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TRAMA wikipedia

Questo breve romanzo fu scritto da Tolstoj tra il 1856 e il 1859, anni di grande crisi morale
e spirituale, aggravata dalla morte del fratello Nikolaj.
Qui Tolstoj decide di scrivere il suo primo vero romanzo in senso stretto, anche se,
naturalmente, il suo pensiero è del tutto evidente e traspare dalle scelte che via via vengono
fatte per caratterizzare i personaggi o per dare una direzione alla vicenda. Ambientato nel
mondo dell’aristocrazia, il romanzo è la narrazione in parallelo delle vite e degli amori di
un gruppo di personaggi legati tra loro da vincoli di parentela e amicizia.

Così mette in scena diverse felicità coniugali: quella conformista (Kitty sposa felicemente
Levin e non si fa domande); quella ipocrita (Dolly subisce in silenzio i tradimenti di Stiva e
fa finta di niente); quella rivoluzionaria (Anna che lascia marito e figlio per stare con un
altro). È come se, tratteggiando queste forme diverse di rapporti di forza, lo scrittore stesse
raccontando una società in fibrillazione, prossima all’esplosione che avverrà nei primi anni
del Novecento. I due amori Anna/Vronskij e Levin/Kitty sono i perni attorno ai quali è
costruita la trama del romanzo: alla passione extraconiugale dei primi, che prosegue
nonostante l’opposizione della società e le minacce di Karenin, Tolstoj contrappone l’amore
puro, pazientemente perseguito dei secondi. Al contrario, l’amore tra Anna e Vronskij vive
sotto continue minacce: da quelle di Karenin, che a un certo punto vorrebbe impedire a
Anna di vedere il figlio e rifiuta il divorzio, a quelle di una società ipocrita che condanna la
relazione extraconiugale a un gelosia che diventa sempre più lacerante e che spingerà Anna
al suicidio, in una delle scene madri della letteratura europea: alla stazione di Mosca, la
donna si getta infatti sotto un treno. Ma non è una felicità sdolcinata, passionale e
scontata: è una felicità legata alla semplicità della vita in campagna, a continue
meditazioni, ai confronti con le difficoltà e, anche, alla volontà di Levin (Tolstoj) di
diventare migliore, di mettersi sempre in discussione e di autocriticarsi.

Anna sembra apparentemente raggiante di felicità, ma in realtà Karenin, di diversi anni


più vecchio, è stato quasi obbligato a sposarla, e verso la moglie mostra solo una distaccata
ironia. Dunque non si tratta di rapporto felice, e nondimeno vi è tra i due una relazione
serena, basata su rispetto e confidenza.
La passione-Eros modifica la realtà circostante al suo sguardo: le orecchie del marito,
invero, erano sempre state così sporgenti, oppure è lei che improvvisamente, pensando a
Vronskij, le trova ripugnanti? Persino quando rivede il figlio, il suo entusiasmo si spegne e
lei è assalita dalla delusione. Tutto ciò che prima costituiva il suo regno della tranquillità
e della serenità, improvvisamente le diventa odioso, insopportabile.
Anna va al di là della propria morale: piena d’angoscia, di sensi di colpa e di ossessioni,
Anna condanna se stessa nel momento stesso in cui si innamora e in qualche modo si
perde. Mentre scrive il romanzo, invece, è ancora diviso tra la vita semplice perseguita da
Levin e il tumulto che agita Anna: nella figura di Anna si intravvede Tolstoj mentre cerca
di "commettere adulterio contro il proprio mondo, staccandosene e imparando a vederlo
con occhi nuovi".condannare Anna, perciò, è per Tolstoj un modo per autoaccusarsi e
mettersi alla prova. Sulla fine di Anna Tolstoj può edificare il trionfo di Levin, ossia dare
vita alla propria parte positiva e piena di fede. E tuttavia, Tolstoj non risolverà mai questo
conflitto.

