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28 novembre 2019 - 05:39 > Versione online

Prof a lezione di coding (per legge): ecco


perché è così importante impararlo
VAlentina Santarpia
Anche gli insegnanti dovranno andare a lezione di coding: lo prevede un emendamento approvato
dalle Commissioni cultura e lavoro della Camera al decreto scuola che oggi va in Aula. Il coding
è stato infatti inserito tra i «crediti» che dovranno acquisire i prof per poter partecipare sia al
concorso ordinario che straordinario. Si tratta dei 24 CFU in discipline pedagogiche e
metodologie didattiche che costituiscono titolo di accesso al concorso. A dover studiare coding
saranno tutti: anche gli insegnanti che non hanno a che fare con le materie scientifiche. «Si tratta
di una vera e propria rivoluzione nelle competenze richieste ai docenti – commentano Valentina
Aprea e Paolo Zangrillo, di Forza Italia, che hanno proposto l’emendamento -, mirata a superare
la criticità all’approccio del digital e a favorire l’innovazione didattica e metodologica per una
scuola che alleni al futuro e sia sempre più competitiva con le realtà internazionali». Ma, in
sostanza, a cosa serve imparare il coding, ovvero la programmazione informatica? Soprattutto a
chi non lavora con computer e numeri?
I corsi online gratuiti
«Non è appannaggio degli informatici: può essere trasposto in attività molto intuitive, che non
hanno prerequisiti, possono essere alla portata di tutti», spiega innanzitutto Alessandro Bogliolo,
ingegnere elettronico, docente di Architettura degli elaboratori all’università di Urbino e
coordinatore dell’European Code Week, ovvero l‘iniziativa europea per la diffusione del pensiero
computazionale. Bogliolo, molto prima che al governo si accorgessero dell’importanza del
coding, ha iniziato a fare divulgazione per gli insegnanti: «Dal 2016 ad oggi faccio corsi gratuiti
online aperti e gratuiti per insegnanti per spiegare loro questo genere di cose con metodi che
puntassero alla massima semplificazione nel rigore ma che abbattessero le barriere d’accesso».
La «scacchiera magica»
Ovvero? Bogliolo ha personalmente progettato e brevettato una straordinaria scacchiera che,
fisicamente, mostra a chiunque- dai bambini della scuola dell’infanzia agli studenti universitari-
come funziona il coding e soprattutto a cosa può servire: chi volesse comprarne la versione
«sofisticata» può acquistarla da Campus store, che ha accettato di investire in questo progetto
producendone una versione per le scuole o gli asili che vogliono un materiale a norma. Altrimenti
chiunque può stampare gratuitamente e usarla con i fogli di carta. Il primo corso che Bogliolo ha
messo online, Coding in your classroom now, ha creato una comunità di insegnanti di 33 mila
persone e un milione di bambini che praticano coding ed è diventato un insegnamento
universitario: «Anche gli studenti che fanno informatica studiano queste cose e non le trovano
banali», spiega Bogliolo. «Le attività che hanno una loro fisicità, una trasposizione in istruzioni di
movimento sono le più intuitive- aggiunge – Questo metodo è stato concepito per chi non ha
dotazioni particolari, come i robot, di sperimentare queste tecniche come metodologie didattiche
in classe». Ma come funziona? Basta posizionare qualsiasi oggetto o persona sulla scacchiera, e
poi provare a fare in modo che la «pedina» esegua delle istruzioni precise. Elaborare le istruzioni
con un codice preciso e verificare che abbiano esito positivo, significa mettere alla prova le
proprie capacità. Ma anche sbagliare è fondamentale: perché se ad esempio con le istruzioni
mando la pedina fuori gioco, saprò che devo modificare il mio programma. «Il programmatore
non si mette mai in cattedra, perché sa benissimo che la parte integrante del suo processo è fare
errori, identificarli e poi correggerli. Per cui anche quando l’insegnante propone di fare agli alunni
qualcosa usando il coding, deve mettersi dalla loro parte, perché se no rischia di fare delle
figuracce», dice il docente.
A chi serve il coding (e perché)
Perché è così importante allora imparare il coding? «È importante perché intanto ti dà l’idea di
che cosa la tecnologia in effetti consente di fare, ovvero ti dà una consapevolezza anche

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aiutandoti a ripristinare il giusto rapporto tra tecnologia ed essere umano e capendo che è sempre
l’essere umano il programmatore: la tecnologia non è magia ma risponde ai comandi», elabora
Bogliolo. L’altra ragione è che ovviamente «la programmazione, per chi deciderà di farne una
professione,oggetto di studio, è anche e il modo più veloce, più efficiente per fare innovazione,
per realizzare le tue idee: ma anche se non vuoi farne una professione, ti consente di acquisire una
forma di ragionamento algoritmico, cioè di capire come scomporre un procedimento che ti porta
alla soluzione di un problema in passi elementari, e così facendo hai anche la consapevolezza
della difficoltà di quel procedimento che stai per affrontate, in quanti passi arriverai in fondo. Son
tutte cose non banali, che per gli informatici sono oggetto di studio, ma che in realtà divulgati in
modo opportuno riescono ad essere portati a tutti, senza necessità di diventare prima degli
informatici». In sostanza, partire da un pensiero, invece che da un linguaggio, diventa un
vantaggio grosso per tutti, tanto più se questo lo si è fatto da bambini. I riscontri? «Non li ho tanto
diretti quanto indiretti- conclude Bogliolo- in questa sorta di comunità di apprendimento e di
pratica che si è creata in questo primo corso, ci sono migliaia di insegnanti che quotidianamente si
scambiano testimonianze ed esperienze, una cosa estremamente coinvolgente per i bambini e
gratificanti per gli insegnanti, che nel fare queste attività si focalizzano sul procedimento e non
sul risultato».

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