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01
ISSN 0012-3447
DIRETTORE
VICTOR UCKMAR
UNIVERSITÀ DI GENOVA
DIRETTORE SCIENTIFICO
CESARE GLENDI
UNIVERSITÀ DI PARMA
COMITATO DI DIREZIONE
00140288
CEDAM
CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI
2013
€ 60,00
Tariffa R.O.C.: Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
1. – Premessa
circa 11.500 autori di reati fiscali con sequestri di beni per circa 307 milioni di euro; nei
primi 5 mesi del 2011 le denunce penali erano 5.360 con sequestri di 542 milioni di euro.
È evidente che comunque si leggano i dati sono in gioco diversi punti di prodotto interno
lordo.
(3) L’articolo in questione, fa più in generale riferimento alla lotta alla corruzione di
Pubblici Ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, conclusa a Parigi il
17 dicembre 1997.
(4) Con questa norma si prevede che nel caso di condanna o di applicazione della
pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, per uno
dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320 (peculato, malversazione ai danni dello Stato,
indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, concussione e corruzione) è sempre
ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che non ap-
partengano a persone estranee al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di
beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo. Il 2o com-
ma stabilisce, in aggiunta, con riferimento al reato di cui all’art. 321 del codice penale (pe-
ne per il corruttore) che è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il pro-
fitto, salvo che non appartengano a persone estranee al reato, ovvero quando essa non è
possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente
a quello di detto profitto. Il 3o comma, infine, stabilisce che il giudice con la sentenza di
condanna (o di applicazione della pena ex art. 444 del codice di procedura penale) determi-
na le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il
profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prez-
zo del reato.
PARTE SECONDA 175
mente quella attuata mediante frodi fiscali, dal momento che il provento di
tali illeciti è assai difficilmente individuabile nella sua materialità (5).
In questo quadro di riferimento in cui è evidente il conflitto tra interessi
di pari rango costituzionale, relativi alla proprietà privata ed alla tenuta dei
conti pubblici, le decisioni della Suprema Corte risentono fortemente del di-
lemma ed in alcuni casi il rischio è quello di enunciare principi di diritto che
sacrificano la legalità a vantaggio del principio di effettività.
Il tutto appare al quanto più critico se si pensa che il diritto penale tribu-
tario sconta i limiti di una legislazione frutto di compromessi ed ancor più
l’esasperato tecnicismo nella formulazione delle norme. Risulta pertanto indi-
spensabile esordire con una breve disamina circa la complessità interpretativa
delle norme che regolano la materia, frutto di una stratificazione legislativa
quanto mai inopportuna.
Circa il tema dei rapporti tra giudicato penale e processo tributario, oc-
corre sottolineare come alla base di un tale contesto vi sia la consapevolezza
che la norma penale tributaria sia rappresentata da una norma penale in bian-
co. In cui il precetto è completamente tipizzato dal momento che si compie
integrale rimando al contenuto di altra norma, tributaria, la quale disciplina
attività di per sé neutre e prive di un disvalore percepibile con il solo senso
comune (6).
Tali ed altre problematiche, pertanto, hanno reso sempre più scivoloso il
terreno sul quale si poggia la materia. È evidente, peraltro, che ogni legge ri-
sponda principalmente alle esigenze dell’epoca ed, infatti, nel caso di specie,
la stratificazione legislativa di cui si parlava nelle premesse al presente lavoro
ha visto la luce con la creazione di un meccanismo fondato sulla subordina-
zione del procedimento penale alla definitività del contenuto dell’avviso di
(5) La tematica della confisca per equivalente ha riflessi importanti anche in merito
alla tassazione dei redditi da attività illecite, in cui l’argomento della confisca è l’unico de-
cisivo per escludere la tassazione. Si veda in proposito, Cass., 23 gennaio 2008, n. 1416 in
tema di usura, in GT - Riv. giur. trib., 2008, 331, con nota di M. Procopio, La legittimità
del ricorso all’accertamento induttivo basato su indici di spesa ed investimenti patrimonia-
li; nonché Id., 18 gennaio 2008, n. 1058 in tema di tangenti, in Corr. trib., 2008, 1131, con
nota di D. Mauro - M. Beghin. Se infatti il reo è esposto alla confisca per equivalente del
prezzo del reato, si può sostenere la mancanza sin dall’origine del possesso dei redditi ne-
cessario ai fine della tassazione.
(6) Cfr. D. Guidi, Brevi note sull’efficacia del giudicato penale nel processo tributa-
rio, retro, 2011, II, 827. In questo contesto non è possibile affrontare l’argomento interes-
sante ma scivoloso della rilevanza dell’errore sulla norma tributaria che integra il precetto;
tuttavia, appare rilevante, ad esempio, segnalare la vischiosità della previsione contenuta
nell’art. 15, del d.lgs. n. 74 del 2000 che esclude la punibilità dell’autore quando le viola-
zioni della norma tributaria (sono) dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla lo-
ro portata e sul loro ambito di applicazione. In tal caso, appare evidente l’ambigua codifi-
cazione di un caso tipico di errore scusabile con buona pace dell’art. 5 del codice penale
come interpretato dalla nota sentenza della Corte costituzionale del 1988 n. 364. Cfr., su
tutti, G. Lattanzi - E. Lupo, Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Vol. I,
La legge penale e le pene, Milano, 2010, 249 ss.
176 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
gato l’art. 12, della l. n. 516 del 1982, sottolineando che il procedimento am-
ministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere so-
spesi per la pendenza del procedimento penale avente per oggetto i medesimi
fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.
La norma in questione, come asserito nella Relazione governativa al
d.lgs. 10 marzo 200, n. 74, ha una portata imponente nell’ambito dei rap-
porti tra procedimento penale e processo tributario ed, in particolare, si ri-
volge al sistema repressivo penale tributario a fronte del generale sposta-
mento «a valle» della linea di intervento punitivo e dell’introduzione di so-
glie di punibilità ragguagliate all’ammontare dell’imposta evasa, con con-
seguente devoluzione al giudice penale di compiti di verifica spesso inte-
gralmente sovrapponibili a quelli del giudice tributario.
Eppure la norma mostra tutta la sua perfettibilità nel non esser riuscita a
disciplinare in toto la materia. L’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, infatti, no-
nostante fosse imperniato su una promettente rubrica dedicata ai rapporti tra
procedimento penale e processo tributario, si limita a stabilire che il procedi-
mento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono
essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente a oggetto i
medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa de-
finizione. Il tutto affinché l’Amministrazione finanziaria possa procedere al-
l’accertamento ed alla riscossione in tempi rapidi, senza dover attendere l’esi-
to dell’eventuale procedimento penale per reati tributari instauratosi per i me-
desimi fatti (11).
Malgrado, inoltre, la norma non menzioni espressamente che anche il
processo penale è autonomo rispetto a quello tributario, tuttavia tale principio
è da ritenersi insito nel sistema processuale penale (12).
In buona sostanza, esclusa la sussistenza di un rapporto di pregiudiziali-
tà, nell’uno o nell’altro senso, appare pacifico riconoscere nel nostro ordina-
mento un principio di autonomia reciproca di procedimenti identificativo di
un doppio binario. Si tratta, però, di un sistema che, se da un lato appare si-
curamente vantaggioso per le ragioni del Fisco, dall’altro pone gravi inconve-
nienti applicativi e delicati problemi sul piano della certezza del diritto, com-
portando che, su un medesimo fatto, giudici diversi possano pronunciarsi in
modo difforme o, addirittura, confliggente.
Pertanto, sulla base della riconosciuta autonomia penale processuale ri-
spetto all’accertamento tributario ed al relativo contenzioso, occorre rilevare,
come meglio approfondito nel prosieguo, che il giudice penale abbia ormai
(11) In effetti, abrogato da tempo e certamente non reintroducibile nel nostro ordina-
mento, l’istituto della pregiudiziale tributaria, c’era il rischio che la previsione di reati ca-
ratterizzati, per lo più, da un evento di evasione potesse dar luogo ad una pregiudiziale pe-
nale qualora la pretesa dell’Amministrazione finanziaria fosse subordinata alla definizione
del processo penale, con conseguente danno per l’Erario.
(12) Il divieto di sospensione del processo penale, pur in presenza di un accerta-
mento tributario o di parallelo contenzioso amministrativo, si desume infatti, a contrario,
dagli artt. 3 e 479 del c.p.p. i quali prevedono, rispettivamente, che il giudice penale pos-
sa sospendere il processo per questioni pregiudiziali inerenti lo stato di famiglia o di citta-
dinanza ovvero, in pendenza di una controversia civile o amministrativa di particolare
complessità, soltanto se la legge non pone limitazione alla prova della posizione soggetti-
va controversa. Limitazioni che, nel processo tributario, invece sussistono, come nel caso
del divieto di prova testimoniale di cui all’art. 7, 4o comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992,
n. 546.
178 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
(13) Tale elemento assume rilevanza dirimente soprattutto ai fini del superamento
delle soglie minime di punibilità previste per la configurabilità della maggior parte dei reati
tributari contemplati nel d.lgs. n. 74 del 2000, con l’unica esclusione di quelli di cui agli
artt. 2, 8 e 10 del medesimo decreto.
(14) Il che si traduce in una effettiva sostituzione, da parete dei giudici penali, dei
pertinenti uffici finanziari, caratterizzata dall’attività di valutazione della natura e disciplina
fiscale vigente all’epoca dei fatti, delle singole componenti di reddito mediante la determi-
nazione, per ciascun periodo, dell’imposta dovuta, con tutto ciò che ne comporta in termini
di tecnicismo e di esperienza.
(15) Cfr. A.E. La Scala, Prova testimoniale, diritto di difesa e giusto processo tribu-
tario, in Rass. trib., 2012, 90; nonché, in termini più specifici circa gli elementi probatori,
A. Marcheselli, L’efficacia probatoria nel processo tributario del patteggiamento penale,
retro, 2003, 704.
(16) Si veda, Cass., sez. III pen., 26 febbraio 2008, n. 21213.
(17) Sul tema, si vedano, come primissimo orientamento e non trascurando i profili
di ordine concreto, R. Schiavolin, Le prove, in AA.VV., Il processo tributario - Giurispru-
denza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, 1999, 517 ss.; G. Porcaro,
L’utilizzo ai fini tributari degli elementi probatori raccolti in violazione dei poteri istrutto-
ri, in Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, a cura di V. Uckmar - F. Tundo, Piacen-
za, 2005; V. Uckmar - A. Marcheselli, Il diritto tributario tra tutela della riservatezza e
trasparenza delle attività economiche, retro, 1998, I, 227 ss.; G. Caputi, Accertamento tri-
butario ed indagine penale, in Il Finanziere, 1997, Panorama tributario e professionale; S.
Gallo, Accessi domiciliari e inutilizzabilità delle prove illecitamente acquisite, in Riv.
Guard. fin., 2005, 881 ss.; S. Gallo - G. Gallo, La legge penale e processuale tributaria,
Milano, 1994, passim; P. Liccardo, Attività investigativa e funzione accertativa, retro,
1990, II, 641 ss.; S. Romeo, L’utilizzo ai fini fiscali delle prove acquisite in sede penale, in
Il Finanziere, 2002, Panorama tributario e professionale; Id., L’irrituale acquisizione di
PARTE SECONDA 179
dubbio, infatti, che gli atti compiuti nel corso di accessi, ispezioni e verifiche
eseguiti dalla Guardia di finanza oppure dall’Agenzia delle entrate ovvero le
prove acquisite nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, siano in qual-
che misura utilizzabili nel processo penale (18).
