicembre 1999, n. 1904.
182 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

L’art. 10, 6o comma, della l. 8 maggio 1998, n. 146, che disciplina le moda-
lità di utilizzazione degli studi di settore, prevede però, espressamente, che la
determinazione di maggiori ricavi, compensi e corrispettivi, conseguente
esclusivamente all’applicazione degli accertamenti basati sugli studi di setto-
re, non rileva ai fini dell’obbligo della trasmissione della notizia di reato ai
sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale.
Per cui, circa il problema della loro rilevanza in sede penale, la giuri-
sprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione ha stabilito che il
mero scostamento dai parametri di cui agli studi di settore costituisce una
presunzione semplice, da sola inidonea a legittimare l’accertamento, ricono-
scendo, indirettamente, che tale presunzione, ai fini penali, non può che costi-
tuire un mero indizio inutilizzabile in concreto a comprovare l’esistenza di
un’evasione d’imposta in assenza di ulteriori riscontri gravi, precisi e concor-
danti, così come richiesto dall’art. 192 c.p.p. (31).
Da ultimo, occorre prendere in considerazione l’ipotesi, peraltro non
molto frequente, che il processo per reati tributari si concluda prima della de-
finizione del parallelo contenzioso tributario.
In particolare, ci si chiede quale efficacia possa avere nel giudizio tribu-
tario la sentenza penale irrevocabile, di assoluzione ovvero di condanna, pro-
nunciata a seguito di dibattimento.
La regola codicistica di riferimento è contenuta nell’art. 654 c.p.p., il
quale stabilisce che, nei confronti sia dell’imputato che dell’eventuale Ammi-
nistrazione finanziaria, costituitasi parte civile, la sentenza penale irrevocabi-
le di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha ef-
ficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si
controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconosci-
mento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono ogget-
to del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai
fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla
prova della posizione soggettiva controversa. Va, tuttavia, rilevato che tale
norma delinea confini estremamente restrittivi in ordine alla rilevanza esterna
del giudicato penale, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, subordinan-
dola alla assenza di limitazioni alla prova, che invece sussistono nella norma-
tiva tributaria.
Da ciò ne consegue che, per giurisprudenza ormai pacifica, la sentenza
penale irrevocabile relativa a reati tributari non può, in alcun caso, avere effi-
cacia vincolante di giudicato nel processo tributario, poiché in questo, da un
lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale)
e, dall’altro possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una
pronuncia penale di condanna, sicché nessuna automatica autorità di cosa
giudicata può attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza pena-
le irrevocabile, di condanna o di assoluzione, ancorché i fatti accertati in se-
de penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha pro-
mosso l’accertamento nei confronti del contribuente (32).

(31) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635.


(32) Si veda, su tutte, Cass., sez. trib., ord. 12 ottobre 2010, n. 21049. In caso di
sentenza di patteggiamento, inoltre, come vedremo meglio nel prosieguo, non avendo la
sentenza di condanna efficacia di giudicato nel processo tributario, a maggior ragione si
dovrebbe escludere che in tal caso la sentenza di applicazione della pena pronunciata ai
sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale possa fare stato nel processo tributario.
PARTE SECONDA 183

L’esperienza di oltre un decennio di applicazione del d.lgs. n. 74 del


2000 ha, dunque, evidenziato innumerevoli profili critici che, oltre ad appari-
re disallineati rispetto alla originaria impostazione basata su una teorica auto-
nomia tra processo penale e tributario, rischiano di incrinare la credibilità del
sistema. Non solo e non tanto per la difficoltà di far comprendere al comune
cittadino contribuente come sia possibile che, estinto integralmente il debito
tributario e chiusa in via definita la controversia con l’Amministrazione fi-
nanziaria, non venga conseguentemente meno la pretesa punitiva dello Stato
o, al limite, che su un medesimo fatto possano essere emesse sentenze tra lo-
ro confliggenti (33).
Si prenda ad esempio, per concludere, il caso di un contribuente assolto
dal reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4, del d.lgs. n. 74 del 2000.
Non è escluso, infatti, che nei suoi confronti il giudice tributario riconosca la
pretesa tributaria avanzata dall’Amministrazione finanziaria. Viceversa, ben
potrebbe accadere che al contribuente, condannato in sede penale, la Com-
missione tributaria riconosca la legittimità dei fatti contestatigli dall’Ammini-
strazione finanziaria.
Oppure il caso di una società a cui sia stata contestata, in sede ammini-
strativa o contenziosa, l’annotazione di fatture per operazioni inesistenti e la
conseguente indebita detrazione dell’iva risultante in dichiarazione. Se, a se-
guito di dibattimento, il giudice penale dovesse decidere che il fatto non co-
stituisce reato perché l’operazione non può considerarsi inesistente secondo i
canoni enunciati dall’art. 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, ne verrebbe chiaramen-
te condizionata anche la vicenda tributaria per la semplice ragione che la de-
trazione dell’iva andrebbe considerata del tutto legittima.
Ovviamente, il giudice tributario potrebbe giungere a conclusioni oppo-
ste, ma è lecito domandarsi se un tale esito risponda realmente a canoni di
giustizia sostanziale e se altrettanto dia voce alle esigenze del nostro legisla-
tore.
Un ultimo esempio potrebbe essere quello relativo alla fattispecie crimi-
nosa di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, contemplata dall’art.
3, del d.lgs. n. 74 del 2000, in cui il giudice penale condanni il contribuente
alla reclusione e, viceversa, il giudice tributario ritenga, in un successivo mo-

Va, tuttavia, rilevato che la Cassazione civile considera ormai jus receptum che la sentenza
penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. costituisce indi-
scutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale
efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammes-
so una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale
ammissione per cui detto riconoscimento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita
dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel
giudizio di legittimità. Cfr. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2001, n. 2724, nonché Cass., sez.
trib., 30 settembre 2005, n. 19251.
(33) Si veda anche il caso in cui l’Amministrazione finanziaria, dopo la comunica-
zione della notizia di reato alla autorità giudiziaria, in sede di autotutela o, come più spesso
accade, di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, abbia ridetermi-
nato la propria pretesa in misura tale che l’imposta evasa non superi le soglie di punibilità
previste per la sussistenza del reato contestato. Occorre rilevare, in effetti, però, che nume-
rose pronunce penali di merito si stanno recentemente orientando, nei casi in cui l’ufficio
ha espressamente riconosciuto infondata la propria pretesa o comunque ritenuto congruo un
abbattimento della stessa al di sotto dei limiti di rilevanza penale, verso il proscioglimento
del contribuente dal reato ipotizzato a suo carico.
184 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

mento, che l’imposta evasa non abbia superato le soglie di punibilità previste
dalla citata norma. In un caso del genere, diviene pressoché decisiva la cro-
nologia degli avvenimenti giudiziari, potendosi facilmente immaginare che,
laddove la decisione del giudice tributario precedesse anziché seguire quella
del giudice penale, le probabilità di assoluzione dell’imputato verrebbero sen-
za dubbio ad aumentare.
Sembra, in sostanza, che alla sorte, più che alle ragioni del diritto, sia
demandato l’esito della vicenda giudiziaria del contribuente-imputato. Pertan-
to, parlando di crisi del principio del «doppio binario», sarebbe auspicabile
che il legislatore rimeditasse la disciplina dei rapporti tra i due procedimenti,
la quale oggi appare decisamente incongrua.

3. – I caratteri distintivi e la qualificazione giuridica della confisca per equi-


valente

La confisca per equivalente, adottata nel contesto di un procedimento


penale, come rilevato nelle premesse al presente lavoro, funge da completa-
mento alla tutela degli interessi erariali in tutti i casi in cui gli strumenti di ti-
po amministrativo, finalizzati al recupero dell’imposta evasa, siano ineffica-
ci (34).
La giurisprudenza della Corte costituzionale ha affermato già negli anni
sessanta alcuni principi di natura sostanziale circa la confisca per equivalente.
Si tratta delle decisioni nn. 29 e 46, rispettivamente, del 1961 e del 1964 che
intervengono per vagliare la conformità, alla Costituzione, delle leggi del
1946 contenenti sanzioni contro il fascismo tra le quali la possibilità di confi-
sca dei beni di soggetti condannati per crimini commessi durante il regi-
me (35). La Corte, nello stabilire che non si trattava di sanzioni penali, affer-
mò che la confisca era caratterizzata dalle finalità più diverse nonostante
l’identità del presupposto, ovvero la commissione di un reato, e che, pertanto,
non poteva esser concepita in termini unitari. Al contrario infatti, continua la
Corte, l’interprete deve interrogarsi sulla causa scaturente la confisca, ovvero
sull’elemento che qualifica la privazione e definisce la natura di tale effetto.
Si chiariva, dunque, che poteva esistere una confisca qualificabile come
pena ed una come misura di sicurezza, escludendo, in tal senso, una defini-
zione astratta o generica perché in concreto la confisca ha i caratteri che le
sono dati dalla legge che la introduce.
Più di recente, con le ordinanza nn. 31 e 97 del 2009, la Corte costitu-
zionale ha preso posizione su tale misura disposta per i reati tributari ed ha

(34) Si vedano ad esempio le operazioni di c.d. frode carosello in cui, infatti, emerge
il problema del recupero dell’imposta non versata da parte del soggetto che emette la fattu-
ra, e assegna al destinatario il diritto di detrazione. L’emittente è normalmente una scatola
vuota, che molto spesso sparisce subito dopo l’operazione, con le conseguenti difficoltà per
il fisco di aggredire in via amministrativa il soggetto. Pertanto, anche laddove l’Ammini-
strazione finanziaria agisce nei confronti dell’acquirente, disconoscendogli il diritto di de-
trazione, non è da escludere la sussistenza di difficoltà di recuperare in via amministrativa
l’iva indebitamente detratta. Si pensi, inoltre, alle difficoltà circa l’attività di soggetti che
vorticosamente aprono e chiudono le posizioni fiscali iva.
(35) Cfr. Corte cost., 25 maggio 1961, n. 29, e Id., 4 giugno 1964, n. 46. Per una ri-
costruzione dello stato della materia in tema di confisca cfr. Cass., sez. un. pen., 2 luglio
2008, n. 26654, in Riv. pen., 2008, 1000.
PARTE SECONDA 185

affermato che essa ha natura sanzionatoria facendone discendere il principio


di irretroattività.
Occorre, tuttavia, procedere con ordine riconoscendo che storicamente,
come rilevato in premessa, l’istituto della confisca per equivalente è stato in-
trodotto con l. 7 marzo 1996, n. 108, esclusivamente in materia di usura, in
attuazione degli impegni internazionali assunti dall’Italia. Tale fattispecie fu
successivamente estesa alla responsabilità delle persone giuridiche (36), ai
reati di pornografia e prostituzione minorile (37) ed ai delitti contro la Pub-
blica amministrazione (38).
L’istituto della confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter c.p., costi-
tuisce una misura volta ad aggredire il patrimonio del reo per un valore cor-
rispondente all’illecito vantaggio economico patrimoniale (39) conseguito ed

(36) Cfr. d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61.


(37) Cfr. l. 11 agosto 2003, n. 228.
(38) Cfr. art. 322-ter c.p., introdotto, come detto, dalla l. 29 settembre 2000, n. 300.
Relativamente ai delitti contro la Pubblica amministrazione, in virtù del rinvio dell’art. 640-
quater all’art. 322-ter c.p., la confisca per equivalente è stata estesa anche ai reati di truffa
commessa a danno dello Stato o di altro ente pubblico (art. 640, 1o e 2o comma, c.p.), alla
truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) ed alla fro-
de informatica a danno dello Stato o di altro ente pubblico, tranne quando il fatto sia com-
messo con abuso della qualità di operatore del sistema (art. 640-ter, 2o comma, c.p.). Per
completezza si evidenzia che, per effetto della l. 27 marzo 2001, n. 97, è stato introdotto al
codice penale l’art. 335-bis secondo il quale, fermo restando quanto disposto dall’art. 322-
ter, nel caso di condanna per delitti previsti dal presente capo è comunque ordinata la
confisca anche nelle ipotesi previste dall’art. 240, 1o comma. Va ricordata, poi, la l. 23
marzo 2006, n. 146, con la quale sono stati ratificati la Convenzione ed i Protocolli delle
Nazioni Unite contro il crimine organizzato che, in presenza di un reato transnazionale,
consente all’Autorità giudiziaria il sequestro preventivo per equivalente in previsione della
futura confisca. In particolare, ha previsto all’art. 11, per i reati transazionali, che qualora
la confisca delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato non sia
possibile, il giudice ordina la confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il
reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un valore cor-
rispondente a tale prodotto, profitto o prezzo. In caso di usura è comunque ordinata la
confisca di un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usu-
rari. In tali casi, il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o
individua i beni o le utilità assoggettati a confisca di valore corrispondente al prodotto, al
profitto o al prezzo del reato. Tale normativa è stata ritenuta di assoluta rilevanza proprio
con riferimento alla frode fiscale in quanto era stata stimata sufficiente, al verificarsi dei
presupposti richiesti, a superare l’orientamento della Corte di Cassazione. Il giudice di le-
gittimità, infatti, aveva escluso il sequestro conservativo del saldo liquido di conto corrente
in misura corrispondente all’imposta evasa non sussistendo il necessario rapporto di deri-
vazione diretta tra evasione d’imposta e le disponibilità del conto dal momento che non
può affermarsi che la disponibilità liquida sia frutto dell’indebito arricchimento per una
somma equivalente alla imposta evasa. Cfr. Cass., 15 marzo 2006, n. 13244.
(39) Cfr. C. Santoriello, La confisca per equivalente e la determinazione del valore dei
beni oggetto del provvedimento, in Fisco, 2008, 1, 4337 ss. Dello stesso Autore si vedano: La
confisca per equivalente del prezzo del reato nell’interpretazione delle sezioni unite della Cas-
sazione, in Impresa c.p.i., 2006, 129; Reati tributari e richiesta di sequestro conservativo avan-
zata dal P.M., in Rubrica del diritto penale tributario, 2008, 3, 25 ss.; Confisca per equiva-
lente e reati tributari: le prime indicazioni della giurisprudenza, in Fisco, 2009, 1, 234. Per
un ulteriore approfondimento si possono utilmente consultare S. Capolupo, La confisca per
equivalente in materia tributaria, in Corr. trib., 2008, 2015 ss., nonché dello stesso A., Fi-
nanziaria 2008: estesa ai reati fiscali la confisca per equivalente, in Fisco, 2008, 1, 585 ss.
186 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

ha la funzione di ripristinare l’ordine finanziario dello Stato leso dall’illecito


stesso (40).
Nel corso degli anni i giudici di legittimità hanno, in tal senso, precisato
che la disciplina della confisca per equivalente ha funzione sostanzialmente
riparatoria e ripristinatoria della situazione economica modificata in favore
del reo dalla commissione dell’illecito penale attraverso l’imposizione di un
sacrificio patrimoniale di corrispondente valore (41).
Tale disciplina è stata, come detto, estesa alla materia tributaria mediante
l’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) (42),
frutto di un’esigenza avvertita dagli organi competenti, i quali hanno indivi-
duato nelle misure ablative lo strumento giuridico atto a recuperare le somme
dovute a saldo dell’obbligazione tributaria originatasi a seguito dell’attività di
accertamento, nonché dell’eventuale condanna in sede giudiziaria (43).
Nella sua nozione tradizionale la confisca, di cui all’art. 240 del codice
penale, attribuisce al giudice la facoltà, in caso di condanna, di sottrarre al
soggetto, riconosciuto autore di un reato, i beni di cui dispone, dimostrando
che questi ultimi sono legati al reato da un nesso c.d. di pertinenzialità, costi-
tuendone il prodotto, il profitto (confisca facoltativa), ovvero il prezzo (confi-
sca obbligatoria) (44). Con la confisca per equivalente, introdotta nel codice
penale dall’art. 3 della l. 29 settembre 2000, n. 300, tale dimostrazione non è
più necessaria.

(40) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28724.


(41) Cfr. Cass., sez. III pen., 24 settembre 2008, n. 39172; nonché Cass., sez. III
pen., 26 maggio 2010, n. 29724.
(42) In generale sulla confisca per equivalente nel sistema penale tributario, si veda
C. Santoriello, Natura sanzionatoria della confisca per equivalente prevista per i reati tri-
butari, cit., M. Meoli, La confisca nei reati tributari: limiti e possibilità di procedere per
equivalente, in Fisco, 2008, 1, 6142; G. Pezzuto - P. Consiglio, La confisca per equivalen-
te nel sistema penale tributario, in Riv. Guard. fin., 2008, 388; G. Soldi, La confisca per
equivalente nei reati tributari, in Riv. dir. trib., 2007, III, 17.
(43) Si veda, in generale sulla confisca per equivalente, G.L. Soana, Introdotta la
confisca per equivalente anche nel diritto penale tributario, in Giur. trib., 2008, 1 ss.; S.
Capolupo, Finanziaria 2008: estesa ai reati fiscali la confisca per equivalente, in Fisco,
2008, 6, 585; R. Brichetti, Confisca anche per i vecchi reati tributari, in Guida dir.,
XXXI; G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2008, cap. XX, 467; nonché I. Caraccioli, La
confisca per equivalente ed il sequestro preventivo nei reati tributari, in Guida ai controlli
fiscali, 2008, 3, 3 ss.
(44) Cfr. Cass., sez. un., 22 novembre 2005, n. 41936, che, tra l’altro, riporta sche-
maticamente alcune conclusioni della giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicazio-
ne della confisca per equivalente (e del sequestro ad essa finalizzato): essa esime dallo sta-
bilire quel rapporto di pertinenzialità tra reato e provvedimento ablatorio dei proventi ille-
citi, che caratterizza invece la misura ex art. 240 c.p.: fermo restando, cioè, il presupposto
della consumazione di un reato, non è più richiesto alcun rapporto tra il reato e i beni da
confiscare, potendo essere detti beni diversi dal provento (profitto o prezzo) del reato stes-
so; costituendo una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, viene
ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio; richiede, oltre alla ravvisabilità di
uno dei reati per i quali è consentita e alla non appartenenza dei beni a un terzo estraneo,
che nella sfera giuridico-patrimoniale del responsabile non sia stato rinvenuto, per una
qualsivoglia ragione, il prezzo o profitto (di cui sia però certa l’esistenza) del reato. Da ul-
timo, si veda, inoltre, Cass., sez. III pen., 12 aprile 2012, n. 20676, la quale conferma che
il nesso di pertinenzialità che deve, ordinariamente, legittimare il sequestro preventivo, nel
caso di specie non è richiesto o, meglio, si pone a monte e riguarda il rapporto tra l’ipo-
tizzato prezzo o profitto del reato e la stessa fattispecie delittuosa per cui si procede.
PARTE SECONDA 187

Dunque, l’istituto in epigrafe prevede, in deroga alle disposizioni del co-


dice penale, la ripresa di beni nella disponibilità del reo, per un valore equi-
valente al profitto conseguito, indipendentemente dal loro collegamento, diret-
to o indiretto, con il fatto di reato. Ciò sia laddove non sia possibile indivi-
duare il bene oggetto del profitto, sia laddove questo non sia presente essen-
do il vantaggio economico della condotta illecita dato da un risparmio di spe-
se dovute (45).
Relativamente alla materia degli illeciti penali tributari, generalmente, il
profitto del reato si realizza attraverso il mancato pagamento dell’imposta do-
vuta e, dunque, non già con il conseguimento di un provento in denaro ma
mediante un risparmio economico, che, in quanto tale, non può essere assog-
gettato a confisca ex art. 240 del codice penale.
Per tale ragione, nella vigenza della l. 7 agosto 1982, n. 516, introduttiva
del doppio binario, e, poi, con il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si è registrata
l’inoperatività (se non una vera e propria impossibilità), di sottoporre a se-
questro, prima, e a confisca, poi, il profitto dei reati in materia di evasione di
imposte (46). Di conseguenza, è stato osservato che, laddove il profitto venga
conseguito attraverso somme di denaro, la confisca è possibile solo qualora vi
siano sufficienti indizi per ritenere che il denaro di provenienza illecita sia
stato, ad esempio, depositato in un conto bancario od investito in titoli che
divengono, poi, oggetto del provvedimento cautelare reale (47) od, al più,
laddove questa abbia ad oggetto beni che siano il frutto del diretto reimpiego
da parte dell’autore del denaro illecitamente conseguito.
In tal senso, dunque, come osservato per i reati contro la pubblica am-
ministrazione, dal 2008 è stata garantita l’applicazione del sequestro per
equivalente anche a tutti i reati tributari, con eccezione dell’occultamento o
distruzione di scritture contabili previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 74 del
2000 (48).