La sua colpa vera non è di aver tradito il marito, ma di cercare di mantenere vivo un amore
di tipo esclusivo. Anna nella sua ansia di vita ha conosciuto l’assoluto, e non è più disposta
a far sì che la sua relazione rientri nei ranghi di un normale amore di tipo coniugale, cosa
che invece cerca di fare Vronskij, nel legalizzare la loro unione. Anna infatti vuole
mantenere vivo l’amore senza bisogno di vincoli istituzionali come il matrimonio, che
renderebbe la sua relazione un obbligo e non una scelta. L’amore per lei deve reggersi solo
sull’affetto reciproco, senza bisogno di aiuti esterni: infatti nel momento in cui chiede il
divorzio e capisce che il marito probabilmente non lo concederà, sente che la sua relazione
con l’amante non è più libera, ed è invece diventata una costrizione.
In realtà, Anna Karenina parla dell’unico reale problema dell’uomo. Oggi come due secoli
fa: Come può perdurare l’amore? Tutto quello che occupa le nostre vite, dai problemi
politici alle piccole incombenze di tutti i giorni, non è altro che una via molto lunga per
capire come amare ed essere amati.
Anna dunque è di questa stirpe, e non ha scampo: le sue sofferenze e il suo suicidio sono
il castigo divino per l’adulterio che ha consumato con il giovane Vrònskij, abbandonando
non soltanto il marito ma anche il figlio, e dando lungo scandalo nell’alta società
pietroburghese – di cui prima della colpa, Anna era stata un fiore ammiratissimo. L’alta
società, dal canto suo, ha punito Anna con il disprezzo e l’emarginazione, ma
illegittimamente: poiché non tocca agli uomini punire, ma a Dio soltanto, a quel terribile
Dio veterotestamentario che fa vendetta e retribuisce, e non conosce il perdono.
Incipit:

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.”
In casa Oblonski tutto era sottosopra. La moglie aveva scoperto una relazione amorosa del
marito con una francese che era stata istitutrice in casa loro, qualche tempo prima, e gli
aveva dichiarato che non poteva più vivere con lui sotto lo stesso tetto. Questa situazione
durava da due giorni e si faceva sentire in modo penoso, tanto dai due coniugi quanto dagli
altri membri della famiglia e sinanche dal personale di servizio. Tutti provavano
l'impressione che la loro vita in comune non avesse più senso e che l'unione della famiglia
e dei familiari di casa Oblonski fosse più effimera di quella delle persone che si trovavano
casualmente riunite in qualsiasi albergo. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito
era sempre fuori; i bambini correvano per la casa abbandonati a se stessi; l'istitutrice
inglese aveva litigato con la governante e aveva scritto a un'amica pregandole di trovarle
un altro posto; la sguattera e il cocchiere si erano licenziati.

RIASSUNTO

nel corso del ballo a casa degli Oblonsky. Sarà la famiglia di Anna a diventare "infelice" ed
i rapporti con il marito saranno sempre più conflittuali, fino alla rottura. Ma anche la
nuova famiglia di Anna con Vronski, il sogno romantico di un nuovo amore, è destinata a
finire con una conclusione tragica: il suicidio di Anna con la scena del treno che si riallaccia
a quella, all'inizio del romanzo, quando Anna, arrivata alla stazione di Mosca, assiste alla
morte di una persona sotto le ruote del treno
C'è, tuttavia, una famiglia felice: quella di Levin e di Kitty, che, alla fine, coroneranno il
loro sogno d'amore.

“Avrebbe voluto sollevarsi, gettarsi da un lato; ma qualcosa di enorme, d’inesorabile, la


urtò alla testa e la trascinò per la schiena. “Signore, perdonami tutto!” proferì, sentendo
che era impossibile lottare”