In particolare, ad esempio, si ritiene che il processo verbale di constata-
zione, dal quale quasi sempre trae origine il procedimento penale, per giuri-
sprudenza consolidata, costituisca atto amministrativo extraprocessuale, ac-
quisibile come prova documentale ex art. 234 c.p.p. anche nei confronti di
soggetti non destinatari della verifica fiscale (19).
Altri atti del processo tributario, tra i quali, ad esempio, eventuali prove
acquisite, possono, inoltre, rientrare nel giudizio penale come meri documen-
ti, a norma dell’art. 234 del c.p.p., fermo restando, tuttavia, che tali atti non
possono autonomamente fornire la prova dei fatti in essi descritti, in quanto il
giudice non può ritenersi assolutamente vincolato da prove né, tantomeno, da
decisioni adottate in sede amministrativa (20). Nonostante ciò, la trasmissione
di documenti, dati e notizie raccolti durante la fase delle indagini preliminari
ovvero anche nel processo penale, oltre che consentita è, anzi, auspicata (21).
Ebbene, in questa prospettiva il Supremo Collegio, dalla sentenza n.
14953 del 2006 in poi, correttamente precisa che pur non operando più il vin-
colo del giudicato, la sentenza penale può essere comunque prodotta e costi-
tuire una prova documentale, ai sensi degli artt. 32, 1o comma, e 58, 2o com-
ma, del d.lgs. n. 546 del 1992, liberamente apprezzabile dal giudice ai fini
prove nel corso di indagini tributarie, in Il Finanziere, 2003, Panorama tributario e pro-
fessionale; Id., Acquisizione e utilizzazione dei documenti di terzi, in Il Finanziere, 2003,
Panorama tributario e professionale; N.A. Toscano, Illegittimo l’accesso domiciliare moti-
vato con il rinvio a fonti confidenziali, in Riv. Guard. fin., 2002, 2583 ss.; nonché F. Bati-
stoni Ferrara, Il regime probatorio del processo tributario, in Rass. trib., 2008, 1267.
(18) Cfr. A. Marcheselli, La circolazione dei materiali istruttori dal procedimento
penale a quello tributario, in Rass. trib., 2009, 84.
(19) Si veda, Cass., sez. III pen., 18 novembre 2008, n. 6881. Secondo alcune pro-
nunce della Suprema Corte, tale documento sarebbe addirittura qualificabile come atto irri-
petibile e, in quanto tale, direttamente inseribile nel fascicolo per il dibattimento nella par-
te in cui riproduce situazioni di fatto esistenti in un determinato momento e suscettibili di
subire modifiche. Su tutte, Cass., sez. III pen., 15 gennaio 1998, n. 1944. Da ultimo, inol-
tre, si veda, la sentenza di Corte di Cassazione, 19 ottobre 2012, n. 17940, ai sensi della
quale il deposito del processo verbale di constatazione avvenuto nel corso del primo grado
di giudizio oltre i termini consentiti dalla norma processuale, non ne pregiudica l’utilizzabi-
lità in sede di gravame allorché esso sia stato nuovamente riprodotto in secondo grado ov-
vero sia stato, a ogni modo, acquisito al fascicolo processuale e invocato dalla parte a sup-
porto dei motivi di appello.
Questo il principio di diritto desumibile dall’ordinanza della Corte di Cassazione n.
17940, depositata lo scorso 19 ottobre.
(20) Sul tema si veda, P. Russo, Manuale di diritto tributario - Il processo tributa-
rio, Milano, 2005, 153 ss.; Maffezzoni, La prova nel processo tributario, in Boll. trib.,
1977, 1684 ss.; Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 45 e 138; G.M. Cipolla,
Sulla ripartizione degli oneri probatori nel processo tributario tra nuovi (quanto, forse, or-
mai tardivi) sviluppi giurisprudenziali e recenti modifiche normative, in Rass. trib., 2006,
601; F. Fontana, La valenza probatoria della testimonianza penale nel processo tributario,
in GT - Riv. giur. trib., 2002, 738; nonché A. Marcheselli, Testimonianza scritta e deposito
di documenti in appello, in Corr. trib., 2009, 2695.
(21) Si veda, in tal senso, l’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale prevede la co-
municazione dalla sede penale a quella tributaria della sentenza irrevocabile che esclude la
rilevanza penale del fatto.
180 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
storico che resiste all’usura del tempo, in Rass. trib., 2000, 567 ss.; F. Moschetti, Utilizzo
di dichiarazioni di terzo e divieto di prova testimoniale nel processo tributario, retro,
1999, II, 17; A. Viotto, Legalità dell’attività istruttoria e utilizzo di dichiarazioni di terzi
nel procedimento di accertamento e nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2001, II, 53
ss.; S. Muleo, Diritto alla prova, principio del contraddittorio e divieto di prova testimo-
niale in un contesto di verificazione: analisi critica e possibili rimedi processuali, in Rass.
trib., 2002, 1989 ss., nonché, ancorché alquanto risalente, F. Batistoni Ferrara, Processo
tributario: riflessioni sulla prova, retro, 1983, I, 1603 ss.
(27) Cfr. Cass., sez. III pen., 26 novembre 2008, n. 5490.
(28) Di cui all’art. 39, 2o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 in materia di imposte
sui redditi, nonché all’art. 55 del d.p.r. n. 633 del 1972 in materia di iva.
(29) Di cui all’art. 38, 4o e 5o comma, del d.p.r. n. 600 del 1973.
(30) Cfr. Cass., sez. III pen., 21 dicembre 1999, n. 1904.
182 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
L’art. 10, 6o comma, della l. 8 maggio 1998, n. 146, che disciplina le moda-
lità di utilizzazione degli studi di settore, prevede però, espressamente, che la
determinazione di maggiori ricavi, compensi e corrispettivi, conseguente
esclusivamente all’applicazione degli accertamenti basati sugli studi di setto-
re, non rileva ai fini dell’obbligo della trasmissione della notizia di reato ai
sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale.
Per cui, circa il problema della loro rilevanza in sede penale, la giuri-
sprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione ha stabilito che il
mero scostamento dai parametri di cui agli studi di settore costituisce una
presunzione semplice, da sola inidonea a legittimare l’accertamento, ricono-
scendo, indirettamente, che tale presunzione, ai fini penali, non può che costi-
tuire un mero indizio inutilizzabile in concreto a comprovare l’esistenza di
un’evasione d’imposta in assenza di ulteriori riscontri gravi, precisi e concor-
danti, così come richiesto dall’art. 192 c.p.p. (31).
Da ultimo, occorre prendere in considerazione l’ipotesi, peraltro non
molto frequente, che il processo per reati tributari si concluda prima della de-
finizione del parallelo contenzioso tributario.
In particolare, ci si chiede quale efficacia possa avere nel giudizio tribu-
tario la sentenza penale irrevocabile, di assoluzione ovvero di condanna, pro-
nunciata a seguito di dibattimento.
La regola codicistica di riferimento è contenuta nell’art. 654 c.p.p., il
quale stabilisce che, nei confronti sia dell’imputato che dell’eventuale Ammi-
nistrazione finanziaria, costituitasi parte civile, la sentenza penale irrevocabi-
le di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha ef-
ficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si
controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconosci-
mento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono ogget-
to del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai
fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla
prova della posizione soggettiva controversa. Va, tuttavia, rilevato che tale
norma delinea confini estremamente restrittivi in ordine alla rilevanza esterna
del giudicato penale, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, subordinan-
dola alla assenza di limitazioni alla prova, che invece sussistono nella norma-
tiva tributaria.
Da ciò ne consegue che, per giurisprudenza ormai pacifica, la sentenza
penale irrevocabile relativa a reati tributari non può, in alcun caso, avere effi-
cacia vincolante di giudicato nel processo tributario, poiché in questo, da un
lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale)
e, dall’altro possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una
pronuncia penale di condanna, sicché nessuna automatica autorità di cosa
giudicata può attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza pena-
le irrevocabile, di condanna o di assoluzione, ancorché i fatti accertati in se-
de penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha pro-
mosso l’accertamento nei confronti del contribuente (32).
Va, tuttavia, rilevato che la Cassazione civile considera ormai jus receptum che la sentenza
penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. costituisce indi-
scutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale
efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammes-
so una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale
ammissione per cui detto riconoscimento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita
dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel
giudizio di legittimità. Cfr. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2001, n. 2724, nonché Cass., sez.
trib., 30 settembre 2005, n. 19251.
(33) Si veda anche il caso in cui l’Amministrazione finanziaria, dopo la comunica-
zione della notizia di reato alla autorità giudiziaria, in sede di autotutela o, come più spesso
accade, di perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, abbia ridetermi-
nato la propria pretesa in misura tale che l’imposta evasa non superi le soglie di punibilità
previste per la sussistenza del reato contestato. Occorre rilevare, in effetti, però, che nume-
rose pronunce penali di merito si stanno recentemente orientando, nei casi in cui l’ufficio
ha espressamente riconosciuto infondata la propria pretesa o comunque ritenuto congruo un
abbattimento della stessa al di sotto dei limiti di rilevanza penale, verso il proscioglimento
del contribuente dal reato ipotizzato a suo carico.
184 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
mento, che l’imposta evasa non abbia superato le soglie di punibilità previste
dalla citata norma. In un caso del genere, diviene pressoché decisiva la cro-
nologia degli avvenimenti giudiziari, potendosi facilmente immaginare che,
laddove la decisione del giudice tributario precedesse anziché seguire quella
del giudice penale, le probabilità di assoluzione dell’imputato verrebbero sen-
za dubbio ad aumentare.
Sembra, in sostanza, che alla sorte, più che alle ragioni del diritto, sia
demandato l’esito della vicenda giudiziaria del contribuente-imputato. Pertan-
to, parlando di crisi del principio del «doppio binario», sarebbe auspicabile
che il legislatore rimeditasse la disciplina dei rapporti tra i due procedimenti,
la quale oggi appare decisamente incongrua.
(34) Si vedano ad esempio le operazioni di c.d. frode carosello in cui, infatti, emerge
il problema del recupero dell’imposta non versata da parte del soggetto che emette la fattu-
ra, e assegna al destinatario il diritto di detrazione. L’emittente è normalmente una scatola
vuota, che molto spesso sparisce subito dopo l’operazione, con le conseguenti difficoltà per
il fisco di aggredire in via amministrativa il soggetto. Pertanto, anche laddove l’Ammini-
strazione finanziaria agisce nei confronti dell’acquirente, disconoscendogli il diritto di de-
trazione, non è da escludere la sussistenza di difficoltà di recuperare in via amministrativa
l’iva indebitamente detratta. Si pensi, inoltre, alle difficoltà circa l’attività di soggetti che
vorticosamente aprono e chiudono le posizioni fiscali iva.
(35) Cfr. Corte cost., 25 maggio 1961, n. 29, e Id., 4 giugno 1964, n. 46. Per una ri-
costruzione dello stato della materia in tema di confisca cfr. Cass., sez. un. pen., 2 luglio
2008, n. 26654, in Riv. pen., 2008, 1000.