(45) Cfr. art. 321 del codice di procedura penale, il quale circa l’oggetto del seque-
stro preventivo precisa: 1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa per-
tinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la
commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pro-
nunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio del-
l’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. 2. Il giudice può altresì di-
sporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.
(46) In un tale contesto, il sequestro risulta ammissibile allorquando il bene si iden-
tifichi in quello che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed
immediato dell’illecito ovvero in quello realizzato come conseguenza anche indiretta o me-
diata della sua attività criminosa. Cfr. Cass., 21 ottobre 1994, n. 2315, ove è stata valutata
la legittimità di un sequestro di un appartamento che era stato acquistato con i proventi del
reato di concussione.
(47) Si veda, Cass., 25 marzo 2003, n. 23773, nella quale la Suprema Corte statuisce
che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il
sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente perce-
pite bensì la somma corrispondente al loro valore nominale presente nel conto ove queste
sono state depositate.
(48) In particolare, l’art. 1, 143o comma, della legge finanziaria per il 2008 (l. 24 di-
cembre 2007, n. 244), stabilisce che: nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-
ter, 10-quater e 11, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale. Il legislatore fa ri-
ferimento, nella redazione della norma, alla significativa esperienza giudiziaria maturata al
riguardo. Si veda, ad esempio, l’art. 11 della l. n. 146 del 2006, in vigore dal 12 aprile
188 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

L’estensione avviene con la clausola in quanto applicabili, ma, a quanto


specificamente previsto, non sembrano seguire problematiche concrete circa
l’applicazione pratica (a parte il problema generale del reperimento dei beni
da colpire con il provvedimento ablativo) (49).
La norma ha, pertanto, esteso l’intero disposto di cui all’art. 322-ter, an-
che alle ipotesi di delitti tributari dichiarativi, alla fattispecie di emissione di
fatture per operazioni inesistenti ed al delitto di sottrazione fraudolenta al pa-
gamento delle imposte, nella misura in cui sia possibile individuare il profitto
conseguito dall’agente per sottoporlo a misura ablativa, ovvero, ove ciò non
si riveli possibile si rende imprescindibile la necessità di verificare la possibi-
lità di avvalersi dell’istituto della «confisca per equivalente» teso a colpire i
beni di valore equivalente al tributo non versato (50).
Occorre dunque rilevare che la disposizione del 2007 ha, innanzitutto,
sostenuto la sussistenza di una confisca di tipo obbligatorio per i reati tributa-
ri aventi ad oggetto il mancato pagamento dell’imposta dovuta ed in cui non
sia possibile individuare i beni oggetto del profitto derivante dalla condotta
criminosa (51).
Per cui, una volta stabilita la somma di denaro che è stata oggetto del
mancato pagamento di imposte dovute, ovvero quale percezione di un indebi-
to rimborso, e verificata la possibilità di aggredire il provento del reato, si
procederà al sequestro, prima, ed alla confisca, poi, di somme di denaro o di

2006, che prevede la possibilità di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confi-
sca anche per equivalente, nei casi di reati transnazionali, per i quali la confisca delle cose
che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, non sia possibile. L’istitu-
to è stato applicato ai reati tributari, per la prima volta in Italia, nel corso di un’inchiesta
penale avviata dalla Procura della Repubblica di Trento, sottoponendo a sequestro denaro,
beni ed altre utilità per circa due milioni di euro, in seguito ad un’indagine condotta, con-
giuntamente dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle Dogane, nei confronti di un’or-
ganizzazione criminale volto alla realizzazione di una frode carosello all’iva a carattere
transazionale, di ingenti proporzioni, realizzata attraverso la costituzione di numerose attivi-
tà off shore, inizialmente nel Liechtenstein e successivamente nelle Antille Olandesi, nelle
Isole Vergini Britanniche, nello stato Usa del Delaware, nel Principato di Monaco e a Ci-
pro. In ordine allo stesso procedimento e all’applicabilità della misura ai reati tributari, do-
po l’entrata in vigore dell’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007, si veda, Cass., sez.
III pen., 9 dicembre 2009, n. 46855.
(49) Cfr. Santarelli, Confisca dei beni per reati tributari. Commento alla Finanziaria
2008, in allegato a Fisco, 2008, 145, e S. Capolupo, Estesa ai reati fiscali la confisca per
equivalente, ivi, 2008, 585. Più in generale si rinvia a A. Traversi - S. Gennai, Diritto pe-
nale commerciale, Padova, 2008, 244.
(50) Occorre rilevare, inoltre, circa l’interpretazione collegata alla diversa natura e ai
diversi effetti del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., e della confisca del profitto o di
valore equivalente ex art. 322-ter c.p., che il sequestro preventivo a norma dell’art. 321
c.p.p. è una misura cautelare finalizzata a garantire l’esecuzione del futuro provvedimento
ablatorio, ed in quanto tale non comporta una privazione definitiva del diritto di proprietà.
Pertanto può essere disposto il sequestro anche per l’intero nei confronti di uno solo dei
soggetti coinvolti quando non sia possibile accertare l’esatto ammontare del prezzo o del
profitto riferibile al singolo concorrente. Maggiore attenzione occorre nel momento della
confisca adottata all’esito del giudizio, che dovrà essere adottata previo accertamento della
quota di prezzo o di profitto attribuibile al singolo concorrente, e solo nella persistente im-
possibilità di tale verifica potrà essere applicata per l’intero prezzo o profitto, ma sempre
nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti.
(51) Tale obbligatorietà sarà rispettata, come vedremo, anche in caso di patteggia-
mento.
PARTE SECONDA 189

beni aventi un valore equivalente a quelli così sottratti all’Erario (52); il tutto,
a differenza di quanto sostenuto dalle disposizioni previgenti, senza la neces-
sità di quella specifica individuazione che, soprattutto in relazione alla natura
di risparmio che è propria della condotta evasiva, rendeva, di fatto, impossi-
bile la confisca in questa materia.

3.1. – La qualifica di «misura sanzionatoria» irretroattiva

Tuttavia, l’entità della misura in questione ha suggerito complessi dibatti


dottrinali che hanno avuto fine solo a seguito dell’ordinanza della Corte costi-
tuzionale 2 aprile 2009, n. 97 (53).
Sin dalla sua nascita, infatti, ci si domandava se la confisca per equiva-
lente in materia di reati tributari, intesa come misura di sicurezza patrimonia-
le, fosse applicabile anche in relazione ai reati commessi precedentemente al-
l’entrata in vigore della l. n. 244 del 2007 e, cioè, se fosse ammissibile
un’applicazione retroattiva della confisca per equivalente a carico di soggetti
condannati per i sopra citati reati tributari. Di tale questione è stata appunto
investita la Corte costituzionale (54).
Sulla base di quanto previsto in via generale circa il principio di irre-
troattività della legge penale, l’art. 25, 2o comma, Cost. pone come primaria
esigenza di legalità che nessuna pena possa essere applicata in relazione a
fatti che, al momento della loro commissione, non erano previsti dalla legge
come reato. Se tale irrinunciabile e basilare principio di diritto debba valere
solo per le pene o anche per le misure di sicurezza è tema che, invece, si è
rivelato controverso (55).
Il caso di specie vedeva, a fronte di una condanna a pena concordata per
delitti tributari commessi prima dell’entrata in vigore della Finanziaria 2008
che ha esteso alla materia tributaria la confisca di cui all’art. 322-ter c.p., il
GUP del Tribunale di Trento chiamato, come giudice dell’esecuzione della
condanna a pena patteggiata, a pronunciarsi sulla restituzione o no al condan-
nato dei beni sotto sequestro, nel caso di specie, preesistenti rispetto all’illeci-
to penal-tributario (56).

(52) La confisca riguarderà il profitto del delitto tributario e non il prezzo di difficile
o impossibile configurazione.
(53) Cfr. P. Murgia, Corte Cost., ord. n. 97 del 2 aprile 2009 - L’irretroattività della
disciplina della confisca per equivalente estesa ai reati tributari, in Fisco, 2009, 1, 3941.
(54) Cfr P. Corso, La confisca «per equivalente» non è retroattiva, in Corr. trib.,
2009, 1775.
(55) Cfr. Corte cost., ord. 2 aprile 2009, n. 97, in Corr. trib., 2009, 1775, con com-
mento di P. Corso; nonché in GT - Riv. giur. trib., 2009, 481, con commento di F. Fonta-
na. Già in precedenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (22 novembre 2005, n.
41936) avevano confermato l’orientamento secondo il quale la confisca di valore costituen-
do una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, viene ad assumere
un carattere preminentemente sanzionatorio. Sul tema si veda inoltre F. Ardito, Reati tri-
butari: irretroattività della confisca per equivalente, in Rass. trib., 2009, 874.
(56) A fronte di un patteggiamento per reato tributario il condannato ha chiesto la
restituzione delle somme in sequestro in un contesto nel quale non vi era prova che fossero
il profitto del reato tributario e in un contesto nel quale non risultavano altri beni intestati o
riferibili al condannato. La vicenda avrebbe potuto innescarsi anche su richiesta di confisca
avanzata dal Pubblico ministero a fronte di una sentenza di condanna che non si pronuncia-
190 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Si è allora posto il quesito sulla retroattività dell’estensione dell’art. 322-


ter c.p. ai delitti tributari, tradottosi in una questione di costituzionalità circa
la scelta normativa che obbliga il giudice in questione a disporre la confisca
(ove del caso, per equivalente) anche in riferimento a delitti commessi nel
tempo in cui essa non era legislativamente prevista (57).
Va detto che il dubbio interpretativo del giudice a quo fondava le radici
su una realtà normativa quanto mai composita (58).
Sulla base di tali premesse e sulla scorta dell’orientamento della CEDU,
che ha segnalato il contrasto dell’applicazione retroattiva dell’istituto della
confisca con l’art. 7 CEDU (59), il giudice a quo ha, quindi, sollevato l’inci-
dente di costituzionalità, non già in relazione alla presunta violazione dell’art.
25 Cost., bensì in relazione alla violazione dell’art. 117 Cost., data la possibi-
le violazione di obblighi internazionali, cui deve conformarsi la potestà legi-
slativa dello Stato. Tale scelta è riuscita ad affrancare la questione dai ristretti
margini di manovra, che, secondo l’orientamento della Consulta, erano con-

va sulla sorte (restituzione o confisca) delle somme in sequestro. Cfr. G.L. Soana, La con-
fisca per equivalente nel diritto penale tributario è applicabile solo per i reati commessi
dopo il 31 dicembre 2007, retro, 2009, II, 2 ss.
(57) L’ordinanza 12 febbraio 2008 (GUP Tribunale di Trento, est. Pascucci) è pub-
blicata in Corr. trib., 2008, 2601, con nota di Del Sole, È costituzionalmente compatibile
l’applicazione retroattiva della confisca per equivalente?, ivi, 2603. Si veda, altresì, G.
Soana, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario è applicabile solo per i
reati commessi dopo il 31 dicembre 2007, retro, 2009, II, 2 ss.
(58) A fronte di una nozione di confisca non unitaria perché frutto di una stratifica-
zione di norme nel tempo (cfr. Massa, voce Confisca (dir. e proc.p. pen.), in Enc. p. dir.,
VIII, Milano, 1961, 980, e Trapani, voce Confisca (dir. pen.), in Enc. p. giur. Treccani,
VIII, 1988, 1) l’ordinanza del giudice a quo attribuisce valore dirimente alla giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) sulla interpretazione dell’art. 7, 1o com-
ma, seconda parte, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo. In-
dividuati i caratteri sostanziali della pena, la Corte europea ha rivendicato a se stessa la li-
bertà di superare il nomen iuris dato alla misura dal diritto interno e ha qualificato come
pena (e, quindi, come non retroattiva) un provvedimento di confisca disposto da giudici in-
glesi. La sentenza 9 febbraio 1995 della CEDU nella causa Welch c.p. Regno Unito viene
ad essere invocata dal GUP Tribunale di Trento come precedente vincolante nell’ordina-
mento italiano e come ragione di reductio ad unum delle variegate nozioni di confisca per
equivalente.
(59) La giurisprudenza internazionale ha introdotto infatti un ulteriore inquadramento
della questione. In questo caso il riferimento è dato, come già in precedenza rilevato, dalla
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), 9 febbraio 1995, Welch c.p. re-
gno Unito, n. 307-A, richiamata dall’ordinanza che ha rimesso alla Corte costituzionale la
questione ora in commento. Ebbene, la CEDU ha osservato che la qualificazione di una
misura sanzionatoria come pena non dipende solo dalla veste formale data dall’ordinamen-
to, ma deve necessariamente tenere conto in concreto della natura, dello scopo e della gra-
vità degli effetti della misura in questione. A fronte di tale premessa la CEDU ha ritenuto
che la confisca, imposta ad un soggetto condannato sulla base di una legge che introduceva
tale misura di sicurezza solo dopo l’avvenuta commissione del reato, si sostanziasse in una
pena, perché il pregiudizio subito dal condannato risultava essere più grave di quello che il
medesimo avrebbe subito al momento della commissione del reato, quando la misura anco-
ra non era stata introdotta nell’ordinamento. Tale situazione, pertanto, finiva per violare
l’art. 7 della Convenzione europea di diritti dell’uomo, che prevede che non possa essere
inflitta una pena – da intendersi in senso lato, come qualsiasi misura oggettivamente afflit-
tiva – più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Cfr. A.
Del Sole, È costituzionalmente compatibile l’applicazione retroattiva della confisca per
equivalente?, in Corr. trib., 2008, 2601.
PARTE SECONDA 191

sentiti dall’art. 25, 2o comma, Cost., le cui garanzie sarebbero rivolte solo al-
le pene e non alle misure di sicurezza.
Pertanto, nel ragionamento fatto dalla Corte, quale punto di partenza si
prese in considerazione l’art. 200 c.p. che, nel regolare la disciplina dell’ap-
plicazione delle misure di sicurezza rispetto al tempo, prevede che queste sia-
no regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Sulla base
di questo argomento testuale gran parte della dottrina (60) e la giurisprudenza
di legittimità ritengono che le misure di sicurezza, diversamente dalla pene,
possano essere applicate anche retroattivamente. È stato, infatti, ripetutamente
affermato dalla Corte di cassazione, che il principio di irretroattività della
legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, 2o comma, Cost., è operante nei
riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicu-
rezza, sicché la confisca può essere disposta anche in riferimento a reati com-
messi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversa-
mente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata (61).
Tale orientamento giurisprudenziale e dottrinale poggia, oltre che sul da-
to testuale dell’art. 200 c.p., anche sul rilievo che le misure di sicurezza, di-
versamente dalle pene, che costituiscono una reazione legislativa ad un fatto
previsto dalla legge come reato, sono incentrate sul concetto di pericolosità
sociale del reo o della cosa correlata all’attività criminosa. Ne consegue che
l’attuale pericolosità sociale della persona o della cosa giustifica l’applicazio-
ne di uno strumento preventivo, quale è la misura di sicurezza, anche quando
questa sia stata introdotta nell’ordinamento solo dopo la commissione del rea-
to.
A fronte di questa interpretazione maggioritaria, si registra, in verità, in
dottrina qualche autorevole voce dissonante, che suggerisce l’estensione del
principio di irretroattività anche alle misure di sicurezza, attraverso una lettu-
ra costituzionalmente orientata dell’art. 200 c.p. (62).
Sulla base di queste premesse, la lettura dell’art. 200 c.p. che viene pro-
posta implica che la retroattività della legge sia ammessa non per consentire
l’applicazione di una misura di sicurezza non prevista al momento in cui è
stato commesso il fatto, ma solo per disciplinare in maniera diversa mere mo-
dalità esecutive di una misura già prevista dalla legge al momento della com-
missione del fatto (63).
L’orientamento della Consulta è fermo nel ritenere che non sia possibile
stabilire alcuna equiparazione tra pene e misure sicurezza. La pena, infatti,

(60) Si veda, per tutti, P. Nuvolone, Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in


