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Appunti delle lezioni di Scienza delle

Costruzioni: parte 2

Attilio Frangi

23 giugno 2017
2
Parte I

Elementi di meccanica dei solidi


deformabili

3
Capitolo 1

Statica dei corpi deformabili

1.1 Forze esterne


1.1.1 Forze attive di volume

Figura 1.1: Forze attive e tensioni

Si considerano sollecitazioni attive esterne esercitate dall’ambiente sul corpo nel suo volume tramite azioni
a distanza, come la forza peso, la forza elettromagnetica, etc. Si esamini un elemento di materia P di
volume ∆V attorno al punto x considerato come origine. Siano R e C la forza e la coppia (rispetto al
polo x) equipollenti alle azioni esterne distribuite su P e si consideri ∆V → 0. Si postula che esista finito
il limite
R
F = lim
∆V →0 ∆V
dove F viene chiamata forza distribuita di volume. Si postula inoltre che le coppie distribuite di volume
siano nulle:
C
0 = lim
∆V →0 ∆V

Esempio: forza peso. Si consideri ad esempio la forza peso. In un sistema di riferimento in cui l’asse
x3 è diretto come la forza peso (il verso è opposto), R = −ρgez ∆V , per cui F = −ρge3 . Inoltre la coppia

5
6 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

C vale:
C
lim = −ρgxg ∧ e3 = 0
∆V →0 ∆V
dove xg è la distanza evanescente del baricentro del volumetto dall’origine x.

1.1.2 Forze attive di superficie


Si ipotizza poi che il corpo interagisca con il mondo esterno anche attraverso azioni esterne di superficie,
esercitate sulla superficie del corpo (forze di contatto).
In analogia a quanto fatto per le forze di volume, si consideri un elemento di superficie di area ∆A attorno
al punto x considerato come origine. Se R e C rappresentano ancora la forza applicata in x e la coppia
equipollenti alle azioni esterne di superficie, si assume che esista finito il limite per ∆A → 0:

R
f = lim
∆A→0 ∆A
dove f viene chiamata forza distribuita di superficie; si assume inoltre che le coppie distribuite di superficie
siano nulle:
C
0 = lim
∆A→0 ∆A

Esempio: pressione di un gas. Si consideri ad esempio un corpo immerso in un gas in quiete alla
pressione p. In tal caso, detta n la normale uscente dal corpo, R = −pn∆A, per cui f = −pn. È facile
poi verificare che le coppie distribuite sono nulle.

1.2 Postulato dell’equilibrio


Si immagini di isolare con il pensiero una porzione P arbitraria del corpo. Si postula che condizione
necessaria di equilibrio del corpo continuo deformabile è che le equazioni cardinali della statica (ECS)
siano rispettate per ogni possibile scelta di P. Altrimenti detto:

Postulato 1 Se un corpo deformabile è in equilibrio le equazioni cardinali della statica sono rispettate
per ogni sua parte P.

Una prima conseguenza è che le azioni esterne applicate su tutto il corpo devono rispettare le ECS:
Z Z
F dV + f dA = 0 (1.1)
V S
Z Z
OP ∧ F dV + OP ∧ f dA = 0 (1.2)
V S

Ci si occupa ora di analizzare nel dettaglio cosa succede quando P è interno al corpo.

1.3 Tensore degli sforzi


Si consideri il corpo in esame e lo si separi idealmente in due parti V − e V + con una sezione A non
necessariamente piana. Si indichi con A− la superficie di taglio appartenente a V − , di normale uscente
n(x); con A+ la superficie di taglio appartenente a V + , di normale uscente −n(x). Si consideri un punto
x di A. Si ammette la validità del seguente postulato, detto postulato di Cauchy:

Postulato 2 Le due parti V − e V + interagiscono solo attraverso forze distribuite di superficie (dette im-
propriamente tensioni) che dipendono solo dalla normale alla superficie su cui agiscono e dalla posizione
x. Si indicherà quindi con t(x, n) la forza esercitata su A− e con t(x, −n) la forza esercitata su A+ .
1.3. TENSORE DEGLI SFORZI 7

In particolare si osservi che le ipotesi introdotte implicano che: i) le parti del corpo non interagiscono,
ad esempio, tramite coppie distribuite; ii) le tensioni t nascono da interazioni locali (dipendono solo dalla
posizione!); iii) le tensioni t non dipendono dalle proprietà geometriche della superficie quali, ad esempio,
la curvatura.
Dai postulati appena presentati discendono alcune importanti conseguenze:
Lemma 1 I vettori t(x, −n) e t(x, n) sono uguali ed opposti (Lemma di azione e reazione)
La dimostrazione del lemma, presentata qualitativamente, sfrutta il fatto che ogni porzione del corpo
deve rispettare le ECS. Quindi si considera il parallelepipedo infinitesimo di spessore evanescente della
Figura 1.2, con la normale alle facce maggiori orientata come n. Il lato maggiore dL sia di ordine ε,
mentre lo spessore dt sia un infinitesimo di ordine superiore ε2 . Poiché le forze applicate sui bordi sono
infinitesimi di ordine superiore, l’imposizione della condizione R = 0 per ε → 0 implica che le forze sulle
facce maggiori si devono bilanciare, da cui
dL2 (t(x, −n) + t(x, n)) = 0

Figura 1.2: Equilibrio di un parallelepipedo sottile

Esercizio. Per una dimostrazione piú rigorosa si immagini di isolare con il pensiero una porzione P
arbitraria del corpo, completamente interna. Si immagini poi di tagliarla in due parti P + e P − con un
superifice di taglio S. Siano ∂P + e ∂P − le porzioni di ∂P che interessano P + e P − , rispettivamente.
Applicando la condizone necessaria di equilibrio R = 0 (Postulato 1) prima a P:
Z Z
t(n)dS + F dV = 0,
∂P P

e poi a P + e P −
Z Z Z Z Z Z
t(n)dS + t(n)dS + F dV = 0, t(n)dS + t(−n)dS + F dV = 0
∂P + S P+ ∂P − S P−

si ottiene, per somma delle ultime due:


Z
(t(n) + t(−n)) dS = 0
S

da cui, per l’arbitrarietá completa di P e di S, t(−n) = −t(n).

Osservazione. Il vettore t non è diretto come n in generale, al contrario di ciò che avviene per i gas
ideali in quiete. Si indicherà con σn la sua componente normale e con τ la sua componente tangente alla
superficie su cui si applica:
σ = t · n, τ = t − σn
8 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

1.3.1 Tensioni su facce coordinate


Su consideri, in x interno al corpo, una faccia di normale e1 e sia σ11 e1 + σ12 e2 + σ13 e3 la tensione su
questa faccia. Analogamente siano σ21 e1 + σ22 e2 + σ23 e3 e σ31 e1 + σ32 e2 + σ33 e3 la tensione sulle facce
di normale e2 ed e3 . I numeri σij sono funzione della posizione x e sono le componenti di un tensore σ,
detto tensore degli sforzi
 
σ11 σ12 σ13
σ ↔ σ21 σ22 σ23  (1.3)
σ31 σ32 σ33

1.4 Teorema di Cauchy


Teorema 1 Il vettore t(x, n) può essere espresso come t(x, n) = σ T (x) · n(x) dove σ(x) è il tensore degli
sforzi. Ovvero, in termini di componenti: ti = σji nj

Si consideri infatti un tetraedro infinitesimo con tre facce di normale parallela ai piani coordinati e verso
opposto e la quarta faccia, di area ∆A, diretta come n. Per la eq.(1.3) e per il Lemma 1 la tensione sulla
faccia di normale −ek è −σki ei . L’area di queste faccette è (dimostrarlo per esercizio) ∆Ak = nk ∆A. Si
imponga che la risultante in direzione i si annulli. Le forze di volume forniscono un contributo che, al
tendere del volume a zero, è un infinitesimo di ordine superiore rispetto alle forze di superficie. Sommando
le forze sulle quattro facce:

(−σ1i n1 − σ2i n2 − σ3i n3 ) ∆A + ti ∆A = 0

da cui, usando gli indici saturati: ti = σji nj .

Figura 1.3: Tetraedro di Cauchy

Esercizio. Dimostrare che ∆Ak = nk ∆A usando, sul tetraedro infinitesimo, il teorema della divergenza
applicato ad un vettore costante arbitrario b.

Infatti: Z Z Z
0= divb dV = b · n dS = b · n dS
V S S
1.4. TEOREMA DI CAUCHY 9

da cui, al tendere a zero delle dimensioni del tetraedro:


Z
n dS = ∆An − ∆Ak ek = 0
S

1.4.1 Esempio: trazione uniassiale


Si analizzi un parallelepipedo soggetto a trazione uniassiale σ22 = α ed altri σij nulli (Figura 1.4). Si
consideri un piano di normale:

2
n= (e + e3 )
2 2
che taglia il solido e si calcoli la tensione in un punto generico della sezione.

Figura 1.4: Trazione uniassiale

Dal Teorema di Cauchy si ottiene, usando il calcolo tensoriale:


√ √
2 2
t=σ·n= αe2 ⊗ e2 · (e2 + e3 ) = αe2
2 2

È immediato verificare che il prodotto matrice-colonna tra la matrice associata a σ ed il vettore associato
a n fornisce lo stesso risultato:

0 0 0  0 √ √  0 
    
0 α 0 2 2
1 = α
 2 2 
0 0 0 1 0
 

ed in genere viene preferito nelle applicazioni per la sua semplicità.


Calcolo della componente normale:
α
σ =t·n=
2
Calcolo della componente tangente:

α 2
τ = t − σn = (e − e3 )
2 2 2
10 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

1.4.2 Esempio: sforzo idrostatico (o sferico)


In un fluido in quiete il tensore degli sforzi ha la forma:

σ = α1l

La tensione (compressione!) è uguale per ogni faccia:

t = αn

1.4.3 Sforzi idrostatici e deviatorici


È possibile decomporre lo stato di sforzo nella maniera seguente. Si calcola la traccia di σ e si definisce
lo scalare σm tale che:
1
σm = trσ
3
Poi si definisce deviatore la differenza:
s = σ − σm 1l
La proprietà di s è che la traccia è nulla. Ovviamente:

σ = σm 1l + s

1.5 Condizioni equilibrio


1.5.1 Equazioni indefinite di equilibrio
Si consideri un volume P arbitrario interno al corpo, di frontiera ∂P. Se il corpo è in equilibrio, il
risultante di tutte le forze si deve annullare in virtù del postulato 1:
Z Z
F dV + tdA = 0
P ∂P

Usando il teorema di Green (vedere la formula A.7 dell’Appendice), poiché t = σ T · n:


Z Z
∂σji
σji nj dA = dA
∂P P ∂xj

e quindi, data l’arbitrarietà di P:

∂σji
+ Fi = 0 (1.4)
∂xj

oppure, in forma vettoriale:


divσ T + F = 0
Si noti che lo stesso risultato può essere ottenuto in maniera più intuitiva partendo dall’equilibrio di un
cubetto infinitesimo, in maniera analoga a quanto fatto per le equazioni indefinite di equilibrio delle travi.
Si consideri infatti la Figura 1.5 ed in particolare si imponga che il risultante delle forze in direzione e2
sia nullo. Sia dL il lato del cubo.
Si ottiene:  
∂σ12 ∂σ22 ∂σ32
dL2 dx1 + dx2 + dx3 + F2 dL3 = 0
∂x1 ∂x2 ∂x3
che corrisponde, poichè dxi = dL, alla seconda delle eq.(1.4). Le altre due componenti si ottengono in
maniera analoga.
1.5. CONDIZIONI EQUILIBRIO 11

Figura 1.5: Equazioni indefinite di equilibrio

1.5.2 Simmetria del tensore degli sforzi


Si consideri il cubetto della Figura 1.6 e si imponga la condizione necessaria di equilibrio del momento,
usando come polo il centro. Si consideri ad esempio il momento rispetto ad un asse passante per il centro
del cubetto e parallelo a x1 (Figura 1.6).
Se si ipotizza che σ sia sufficientemente regolare, la risultante delle forze applicate sulle facce è equipollente
ad un forza applicata nel centro delle facce (al prim’ordine), quindi le uniche forze che contribuiscono
alla rotazione sono quelle indicate, da cui si ricava semplicemente che σ23 = σ32 . In generale:
σij = σji
cioè:
Lemma 2 Il tensore degli sforzi è simmetrico σ = σ T

Quindi, d’ora in poi, si utilizzerà σ T al pari di σ e si dirà, ad esempio, t = σ · n, ti = σij nj , etc.


Si osserva che la stessa conclusione si può ottenere in maniera simile alle equazioni indefinite di equilibrio.
Si consideri un volumetto arbitrario P interno al corpo. Il momento di tutte le forze esercitate su P si
deve annullare rispetto ad un polo prescelto. Indicando con x la distanza del generico punto dal polo:
Z Z
x ∧ F dV + x ∧ t dA = 0
P ∂P

ma t = σik ek ni , per cui si può applicare ancora il teorema della divergenza nella forma di eq.(A.8):
Z Z

x ∧ tdA = (x ∧ σik ek ) dV
∂P P ∂x i

Si effettui la derivata del prodotto. Il primo termine si semplifica perchè:


∂x
= ei ,
∂xi
12 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Figura 1.6: Simmetria del tensore degli sforzi

mentre il secondo termine si annulla se sommato all’integrale di volume delle forze F :


Z  
∂σik
x∧ ek + F dV = 0
P ∂xi
in virtù delle equazioni indefinite di equilibrio. Rimane dunque:
Z
σik ei ∧ ek dV = 0
P
e quindi, data l’arbitrarietà di P:
σik ei ∧ ek = 0 (1.5)
Poiché i e k sono indici saturati, si deve sommare da 1 a 3. È immediato verificare che questo implica la
simmetria del tensore. Infatti:
σik ei ∧ ek = (σ12 − σ21 )e3 + (σ23 − σ32 )e1 + (σ31 − σ13 )e2

1.5.3 Condizioni di equilibrio al contorno


Sulla superficie del corpo si consideri un parallelepido sottile come quello della Figura 1.2, con la normale
alle facce principali orientata come la normale uscente dal corpo stesso. L’equilibrio del parallelepipedo
al tendere di ε a zero impone:
t=σ·n=f
cioè il vettore delle tensioni su di una superficie di normale n deve essere uguale alle forze di superficie
esterne eventualmente applicate. In particolare, se in punto x del bordo non vi sono forze f , t = σ · n si
annulla in x.