PARTE SECONDA 185
(45) Cfr. art. 321 del codice di procedura penale, il quale circa l’oggetto del seque-
stro preventivo precisa: 1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa per-
tinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la
commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pro-
nunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio del-
l’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. 2. Il giudice può altresì di-
sporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca.
(46) In un tale contesto, il sequestro risulta ammissibile allorquando il bene si iden-
tifichi in quello che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed
immediato dell’illecito ovvero in quello realizzato come conseguenza anche indiretta o me-
diata della sua attività criminosa. Cfr. Cass., 21 ottobre 1994, n. 2315, ove è stata valutata
la legittimità di un sequestro di un appartamento che era stato acquistato con i proventi del
reato di concussione.
(47) Si veda, Cass., 25 marzo 2003, n. 23773, nella quale la Suprema Corte statuisce
che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il
sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente perce-
pite bensì la somma corrispondente al loro valore nominale presente nel conto ove queste
sono state depositate.
(48) In particolare, l’art. 1, 143o comma, della legge finanziaria per il 2008 (l. 24 di-
cembre 2007, n. 244), stabilisce che: nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-
ter, 10-quater e 11, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale. Il legislatore fa ri-
ferimento, nella redazione della norma, alla significativa esperienza giudiziaria maturata al
riguardo. Si veda, ad esempio, l’art. 11 della l. n. 146 del 2006, in vigore dal 12 aprile
188 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
2006, che prevede la possibilità di procedere al sequestro preventivo finalizzato alla confi-
sca anche per equivalente, nei casi di reati transnazionali, per i quali la confisca delle cose
che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, non sia possibile. L’istitu-
to è stato applicato ai reati tributari, per la prima volta in Italia, nel corso di un’inchiesta
penale avviata dalla Procura della Repubblica di Trento, sottoponendo a sequestro denaro,
beni ed altre utilità per circa due milioni di euro, in seguito ad un’indagine condotta, con-
giuntamente dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle Dogane, nei confronti di un’or-
ganizzazione criminale volto alla realizzazione di una frode carosello all’iva a carattere
transazionale, di ingenti proporzioni, realizzata attraverso la costituzione di numerose attivi-
tà off shore, inizialmente nel Liechtenstein e successivamente nelle Antille Olandesi, nelle
Isole Vergini Britanniche, nello stato Usa del Delaware, nel Principato di Monaco e a Ci-
pro. In ordine allo stesso procedimento e all’applicabilità della misura ai reati tributari, do-
po l’entrata in vigore dell’art. 1, 143o comma, della l. n. 244 del 2007, si veda, Cass., sez.
III pen., 9 dicembre 2009, n. 46855.
(49) Cfr. Santarelli, Confisca dei beni per reati tributari. Commento alla Finanziaria
2008, in allegato a Fisco, 2008, 145, e S. Capolupo, Estesa ai reati fiscali la confisca per
equivalente, ivi, 2008, 585. Più in generale si rinvia a A. Traversi - S. Gennai, Diritto pe-
nale commerciale, Padova, 2008, 244.
(50) Occorre rilevare, inoltre, circa l’interpretazione collegata alla diversa natura e ai
diversi effetti del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., e della confisca del profitto o di
valore equivalente ex art. 322-ter c.p., che il sequestro preventivo a norma dell’art. 321
c.p.p. è una misura cautelare finalizzata a garantire l’esecuzione del futuro provvedimento
ablatorio, ed in quanto tale non comporta una privazione definitiva del diritto di proprietà.
Pertanto può essere disposto il sequestro anche per l’intero nei confronti di uno solo dei
soggetti coinvolti quando non sia possibile accertare l’esatto ammontare del prezzo o del
profitto riferibile al singolo concorrente. Maggiore attenzione occorre nel momento della
confisca adottata all’esito del giudizio, che dovrà essere adottata previo accertamento della
quota di prezzo o di profitto attribuibile al singolo concorrente, e solo nella persistente im-
possibilità di tale verifica potrà essere applicata per l’intero prezzo o profitto, ma sempre
nel rispetto dei canoni della solidarietà interna tra i concorrenti.
(51) Tale obbligatorietà sarà rispettata, come vedremo, anche in caso di patteggia-
mento.
PARTE SECONDA 189
beni aventi un valore equivalente a quelli così sottratti all’Erario (52); il tutto,
a differenza di quanto sostenuto dalle disposizioni previgenti, senza la neces-
sità di quella specifica individuazione che, soprattutto in relazione alla natura
di risparmio che è propria della condotta evasiva, rendeva, di fatto, impossi-
bile la confisca in questa materia.
(52) La confisca riguarderà il profitto del delitto tributario e non il prezzo di difficile
o impossibile configurazione.
(53) Cfr. P. Murgia, Corte Cost., ord. n. 97 del 2 aprile 2009 - L’irretroattività della
disciplina della confisca per equivalente estesa ai reati tributari, in Fisco, 2009, 1, 3941.
(54) Cfr P. Corso, La confisca «per equivalente» non è retroattiva, in Corr. trib.,
2009, 1775.
(55) Cfr. Corte cost., ord. 2 aprile 2009, n. 97, in Corr. trib., 2009, 1775, con com-
mento di P. Corso; nonché in GT - Riv. giur. trib., 2009, 481, con commento di F. Fonta-
na. Già in precedenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (22 novembre 2005, n.
41936) avevano confermato l’orientamento secondo il quale la confisca di valore costituen-
do una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti, viene ad assumere
un carattere preminentemente sanzionatorio. Sul tema si veda inoltre F. Ardito, Reati tri-
butari: irretroattività della confisca per equivalente, in Rass. trib., 2009, 874.
(56) A fronte di un patteggiamento per reato tributario il condannato ha chiesto la
restituzione delle somme in sequestro in un contesto nel quale non vi era prova che fossero
il profitto del reato tributario e in un contesto nel quale non risultavano altri beni intestati o
riferibili al condannato. La vicenda avrebbe potuto innescarsi anche su richiesta di confisca
avanzata dal Pubblico ministero a fronte di una sentenza di condanna che non si pronuncia-
190 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
va sulla sorte (restituzione o confisca) delle somme in sequestro. Cfr. G.L. Soana, La con-
fisca per equivalente nel diritto penale tributario è applicabile solo per i reati commessi
dopo il 31 dicembre 2007, retro, 2009, II, 2 ss.
(57) L’ordinanza 12 febbraio 2008 (GUP Tribunale di Trento, est. Pascucci) è pub-
blicata in Corr. trib., 2008, 2601, con nota di Del Sole, È costituzionalmente compatibile
l’applicazione retroattiva della confisca per equivalente?, ivi, 2603. Si veda, altresì, G.
Soana, La confisca per equivalente nel diritto penale tributario è applicabile solo per i
reati commessi dopo il 31 dicembre 2007, retro, 2009, II, 2 ss.
(58) A fronte di una nozione di confisca non unitaria perché frutto di una stratifica-
zione di norme nel tempo (cfr. Massa, voce Confisca (dir. e proc.p. pen.), in Enc. p. dir.,
VIII, Milano, 1961, 980, e Trapani, voce Confisca (dir. pen.), in Enc. p. giur. Treccani,
VIII, 1988, 1) l’ordinanza del giudice a quo attribuisce valore dirimente alla giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) sulla interpretazione dell’art. 7, 1o com-
ma, seconda parte, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo. In-
dividuati i caratteri sostanziali della pena, la Corte europea ha rivendicato a se stessa la li-
bertà di superare il nomen iuris dato alla misura dal diritto interno e ha qualificato come
pena (e, quindi, come non retroattiva) un provvedimento di confisca disposto da giudici in-
glesi. La sentenza 9 febbraio 1995 della CEDU nella causa Welch c.p. Regno Unito viene
ad essere invocata dal GUP Tribunale di Trento come precedente vincolante nell’ordina-
mento italiano e come ragione di reductio ad unum delle variegate nozioni di confisca per
equivalente.
(59) La giurisprudenza internazionale ha introdotto infatti un ulteriore inquadramento
della questione. In questo caso il riferimento è dato, come già in precedenza rilevato, dalla
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), 9 febbraio 1995, Welch c.p. re-
gno Unito, n. 307-A, richiamata dall’ordinanza che ha rimesso alla Corte costituzionale la
questione ora in commento. Ebbene, la CEDU ha osservato che la qualificazione di una
misura sanzionatoria come pena non dipende solo dalla veste formale data dall’ordinamen-
to, ma deve necessariamente tenere conto in concreto della natura, dello scopo e della gra-
vità degli effetti della misura in questione. A fronte di tale premessa la CEDU ha ritenuto
che la confisca, imposta ad un soggetto condannato sulla base di una legge che introduceva
tale misura di sicurezza solo dopo l’avvenuta commissione del reato, si sostanziasse in una
pena, perché il pregiudizio subito dal condannato risultava essere più grave di quello che il
medesimo avrebbe subito al momento della commissione del reato, quando la misura anco-
ra non era stata introdotta nell’ordinamento. Tale situazione, pertanto, finiva per violare
l’art. 7 della Convenzione europea di diritti dell’uomo, che prevede che non possa essere
inflitta una pena – da intendersi in senso lato, come qualsiasi misura oggettivamente afflit-
tiva – più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Cfr. A.
Del Sole, È costituzionalmente compatibile l’applicazione retroattiva della confisca per
equivalente?, in Corr. trib., 2008, 2601.
PARTE SECONDA 191
sentiti dall’art. 25, 2o comma, Cost., le cui garanzie sarebbero rivolte solo al-
le pene e non alle misure di sicurezza.
Pertanto, nel ragionamento fatto dalla Corte, quale punto di partenza si
prese in considerazione l’art. 200 c.p. che, nel regolare la disciplina dell’ap-
plicazione delle misure di sicurezza rispetto al tempo, prevede che queste sia-
no regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Sulla base
di questo argomento testuale gran parte della dottrina (60) e la giurisprudenza
di legittimità ritengono che le misure di sicurezza, diversamente dalla pene,
possano essere applicate anche retroattivamente. È stato, infatti, ripetutamente
affermato dalla Corte di cassazione, che il principio di irretroattività della
legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, 2o comma, Cost., è operante nei
riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicu-
rezza, sicché la confisca può essere disposta anche in riferimento a reati com-
messi nel tempo in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversa-
mente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata (61).
Tale orientamento giurisprudenziale e dottrinale poggia, oltre che sul da-
to testuale dell’art. 200 c.p., anche sul rilievo che le misure di sicurezza, di-
versamente dalle pene, che costituiscono una reazione legislativa ad un fatto
previsto dalla legge come reato, sono incentrate sul concetto di pericolosità
sociale del reo o della cosa correlata all’attività criminosa. Ne consegue che
l’attuale pericolosità sociale della persona o della cosa giustifica l’applicazio-
ne di uno strumento preventivo, quale è la misura di sicurezza, anche quando
questa sia stata introdotta nell’ordinamento solo dopo la commissione del rea-
to.
A fronte di questa interpretazione maggioritaria, si registra, in verità, in
dottrina qualche autorevole voce dissonante, che suggerisce l’estensione del
principio di irretroattività anche alle misure di sicurezza, attraverso una lettu-
ra costituzionalmente orientata dell’art. 200 c.p. (62).