Enc. p. dir., XXVI, Milano, 1976 e 651.
(61) Cfr. Cass., sez. I pen., 1o marzo 2006, n. 9269, in Riv. pen., 2007, 110; Id., 8
novembre 2007, n. 7116.
(62) Occorre al riguardo rilevare che la ratio di garanzia dell’art. 25 Cost., nella par-
te in cui prevede il principio di irretroattività, porta ad escludere che possa applicarsi, sia
una misura di sicurezza in relazione ad un fatto che, al momento in cui è stato commesso,
non era previsto dalla legge come reato, sia una misura di sicurezza originariamente non
prevista. Ciò perché si deve ritenere che tutta la materia relativa alla successione delle leg-
gi penali, non solo per quel che riguarda la previsione di reati, ma anche per quel che con-
cerne il tipo e la quantità di sanzioni, comprese le misure di sicurezza, da applicare in sede
giurisdizionale, è regolata dall’art. 2 c.p., che vieta l’applicazione retroattiva della legge pe-
nale. Cfr. Pagliaro, Principi di diritto penale, Milano, 1995, 126.
(63) Si veda, in tal senso, Fiandaca - Musco, Diritto penale - parte generale, Mila-
no, 1995, 769.
192 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

costituisce, come poi dimostra il d.lgs. n. 74 del 2000, una reazione ad un


fatto avvenuto, mentre la misura di sicurezza è attuativa di mezzi rivolti ad
impedire fatti di cui si teme la reiterazione (64).
Alla luce di tali premesse, la Consulta ha, così, regolarmente riconosciu-
to la conformità alla Costituzione dell’art. 200 c.p., mettendo, inoltre, in di-
scussione che detta norma prevedesse la retroattività della legge penale: tale
retroattività deve, infatti, negarsi, attesa la correlazione delle misure alla peri-
colosità, che è situazione per sua natura attuale.
È dunque in questo quadro che si colloca la questione di legittimità co-
stituzionale relativa all’art. 322-ter c.p. e vertente sull’ammissibilità dell’ap-
plicazione retroattiva dell’istituto della confisca per equivalente.
A tal riguardo, il giudice a quo ha osservato che la confisca per equiva-
lente di cui all’art. 322-ter c.p. va qualificata come misura di sicurezza, la
quale, alla luce di quanto anche affermato dalla Corte di Cassazione, costitui-
sce una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti e,
quindi, assume un carattere eminentemente sanzionatorio.
Di conseguenza, la decisione della Corte costituzionale risulta di prege-
vole fattura in quanto riesce a semplificare un contesto normativo ed erme-
neutico, come si è visto, piuttosto controverso. La Consulta ha, infatti, sotto-
lineato che per qualificare giuridicamente la confisca per equivalente occorre
prendere in considerazione la sua connotazione sostanziale, la sola in grado
di rappresentarne il relativo tratto distintivo.
La confisca di cui all’art. 322-ter c.p., in realtà, non si fonda sulla ratio
preventiva, né ha ad oggetto cose caratterizzate dall’intrinseca pericolosità
propria delle misure di sicurezza, ma si basa su una natura giuridica decisa-
mente afflittiva e sanzionatoria. Manca, dunque, tra i presupposti della confi-
sca per equivalente, il nesso di pertinenzialità tra le cose confiscate e il reato,
che, invece, è presupposto tipico delle misure di sicurezza (65).
In altri termini, la confisca per equivalente, per caratteristiche strutturali
e contenutistiche, va qualificata come sanzione penale, pertanto, non potrà
trovare applicazione l’art. 200 c.p., il quale relativamente alle misure di sicu-
rezza ne consente la retroattività.
L’attribuzione alla confisca per equivalente dello statuto disciplinare del-
le pene consente, invece, di ricorrere alla garanzia costituzionale dell’art. 25,
2o comma, Cost., nella parte in cui impone il divieto di retroattività della leg-
ge penale.
Pertanto, l’intervento della Corte con l’ordinanza n. 97 del 2 aprile 2009,
ha sancito l’irretroattività delle norme previste in tema di confisca per equi-
valente nei reati tributari. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, la confisca
in esame avrebbe natura eminentemente sanzionatoria e, in quanto tale, sotto-
posta al divieto di retroattività delle sanzioni penali previsto dall’art. 25 della
Costituzione; ciò anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei
diritti dell’uomo, che ha ritenuto in contrasto con i principi sanciti dall’art. 7
della Convenzione l’applicazione retroattiva di una confisca di beni effettuata,

(64) L’assetto disciplinare dei due istituti rispecchia correttamente tale radicale di-
stinzione e, pertanto, presenta una diversa configurazione.
(65) Con riferimento all’irrilevanza del nesso di pertinenzialità proprio in ordine al
sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nell’ambito di procedimenti per reati tri-
butari, si veda, inoltre, Cass., 8 marzo 2011, n. 8982.
PARTE SECONDA 193

appunto, nella forma «per equivalente» (66). Tale conclusione esclude la pos-
sibilità di procedere alla confisca per equivalente, in caso di reati tributari
commessi prima dell’entrata in vigore della l. n. 244 del 2007 (67).

3.2. – I requisiti

Per ciò che concerne altresì i requisiti per procedere alla «confisca obbli-
gatoria», è da ritenersi acquisito e superato l’ampio dibattito dottrinale e giu-
risprudenziale che si è andato formando sulle nozioni di prezzo, prodotto e
profitto del reato e sulla pertinenzialità tra questo ed i beni da confiscare, che
pure sono indispensabili per la corretta qualificazione delle disposizioni con-
tenute nell’art. 322-ter del codice penale.
Per ciò che concerne questi concetti, risulta sufficiente rinviare alla dot-
trina penalistica ed alla giurisprudenza della Cassazione, che individuano: il
prezzo, nel corrispettivo pattuito e conseguito o promesso ad una persona co-
me corrispettivo per la commissione di un reato; ed il profitto, in quel van-
taggio economico o beneficio patrimoniale direttamente e causalmente deri-
vante dall’attività illecita (68).
Tuttavia, occorre ricordare che, anche se eseguita per un valore equiva-
lente, la confisca presuppone che il condannato, per un reato tributario, o
l’imputato, nel caso di sequestro preventivo, abbia percepito un vantaggio
economico causalmente collegato al comportamento delittuoso, e che tale
vantaggio sia quantificato (69).

(66) Si osserva, peraltro, che, nel sottolineare la natura sostanzialmente afflittiva del-
la confisca per equivalente, si fa riferimento alla sentenza della CEDU che dichiarava l’ap-
plicazione retroattiva della confisca in contrasto con l’art. 7 CEDU, secondo il quale non
può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è sta-
to commesso. Contrasto, questo, che si verificherebbe proprio perché il pregiudizio del
condannato, con l’applicazione retroattiva della misura, sarebbe risultato di fatto maggiore
di quello che il medesimo soggetto avrebbe subito al momento della commissione del fatto.
(67) La decisione, però, proprio perché esaurisce i suoi effetti al circoscritto ed
esclusivo ambito della confisca per equivalente, lascia aperta la questione relativa alla di-
sciplina rispetto al tempo delle misure di sicurezza, a proposito della quale la Corte non
sembra concedere alcun elemento per capire se il suo tradizionale orientamento sia suscet-
tibile di una qualche modificazione. Sarebbe, allora, auspicabile che le argomentazioni svi-
luppate nell’ordinanza in commento con specifico riguardo alla confisca per equivalente,
potessero essere estese anche alle altre misure di sicurezza e che la valorizzazione del dato
intrinsecamente afflittivo – e quindi sanzionatorio – di tutte le misure di sicurezza induces-
se la Consulta ad un ripensamento del suo orientamento in tema di retroattività delle misu-
re di sicurezza.
(68) Quanto al profitto del reato si riscontra nella giurisprudenza delle Sezioni Unite
penali della Cassazione anche una interpretazione estensiva della sua nozione, in base alla
quale essa ricomprende, non solo i beni o il denaro ottenuti per effetto diretto e immediato
dell’attività criminosa, ma ogni utilità economica indirettamente derivante dal loro reimpie-
go purché causalmente riconducibile, anche in via indiretta e mediata, al comportamento il-
lecito. Cfr. Cass., sez. un. pen., 25 ottobre 2007, n. 10280; Id., 2 luglio 2008, n. 26654.
(69) La necessità di collegare (e quantificare) la confisca (anche per equivalente) ad
un profitto derivante dal reato tributario commesso trova conferma anche nel mancato inse-
rimento tra le fattispecie per le quali essa è prevista, del reato di occultamento o distruzio-
ne di documenti contabili, dalla commissione del quale, di regola, non deriva alcun profit-
194 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Alla luce di dottrina e giurisprudenza dominante, inoltre, tale vantaggio


derivante da un reato tributario è costituito dalla differenza tra imposta versa-
ta e imposta effettivamente dovuta (70), in quanto quasi tutte le ipotesi di
reato fiscale alle quali è estesa la confisca ex art. 322-ter c.p. (71) sono qua-
lificate dalla individuazione di una imposta evasa che costituisce il profitto
minimo sul quale può fare affidamento il contribuente evasore.
In tal senso, peraltro, come rilevato dalla lettura di alcune pronunce giu-
risprudenziali, il problema che attende l’interprete sarà anche quello relativo
alla quantificazione della misura del profitto.
Risulta in realtà complesso stabilire se vadano ricompresi o meno nella
misura ablativa anche i costi lecitamente sostenuti, ad esempio, in adempi-
mento di un contratto da cui scaturisce il profitto illecito, e se, inoltre, vada-
no considerati confiscabili anche i crediti non ancora percepiti ma solo attesi.
Sulla prima questione, la nota sentenza a sezioni unite Impregilo n.
26654 del 2008, ha riconosciuto sul tema la deduzione dal profitto in questio-
ne di tali costi (72); mentre sul tema del profitto atteso, la Cassazione si è ul-
timamente pronunciata affermando l’inammissibilità della confisca nei casi si-
mili (73).
Pertanto, occorre volgere la nostra attenzione agli altri requisiti che per-
mettono l’utilizzo della confisca in materia di reati tributari.
Lo stesso articolo 322-ter del codice penale, infatti, chiarisce la portata
della misura, la quale deve eseguirsi sui beni che costituiscono il profitto sal-
vo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è
possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore
corrispondente a quello di detto profitto.
Possono, dunque, distinguersi quattro requisiti per permettere l’utilizzo
di tale misura:
– la persona raggiunta dalla misura cautelare reale deve essere indagata
per uno dei reati per i quali sia consentita la confisca (anche) per equivalente;
– nella relativa sfera giuridico-patrimoniale deve rinvenirsi il prezzo od
il profitto del reato per cui si procede;
– i beni da sequestrare non devono appartenere a persona estranea al
reato (74);
– qualora nella sfera giuridico-patrimoniale del reo non si sia rinvenuto

to, salvo che il fatto non costituisca il presupposto per la realizzazione di un più grave rea-
to di evasione.
(70) La giurisprudenza più recente riconosce che nei reati fiscali di evasione l’am-
montare dell’imposta evasa (importo sottratto alla destinazione fiscale e del quale beneficia
il trasgressore) costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla
condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato. Si
vedano Cass., sez. III pen., ord. 12 aprile 2012, n. 13982; Id., sez. V pen., 17 gennaio
2012, n. 1843; Id., sez. III pen., 16 gennaio 2012, n. 1199; nonché Id., 8 marzo 2011, n.
8982.
(71) Tra le quali, ad esempio, la dichiarazione fraudolenta, infedele o omessa;
l’omesso versamento; l’indebita compensazione; nonché la sottrazione fraudolenta al paga-
mento di imposte.
(72) Cfr. Cass., sez. un., 2 luglio 2008, n. 26654. Nello stesso senso, si veda la sen-
tenza Angelucci, Cass., sez. II, 29 marzo 2012, n. 11808.
(73) Cfr. Cass., 26 gennaio 2012, n. 3238.
(74) Condizione questa comune a tutte le ipotesi di confisca di cui all’art. 322-ter
del codice penale.
PARTE SECONDA 195

il profitto (o il prezzo) del reato presupposto, può procedersi alla confisca dei
beni per un valore corrispondente a quello del detto profitto di cui il reo ab-
bia la disponibilità.
Sin da subito, risulta evidente l’importanza del concetto di disponibilità
del bene per poter essere aggredito da una misura di tale incisività.
Orbene, su tale locuzione, si richiama la pregevole giurisprudenza di
Cassazione, la quale dal 1991 ritiene che il concetto di disponibilità non pos-
sa essere limitato esclusivamente alla sola proprietà della cosa suscettibile di
confisca, dovendo essere esteso, per contro, ai diritti di garanzia (75). In tal
senso, la Corte ha sostenuto l’insufficienza della mera intestazione di un bene
a un terzo per configurarne l’estraneità, nel caso in cui precisi elementi di
fatto consentano di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che nella
realtà sia l’autore dell’illecito ad averne la sostanziale disponibilità agendo
questi uti dominus (76).
Se le espressioni usate dal legislatore salvo che appartengano a persona
estranea al reato e beni, di cui il reo ha la disponibilità, sono da considerarsi
sostanzialmente complementari alla finalità di escludere che la misura ablati-
va, data la sua natura di prelievo pubblico a compensazione di guadagni ille-
citi, dunque eminentemente sanzionatoria, possa incidere su soggetti estra-
nei (77), è stato, non di meno, altrettanto correttamente osservato come la

(75) Cfr. Cass., sez. I, 25 luglio 1991, n. 3117.


(76) Per quanto concerne la nozione di estraneità al reato, essa caratterizza sintetica-
mente tutti coloro che non hanno preso parte alla realizzazione dell’illecito, vale a dire
l’autore e i compartecipi (come nel caso in cui gli adempimenti fiscali sanzionati, la dichia-
razione o il pagamento delle imposte, siano adempiuti da un padre in nome e per conto del
figlio); detto in altri termini, una persona và considerata estranea al reato in quanto non
abbia concorso, né materialmente né moralmente, al reato stesso. Quanto al concetto di di-
sponibilità, la dottrina ritiene che lo stesso vada inteso con riferimento a tutte quelle situa-
zioni giuridiche, anche minori rispetto alla proprietà, che permettono il godimento pieno
del bene, ma che sono assimilabili, dal punto di vista fattuale, a quella del proprietario. Si
veda sull’argomento: L. Della Ragione, La confisca per equivalente nel diritto penale tri-
butario, in Diritto Penale Contemporaneo; I. Caraccioli, La confisca per equivalente ed il
sequestro preventivo nei reati tributari, in Guida ai controlli fiscali, 2008, 3, 5 ss.
(77) Si veda in particolare la sent. Cass., sez. V pen., 8 ottobre 2003, n. 45083, se-
condo cui il concetto di estraneità è stato variamente inteso nella giurisprudenza di legitti-
mità, essendo stato interpretato, talora, nel senso della mancanza di qualsiasi collegamento,
diretto o indiretto, con la consumazione del fatto-reato, ossia nell’assenza di ogni contribu-
to di partecipazione o di concorso, ancorché non punibile (Cass., sez. I, 6 novembre 1995,
A.,) e, altre volte, nel senso che non può considerarsi estraneo al reato il soggetto che da
esso abbia ricavato vantaggi e utilità (Cass., sez. II, 14 dicembre 1992, T.). Le Sezioni
Unite, con la sent. 28 aprile 1999, n. 9, hanno condiviso quest’ultima posizione, in quanto
sorretta da univoci e convincenti dati interpretativi che concorrono a conformare la portata
della nozione di «estraneità al reato» in termini maggiormente aderenti alla precisa conno-
tazione funzionale della confisca, non potendo privilegiarsi la tutela del diritto del terzo al-
lorquando costui abbia tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa e dovendo, anzi, rico-
noscersi la sussistenza, in una simile evenienza, di un collegamento tra la posizione del ter-
zo e la commissione del fatto-reato. L’attendibilità di tale opzione ermeneutica è confortata
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che, nel dichiarare l’incostituzionalità delle
disposizioni che regolano la confisca di opere d’interesse artistico o storico esportate abusi-
vamente (artt. 66 della l. 1o giugno 1939, n. 1089, e 116, 1o comma, della l. 25 settembre
1940, n. 1424, trasfuso nell’art. 301, 1o comma, del d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43), ha
escluso la compatibilità con l’art. 27, 1o comma, della Costituzione di norme che prevedo-
no la confisca anche quando le cose risultino di proprietà di chi non sia autore del reato o
196 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

confisca per equivalente possa operare nei confronti dei beni del soggetto at-
tivo-persona fisica anche laddove questi abbia agito in nome e per conto di
una persona giuridica che abbia, poi, per intero acquisito il profitto derivante
dalla sua condotta illecita (78).
In altri termini, i concetti di disponibilità o di appartenenza (79) devono
essere riferiti a tutte quelle situazioni giuridiche, anche minori rispetto alla
proprietà, che permettono il godimento pieno dei beni (80). Sul tema, dun-
que, i giudici di legittimità hanno concluso che nelle ipotesi in cui la titolarità
formale dei beni non faccia capo al soggetto sottoposto all’indagine, il giudi-
ce deve accertare con un rigoroso metodo probatorio, che la titolarità formale
sia simulata e che l’indagato abbia piena ed autonoma disponibilità dei beni
medesimi (81).
Pertanto, per quel che concerne i beni aggredibili con la misura ablativa
in commento e la loro riconducibilità al concetto di disponibilità, occorre,
con le dovute eccezione di cui si parlerà nel prosieguo, che essi non siano
appartenenti a soggetti terzi rispetto a quello condannato (82).

non ne abbia tratto in alcun modo profitto (Corte cost., 19 gennaio 1987, n. 2), offrendo,
così, un inequivoco spunto a favore della tesi secondo cui non può reputarsi estranea al
reato la persona che abbia ricavato un utile dalla condotta illecita del reo, come si verifica,
appunto, qualora sulle cose che rappresentano il «provento» del reato sia stato costituito il
diritto di pegno a garanzia di un proprio credito.
(78) Cfr. Cass., sez. II pen., 14 giugno 2006, n. 31989. Tale aspetto risulta partico-
larmente rilevante in materia di reati tributari ove si consideri che, soprattutto nei casi di
maggiore rilevanza, il soggetto attivo del reato agisce (solitamente) non in proprio, ma
quale rappresentante di una società in favore della quale ha conseguito l’evasione dell’im-
posta.
(79) Sono state, in dottrina, elaborate elaborato diverse interpretazioni relativamente
alla nozione di appartenenza, argomento questo caratterizzato da una più o meno ampia
estensione di tale concetto. Da un lato, si può collocare un’interpretazione restrittiva, se-
condo la quale per appartenenza nel diritto penale si intende il diritto di proprietà, per cui
soltanto il diritto di proprietà è suscettibile di confisca; dall’altro, tale nozione veniva qua-
lificata alla stregua della concezione elaborata dalla dottrina privatistica, ovvero nel senso
di titolarità di un diritto avente per oggetto un bene. Secondo tale seconda interpretazione,
infatti, una rigida applicazione della nozione di appartenenza potrebbe portare ad escludere
la possibilità di confisca ogni qual volta sulla cosa confiscata esistesse un qualsiasi diritto,
avente per oggetto la cosa, appartenente a persona estranea al reato. Cfr. G. Lozzi, L’ap-
partenenza nel diritto penale, in Rivista italiana di diritto e proc.p. penale, 1958, 720; non-
ché F. Chiarotti, Appartenenza, in Enc. p. del dir., Milano, 702 ss., in cui l’Autore sostiene
che poiché secondo la dottrina privatistica per appartenenza s’intende la titolarità di un
diritto avente per oggetto un bene, appare chiara la corrispondenza della nozione privati-
stica e di quella sussunta dal diritto penale per quanto riguarda le norme cennate. In giu-
risprudenza, con sentenza di Cass., 12 maggio 1987, si è identificato il concetto di apparte-
nenza con il diritto di proprietà, per cui la confisca di beni di proprietà del condannato, ma
su cui gravano diritti di terzi, non è inconciliabile con il rispetto di questi ultimi che conti-
nuano ad esistere ed operare dopo la confisca.
(80) Cfr. Cass., 30 gennaio 1991, n. 2688, in cui i giudici ha chiarito che la semplice
intestazione ad un terzo extraneus di un bene utilizzato per realizzare il reato non è suffi-
ciente per escluderne la confiscabilità, sempre che, ovviamente si disponga di elementi pro-
batori tali da far fondatamente ritenere che l’intestazione sia fittizia ed il soggetto ne abbia
la sostanziale disponibilità.
(81) Cfr. Cass., sez. II pen., 13 maggio 1996, n. 1632.
(82) Sul tema dei confini della misura della confisca, si vedano le sentenze del 2009
nn. 49437, 16725 e 36095, le quali hanno escluso la possibilità di sostituire i beni su cui si
PARTE SECONDA 197