1.6 Analisi dello stato di sforzo


1.6.1 Sforzi e direzioni principali
Si consideri una superficie infinitesima che contiene x ed ha normale n. Nel seguito si dirà semplicemente:
si consideri la giacitura n in x. Se si verifica che:
σ · n = λn
1.6. ANALISI DELLO STATO DI SFORZO 13

cioè se la tensione è ortogonale alla superficie, si dice che n è direzione principale e λ è sforzo principale.
Trovare gli sforzi e le direzioni principali richiede di risolvere un problema agli autovalori. Si consideri la
matrice [σ] associata al tensore σ. Essa è simmetrica e reale e quindi la Geometria insegna che ammette
tre autovalori reali ed è sempre possibile individuare una terna, detta terna principale, di autovettori
associati ortonormali che rappresentano una base per lo spazio R3 .
Per risolvere il problema è necessario trovare le radici dell’equazione caratteristica:
det(σ − λ1l) = 0
che si riduce al polinomio:
λ3 − J1 λ2 + J2 λ − J3 = 0
con i coefficienti Ji (detti invarianti perché non dipendono dal sistema di riferimento):
J1 =σ11 + σ22 + σ33 = trσ
1
tr2 σ − tr(σ 2 )

J2 =σ11 σ22 + σ22 σ33 + σ33 σ11 − σ12 σ21 − σ23 σ32 − σ13 σ31 =
2
J3 =detσ
Per convenzione gli sforzi principali si indicano con σI , σII , σIII . La terna principale sia eI , eII , eIII . In
questa base il tensore degli sforzi σ risulta diagonale (Figura 1.7): σ = σI eI ⊗eI +σII eII ⊗eII +σIII eIII ⊗
eIII .

Figura 1.7: Sforzi e direzioni principali

Si noti che non è escluso che due o più autovalori siano coincidenti. Se tutti e tre gli sforzi principali sono
coincidenti allora lo stato di sforzo si chiama isotropo; se due sforzi principali sono coincidenti allora lo
stato di sforzo si chiama cilindrico.

Esercizio.
Stato di sforzo isotropo: σ = α1l. La tensione su di una faccia comunque orientata è ortogonale alla
faccia stessa e pari a α. Questo implica che ogni direzione è principale. Infatti σ · n = α1l · n = αn.

Esercizio.
Stato di sforzo cilindrico. Sia σa lo sforzo principale associato alla direzione principale ea e siano σb = σc
gli altri due sforzi principali associati ai vettori della terna principale eb , ec . Un qualunque vettore
ortogonale a ea è principale. Infatti, nella base ea , eb , ec l’espressione del tensore è:
σ = σa ea ⊗ ea + σb (eb ⊗ eb + ec ⊗ ec )
14 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

e se un vettore v giace nel piano ortogonale a ea è certamente combinazione lineare di eb e ec :

v = ceb + dec

ed è facile verificare che:


σ · v = σb v

1.6.2 Sforzi normali massimi


Si consideri una faccia di normale n qualunque e sia σ = t·n lo sforzo normale. La Geometria insegna anche
che il massimo e il minimo di σ coincidono con il massimo e minimo sforzo principale, rispettivamente:

max(σI , σII , σIII ) = max σ min(σI , σII , σIII ) = min σ


n n

Esercizio.
Si consideri lo stato di sforzo definito dalla matrice:
 
3 0 0

1 3 3
0

4
√ 4 
3 3
0 4 − 54

Graficamente lo stato di sforzo viene rappresentato come nella Figura 1.8, disegnando sulle tre facce
visibili le componenti di sforzo non nulle (le tre facce non visibili sono caricate da forze uguali opposte,
ma non si riportano le frecce per chiarezza). Le frecce indicano direzione e verso e i numeri sono sempre
riportati in valore assoluto.

Figura 1.8: Rappresentazione grafica dello stato di sforzo

Si noti che vale sempre la seguente regola sulle le componenti di sforzo tangenti alla facce. Si consideri
uno spigolo qualunque del cubo e le due facce che hanno lo spigolo in comune.
Le componenti di sforzo tangenti alle facce e perpendicolari allo spigolo sono sempre o entrambe conver-
genti sullo spigolo o entrambe divergenti dallo spigolo.
Si vogliono calcolare gli sforzi e direzioni principali. Il polinomio caratteristico risulta il determinante
della matrice:
 
3−λ 0 √
0
1 3 3 
 0 4 − λ

√ 4 
3 3 5
0 4 − 4 − λ

e cioè, svolti i conti:


(λ − 3)(λ2 + λ − 2) = (λ − 3)(λ − 1)(λ + 2)
1.6. ANALISI DELLO STATO DI SFORZO 15

da cui:

σI = 3, σII = 1, σIII = −2

La direzione principale associata a σI risulta essere, eI = ±e1 . Infatti, le componenti vi del vettore eI
sono soluzione del sistema omogeneo:
    
0 0 0
√ v1   0 
1 
0 −11√ 3 3 v2 = 0
4
0 3 3 −17 v3 0
   

da cui il risultato. Le componenti vi del vettore eII sono invece soluzione del sistema omogeneo:
    
8 0 0
√  v1   0 
1
0 −3 √ 3 3 v2 = 0
4
0 3 3 −9 v3 0
   

e cosı̀ anche per le componenti del vettore eIII :


    
20 0 0
√  v1   0 
1
0 √9 3 3 v2 = 0
4
0 3 3 3 v3 0
   

Si ottiene infine che una possibile scelta della terna principale è:
√ √
3 1 1 3
eI = e1 , eII = e2 + e3 , eIII = − e2 + e
2 2 2 2 3
dove i tre vettori nell’ordine scritto formano una terna destra. Poichè gli autovettori sono definiti a meno
del segno esistono altre scelte possibili.

1.6.3 Cerchi di Mohr


Caso generale in cui tutti i valori principali sono tra loro diversi. Si sceglie di lavorare nella terna principale
eI , eII , eIII e si suppone (solo in questa Sezione) che gli sforzi principali siano ordinati: σI ≥ σII ≥ σIII . Si
consideri una superficie di normale n generica e siano: nI = n · eI , nII = n · eII , nIII = n · eIII . Si calcoli
la tensione:
t = σI nI eI + σII nII eII + σIII nIII eIII
con componente normale:
σ = t · n = σI n2I + σII n2II + σIII n2III
e modulo τ della componente tangente τ = t − σn (usando il prodotto scalare):

τ 2 = t · t + σ 2 − 2σt · n = t · t − σ 2 = σI2 n2I + σII


2 2 2
nII + σIII n2III − σ 2

Si vuole adesso arrivare ad esprimere n2I in funzione di σ, τ e degli sforzi principali. A questo fine,
ricordando che:
n2III = 1 − n2I − n2II
e che dall’espressione di σ si ha:
σ − σIII − (σI − σIII )n2I
n2II =
σII − σIII
si può sostituire nell’espressione di τ ottenendo:

τ 2 = (σI − σIII )n2I (σI − σII ) + (σ − σIII )(σII − σ)

per cui:
τ 2 + (σ − σII )(σ − σIII )
n2I = ≥0
(σI − σII )(σI − σIII )
16 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Ripetendo gli stessi passaggi per le altre componenti nII e nIII di n, si ottiene:
τ 2 + (σ − σIII )(σ − σI )
n2II = ≥0
(σII − σIII )(σII − σI )
τ 2 + (σ − σI )(σ − σII )
n2III = ≥0
(σIII − σI )(σIII − σII )
da cui:
τ 2 + (σ − σII )(σ − σIII ) ≥ 0

τ 2 + (σ − σIII )(σ − σI ) ≤ 0 (1.6)


2
τ + (σ − σI )(σ − σII ) ≥ 0

che definiscono la regione (detta arbelo di Mohr) evidenziata in Figura 1.9. È immediato verificare che,
se le diseguaglianze vengono sostituite con uguaglianze, si ottengono le equazioni delle tre circonferenze
della Figura 1.9.

Figura 1.9: Arbelo di Mohr

È possibile mostrare che, al variare della giacitura n, il punto (σ, τ ) descrive tutta le regione grigia della
Figura. In particolare si verifica che gli sforzi principali comprendono il massimo ed il minimo sforzo
normale. Inoltre il massimo valore di τ è pari a:
σI − σIII
τmax =
2

1.6.4 Cerchio di Mohr in un piano principale


Sia x3 direzione principale. Di conseguenza, necessariamente si ha σ13 = σ23 = 0 e la matrice di sforzo
più generale è (dimostrarlo per esercizio):
 
σ11 σ12 0
σ12 σ22 0 
0 0 σ33
1.6. ANALISI DELLO STATO DI SFORZO 17

Ci si propone di studiare σ e τ al variare dell’orientazione di una superficie con normale ortogonale a e3


(e quindi giacente nel piano e1 , e2 ). Si consideri un prisma retto infinitesimo a base triangolare ed asse
diretto come e3 (Figura 1.10 a destra). Si osservi che, poiché la direzione x3 è principale, le tensioni sulle
facce di normale ±e3 non hanno componenti nelle direzioni e1 , e2 . Chiamiamo σIII = σ33 questo sforzo
principale. Come al solito, le forze di volume forniscono un contributo che, al tendere del volume a zero,
è un infinitesimo di ordine superiore rispetto alle forze di superficie.
Si può quindi analizzare più semplicemente una sezione del prisma: il triangolo della Figura 1.10 a sinistra.
La sezione della superficie di normale n è rappresentata dall’ipotenusa.

Figura 1.10: Equilibrio del volumetto

Si indica con σ la proiezione normale di t, τ la proiezione tangente, con la convenzione che τ positivo se
orario. Si impone l’equilibrio in direzione di n ed in direzione ortogonale (verso orario), ricordando che,
se la lunghezza dell’ipotenusa è ∆x, la lunghezza del cateto verticale è cos α∆x, e la lunghezza del cateto
orizzontale è sin α∆x:

σ = σ11 cos2 α + σ22 sin2 α + 2σ12 sin α cos α


τ = (σ11 − σ22 ) sin α cos α − σ12 (cos2 α − sin2 α)

Utilizzando le formule trigonometriche:

sin 2α = 2 sin α cos α cos 2α = cos2 α − sin2 α = 2 cos2 α − 1 = 1 − 2 sin2 α

si possono riscrivere nella maniera seguente:


σ11 + σ22 1
σ− = (σ11 − σ22 ) cos 2α + σ12 sin 2α
2 2
1
τ = (σ11 − σ22 ) sin 2α − σ12 cos 2α
2
Si indichi con C il coefficiente (σ11 + σ22 )/2. Quadrando i termini si ottiene l’equazione del cerchio di
Mohr:
1
(σ − C)2 + τ 2 = (σ11 − σ22 )2 + σ12
2
4
di raggio: r
1 2
R= (σ11 − σ22 )2 + σ12
4
18 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Si introduca ora l’angolo β tale che:


1
(σ11 − σ22 ) = R cos β, σ12 = R sin β
2
per cui:
σ − C = R cos(2α − β)
τ = R sin(2α − β) (1.7)
Si considerino due superfici: la prima forma l’angolo α rispetto alla verticale, la seconda l’angolo α+∆α (in
senso antiorario). Dalle eq.(1.7) è evidente che i punti rappresentativi (σ, τ ) delle due superfici nel cerchio
di Mohr sono separati dall’angolo 2∆α (sempre in senso antiorario). Il cerchio di Mohr viene percorso a
“velocità doppia” nel piano σ, τ rispetto a ciò che avviene nel piano fisico. Il verso di percorrenza è lo
stesso della rotazione “fisica”.

Figura 1.11: Cerchio di Mohr

Si noti in particolare che se due facce hanno normali ortogonali tra loro, allora i punti rappresentativi
dello stato di sforzo sul cerchio di Mohr si trovano su estremi di un diametro del cerchio, perché sono
separati da un angolo pari a π.
Si può quindi costruire il cerchio in maniera diretta conoscendo il valore di σ11 , σ22 , σ12 . Infatti si consideri
una faccia di normale e1 . Detto A il punto rappresentativo di questa faccia, le sue coordinate sono σ = σ11 ,
τ = −σ12 (si ricordi la convenzione oraria per τ ). Si consideri ora una faccia di normale e2 . Detto B il
punto rappresentativo di questa faccia, le sue coordinate sono σ = σ22 , τ = σ12 . Inoltre le due facce sono
inclinate tra loro di π/2 e quindi A e B sono punti estremi di un diametro. Queste informazioni sono
sufficienti per tracciare immediatamente il cerchio (Figura 1.11).
Si possono calcolare anche gli sforzi principali:
σI = C + R, σII = C − R
Inoltre è possibile calcolare l’angolo α corrispondente alla direzione di σI . Si considera il punto (tra A e
B) più vicino a σI e si calcola la quantità:

1 2σ12
|γ| = arctan
2 σ11 − σ22
(vedere la Figura 1.11), con −π/2 < 2γ < π/2. L’angolo γ e l’angolo compreso tra e1 e la direzione di
σI se il punto considerato è A oppure tra e2 e la direzione di σI se il punto è B. Nel piano fisico l’angolo
deve essere percorso nello stesso senso della rotazione necessaria al punto per sovrapporsi all’asse σ nel
piano di Mohr.
1.6. ANALISI DELLO STATO DI SFORZO 19

Esercizio
Stato di sforzo σ11 = 2 MPa, σ22 = 6 MPa, σ12 = −2 MPa. Tutti gli altri σij sono nulli. Calcolare gli
sforzi principali e le direzioni principali.