Sulla base di queste premesse, la lettura dell’art. 200 c.p. che viene pro-
posta implica che la retroattività della legge sia ammessa non per consentire
l’applicazione di una misura di sicurezza non prevista al momento in cui è
stato commesso il fatto, ma solo per disciplinare in maniera diversa mere mo-
dalità esecutive di una misura già prevista dalla legge al momento della com-
missione del fatto (63).
L’orientamento della Consulta è fermo nel ritenere che non sia possibile
stabilire alcuna equiparazione tra pene e misure sicurezza. La pena, infatti,
(64) L’assetto disciplinare dei due istituti rispecchia correttamente tale radicale di-
stinzione e, pertanto, presenta una diversa configurazione.
(65) Con riferimento all’irrilevanza del nesso di pertinenzialità proprio in ordine al
sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nell’ambito di procedimenti per reati tri-
butari, si veda, inoltre, Cass., 8 marzo 2011, n. 8982.
PARTE SECONDA 193
appunto, nella forma «per equivalente» (66). Tale conclusione esclude la pos-
sibilità di procedere alla confisca per equivalente, in caso di reati tributari
commessi prima dell’entrata in vigore della l. n. 244 del 2007 (67).
3.2. – I requisiti
Per ciò che concerne altresì i requisiti per procedere alla «confisca obbli-
gatoria», è da ritenersi acquisito e superato l’ampio dibattito dottrinale e giu-
risprudenziale che si è andato formando sulle nozioni di prezzo, prodotto e
profitto del reato e sulla pertinenzialità tra questo ed i beni da confiscare, che
pure sono indispensabili per la corretta qualificazione delle disposizioni con-
tenute nell’art. 322-ter del codice penale.
Per ciò che concerne questi concetti, risulta sufficiente rinviare alla dot-
trina penalistica ed alla giurisprudenza della Cassazione, che individuano: il
prezzo, nel corrispettivo pattuito e conseguito o promesso ad una persona co-
me corrispettivo per la commissione di un reato; ed il profitto, in quel van-
taggio economico o beneficio patrimoniale direttamente e causalmente deri-
vante dall’attività illecita (68).
Tuttavia, occorre ricordare che, anche se eseguita per un valore equiva-
lente, la confisca presuppone che il condannato, per un reato tributario, o
l’imputato, nel caso di sequestro preventivo, abbia percepito un vantaggio
economico causalmente collegato al comportamento delittuoso, e che tale
vantaggio sia quantificato (69).
(66) Si osserva, peraltro, che, nel sottolineare la natura sostanzialmente afflittiva del-
la confisca per equivalente, si fa riferimento alla sentenza della CEDU che dichiarava l’ap-
plicazione retroattiva della confisca in contrasto con l’art. 7 CEDU, secondo il quale non
può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è sta-
to commesso. Contrasto, questo, che si verificherebbe proprio perché il pregiudizio del
condannato, con l’applicazione retroattiva della misura, sarebbe risultato di fatto maggiore
di quello che il medesimo soggetto avrebbe subito al momento della commissione del fatto.
(67) La decisione, però, proprio perché esaurisce i suoi effetti al circoscritto ed
esclusivo ambito della confisca per equivalente, lascia aperta la questione relativa alla di-
sciplina rispetto al tempo delle misure di sicurezza, a proposito della quale la Corte non
sembra concedere alcun elemento per capire se il suo tradizionale orientamento sia suscet-
tibile di una qualche modificazione. Sarebbe, allora, auspicabile che le argomentazioni svi-
luppate nell’ordinanza in commento con specifico riguardo alla confisca per equivalente,
potessero essere estese anche alle altre misure di sicurezza e che la valorizzazione del dato
intrinsecamente afflittivo – e quindi sanzionatorio – di tutte le misure di sicurezza induces-
se la Consulta ad un ripensamento del suo orientamento in tema di retroattività delle misu-
re di sicurezza.
(68) Quanto al profitto del reato si riscontra nella giurisprudenza delle Sezioni Unite
penali della Cassazione anche una interpretazione estensiva della sua nozione, in base alla
quale essa ricomprende, non solo i beni o il denaro ottenuti per effetto diretto e immediato
dell’attività criminosa, ma ogni utilità economica indirettamente derivante dal loro reimpie-
go purché causalmente riconducibile, anche in via indiretta e mediata, al comportamento il-
lecito. Cfr. Cass., sez. un. pen., 25 ottobre 2007, n. 10280; Id., 2 luglio 2008, n. 26654.
(69) La necessità di collegare (e quantificare) la confisca (anche per equivalente) ad
un profitto derivante dal reato tributario commesso trova conferma anche nel mancato inse-
rimento tra le fattispecie per le quali essa è prevista, del reato di occultamento o distruzio-
ne di documenti contabili, dalla commissione del quale, di regola, non deriva alcun profit-
194 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
to, salvo che il fatto non costituisca il presupposto per la realizzazione di un più grave rea-
to di evasione.
(70) La giurisprudenza più recente riconosce che nei reati fiscali di evasione l’am-
montare dell’imposta evasa (importo sottratto alla destinazione fiscale e del quale beneficia
il trasgressore) costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla
condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato. Si
vedano Cass., sez. III pen., ord. 12 aprile 2012, n. 13982; Id., sez. V pen., 17 gennaio
2012, n. 1843; Id., sez. III pen., 16 gennaio 2012, n. 1199; nonché Id., 8 marzo 2011, n.
8982.
(71) Tra le quali, ad esempio, la dichiarazione fraudolenta, infedele o omessa;
l’omesso versamento; l’indebita compensazione; nonché la sottrazione fraudolenta al paga-
mento di imposte.
(72) Cfr. Cass., sez. un., 2 luglio 2008, n. 26654. Nello stesso senso, si veda la sen-
tenza Angelucci, Cass., sez. II, 29 marzo 2012, n. 11808.
(73) Cfr. Cass., 26 gennaio 2012, n. 3238.
(74) Condizione questa comune a tutte le ipotesi di confisca di cui all’art. 322-ter
del codice penale.
PARTE SECONDA 195
il profitto (o il prezzo) del reato presupposto, può procedersi alla confisca dei
beni per un valore corrispondente a quello del detto profitto di cui il reo ab-
bia la disponibilità.
Sin da subito, risulta evidente l’importanza del concetto di disponibilità
del bene per poter essere aggredito da una misura di tale incisività.
Orbene, su tale locuzione, si richiama la pregevole giurisprudenza di
Cassazione, la quale dal 1991 ritiene che il concetto di disponibilità non pos-
sa essere limitato esclusivamente alla sola proprietà della cosa suscettibile di
confisca, dovendo essere esteso, per contro, ai diritti di garanzia (75). In tal
senso, la Corte ha sostenuto l’insufficienza della mera intestazione di un bene
a un terzo per configurarne l’estraneità, nel caso in cui precisi elementi di
fatto consentano di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che nella
realtà sia l’autore dell’illecito ad averne la sostanziale disponibilità agendo
questi uti dominus (76).
Se le espressioni usate dal legislatore salvo che appartengano a persona
estranea al reato e beni, di cui il reo ha la disponibilità, sono da considerarsi
sostanzialmente complementari alla finalità di escludere che la misura ablati-
va, data la sua natura di prelievo pubblico a compensazione di guadagni ille-
citi, dunque eminentemente sanzionatoria, possa incidere su soggetti estra-
nei (77), è stato, non di meno, altrettanto correttamente osservato come la
confisca per equivalente possa operare nei confronti dei beni del soggetto at-
tivo-persona fisica anche laddove questi abbia agito in nome e per conto di
una persona giuridica che abbia, poi, per intero acquisito il profitto derivante
dalla sua condotta illecita (78).
In altri termini, i concetti di disponibilità o di appartenenza (79) devono
essere riferiti a tutte quelle situazioni giuridiche, anche minori rispetto alla
proprietà, che permettono il godimento pieno dei beni (80). Sul tema, dun-
que, i giudici di legittimità hanno concluso che nelle ipotesi in cui la titolarità
formale dei beni non faccia capo al soggetto sottoposto all’indagine, il giudi-
ce deve accertare con un rigoroso metodo probatorio, che la titolarità formale
sia simulata e che l’indagato abbia piena ed autonoma disponibilità dei beni
medesimi (81).
Pertanto, per quel che concerne i beni aggredibili con la misura ablativa
in commento e la loro riconducibilità al concetto di disponibilità, occorre,
con le dovute eccezione di cui si parlerà nel prosieguo, che essi non siano
appartenenti a soggetti terzi rispetto a quello condannato (82).
non ne abbia tratto in alcun modo profitto (Corte cost., 19 gennaio 1987, n. 2), offrendo,
così, un inequivoco spunto a favore della tesi secondo cui non può reputarsi estranea al
reato la persona che abbia ricavato un utile dalla condotta illecita del reo, come si verifica,
appunto, qualora sulle cose che rappresentano il «provento» del reato sia stato costituito il
diritto di pegno a garanzia di un proprio credito.
(78) Cfr. Cass., sez. II pen., 14 giugno 2006, n. 31989. Tale aspetto risulta partico-
larmente rilevante in materia di reati tributari ove si consideri che, soprattutto nei casi di
maggiore rilevanza, il soggetto attivo del reato agisce (solitamente) non in proprio, ma
quale rappresentante di una società in favore della quale ha conseguito l’evasione dell’im-
posta.
(79) Sono state, in dottrina, elaborate elaborato diverse interpretazioni relativamente
alla nozione di appartenenza, argomento questo caratterizzato da una più o meno ampia
estensione di tale concetto. Da un lato, si può collocare un’interpretazione restrittiva, se-
condo la quale per appartenenza nel diritto penale si intende il diritto di proprietà, per cui
soltanto il diritto di proprietà è suscettibile di confisca; dall’altro, tale nozione veniva qua-
lificata alla stregua della concezione elaborata dalla dottrina privatistica, ovvero nel senso
di titolarità di un diritto avente per oggetto un bene. Secondo tale seconda interpretazione,
infatti, una rigida applicazione della nozione di appartenenza potrebbe portare ad escludere
la possibilità di confisca ogni qual volta sulla cosa confiscata esistesse un qualsiasi diritto,
avente per oggetto la cosa, appartenente a persona estranea al reato. Cfr. G. Lozzi, L’ap-
partenenza nel diritto penale, in Rivista italiana di diritto e proc.p. penale, 1958, 720; non-
ché F. Chiarotti, Appartenenza, in Enc. p. del dir., Milano, 702 ss., in cui l’Autore sostiene
che poiché secondo la dottrina privatistica per appartenenza s’intende la titolarità di un
diritto avente per oggetto un bene, appare chiara la corrispondenza della nozione privati-
stica e di quella sussunta dal diritto penale per quanto riguarda le norme cennate. In giu-
risprudenza, con sentenza di Cass., 12 maggio 1987, si è identificato il concetto di apparte-
nenza con il diritto di proprietà, per cui la confisca di beni di proprietà del condannato, ma
su cui gravano diritti di terzi, non è inconciliabile con il rispetto di questi ultimi che conti-
nuano ad esistere ed operare dopo la confisca.
(80) Cfr. Cass., 30 gennaio 1991, n. 2688, in cui i giudici ha chiarito che la semplice
intestazione ad un terzo extraneus di un bene utilizzato per realizzare il reato non è suffi-
ciente per escluderne la confiscabilità, sempre che, ovviamente si disponga di elementi pro-
batori tali da far fondatamente ritenere che l’intestazione sia fittizia ed il soggetto ne abbia
la sostanziale disponibilità.