A titolo esemplificativo, si consideri quanto concluso dalla Suprema


Corte nella sent. n. 10838 del 14 marzo 2007, ove si evidenzia che la fittizie-
tà dell’attribuzione di una somma di denaro, realizzata mediante una donazio-
ne indiretta compiuta da parte del marito con l’accredito sul conto corrente
della moglie, è riconosciuta sulla scorta di due precisi indizi rilevatori della
simulazione: l’esistenza di una delega ad operare sul conto della moglie in fa-
vore del marito; e l’impiego di detta somma di denaro da parte del marito per
ripianare la propria posizione debitoria nei confronti di un istituto di credi-
to (83).
Sulla base di quanto rilevato, non può, dunque, non aprirsi una parentesi
sull’oggetto del sequestro, sottolineando che nella categoria dei beni, ai sensi
dell’art. 104 c.p.p., rientrano anche le azioni e le quote sociali di cui il reo ri-
sulti, direttamente o indirettamente, disporre (84).

era appuntata la misura del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente
con una fideiussione bancaria. Si è affermato che il contratto in esame dà luogo ad una
mera obbligazione di pagamento futura ed incerta che come tale non è idonea ad assumere
i caratteri della misura cautelare che colpisce un bene già in sequestro. La garanzia perso-
nale non è infatti immediatamente convertibile in un bene di valore corrispondente al pro-
vento del reato. La finalità del sequestro per equivalente è anche disincentivante perché se
è vero che il profitto del reato è il movente per cui lo si commette, è altrettanto conforme a
giustizia che il reo venga privato subito di esso e non solo al termine del processo con la
confisca. Se si ammettesse la sostituzione con una fideiussione bancaria la finalità deterren-
te sopra indicata verrebbe inevitabilmente ed irreparabilmente vanificata in quanto il patri-
monio del reo verrebbe a restare invariato. E poiché la misura in esame ha anche funzioni
punitivo-repressive se si ammettesse la praticabilità della soluzione in esame il delinquente
conserverebbe intatti i mezzi utili per riprendere le attività criminali. Senza contare che nei
fatti si autorizzerebbe la prassi di far scontare la sanzione ad un soggetto estraneo quale
l’istituto bancario. Si veda, inoltre, la sentenza 15 giugno 2012, n. 23811, la quale, invece,
stabilisce la sequestrabilità dei beni conferiti dall’autore di un reato che consente la confi-
sca per equivalente in un fondo patrimoniale sul presupposto che con questo istituto si vin-
cola solo la destinazione dei beni del conferente ma non si determina la privazione della
disponibilità. Da ultimo, si veda, la Corte di Cassazione, sentenza 6 dicembre 2012, n.
45353, la quale ha riconosciuto che l’accesso fruttuoso allo scudo fiscale (d.l. n. 78 del
2009) non è ostativo in termini pregiudiziali alla confisca per equivalente. Tale sentenza si
esprime affermando che il decreto citato non contiene alcuna clausola generica ed onni-
comprensiva di non punibilità per il contribuente che ha pagato l’imposta straordinaria sulle
attività detenute illecitamente all’estero. Non punibilità che opera solo se si riesca a dimo-
strare l’esistenza di un legame diretto tra i reati tributari commessi e le somme oggetto di
rimpatrio, sia la sussistenza di quei determinati reati legati alle condotte illecite oggetto
dello scudo.
(83) Nello stesso senso, si veda la più recente sentenza della Corte di Cassazione n.
35970 del 2010. inoltre, in tema di rapporti coniugali, si veda, Cass., sez. II pen., 24 otto-
bre 2012, n. 41412, per la quale non sussiste alcuna tutela per i conviventi dopo il decesso
del partner assegnatario dell’alloggio popolare. In particolare, l’immobile va sequestrato e
l’assenza di un’altra soluzione abitativa per il superstite non integra neppure una scriminan-
te per il caso in cui continui a viverci, configurandosi comunque un’occupazione abusiva
dell’appartamento. La Cassazione, ha confermato, dunque, la misura del sequestro preventi-
vo di una casa popolare abitata da una donna di 33 anni che dopo la morte del compagno
vi era rimasta a vivere, non avendo altre possibilità.
(84) Non rientra però in tale categoria, il capitale sociale nominale, quale cifra che
esprime il valore in denaro dei conferimenti dei soci, che rimane immutato fino a quando
ne venga deciso l’aumento o la riduzione, ovvero la società in sé e per sé, quale autonomo
soggetto di diritto rispetto ai soci, salvo che questi non abbiano – nell’ambito di un rappor-
to organico che li lega alla società e quali diretti autori del reato – realizzato la condotta
198 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Rispetto, inoltre, ai diritti di garanzia di cui il reo sia titolare, attivo ov-
vero passivo, si tratta invece, di volta in volta, di valutare se le norme civili-
stiche applicabili ai singoli rapporti consentano o meno di individuare in capo
al reo, sempre in una prospettiva di sostanza, la disponibilità dei relativi beni,
tenendo comunque presente che la giurisprudenza con sentenza di Cassazione
n. 3117, del 1991, poc’anzi accennata, ha esteso da tempo il concetto di ap-
partenenza anche ai diritti di garanzia (85).
Nel caso di costituzione di un trust (86), la giurisprudenza ha, in primo
luogo, ritenuto che, qualora il trust sia stato costituito con lo scopo deviato di
sottrarre i beni alle pretese dei creditori, i relativi beni possano essere riporta-
ti nel patrimonio del debitore disponente, attraverso la dichiarazione giudizia-
le di nullità dell’istituto, e quindi fatti ritornare nella sua disponibilità (87).
Più di recente e con specifico riguardo all’applicazione al trust dell’isti-
tuto in esame, la Cassazione con sentenza 30 marzo 2011, n. 13276, ha affer-
mato il principio secondo cui la confisca per equivalente, in materia di reati
fiscali ed altro di carattere transnazionale, ed il connesso sequestro preventi-
vo, sono applicabili anche ad un trust considerato nullo («sham trust») per il
fatto che il trustee era la stessa persona successivamente indagata per i reati
in questione. Il punto di riferimento normativo è costituito dalla formula «de-
naro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta
persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente» ... (art. 11 della l.
16 marzo 2006, n. 146) (88).

4. – Il concorso di persone nel reato e l’applicabilità della misura della con-


fisca per equivalente alle persone giuridiche

Uno degli aspetti maggiormente controversi in materia di confisca per equi-


valente riguarda le ipotesi di concorso di persone nel reato data la presenza di

criminosa. Sul tema, si veda, Cass., sez. II pen., 10 gennaio 2007, n. 316; Cass., sez. I
pen., 27 ottobre 2009, n. 42894; nonché Cass., sez. II pen., 23 settembre 2010, n. 34505.
(85) Cfr. Cass., sez. I pen., 25 luglio 1991, n. 3117.
(86) A far data dalla l. 16 ottobre 1989, n. 364, di ratifica della Convenzione del-
l’Aja del 1o luglio 1985 in materia, sono riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust, il
quale rappresenta un negozio attraverso il quale determinati beni vengono posti sotto il
controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato, formando
così un patrimonio separato o di scopo. Per un approfondimento si rinvia a M. Lupoi, Isti-
tuzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008; dello stesso Autore
si segnala, Trusts, 2a ed., Milano, 2001; nonché La reazione dell’ordinamento di fronte a
trust elusivi, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 333 ss.; inoltre si segnala il contributo di
F. Gallo, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in Rass. trib., 1996, 1043 ss.; A. Di
Amato, Profili di possibile rilevanza penale del trust, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4 del
2005; dello stesso Autore, Beni in trust e sequestro penale, in Trusts e attività fiduciarie,
2000, 334 ss.; G. Del Sasso, Osservazioni in tema di limiti penali agli atti di disposizione
patrimoniale, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 500. Per un’esauriente disamina giuri-
sprudenziale si rinvia alla banca dati dell’Associazione www.il-trust-in-italia.it.
(87) Cfr. Cass., sez. VI pen., 23 novembre 2004, n. 48708.
(88) Cfr. Cass., sez. V pen., 30 marzo 2011, n. 13276. Anche in tale sentenza infatti,
ciò che appare evidente, come detto, è che, con specifico riferimento ai reati tributari, la con-
fisca per equivalente ha, come ricordato dalla VI Sezione penale della Suprema Corte nella
sent. n. 13098 del 2009, la funzione di ripristinare l’ordine finanziario dello Stato leso dal-
l’illecito tributario. In tal senso si veda anche Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28724.
PARTE SECONDA 199

differenti posizioni in dottrina e, dunque, in giurisprudenza circa l’individuabi-


lità o meno di un profitto, la quota di profitto attribuibile a ciascun concorren-
te ed assoggettabile a confisca, e la confisca di valore equivalente nel caso in
cui non sia possibile la confisca del profitto o del prezzo (89).
Alla luce di un primo orientamento, infatti, tale misura reale sarebbe ap-
plicabile nei confronti di uno qualsiasi tra i concorrenti nel reato per l’intero
importo del prezzo o del profitto ancorché lo stesso non abbia fatto parte, ov-
vero abbia inciso in minima parte, nel suo patrimonio e sia stato, invece, ma-
terialmente appreso da altri (90). In tal senso, in quanto funzionale alla futura
confisca, il sequestro preventivo potrà essere adottato per l’intero importo del
prezzo o del profitto nei confronti di ciascuno dei concorrenti in ragione del
fatto che non risultano prevedibili né la capienza economica dei diversi coim-
putati né l’esito assolutorio o di condanna del giudizio nei loro confronti (91)
quando non sia possibile determinare il profitto personale.
A mente del secondo orientamento, invece, nel caso ipotizzato l’importo
del sequestro preventivo non potrebbe eccedere, per ciascuno dei concorrenti,
la misura della quota di prezzo o di profitto a lui attribuibile pervenendo alla
medesima conclusione anche per la confisca per equivalente (92).

(89) In tal senso, risulta interessante rilevare che la soluzione all’apparenza privile-
giata dalla dottrina e dalla giurisprudenza penalistiche, influenzata dal riconoscimento della
natura essenzialmente sanzionatoria della misura ablativa in questione (pena accessoria di
carattere pecuniario), è quella di applicare il principio solidaristico proprio del concorso di
persone nel reato, al fine di legittimare la confisca dell’intera entità del profitto o di un va-
lore equivalente nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti, a prescindere dalla effettiva
percezione da parte del correo di una utilità patrimoniale derivante dal reato. È stato evi-
denziato, però, in maniera condivisibile, che una tale applicazione della confisca risulta for-
temente in contrasto con i principi di buon senso, di giustizia, di colpevolezza e di propor-
zionalità della pena. Pertanto, gli orientamenti in contrasto con tale tesi sono stati accolti
positivamente da una parte della dottrina, in quanto volti ad evitare l’iniquità di una scelta
del correo nei confronti del quale disporre la confisca, basata semplicemente sulla capienza
del suo patrimonio e la facilità di aggredirlo, piuttosto che sul suo effettivo arricchimento a
seguito della condotta delittuosa. Sul tema, si veda, R. Romanelli, Confisca per equivalente
e concorso di persone nel reato, in Diritto penale e processo, 2008, 871 ss. e 876, secondo
il quale convince l’affermazione che la parte di profitto o di prezzo del reato effettivamente
incamerata dal concorrente diventa il parametro di applicazione della misura ablativa,
escludendo che si possa aggredire indiscriminatamente il patrimonio di derivazione piena-
mente lecita di uno qualunque dei correi, sulla base di un criterio di preferenza determina-
to esclusivamente dall’esistenza, o dalla più facile raggiungibilità, di tale patrimonio, poi-
ché ciò determina, all’atto pratico, semplicemente la punizione del correo meno accorto che
non si era preoccupato, contrariamente agli altri, di occultare adeguatamente il proprio
patrimonio. Nello stesso senso, si veda, P. Balducci, La confisca per equivalente: aspetti
problematici e prospettive applicative, in Diritto penale e processo, 2011, 233, il quale ag-
giunge che non può certo ammettersi che si affermi una prassi volta alla facile realizzazio-
ne degli scopi recuperativi della misura, al di fuori di un qualsivoglia sistema di tutela del
reo.
(90) Cfr. Cass., 15 settembre 2006, n. 30729. In dottrina, si veda, sul tema, T. Epi-
dendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Padova,
2011, 159 ss.
(91) Cfr. Cass., 23 giugno 2006, n. 25877.
(92) Cfr. in tal senso, Cass., 30 luglio 2007, n. 30966, secondo cui, inoltre, il richia-
mato criterio subirebbe un’eccezione nell’ipotesi in cui sarebbe impossibile determinare le
singole quote. In tal caso, le due misure reali riguarderebbero l’intero prezzo o profitto del
reato, fermo restando la necessità di rispettare i canoni della solidarietà interna tra i concor-
200 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Considerati il carattere sanzionatorio della confisca per equivalente ed il


principio solidaristico che informa la disciplina del concorso di persone nel
reato, è da ritenere preferibile il primo orientamento a nulla rilevando che le
somme illecite siano state incamerate, in tutto o in parte, da altri coindaga-
ti (93). Parimenti irrilevante dovrebbe essere ritenuto il criterio utilizzato dai
concorrenti per la ripartizione del provento del reato (94).
Appare particolarmente rilevante analizzare nello specifico la sentenza di
Corte di Cassazione, sez. III penale, 25 febbraio 2010, n. 12580, ricorrente
Baruffa (95), la quale presenta spunti interessanti sul tema del concorso del-
l’extraneus nei reati tributari ed offre pregevoli argomentazioni a sostegno
della applicabilità del principio solidaristico (96).
Nel caso di specie, il giudice della cautela, valutando un quadro probato-
rio sotteso al delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8,
d.lgs. n. 74 del 2000), aveva sottoposto a sequestro preventivo funzionale alla
confisca per equivalente beni immobili ed autovettura del Baruffa, commer-
cialista della società. I giudici rilevano che non è corretto dire che il seque-
stro per equivalente deve avere il limite della quota di profitto che ciascun
autore ha conseguito, in quanto esso vale solo per la misura ablatoria, nella
specie la confisca, dato che nella fase delle indagini si applica il principio so-
lidaristico di cui sono espressione gli articoli 187 c.p., nonché 1292, 2055,
2058 c.c. (97).
Nel caso di concorso di persone nell’unico reato a ciascuno dei con-
correnti si addebita l’intero illecito e se ciò vale per la sanzione penale de-
ve valere anche per la misura in questione senza che vengano in consi-
derazione violazioni del principio di personalità della responsabilità penale
né quelli affermati nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uo-
mo.

renti, circostanza che esclude, comunque, la possibilità di moltiplicare l’importo in funzio-


ne del numero dei concorrenti.
(93) Sul tema, si veda, A. Buccisano - G. Ingrao, Confisca per equivalente e reati
tributari: limiti di applicazione e coinvolgimento del professionista, in Dialoghi trib., n. 4
del 2012, in cui il primo A. chiarisce che, circa il sequestro preventivo finalizzato alla fu-
tura confisca, l’orientamento giurisprudenziale che, pur se minoritario, sembra più ragio-
nevole e coerente con le precedenti osservazioni sui presupposti della confisca di valore è
quello che privilegia la necessità di un rapporto di proporzionalità tra arricchimento deri-
vante dal reato al singolo compartecipe e misura della confisca. Le conseguenze inique
che deriverebbero dal consentire la confisca di un valore equivalente al profitto in capo ad
un soggetto che pur concorrendo nel reato non ha, da esso, ricavato alcun vantaggio eco-
nomico sono paragonabili alla irragionevolezza della confisca di un profitto che non c’è
(non è provato), pacificamente esclusa.
(94) In tal senso si veda anche Cass., 6 luglio 2006, n. 30729.
(95) Nel massimario la decisione è citata con riferimento al seguente principio di di-
ritto: il giudice del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non ha
l’obbligo di individuare i singoli beni e di fissare il relativo valore. A ciò è tenuto il giudi-
ce solo se è materialmente possibile compiere tali operazioni. In caso contrario sarà l’or-
gano titolare del potere di esecuzione (il Pubblico ministero) a farlo senza che si possano
lamentare violazioni del diritto di difesa in quanto la parte privata ha a disposizione siste-
mi di controllo idonei a scongiurare tale rischio.
(96) La sentenza Baruffa fa parte di un gruppo conforme di decisioni; segnalo per il
pregio delle argomentazioni la sentenza della Cassazione, sez. pen. feriale, 28 luglio 2009,
n. 33409, ricorrente Alloum, rv. 244839.
(97) La sentenza in esame in tale passaggio opera esplicito richiamo alla decisione
delle Sezioni Unite n. 26654 del 2007.
PARTE SECONDA 201