Figura 1.12: Esercizio sul cerchio di Mohr

Certamente e3 è direzione principale con sforzo principale nullo. Si calcolano le altre direzioni principali
con cerchio di Mohr. √ √
Il centro è C = (4, 0). Gli sforzi principali sono σI = 4 + 2 2 e σII = 4 − 2 2, da cui:
√ √
σI = 4 + 2 2, σII = 4 − 2 2, σIII = 0

Dalla costruzione della Figura 1.12 si osserva che il punto B “dista” da σI dell’angolo 2γ = π/4 nel piano
di Mohr in senso antiorario. Ciò vuol dire che la giacitura di B (piano con normale e2 ) deve ruotare di
γ = π/8 in senso antiorario per sovrapporsi alla giacitura di σI . Si osserva che si potrebbe anche dire che
il punto A “dista” da σI dell’angolo 2γ = 3π/4 nel piano di Mohr in senso orario, e che quindi la giacitura
di A (piano con normale e1 ) deve ruotare di γ = 3π/8 in senso orario per sovrapporsi alla giacitura di
σI . In entrambi i modi si ottiene:  π π 
eI = ± sin e1 − cos e2
8 8
Per calcolare la seconda direzione principale basta ruotare questa di π/2 oppure osservare che la giacitura
di A (normale e1 ) deve ruotare di γ = π/4 in senso antiorario per sovrapporsi alla giacitura di σII , oppure
che la giacitura di B (normale e2 ) deve ruotare di γ = 3π/4 in senso orario per sovrapporsi alla giacitura
di σII e quindi:  π π 
eII = ± cos e1 + sin e2
8 8

Esercizio
Si consideri uno stato di sforzo in cui σ13 = 1 MPa, mentre tutti gli altri σij sono nulli. Calcolare gli
sforzi principali e le direzioni principali.
Dallo stato di sforzo assegnato si deduce che ±e2 è direzione principale con sforzo associato nullo.
Il centro è C = (0, 0). Gli sforzi principali sono σI = 1 e σII = −1, da cui:

σI = 1, σII = −1, σIII = 0

Le direzioni principali nel piano sono:


√ √
2 2
eI = ± (e + e3 ) eII = ± (e − e3 )
2 1 2 1
20 CAPITOLO 1. STATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Figura 1.13: Esercizio sul cerchio di Mohr

Una possibile terna (destra) principale è dunque:


√ √
2 2
eI = (e + e3 ) eII = (−e1 + e3 ) eIII = −e2
2 1 2
Capitolo 2

Cinematica dei corpi deformabili

Avvertenza: prima della lettura di questa Sezione si consiglia un ripasso della teoria dei tensori. Un’intro-
duzione a concetti e notazioni utilizzate è contenuta nelle Appendici A.1-A.2. In particolare è richiesta
familiarità con le tre notazioni diverse: indici, liste ed intrinseca.

Si consideri un corpo C che occupa, all’istante t = 0, la configurazione κ0 . Il generico punto materiale M


di C occupa al tempo t = 0 la posizione M0 .

Figura 2.1: Trasformazione generica

Il corpo subisce una trasformazione che, all’istante t, porta ogni punto materiale ad occupare una nuova
posizione: ad esempio M in Mt , Q in Qt . La nuova configurazione del corpo al tempo t verrà indicata
con κt , ovvero con κ tralasciando il pedice t.
Si può certamente immaginare di costruire un’applicazione φ, in genere non lineare e dipendente dal
tempo, che esprima il vettore y = P M (P rappresenta un polo scelto a piacere) al tempo t in funzione
del vettore x = P M0 :
y = φ(x, t), ovvero yi = φi (x, t)
Si osservi che al tempo t = 0 y coincide con x e quindi x = φ(x, 0).
Per evitare fratture o compenetrazioni di materia durante la trasformazione si vuole imporre che l’ap-
plicazione sia biunivoca ∀t. Infatti a un punto M0 deve corrispondere un solo punto M : altrimenti si
avrebbe una frattura. Inoltre ad un punto M deve corrispondere un solo punto M0 , altrimenti si avrebbe

21
22 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

compenetrazione. In sostanza il determinante della matrice jacobiana deve essere diverso da zero:
 
∂φi
J(t) = det 6= 0, ∀t
∂xj
Poiché y = x per t = 0, si deduce che J(0) = 1, e dunque:
J(t) > 0, ∀t (2.1)
Si definisce spostamento il vettore s:
s(x, t) = y − x = φ(x, t) − x (2.2)

Trasformazione rigida
Un esempio importante di trasformazione è la trasformazione rigida. Una trasformazione si dice rigida se
mantiene invariata la distanza tra due punti materiali qualsiasi. Senza dimostrarlo, si afferma che ogni
trasformazione rigida ammette la rappresentazione più generale:
y = sP + R(t) · x (2.3)

dove sP è la traslazione rigida del punto P prescelto come polo. Il tensore R(t) è ortogonale, RT (t)·R(t) =
1l con determinante pari a 1 e rappresenta una rotazione rigida attorno ad un particolare asse passante
per P .
Lo spostamento risulta:
s = sP + (R(t) − 1l) · x
ed è possibile mostrare che, se la rotazione diventa infinitesima, lo spostamento assume la forma nota:
s = sP + ϕ ∧ x (2.4)

2.1 Trasformazione generale


Si consideri il vettore infinitesimo dx, detto fibra materiale, che congiunge due punti molto vicini M
(in posizione x) e Q (in posizione x + dx) nella configurazione κ0 . In una trasformazione generale il
corpo subisce una distorsione. Per quantificare questa distorsione ci si propone di valutare due quantità:
l’allungamento di una generica fibra materiale e la variazione dell’angolo tra due fibre non parallele.
Se il corpo subisce la trasformazione φ, la fibra viene trasformata in:
dy = φ(x + dx) − φ(x) dyi = φi (x + dx) − φi (x)
Sviluppando il secondo membro al primo ordine ed utilizzando la notazione indiciale:
∂φi
dyi = (x)dxj
∂xj
Per comodità di notazione si introducono i coefficienti Fij :
∂φi
Fij =
∂xj
associati al tensore F del secondo ordine, per cui, in forma compatta:
dy = F · dx dyi = Fij dxj (2.5)
In sostanza F è quell’applicazione lineare che esprime la trasformazione della generica fibra materiale.
Il tensore F è di fondamentale importanza nella Meccanica dei Continui e viene detto gradiente della
trasformazione. Usando eq.(2.2) si può esprimere F in funzione degli spostamenti:
∂(xi + si ) ∂si
Fij = = δij + F = 1l + ∇s (2.6)
∂xj ∂xj
dove ∇s indica il tensore gradiente di spostamento, di componenti ∂si /(∂xj ).
2.1. TRASFORMAZIONE GENERALE 23

Esempio.
Per una trasformazione rigida si ha:
F =R

2.1.1 Allungamento di una fibra


Si vuole calcolare l’allungamento della fibra dx = N dL0 (con dxi = Ni dL0 ), dove N è la direzione della
fibra e dL0 è la sua lunghezza iniziale:
dL20 = dx · dx
La lunghezza finale è dL, con:

dL2 = dy · dy = dym dym = (Fmi dxi )(Fmj dxj ) = dL20 (Ni Fmi Fmj Nj )

Utilizzando la notazione intrinseca e la notazione a liste (si legga l’Appendice A.2.6):

dL2 = dL20 N · F T · F · N = dL20 {N }T [F ]T [F ]{N }


 

Quindi:
dL2 − dL20
= N · F T · F − 1l ·N

dL20 | {z }
2e

ovvero:
dL2
= 1 + 2N · e · N
dL20
per cui si osserva che la variazione di lunghezza della fibra dipende dal tensore:
1 T 1
e= (F · F − 1l) eij = (Fmi Fmj − δij )
2 2
detto tensore delle deformazioni di Green-Lagrange. Se e è nullo la fibra non si allunga.
Si è dunque pronti ad esprimere l’allungamento εN di una fibra per unità di lunghezza:

dL − dL0 dL q
εN = = − 1 = 1 + 2N · e · N − 1 (2.7)
dL0 dL0
In particolare εN permette di esprimere la lunghezza della fibra dopo la deformazione come

dL = dL0 (1 + εN ) (2.8)

Ad esempio, se si considera una fibra in direzione e2 :



ε2 = 1 + 2e22 − 1

In generale, si osservi che se si utilizza un sistema di riferimento tale che N sia il primo vettore della
base, e si indicano con e0ij le componenti di e in questo sistema, utilizzando le formule del cambiamento
della base (Appendice A.2.8): p
εN = 1 + 2e011 − 1

2.1.2 Rotazione tra fibre


Una seconda misura di distorsione locale è la rotazione tra fibre inizialmente ortogonali. Si considerino
adesso due fibre dxα = N α dLα0 e dxβ = N β dLβ0 . Si indichi con Θαβ l’angolo compreso tra N α e N β .
Per definizione di prodotto scalare:

dxα · dxβ = cos Θαβ dLα0 dLβ0


24 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Figura 2.2: Cambiamento di angolo tra fibre

Le due fibre vengono trasformate in dy α e dy β di lunghezza dLα dLβ rispettivamente, ed angolo compreso
θαβ . Il prodotto scale può essere espresso in due modi:
dy α · dy β = cos θαβ dLα dLβ
oppure:
 
dy α · dy β = F · dxα · F · dxβ = Fim dxαm Fin dxβn = dLα0 dLβ0 (Nαm Fim Fin Nβn )

Utilizzando la nozione di prodotto tra tensori (Appendice A.2.6), si può ance scrivere:
dy α · dy β = dLα0 dLβ0 {Nα }T [F ]T [F ]{Nβ } = dLα0 dLβ0 N α · (2e + 1l) · N β
 


= dLα0 dLβ0 2N α · e · N β + cos Θαβ (2.9)
da cui
2N α · e · N β + cos Θαβ
cos θαβ =
(1 + εα )(1 + εβ )
In particolare, se le due fibre sono ortogonali tra di loro nella configurazione iniziale:
2N α · e · N β
cos θαβ = (2.10)
(1 + εα )(1 + εβ )

Esempio. Fibre ortogonali N 1 = e1 , N 2 = e2 :


2e12
cos θ12 = √ √
1 + 2e11 1 + 2e22

2.2 Trasformazioni infinitesime


Una condizione molto frequente è quella delle trasformazione infinitesima. Se le derivate degli spostamenti
sono piccole rispetto all’unità:
∂si
∂xj  1

si dirà che la trasformazione è infinitesima. Nel seguito del Corso ci si porrà in questa prospettiva.
Le conseguenze e le semplificazioni possibili sono molteplici. Si esprima dapprima e in funzione degli
spostamenti utilizzando la eq.(2.6):
∂sk ∂sk
2eij = Fki Fkj − δij = (δki + )(δkj + ) − δij
∂xi ∂xj
2.2. TRASFORMAZIONI INFINITESIME 25

ovvero:
2[e] = [1] + [∇s]T ([1] + [∇s]) − [1] = [∇s] + [∇s]T + [∇s]T [∇s]


In notazione indiciale e tensoriale:


∂si ∂sj ∂sk ∂sk
2eij = + + 2e = ∇s + ∇Ts + ∇Ts · ∇s
∂xj ∂xi ∂xi ∂xj

Le componenti di e sono quindi somma di una parte lineare e di una parte quadratica negli spostamenti.
La parte lineare viene detta tensore delle deformazioni infinitesime ε:
 
1 ∂si ∂sj 1 1
[∇s] + [∇s]T ∇s + ∇Ts
 
εij = + [ε] = ε=
2 ∂xj ∂xi 2 2

Se la trasformazione è infinitesima in e si può trascurare la parte quadratica negli spostamenti rispetto


alla parte lineare, per cui e si riduce ad ε.
Le componenti di ε sono, per esteso:

∂s1
ε11 = (2.11)
∂x1
∂s2
ε22 = (2.12)
∂x2
∂s3
ε33 = (2.13)
∂x3
 
1 ∂s1 ∂s2
ε12 = + (2.14)
2 ∂x2 ∂x1
 
1 ∂s2 ∂s3
ε23 = + (2.15)
2 ∂x3 ∂x2
 
1 ∂s1 ∂s3
ε13 = + (2.16)
2 ∂x3 ∂x1

2.2.1 Allungamenti e variazione di angoli


Nel caso di trasformazioni infinitesime gli allungamenti e le variazioni di angolo si semplificano notevol-
mente. Si consideri la eq.(2.7). Dapprima e può essere sostituito con ε. Infine, lo sviluppo al primo
ordine di εN dà:
q
εN = 1 + 2N · e · N − 1 ' N · ε · N (2.17)

Si ricordi infatti che lo sviluppo di 1 + x = 1 + x/2. Ad esempio, se si considerano le direzioni ei , si
ottiene:
ε1 = ε11 , ε2 = ε22 , ε3 = ε33
da cui è evidente l’interpretazione fisica delle componenti di ε con indici uguali.
Si consideri adesso la eq.(2.10). Si indichi con γαβ la rotazione relativa tra direzioni N α ed N β inizialmente
ortogonali. Siccome γαβ = π/2 − θαβ è piccolo,

cos θαβ = sin(π/2 − θαβ ) = sin γαβ ' γαβ

Al primo ordine risulta:


2N α · e · N β
γαβ ' cos θαβ = ' 2N α · ε · N β (2.18)
(1 + εα )(1 + εβ )

Ad esempio, la variazione dell’angolo inizialmente retto tra le direzioni ei ed ej vale:

γ12 = 2ε12 , γ23 = 2ε23 , γ13 = 2ε13


26 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Spostamenti rigidi infinitesimi. È importante osservare che il generico spostamento rigido 2.4
produce sempre deformazioni ε nulle! La verifica è lasciata come esercizio.