TRAMA
Il romanzo Anna Karenina si apre con la descrizione del personaggio Stiva (Stepan
Oblonskij), un ufficiale russo che ha tradito per l’ennesima volta la moglie Dolly ( Darja
Aleksandrovna). Proprio per convincere Dolly a perdonare il marito, parte alla volta di
Mosca Anna Karenina, sorella di Stepan. Nel frattempo altri eventi si intrecciano con le
vicende principali: un amico di Stepan, il possidente terriero Levin, si reca a Mosca per
chiedere la mano della sorella minore di Dolly, Kitty, la quale in realtà aspetta una proposta
di matrimonio dall'ufficiale russo Aleksej Vronskij, del quale è innamorata. Questi non
vuole però sposarsi, finché non incontra Anna Karenina nei pressi della stazione di Mosca.
È attraverso lo sguardo di lui che Anna viene vista per la prima volta: in quel breve sguardo
riuscì a notare una vivacità contenuta che guizzava sul viso e si librava fra gli occhi scintillanti […] come se ci
fosse in lei qualcosa che sovrabbondava, che riempiva talmente il suo essere da esprimersi al di fuori della
sua volontà, ora nello scintillio degli occhi, ora nel sorriso. Il futuro amante di Anna, è colpito e attratto
soprattutto dagli occhi grigi di lei, enigmatici, irresistibili, che conferiscono una luce particolare a tutta la sua
figura. Anna però è anche una donna molto bella, i cui modi disinvolti e gentili conquistano chiunque le stia
intorno. Il fatto che sia a Mosca per mediare una riconciliazione tra il fratello e la cognata, gioca inoltre a suo
favore: è una donna buona, che cerca di aiutare, per quanto possibile, le persone che le sono vicine. Tutto
in lei sembra felicità e serenità, ma ben presto alcune spie mettono in dubbio quest’idea.
La principessa Kitty, che subito si innamora di lei, nota infatti che “solo negli occhi c’era
un’espressione seria e a volte triste, che [la] colpì”. Non solo: quando Dolly le dice “tu sei raggiante di felicità”
lei risponde con un “sì” quasi pensoso, dubbioso, essendo seguito da una sospensione. Inoltre non molto
tempo dopo, sarà lei stessa a confessare a Dolly di avere i suoi “skeletons” nell’anima, e aggiungerà anche
che sono tetri. Che il suo non sia un matrimonio d’amore viene detto in seguito: Karenin, di
diversi anni più vecchio, è stato quasi obbligato a sposarla, e verso la moglie mostra solo
una distaccata ironia. Dunque non si tratta di rapporto felice, e nondimeno vi è tra i due
una relazione serena, basata su rispetto e confidenza. Si può quindi concludere che
probabilmente prima dell’incontro con Vronskij, nemmeno Anna riesce bene a definire cosa
manchi nella sua vita, cosa ella desideri, e si accontenta della tranquillità del suo
matrimonio e dell’amore per suo figlio Serëza.
Il suo viaggio a Mosca paradossalmente sarà all’origine della rovina della sua: l’incontro
con Vronskij giunge inatteso, inaspettato, e anche per questo ciò che ne deriva è tanto più
sconvolgente. Anna prova un’attrazione irresistibile per quell’uomo, e al tempo stesso si
rende conto esserci qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo guarda e nel modo in cui lui
la guarda. Eppure per un breve momento, durante il ballo, assapora l’ebbrezza di essere
desiderata, solo però fino a quando si renderà conto che la sua felicità sta causando
l’infelicità di Kitty. Perciò Anna, scoperte le attenzioni amorose di Vronskij, decide di
tornare a San Pietroburgo dal marito e dal figlio.
Per diverso tempo Anna cerca di resistere a quest’amore, che sa bene essere sbagliato in
quanto adultero, ma l’Eros-passione li travolge. Non è un caso infatti che nel delirio dopo
il parto, quando rischia di morire, Anna dica al marito: “in me c’è un’altra, io ne ho paura: lei s’è
innamorata di lui, e io volevo odiarti e non potevo dimenticare quella che c’era prima”. La passione-Eros
modifica la realtà circostante al suo sguardo: le orecchie del marito, invero, erano sempre
state così sporgenti, oppure è lei che improvvisamente, pensando a Vronskij, le trova
ripugnanti? Persino quando rivede il figlio, il suo entusiasmo si spegne e lei è assalita dalla
delusione. Tutto ciò che prima costituiva il suo regno della tranquillità e della serenità,
improvvisamente le diventa odioso, insopportabile.
Anna comincia così a cambiare mentre lentamente conosce l’amore: la sua postura si fa più morbida, e il suo
sorriso e la vitalità nei suoi occhi sono più accesi. Presto stringe con Vronskij una relazione amorosa,
rimanendo anche incinta, nonostante provi vergogna per la sua colpa. Quando poi scopre il
tradimento, dopo la caduta da cavallo di Vronskij, Karenin le propone la condizione inaccettabile
di fare come se nulla fosse accaduto: ma lei non può né lasciare Vronskij, né tantomeno tornare alla vita di
prima.