(81) Cfr. Cass., sez. II pen., 13 maggio 1996, n. 1632.
(82) Sul tema dei confini della misura della confisca, si vedano le sentenze del 2009
nn. 49437, 16725 e 36095, le quali hanno escluso la possibilità di sostituire i beni su cui si
PARTE SECONDA 197
era appuntata la misura del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente
con una fideiussione bancaria. Si è affermato che il contratto in esame dà luogo ad una
mera obbligazione di pagamento futura ed incerta che come tale non è idonea ad assumere
i caratteri della misura cautelare che colpisce un bene già in sequestro. La garanzia perso-
nale non è infatti immediatamente convertibile in un bene di valore corrispondente al pro-
vento del reato. La finalità del sequestro per equivalente è anche disincentivante perché se
è vero che il profitto del reato è il movente per cui lo si commette, è altrettanto conforme a
giustizia che il reo venga privato subito di esso e non solo al termine del processo con la
confisca. Se si ammettesse la sostituzione con una fideiussione bancaria la finalità deterren-
te sopra indicata verrebbe inevitabilmente ed irreparabilmente vanificata in quanto il patri-
monio del reo verrebbe a restare invariato. E poiché la misura in esame ha anche funzioni
punitivo-repressive se si ammettesse la praticabilità della soluzione in esame il delinquente
conserverebbe intatti i mezzi utili per riprendere le attività criminali. Senza contare che nei
fatti si autorizzerebbe la prassi di far scontare la sanzione ad un soggetto estraneo quale
l’istituto bancario. Si veda, inoltre, la sentenza 15 giugno 2012, n. 23811, la quale, invece,
stabilisce la sequestrabilità dei beni conferiti dall’autore di un reato che consente la confi-
sca per equivalente in un fondo patrimoniale sul presupposto che con questo istituto si vin-
cola solo la destinazione dei beni del conferente ma non si determina la privazione della
disponibilità. Da ultimo, si veda, la Corte di Cassazione, sentenza 6 dicembre 2012, n.
45353, la quale ha riconosciuto che l’accesso fruttuoso allo scudo fiscale (d.l. n. 78 del
2009) non è ostativo in termini pregiudiziali alla confisca per equivalente. Tale sentenza si
esprime affermando che il decreto citato non contiene alcuna clausola generica ed onni-
comprensiva di non punibilità per il contribuente che ha pagato l’imposta straordinaria sulle
attività detenute illecitamente all’estero. Non punibilità che opera solo se si riesca a dimo-
strare l’esistenza di un legame diretto tra i reati tributari commessi e le somme oggetto di
rimpatrio, sia la sussistenza di quei determinati reati legati alle condotte illecite oggetto
dello scudo.
(83) Nello stesso senso, si veda la più recente sentenza della Corte di Cassazione n.
35970 del 2010. inoltre, in tema di rapporti coniugali, si veda, Cass., sez. II pen., 24 otto-
bre 2012, n. 41412, per la quale non sussiste alcuna tutela per i conviventi dopo il decesso
del partner assegnatario dell’alloggio popolare. In particolare, l’immobile va sequestrato e
l’assenza di un’altra soluzione abitativa per il superstite non integra neppure una scriminan-
te per il caso in cui continui a viverci, configurandosi comunque un’occupazione abusiva
dell’appartamento. La Cassazione, ha confermato, dunque, la misura del sequestro preventi-
vo di una casa popolare abitata da una donna di 33 anni che dopo la morte del compagno
vi era rimasta a vivere, non avendo altre possibilità.
(84) Non rientra però in tale categoria, il capitale sociale nominale, quale cifra che
esprime il valore in denaro dei conferimenti dei soci, che rimane immutato fino a quando
ne venga deciso l’aumento o la riduzione, ovvero la società in sé e per sé, quale autonomo
soggetto di diritto rispetto ai soci, salvo che questi non abbiano – nell’ambito di un rappor-
to organico che li lega alla società e quali diretti autori del reato – realizzato la condotta
198 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
Rispetto, inoltre, ai diritti di garanzia di cui il reo sia titolare, attivo ov-
vero passivo, si tratta invece, di volta in volta, di valutare se le norme civili-
stiche applicabili ai singoli rapporti consentano o meno di individuare in capo
al reo, sempre in una prospettiva di sostanza, la disponibilità dei relativi beni,
tenendo comunque presente che la giurisprudenza con sentenza di Cassazione
n. 3117, del 1991, poc’anzi accennata, ha esteso da tempo il concetto di ap-
partenenza anche ai diritti di garanzia (85).
Nel caso di costituzione di un trust (86), la giurisprudenza ha, in primo
luogo, ritenuto che, qualora il trust sia stato costituito con lo scopo deviato di
sottrarre i beni alle pretese dei creditori, i relativi beni possano essere riporta-
ti nel patrimonio del debitore disponente, attraverso la dichiarazione giudizia-
le di nullità dell’istituto, e quindi fatti ritornare nella sua disponibilità (87).
Più di recente e con specifico riguardo all’applicazione al trust dell’isti-
tuto in esame, la Cassazione con sentenza 30 marzo 2011, n. 13276, ha affer-
mato il principio secondo cui la confisca per equivalente, in materia di reati
fiscali ed altro di carattere transnazionale, ed il connesso sequestro preventi-
vo, sono applicabili anche ad un trust considerato nullo («sham trust») per il
fatto che il trustee era la stessa persona successivamente indagata per i reati
in questione. Il punto di riferimento normativo è costituito dalla formula «de-
naro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta
persona fisica o giuridica, per un valore corrispondente» ... (art. 11 della l.
16 marzo 2006, n. 146) (88).
criminosa. Sul tema, si veda, Cass., sez. II pen., 10 gennaio 2007, n. 316; Cass., sez. I
pen., 27 ottobre 2009, n. 42894; nonché Cass., sez. II pen., 23 settembre 2010, n. 34505.
(85) Cfr. Cass., sez. I pen., 25 luglio 1991, n. 3117.
(86) A far data dalla l. 16 ottobre 1989, n. 364, di ratifica della Convenzione del-
l’Aja del 1o luglio 1985 in materia, sono riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust, il
quale rappresenta un negozio attraverso il quale determinati beni vengono posti sotto il
controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato, formando
così un patrimonio separato o di scopo. Per un approfondimento si rinvia a M. Lupoi, Isti-
tuzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008; dello stesso Autore
si segnala, Trusts, 2a ed., Milano, 2001; nonché La reazione dell’ordinamento di fronte a
trust elusivi, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 333 ss.; inoltre si segnala il contributo di
F. Gallo, Trusts, interposizione ed elusione fiscale, in Rass. trib., 1996, 1043 ss.; A. Di
Amato, Profili di possibile rilevanza penale del trust, in Trusts e attività fiduciarie, n. 4 del
2005; dello stesso Autore, Beni in trust e sequestro penale, in Trusts e attività fiduciarie,
2000, 334 ss.; G. Del Sasso, Osservazioni in tema di limiti penali agli atti di disposizione
patrimoniale, in Trusts e attività fiduciarie, 2005, 500. Per un’esauriente disamina giuri-
sprudenziale si rinvia alla banca dati dell’Associazione www.il-trust-in-italia.it.
(87) Cfr. Cass., sez. VI pen., 23 novembre 2004, n. 48708.
(88) Cfr. Cass., sez. V pen., 30 marzo 2011, n. 13276. Anche in tale sentenza infatti,
ciò che appare evidente, come detto, è che, con specifico riferimento ai reati tributari, la con-
fisca per equivalente ha, come ricordato dalla VI Sezione penale della Suprema Corte nella
sent. n. 13098 del 2009, la funzione di ripristinare l’ordine finanziario dello Stato leso dal-
l’illecito tributario. In tal senso si veda anche Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28724.
PARTE SECONDA 199
(89) In tal senso, risulta interessante rilevare che la soluzione all’apparenza privile-
giata dalla dottrina e dalla giurisprudenza penalistiche, influenzata dal riconoscimento della
natura essenzialmente sanzionatoria della misura ablativa in questione (pena accessoria di
carattere pecuniario), è quella di applicare il principio solidaristico proprio del concorso di
persone nel reato, al fine di legittimare la confisca dell’intera entità del profitto o di un va-
lore equivalente nei confronti di uno qualsiasi dei concorrenti, a prescindere dalla effettiva
percezione da parte del correo di una utilità patrimoniale derivante dal reato. È stato evi-
denziato, però, in maniera condivisibile, che una tale applicazione della confisca risulta for-
temente in contrasto con i principi di buon senso, di giustizia, di colpevolezza e di propor-
zionalità della pena. Pertanto, gli orientamenti in contrasto con tale tesi sono stati accolti
positivamente da una parte della dottrina, in quanto volti ad evitare l’iniquità di una scelta
del correo nei confronti del quale disporre la confisca, basata semplicemente sulla capienza
del suo patrimonio e la facilità di aggredirlo, piuttosto che sul suo effettivo arricchimento a
seguito della condotta delittuosa. Sul tema, si veda, R. Romanelli, Confisca per equivalente
e concorso di persone nel reato, in Diritto penale e processo, 2008, 871 ss. e 876, secondo
il quale convince l’affermazione che la parte di profitto o di prezzo del reato effettivamente
incamerata dal concorrente diventa il parametro di applicazione della misura ablativa,
escludendo che si possa aggredire indiscriminatamente il patrimonio di derivazione piena-
mente lecita di uno qualunque dei correi, sulla base di un criterio di preferenza determina-
to esclusivamente dall’esistenza, o dalla più facile raggiungibilità, di tale patrimonio, poi-
ché ciò determina, all’atto pratico, semplicemente la punizione del correo meno accorto che
non si era preoccupato, contrariamente agli altri, di occultare adeguatamente il proprio
patrimonio. Nello stesso senso, si veda, P. Balducci, La confisca per equivalente: aspetti
problematici e prospettive applicative, in Diritto penale e processo, 2011, 233, il quale ag-
giunge che non può certo ammettersi che si affermi una prassi volta alla facile realizzazio-
ne degli scopi recuperativi della misura, al di fuori di un qualsivoglia sistema di tutela del
reo.
(90) Cfr. Cass., 15 settembre 2006, n. 30729. In dottrina, si veda, sul tema, T. Epi-
dendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, Padova,
2011, 159 ss.
(91) Cfr. Cass., 23 giugno 2006, n. 25877.
(92) Cfr. in tal senso, Cass., 30 luglio 2007, n. 30966, secondo cui, inoltre, il richia-
mato criterio subirebbe un’eccezione nell’ipotesi in cui sarebbe impossibile determinare le
singole quote. In tal caso, le due misure reali riguarderebbero l’intero prezzo o profitto del
reato, fermo restando la necessità di rispettare i canoni della solidarietà interna tra i concor-
200 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
(98) Cfr. Cass., sez. III pen., 25 febbraio 2010, n. 12580. Per affermare invece che al
Giudice della cautela compete solo l’onere di fissare l’importo complessivo del sequestro e
non l’individuazione dei singoli beni e del loro valore la Corte si avvale dell’argomento
letterale della formulazione dell’art. 1, 143o comma della l. n. 244 del 2007 e della circo-
stanza che ove sia il Pubblico ministero a compiere tali operazioni il diritto di difesa è as-
sicurato perché la parte privata ha a disposizione un sistema di controlli giurisdizionali (ri-
chieste di restituzione, esame del Giudice per le indagini preliminari in caso di rigetto, ap-
pello al Tribunale) che esclude qualsiasi arbitrio.