2.2.2 Variazione di volume


Poiché la relazione y = x + s può essere interpretata come un cambiamento di variabili, allora la misura
del volume dopo la trasformazione risulta:
dV = det F dV0 = JdV0
dove J è il determinante della matrice jacobiana di coefficienti:
∂si
δij +
∂xj

∂s1 ∂s1 ∂s1


 
1 + ∂x ∂x2 ∂x3
 ∂s3 1 ∂s2 ∂s1  ∂s1 ∂s1 ∂s3
J = det  1 + ∂x '1+ + + = 1 + trε
 ∂x1 ∂x3 

2
∂s3 ∂s3 ∂s3
∂x1 ∂x1 ∂x3
∂x1 ∂x2 1 + ∂x3

per cui la variazione di volume per unità di volume è:


dV − dV0
= trε = ε11 + ε22 + ε33
dV0

2.2.3 Analisi dello stato di deformazione


In maniera analoga a quanto fatto per lo stato di sforzo σ, si ricercano quelle direzioni per cui:
ε · v = λv
Si chiamano direzioni principali della deformazione, associate agli autovalori chiamati dilatazioni princi-
pali. Poiché la matrice associata a ε è simmetrica e reale, valgono le stesse proprietà che per lo stato di
sforzo. Le dilatazioni principali εI , εII , εIII sono reali, vengono ordinate di modo che:
εI ≥ εII ≥ εIII
ed è sempre possibile trovare una terna ortonormale di direzioni principali eI , eII , eIII . Inoltre, poichè
l’allungamento εN vale:
εN = N · ε · N
si può concludere che le dilatazioni principali sono effettivamente le dilatazioni delle fibre nelle direzioni
principali e, come per σ:
εI = max εN , εIII = min εN
N N

Si osservi che poiché nel sistema di riferimento principale ε è diagonale, le direzioni principali non
subiscono scorrimenti e restano quindi ortogonali tra loro anche dopo la trasformazione. Infatti, se N α e
N β coincidono con due direzioni principali distinte, N α · ε · N β = 0
Come per lo stato di sforzo, è necessario trovare le radici dell’equazione caratteristica:
det(ε − λ1l) = 0
che si riduce al polinomio:
λ3 − I1 λ2 + I2 λ − I3 = 0 (2.19)
dove i coefficienti invarianti Ii sono:
I1 =ε11 + ε22 + ε33 = trε
1
tr2 ε − tr(ε2 )

I2 =ε11 ε22 + ε22 ε33 + ε33 ε11 − ε12 ε21 − ε23 ε32 − ε13 ε31 =
2
I3 =detε
2.2. TRASFORMAZIONI INFINITESIME 27

Esempio.
Si consideri il caso di scorrimento puro s1 = αx2 , s2 = αx1 , s3 = 0. Il polinomio caratteristico risulta il
determinante della matrice:
 
−λ α 0
α −λ 0 
0 0 −λ
e cioè:
λ(λ2 − α2 ) = 0
da cui:
εI = α, εII = 0 εIII = −α
La direzione principale associata a εI , ha componenti vi soluzione del sistema omogeneo:
    
−α α 0  v1   0 
 α −α 0  v2 = 0
0 0 −α v3 0
   

da cui eI = ± 2/2(e1 +e2 ). Le componenti vi del vettore eII sono invece soluzione del sistema omogeneo:
    
0 α 0  v1   0 
α 0 0 v2 = 0
0 0 0 v3 0
   

da cui eI = ±e3 . Infine le componenti vi del vettore eIII sono invece soluzione del sistema:
    
α α 0  v1   0 
α α 0  v2 = 0
0 0 α v3 0
   

da cui eIII = ± 2/2(e1 − e2 ). Una possibile terna principale è:
√ √
2 2
eI = (e1 + e2 ) eII = e3 eIII = (e1 − e2 )
2 2

2.2.4 Legame con il gradiente di spostamento


Si consideri il tensore gradiente di spostamento:
∂si
∇s = e ⊗ ej
∂xj i
Si osservi che ε coincide con la parte simmetrica di ∇s:
1
∇s + ∇Ts

ε=
2
Più in generale ∇s può essere decomposto nella maniera seguente:
1  1
∇s + ∇Ts + ∇s − ∇Ts = ε + w

∇s =
2 2
dove w è la parte antisimmetrica di ∇s e viene chiamato tensore delle rotazioni infinitesime, perchè è
associato alla rotazione subita dalle fibre della materia.
È interessante approfondire questa affermazione. La matrice associata a w è antisimmetrica e quindi
contiene solo tre coefficienti indipendenti: w12 , w13 , w23 . Si decide, arbitrariamente, di chiamare questi
coefficienti −w3 , w2 , −w1 :
   
0 w12 w13 0 −w3 w2
[w] = −w12 0 w23  =  w3 0 −w1 
−w13 −w23 0 −w2 w1 0
28 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

Con queste definizioni si può verificare (esercizio) che, per un qualunque vettore v, vale l’identità:

w·v =w∧v

cioè w · v rappresenta una rotazione. Sfruttando questa osservazione, la trasformazione della fibra
elementare può essere espressa come:

dy − dx = ε · dx + w ∧ dx (2.20)

per cui la fibra dx “ruota” per effetto di w e si “deforma” per effetto di ε


Si consideri in particolare una fibra orientata come una delle direzioni principali, ad esempio eI . Allora
dx = eI dL0 e:

dy − dx = ε · dx + w ∧ dx = εI dx + w ∧ dx (2.21)

per cui una fibra orientata come una direzione principale si allunga/accorcia mantenendosi parallela a se
stessa per effetto di ε e ruota per effetto di w. Si può quindi attribuire a w il significato di rotazione che
le direzioni principali subiscono durante la trasformazione.

Esempio.

Figura 2.3: Estensione

Si consideri il campo di spostamenti:

s1 = αx1 , s2 = s3 = 0

Il tensore ε ha dunque una sola componente diversa da zero: ε = αe1 ⊗ e1 . Il tensore w è nullo.

Esempio.
Si consideri il campo di spostamenti:

s1 = 2αx2 , s2 = s3 = 0

Il tensore ∇s ha dunque una sola componente diversa da zero: ∇s = 2αe1 ⊗ e2 . Le espressioni di ε e w


sono dunque:
ε = α (e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 ) , w = α (e1 ⊗ e2 − e2 ⊗ e1 )
e le matrici associate sono:
   
0 1 0 0 1 0
[ε] = α 1 0 0 , [w] = α −1 0 0
0 0 0 0 0 0
2.2. TRASFORMAZIONI INFINITESIME 29

Figura 2.4: Scorrimento

Figura 2.5: Scorrimento: decomposizione

L’interpretazione di w ci permette di concludere che alla deformazione pura legata a ε si sovrappone la


rotazione di −αe3 attorno all’origine della fibra.
Al contrario, il campo di spostamenti:

s1 = αx2 , s2 = αx1 s3 = 0

produce lo stesso ε di prima, ma rotazione nulla:

ε = α (e1 ⊗ e2 + e2 ⊗ e1 ) , w=0

e viene detto scorrimento puro.

2.2.5 Applicazione: estensimetri


Un estensimetro è sostanzialmente una piccola resistenza elettrica lineare incollata ad una struttura.
È una buona rappresentazione della fibra elementare studiata nei paragrafi precedenti. Esso viene uti-
lizzato per misurare l’elongazione lungo la direzione della fibra, mentre è praticamente insensibile agli
scorrimenti angolari. Se la struttura sottostante si “allunga” questo induce un aumento della resistenza
elettrica dell’estensimetro che può essere misurata mediante opportuni strumenti. In generale si usa-
no più estensimetri in combinazione per poter risalire a tutte le componenti del tensore delle piccole
deformazioni.
Si supponga che ε33 = ε13 = ε23 = 0 e di utilizzare tre estensimetri a 120◦ l’uno dall’altro:
√ √
1 3 1 3
N α = e1 N β = − e1 + e2 N γ = − e1 − e
2 2 2 2 2
Siano εα , εβ , εγ i tre allungamenti misurati dagli estensimetri. Dalla relazione (vedere eq.(2.17)):

εN = Ni εij Nj
30 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

si ottiene che:
√ √
1 3 3 1 3 3
εα = ε11 , εβ = ε11 + ε22 − ε12 εγ = ε11 + ε22 + ε12
4 4 2 4 4 2
da cui si ottengono le componenti del tensore εij :

1 1
ε11 = εα , ε22 = (−εα + 2εβ + 2εγ ) , ε12 = √ (−εβ + εγ )
3 3

2.2.6 Compatibilità geometrica


Dato un campo di spostamento s sufficientemente regolare, le componenti di ε e w sono:
   
1 ∂si ∂sj 1 ∂si ∂sj
εij = + wij = − (2.22)
2 ∂xj ∂xi 2 ∂xj ∂xi

È poi facile verificare che:


∂wij ∂εik ∂εjk
= − (2.23)
∂xk ∂xj ∂xi

Ha senso però porsi la seguente domanda: dato un generico tensore ε simmetrico, esiste sempre un vettore
s tale che la parte simmetrica del suo gradiente sia pari al tensore assegnato? La domanda è molto simile
al problema della ricerca di un potenziale scalare: dato il vettore v, esiste uno scalare ϕ tale che v sia il
gradiente di ϕ? E noto che per domini semplicemente connessi una condizione necessaria e sufficiente è
che rotv = 0.
In maniera analoga si può mostrare che per domini semplicemente connessi la condizione di integrabilità
di ε è che siano verificate le equazioni di congruenza:

∂ 2 εij ∂ 2 εhk ∂ 2 εih ∂ 2 εjk


+ = + (2.24)
∂xh ∂xk ∂xi ∂xj ∂xj ∂xk ∂xi ∂xh

valide per ogni possibile combinazione degli indici i, j, k, l. Si tratta quindi di 81 equazioni. La eq.(2.24)
è condizione necessaria, cioè se ε e w discendono da s secondo le eq.(2.22) certamente la eq.(2.24)
è soddisfatta. Resta da mostrare che, per domini semplicemente connessi, essa è anche condizione
sufficiente.
Prima di indicare come la dimostrazione possa essere condotta, si osserva che in realtà molte delle eq.(2.24)
sono ripetizioni ed è possibile mostrare che le uniche significative sono le 6 equazioni:
∂ 2 ε11 ∂ 2 ε22 ∂ 2 ε12
2
+ 2
=2
∂x2 ∂x1 ∂x1 ∂x2
∂ 2 ε22 ∂ 2 ε33 ∂ 2 ε23
2
+ 2
=2
∂x3 ∂x2 ∂x2 ∂x3
∂ 2 ε33 ∂ 2 ε11 ∂ 2 ε13
+ =2
∂x21 ∂x23 ∂x1 ∂x3
∂ 2 ε11 ∂ 2 ε23 ∂ 2 ε12 ∂ 2 ε31
+ 2
= +
∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x3 ∂x1 ∂x1 ∂x2
∂ 2 ε22 ∂ 2 ε31 ∂ 2 ε23 ∂ 2 ε12
+ = +
∂x3 ∂x1 ∂x22 ∂x1 ∂x2 ∂x2 ∂x3
∂ 2 ε33 ∂ 2 ε12 ∂ 2 ε31 ∂ 2 ε23
+ 2
= + (2.25)
∂x1 ∂x2 ∂x3 ∂x2 ∂x3 ∂x3 ∂x1

In particolare la seconda e la terza sono permutazioni cicliche degli indici della prima, e cosı̀ pure la
quinta e la sesta sono permutazioni cicliche degli indici della quarta.
2.3. MISURA DI DEFORMAZIONE E AVVERTENZA 31

Un’idea della dimostrazione è la seguente. Si supponga di conoscere ε e di voler calcolare s, se esiste.


Poiché:
∇s = ε + w
il calcolo di s passa necessariamente per la valutazione di w.
Dato ε reale e simmetrico, si calcolino i coefficienti:

∂εik ∂εjk
αijk = −
∂xj ∂xi

Si osservi la somiglianza con la eq.(2.23). In realtà non si può immediatamente concludere che
∂wij
αijk =
∂xk
perchè ciò è vero solo se ε e w discendono da un campo di spostamenti, cosa che si deve ancora dimostrare.
Si considerino allora i nove vettori fittizi αijk ek . Se il rotore di questi vettori è nullo certamente essi sono
i gradienti di opportuni scalari. È possibile dimostrare che effettivamente i rotori si annullano se le
equazioni di congruenza sono soddisfatte. Ci si limita qui a verificare l’affermazione per la scelta i = 1,
j = 2. Le componenti del rotore di α12k ek sono:
     
∂α123 ∂α122 ∂α121 ∂α123 ∂α122 ∂α121
− e1 + − e2 + − e3
∂x2 ∂x3 ∂x3 ∂x1 ∂x1 ∂x2

Ora si sostituisca la definizione di αijk in funzione delle componenti di ε. La prima componente risulta
essere:
∂ 2 ε11 ∂ 2 ε23 ∂ 2 ε12 ∂ 2 ε31
+ 2 = +
∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x3 ∂x1 ∂x1 ∂x2
e si annulla senz’altro perché coincide con la quinta delle equazioni 2.25. Alla stessa maniera si può
mostrare che la seconda e terza componente corrispondono alla quarta e prima delle 2.25, e cosı̀ via.
A questo punto si è quindi certi che i coefficienti αijk sono esprimibili come:

∂wij
αijk =
∂xk
e quindi wij (con wij = −wji ) possono essere calcolati per integrazione. Si consideri allora la somma:

εij + wij

e si osservi che per costruzione il “vettore” (εij + wij )ej è il gradiente di uno scalare si . Per verificarlo
basta infatti imporre ancora la condizione di annullamento del rotore dei vettori (εij +wij )ej . Si consideri
ad esempio il caso i = 1 e si calcoli il rotore del vettore (ε1j + w1j )ej . Ci si limita a mostrare che la prima
componente:
∂(ε13 + w13 ) ∂(ε12 + w12 )

∂x2 ∂x3
è nulla. Infatti, per costruzione:
∂w13 ∂ε12 ∂ε23 ∂w12 ∂ε13 ∂ε32
= − , = −
∂x2 ∂x3 ∂x1 ∂x3 ∂x2 ∂x1
Si deduce che i vettori (εij + wij )ej sono il gradiente di uno scalare: la componente di spostamento si .