Kitty, essendo venuta a conoscenza della relazione tra i due, decide così di partire per la
Germania. Karenin non riesce a digerire il tradimento della moglie con Vronskij, decidendo
quindi di non concederle la separazione. L'uomo inoltre chiede ad Anna di mantenere la
sua relazione con l'ufficiale clandestina, altrimenti non avrebbe più potuto vedere il figlio
Sereza. Karenin decide di rinunciare al divorzio nel momento in cui scopre che Anna sta
morendo di parto, perdonando anche Vronskij. Le condizioni della donna però migliorano
e dopo vari eventi, i due amanti decidono di partire per l'Europa, senza che Karenin abbia
concesso il divorzio alla moglie. Sullo sfondo, Levin e Kitty si innamorano, si fidanzano e
infine si sposano. Kitty e Levin, infatti, si sposano e conducono una vita serena: in Levin
Tolstoj adombra se stesso. Egli è l’uomo – a dire il vero un po’ noioso – per il quale la vita
si svolge secondo il suggerimento della natura e lontana dalle lusinghe del progresso e che,
alla fine del libro, grazie a una vita semplice condotta a stretto contatto con il mondo
contadino, troverà anche la fede. Dal romanzo si ricavano indizi del pensiero Tolstojano:
la donna vista principalmente come moglie e madre, la concezione di una vita a contatto
con la natura, la vera felicità che consiste nel rifuggire la vita in città, la mondanità, la
gioia del vivere in campagna.

Nel frattempo, non riuscendo a trovare persone amiche che siano in grado di accettare la
loro relazione, Anna e Vronskij decidono di fare ritorno in Russia. Nel frattempo Karenin
stringe una relazione con Lydia Ivanovna, donna che gli consiglia di non fare vedere il figlio
a sua madre. Pima di ripartire per la campagna in compagnia di Vronskij però Anna riesce
comunque a vedere il figlio che la credeva morta.

La relazione tra Anna e Vronskij diventa più complessa in seguito alla gelosia eccessiva
della donna. La coppia decide di tornare in campagna, ma Anna, in preda a uno status di
confusione mentale, si suicida buttandosi sotto un treno.
Il libro si conclude con la narrazione delle vicende avvenute dopo la morte di Anna
Karenina: Vronskij parte con l'esercito russo per aiutare i rivoltosi serbi contro i turchi,
Stepan riesce a svolgere il lavoro sognato, Karenin invece prende in custodia la figlia di
Anna e Vronskij.