In tal senso, la pronuncia si esprime nel definire il limite invalicabile


della misura. Anche il sequestro preventivo per equivalente, infatti, è illegitti-
mo se già nella fase delle indagini sussistono elementi di certa illegittimità o
di non praticabilità della futura confisca; se invece non ricorre una situazione
di tal fatta sarà la decisione di merito a determinare i presupposti della confi-
sca ed a statuire sulle responsabilità individuale anche al fine di determinare
la quota di profitto che ogni singolo autore ha ricevuto (98).
Dello stesso parere appare la pronuncia della Corte di Cassazione, sezio-
ne III penale, 1o dicembre 2010, n. 662, ricorrente Cavana, la quale, affron-
tando la tematica del rapporto tra reati tributari e reati fallimentari, si occupa
delle conseguenze giuridiche della mancata insinuazione dello Stato al passi-
vo e soprattutto afferma la confiscabilità dei beni dell’amministratore autore
del reato tributario ma anche del socio concorrente.
La vicenda concreta portata all’attenzione della Corte prende le mosse
dall’ordinanza del Tribunale di Bergamo che aveva respinto l’istanza di alcu-
ni indagati per reati tributari di cui agli artt. 10 e 10-quater, d.lgs. n. 74 del
2000, di annullare il decreto del Giudice per le indagini preliminari di seque-
stro dei beni immobili e partecipazione societarie. In particolare, il signor Ca-
vana, semplice socio, contestava la sua qualità di concorrente nelle condotte
di indebita compensazione di tributi ascritti all’amministratore e concludeva
di non poter essere soggetto passivo della misura cautelare reale in quanto
l’art. 10 (occultamento contabilità), non è inserito, come detto, nella elenca-
zione tassativa operata nell’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007.
L’amministratore si doleva del fatto che i suoi beni personali erano stati
sottoposti a sequestro pur a fronte della mancanza di prove della sua parteci-
pazione alla divisione degli utili o del provento del reato, e poiché i reati tri-
butari erano stati contestati unitamente a fatti di bancarotta i ricorrenti osser-
vavano che essendo i primi stati perpetrati senza arrecare vantaggi personali
agli autori, lo Stato avrebbe dovuto concentrare le sue pretese solo nella pro-
cedura fallimentare, insinuandosi al passivo e coltivando le azioni previste
dalle leggi in materia.
Appare rilevante sottolineare come le argomentazioni seguite dai giudici
paiono interessanti in primo luogo perché ribadiscono un principio consolida-
to secondo il quale il delitto previsto dall’art. 10-quater è certamente un reato
proprio in ordine al quale però è ipotizzabile il concorso dell’extraneus, nello
specifico il socio Cavana, il cui comportamento non si era limitato a far spa-
rire la contabilità. Le prove portavano infatti ad assegnargli una posizione di
influenza nell’ambito dell’ente che qualificava in termini di frode fiscale la
successiva distruzione delle scritture contabili.
Egualmente significativa la parte della sentenza in cui, affermandosi la
natura autonoma dei reati fiscali rispetto a quelli fallimentari, si perviene alla
conclusione che il significato giuridico da attribuire alla mancata insinuazione

(98) Cfr. Cass., sez. III pen., 25 febbraio 2010, n. 12580. Per affermare invece che al
Giudice della cautela compete solo l’onere di fissare l’importo complessivo del sequestro e
non l’individuazione dei singoli beni e del loro valore la Corte si avvale dell’argomento
letterale della formulazione dell’art. 1, 143o comma della l. n. 244 del 2007 e della circo-
stanza che ove sia il Pubblico ministero a compiere tali operazioni il diritto di difesa è as-
sicurato perché la parte privata ha a disposizione un sistema di controlli giurisdizionali (ri-
chieste di restituzione, esame del Giudice per le indagini preliminari in caso di rigetto, ap-
pello al Tribunale) che esclude qualsiasi arbitrio.
202 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

dello Stato nel passivo del fallimento per ottenere le somme dovute a titolo di
tributi è nei termini della irrilevanza.
Tuttavia, di maggiore impatto sulla questione oggetto di rassegna appare
il forte interessamento dei supremi giudici al tema della natura giuridica della
confisca per equivalente, e dunque alla possibilità di applicare il principio so-
lidaristico. In tal modo la Corte delimita i limiti della sequestrabilità dei beni
personali degli amministratori e dei concorrenti, affermando che il sequestro
preventivo funzionale alla confisca per equivalente, a differenza di quello or-
dinario previsto dall’art. 321 c.p.p., è uno strumento anticipatorio della tutela
prevista dalla confisca di una somma corrispondente al danno arrecato alla
cosa pubblica e non è vietato dalla legge aggredire anche i beni personali
degli indagati (99).
In riferimento al principio solidaristico, peraltro, è detto che il sequestro
preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferen-
temente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accer-
tato col solo limite dell’ammontare complessivo e senza duplicazioni (100).
Peraltro, le pronunce poc’anzi analizzate non sono esenti da critiche.
Occorre, infatti, premettere che se la confisca per equivalente fosse una
misura di sicurezza la si potrebbe applicare solo al soggetto che ha effettiva-
mente la disponibilità della utilità patrimoniale proveniente dal reato; poiché,
però, la giurisprudenza di legittimità è concorde e consolidata nell’attribuirgli
natura sanzionatoria e funzione ripristinatoria nella fase delle indagini preli-
minari è applicabile con pienezza il principio solidaristico che espone il cor-
reo a subire per intero le conseguenze economiche del sequestro.
Il carattere personale della responsabilità penale riprenderà invece tutto il
suo vigore riespandendosi nella fase della adozione della confisca per equiva-
lente che si colloca al termine del giudizio condotto nel rispetto del contrad-
dittorio. In questa fase varrà il principio proporzionalistico, come spiegato
nelle sentenze della Corte di Cassazione n. 10690 del 2009 e n. 35120 del
2007, ed il concorrente potrà pretendere una motivazione specifica sull’am-
montare della quota di profitto illecito che ha tratto dal reato pena la illegitti-
mità della confisca.
In questo quadro non si può negare che durante le indagini preliminari la
parte pubblica ha la possibilità di aggredire indiscriminatamente i beni di uno
qualunque dei coindagati sul mero presupposto che il suo patrimonio è più
accessibile rispetto a quello degli altri correi. È evidente, allora, come viene
sottoposto a tensione il principio della personalità della responsabilità penale
dandosi prevalenza a ragioni di mera effettività dell’intervento anticipatorio
della ablazione che spiega i suoi effetti, in ultima analisi, su quello degli au-
tori che non si è preoccupato di occultare il proprio patrimonio.
Sul tema, da ultimo si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.
42120 del 2012, la quale ha sottolineato come possono essere sequestrati per

(99) Ciò era conforme a legge nel caso specifico perché non era stato fornito alcun
elemento decisivo per affermare che i vantaggi del reato tributario fossero stati goduti dalla
sola società ed anzi era plausibile l’ipotesi accusatoria secondo cui le somme indebitamente
compensate fossero confluite in fondi neri a disposizione dell’amministratore e del socio
indagati.
(100) Si tratta di un principio di diritto più volte affermato in passato come si evince
dalla lettura delle argomentazioni delle sentenze n. 10810 del 2010, ricorrente Perrottelli e
n. 25890 del 2010 ricorrente Molon.
PARTE SECONDA 203

equivalente presso il procuratore sportivo i compensi di atleti professionisti


pagati all’estero su conti cifrati e dissimulati sotto la parvenza di contratti di
immagine (101). Nel caso di specie, i giudici hanno confermato l’accusa per
il consulente sportivo di riciclaggio in concorso con l’evasione fiscale degli
atleti, raggiunti a loro volta da provvedimenti di sequestro patrimoniale. Han-
no, inoltre, disposto il blocco di circa 25.000,00 euro deciso dal G.i.p. di Pa-
dova nei confronti del consulente di un gruppo di ciclisti professionisti coin-
volti in un’inchiesta di doping e, per quello che qui interessa, di falsi contratti
di immagine finalizzati a creare provviste in nero in Svizzera (102).
In generale, dunque, tali orientamenti hanno creato qualche reazione di
disappunto che divengono ancor più nette se la confisca per equivalente viene
applicata nei confronti del professionista che cura l’adempimento dichiarati-
vo, in quanto ritenuto corresponsabile.
In tal senso, infatti, la logica dell’l’imputazione dell’intera azione e del-
l’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, di cui si fa portatore il
citato principio solidaristico (103), è applicabile, anche alla luce delle senten-
ze richiamate, all’ipotesi in cui il soggetto corresponsabile sia il professioni-
sta.
Tuttavia, il punto nodale si focalizza sull’analisi approfondita circa l’ef-
fettiva configurabilità di una situazione di correità per il professionista che
assiste il contribuente nell’adempimento tributario dichiarativo. Tale riflessio-
ne suggerisce che tra le prerogative di un professionista non rientra l’attività
di verifica se, in sede di predisposizione della dichiarazione, la documentazio-
ne contabile trasmessa dal cliente, risultato poi infedele secondo le previsioni
del d.lgs. n. 74 del 2000, si riferisca ad operazioni effettivamente esisten-
ti (104). Se, infatti, il professionista accetta l’incarico, non può rifiutarsi di
perfezionare l’adempimento dichiarativo, né può porlo in essere in modo dif-
forme dalla volontà del contribuente; e ciò vale anche se egli ha contezza che
il costo è connesso ad una operazione inesistente (105).
Pertanto, occorre concludere sottolineando che, in caso di utilizzo di fat-

(101) Cfr. Cass., sez. II pen., 29 ottobre 2012, n. 42120.


(102) Nello specifico della questione, secondo il G.i.p. di Padova, firmatario delle
ordinanze, il procuratore sportivo è responsabile per aver posto in essere condotte piena-
mente idonee a ostacolare l’identificazione delle somme provento di evasione fiscale dei ci-
clisti (reato presupposto) e trasferite in Svizzera, tra cui la simulazione di intestazione no-
minativa di alcuni conti. Il parere difensivo, invece, si concentra sul fatto che l’indagato
non aveva mai avuto la disponibilità delle somme provento di evasione, e quindi sarebbe
stato imputabile semmai di concorso nel reato fiscale (punito meno severamente); dunque,
l’illecito profitto presupposto del sequestro sarebbe da individuare solo nelle dichiarazioni
fiscali infedeli.
(103) Cfr. Cass., sez. un. pen., 27 marzo 2008, n. 26654.
(104) In tal senso, si veda, A. Buccisano - G. Ingrao - R. Lupi, Il consulente fiscale
risponde verso il cliente per violazioni «decise assieme»?, in Dialoghi trib., 2010, 557, se-
condo cui non può dubitarsi che il professionista presta un servizio secondo le richieste del
contribuente, il quale si assume, e non può essere diversamente, tutta la responsabilità cir-
ca il contenuto «sostanziale» dell’atto redatto.
(105) Un chiaro caso di violazione dei principi di legge e, pertanto, di corresponsabi-
lità del professionista potrebbe essere rilevata nella apposizione dei c.d. Visti, di conformità
o pesante, sulla dichiarazione, la quale, tuttavia, è comunque relativa esclusivamente all’ir-
rogazione delle sanzioni amministrative e non certo di quelle penali. L’apposizione dei visti
in questione, in ogni caso, non comporta alcun onere per il professionista circa la verifica
dell’effettività delle operazioni documentate.
204 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

ture per operazioni inesistenti, la corresponsabilità del professionista ai fini


della commissione di fatti penalmente rilevanti ai sensi del d.lgs. n. 74 del
2000 sussiste solo ove venga appurata la sua partecipazione attiva all’acquisi-
zione delle fatture false nell’interesse del contribuente, o comunque venga di-
mostrata l’acquisizione di una quota del profitto del reato.
Invero, la Cassazione, con sentenza 12 aprile 2012, n. 13982, si è
espressa sulla sussistenza della correità del professionista, in relazione a reati
di dichiarazione tributaria fraudolenta mediante utilizzo di fatture per opera-
zioni inesistenti, laddove ne sembrano sussistere con evidenza i presuppo-
sti (106). In tale pronuncia, la Corte ha sottolineato l’importanza della verifi-
ca circa l’effettiva partecipazione del professionista in termini di conoscenza
della falsità della documentazione.
È bene, di conseguenza, far presente che, al di fuori di simili ipotesi, af-
fermare la sua correità del professionista e chiedere il sequestro preventivo fi-
nalizzato alla confisca per equivalente rappresenta una forzatura difficilmente
accettabile.

4.1. – La quota sequestrabile

La Cassazione, nel solco di precedenti anche recenti (da ultimo, si veda,


la sentenza n. 11970 del 2011), ha ribadito che anche in tema di reati tribu-
tari il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può esse-
re disposto sia per il prezzo sia per il profitto del reato e per profitto confi-
scabile deve intendersi non solo un positivo incremento del patrimonio perso-
nale, bensì qualunque vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal rea-
to anche se consistente in un risparmio di spesa, dovendosi peraltro ricom-
prendere nella nozione di profitto anche l’elusione del pagamento degli inte-
ressi e delle sanzioni amministrative sul debito tributario. Come dire che il
profitto è qualsiasi risparmio d’imposta e, di conseguenza, anche le sanzioni
non versate al fisco (107).
Proprio sulla valenza sanzionatoria della confisca per equivalente è, da
ultimo, utile richiamare la sentenza della Corte di Cassazione 14 aprile 2011,
n. 15167, al fine di chiarire in che misura siano sequestrabili i beni apparte-
nenti a ciascun indiziato di reato, nel caso in cui il procedimento abbia ad

(106) Cfr. Cass., sez. III pen., ord. 12 aprile 2012, n. 13982, ai sensi della quale, in-
fatti, un commercialista era ritenuto il dominus di numerose società che avevano emesso le
fatture per operazioni inesistenti a vantaggio di una società di cui il medesimo professioni-
sta curava gli adempimenti contabili e dichiarativi.
(107) In senso contrario, si veda Cass., 20 settembre 2012, n. 36050, la quale rical-
cando un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ha ribadito in primo luogo
che, in tema di reati commessi nell’interesse della persona giuridica, il sequestro preventivo
funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la
sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell’ente. A tale principio la Cassa-
zione ha apportato un ulteriore contributo interpretativo, chiarendo che la confisca per equi-
valente può riguardare anche beni che non hanno alcun collegamento diretto con il singolo
reato. La motivazione di tale pronuncia è da ricercarsi nella ratio della misura cautelare,
che è quella di privare il responsabile di un qualunque beneficio economico derivante dal-
l’attività criminosa anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella
convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i
tratti distintivi di una vera e propria sanzione.
PARTE SECONDA 205

oggetto una pluralità di persone, potenzialmente responsabili in via concor-


suale (108).
Anche in tal caso, infatti, si sottolinea come l’attribuzione alla confisca
per equivalente della natura di sanzione, abbia portato all’utilizzo del princi-
pio solidaristico proprio del concorso di persone del reato, il quale, peraltro,
implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente a
ciascun concorrente o correo, in modo da comportarne una sorta di comunio-
ne nella pena (109).
Il tutto, seguendo il dettato della Corte, in ossequio al principio di perso-
nalità della responsabilità penale.
Di conseguenza, qualora la disciplina del concorso di persone consente
di addebitare a ciascuno dei concorrenti la responsabilità dell’intero illecito e
nel caso, altresì, le conseguenze civili possono gravare interamente su ciascu-
no dei concorrenti, salvo il diritto di rivalsa in capo a chi abbia adempiuto al-
l’obbligazione risarcitoria, così anche la confisca per equivalente, e il seque-
stro ad essa finalizzato, potrà concentrarsi sul patrimonio di uno solo dei con-
correnti per l’intero ammontare del profitto.
La pronuncia in questione, dunque, riprende il dettato della poc’anzi
analizzata sentenza Baruffa, con la quale concorda e suggerisce di poter con-
cludere che l’unico aspetto su cui si possa utilmente esercitare la difesa del-
l’indiziato, attinto da una misura cautelare reale quale quella in esame, riguar-
di la sussistenza dei gravi indizi di reato (o del reato che consente la confisca
per equivalente), mentre appare del tutto sterile, in questo senso, impugnare il
provvedimento cautelare per escludere dall’ambito del sequestro cespiti patri-
moniali non solo non collegati al reato ma, eventualmente, anche di compro-
vata provenienza lecita.
Pertanto, circa l’individuazione delle quote di profitto imputabili a cia-
scuno dei concorrenti, la difficoltà è quella di stabilire se sia imputabile al
terzo (non contribuente) concorrente nel reato tributario un vantaggio patri-
moniale derivante dal comportamento illecito che sia diverso ed ulteriore ri-
spetto all’evasione fiscale della quale fino a prova contraria beneficia il con-
tribuente.
Ove, infatti, non fosse possibile individuare e determinare con certezza il
profitto ricavato da ognuno dei concorrenti, ma fosse comunque certa la sus-
sistenza di un vantaggio economico collegato alla condotta illecita ed all’eva-
sione, deve essere ricercata una alternativa all’effetto iniquo di sottrarre al
consulente che concorre nel reato del contribuente una somma equivalente al
profitto incamerato da quest’ultimo, salvaguardando l’efficacia della misura
cautelare-sanzionatoria, e la sua funzione preventiva e repressiva della crimi-
nalità fiscale.
Di conseguenza, è pacifico che se non si riesce a provare con certezza

(108) Cfr. Cass., sez. III pen., 14 aprile 2011, n. 15167.


(109) Nella sentenza in evidenza la Suprema Corte sviluppa alcune considerazioni di
rinvio ad un orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale
il singolo concorrente può essere chiamato a rispondere dell’intera entità del profitto accer-
tato, con l’unico limite che il vincolo di indisponibilità correlato al sequestro non deve ec-
cedere nel complesso il profitto del reato e non deve determinare duplicazioni ingiustifica-
te, posto che dall’unicità del reato non può che derivare l’unicità del profitto. Tra le tante
cfr. Cass., 6 febbraio 2009, n. 19764, in Le Società, 2009, 875; Id., 28 gennaio 2009, n.
5401; Id., 6 novembre 2008, n. 45389. In senso contrario Id., 23 giugno 2006, n. 25877.
206 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

l’esistenza e l’ammontare del profitto non si può procedere ad alcuna confi-


sca (neanche per equivalente).
Se la ratio della confisca per equivalente è quella, per consolidato prin-
cipio di diritto, di assolvere ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria
della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione
del fatto illecito, mediante l’imposizione di un sacrificio patrimoniale di cor-
rispondente valore a carico del responsabile (110), parrebbe difficoltoso ne-
gare la necessità di tale presupposto nel caso di illecito plurisoggettivo aval-
lando la scelta meramente discrezionale o di comodo del concorrente nei con-
fronti del quale agire.
Anche, dunque, nel caso di concorso di persone il presupposto della le-
gittima applicazione della confisca è l’accertamento, non tanto dell’entità del
contributo di ognuno dei concorrenti al fatto illecito, ma dell’entità del profit-
to ad essi effettivamente attribuibile.
Nell’impossibilità di tale accertamento, per rispettare la ratio della nor-
ma e salva la possibilità di procedere in via cautelare al sequestro preventivo
per l’intero profitto nei confronti di uno solo degli indagati, spetterà al giudi-
ce di merito stabilire se sussistono i presupposti per disporre la confisca e
statuire in ordine alle responsabilità individuali.
Riassumendo, quindi, una soluzione di compromesso, rispettosa dei prin-
cipi di giustizia e tendente a preservare l’efficacia della confisca, parrebbe
quella di applicare la misura, o meglio irrogare la sanzione, proporzional-
mente al ruolo di ciascun concorrente nella commissione dell’illecito, presu-
mendo una corrispondenza tra vantaggio economico derivante dal delitto e
opera prestata da ogni concorrente.