2.3 Misura di deformazione e avvertenza


In base a quanto detto sino ad ora è naturale prendere il tensore ε come misura di distorsione locale del
corpo. Ma attenzione: ciò ha senso solo se le trasformazioni sono infinitesime. Ad esempio si consideri
un corpo che viene ruotato rigidamente di πe3 .
32 CAPITOLO 2. CINEMATICA DEI CORPI DEFORMABILI

La sua trasformazione può essere espressa fornendo le coordinate del punto y in funzione della posizione
iniziale x.
y1 = −x1 y2 = −x2 y3 = x3
da cui si può ricavare lo spostamento s = y − x:

s1 = −2x1 s2 = −2x2 s3 = 0

Il calcolo di ε fornisce:
ε = −2e1 ⊗ e1 − 2e2 ⊗ e2
da cui sembra che le fibre dovrebbero addirittura avere lunghezza negativa alla fine della trasformazione!
Ma è chiaro che il significato fisico di ε è nullo in questo caso, in quanto la rotazione subita dal corpo non
è certo piccola.
In tal caso la misura corretta di deformazione è il tensore di Green-Lagrange e, che infatti risulta essere
nullo. Se ne calcoli ad esempio la prima componente:
 2  2
1 ∂s1 1 ∂s2
e11 = ε11 + + =0
2 ∂x1 2 ∂x1

Esercizio. Verificare che anche le altre componenti di e sono nulle.


Capitolo 3

Principio dei lavori virtuali

3.1 Scelta dei campi statici


? ? ?
Si consideri una distribuzione qualunque di forze di volume F , di forze di superficie f , e di sforzi σ tali
che le condizioni di equilibrio nel volume e sul contorno siano soddisfatte:

? ?
divσ + F = 0 in V (3.1)
? ?
σ·n=f su S (3.2)

? ? ?
I campi F , f , σ cosı̀ definiti si dicono staticamente ammissibili (SA).

3.2 Scelta dei campi cinematici


Si consideri un campo di spostamento ŝ sufficientemente continuo ed il campo di deformazioni associato:

1
∇ŝ + ∇T ŝ

ε̂ =
2
Si noti che non si richiede il rispetto di alcuna condizione al contorno. I campi ε̂, ŝ cosı̀ definiti si dicono
cinematicamente ammissibili (CA).

3.3 Formulazione del PLV


Si definisce lavoro virtuale esterno la quantità:
Z ? Z ? Z ? Z ?
L̂e = f · ŝ dA + F · ŝ dV = fi ŝi dA + Fi ŝi dV (3.3)
S V S V

Si definisce lavoro virtuale interno la quantità:


Z Z
? ?
L̂i = σ : ε̂ dV = σ ij ε̂ij dV (3.4)
V V

? ?
Nel termine di lavoro esterno si consideri l’integrale delle forze di superficie f i = σ ij nj . Applicando il
teorema di Green:
Z ? Z Z Z
? ∂ ? ? ? ∂ŝi
fi ŝi dA = σ ij nj ŝi dA = (σ ij ŝi )dV = (−F i ŝi + σ ij )dV
S S V ∂xj V ∂xj

33
34 CAPITOLO 3. PRINCIPIO DEI LAVORI VIRTUALI

Il primo termine di volume è uguale opposto al termine di L̂e relativo alle forze di volume. Il secondo
termine, per la simmetria di σ:
 
? ∂ŝi 1 ? ∂ŝi 1 ? ∂ŝi ? 1 ∂ŝi ∂ŝj ?
σ ij = σ ij + σ ji = σ ij + = σ ij ε̂ij
∂xj 2 ∂xj 2 ∂xj 2 ∂xj ∂xi

Per cui si dimostra che:

Teorema 2 Il lavoro virtuale esterno L̂e è uguale al lavoro virtuale interno L̂i per ogni scelta di campi
SA e di campi CA

Z Z ?
Z ?
?
σ : ε̂ dV = f · ŝ dA + F · ŝ dV (3.5)
V S V

3.4 Osservazioni sul PLV


Esistono numerose varianti possibili del PLV eq.(3.5), in quanto i campi reali s, ε sono certamente ci-
nematicamente ammissibili, cosı̀ come σ, F , f sono certamente staticamente ammissibili. In particolare
vale:
Z Z Z
σ : ε dV = f · s dA + F · s dV (3.6)
V S V

Si lascia inoltre come esercizio la verifica della validità delle ulteriori due forme seguenti:
Z Z Z
σ : ε̂ dV = f · ŝ dA + F · ŝ dV ∀ŝ, ε̂ CA (3.7)
V S V
Z Z ? Z ?
? ? ? ?
σ : ε dV = f · s dA + F · s dV ∀σ, F , f SA (3.8)
V S V

É importante sottolineare come il principio de lavori virtuali, nella sua versione (3.7) sia alla base del
metodo di soluzione numerica piú diffuso in meccanica dei solidi e delle strutture: il Metodo degli Elementi
Finiti. In questo contesto l’incognita principale è rappresentata dal campo degli spostamenti ed il PLV
viene utilizzato per imporre le condizioni di equilibrio della sezione 1.5.3 in forma “debole”.
Capitolo 4

Legame costitutivo

Si consideri un solido (detto nel seguito “provino”) cilindrico a sezione circolare il cui asse sia diretto
come x.
Si immagini di effettuare sul provino prove uniassiali di trazione/compressione che consistono nell’appli-
care in maniera quasi-statica (molto lenta) due forze ±F ex sulle due sezioni di estremità del provino e
nel misurare le deformazioni subite dal provino stesso.
Le forze siano applicate in modo che nel provino (almeno a distanza sufficiente dalle sezioni di estremità)
vi sia uno stato di sforzo in cui tutte le componenti di σ sono nulle tranne σxx e che σxx sia uniforme nel
provino. Lo sforzo σxx è la tensione (normale) sulla sezione del provino in direzione della sollecitazione
applicata e εxx è l’elongazione nella stessa direzione.
Nella Figura 4.1 si riporta il risultato di una tipica prova uniassiale condotta su provini in acciaio standard
da costruzione.
Sperimentalmente si osserva che lo sviluppo delle deformazioni avviene senza apprezzabile ritardo rispetto
all’applicazione del carico. Vi è una prima fase lineare e reversibile, cioè quando si annulla il carico si
annulla anche la deformazione. Oltre un certo livello di sforzo, detto sforzo di snervamento o soglia
elastica, si raggiunge un plateau in cui la deformazione aumenta senza indurre un sostanziale aumento
dello sforzo. In questa fase lo scarico avviene con la stessa pendenza della prima fase lineare. Quando
σxx torna a zero vi sono deformazioni residue dovute a fenomeni di plasticità. Se si continua a caricare
il provino si giunge a rottura. Il comportamento è simmetrico a trazione a compressione.
Il legame tra σxx e εxx è quindi molto complesso tranne che nella fase lineare e questa considerazione vale
non solo per gli acciai, ma anche per altri materiali da costruzione come il calcestruzzo. Molto spesso,
però, in fase di progetto si cerca di garantire che le sollecitazioni applicate ad una struttura siano tali da
non superare la soglia elastica. Per questo motivo nel corso si limiterà l’attenzione al caso semplice di un
legame lineare tra sforzi e deformazioni.

4.1 Energia elastica di deformazione


Si consideri un corpo caricato con forze f (t), F (t) inizialmente nulle e funzioni del parametro temporale
t. Le forze crescono fino al valore finale f (T ), F (T ) al tempo t = T . Il lavoro effettuato dai carichi è
l’integrale della potenza istantanea:
Z T Z Z 
Le = f (t) · ṡ(t)dA + F (t) · ṡ(t)dV dt (4.1)
0 S V

Se il processo è quasi-statico, non dissipativo e senza scambi di calore, il primo principio della termodina-
mica garantisce che il lavoro viene immagazzinato nella struttura sotto forma di energie interna Ω = Le .
Si può applicare il PLV alla eq.(4.1), usando come quantità SA le forze e gli sforzi reali, e come quantità
CA ṡ e ε̇:
Z T Z  Z Z T !
Ω= σ : ε̇ dV dt = σ : ε̇ dt dV
0 V V 0

35
36 CAPITOLO 4. LEGAME COSTITUTIVO

Figura 4.1: Prova uniassiale

Si definisce ora la densità di energia elastica ω:


Z T
ω= σ : ε̇ dt (4.2)
0

L’energia Ω è quindi l’integrale di volume di ω:


Z
Ω= ωdV
V

In generale ω dipende dalla posizione x considerata, dal valore finale delle deformazioni, ma anche dalla
modalità con cui vengono applicati i carichi. Esiste però una classe molto importante di materiali, il cui
comportamento è detto elastico.
Il materiale costitutivo di un solido si dice in regime elastico se la densità di energia elastica ω è una
funzione di stato delle deformazioni, cioè dipende, oltre che da x solo dal valore finale di ε e non dalla
storia di carico. In tal caso si ha dunque ω = ω(x, ε)
Se ω è una funzione di stato, per effetto della eq.(4.2) anche σ può dipendere solamente da ε. Infatti da
eq.(4.2) si ottiene:
∂ω
= σij ε̇ij (4.3)
∂T
ma vale anche:
∂ω ∂ω
= ε̇ij
∂T ∂εij
da cui:
∂ω
σij =
∂εij
(tutte le quantità sono valutate al tempo T ). La derivata di ω rispetto alle deformazioni è ancora funzione
solo delle deformazioni stesse e di conseguenza anche σij può dipendere solo da ε. Si può quindi anche
scrivere:
Z T Z ε(T )
ω= σ : ε̇ dt = σ(ε) : dε (4.4)
0 0

L’ultima scrittura richiede qualche commento. Nella realtà tutte le componenti di ε sono funzioni “con-
temporanee” del tempo. Però, siccome ω è funzione di stato, possiamo inventare una storia di carico
4.1. ENERGIA ELASTICA DI DEFORMAZIONE 37

qualunque, in cui ad esempio le componenti εij crescono in maniera indipendente tra loro, da 0 al valore
finale. Le componenti εij diventano quindi a tutti gli effetti variabili indipendenti.
Inoltre dω = σ : dε è un differenziale esatto e quindi si deve avere necessariamente:
∂σij ∂σk`
= (4.5)
∂εk` ∂εij

Esempio. Per comprendere le ultime relazioni in un caso semplificato e astratto, si consideri la situa-
zione in cui esistono solo due componenti di sforzo σ1 , σ2 e di deformazione ε1 , ε2 . Sia ω la densità di
energia di deformazione: Z Z ε1 ε1
ω= (σ1 dε1 + σ2 dε2 )
0 0
Se ω è funzione di stato, necessariamente il vettore σ1 e1 + σ2 e2 deve essere il gradiente di uno scalare e
quindi deve avere rotore nullo, ovvero:
∂σ1 ∂σ2
=
∂ε2 ∂ε1

4.1.1 Elasticità lineare


Si considera adesso il caso semplice di elasticità lineare in assenza di sforzi iniziali. Si ipotizza cioè
che σ = 0 quando ε = 0. In tal caso ogni componente σij deve essere una combinazione lineare delle
componenti εk` :
σij = Dijk` εk` σ=D:ε (4.6)
dove D è un tensore del quarto ordine. In realtà l’unica cosa che serve sapere a questo livello è come
opera su di un tensore del secondo ordine, come definito dalla eq.(4.6).
Si noti che, indipendentemente dall’espressione di Dijk` , la densità di energia elastica ω è quadratica
nelle deformazioni (da eq.(4.3)). Infatti, se ω non dipende dalla storia di applicazione dei carichi, si può
immaginare di inventare una particolare modalità di applicazione dei carichi in cui εij (t) = α(t)εij (T ).
εij (T ) (o semplicemente εij ) rappresenta il valore finale delle deformazioni e α(t) è una funzione che
descrive la variazione delle deformazioni e vale 0 al tempo 0 ed 1 alla fine della storia di carico. Quindi
Z T Z T
ω= σ : ε̇ dt = εij Dijk` εk` αα̇dt (4.7)
0 0
1 1 1
= εij Dijk` εk` = εij σij = σ : ε
2 2 2
Le componenti Dijk` sono 81, ma σ è simmetrico, per cui:
Dijk` = Djik`
ed anche ε è simmetrico, per cui:
Dij`k = Djik`
per cui vi sono “solo” 36 coefficienti indipendenti. Inoltre, da eq.(4.5):
Dijk` = Dk`ji
per cui rimangono 21 coefficienti.

Rappresentazione con liste

    

 σ11 
 D1111 D1122 D1133 D1112 D1123 D1113   ε11 

σ22 D2222 D2233 D2212 D2223 D2213  ε22

 
  
 


 
   

σ33 D3333 D3312 D3323 D3313  ε33
     
=

 σ12 


 D1212 D1223 D1213 
 ε12 

σ23 SY M D2323 D2313   ε23

 
   


 
 
 

σ13 D1313 ε13
   
38 CAPITOLO 4. LEGAME COSTITUTIVO

Isotropia

Un materiale si dice isotropo se non ha direzioni preferenziali. Si consideri un punto specifico x. Lo stato
di deformazione ε può essere espresso usando le dilatazioni principali e le direzioni principali:

ε = εI eI ⊗ eI + εII eII ⊗ eII + εIII eIII ⊗ eIII

Se il materiale è isotropo ω non dipende dalle direzioni principali (poiché ogni direzione è indifferente), ma
solo dalle dilatazioni principali. Come rappresentato nella Figura 4.2, infatti, se le deformazioni principali
restano le stesse mentre ruotano le direzioni principali il valore di ω non deve variare, in virtù dell’ipotesi
di isotropia.