TRAMA
D’altra parte Karenin, dopo l’abbandono della moglie, tornerà ben presto ad essere l’uomo mediocre che era
in precedenza e Vronskij rinnega il proprio tentativo di suicidio come un gesto insensato e irrazionale:
nonostante l’intervento di Anna un vero cambiamento è impossibile, ma questo lei lo scoprirà solo molto
dopo. Vronskij non possiede la sua profondità, e non può sostenere un’esistenza votata esclusivamente alla
donna amata: perciò è inevitabile che pian piano la sua passione si raffreddi. Con tutto ciò nel suo percorso
verso la rovina l’eroina di Tolstoj sembra avere tutte le giustificazioni del caso: non ama suo marito, e se
apparentemente ha tutto (posizione sociale, ricchezza e l’amore del figlio), le manca l’unica cosa che la sua
anima desidera, ossia una vita piena; oltre a questo la società la rinnega senza possibilità di appello,
nonostante nella Russia del tempo le relazioni extraconiugali come la sua fossero all’ordine del giorno. La sua
colpa vera non è di aver tradito il marito, ma di cercare di mantenere vivo un amore di tipo esclusivo. Anna
nella sua ansia di vita ha conosciuto l’assoluto, e non è più disposta a far sì che la sua relazione rientri nei
ranghi di un normale amore di tipo coniugale, cosa che invece cerca di fare Vronskij, il quale vuole legalizzare
la loro unione. Ciò forse spiega il suo ostinato rifiuto al divorzio, rifiuto che a prima vista appare
incomprensibile: Anna infatti vuole mantenere vivo l’amore senza bisogno di vincoli istituzionali come il
matrimonio, che renderebbe la sua relazione un obbligo e non una scelta. L’amore per lei deve reggersi solo
sull’affetto reciproco, senza bisogno di aiuti esterni: infatti nel momento in cui chiede il divorzio e capisce
che il marito probabilmente non lo concederà, sente che la sua relazione con l’amante non è più libera, ed è
invece diventata una costrizione. Da qui trae impulso anche il peggiorare della sua nevrosi, in cui la
sensazione che Vronskij non voglia più stare con lei si unisce alla gelosia. Sembra pertanto ingiusta
l’affermazione di Zazzo, che ritiene Anna un’egocentrica poiché rifiuterebbe il divorzio solo per crogiolarsi
nel suo stato di reietta, che inoltre amerebbe suo figlio solo in quanto sua appendice, e che infine vorrebbe
impedire a Vronskij di uscire dalla sfera del suo controllo per riaffermare se stesso. L’inconscio ha un ruolo
rilevante nel percorso di Anna. I suoi sogni riflettono le sue paure e i suoi desideri inconsci, e contribuiscono
anche ad impedirle di ragionare lucidamente sulle sue angosce. Un sogno ricorrente è quello di un contadino
con la barba arruffata che lei trova nella sua stanza e che chino rimesta in un sacco pronunciando delle parole
in francese: “il faut le battre le fer, le broyer, le pètrir” (occorre battere il ferro pestarlo, impastarlo”). Un
altro sogno è quello in cui lei vede sé stessa vivere felicemente con Vronskij e Karenin, entrambi suoi mariti.
Questi sogni, apparentemente innocui, sono invece per lei degli incubi, che le fanno sentire più viva la propria
colpa, e assumono il valore di presagi di morte. Il rapporto tra Anna e il suo amante, che prima di vivere
insieme era tanto stretto da raggiungere addirittura la sfera dell’inconscio (il sogno del contadino passerà
infatti a lui con alcune modifiche), dal momento in cui possono stare insieme, inevitabilmente comincia a
deteriorarsi. Anche il periodo in Italia, in cui lei si sente “imperdonabilmente felice” è già costellato di ombre:
Anna è infatti cosciente che Vronskij, il quale ha rinunciato alla vita militare, in cui era cresciuto e si era
sempre trovato a suo agio, è insoddisfatto della sua nuova vita e si affanna a cercare nuovi stimoli. Anna
invece non ha bisogno di altro che di lui e del suo amore: dopotutto per lui ha perso tutto ciò che aveva. Anna
appare tanto più giustificabile rispetto alla mediocrità di Vronskij, in quanto è lei la vera rinnegata dalla
società: per lui al loro ritorno le porte pian piano si aprono di nuovo, ma non è lo stesso per lei. A ben vedere,
però questo totale rifiuto suona strano. Come già accennato, nel bel mondo russo le relazioni del tipo di Anna
e Vronskij erano piuttosto diffuse e accettate: non solo nella famiglia di Tolstoj c’erano esempi di convivenze
adultere o comunque fuori dal matrimonio, ma anche all’interno dello stesso romanzo diversi personaggi che
condannano inderogabilmente la protagonista non sono affatto esenti da critiche. Tralasciando l’esempio di
Betsy, che rifiuta di ricevere Anna finché questa non ha divorziato, il caso più eclatante è proprio la madre di
Vronskij, che definisce Anna cattiva in tutto e per tutto, una donna perduta, quando lei stessa durante la sua
vita ha avuto diverse relazioni. La totale chiusura verso Anna della madre del suo innamorato si spiega con il
fatto che, consapevolmente o meno, la giovane donna sfida le convenienze sociali: di esse conosce l’ipocrisia,
la falsità e le mette in luce, le smaschera e non le accetta. Lei fa qualcosa che molti altri hanno fatto prima di
lei, ma lo fa a modo suo, e quindi la società, che tutto tollera purché avvenga dentro i propri confini, non può
accettare che vengano infrante le proprie regole. Anna si trova pertanto in una condizione di completo
isolamento, che non le permette di avere nulla al di fuori del suo amore. Si crea una sorta di corte fittizia,
dove regnano il lusso e l’eleganza, in cui cerca di dimenticare il suo stato, e in cui socchiude gli occhi per
scacciare i brutti pensieri. Apparentemente è serena e gaia, ma ancora una volta i sogni tornano a
tormentarla nella notte con tutto ciò che di irrisolto e doloroso c’è nella sua vita. Per sfuggire agli incubi
comincia ad assumere morfina e oppio, che forse, in prosieguo di tempo contribuiranno ad aumentare
l’eccitabilità della sua condizione. In aggiunta non riesce nemmeno ad amare sua figlia, preferendole invece
una bambina non sua, ed è paradossale che lei riversi tutto il suo affetto sul figlio avuto dal marito e non
riesca invece ad averne per la bimba avuta dall’uomo amato. Tuttavia, a ben guardare ciò è spiegabile: la
figlia dopotutto è il simbolo vivente della sua colpa e della sua vergogna, e inconsciamente lei sente che nulla
di buono può e deve venire dal suo rapporto adulterino. Oltretutto la passione come Eros è esclusiva, non
permette l’affetto per un altro oggetto. In realtà non si può dire di Anna che sia una cattiva madre: dopotutto