4.2. – La responsabilità amministrativa della persona giuridica alla luce


del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231

Pur se la responsabilità dell’ente ha una sua autonomia, tanto che sussi-


ste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabi-
le, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, è imprescindibile il
suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli
elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore, da parte di un sog-
getto, persona fisica, qualificato (111).
Di conseguenza, assumendo le teorie poc’anzi rilevate, circa il tema del-
la pluralità di soggetti coinvolti, la Corte di Cassazione riconosce che deve
applicarsi il principio solidaristico proprio della disciplina del concorso nel

(110) Da ultimo, si veda, Cass., sez. III pen., 4 luglio 2012, n. 25774.
(111) Sulla responsabilità da reato degli enti si possono vedere, senza alcuna pretesa
di esaustività, G. Marinucci, La responsabilità penale delle persone giuridiche - Uno schiz-
zo storico dogmatico, in Riv. it. dir. proc. p. pen., 2007, 1192; A. Bassi - T. Epidendio,
Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006, passim; F. Sgubbi, Gruppo societario e re-
sponsabilità delle persona giuridiche ai sensi del decreto 231/2001, in Res. amm. soc.p. e
enti, Torino, 2006, 7; L.D. Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi:
principi generali e prime applicazioni giurisprudenziali, ivi, 2006, 149; A. Rossi (a cura
di), I reati societari, Torino, 2005, 510 ss.; S. Vinciguerra - M. Ceresa Gastaldo - A. Ros-
si, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova, 2004, pas-
sim; S. Gennai - A. Traversi, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi di-
pendenti da reato: commento al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2001, passim.
PARTE SECONDA 207

reato e che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto


conseguente in capo a ciascun concorrente. Più in particolare, perduta l’indi-
vidualità storica del profitto illecito, la confisca di valore può interessare in-
differentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto
accertato (entro logicamente i limiti quantitativi dello stesso), non essendo es-
so ricollegato, per quello che emerge allo stato degli atti, all’arricchimento di
uno piuttosto che di un altro soggetto coinvolto, bensì alla corresponsabilità
di tutti nella commissione dell’illecito, senza che rilevi il riparto del relativo
onere tra i concorrenti, che costituisce fatto interno a questi ultimi (112).
Osserva, invero, la Corte con le sentenze 8 maggio 2009, n. 19764, e 30
giugno 2009, n. 26661, che, nell’ambito della criminalità d’impresa, vi è re-
sponsabilità cumulativa dell’individuo e dell’ente collettivo, trovando ciò ri-
scontro, sul piano dogmatico, nello schema concorsuale: il nesso tra le due
responsabilità, quella della persona fisica e quella dell’ente, pur non identifi-
candosi con la figura tecnica del concorso, ad essa è equiparabile, in quanto
da un’unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabili-
tà (113).
Peraltro, il sistema tratteggiato dal legislatore con il d.lgs. n. 231 del
2001, istitutivo della c.d. responsabilità amministrativa per gli enti derivante
da illecito penale, presuppone la responsabilità penale individuale, che, tutta-
via, non rimane assorbita dalla persecuzione diretta della corporate criminali-
ty. In altre parole, persona fisica e persona giuridica rispondono ognuno per
la propria parte.
L’appartenenza, inoltre, dell’autore, persona fisica, all’ente è imprescin-
dibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, nel senso che è
proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell’interesse o a van-
taggio dell’ente, a determinare l’estensione a questo della responsabilità per il
reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.
La Corte di Cassazione, nella sent. 8 maggio 2009, n. 19764, sostiene,
appunto, che nella fattispecie concreta, [...] sono ravvisabili tutti gli elementi
costitutivi della responsabilità individuale e di quella dell’ente, con l’effetto
che la valutazione in ordine alla legittimità della cautela reale adottata non
può essere fatta nell’ottica di una sorta di «deresponsabilizzazione» delle
persone fisiche, soltanto perché il profitto del reato sarebbe andato a vantag-
gio dell’ente societario. Il sequestro preventivo funzionale alla confisca di
valore, pertanto. Osserva ancora la Suprema Corte che ben può incidere con-
temporaneamente sia sulle persone fisiche indagate per il reato di corruzione
attiva sia sull’ente societario che ha tratto profitto dal reato, e ciò in base ri-
spettivamente alle disposizioni di cui all’art. 321 c.p.p., 2o comma in relazio-
ne all’art. 322-ter c.p. e all’art. 53 in relazione al d.lgs. n. 231 del 2001, art.
19.
Come detto, infatti, sulla base delle comuni responsabilità della persona
fisica e di quella giuridica e avuto riguardo all’unicità del reato come fatto ri-
feribile a entrambe, deve trovare applicazione il principio solidaristico che in-
forma lo schema concorsuale, con la conseguenza che il sequestro preventivo

(112) Cfr. su tutte, Cass., sez. II pen., 14 giugno 2006, n. 31989; Cass., 20 settembre
2007, n. 38599; Cass., 21 febbraio 2007, n. 9786; Cass., 20 dicembre 2006, n. 10838; non-
ché Cass., 6 luglio 2006, n. 30729.
(113) Si veda, Cass., sez. VI pen., 8 maggio 2009, n. 19764 e Cass., sez. VI pen., 30
giugno 2009, n. 26661.
208 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente cia-


scuno dei soggetti indagati anche per l’intera entità del profitto accertato, con
il limite, però, che il vincolo cautelare d’indisponibilità non deve essere esor-
bitante. In realtà, peraltro, tale vincolo non deve eccedere, nel complesso, il
valore del detto profitto e non deve determinare ingiustificate duplicazioni,
posto che dalla unicità del reato non può che derivare l’unicità del profit-
to (114).
Quanto rilevato in tema di concorso di persone nel reato, dunque, vale
anche nei rapporti fra persone fisiche e persona giuridica responsabile degli
illeciti del d.lgs. n. 231 del 2001, il cui patrimonio sia stato sottoposto a se-
questro.
Orbene, con il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 il legislatore ha sì introdotto
una forma di coinvolgibilità degli enti, ma non si è spinto al punto da quali-
ficarla quale responsabilità penale.
Gli enti, pertanto, non possono geneticamente integrare, né come autori,
né come compartecipi, la condizione necessaria ai fini dell’apprensione in via
cautelare, vale a dire, il reato.
In tal senso, risultano interessanti le considerazioni svolte dalla Corte di
Cassazione, con la sentenza 19 luglio 2011, n. 28731 rispetto alla natura po-
liedrica ed anche sanzionatoria della confisca, le quali giungono ad afferma-
re con vigore che le caratteristiche proprie della stessa non richiedono l’ac-
certamento di responsabilità in capo all’ente (115).
Secondo la Cassazione, in altre parole, è irrilevante che l’ente non sia
provvisto di capacità penale, in quanto esso piuttosto non può considerarsi
estraneo, e ciò sulla base di un concetto di alterità intesa in senso oggettivo
rispetto alla fattispecie criminosa.
Nel caso di specie, si fa riferimento al coinvolgimento di una società nel
reato commesso dal legale rappresentante (116).

(114) Cfr. Cass. sez. V pen., 1o aprile 2004, n. 15445, secondo la quale la Corte Su-
prema ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art.
322-ter del codice penale, eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316-
ter del codice penale (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), per l’intero
importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite fossero
state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio so-
lidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazio-
ne dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e
comporta solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente riveste preminente
carattere sanzionatorio e può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità
del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che co-
stituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale.
(115) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28731.
(116) In particolare, quest’ultimo aveva integrato la condotta di occultamento o di-
struzione di documenti contabili prevista dall’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ren-
dendo così impossibile la ricostruzione del reddito della società. L’autorità giudiziaria ave-
va pertanto disposto il sequestro preventivo prodromico alla confisca per equivalente su be-
ni del legale rappresentante e su beni della società, nell’interesse della quale sarebbe stato
commesso il reato. A seguito di istanza di riesame, il Tribunale aveva convalidato la misu-
ra cautelare, sostenendo che la società non poteva dirsi terza estranea al fatto e che quanto
pervenutole rappresentava il profitto dell’illecito realizzato dall’amministratore. Essa pre-
sentava infine ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di rigetto del riesame; tuttavia, in
sede di legittimità veniva confermata la tesi del Tribunale: il reato è addebitabile alla per-
sona fisica, ma le conseguenze patrimoniali dello stesso ricadono inevitabilmente sulla so-
PARTE SECONDA 209

La pronuncia, dunque, dispone il sequestro preventivo finalizzato alla


confisca per equivalente, sia su beni della società, sia su beni del legale rap-
presentante, in rappresentanza di un orientamento estremamente criticabile
data l’assoluta assenza dei presupposti per l’applicazione della misura caute-
lare reale in oggetto, tanto con riferimento alla persona fisica, quanto rispetto
alla società.
In particolare, per poter digerire la tesi dei Giudici, per estraneo dovreb-
be intendersi, non già chi non è coinvolgibile, ma chi oggettivamente non è
venuto a contatto con la fattispecie criminosa, allora la misura della confisca
per equivalente può ritenersi applicabile anche ad una società. Se, in altri ter-
mini, non è richiesto l’apporto di un contributo attivo minimo alla commis-
sione del reato ovvero di reato connesso o presupposto, allora anche chi è
sprovvisto di capacità penale può restare inciso dalla misura (117).
Tale lettura, tuttavia, non può essere in alcun modo condivisa in quanto
disapplica i principi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, il quale contiene specifi-
che disposizioni in tema di sequestro preventivo e successiva confisca per
equivalente a carico dei soggetti collettivi. Dunque, la Cassazione avrebbe
dovuto verificare la legittimità del sequestro preventivo con esclusivo riferi-
mento a tale normativa, che, come detto, ha introdotto nel nostro ordinamento
una forma di responsabilità amministrativa degli enti per fatti di reato.
Trattasi, in realtà, di una responsabilità dipendente, dal momento che il
legislatore ha ritenuto di non addebitare direttamente all’ente l’illecito penale,
ma di intervenire nei confronti del soggetto collettivo in via amministrativa,
una volta che sia stato accertato il suo coinvolgimento (118).
Sulla base di tali riflessioni, pertanto, le soluzioni adottate dal legislatore
in relazione al binomio confisca per equivalente-reati tributari non sempre si
sono rivelate coerenti sia sotto il profilo delle scelte politico-criminali, sia
sotto quello della tecnica normativa, in modo tale da fornire interpretazioni
equivoche alla basa di successive applicazioni non uniformi.
Quanto osservato, è inoltre dovuto all’utilizzo di una forma di rinvio ad
una disposizione definita a strati (l’art. 322-ter del codice penale), ritagliata,
di fatto, sulla struttura dei delitti di corruzione. Ciò appare maggiormente evi-
dente, come detto, con riferimento alle ipotesi di commissione di un reato tri-
butario nell’interesse e a vantaggio della persona giuridica, atteso che gli ille-
citi penal-tributari non figurano nel novero dei reati-presupposto commessi da

cietà, la quale ha potuto avvantaggiarsi del profitto scaturente dall’occultamento delle scrit-
ture contabili; per il solo fatto di aver conseguito tale indebito profitto, è legittimo procede-
re con il sequestro preventivo ex art. 321, 2o comma, c.p.p., a prescindere dall’accertamen-
to di responsabilità dell’ente ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Cfr. A. Traversi, Confisca sui
beni sociali per il reato tributario contestato al legale rappresentante, in Corr. trib., 2011,
2884; dello stesso A., Confisca sui beni sociali per il reato tributario contestato al rappre-
sentante legale, in Corr. trib., 2011, 2884; nonché P. Corso, Valido il sequestro preventivo
sui beni dell’ente anche in assenza di responsabilità amministrativa, ivi, 2011, 3205.
(117) In tal senso, si veda, A. Vannini, Il coinvolgimento dell’ente nell’illecito pena-
le-tributario in assenza del reato presupposto, in GT - Riv. giur. trib., 2011, 944 ss.
(118) Ai sensi dell’art. 5, del d.lgs. n. 231 del 2001, l’ente è responsabile per i reati
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappre-
sentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa do-
tata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fat-
to, la gestione e il controllo dello stesso (1o comma, lett. a) ovvero da persone sottoposte
alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a) (1o comma, lett. b).
210 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

soggetti apicali o subordinati della persona giuridica ai sensi del d.lgs. n. 231
del 2001 (119).
Se, infatti, il contribuente-persona fisica commette un delitto tributario,
egli subirà la misura della confisca, eventualmente anche, per equivalente,
mentre tale eventualità non è contemplata nell’ipotesi di divergenza tra autore
del fatto criminoso ed effettivo beneficiario del profitto dell’illecito, non ri-
sultando possibile colpire il patrimonio del fruitore dell’evasione fiscale.
A ben vedere, infatti, quanto detto sembra rispondere ad una scelta poli-
tico-criminale del tutto discutibile. È fisiologico, infatti, che gli adempimenti
tributari di maggiore spessore e consistenza, quali sono quelli che onerano le
organizzazioni complesse strutturate in forma societaria e, spesso, di gruppo,
concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono van-
taggi indebiti soprattutto per l’ente.
Ora, in tale contesto, proprio considerando la specificità della materia,
sembra quindi irragionevole escludere la confisca (anche) per equivalente nei
confronti delle società, cioè dei contribuenti che, producendo ricchezze signi-
ficative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al
contrario, affatto riduttivo punire il solo autore-persona fisica.
Pur rimanendo, quindi, il modello di responsabilità amministrativa degli
enti derivante da reato, di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, ad oggi, il mezzo più
adatto a costituire una efficace barriera di contrasto alla perpetrazione di cri-
mini finalizzati all’ottenimento di benefici economici degli enti nel cui inte-
resse e vantaggio abbiano agito gli organi in posizione apicale (o abbiano
omesso il controllo sull’agire dei dipendenti) (120), esso, seguendo il tenore
letterale della norma che non contempla i reati tributari tra quelli «presuppo-
sti», non dovrebbe trovare applicazione nell’ambito degli illeciti tributari.
In un contesto in cui la logica del profitto nell’interesse dell’ente è strut-
turale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del reato, sì che de-
vono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adot-
tato il sistema della responsabilità degli enti. In pratica, innanzi a una feno-
menologia criminosa intimamente connessa a dinamiche societarie e/o com-
merciali, quale è quella dei delitti tributari, la prospettiva non dovrebbe che
essere quella di azzerare il vantaggio economico patrimoniale incamerato da
quella figura di contribuente-persona giuridica che, per mezzo dei propri or-
gani, ha commesso l’illecito fiscale.
Si tratta, evidentemente, di una posizione che, correttamente, è stata re-
spinta dalla Suprema Corte che ha osservato, in più occasioni, come il delitto
di frode fiscale si ponga in rapporto di specialità con la truffa aggravata ai
danni dello Stato di cui all’art. 640, 2o comma, n. 1, del codice penale e che,
quindi, in questo contesto, l’assorbimento di quest’ultimo reato in quello di
frode fiscale non consente di applicare la confisca per equivalente non previ-

(119) Si veda, in tal senso, Cass., 4 luglio 2012, n. 25774, la quale esclude l’applica-
bilità della misura della confisca per equivalente sui beni dell’ente, in caso di reati tributari
posti in essere dal rappresentante legale della società nell’interesse della stessa. Tali fattis-
pecie, infatti, continua la Corte, non rientrano tra i reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231
del 2001, a meno che tuttavia la società non rappresenti un mero apparato fittizio, utilizzato
dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti.
(120) Tale disincentivo si sostanzia anche in una duplice previsione sanzionatoria te-
sa da un lato a privare l’ente beneficiario dei profitti illecitamente accumulati e dall’altro
ad interdirne, attraverso misure di diversa gradazione, l’illecita prosecuzione.
PARTE SECONDA 211

sta per il menzionato reato finanziario (121), né tantomeno di ricondurre la


condotta in esame all’alveo dei «reati presupposto» ai sensi del d.lgs. n. 231
del 2001.
Detto ciò, occorre rilevare, che da ultimo la Corte di Cassazione, con
sentenza 10 settembre 2012, n. 34505, ha precisato che per procedere al se-
questro preventivo sulla base dell’articolo 53 del d.lgs. n. 231, deve essere
verificato dal giudice un fumus delicti «allargato», che finisce per coincidere
sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabilità dell’ente,
al pari di quanto accade per l’emanazione delle misure cautelari interdittive.
Sicché i gravi indizi coincideranno con quegli elementi a carico, di natura
logica o rappresentativa, anche indiretti, che sebbene non valgono di per sé
a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità dell’illecito all’ente con la cer-
tezza propria del giudizio di cognizione, tuttavia globalmente apprezzati nella
loro consistenza e nella loro concatenazione logica, consentono di fondare,
allo stato, una qualificata probabilità di colpevolezza (122).
Il giudice che dispone il sequestro alla luce del d.lgs. n. 231 del 2001 è
chiamato a una valutazione intermedia tra quella cui è tenuto il giudice che
decide nel merito e quella più superficiale richiesta al giudice che decide sul-
le misure cautelari reali. Nel caso delle regole sulla responsabilità ammini-
strativa-penale delle società l’apprezzamento dei gravi indizi deve portare il
giudice a ritenere l’esistenza di una ragionevole e consistente probabilità di
responsabilità, in un procedimento che avvicina la prognosi sempre più a un
giudizio sulla colpevolezza, sebbene presuntivo in quanto condotto allo stato
degli atti, ma riferito alla complessa fattispecie di illecito amministrativo at-
tribuita all’ente indagato.

4.3. – La confisca sui beni sociali per il reato tributario contestato al


rappresentante legale
Occorre, tuttavia, aprire una parentesi relativa a tutte le problematiche
sottese all’applicazione della misura reale della confisca per equivalente
circa l’istituto della rappresentanza legale o di fatto dell’ente-persona giuri-
dica.
In effetti, la giurisprudenza soprattutto negli ultimi tempi sta volgendo la
propria attenzione a tali fattispecie rendendo sempre più complessa l’attività
dell’interprete.