Figura 4.2: Per un materiale isotropo ω non varia al mutare delle direzioni principali a parità di
deformazioni principali

Si può anche concludere che ω dipende dagli invarianti Ii che a loro volta permettono di calcolare le
deformazioni principali secondo la 2.19. Quindi:

ω = ω(I1 , I2 , I3 )

Poichè I1 , I2 e I3 sono rispettivamente lineare, quadratico e cubico nelle componenti εij , ω ha necessa-
riamente la forma:
ω = aI12 + bI2

È uso scrivere:
1
ω= (λ + 2µ)I12 − 2µI2
2
con λ e µ costanti di Lamè. Allora:

∂I1 ∂I2
σij = (λ + 2µ) I1 − 2µ
∂εij ∂εij

Alcuni passaggi portano a:

∂I1 ∂trε ∂I2 1 ∂


tr2 ε − εmn εmn = (trε)δij − εij

= = δij =
∂εij ∂εij ∂εij 2 ∂εij

da cui:

σij = λδij trε + 2µεij σ = λ(trε)1l + 2µε (4.8)


4.1. ENERGIA ELASTICA DI DEFORMAZIONE 39

e
 
λ + 2µ λ λ 0 0 0
 λ λ + 2µ λ 0 0 0
 
 λ λ λ + 2µ 0 0 0
D⇔
 0

 0 0 2µ 0 0
 0 0 0 0 2µ 0 
0 0 0 0 0 2µ

Spesso è utile esprimere il legame inverso. Dalla eq.(4.8):

trσ = (3λ + 2µ)trε

e quindi:
λ 1
εij = − (trσ)δij + σij
2µ(3λ + 2µ) 2µ
È pratica corrente scrivere il legame inverso usando le costanti ingegneristiche E e ν, con:
E Eν 2µν
µ= , λ= =
2(1 + ν) (1 − 2ν)(1 + ν) 1 − 2ν

In particolare:
E
3λ + 2µ =
1 − 2ν
Si ottiene dunque:
ν 1+ν ν 1+ν
εij = − (trσ)δij + σij ε = − (trσ)1l + σ
E E E E
ed il tensore C tale che ε = C : σ è rappresentabile con la matrice:
 
1 −ν −ν 0 0 0
−ν 1 −ν 0 0 0 
 
1 
−ν −ν 1 0 0 0 
C ⇔ 
E 0 0 0 1+ν 0 0 
 0 0 0 0 1+ν 0 
0 0 0 0 0 1+ν

Osservazione. Interpretazione fisica del coefficiente di Poisson. Se ad una barretta cilindrica di mate-
riale lineare isotropo si applica uno stato di sforzo con σ11 omogeneo (ed altre componenti nulle), si ha
ε11 = 1/E, come atteso, ma anche:
ν
ε22 = ε33 = − σ11
E
cioè uno sforzo applicato in una direzione induce una contrazione nelle direzioni ortogonali 2 e 3.
È possibile mostrare che, affinché l’energia di deformazione sia sempre positiva, le matrici associate a D
e C devono essere definite positive, e questo comporta:
1
E > 0, −1 ≤ ν ≤
2

Procedura alternativa
Per arrivare a stabilire la forma del legame lineare elastico per materiali isotropi esiste una procedura più
complessa, ma più generale. Ci si limita a mostrarla per materiali isotropi. Si consideri il tensore delle
deformazioni:
ε(1) = εij ei ⊗ ej
che genera il tensore degli sforzi:
σ (1) = σij ei ⊗ ej
40 CAPITOLO 4. LEGAME COSTITUTIVO

con σ (1) = σij ei ⊗ ej e:

σij = Dijk` εk` (4.9)

Prendiamo una base ruotata e0i . Il tensore:

ε(2) = εij e0i ⊗ e0j

ha le stesse componenti di ε(1) , ma nella nuova base: è il tensore ε(1) ruotato come i vettori della base.
Se il materiale è isotropo, allora:
σ (2) = D : ε(2)

deve essere senz’altro pari al vettore σ (1) ruotato:

σ (2) = σij e0i ⊗ e0j

(2) (2) (2)


e σmn = Dmnpq εmn . Con i risultati dell’Appendice A.2.9 è possibile esprimere le componenti σmn nella
(2)
base originaria, e cosı̀ anche per εmn . Si ottiene dunque:
(2)
σij = σij Cmi Cnj = Dmnpq εij Cpi Cqj (4.10)

Usando le eq.(4.9) e (4.10) si può arrivare alla stessa conclusione del paragrafo precedente.
Si mostra solo un esempio. Scelgo ε12 = α e le altre componenti nulle. Quindi, ad esempio σ11 = D1112 α.
Fisso adesso la rotazione della seconda base a π/2e2 , per cui e01 = e2 , e02 = −e1 . Ottengo σ22
0
= σ11 =
−D1112 α, da cui D1112 è necessariamente nullo.

Effetti termici
Se un materiale isotropo a comportamento lineare subisce una variazione termica ∆T , in generale questo
induce deformazioni termiche pari a:

εth
ij = α∆T δij εth = α∆T 1l

dove α è detto coefficiente di dilatazione termica. Per l’acciaio α ' 10−5 1/K. Si noti che le variazioni ter-
miche influenzano solo le componenti di deformazione ad indici uguali, e quindi inducono solo elongazioni
delle fibre materiali, ma non scorrimenti angolari.
Poichè il comportamento è lineare, le deformazioni totali sono la somma delle deformazioni dovute agli
sforzi e delle deformazioni termiche. In generale quindi:

ν 1+ν
ε=− (trσ)1l + σ + α∆T 1l (4.11)
E E
Il legame diretto diventa invece:

E
σ = λ(trε)1l + 2µε − α∆T 1l (4.12)
1 − 2ν

4.2 Criteri di resistenza


Come evidenziato all’inizio della sezione il comportamento dei materiali è lineare entro certi limiti, al
di fuori dei quali si possono verificano fenomeni di plasticità (per i materiali duttili come l’acciaio) o
di fratturazione e rottura fragile (come per il calcestruzzo). Risulta quindi importante quantificare la
criticità dello stato di sforzo indotto dalle sollecitazioni imposte. Si determinano sperimentalmente alcuni
parametri di resistenza caratteristici che vengono confrontati con indicatori opportuni dello stato di sforzo
forniti dai criteri di resistenza.
4.2. CRITERI DI RESISTENZA 41

4.2.1 Criteri di resistenza per materiali fragili


Il criterio di resistenza più semplice e diffuso è quello di Galileo-Rankine secondo cui il massimo sforzo
principale deve essere minore della resistenza a trazione σT misurata sperimentalmente ed il minimo
sforzo principale deve essere maggiore della resistenza a compressione σC (σC è il valore assoluto della
resistenza), sempre misurata sperimentalmente:

max(σI , σII , σIII ) ≤ σT , min(σI , σII , σIII ) ≥ −σC (4.13)

4.2.2 Criterio di Tresca per materiali duttili


Siano σI , σII , σIII gli sforzi principali in un dato punto del solido. Secondo il criterio di Guest-Tresca, la
massima tensione tangenziale deve essere minore di un limite kT :
1
τmax = max{|σI − σII |, |σI − σIII |, |σII − σIII |} ≤ kT
2
Per determinare sperimentalmente il valore di kT si esegue una prova monoassiale su di un provino tirato
in una data direzione con sforzo σ. Si ha σI = σ, σII = σIII = 0. Il provino cede (giunge a snervamento)
in corrispondenza di σ = σ0 , limite di resistenza a trazione monoassiale. La massima τ in questo caso è
σ0 /2 e quindi kT = σ0 /2.

Figura 4.3: Rappresentazione grafica dei criteri di Tresca e Von Mises nello spazio degli sforzi principali
σI , σII , assumendo σIII = 0

4.2.3 Criterio di Von Mises per materiali duttili


Il criterio di Von Mises afferma che l’indice di pericolo per un materiale duttile è rappresentato da una
parte della densitá di energia elastica detta energia di deformazione deviatorica ωD = 1/(4µ)s : s.
Si ricorda dapprima che ogni tensore può essere decomposto in parte idrostatica e parte deviatorica. Ad
esempio, per i tensori di sforzo e deformazione
1
σ = σm 1l + s σm = trσ
3
1
ε = εm 1l + e εm = trε
3
42 CAPITOLO 4. LEGAME COSTITUTIVO

Partendo dall’espressione del legame costituivo (in assenza di effetti termici)

σ = λ(trε)1l + 2µε = λ(3εm )1l + 2µ(εm 1l + s) = (3λ + 2µ)εm 1l + 2µe

si ottengo le relazioni tra le parti idrostatiche e deviatoriche di σ e ε:

σm = (3λ + 2µ)εm s = 2µe

Usando questa decomposizione, e osservando che s : 1l = e : 1l = 0, la densità di energia di deformazione


si puó esprimere come:
1 1 3 1 1 3 1
ω= σ : ε = (σm 1l + s) : (εm 1l + e) = σm εm + s : e = σ2 + s:s
2 2 2 2 2 3λ + 2µ m 4µ
Sperimentalmente si osserva che la resistenza dei metalli non dipende dal primo termine di ω ma solo dal
secondo, detto energia deviatorica. Secondo Von Mises ωD = 1/(4µ)s : s deve essere minore di un limite
assegnato. Se si calcola ωD nel riferimento principale (le direzioni principali di σ sono le stesse di s):

s : s = s2I + s2II + s2III con


1 1 1
sI = (2σI − σII − σIII ), sII = (−σI + 2σII − σIII ), sIII = (−σI − σII + 2σIII )
3 3 3
Questo porta ad imporre:
1
(σI − σII )2 + (σII − σIII )2 + (σI − σIII )2 ≤ kM
2

2
Il valore di kM si identifica da una prova monoassiale in cui si misuri sperimentalmente lo sforzo di
2
snervamento σ0 . In tal caso il criterio diventa σI2 ≤ kM , per cui, allo snervamento, si ottiene kM = σ0 .
Se lo sforzo principale σIII è nullo (usando le notazioni del capitolo sullo stato di sforzo):

σI2 + σII
2
− σI σII ≤ σ02

4.2.4 Applicazione ad un caso particolare


Come si analizzerà in seguito, in tutti i problemi di Saint Venant si avrà uno stato di sforzo caratterizzato
da σxx = σyy = σxy = 0. In particolare, su di una faccia di normale ez la tensione t ha una componente
normale σzz ez (detta σ) ed una componente tangente σzx ex +σzy ey = τ es . Si usa il sistema di riferimento
s, n, z con s allineato a es . La direzione n risulta certamente principale ed è associata ad uno sforzo
principale nullo.

Figura 4.4: Stato di sforzo tipico di un problema di Saint Venant

Il piano z, s è ortogonale ad una direzione principale e quindi si può tracciare il cerchio di Mohr. Gli
sforzi principali risultano:
r r
σ σ2 2
σ σ2
σI = + +τ σII = − + τ2 σIII = 0
2 4 2 4
4.2. CRITERI DI RESISTENZA 43

Il criterio di Tresca si scrive:


r
σ2 p
σI − σII = 2 + τ 2 = σ 2 + 4τ 2 ≤ σ0
4
Il criterio di Von Mises si scrive:
q p
σI2 + σII
2 −σ σ =
I II σ 2 + 3τ 2 ≤ σ0
44 CAPITOLO 4. LEGAME COSTITUTIVO
Capitolo 5

Formulazione del problema completo

Si consideri il corpo della Figura 6.1. Su di una porzione SU del contorno sono imposti gli spostamenti
s = sD tramite opportuni vincoli. Tali vincoli esercitano forze di superficie f sul corpo che non sono a
priori note. Sul resto del contorno sono applicate forze di superficie note f = f D . All’interno del solido
agiscono le forze di volume note F .

Figura 5.1: Corpo soggetto a vincoli e a forze esterne

Cercare la soluzione del problema vuol dire cercare la distribuzione di sforzi σ(x), deformazioni ε(x) e
spostamenti s(x) che soddisfino le equazioni di equilibrio, le condizioni cinematiche e la legge costitutiva.

5.1 Approccio agli spostamenti


Seguendo il metodo degli spostamenti il campo s viene scelto come incognita principale. Esso deve
certamente rispettare la condizione cinematica:

si = sD
i su SU (5.1)

Siano ε[s] le deformazioni associate al campo s incognito:


 
1 ∂si ∂sj
εij [s] = + in V (5.2)
2 ∂xj ∂xi
Il legame costitutivo, nel caso di comportamento lineare elastico, permette di esprimere anche σ in
funzione di s:

σij [s] = Dijk` εk` [s] in V (5.3)

45
46 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE DEL PROBLEMA COMPLETO

Tale campo di sforzo deve rispettare le condizioni di equilibrio nel volume:


∂σij ∂
+ Fi = (Dijk` εk` [s]) + Fi = 0 in V (5.4)
∂xj ∂xj
e sulla superficie:

σij nj = (Dijk` εk` [s])nj = fiD su ST (5.5)

Riassumendo, il campo s è soluzione del sistema di equazioni alle derivate parziali del secondo ordine
eq.(5.4) associato alle condizioni al contorno date dalle eq.(5.1) e (5.5). Tali equazioni vengono dette di
Navier. L’Analisi mostra che, se sD blocca tutti i moti rigidi possibili e se le costanti elastiche rispettano
opportuni limiti (cioè se l’energia di deformazione elastica è definita positiva), il problema è ben posto e
la soluzione esite ed è unica.
La soluzioni analitica delle equazioni di Navier è praticamente impossibile se non per problemi molto
semplici. In effetti, per la soluzione di problemi generici, si utilizzano metodi numerici quali il Metodo
degli Elementi Finiti, oggetto di corsi più avanzati.