il suo amore per Serëza è profondo e sincero, e la consapevolezza della sua perdita è una delle ragioni della
sua sofferenza, dolore che però non condivide con Vronskij, e che egli del resto non potrebbe comprendere.
Tra i due la distanza cresce così rapidamente, causata dalla loro incapacità di comunicare che provoca
continue liti e incomprensioni. Anna ha bisogno d’amore, e al tempo stesso ha bisogno di esistere come
persona nella propria autonomia. Tuttavia il rapporto che si è instaurato con Vronskij, che ha perso lo slancio
passionale iniziale, la pone in una condizione di subordinazione rispetto a lui, laddove lei invece cerca di avere
con ogni mezzo una sorta di simmetria, di parità: vuole la possibilità di autodeterminarsi (“se io potessi essere
qualcosa di più dell’amante avida sia pure solo di carezze … ma non posso e non voglio essere nient’altro”).
Percepisce che la relazione si sta appiattendo, assumendo sempre più le inquietanti sembianze di un normale
matrimonio, simile a quello con Karenin, in cui la donna ha solo il ruolo di moglie e madre, e in cui l’amore
assume un’importanza secondaria. È ciò che in effetti cerca di ottenere Vronskij, il quale vuole legalizzare la
loro relazione e farla entrare negli schemi della quotidianità, che a quel tempo implicava che il potere era
nelle mani dell’uomo (“non mi assoggetterò a lui, non gli permetterò di trattarmi come un bambino da
educare”). Anna sente l’ingiustizia di fondo di questa situazione, e vi si ribella, in maniera non programmatica,
ma istintiva, come l’azione di respirare. È però combattuta tra questa sua necessità, e il bisogno d’amore, che
le fa desiderare di lasciare le cose come stanno, come vengono. Ogni volta lei tradisce i suoi stessi propositi,
ma non riesce a comunicare ciò che effettivamente vuole: così accusa Vronskij di non amarla, e si infuria per
delle sciocchezze. Finisce così in un circolo vizioso, in cui la tensione emotiva, causata dalla perdita del figlio,
dalla vergogna sociale, e dalla coscienza dell’allontanamento di Vronskij, per cui, si ricordi, ha rinunciato a
tutto, cresce a dismisura, e si unisce a paure, dubbi e soprattutto alla gelosia: diviene una vera e propria
psicosi. Anna è passione, vitalità, ansia di vita e di assoluto, e perciò non può accettare le piccole gioie
quotidiane dell’amore, ma ha bisogno che questo bruci sempre con la stessa divorante intensità, rendendo
ogni giorno fuori dall’ordinario. Per questo motivo si contrappone a Kitty, che invece si omologa al canone
istituzionale, chiudendosi nel protetto ruolo di moglie e madre; si oppone a Dolly, che ha scelto di non lasciare
il marito e di dedicarsi ai figli; ma ancor più si oppone al personaggio di Levin, la cui etica del lavoro si pone
in una luce positiva in contrasto all’oscurità crescente della vita di lei. La rovina di Anna è inevitabile. Che lei
lo voglia o meno la forza della passione è così travolgente, da divenire insostenibile per qualunque essere:
Eros diviene Thanatos e rivela la sua potenza distruttiva. Anna presa da una sorta di delirio allucinatorio nelle
lunghe pagine in cui si lascia trasportare dal tranquillo incedere della carrozza, vede la realtà circostante
intrisa di orrore: tutto è odio e tutti odiano tutti. Si reca alla stazione, consapevole ora della verità profonda
della vita, dominata da un buio a cui non c’è scampo, ma ancora non ha deciso di buttarsi sotto il treno: il
suo suicidio non è premeditato, ed è invece il risultato di una decisione improvvisa. Solo quando vede, o
crede di vedere, il contadino del suo incubo, allora e solo allora si ricorda dell’altro uomo, quello che era
morto sotto il treno il giorno del suo primo incontro con Vronskij e che lei stessa aveva percepito come un
presagio funesto. Improvvisamente sa cosa deve fare: il mondo è odio, l’amore assoluto è un’illusione, e la
forza della passione rivela il suo lato distruttivo. Per uscire dal circolo vizioso della vita in cui è precipitata,
per liberarsi, di se stessa, e di tutti, si getta sotto il treno e in quel momento, un istante prima di morire,
qualcosa le balena davanti agli occhi, una consapevolezza che si spegne insieme a lei, e di cui nemmeno
Tolstoj conosce il significato. La storia di Anna sembra essere quella di una donna su cui incombe un destino
ineluttabile, che le toglie ogni vera volontà d’azione, impossessandosi di lei come una forza estranea, che la
conduce lentamente ma inesorabilmente al delirio e che la accompagna per mano fino al binario su cui lei,
per sfuggire all’insostenibilità della sua vita, decide di buttarsi.
Ma in questo lei è una donna debole, perché non riesce ad affrontare fino in fondo le conseguenze che
l’amore le impone, o è al contrario una donna forte e coraggiosa che squarcia il velo della falsità della sua
esistenza, che sfida le convenzioni sociali e l’istituzione matrimoniale, e che vuole essere di più di una
semplice moglie e madre? Le opinioni critiche divergono, e forse, come capita spesso, la verità è in entrambe
e in nessuna delle due affermazioni. Tuttavia, supportando l’ipotesi di un destino fatale e inesorabile, viene
da pensare che Anna mostri una forza inaspettata nel sopportare una forza così soverchiante, e anche che
una lotta del genere è totalmente impari: Anna non poteva vincere né contro la società del suo tempo, né
contro la forza dell’Eros. Accettare una passione tale poteva portare solo alla sconfitta. Tolstoj invece,
sebbene ritenga Anna colpevole di aver attentato alla sacralità del vincolo matrimoniale, non può fare a meno
di attribuirle ogni attenuante, facendo sì che il giudizio rimanga sospeso, delegato ad una presunta entità
superiore, che però nel libro è assente. Il momento in cui questo amore traspare con maggior evidenza è nei
diversi ritratti presenti nel libro, a cominciare da quello durante il ballo, visto attraverso gli occhi di Kitty:
indossava un abito nero di velluto, con la scollatura bassa, che scopriva le sue spalle piene e tornite, come
d’avorio antico, e il seno e le braccia rotonde dal minuscolo polso sottile. […] Kitty era innamorata di lei e non
riusciva a immaginarsela che in lilla. Ma ora, vedendola in nero, sentì che non ne aveva compreso tutto il
fascino. […] Neppure l’abito nero con le lussuose trine risaltava su di lei; era solamente una cornice, e risaltava
lei sola, semplice, naturale, elegante, e nel contempo gaia e animata. Anna possiede un fascino che incanta
persino Levin il quale non riesce a distogliere lo sguardo dal suo ritratto.