(121) In tal senso, si vedano, Cass., sez. II pen., 6 febbraio 2007, n. 5656, ricorrente
Perrozzi; nonché Cass., sez. II pen., 23 novembre 2006, n. 40226, ricorrente Bellavista.
(122) Cfr. Cass., sez. VI pen., 10 settembre 2012, n. 34505, la quale, in particolare,
ha chiarito che le misure interdittive e reali del d.lgs. n. 231 sono poste sullo stesso piano
perché sono destinate ad anticipare l’applicazione di sanzioni principali e obbligatorie,
sanzioni subordinate all’accertamento della responsabilità dell’ente. Di conseguenza, in
questa materia un controllo dei presupposti del sequestro limitato alla sola sussumibilità
della fattispecie concreta nell’ipotesi delittuosa individuata dal pubblico ministero appare
del tutto inadeguato proprio in quanto la misura cautelare è diretta ad anticipare gli effetti
di una sanzione principale. Nel caso di specie, i Giudici rilevano come il Tribunale di
Monza si sia limitato a compiere l’accertamento del fumus delicti in base al criterio del-
l’astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale; pertanto, la Corte annulla
l’ordinanza che aveva approvato il sequestro di circa 14 milioni nei confronti della Codelfa
Spa nell’ambito delle indagini sugli appalti della Milano Serravalle, e rinvia la questione al
tribunale che dovrà ora accertare l’esistenza dei gravi indizi.
212 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Nello specifico, la Corte di Cassazione ha precisato che, a rigor di nor-


ma, secondo le disposizioni contenute nel codice penale, non vi sono dubbi
sul fatto che si possa procedere a confisca del profitto del reato, laddove que-
sto venga effettivamente individuato, nei confronti della persona giuridica, in
nome e per conto della quale il soggetto attivo abbia agito.
Si è, infatti, evidenziato che, quando l’attività illecita viene posta in es-
sere da una persona giuridica attraverso i propri organi rappresentativi, men-
tre a costoro farà capo la responsabilità penale per i singoli fatti reato, ogni
altra conseguenza patrimoniale non potrà che ricadere sull’ente in nome e per
conto del quale la persona fisica abbia agito, con esclusione della sola ipotesi
di avvenuta rottura del rapporto organico per avere l’imputato colpevole agito
di propria esclusiva iniziativa (123).
Di contro, ben diverso è il caso della «confisca per equivalente» che, ai
sensi dell’art. 322-ter del codice penale, è prevista solo nei confronti del reo
e non anche nei confronti di soggetti da esso diversi tra i quali deve certa-
mente ricomprendersi anche la persona giuridica in nome della quale questi
ha illecitamente agito.
In tale direzione, come in più occasioni rilevato, si è pronunciata la Cor-
te Suprema che ha evidenziato, giusto in tema di concorso e responsabilità
penale delle società, come la responsabilità della persona giuridica sia da
considerarsi aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che
resta regolata dal diritto penale comune.
Il criterio d’imputazione del fatto all’ente è dato dalla commissione del
reato a vantaggio o nell’interesse del medesimo ente da parte di determinate
categorie di soggetti. Da ciò, deriva dunque una convergenza di responsabili-
tà, nel senso che il fatto della persona fisica, cui è riconnessa la responsabili-
tà anche della persona giuridica, va considerato fatto di entrambe (persona fi-
sica e persona giuridica), per entrambe antigiuridico e colpevole, con l’effetto
che l’assoggettamento a sanzione sia della persona fisica che di quella giuri-
dica s’inquadra nel paradigma penalistico della responsabilità concorsuale, di
cui si è fatto precedentemente ampio accenno (124).
Nello specifico, possono essere richiamate numerose sentenze di legitti-
mità, tra cui la fondamentale pronuncia 7 giugno 2011, n. 28731, ricorrente
Burlando (125).

(123) Si veda, in tal senso, Cass., sez. III pen., 9 gennaio 2004, n. 1830, ricorrente
Andrisano; nonché Cass., sez. I pen., 21 gennaio 2005, n. 1927, ricorrente Ambrono.
(124) Sui concetti di interesse e vantaggio, e la loro interazione, si rinvia a D. Puli-
tanò, La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2002, 424; A. Manna, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche:
il punto di vista del penalista, in Cass. pen., 2003, 1114, i quali vedono nell’espressione
impiegata dal legislatore un’endiadi, vale a dire una figura rafforzativa dello stesso signifi-
cato. Propendono invece per una netta distinzione fra i due termini M. Pellissero, La re-
sponsabilità degli enti, in F. Antolisei (a cura di C.F. Grosso), Manuale di diritto penale.
Leggi complementari, Milano, 2007, 863 ss.; A. Bassi - T. Epidendio, Enti e responsabilità
da reato, Milano, 2006, 163 ss.; S. Vinciguerra, La struttura dell’illecito, in S. Vinciguerra
- M. Ceresa Gastaldo - A. Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo
interesse, Padova, 2004, 23.
(125) Nei fatti, Cass., sez. III pen., 7 giugno 2011, n. 28731, si è pronunciata circa
la legittimità del decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente
sui beni dell’amministratore della società di capitali Burlando e sui beni dello stesso ente
ipotizzando il delitto di frode fiscale commessa mediante occultamento e distruzione della
PARTE SECONDA 213

La sentenza in questione si basa su un procedimento logico giuridico cir-


ca la considerazione che il reato è certamente attribuibile al solo amministra-
tore, mentre le conseguenze patrimoniali di esso ricadono sulla società dal
momento che non è stata dimostrata la rottura del rapporto di immedesima-
zione organica.
Per questo motivo non è necessario affermare una responsabilità ammi-
nistrativa dell’ente rilevante per il d.lgs. n. 231 citato, in quanto risulta suffi-
ciente e prevale l’aspetto fattuale del vantaggio. Il risparmio illecito d’impo-
sta si è tradotto in un beneficio economico per la società e, non essendo indi-
viduabile il provento del reato in un bene determinato, è legittima la procedu-
ra del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.
Sulla base di quanto rilevato, occorre precisare che la pronuncia presenta
solo alcuni passaggi condivisibili, nella parte in cui, ad esempio, riconosciuta
l’importanza del d.lgs. n. 231 del 2001, ribadisce la natura sussidiaria della
confisca per equivalente in quanto è pacifico che ove sia possibile individuare
fisicamente il bene che rappresenta il prezzo, il profitto o il prodotto del reato
l’operatore non potrà che ricorrere allo strumento ordinario. Egualmente con-
divisibile è il passaggio con il quale si stabilisce la natura peculiare e preci-
puamente sanzionatoria della confisca per equivalente nei limiti in cui il vin-
colo cautelare si sposta dalla res connessa al reato ad una quota del patrimo-
nio del soggetto colpito dalla ablazione.
Tuttavia, vi sono numerosi punti critici, i quali emergono dalla confusio-
ne che viene operata tra condotta e dolo dell’autore del reato e la ricaduta del
beneficio su persona diversa dall’indagato. La disciplina civilistica è, infatti,
imperniata sulla circostanza pacifica che società, socio ed amministratore so-
no soggetti distinti, ciascuno dotato di proprio patrimonio (126). In tal senso,
però, l’amministratore non ha la disponibilità ad libitum dei beni della socie-
tà, tanto è vero che deve agire quale fedele esecutore delle delibere assem-
bleari. Pertanto, risulta fondamentale sottolineare che dal rapporto di immede-
simazione organica non si possano trarre conseguenze che violano il carattere
personale della responsabilità penale e soprattutto comportano il ricorso alla
analogia in malam partem, in quanto viene consentita, mediante il combinato
disposto tra la l. n. 244 del 2007 e l’art. 322-ter c.p., l’ablazione dei beni del-
la società per i reati tributari in ordine ai quali il legislatore, attraverso il d.l-

contabilità. Il provvedimento del G.i.p. era motivato osservando che i beni dell’ente erano
suscettibili di sequestro in quanto il profitto dell’illecito commesso dall’amministratore era
confluito nel patrimonio della società. Quest’ultima, pertanto, non poteva invocare la pro-
pria qualità di persona estranea al reato. La Burlando, dunque, ricorreva in Cassazione av-
verso il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame argomentando che la responsabilità
delle persone giuridiche prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001 per i reati commessi a loro van-
taggio dagli amministratori non si estende ai reati tributari. Il rinvio che la l. n. 244 del
2007 ha compiuto all’art. 322-ter c.p. deve essere interpretato in senso restrittivo ed in con-
formità ai principi costituzionali e di diritto comunitario per evitare che una persona giuri-
dica sia colpita nel patrimonio da misure sanzionatorie non previste dalla legge e senza
possibilità di difesa. Si contestava infine che l’indagato non aveva la disponibilità dei beni
societari e che il vincolo su questi ultimi di fatto impediva il pagamento dell’imposta eva-
sa.
(126) Ciò è tanto vero che difficilmente si potrebbe trovare una ragione giuridica
adeguata per impedire all’ente ed ai soci di costituirsi parte civile nei confronti dell’ammi-
nistratore processato per reati fiscali ove ravvisassero profili di colpa penale dello stesso
senza che ricorra il caso della rottura del rapporto di immedesimazione organica.
214 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

gs. n. 231 del 2001 citato, ha stabilito la non confiscabilità dei beni dell’ente
con evidente violazione dei principi della personalità della responsabilità pe-
nale e di legalità, peraltro costituzionalmente garantiti ex artt. 25 e 27.
Quanto rilevato, dunque, rifletta assai bene quella tensione tra legalità ed
effettività che costituisce il filo conduttore del presente lavoro. Peraltro, la
Corte di Cassazione, con due interessanti pronunciamenti entrambi del 29
agosto 2012, ha avuto modo di dare seguito alla tendenza poc’anzi presenta-
ta (127).
Con la prima pronuncia, infatti, la Corte ha definitivamente sancito, am-
pliandoli a dismisura, i parametri delimitativi della misura in questione, rico-
noscendo che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ex articolo
322-ter c.p., a differenza del sequestro preventivo di cui all’articolo 321, 2o
comma, c.p.p., ha ad oggetto l’equivalente del profitto del reato, e quindi an-
che cose di terzi estranei che non hanno rapporti con la pericolosità indivi-
duale del soggetto e non sono collegate con il singolo reato, purché la loro
disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato stesso.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione 29 agosto 2012, n.
33354, fa riferimento, nei fatti, ad un rappresentante legale pro-tempore di
società a responsabilità limitata, indagato, nella sua qualità, del reato previsto
dall’articolo 3, d.lgs. n. 74 del 2000, al quale veniva comminata la misura del
sequestro per equivalente per una somma pari ad euro 2.339.000,00 che costi-
tuiva il profitto del reato corrispondente all’illecito risparmio d’imposta (128).
Pertanto, si contestava che le società erano prive di contabilità, e gli ammini-
stratori formalmente risultanti erano semplici prestanome i quali, dietro corre-
sponsione di compensi, avevano simulato false cessioni intracomunitarie delle
merci (c.d. frode carosello), non assoggettandole a iva (129).
I giudici, tuttavia, hanno sostenuto il principio che ... il «periculum»
coincide con la confiscabilità del bene... (130). La Corte ha, infatti, precisato

(127) Cfr. Cass., ord. 29 agosto 2012, n. 33354, e Cass., 29 agosto 2012, n. 33385.
(128) In particolare, il rappresentante legale della società veniva indagato per evasio-
ne iva, nonché per falsificazione del contenuto delle scritture contabili obbligatorie attraver-
so l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento dell’imposta (in parti-
colare facendo figurare fittizie cessioni di beni all’estero in esenzione iva). Lo stesso inda-
gato, a parere dei giudici di prime cure, indicava nelle dichiarazioni annuali elementi attivi
soggetti a tassazione per un ammontare inferiore a quello effettivo, evadendo l’iva per gli
anni di imposta da 2005 a 2008.
(129) Operazioni ritenute false in quanto, dalla documentazione acquisita (falsi docu-
menti di trasporto e fatture per operazioni inesistenti emesse da cartiere), emergeva che no-
nostante le società avessero dichiarato di aver ceduto i beni in regime intracomunitario, in
realtà gli stessi beni non erano mai usciti dal territorio nazionale.
(130) La Corte, tuttavia, per giungere a tale soluzione ripercorre tutta la storia della
materia e le relative pronunce giurisprudenziali che hanno condotto alla sua definizione e
delimitazione. Per i reati tributari, ricordano i Giudici, la possibilità di procedere a seque-
stro per equivalente nelle fattispecie nelle quali non è possibile individuare il profitto deri-
vante dalla condotta criminosa, consente al giudice di merito di quantificare l’illecito ri-
sparmio di imposte dovute e non pagate e di vincolare un valore equivalente a quello sot-
tratto all’erario. (Cfr. Cass., n. 23811 del 2012) Per la natura di risparmio propria della
condotta evasiva, infatti, non è richiesto il nesso di pertinenzialità tra bene e reato; nesso
che, invece, deve sussistere nel sequestro ordinario ex articolo 321, 2o comma, codice pro-
cedura penale, essendo presupposto in defettibile per il provvedimento ablativo ordinario
ma non essendo, invece, richiesto dal legislatore penale per la misura sanzionatoria (cfr.
Cass., n. 26654 del 2008). Quest’ultima, infatti, persegue finalità dissuasiva e disincenti-
PARTE SECONDA 215

che in presenza di indizi di reità il giudice può verificare la sussistenza di


condotte criminose legittimanti l’intervento cautelare e svolgere indagini per
accertare l’effettiva impossibilità di rinvenire, interamente o parzialmente, il
profitto del reato immediato o derivato (tenendo conto dell’impiego e delle
trasformazioni subite dal provento). All’esito positivo di tale controllo, lo
stesso giudice può disporre il sequestro dei beni rispettando il parametro del-
l’equivalenza di valore (131) e, cioè, seguendo la necessaria equivalenza so-
stitutiva corrispondente al vantaggio monetario del guadagno illecito del reo.
Di conseguenza, poiché il sequestro preventivo può attingere a cose che
non sono collegate con il singolo reato ma delle quali il reo abbia disponibi-
lità, i giudici di legittimità hanno chiarito, mutuando la sentenza n. 41936 del
2005, che tale misura può colpire anche beni che, oltre a non avere alcun
rapporto con la pericolosità individuale del soggetto, non hanno neppure al-
cun collegamento diretto con il singolo reato.
In tali casi, il periculum coincide con la confiscabilità del bene posto
che l’introduzione della misura della confisca per equivalente vale da sola a
escludere la necessità di un vincolo pertinenziale tra la res e il reato (132).
La Corte, sul tema, si è inoltre, espressa con la sentenza 29 agosto 2012,
n. 33385, con la quale viene riconosciuta la responsabilità dell’amministratore
di fatto, ex art. 2639 c.c., per di reato di omessa presentazione di dichiarazio-
ni annuali ires ed iva di cui all’art. 5, del d.lgs. n. 74 del 2000.
Pertanto, incombe, alla luce del pronunciamento in questione, una respon-
sabilità sull’amministratore di fatto della società, per reati riguardanti la stessa,
in cui l’equiparazione sostanziale tra amministratore di fatto e di diritto ...assu-
me portata generale in relazione a tutti i comportamenti commissivi o omissivi
dell’amministratore di diritto, essendo tenuto l’amministratore di fatto ad im-
pedire le condotte vietate riguardanti l’amministrazione della società ovvero pre-
tendere l’esecuzione degli adempimenti imposti dalla legge, con la conseguen-
te responsabilità dello stesso in sede penale ex art. 40, 2o comma, c.p. (133).
Di conseguenza, viene concesso di aggredire con la misura della confi-
sca per equivalente, accanto (o in alternativa) a reati imputabili all’ammini-

vante privando il soggetto di qualunque beneficio economico derivante dall’attività crimi-


nosa e sottoponendo a vincolo di indisponibilità qualsiasi bene dell’indagato diverso, per
definizione, dal prezzo o profitto del reato. Ha, quindi, ad oggetto il tantundem solo per va-
lore equivalente al profitto conseguito dal reo (cfr. Cass., n. 4956 del 2012).
(131) In tal caso la Corte richiama la sentenza n. 27690 del 2012.
(132) In senso conforme, si veda, la sentenza della Corte di Cassazione n. 11121 del
2012. Pertanto, nel caso in analisi la Corte, diversamente da quanto sostenuto dal legale
rappresentante della società che, richiamando la precedente pronuncia n. 19105 del 2011,
l’aveva interpretata, a sostegno della propria tesi, nel senso che non potessero essere aggre-
diti i beni dell’indagato se il loro acquisto era risalente rispetto al reato, ha precisato che i
beni sequestrati rilevano a prescindere dalla loro data di acquisto.
(133) Cfr. Cass., A. Russo, Cass., n. 33385 del 29 agosto 2012 - Omessa dichiara-
zione e responsabilità dell’amministratore di fatto, in Fisco, 2012, 2, 6017, secondo il qua-
le, tale argomentazione rigetta così la tesi «nominalistica» che confina l’autore del delitto
tributario alla figura formalmente investita della gestione societaria, correlabile in quanto
tale ad una posizione utile a rendere il reato come proprio, riconoscendo, in tal modo, nel-
l’esercizio degli effettivi poteri gestori il vero discrimen fra amministratore reale ed appa-
rente.
216 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

stratore di diritto, le attività poste in essere da soggetti non investiti formal-


mente dall’attività di gestione (134).
La giurisprudenza, dunque, conferma comunque l’impossibilità per l’am-
ministratore di diritto, che sia solo un prestanome, di evitare addebiti penali,
sul mero rilievo di non aver avuto alcuna effettiva ingerenza negli affari so-
ciali, ma ne amplia la portata ed i limiti.
Tale decisione fa seguito all’importante precedente, reso con la sentenza
10 giugno 2011, n. 23425 (135), con cui la Corte ha espressamente ricono-
sciuto la responsabilità dell’amministratore di fatto per il reato di omessa di-
chiarazione annuale dei redditi e dell’iva, con possibile concorso nel reato,
dell’amministratore di diritto in ragione della partecipazione psicologica o
materiale di quest’ultimo nell’ambito dei fatti gestiti dall’amministratore dis-
simulato.
Occorre, dunque, ricondurre la responsabilità penale attribuita dalla sen-
tenza in analisi, esclusivamente, ad un metodo ricognitivo di tipo funzionale
che valorizza la mansione effettivamente svolta dal soggetto (136).
Quanto detto, in conclusione consente di rilevare una forte illegittimità
nelle pronunce analizzate alla luce delle diverse situazioni, in quanto una co-
sa è sequestrare beni di chi (persona fisica) ha concorso nel reato stesso, ed
altra è individuare un anomalo concorso tra persona fisica e società persona
giuridica (137). Le conseguenze di siffatto criticabile atteggiamento interpre-
tativo sono pertanto preoccuparti ed obbligano imprescindibilmente chi com-
mette un reato tributario in qualità di amministratore di società a temere per
l’applicazione della misura della confisca per equivalente sui propri beni per-
sonali per il solo fine del soddisfacimento delle pretese fiscali, e di conse-
guenza bypassando ogni valutazione circa la congruità del valore degli stessi
rispetto al danno erariale, essendo tale profilo demandato solo alla sentenza
finale (138).