5.1.1 Caso dell’isotropia


Se il materiale è anche isotropo, allora:
 
∂sk ∂si ∂sj
σij = λ(trε)δij + 2µεij = λ δij + µ +
∂xk ∂xj ∂xi
e:
∂ 2 sk ∂ 2 si ∂ 2 sj
 
∂σij
=λ +µ +
∂xj ∂xk ∂xi ∂xj ∂xj ∂xi ∂xj
e le equazioni di Navier assumono la forma seguente:
∂ 2 si 1 ∂ 2 sk Fi
+ + =0 in V
∂xk ∂xk 1 − 2ν ∂xk ∂xi µ
fD
 
∂si ∂sj 2ν ∂sk
+ nj + ni = i su ST
∂xj ∂xi 1 − 2ν ∂xk µ
si =sD
i su SU

5.2 Approccio agli sforzi


Si può seguire un approccio alternativo e scegliere come incognite principali gli sforzi σ. Tale campo deve
rispettare le condizioni di equilibrio nel corpo:
∂σij
+ Fi = 0 in V (5.6)
∂xj
e sulla superficie:

σij nj = fiD su ST (5.7)

Il legame costitutivo, nel caso di comportamento lineare elastico, permette di esprimere ε in funzione di
σ:

εij [σ] = Cijk` σk` in V (5.8)

Affinché ε sia soluzione del problema è necessario garantire che esista un campo di spostamenti s tale
che:
 
1 ∂si ∂sj
εij [σ] = + in V (5.9)
2 ∂xj ∂xi
5.2. APPROCCIO AGLI SFORZI 47

Per garantire l’esistenza di s nel caso di un solido semplicemente connesso le condizioni necessarie e
sufficienti sono le equazioni di congruenza:

∂ 2 εij ∂ 2 εhk ∂ 2 εih ∂ 2 εjk


+ = +
∂xh ∂xk ∂xi ∂xj ∂xj ∂xk ∂xi ∂xh

Formulate in termini dell’incognita di sforzo le equazioni precedenti diventano, nel caso di isotropia, le
equazioni di Mitchell-Betrami:
∂ 2 σij 1 ∂ 2 σkk
+ =0
∂xk ∂xk 1 + ν ∂xi ∂xj
Inoltre il campo s deve soddisfare le condizioni al contorno cinematiche:

si = sD
i su SU (5.10)

In questo caso l’imposizione delle condizioni al contorno negli spostamenti è talmente complicata che
l’approccio agli sforzi è praticamente limitato a situazioni in cui il corpo non è soggetto a condizioni al
contorno sugli spostamenti. Nell’analisi del problema di De Saint Venant se ne mostrerà un’applicazione.
48 CAPITOLO 5. FORMULAZIONE DEL PROBLEMA COMPLETO
Capitolo 6

Il problema di Saint Venant

6.1 Formulazione del problema


Si consideri un solido cilindrico retto a sezione generica costante (non necessariamente circolare), privo
di vincoli. Si definisce asse il segmento di retta che passa per i baricentri delle sezioni. Poiché il cilindro
è retto, le normali alle sezioni sono allineate con l’asse stesso. Si sceglie un sistema di riferimento con
l’origine O nel baricentro della prima sezione e con z diretto come l’asse. Si indica con Oz l’origine della
generica sezione. Si assume che gli assi x, y siano diretti come gli assi principali di inerzia della sezione
(vedere Appendice sulla geometria delle masse), in modo che:
Z Z Z
Sx = y dA = 0, Sy = x dA = 0, Jxy = xy dA = 0
A A A

L’area ed i momenti d’inerzia principali sono indicati con:


Z Z Z
A= dA, Jy = x2 dA, Jx = y 2 dA
A A A

Il solido è costituito da materiale a comportamento lineare elastico isotropo ed omogeneo.

Figura 6.1: Azioni esterne e sistema riferimento

Si ipotizza che non vi siano forze di volume e forze di superficie applicate sulla superficie laterale del
cilindro. Solo le sezioni estreme in z = 0, z = L possono essere caricate. Siano F 0 (O) (forza F 0 applicata
in O) e C 0 la forza e la coppia equipollenti alla distribuzione di forze sulla sezione in z = 0 (F 0 è la
risultante delle forze applicate e C 0 è il momento delle forze applicate rispetto al polo O). Siano F L (OL )

49
50 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

e C L la forza e la coppia equipollenti alla distribuzione di forze esercitate sulla sezione di estremità in
z = L.
Queste quattro azioni esterne non sono indipendenti, ma devono rispettare le condizioni necessaria di
equilibrio scritte per il solido completo (scegliendo come polo del momento l’origine della sezione in L):

F0 + FL = 0 (6.1)
C 0 + C L − Lez ∧ F 0 = 0

Inoltre non si impone l’esatta modalità di distribuzione delle forze sulle sezioni di estremità. Si ammette
però il:

Principio di equivalenza elastica. A distanza sufficiente dalle sezioni di estremità lo stato di sfor-
zo non dipende dalla particolare distribuzione delle azioni esterne ma solo dal sistema forza-coppia
equipollente.

Si immagini di tagliare il solido in z e di considerare le azioni interne esercitate dalla parte di destra
(caratterizzata da z maggiori dei quella della sezione) sulla parte di sinistra (che ha normale uscente ez ):

t = σ · n = σ · ez = σxz ex + σyz ey + σzz ez

Si calcolino ora la forza F z (Oz ) e la coppia C z equipollenti a queste azioni interne:


Z Z  Z  Z 
Fz = t dA = σxz dA ex + σyz dA ey + σzz dA ez
ZA A A A

C z = (xex + yey ) ∧ tdA


A
Z  Z  Z 
= yσzz dA ex + −xσzz dA ey + (σzy x − σzx y)dA ez
A A A

Per comodità di notazione si associano i seguenti nomi alle differenti componenti di azioni interne:
Z Z Z
N= σzz dA, Tx = σzx dA, Ty = σzy dA (6.2)
A A A
Z Z
Mx = yσzz dA, My = − xσzz dA (6.3)
A A
Z
Mt = (σzy x − σzx y) dA (6.4)
A

La componente N è detta assiale, mente Tx e Ty sono dette componenti di taglio. Le componenti Mx ed


My vengono dette flettenti, perché tendono a flettere la trave, mentre Mt è detta torcente, perché tende
a far torcere la trave.
La parte di sinistra della trave deve rispettare le condizioni necessarie di equilibrio, per cui, scegliendo il
polo Oz per la scrittura dell’equazione del momento:

F 0 + F z = 0, C 0 + C z − zez ∧ F 0 = 0

In particolare queste equazioni devono valere anche per z = 0 e quindi indicando con:

N0 , Tx0 , Ty0 , Mx0 , My0 , Mt0

i valori delle azioni interne in z = 0, si hanno le condizioni al contorno per le azioni interne in x = 0:

N0 = −Fz0 , Tx0 = −Fx0 , Ty0 = −Fy0 (6.5)


Mx0 = −Cx0 , My0 = −Cy0 Mt0 = −Cz0
6.2. RISOLUZIONE DEL PROBLEMA 51

Per un generico valore di z, invece:

N (z) = N0 Tx (z) = Tx0 Ty (z) = Ty0 (6.6)


Mx (z) = Mx0 + Ty0 z My (z) = My0 − Tx0 z Mt (z) = Mt0 (6.7)

In particolare, se le eqs.(6.1) e le eqs.(6.5) sono rispettate, le condizioni al contorno per le azioni interne
in z = L lo sono automaticamente:

NL = N0 = FzL , TxL = Tx0 = FxL , TyL = Ty0 = FyL (6.8)


MxL = CxL , MyL = CyL MtL = Mt0 = CzL

6.2 Risoluzione del problema


Si cerca la distribuzione di σ in tutto il cilindro. È un classico esempio di approccio agli sforzi. A tal fine
si introduce l’ipotesi “arbitraria”:

σxx = σyy = σxy = 0 (6.9)

Se si troverà una soluzione allora a posteriori l’ipotesi appena introdotta risulterà ammissibile. Altrimenti
la si dovrà rimuovere.
Si impongono le equazioni indefinite di equilibrio. Le prime due forniscono:

∂σxx ∂σxy ∂σxz ∂σzx


+ + =0 → =0
∂x ∂y ∂z ∂z
∂σxy ∂σyy ∂σzy ∂σzy
+ + =0 → =0
∂x ∂y ∂z ∂z

da cui σzx e σzy non dipendono da z:

σzx = σzx (x, y) σzy = σzy (x, y) (6.10)

mentre l’ultima equazione indefinita di equilibrio si scrive:

∂σzx ∂σzy ∂σzz


+ + =0 (6.11)
∂x ∂y ∂z

Inoltre la superficie laterale è scarica, da cui:

σ·n=0 → σzx nx + σzy ny = 0 (6.12)

In realtà la condizione di equilibrio al contorno dovrebbe essere imposta anche sulle superfici di estremità.
Non conoscendo però la loro esatta distribuzione, ci si limita a imporre che la distribuzione di f = σ · n
applicata su A0 e AL sia equipollente alle forze e alle coppie assegnate, ovvero che siano rispettate le
condizioni al contorno sulle azioni interne eqs.(6.5) e (6.8), appellandosi poi al principio di equivalenza
elastica.
Il legame elastico impone:
σzz σzz
εxx = εyy = −ν εzz = (6.13)
E E
1+ν 1+ν
εxy = 0 εxz = σxz εyz = σyz (6.14)
E E
Poichè il problema è formulato seguendo l’approccio agli sforzi, per garantire che esista un campo di
spostamenti da cui ε discende si impongono le condizioni di congruenza eq.(2.25). Usando il legame
52 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

elastico, queste sei equazioni diventano:


∂ 2 σzz ∂ 2 σzz
2
+ =0
∂y ∂x2
∂ 2 σzz ∂ 2 σzz
−ν 2
+ =0
∂z ∂y 2
∂ 2 σzz ∂ 2 σzz
−ν 2
+ =0
∂z ∂x2
2
∂ σzz ∂ 2 σzy ∂ 2 σzx
−ν + (1 + ν) = (1 + ν)
∂y∂z ∂x2 ∂x∂y
2
∂ σzz ∂ 2 σzx ∂ 2 σzy
−ν + (1 + ν) = (1 + ν)
∂x∂z ∂y 2 ∂x∂y
∂ 2 σzz
=0
∂x∂y
Le prime tre e l’ultima impongono:
∂ 2 σzz ∂ 2 σzz ∂ 2 σzz ∂ 2 σzz
= = = =0 (6.15)
∂y 2 ∂x2 ∂z 2 ∂x∂y
e le altre due:
∂ 2 σzz
 
∂ ∂σzy ∂σzx
− = ν̄
∂x ∂x ∂y ∂y∂z
∂ 2 σzz
 
∂ ∂σzy ∂σzx
− = −ν̄ (6.16)
∂y ∂x ∂y ∂x∂z
avendo posto ν̄ = ν/(1 + ν)

6.2.1 Sforzo σzz


Da eq.(6.11) risulta che l’espressione più generale per σzz è il polinomio:
σzz = a + a1 x + a2 y + z(b + b1 x + b2 y) (6.17)
Utilizzando le equazioni eq.(6.6) e (6.7) si possono determinare le varie costanti della eq.(6.17). Infatti:
Z
N= σzz dA = aA + zbA
A
Z
Mx = yσzz dA = (a2 + zb2 )Jx = Mx0 + zTy
A
Z
My = − yσzz dA = −(a1 + zb1 )Jy = My0 − zTx
A

da cui:
N My0 Mx0 Tx Ty
a= , b = 0, a1 = − , a2 = , b1 = , b2 =
A Jy Jx Jy Jx
Il campo σzz è quindi completamente determinato in funzione delle azioni esterne esercitate sulle sezioni
di estremità:
N My0 − zTx Mx0 + zTy N My (z) Mx (z)
σzz = − x+ y= − x+ y (6.18)
A Jy Jx A Jy Jx
Si noti che, in virtù del procedimento seguito, la (6.18) garantisce che la distribuzione di sforzi σzz sia
equipollente, sulle due sezioni di estremità alla forza assiale ed alle coppie flettenti applicate. Questo signi-
fica che tre delle condizioni al contorno (6.5) e tre delle condizioni al contorno (6.8) sono automaticamente
rispettate dalla eq.(6.18).
6.2. RISOLUZIONE DEL PROBLEMA 53

6.2.2 Sforzi σzx , σzy


Più complicato è invece il problema associato componenti σzx e σzy .
Le equazioni (6.16) di congruenza interna diventano:
   
∂ ∂σzy ∂σzx Ty ∂ ∂σzy ∂σzx Tx
− = ν̄ , − = −ν̄
∂x ∂x ∂y Jx ∂y ∂x ∂y Jy

da cui, per integrazione:

∂σzy ∂σzx Tx Ty
− = ν̄(− y + x) + c (6.19)
∂x ∂y Jy Jx

dove c è un’ulteriore costante di integrazione. Questa equazione deve essere associata all’equazione
indefinita di equilibrio eq.(6.11) e alla condizione di equilibrio sulla superficie laterale eq.(6.12). Inoltre
devono essere rispettate le condizioni al contorno eqs.(6.5) e (6.8) sui tagli e il momento torcente (le altre
sono già rispettate da σzz come commentato nel paragrafo precedente). Poiché nulla dipende da z in
questa parte del problema, le condizioni al contorno posso essere imposte su una qualunque sezione della
trave:
Z
Tx =Tx0 = σzx dA
ZA
Ty =Tx0 = σzy dA
A
Z
Mt =Mt0 = (σzy x − σzx y) dA
A

È però possibile mostrare che, se le componenti σzx , σzy rispettano le eq.(6.11) e (6.12), le prime due
sono automaticamente soddisfatte. Infatti, se si moltiplica per x la eq.(6.11) e la si integra sulla generica
sezione retta della trave, poichè il sistema di riferimento è principale:
Z  
∂σzx ∂σzy
x +x dA = −Tx
A ∂x ∂y

Inoltre:
∂σzx ∂(xσzx ) ∂σzy ∂(xσzy )
x = − σzx , x =
∂x ∂x ∂y ∂y
per cui, applicando il teorema della divergenza al vettore xσzx ex + xσzy ey :
Z   Z Z
∂σzx ∂σzy
x +x dA = x(σzx nx + σzy ny )ds − σzx dA
A ∂x ∂y ∂A A

da cui, automaticamente:
Z
σzx dA = Tx
A

In maniera del tutto analoga si mostra che:


Z
σzy dA = Ty
A

Riassumendo il problema consiste nel trovare σzx , σzy e la costante c tali che, per una generica sezione S,
sia soddisfatta l’equazione di compatibità (6.19), l’equazione di equilibrio nel volume (6.11), l’equazione
di equilibrio sulla superficie laterale (6.12) e la condizione di equipollenza sul momento torcente sulle
54 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

sezioni di estremità:
∂σzy ∂σzx Tx Ty
− = ν̄(− y + x) + c su S (6.20)
∂x ∂y Jy Jx
∂σzx ∂σzy Tx Ty
+ =− x− y su S (6.21)
∂x ∂y Jy Jx
σzx nx + σzy ny = 0 su ∂S (6.22)
Z
Mt0 = (σzy x − σzx y) dA (6.23)
A

Si osservi che è possibile formulare il problema sulla generica sezione della trave poichè nulla dipende
dalla coordinata z. Il problema è ben posto e risolvibile come verrà analizzato nelle sezioni successive in
relazione al problema della torsione e del taglio.