L’autore fin dalle prime righe ci ammonisce sul fatto che il suo scritto non è affatto sulla
felicità: “ogni famiglia è infelice a modo suo”. E infatti Anna interpreta tutto il dramma (non
la felicità) dell’amore con una scelta autodistruttiva, che sa benissimo quanto le costerà
cara. Dobbiamo davvero celebrare questo amore infelice perché tutti gli amori devono
essere infelici e dolorosi per essere tali? L’amore dunque è depressione e dolore? Dobbiamo
davvero illudere decine di ragazzine che quella è la traccia della libertà? Solo perché c’è
una buona dose di ribellione?
Non sono perplesso ma allibito perché nella versione sul giornale addirittura Anna segue
“la verità dell’amore”. E tutti quelli che vivono con semplicità e serenità altri amori, affetti
concreti, solidali. Quelli chi sono? Anna Karenina è perfino più grande di così, non le si
può ritagliare addosso questo cappottino romantico femminista.

PERSONAGGI
Personaggi:
Stepan (Stiva) Arkadic Oblonsky, ufficiale civile, marito di Dolly e fratello di Anna Darja
Konstantin, innamorato e poi marito di Katerina (Kitty) Aleksandrovna
Katerina, sorella di Darja (Dolly)
Sergej, fratellastro di Konstantin
Nikolajv, fratello di Konstantin e di Sergej
Anna Karenina, sposata con Aleksei Aleksandrovic Karenin
Aleksei Aleksandrovic Karenin, marito di Anna
Sereza, figlio di Anna Karenina e di Aleksei