202 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
dello Stato nel passivo del fallimento per ottenere le somme dovute a titolo di
tributi è nei termini della irrilevanza.
Tuttavia, di maggiore impatto sulla questione oggetto di rassegna appare
il forte interessamento dei supremi giudici al tema della natura giuridica della
confisca per equivalente, e dunque alla possibilità di applicare il principio so-
lidaristico. In tal modo la Corte delimita i limiti della sequestrabilità dei beni
personali degli amministratori e dei concorrenti, affermando che il sequestro
preventivo funzionale alla confisca per equivalente, a differenza di quello or-
dinario previsto dall’art. 321 c.p.p., è uno strumento anticipatorio della tutela
prevista dalla confisca di una somma corrispondente al danno arrecato alla
cosa pubblica e non è vietato dalla legge aggredire anche i beni personali
degli indagati (99).
In riferimento al principio solidaristico, peraltro, è detto che il sequestro
preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferen-
temente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accer-
tato col solo limite dell’ammontare complessivo e senza duplicazioni (100).
Peraltro, le pronunce poc’anzi analizzate non sono esenti da critiche.
Occorre, infatti, premettere che se la confisca per equivalente fosse una
misura di sicurezza la si potrebbe applicare solo al soggetto che ha effettiva-
mente la disponibilità della utilità patrimoniale proveniente dal reato; poiché,
però, la giurisprudenza di legittimità è concorde e consolidata nell’attribuirgli
natura sanzionatoria e funzione ripristinatoria nella fase delle indagini preli-
minari è applicabile con pienezza il principio solidaristico che espone il cor-
reo a subire per intero le conseguenze economiche del sequestro.
Il carattere personale della responsabilità penale riprenderà invece tutto il
suo vigore riespandendosi nella fase della adozione della confisca per equiva-
lente che si colloca al termine del giudizio condotto nel rispetto del contrad-
dittorio. In questa fase varrà il principio proporzionalistico, come spiegato
nelle sentenze della Corte di Cassazione n. 10690 del 2009 e n. 35120 del
2007, ed il concorrente potrà pretendere una motivazione specifica sull’am-
montare della quota di profitto illecito che ha tratto dal reato pena la illegitti-
mità della confisca.
In questo quadro non si può negare che durante le indagini preliminari la
parte pubblica ha la possibilità di aggredire indiscriminatamente i beni di uno
qualunque dei coindagati sul mero presupposto che il suo patrimonio è più
accessibile rispetto a quello degli altri correi. È evidente, allora, come viene
sottoposto a tensione il principio della personalità della responsabilità penale
dandosi prevalenza a ragioni di mera effettività dell’intervento anticipatorio
della ablazione che spiega i suoi effetti, in ultima analisi, su quello degli au-
tori che non si è preoccupato di occultare il proprio patrimonio.
Sul tema, da ultimo si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n.
42120 del 2012, la quale ha sottolineato come possono essere sequestrati per
(99) Ciò era conforme a legge nel caso specifico perché non era stato fornito alcun
elemento decisivo per affermare che i vantaggi del reato tributario fossero stati goduti dalla
sola società ed anzi era plausibile l’ipotesi accusatoria secondo cui le somme indebitamente
compensate fossero confluite in fondi neri a disposizione dell’amministratore e del socio
indagati.
(100) Si tratta di un principio di diritto più volte affermato in passato come si evince
dalla lettura delle argomentazioni delle sentenze n. 10810 del 2010, ricorrente Perrottelli e
n. 25890 del 2010 ricorrente Molon.
PARTE SECONDA 203
(106) Cfr. Cass., sez. III pen., ord. 12 aprile 2012, n. 13982, ai sensi della quale, in-
fatti, un commercialista era ritenuto il dominus di numerose società che avevano emesso le
fatture per operazioni inesistenti a vantaggio di una società di cui il medesimo professioni-
sta curava gli adempimenti contabili e dichiarativi.
(107) In senso contrario, si veda Cass., 20 settembre 2012, n. 36050, la quale rical-
cando un orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ha ribadito in primo luogo
che, in tema di reati commessi nell’interesse della persona giuridica, il sequestro preventivo
funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona fisica non richiede, per la
sua legittimità, la preventiva escussione del patrimonio dell’ente. A tale principio la Cassa-
zione ha apportato un ulteriore contributo interpretativo, chiarendo che la confisca per equi-
valente può riguardare anche beni che non hanno alcun collegamento diretto con il singolo
reato. La motivazione di tale pronuncia è da ricercarsi nella ratio della misura cautelare,
che è quella di privare il responsabile di un qualunque beneficio economico derivante dal-
l’attività criminosa anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella
convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i
tratti distintivi di una vera e propria sanzione.
PARTE SECONDA 205
(110) Da ultimo, si veda, Cass., sez. III pen., 4 luglio 2012, n. 25774.
(111) Sulla responsabilità da reato degli enti si possono vedere, senza alcuna pretesa
di esaustività, G. Marinucci, La responsabilità penale delle persone giuridiche - Uno schiz-
zo storico dogmatico, in Riv. it. dir. proc. p. pen., 2007, 1192; A. Bassi - T. Epidendio,
Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006, passim; F. Sgubbi, Gruppo societario e re-
sponsabilità delle persona giuridiche ai sensi del decreto 231/2001, in Res. amm. soc.p. e
enti, Torino, 2006, 7; L.D. Cerqua, La responsabilità amministrativa degli enti collettivi:
principi generali e prime applicazioni giurisprudenziali, ivi, 2006, 149; A. Rossi (a cura
di), I reati societari, Torino, 2005, 510 ss.; S. Vinciguerra - M. Ceresa Gastaldo - A. Ros-
si, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse, Padova, 2004, pas-
sim; S. Gennai - A. Traversi, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi di-
pendenti da reato: commento al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2001, passim.
PARTE SECONDA 207
(112) Cfr. su tutte, Cass., sez. II pen., 14 giugno 2006, n. 31989; Cass., 20 settembre
2007, n. 38599; Cass., 21 febbraio 2007, n. 9786; Cass., 20 dicembre 2006, n. 10838; non-
ché Cass., 6 luglio 2006, n. 30729.
(113) Si veda, Cass., sez. VI pen., 8 maggio 2009, n. 19764 e Cass., sez. VI pen., 30
giugno 2009, n. 26661.
208 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
(114) Cfr. Cass. sez. V pen., 1o aprile 2004, n. 15445, secondo la quale la Corte Su-
prema ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art.
322-ter del codice penale, eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all’art. 316-
ter del codice penale (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), per l’intero
importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite fossero
state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio so-
lidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazio-
ne dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e
comporta solidarietà nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente riveste preminente
carattere sanzionatorio e può interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità
del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che co-
stituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale.
(115) Cfr. Cass., sez. III pen., 19 luglio 2011, n. 28731.
(116) In particolare, quest’ultimo aveva integrato la condotta di occultamento o di-
struzione di documenti contabili prevista dall’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ren-
dendo così impossibile la ricostruzione del reddito della società. L’autorità giudiziaria ave-
va pertanto disposto il sequestro preventivo prodromico alla confisca per equivalente su be-
ni del legale rappresentante e su beni della società, nell’interesse della quale sarebbe stato
commesso il reato. A seguito di istanza di riesame, il Tribunale aveva convalidato la misu-
ra cautelare, sostenendo che la società non poteva dirsi terza estranea al fatto e che quanto
pervenutole rappresentava il profitto dell’illecito realizzato dall’amministratore. Essa pre-
sentava infine ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di rigetto del riesame; tuttavia, in
sede di legittimità veniva confermata la tesi del Tribunale: il reato è addebitabile alla per-
sona fisica, ma le conseguenze patrimoniali dello stesso ricadono inevitabilmente sulla so-
PARTE SECONDA 209
cietà, la quale ha potuto avvantaggiarsi del profitto scaturente dall’occultamento delle scrit-
ture contabili; per il solo fatto di aver conseguito tale indebito profitto, è legittimo procede-
re con il sequestro preventivo ex art. 321, 2o comma, c.p.p., a prescindere dall’accertamen-
to di responsabilità dell’ente ex d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. Cfr. A. Traversi, Confisca sui
beni sociali per il reato tributario contestato al legale rappresentante, in Corr. trib., 2011,
2884; dello stesso A., Confisca sui beni sociali per il reato tributario contestato al rappre-
sentante legale, in Corr. trib., 2011, 2884; nonché P. Corso, Valido il sequestro preventivo
sui beni dell’ente anche in assenza di responsabilità amministrativa, ivi, 2011, 3205.
(117) In tal senso, si veda, A. Vannini, Il coinvolgimento dell’ente nell’illecito pena-
le-tributario in assenza del reato presupposto, in GT - Riv. giur. trib., 2011, 944 ss.
(118) Ai sensi dell’art. 5, del d.lgs. n. 231 del 2001, l’ente è responsabile per i reati
commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappre-
sentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa do-
tata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fat-
to, la gestione e il controllo dello stesso (1o comma, lett. a) ovvero da persone sottoposte
alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a) (1o comma, lett. b).
210 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
soggetti apicali o subordinati della persona giuridica ai sensi del d.lgs. n. 231
del 2001 (119).
Se, infatti, il contribuente-persona fisica commette un delitto tributario,
egli subirà la misura della confisca, eventualmente anche, per equivalente,
mentre tale eventualità non è contemplata nell’ipotesi di divergenza tra autore
del fatto criminoso ed effettivo beneficiario del profitto dell’illecito, non ri-
sultando possibile colpire il patrimonio del fruitore dell’evasione fiscale.
A ben vedere, infatti, quanto detto sembra rispondere ad una scelta poli-
tico-criminale del tutto discutibile. È fisiologico, infatti, che gli adempimenti
tributari di maggiore spessore e consistenza, quali sono quelli che onerano le
organizzazioni complesse strutturate in forma societaria e, spesso, di gruppo,
concretizzano ben precise scelte di politiche di impresa cui conseguono van-
taggi indebiti soprattutto per l’ente.
Ora, in tale contesto, proprio considerando la specificità della materia,
sembra quindi irragionevole escludere la confisca (anche) per equivalente nei
confronti delle società, cioè dei contribuenti che, producendo ricchezze signi-
ficative, rappresentano i protagonisti principali del rapporto tributario e, al
contrario, affatto riduttivo punire il solo autore-persona fisica.
Pur rimanendo, quindi, il modello di responsabilità amministrativa degli
enti derivante da reato, di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, ad oggi, il mezzo più
adatto a costituire una efficace barriera di contrasto alla perpetrazione di cri-
mini finalizzati all’ottenimento di benefici economici degli enti nel cui inte-
resse e vantaggio abbiano agito gli organi in posizione apicale (o abbiano
omesso il controllo sull’agire dei dipendenti) (120), esso, seguendo il tenore
letterale della norma che non contempla i reati tributari tra quelli «presuppo-
sti», non dovrebbe trovare applicazione nell’ambito degli illeciti tributari.