(134) Per quel che riguarda poi l’individuazione dei connotati tipici dell’amministra-
tore di fatto, secondo una consolidata concezione penalistica, questi deve essere identificato
con quel soggetto che eserciti in concreto le mansioni proprie dei legali rappresentanti; tra
queste ultime possono indicarsi in via esemplificativa: il controllo della gestione della so-
cietà sotto il profilo contabile e amministrativo, l’organizzazione interna ed esterna della
stessa, le formulazioni di programmi, la selezione delle scelte e l’emanazione delle necessa-
rie direttive. Cfr. Cass., sez. V pen., 12 novembre 1991, n. 1154.
(135) Relativamente a questa sentenza interessanti i commenti di F. Fontana, L’am-
ministratore di fatto risponde dell’omessa dichiarazione, in Corr. trib., 2011, 2622 e di M.
Giua - P. Mazzariello - R. Vallino, Responsabilità dell’amministratore di fatto e del presta-
nome nei reati tributari, in Fisco, 2011, 1, 2834.
(136) Nello stesso senso, si veda numerosa giurisprudenza di legittimità in materia di
reati fallimentari, tra le quali, su tutte, sent. n. 15065 del 2011, n. 39593 del 2011 e n.
7203 del 2008. Cfr. G. Marra, Legalità ed effettività delle norme penali. La responsabilità
dell’amministratore di fatto, Torino, 2002; O. Di Giovine, L’estensione delle qualifiche
soggettive (art. 2639 c.c.), in A. Giarda - S. Seminara, I nuovi reati societari: diritto e pro-
cesso, Padova, 2002, 32.
(137) Quanto detto al fine di confutare la tesi della Corte di Cassazione, 10 maggio
2012, n. 17485.
(138) Si veda, inoltre, la recente sentenza della Corte di Cassazione, 4 ottobre 2012,
n. 38740, la quale, nell’ottica speranzosa di fornire una pronuncia favorevole al principio di
legalità, ha precisato che nel caso di omesso versamento di ritenute operate e non versate,
il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di beni del
rappresentante legale della società, è legittimo nella misura in cui non sia possibile aggre-
PARTE SECONDA 217

5. – Risvolti applicativi: la duplicazione del tributo ed il caso del «patteggia-


mento»

La l. 14 settembre 2011, n. 148 di conversione del d.l. 13 agosto 2011,


n. 138 ha introdotto importanti modifiche in senso restrittivo alla disciplina
penale tributaria contenuta nel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la quale da parte
sua ha fortemente innovato la materia dei reati fiscali incentrando l’intervento
penale su fatti offensivi dell’interesse erariale all’accertamento e riscossione
dei tributi, nonché prevedendo meccanismi premiali a favore del contribuente,
che prima della dichiarazione di apertura del dibattimento avesse provveduto
a pagare i debiti erariali (139).
Allo stesso tempo, però, la possibilità di definire il processo mediante
l’istituto del patteggiamento, ancorché non preceduto dal pagamento del debi-
to tributario, ha contribuito a privare in parte i reati fiscali della loro efficacia
deterrente. In tal senso, infatti, sul piano cautelare reale, fino alla l. 24 dicem-
bre 2007, n. 244, che estende la confisca per equivalente ai reati tributari,
pressoché inesistenti sono state le possibilità di aggredire il patrimonio del-
l’evasore.
Con la l. n. 148 del 2011, il legislatore dunque apporta modifiche che
attengono sia al piano sostanziale che processuale, nell’ottica dell’inasprimen-
to dello statuto penale tributario (140).

dire i beni del l’impresa che ha tratto beneficio dalla condotta illecita. Nei fatti, una società
ometteva il versamento di ritenute operate oltre la soglia di rilevanza penale. Dell’omissio-
ne non beneficiava il rappresentante legale, dell’impresa atteso che le somme restavano al-
l’interno della società. Il sequestro dei beni del rappresentante legale era bocciato dal
G.i.p., il quale evidenziava che l’amministratore non aveva tratto beneficio dal reato conte-
stato e, non essendovi responsabilità a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, non si poteva ag-
gredire i beni dell’impresa. Il Tribunale del riesame, disponeva invece il sequestro che però
è stato annullato dalla Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, prima di procedere sui
beni dell’amministratore occorreva verificare che, presso la società, non fosse possibile
analoga misura atteso che il beneficio dell’illecito era riconducibile all’impresa e non al
rappresentante legale.
(139) Tale modifica risponde ad un’esigenza di rigore anche alla luce dell’indeboli-
mento che tale statuto normativo ha subito a seguito dell’entrata in vigore della l. 5 dicem-
bre 2005, n. 251 (c.p.d. Legge Cirielli), che ha determinato l’abbassamento del termine di
prescrizione per i reati fiscali più gravi, a fronte di accertamenti di evasione d’imposta che
avvengono solitamente a distanza di anni dai fatti. Per interessanti spunti di riflessione sul-
l’istituto della confisca per equivalente in materia tributaria alla luce delle novità introdotte
dalla c.p.d. Manovra di Ferragosto: C. Di Gregorio, Illeciti tributari e misure ablatorie: al-
cune questioni pratiche, in Fisco, 2011, 1, 6043 ss.; A. Iorio, Reati tributari: attenuanti,
patteggiamento e condizionale, in Corr. trib., 2011, 3357; I. Caraccioli, Inasprimento delle
sanzioni penali e raddoppio dei termini per l’accertamento, in Corr. trib., 2012, 1068;
nonché dello stesso A., Modifiche ai reati tributari nel giudizio del massimario della Cas-
sazione, in Guida ai controlli fiscali, del 1o novembre 2011, 17.
(140) Mediante la l. n. 148 del 2011, in particolare, a parte il patteggiamento sulla
pena, sono state apportate al d.lgs. n. 74 del 2000 le seguenti innovazioni:
– per i reati in materia di fatture per operazioni inesistenti di cui agli artt. 2 e 8 del
d.lgs. n. 74 del 2000, è stata abrogata la circostanza attenuante prevista nel caso l’ammon-
tare degli elementi passivi fittizi fosse inferiore ad euro 154.937,07, per cui ora, nel caso di
utilizzazione in dichiarazione e di emissione di fatture ed altri documenti per operazioni
inesistenti, si deve sempre partire dalla pena base di anni uno e mesi sei di reclusione (sal-
va la possibile applicazione dell’attenuante comune di cui all’art. 62, n. 4, c.p.): a seguito
di tale modifica il settore delle c.d. fatture false diventa quindi particolarmente repressivo e
218 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

Per quanto tuttavia attiene l’argomento in questione, – l’innovazione


maggiormente interessante appare quelle relativa al patteggiamento sulla pe-
na, la quale alla stregua delle legge in esame, ad oggi, può essere concesso
solo in caso di precedente risarcimento del danno (141).
In forza di tale modifica l’apparato sanzionatorio penale in materia tribu-
taria diventa assai più rigoroso ed allo stesso tempo criticabile. Tra le tante
osservazioni di politica criminale mosse, infatti, merita sottolineare quella se-
condo cui, essendo in materia penale-tributaria applicabile la confisca per
equivalente (ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato), istituto del quale
fin qui si è fatta larga e severa applicazione, apparirà, di fatto, assai difficol-
toso il ricorso al risarcimento del danno per quei contribuenti ai quali sono
stati sequestrati tutti i loro beni (142).
Dunque, per ciò che interessa la nostra trattazione, risulta rilevante forni-
re una breve disamina delle modifiche relative al piano processuale, in cui è
centrale il tema del patteggiamento. Processualmente, come detto, è stata in-
trodotta una condizione ostativa al patteggiamento ex art. 444 c.p.p., non con-
sentendo la definizione del processo mediante applicazione di pena su richie-
sta, qualora non ricorra la circostanza attenuante di cui all’art. 13, 1o e 2o
comma, ossia l’estinzione del debito tributario da parte del contribuen-
te (143).
Nell’ambito dunque del patteggiamento con il pagamento del debito tri-
butario, in base all’art. 13, del d.lgs. n. 74 del 2000, prima delle recenti mo-

foriero di preoccupazioni (si pensi soprattutto alle fatturazioni infragruppo, non fondate su
operazioni reali, ma destinate esclusivamente a spostare ricavi da una ad altra società; per
non parlare delle fatture che, senza riprodurre tutti i requisiti dell’art. 21 del d.p.r. n. 633
del 1972, si limitano a fare riferimento ad un contratto di spese di regia od altri servizi non
meglio identificati;
– sono state fortemente ridotte le soglie di punibilità previste per i reati di dichiara-
zione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, di
cui agli artt. 3, 4 e 5, del d.lgs. n. 74 del 2000: rispettivamente 30.000 e 50.000 per le so-
glie relative all’imposta evasa; un milione e due milioni per le soglie relative ai componen-
ti positivi di reddito sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passi-
vi fittizi;
– la sospensione condizionale della pena (per i reati di cui agli artt. da 2 a 10, del
d.lgs. n. 74 del 2000) non trova più applicazione quando l’ammontare dell’imposta evasa è
superiore al 30 per cento del volume d’affari ed a tre milioni di euro, e questo anche se si
tratta di indagati incensurati;
– in caso di risarcimento del danno, anche mediante ricorso alle procedure di defla-
zione del contenzioso tributario, quale accertamento per adesione e simili, è prevista la ri-
duzione della pena principale solo fino ad un terzo;
– i termini di prescrizione dei reati di cui agli artt. da 2 a 10, del d.lgs. n. 74 del
2000 sono elevati di un terzo.
Sul punto, si veda, su tutti, A. Iorio - S. Mecca, Prescrizione dei reati tributari: tutte
le novità introdotte con la Manovra di Ferragosto, in Fisco, 2011, 2, 6240.
(141) Si veda, il comma 2-bis, dell’art. 13, del d.lgs. n. 74 del 2000, con cui viene
sancito che il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento in sede penale deve
estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto e corrispondere le relative
sanzioni (art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del d.l. n. 138 del 2011).
(142) Cfr. S. Sanvito, Le manovre fiscali estive e le sanzioni penali, in Fisco, 2011,
1, 6370.
(143) L’attenuante di cui all’art. 13, del d.lgs. n. 74 del 2000 diventa condicio sine
qua non per il patteggiamento, così che è ragionevolmente da presumere un netto ridimen-
sionamento dell’utilizzabilità di detto rito premiale.
PARTE SECONDA 219

difiche, le sanzioni previste per i delitti tributari erano diminuite fino alla me-
tà e non si applicavano le pene accessorie previste se, prima della dichiara-
zione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai
fatti costitutivi dei delitti venissero estinti mediante pagamento, anche a se-
guito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento pre-
viste dalle norme tributarie (144).
Con le modifiche di cui sopra viene viceversa previsto che la diminuzio-
ne delle pene, una volta estinto il debito tributario, non è più fino alla metà
ma solo fino ad un terzo. Ne consegue che, sotto il profilo penale, almeno da
questo punto di vista, è meno conveniente pagare quanto contestato dal Fisco.
Tuttavia, se il contribuente vuole ottenere il patteggiamento, egli deve obbli-
gatoriamente estinguere il debito e quindi far ricorso alla citata procedura.
In sostanza il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento ha
l’obbligo di estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto an-
che, come si è detto, eventualmente ricorrendo alle procedure conciliative vi-
genti nell’ordinamento tributario e corrispondere le sanzioni tributarie nono-
stante, per il principio di specialità, potrebbero non trovare applicazione.
Va da sé che, accedendo ad una delle procedure di adesione o conciliati-
ve, l’irrogazione delle sanzioni avverrà comunque in via ridotta a seconda
delle regole tributarie relative allo strumento adottato.
Circa dunque la possibilità di ridurre le pene e usufruire degli altri bene-
fici di cui si è detto occorre evidenziare che questa disposizione non appare
di facile realizzabilità, in quanto, nonostante miri ad incentivare meccanismi
di ristoro del danno erariale derivante da evasione, deve comunque confron-
tarsi con gli effetti derivanti dalla misura cautelare della confisca per equiva-
lente (145).
È ormai frequente infatti il ricorso da parte delle Procure della Repubbli-
ca di richiedere al G.i.p., nella fase delle indagini preliminari, il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con la conseguente obiet-
tiva impossibilità di disporre di somme necessarie per usufruire delle atte-
nuanti e quindi anche del patteggiamento. Tale meccanismo, dunque, non fa
che concretizzare una vera ed effettiva duplicazione del tributo proveniente
da una doppia sanzione, l’una relativa al patteggiamento stesso e l’altra rela-
tiva alla misura della confisca.
Potrebbe accadere, infatti, che lo stesso contribuente risulti destinatario
di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di talché
se egli volesse definire con un patteggiamento la propria posizione, sarebbe
costretto ad un ulteriore esborso costituito appunto dal pagamento del debito
tributario, in assenza di una norma che preveda la restituzione di quanto se-
questrato, necessitando quindi di almeno il doppio del profitto da reato even-
tualmente ottenuto.
Se dunque il contribuente volesse risarcire l’Erario in vista di un patteg-
giamento e, tuttavia, gli unici beni nella sua disponibilità fossero stati seque-
strati in via preventiva ai fini di una confisca per equivalente, comunque non

(144) Si pensi all’adesione ai Pvc, all’accertamento, alla conciliazione giudiziale, al-


l’acquiescenza.
(145) Del medesimo parere, circa la difficile realizzabilità delle attenuanti in questio-
ne mediante il pagamento del debito tributario del fatto costituente delitto, è l’autorevole
Ufficio del Massimario della Corte di cassazione, Relazione III/13/2011 del 20 settembre
2011.
220 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013

potrà procedersi al dissequestro sulla base di una mera promessa di pagamen-


to delle imposte evase da parte del contribuente e d’altra parte costui si vede
privato della possibilità di definire il proprio procedimento penale con il rito
alternativo del patteggiamento.
In concreto, dunque, l’estinzione del debito tributario per beneficiare del-
le attenuanti e quindi del patteggiamento dovrebbe avvenire prima della con-
fisca ed, paradossalmente, prima dell’eventuale sequestro preventivo che av-
viene nella fase delle indagini preliminari e, quindi, verosimilmente prima del
pagamento del debito tributario.
In tal senso, la stessa Corte di Cassazione si è espressa precisando che la
restituzione all’Erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo
stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca, posto che, in caso con-
trario, si avrebbe appunto una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in
contrasto con il principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può
mai essere superiore al profitto derivato dal reato (146).
Ai fini del patteggiamento sarà quindi interessante comprendere quale
soluzione verrà adottata allorché, in previsione della confisca, intervenga il
sequestro preventivo e quindi non sarà possibile, soprattutto economicamente,
pagare il debito tributario.
Peraltro, un primo riscontro lo troviamo nel parere espresso dai Giudici di
legittimità circa le modifiche della manovra estiva 2011, in cui precisano che
la scelta è certamente coerente con gli intenti repressivi che caratterizzano l’in-
tervento normativo e rivela altresì il cessato favore verso i comportamenti ri-
paratori in questa materia, una volta che l’avvento della confisca per equiva-
lente ha consentito di prescindere dalla collaborazione del contribuente infede-
le per recuperare l’imposta evasa, dimostrando come non sia più necessario a
tal fine blandirlo in maniera particolarmente plateale. Il problema è peraltro
ancora una volta collegato all’illustrata connessione tra attenuante e patteggia-
mento, atteso che la minore appetibilità della scelta collaborativa potrebbe tra-
dursi in un minore accesso al rito alternativo, ripercuotendosi sui tempi dell’ac-
certamento del reato in uno scenario in cui l’abbattimento delle soglie di pu-
nibilità previste per le singole fattispecie dovrebbero in prospettiva determina-
re l’aumento del numero dei processi penali-tributari (147).
Si chiarisce dunque l’intenzione della Corte di svalutare la mancata col-
laborazione del contribuente qualora lo stesso abbia subito la confisca.
Occorre notare, inoltre, che l’estinzione del debito e, conseguentemente,
la possibilità di accedere al patteggiamento, viene richiesta anche per reati in
cui non sorgono debiti tributari (148).
Per concludere, dunque, occorre ribadire che la novella, nonostante abbia
il dichiarato intento di inasprire il trattamento penale dell’evasione fiscale,

(146) Sul tema, si veda, Cass., sez. III pen., 11 marzo 2011, n. 10120, in merito alla
possibile illegittimità costituzionale degli artt. 322-ter c.p. e 143, 1o comma, della l. 24 di-
cembre 2007, n. 244, sotto il profilo della violazione del principio di legalità e della dupli-
cità della sanzione. La confisca obbligatoria per equivalente costituisce, infatti, una sanzio-
ne penale e, qualora il danno erariale venisse meno a seguito del pagamento delle imposte
evase, si determinerebbe il contestuale operare di due sanzioni per il medesimo illecito.
(147) Cfr. Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Relazione III/13/2011
del 20 settembre 2011.
(148) Si veda, ad esempio, il caso dell’emissione di fatture false e dell’occultamento
di contabilità, per cui mal si comprende in questo caso cosa possa fare (e quindi quale de-
bito debba estinguere) il contribuente che intende beneficiare del patteggiamento.
PARTE SECONDA 221

opta per un ritorno al particolarismo tributario, mediante l’introduzione di de-


roghe ai principi generali del diritto penale, che in taluni casi potrebbero dar
luogo a risultati sproporzionati rispetto alle finalità perseguite e contrari al ca-
none di ragionevolezza ed equità.
D’altra parte, per l’effetto di tali criticità, relative alla mancanza di coor-
dinamento tra le misure di rigore introdotte, è giusto preventivarsi un forte
depotenziamento delle riforme, dettato dal possibile venir meno dell’interesse
per il patteggiamento da parte dell’imputato. Il tutto presumibilmente condur-
rà ad un appesantimento del rito c.d. ordinario, che di per sé presenta tempi
più lunghi e maggiori rischi di prescrizione.

6. – Conclusioni

Quanto detto consente di definire le modalità di applicazione della misu-


ra reale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in
termini non troppo positivi. Se, infatti, rileggiamo con attenzione le pronunce
dei giudici di legittimità che, sin dalla sua nascita, hanno riconosciuto la va-
sta applicazione di un istituto di così grande importanza, ci rendiamo conto
dell’attività discorsiva ed abusiva sullo stesso perpetrata.
L’ambito delimitativo è stato reso volutamente fragile per consentire un
utilizzo atecnico e, tendenzialmente, sregolato della misura.
Le critiche che si muovono, peraltro, non possono non tener conto della
portata dirompente e della delicatezza della materia dei reati fiscali la quale,
come sottolineato, è ancora in attesa di soddisfare i propri bisogni di tecnici-
smo a fronte della inesistenza di una magistratura penale specializzata.
Tale bisogno potrebbe, per assurdo, essere un argomento utile per soste-
nere il ripristino della pregiudiziale tributaria. In tal senso, dunque, il giudice
si troverebbe ad agire in un terreno sgombro da qualunque incertezza inter-
pretativa, disponendo di dati, anche matematici, certi sull’ammontare del pro-
vento del reato fiscale.
Tuttavia, data l’impraticabilità di una tale situazione, che prescinde dai
risvolti di teoria generale del diritto e dalla natura affatto diversa del processo
tributario e di quello penale (149), non resta allora che pretendere crescente
professionalità da parte del giudice penale magari adottando moduli organiz-
zativi interni ad ogni ufficio ispirati al criterio della specializzazione.
Sarebbe auspicabile, infine, un intervento opportunamente calibrato sulla
materia penale-tributaria, che garantisca una tutela reale ed effettiva nel ri-
spetto del principio di legalità penale, nonché secondo moduli rispettosi dei
principi di eguaglianza e ragionevolezza.

dott. GIUSEPPE GIANGRANDE


Dottorando di ricerca in Diritto degli affari
e tributario dell’impresa

(149) Tale visione utopistica, infatti, si arresta di fronte al dato impietoso fornito dal-
lo stato della giustizia tributaria italiana, specialmente per ciò che concerne i tempi. Dalla
relazione ministeriale per il 2010 si ricava che le commissioni provinciali sono riuscite a
definire solo 270.000 ricorsi sui 290.000 iscritti a ruolo per quell’anno e che l’ammontare
totale dell’arretrato delle sole commissioni provinciali era di 596.708 ricorsi.

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