Aleksej Kirillovic Vronskij, amante di Anna Karenina


Anna, figlia di Anna Karenina e di Aleksej Kirillovic Vronskij
Elizaveta (Betsy), amica di Anna, cugina di Aleksej Kirillovic Vronskij
Lidija Ivanovna, amica di Aleksei Aleksandrovic Karenin

Temi
Ipocrisia: l'adulterio è permesso, anzi accettato, purchè rimanga nascosto
Gelosia: presente in tutte le relazioni (Dolly/Stepan; Kitty/Levin; Anna/Vlonskj), ma è
nella coppia Anna/Vlonskij che assune aspetti distruttivi
Fede: al centro del personaggio di Levin, alter ego di Tolstoj
Fedeltà/Infedeltà: infedele e simpaticamente superficiale Stepan, infedele tragica, Anna
Karenina
Famiglia: 3 famiglie principali
Matrimonio: unico felice quello tra Levin e Kitty
Società russa: pranzi, balli, feste, cose di cavalli, affari
Agricoltura: contadini e politica agraria, possidenti terrieri.
Viaggi: viaggio in Italia e terme

Temi dell’amore senza regole, che infrange un vincolo sacro come il matrimonio; quello tra
Anna e il marito Aleskey Aleskandrovich, il tema della morte, molto forte, e dell’amore
fraterno disinteressato quello tra Dmitrich e il fratello konstantin, il tema dell’amore puro
tra Dimitrich e Kitty; il tema della famiglia che traspare nella vicenda familiare di Dolly e
Stiva (fratello di Anna) che tradisce la moglie e che viene perdonato pur di non stravolgere
l’equilibrio nella famiglia.

Anna Karenina: Donna dell'alta società di San Pietroburgo, sposata con Karenin, mostra
il suo lato passionale, decidendo di vivere clandestinamente e poi in maniera ufficiale la
sua relazione amorosa con Vronskij. Nel suo carattere si scorge anche una grande fragilità
interiore, manifesta nell'atto finale del suicidio. La sua passionalità è evidente anche nella
gelosia manifestata nei confronti del suo amante.

Aleksej Vronskij: Ufficiale dell'esercito russo che si innamora follemente della donna.
Personaggio non dotato di grande spessore morale, alla fine vive una crisi spirituale che
riesce a espiare e a superare solo sul campo di battaglia contro i turchi.
Karenin: Marito di Anna, uomo che incarna appieno le classi sociali dell'alta borghesia e
della nobiltà russa, volte a salvaguardare valori esteriori, come per esempio l'apparenza.
Levin: Il personaggio di Levin incarna le preoccupazioni di tipo sociale e filosofico tipiche
dell'Ottocento. Nonostante tutto il personaggio di Levin riesce a vivere con grande umiltà.
Luoghi della storia
Mosca e San Pietroburgo.

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