In un contesto in cui la logica del profitto nell’interesse dell’ente è strut-
turale alla condotta posta in essere dall’autore materiale del reato, sì che de-
vono ravvisarsi nella loro massima estensione le ragioni per cui è stato adot-
tato il sistema della responsabilità degli enti. In pratica, innanzi a una feno-
menologia criminosa intimamente connessa a dinamiche societarie e/o com-
merciali, quale è quella dei delitti tributari, la prospettiva non dovrebbe che
essere quella di azzerare il vantaggio economico patrimoniale incamerato da
quella figura di contribuente-persona giuridica che, per mezzo dei propri or-
gani, ha commesso l’illecito fiscale.
Si tratta, evidentemente, di una posizione che, correttamente, è stata re-
spinta dalla Suprema Corte che ha osservato, in più occasioni, come il delitto
di frode fiscale si ponga in rapporto di specialità con la truffa aggravata ai
danni dello Stato di cui all’art. 640, 2o comma, n. 1, del codice penale e che,
quindi, in questo contesto, l’assorbimento di quest’ultimo reato in quello di
frode fiscale non consente di applicare la confisca per equivalente non previ-
(119) Si veda, in tal senso, Cass., 4 luglio 2012, n. 25774, la quale esclude l’applica-
bilità della misura della confisca per equivalente sui beni dell’ente, in caso di reati tributari
posti in essere dal rappresentante legale della società nell’interesse della stessa. Tali fattis-
pecie, infatti, continua la Corte, non rientrano tra i reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231
del 2001, a meno che tuttavia la società non rappresenti un mero apparato fittizio, utilizzato
dal reo proprio per porre in essere i reati di frode fiscale o altri illeciti.
(120) Tale disincentivo si sostanzia anche in una duplice previsione sanzionatoria te-
sa da un lato a privare l’ente beneficiario dei profitti illecitamente accumulati e dall’altro
ad interdirne, attraverso misure di diversa gradazione, l’illecita prosecuzione.
PARTE SECONDA 211
(121) In tal senso, si vedano, Cass., sez. II pen., 6 febbraio 2007, n. 5656, ricorrente
Perrozzi; nonché Cass., sez. II pen., 23 novembre 2006, n. 40226, ricorrente Bellavista.
(122) Cfr. Cass., sez. VI pen., 10 settembre 2012, n. 34505, la quale, in particolare,
ha chiarito che le misure interdittive e reali del d.lgs. n. 231 sono poste sullo stesso piano
perché sono destinate ad anticipare l’applicazione di sanzioni principali e obbligatorie,
sanzioni subordinate all’accertamento della responsabilità dell’ente. Di conseguenza, in
questa materia un controllo dei presupposti del sequestro limitato alla sola sussumibilità
della fattispecie concreta nell’ipotesi delittuosa individuata dal pubblico ministero appare
del tutto inadeguato proprio in quanto la misura cautelare è diretta ad anticipare gli effetti
di una sanzione principale. Nel caso di specie, i Giudici rilevano come il Tribunale di
Monza si sia limitato a compiere l’accertamento del fumus delicti in base al criterio del-
l’astratta sussumibilità della fattispecie concreta in quella legale; pertanto, la Corte annulla
l’ordinanza che aveva approvato il sequestro di circa 14 milioni nei confronti della Codelfa
Spa nell’ambito delle indagini sugli appalti della Milano Serravalle, e rinvia la questione al
tribunale che dovrà ora accertare l’esistenza dei gravi indizi.
212 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
(123) Si veda, in tal senso, Cass., sez. III pen., 9 gennaio 2004, n. 1830, ricorrente
Andrisano; nonché Cass., sez. I pen., 21 gennaio 2005, n. 1927, ricorrente Ambrono.
(124) Sui concetti di interesse e vantaggio, e la loro interazione, si rinvia a D. Puli-
tanò, La responsabilità da reato degli enti: i criteri di imputazione, in Riv. it. dir. proc.
pen., 2002, 424; A. Manna, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche:
il punto di vista del penalista, in Cass. pen., 2003, 1114, i quali vedono nell’espressione
impiegata dal legislatore un’endiadi, vale a dire una figura rafforzativa dello stesso signifi-
cato. Propendono invece per una netta distinzione fra i due termini M. Pellissero, La re-
sponsabilità degli enti, in F. Antolisei (a cura di C.F. Grosso), Manuale di diritto penale.
Leggi complementari, Milano, 2007, 863 ss.; A. Bassi - T. Epidendio, Enti e responsabilità
da reato, Milano, 2006, 163 ss.; S. Vinciguerra, La struttura dell’illecito, in S. Vinciguerra
- M. Ceresa Gastaldo - A. Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo
interesse, Padova, 2004, 23.
(125) Nei fatti, Cass., sez. III pen., 7 giugno 2011, n. 28731, si è pronunciata circa
la legittimità del decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente
sui beni dell’amministratore della società di capitali Burlando e sui beni dello stesso ente
ipotizzando il delitto di frode fiscale commessa mediante occultamento e distruzione della
PARTE SECONDA 213
contabilità. Il provvedimento del G.i.p. era motivato osservando che i beni dell’ente erano
suscettibili di sequestro in quanto il profitto dell’illecito commesso dall’amministratore era
confluito nel patrimonio della società. Quest’ultima, pertanto, non poteva invocare la pro-
pria qualità di persona estranea al reato. La Burlando, dunque, ricorreva in Cassazione av-
verso il provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame argomentando che la responsabilità
delle persone giuridiche prevista dal d.lgs. n. 231 del 2001 per i reati commessi a loro van-
taggio dagli amministratori non si estende ai reati tributari. Il rinvio che la l. n. 244 del
2007 ha compiuto all’art. 322-ter c.p. deve essere interpretato in senso restrittivo ed in con-
formità ai principi costituzionali e di diritto comunitario per evitare che una persona giuri-
dica sia colpita nel patrimonio da misure sanzionatorie non previste dalla legge e senza
possibilità di difesa. Si contestava infine che l’indagato non aveva la disponibilità dei beni
societari e che il vincolo su questi ultimi di fatto impediva il pagamento dell’imposta eva-
sa.
(126) Ciò è tanto vero che difficilmente si potrebbe trovare una ragione giuridica
adeguata per impedire all’ente ed ai soci di costituirsi parte civile nei confronti dell’ammi-
nistratore processato per reati fiscali ove ravvisassero profili di colpa penale dello stesso
senza che ricorra il caso della rottura del rapporto di immedesimazione organica.
214 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
gs. n. 231 del 2001 citato, ha stabilito la non confiscabilità dei beni dell’ente
con evidente violazione dei principi della personalità della responsabilità pe-
nale e di legalità, peraltro costituzionalmente garantiti ex artt. 25 e 27.
Quanto rilevato, dunque, rifletta assai bene quella tensione tra legalità ed
effettività che costituisce il filo conduttore del presente lavoro. Peraltro, la
Corte di Cassazione, con due interessanti pronunciamenti entrambi del 29
agosto 2012, ha avuto modo di dare seguito alla tendenza poc’anzi presenta-
ta (127).
Con la prima pronuncia, infatti, la Corte ha definitivamente sancito, am-
pliandoli a dismisura, i parametri delimitativi della misura in questione, rico-
noscendo che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente ex articolo
322-ter c.p., a differenza del sequestro preventivo di cui all’articolo 321, 2o
comma, c.p.p., ha ad oggetto l’equivalente del profitto del reato, e quindi an-
che cose di terzi estranei che non hanno rapporti con la pericolosità indivi-
duale del soggetto e non sono collegate con il singolo reato, purché la loro
disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato stesso.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione 29 agosto 2012, n.
33354, fa riferimento, nei fatti, ad un rappresentante legale pro-tempore di
società a responsabilità limitata, indagato, nella sua qualità, del reato previsto
dall’articolo 3, d.lgs. n. 74 del 2000, al quale veniva comminata la misura del
sequestro per equivalente per una somma pari ad euro 2.339.000,00 che costi-
tuiva il profitto del reato corrispondente all’illecito risparmio d’imposta (128).
Pertanto, si contestava che le società erano prive di contabilità, e gli ammini-
stratori formalmente risultanti erano semplici prestanome i quali, dietro corre-
sponsione di compensi, avevano simulato false cessioni intracomunitarie delle
merci (c.d. frode carosello), non assoggettandole a iva (129).
I giudici, tuttavia, hanno sostenuto il principio che ... il «periculum»
coincide con la confiscabilità del bene... (130). La Corte ha, infatti, precisato
(127) Cfr. Cass., ord. 29 agosto 2012, n. 33354, e Cass., 29 agosto 2012, n. 33385.
(128) In particolare, il rappresentante legale della società veniva indagato per evasio-
ne iva, nonché per falsificazione del contenuto delle scritture contabili obbligatorie attraver-
so l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento dell’imposta (in parti-
colare facendo figurare fittizie cessioni di beni all’estero in esenzione iva). Lo stesso inda-
gato, a parere dei giudici di prime cure, indicava nelle dichiarazioni annuali elementi attivi
soggetti a tassazione per un ammontare inferiore a quello effettivo, evadendo l’iva per gli
anni di imposta da 2005 a 2008.
(129) Operazioni ritenute false in quanto, dalla documentazione acquisita (falsi docu-
menti di trasporto e fatture per operazioni inesistenti emesse da cartiere), emergeva che no-
nostante le società avessero dichiarato di aver ceduto i beni in regime intracomunitario, in
realtà gli stessi beni non erano mai usciti dal territorio nazionale.
(130) La Corte, tuttavia, per giungere a tale soluzione ripercorre tutta la storia della
materia e le relative pronunce giurisprudenziali che hanno condotto alla sua definizione e
delimitazione. Per i reati tributari, ricordano i Giudici, la possibilità di procedere a seque-
stro per equivalente nelle fattispecie nelle quali non è possibile individuare il profitto deri-
vante dalla condotta criminosa, consente al giudice di merito di quantificare l’illecito ri-
sparmio di imposte dovute e non pagate e di vincolare un valore equivalente a quello sot-
tratto all’erario. (Cfr. Cass., n. 23811 del 2012) Per la natura di risparmio propria della
condotta evasiva, infatti, non è richiesto il nesso di pertinenzialità tra bene e reato; nesso
che, invece, deve sussistere nel sequestro ordinario ex articolo 321, 2o comma, codice pro-
cedura penale, essendo presupposto in defettibile per il provvedimento ablativo ordinario
ma non essendo, invece, richiesto dal legislatore penale per la misura sanzionatoria (cfr.
Cass., n. 26654 del 2008). Quest’ultima, infatti, persegue finalità dissuasiva e disincenti-
PARTE SECONDA 215
(134) Per quel che riguarda poi l’individuazione dei connotati tipici dell’amministra-
tore di fatto, secondo una consolidata concezione penalistica, questi deve essere identificato
con quel soggetto che eserciti in concreto le mansioni proprie dei legali rappresentanti; tra
queste ultime possono indicarsi in via esemplificativa: il controllo della gestione della so-
cietà sotto il profilo contabile e amministrativo, l’organizzazione interna ed esterna della
stessa, le formulazioni di programmi, la selezione delle scelte e l’emanazione delle necessa-
rie direttive. Cfr. Cass., sez. V pen., 12 novembre 1991, n. 1154.
(135) Relativamente a questa sentenza interessanti i commenti di F. Fontana, L’am-
ministratore di fatto risponde dell’omessa dichiarazione, in Corr. trib., 2011, 2622 e di M.
Giua - P. Mazzariello - R. Vallino, Responsabilità dell’amministratore di fatto e del presta-
nome nei reati tributari, in Fisco, 2011, 1, 2834.
(136) Nello stesso senso, si veda numerosa giurisprudenza di legittimità in materia di
reati fallimentari, tra le quali, su tutte, sent. n. 15065 del 2011, n. 39593 del 2011 e n.
7203 del 2008. Cfr. G. Marra, Legalità ed effettività delle norme penali. La responsabilità
dell’amministratore di fatto, Torino, 2002; O. Di Giovine, L’estensione delle qualifiche
soggettive (art. 2639 c.c.), in A. Giarda - S. Seminara, I nuovi reati societari: diritto e pro-
cesso, Padova, 2002, 32.
(137) Quanto detto al fine di confutare la tesi della Corte di Cassazione, 10 maggio
2012, n. 17485.
(138) Si veda, inoltre, la recente sentenza della Corte di Cassazione, 4 ottobre 2012,
n. 38740, la quale, nell’ottica speranzosa di fornire una pronuncia favorevole al principio di
legalità, ha precisato che nel caso di omesso versamento di ritenute operate e non versate,
il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di beni del
rappresentante legale della società, è legittimo nella misura in cui non sia possibile aggre-
PARTE SECONDA 217
dire i beni del l’impresa che ha tratto beneficio dalla condotta illecita. Nei fatti, una società
ometteva il versamento di ritenute operate oltre la soglia di rilevanza penale. Dell’omissio-
ne non beneficiava il rappresentante legale, dell’impresa atteso che le somme restavano al-
l’interno della società. Il sequestro dei beni del rappresentante legale era bocciato dal
G.i.p., il quale evidenziava che l’amministratore non aveva tratto beneficio dal reato conte-
stato e, non essendovi responsabilità a norma del d.lgs. n. 231 del 2001, non si poteva ag-
gredire i beni dell’impresa. Il Tribunale del riesame, disponeva invece il sequestro che però
è stato annullato dalla Cassazione. Secondo i giudici di legittimità, prima di procedere sui
beni dell’amministratore occorreva verificare che, presso la società, non fosse possibile
analoga misura atteso che il beneficio dell’illecito era riconducibile all’impresa e non al
rappresentante legale.
(139) Tale modifica risponde ad un’esigenza di rigore anche alla luce dell’indeboli-
mento che tale statuto normativo ha subito a seguito dell’entrata in vigore della l. 5 dicem-
bre 2005, n. 251 (c.p.d. Legge Cirielli), che ha determinato l’abbassamento del termine di
prescrizione per i reati fiscali più gravi, a fronte di accertamenti di evasione d’imposta che
avvengono solitamente a distanza di anni dai fatti. Per interessanti spunti di riflessione sul-
l’istituto della confisca per equivalente in materia tributaria alla luce delle novità introdotte
dalla c.p.d. Manovra di Ferragosto: C. Di Gregorio, Illeciti tributari e misure ablatorie: al-
cune questioni pratiche, in Fisco, 2011, 1, 6043 ss.; A. Iorio, Reati tributari: attenuanti,
patteggiamento e condizionale, in Corr. trib., 2011, 3357; I. Caraccioli, Inasprimento delle
sanzioni penali e raddoppio dei termini per l’accertamento, in Corr. trib., 2012, 1068;
nonché dello stesso A., Modifiche ai reati tributari nel giudizio del massimario della Cas-
sazione, in Guida ai controlli fiscali, del 1o novembre 2011, 17.
(140) Mediante la l. n. 148 del 2011, in particolare, a parte il patteggiamento sulla
pena, sono state apportate al d.lgs. n. 74 del 2000 le seguenti innovazioni:
– per i reati in materia di fatture per operazioni inesistenti di cui agli artt. 2 e 8 del
d.lgs. n. 74 del 2000, è stata abrogata la circostanza attenuante prevista nel caso l’ammon-
tare degli elementi passivi fittizi fosse inferiore ad euro 154.937,07, per cui ora, nel caso di
utilizzazione in dichiarazione e di emissione di fatture ed altri documenti per operazioni
inesistenti, si deve sempre partire dalla pena base di anni uno e mesi sei di reclusione (sal-
va la possibile applicazione dell’attenuante comune di cui all’art. 62, n. 4, c.p.): a seguito
di tale modifica il settore delle c.d. fatture false diventa quindi particolarmente repressivo e
218 DIRITTO E PRATICA TRIBUTARIA N. 1/2013
foriero di preoccupazioni (si pensi soprattutto alle fatturazioni infragruppo, non fondate su
operazioni reali, ma destinate esclusivamente a spostare ricavi da una ad altra società; per
non parlare delle fatture che, senza riprodurre tutti i requisiti dell’art. 21 del d.p.r. n. 633
del 1972, si limitano a fare riferimento ad un contratto di spese di regia od altri servizi non
meglio identificati;
– sono state fortemente ridotte le soglie di punibilità previste per i reati di dichiara-
zione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione, di
cui agli artt. 3, 4 e 5, del d.lgs. n. 74 del 2000: rispettivamente 30.000 e 50.000 per le so-
glie relative all’imposta evasa; un milione e due milioni per le soglie relative ai componen-
ti positivi di reddito sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passi-
vi fittizi;
– la sospensione condizionale della pena (per i reati di cui agli artt. da 2 a 10, del
d.lgs. n. 74 del 2000) non trova più applicazione quando l’ammontare dell’imposta evasa è
superiore al 30 per cento del volume d’affari ed a tre milioni di euro, e questo anche se si
tratta di indagati incensurati;
– in caso di risarcimento del danno, anche mediante ricorso alle procedure di defla-
zione del contenzioso tributario, quale accertamento per adesione e simili, è prevista la ri-
duzione della pena principale solo fino ad un terzo;
– i termini di prescrizione dei reati di cui agli artt. da 2 a 10, del d.lgs. n. 74 del
2000 sono elevati di un terzo.
Sul punto, si veda, su tutti, A. Iorio - S. Mecca, Prescrizione dei reati tributari: tutte
le novità introdotte con la Manovra di Ferragosto, in Fisco, 2011, 2, 6240.
(141) Si veda, il comma 2-bis, dell’art. 13, del d.lgs. n. 74 del 2000, con cui viene
sancito che il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento in sede penale deve
estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto e corrispondere le relative
sanzioni (art. 2, comma 36-vicies semel, lettera m), del d.l. n. 138 del 2011).
(142) Cfr. S. Sanvito, Le manovre fiscali estive e le sanzioni penali, in Fisco, 2011,
1, 6370.
(143) L’attenuante di cui all’art. 13, del d.lgs. n. 74 del 2000 diventa condicio sine
qua non per il patteggiamento, così che è ragionevolmente da presumere un netto ridimen-
sionamento dell’utilizzabilità di detto rito premiale.
PARTE SECONDA 219
difiche, le sanzioni previste per i delitti tributari erano diminuite fino alla me-
tà e non si applicavano le pene accessorie previste se, prima della dichiara-
zione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai
fatti costitutivi dei delitti venissero estinti mediante pagamento, anche a se-
guito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento pre-
viste dalle norme tributarie (144).
Con le modifiche di cui sopra viene viceversa previsto che la diminuzio-
ne delle pene, una volta estinto il debito tributario, non è più fino alla metà
ma solo fino ad un terzo. Ne consegue che, sotto il profilo penale, almeno da
questo punto di vista, è meno conveniente pagare quanto contestato dal Fisco.
Tuttavia, se il contribuente vuole ottenere il patteggiamento, egli deve obbli-
gatoriamente estinguere il debito e quindi far ricorso alla citata procedura.
In sostanza il contribuente per poter beneficiare del patteggiamento ha
l’obbligo di estinguere ai fini fiscali il debito tributario costituente delitto an-
che, come si è detto, eventualmente ricorrendo alle procedure conciliative vi-
genti nell’ordinamento tributario e corrispondere le sanzioni tributarie nono-
stante, per il principio di specialità, potrebbero non trovare applicazione.
Va da sé che, accedendo ad una delle procedure di adesione o conciliati-
ve, l’irrogazione delle sanzioni avverrà comunque in via ridotta a seconda
delle regole tributarie relative allo strumento adottato.
Circa dunque la possibilità di ridurre le pene e usufruire degli altri bene-
fici di cui si è detto occorre evidenziare che questa disposizione non appare
di facile realizzabilità, in quanto, nonostante miri ad incentivare meccanismi
di ristoro del danno erariale derivante da evasione, deve comunque confron-
tarsi con gli effetti derivanti dalla misura cautelare della confisca per equiva-
lente (145).
È ormai frequente infatti il ricorso da parte delle Procure della Repubbli-
ca di richiedere al G.i.p., nella fase delle indagini preliminari, il sequestro
preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con la conseguente obiet-
tiva impossibilità di disporre di somme necessarie per usufruire delle atte-
nuanti e quindi anche del patteggiamento. Tale meccanismo, dunque, non fa
che concretizzare una vera ed effettiva duplicazione del tributo proveniente
da una doppia sanzione, l’una relativa al patteggiamento stesso e l’altra rela-
tiva alla misura della confisca.
Potrebbe accadere, infatti, che lo stesso contribuente risulti destinatario
di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di talché
se egli volesse definire con un patteggiamento la propria posizione, sarebbe
costretto ad un ulteriore esborso costituito appunto dal pagamento del debito
tributario, in assenza di una norma che preveda la restituzione di quanto se-
questrato, necessitando quindi di almeno il doppio del profitto da reato even-
tualmente ottenuto.
Se dunque il contribuente volesse risarcire l’Erario in vista di un patteg-
giamento e, tuttavia, gli unici beni nella sua disponibilità fossero stati seque-
strati in via preventiva ai fini di una confisca per equivalente, comunque non
(146) Sul tema, si veda, Cass., sez. III pen., 11 marzo 2011, n. 10120, in merito alla
possibile illegittimità costituzionale degli artt. 322-ter c.p. e 143, 1o comma, della l. 24 di-
cembre 2007, n. 244, sotto il profilo della violazione del principio di legalità e della dupli-
cità della sanzione. La confisca obbligatoria per equivalente costituisce, infatti, una sanzio-
ne penale e, qualora il danno erariale venisse meno a seguito del pagamento delle imposte
evase, si determinerebbe il contestuale operare di due sanzioni per il medesimo illecito.
(147) Cfr. Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, Relazione III/13/2011
del 20 settembre 2011.
(148) Si veda, ad esempio, il caso dell’emissione di fatture false e dell’occultamento
di contabilità, per cui mal si comprende in questo caso cosa possa fare (e quindi quale de-
bito debba estinguere) il contribuente che intende beneficiare del patteggiamento.
PARTE SECONDA 221
6. – Conclusioni
(149) Tale visione utopistica, infatti, si arresta di fronte al dato impietoso fornito dal-
lo stato della giustizia tributaria italiana, specialmente per ciò che concerne i tempi. Dalla
relazione ministeriale per il 2010 si ricava che le commissioni provinciali sono riuscite a
definire solo 270.000 ricorsi sui 290.000 iscritti a ruolo per quell’anno e che l’ammontare
totale dell’arretrato delle sole commissioni provinciali era di 596.708 ricorsi.