6.3 Caso fondamentale: pressoflessione


Se la trave è soggetta solo ad azione assiale e coppie flettenti (taglio e momento torcente nulli) l’espressione
di σzz diventa:
N My Mx
σzz = − x+ y (6.24)
A Jy Jx

Per quanto riguarda il problema del calcolo di σxz e σyz attraverso le eqs.(6.20)-(6.23), essendo Tx =
Ty = Mt = 0 è immediato verificare che σxz = σyz = c = 0 è soluzione del problema ed è quindi l’unica
soluzione in virtù del teorema di unicità.

Figura 6.2: Risposta ad azione assiale di una sezione a C


6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 55

6.3.1 Azione assiale


In particolare, se le azioni flettenti sono nulle,
N
σzz =
A
e
N N
εzz = εxx = εxx = −ν
EA EA
In questo caso il calcolo del campo di spostamento associato è immediato:
N N N
sx = −ν x sy = −ν y sz = z
EA EA EA
Si noti comunque che, a priori, a questo campo di spostamento si può aggiungere un generico spostamento
rigido infinitesimo. Tale spostamento è infatti associato a deformazioni nulle e quindi a sforzi nulli.

Figura 6.3: Risposta ad azione assiale di una sezione a C: deformata e spostamento sy

Si osservi la Figura 6.3. La trave è incastrata in z = 0 ed è “tirata” in z = L con una forza distribuita
fz = N/A che corrisponde alla soluzione esatta. In z = 0 l’incastro esercita un forza uguale ed opposta, ma
impedisce la contrazione laterale per cui la distribuzione di forze applicate non coincide con la soluzione
esatta. Il principio di equivalenza elastica assicura che, ad una distanza sufficiente dalla base, la soluzione
è quella prevista dalla soluzione di Saint Venant e la verifica “sperimentale” è data in Figura 6.3, dove,
oltre alla deformata, viene presentata anche la distribuzione di sy . Il colore rosso indica una spostamento
positivo, il colore blu uno spostamento negativo.
56 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

6.3.2 Flessione retta


La trave è soggetta solo alla coppia flettente Mx dove x è baricentrico e principale di inerzia. Allora la
formula di Saint Venant si applica:
Mx M
σzz = y= y
Jx J
M M
εxx = εyy = −ν y εzz = y
EJ EJ
Il calcolo del campo di spostamento è in questo caso più complesso. Come mostrato nei paragrafi
successivi:
M M M
z 2 + ν(y 2 − x2 )

sx = −ν xy sy = − sz = yz
EJ 2EJ EJ
sempre a meno di un moto rigido infinitesimo. Si noti che:
∂ 2 sy M
=χ=−
∂z 2 EJ

Figura 6.4: Risposta ad flessione retta di una sezione a C: deformata e sforzo σzz

Integrazione del campo di spostamento


Si consideri il campo di deformazioni rappresentato, per brevità, usando i parametri α e β, con α =
νM/(EJ), β = M/(EJ)
εxx = εyy = −αy εzz = βy
Una prima integrazione conduce a (si ricordi che εxz = εyz = εxy = 0):
1
sx = −αxy + f (y, z), sy = − αy 2 + g(x, z), sz = βyz + h(x, y)
2
6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 57

Le funzioni f, g, h sono difficili da calcolare. Si procede per tentativi. Siccome se f = h = 0 si ha εxz = 0


come dovrebbe, si assume questa ipotesi e si cerca di determinare la sola funzione g. Si ha dunque:
1 1 ∂g
εxy = − αx + =0
2 2 ∂x
1 1 ∂g
εyz = βz + =0
2 2 ∂z
Dalla seconda e dalla terza si ottiene che una g ammissibile è:
1
αx2 − βz 2 .

g=
2
Come sempre, questo campo di spostamento è definito a meno di uno spostamento rigido infinitesimo che
non altera le deformazioni associate.

Integrazione del campo di spostamento: metodo 2


Poichè le equazioni di congruenza sono rispettate, l’integrazione del campo ε è certamente possibile ed
in più si sa che (eq.(2.23)):
∂wij ∂εik ∂εjk
= −
∂xk ∂xj ∂xi
da cui:
∂wxy ∂wxy ∂wxy
= εxx,y − εxy,x = −α =0 =0
∂x ∂y ∂z
∂wxz ∂wxz ∂wxz
=0 =0 =0
∂x ∂y ∂z
∂wyz ∂wyz ∂wyz
=0 =0 = −β
∂x ∂y ∂z
che permettono di ottenere:

wxy = −αx − r wxz = q wyz = −βz − p

con p, q, r costanti. Inoltre, dalla definizione di ε e w,

∂si
= εij + wij
∂xj
per cui:
∂sx ∂sx ∂sx
= −αy = −αx − r =q
∂x ∂y ∂z
∂sy ∂sy ∂sy
= αx + r = −αy = −βz − p
∂x ∂y ∂z
∂sz ∂sz ∂sz
= −q = βz + p = βy
∂x ∂y ∂z
Per integrazione diretta si ottiene:

sx = −αxy − ry + qz + c
1
α(x2 − y 2 ) − βz 2 + rx − pz + d

sy =
2
sz = βzy − qx + py + f

Si noti che i termini contenenti le costanti p, q, r, c, d, e sono il più generico moto rigido infinitesimo di
rotazione pex + qey + rez e traslazione cex + dey + f ez .
58 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.5: Trave soggetta a coppie

6.3.3 Esercizio
In un piano z −y si consideri una trave il cui asse, di lunghezza L, è orientato come z. La trave è vincolata
a terra con una cerniera a sinistra e con un carrello a destra. Il sistema di riferimento è coerente con
quello adottato per sviluppare la teoria di Saint Venant. L’asse x è ortogonale al piano ed entrante in
esso. La trave è soggetta sull’estremo di destra ad una coppia attiva −Cex e alla coppia Cex attiva
applicata sull’estremo di sinistra. È facile verificare che le reazioni vincolari sono nulle e che l’azione
interna momento è costante, pari a C, e tende le fibre inferiori. Si tratta di un caso analizzabile con
la teoria di Saint Venant e si richiede di calcolare la deflessione del baricentro nella sezione di mezzeria,
osservando che, con le definizioni date nei paragrafi precedenti, Mx = −C. Lo spostamento sy del
baricentro della trave ottenuto nel caso di flessione pura è:

C 2
sy = z
2EJ
e non rispetta le condizioni al contorno imposte dai vincoli che prevedono che la deflessione si annulli
anche nell’estremo di destra. Si ricordi però che i campi di spostamento ottenuti nei casi di Saint Venant
sono sempre definiti a meno di uno spostamento rigido che non altera le deformazioni e quindi gli sforzi.
In questo caso è sufficiente aggiungere una rotazione αex (|α|  1) attorno alla cerniera di sinistra. Lo
spostamento del baricentro associato a questa rotazione è:

αex ∧ (zez ) = −αzey

Imponendo che lo spostamento verticale sy sia nullo in corrispondenza del carrello si ottiene:

Mx 2
sy = − (z − zL)
2EJ
Lo spostamento f in mezzeria risulta verso il basso ed il suo valore assoluto è:

C 2
f= L
8EJ
Si immagini ora che la trave abbia una delle due sezioni indicate nella Figura 6.6, di spessore h) e si
calcoli il rapporto tra le frecce in mezzeria nei due casi.
Nel primo caso, usando l’approssimazione dei profili sottili:

1 8
J= h × 203 + 2 × (10h × 102 ) = h × 103
12 3
mentre nel secondo caso:
2 h
J= h 103 = 103
12 6
La freccia della seconda trave è quindi 16 volte maggiore.
6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 59

Figura 6.6: Paragone tra sezioni ruotate

6.3.4 Presso-flessione generica


Nello sviluppo della teoria si è ipotizzato che il sistema di riferimento sia quello principale. Se invece
il sistema principale u, v è ruotato rispetto ad x, y, allora tutte le formule devono essere scritte nel
“sistema ruotato”. Usando le notazioni dell’Appendice sulla geometria delle masse, lo sforzo dovuto ad
una presso-flessione generica risulta essere:
N Mv Mu
σzz = − u+ v (6.25)
A Jv Ju
Se ad esempio la sezione è soggetta ad azione assiale N e momenti flettenti Mx ed My :
Z Z
Mx = yσzz dA My = − xσzz dA
A A

si devono calcolare i momenti Mu ed Mv :


Z Z
Mu = vσzz dA Mv = − uσzz dA
A A

Se il sistema principale è ruotato in senso antiorario rispetto a x, y dell’angolo α, allora:

u = x cosα + y sinα v = −x sinα + y cosα

e quindi:
Mu = cosαMx + sinαMy Mv = − sinαMx + cosαMy

6.3.5 Energia di deformazione


Usando l’espressione dello sforzo σzz appena determinata, l’energia di deformazione elastica Ω della trave
risulta:
Z L Z
1 L N2 M2 M2
Z  Z  
1
Ω= σij εij dV = σz εz dA dz = + u + v dz (6.26)
2 V 0 A 2 0 EA EJu EJy
Infatti Z Z  2
1 N Mv Mu
σz εz dA = − u+ v dA
A E A A Jv Ju
60 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Sviluppando il quadrato, i doppi prodotti si annullano perché il sistema di riferimento è principale di


inerzia (i momenti statici ed il momento di inerzia misto si annullano). I quadrati danno invece origine
ai termini della eq.(6.26).

6.3.6 Asse neutro e flessione deviata


Lo stato di sforzo σzz è dato dalla somma di una componente costante e di una componente lineare sulla
sezione. Esiste in generale una retta, detta asse neutro che divide il piano u, v in un semispazio compresso
(σzz < 0) ed un semispazio soggetto a trazione (σzz > 0). Si consideri il caso in cui solo Mx sia diverso
da zero, per cui, indicando Mx con M :
 
N cosα sinα
σzz = +M v+ u
A Ju Jv
L’asse neutro è il luogo dove si annullano gli sforzi:
 
N cosα sinα
0= +M v+ u
A Ju Jv
da cui l’equazione della retta è:
Ju N Ju
v = − tan α u−
Jv M A cos α
Appare evidente che l’asse neutro non è diretto come l’asse x, quindi la trave non si inflette nella “stessa
direzione” del momento applicato. Per questo la flessione viene detta deviata.

Figura 6.7: Inflessione attorno all’asse neutro

Nella Figura 6.7 è rappresentato un tipico caso di flessione deviata in cui N = My = 0. La trave
fisicamente si inflette attorno all’asse neutro che è anche il luogo dei punti ad elongazione εzz nulla.
Nelle Figure (6.8)-(6.9) sono riportati i risultati di simulazioni numeriche ottenute incastrando una trave
a Z in z = 0 ed applicando due diverse distribuzioni di fz sulla superficie superiore entrambe equipollenti
ad un momento Mx . Si ottiene ancora una volta una verifica sperimentale del principio di equivalenza
elastica.
6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 61

Figura 6.8: Distribuzione di σzz ottenuta applicando sulla superficie superiore una fz identica a quella
prevista da DSV

Figura 6.9: Distribuzione di σzz ottenuta applicando sulla superficie superiore una fz solo “equipollente”
a quella di DSV
62 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

6.3.7 Ellisse centrale d’inerzia e sua applicazione

Figura 6.10: Calcolo grafico dell’asse neutro tramite ellisse centrale di inerzia

Sia assegnato solo un momento M e. Il piano ortogonale a e passante per il baricentro si chiama piano di
sollecitazione. L’intersezione del piano di sollecitazione con la sezione si chiama asse di sollecitazione. Si
immagini adesso di aver tracciato l’ellisse centrale di inerzia. L’asse di sollecitazione individua il diametro
d. È possibile mostrare che l’asse neutro è diretto come il diametro coniugato a d. In particolare la flessione
è retta se l’asse di sollecitazione è una direzione principale.
Per dimostrare l’affermazione conviene lavorare nel sistema ruotato a destra nella Figura 6.10. L’ellisse
centrale d’inerzia è per definizione l’ellisse definita da:

u2 v2 1
+ − =0
Jv Ju A

Per procedere si deve ricordare un risultato di Geometria. Se una curva è data in forma f (u, v) = 0 (nel
piano u, v), la normale in un punto ū, v̄ ha necessariamente la forma:

∂f ∂f
nu = β , nv = β
∂u ∂v
con β coefficiente costante, cioè la normale è diretta come il gradiente di f . Come conseguenza particolare,
se una retta del piano u, v passa per l’origine ed è ortogonale alla direzione n = nu eu + nv ev , l’equazione
della retta è:
unu + vnv = 0
Si consideri ora il caso M = Mx ex . L’asse di sollecitazione è quindi ortogonale ad ex ed ha equazione:

u cosα − v sinα = 0

ed interseca l’ellisse in due punti con:


ū = tan αv̄
Un vettore normale all’ellisse nel punto ū, v̄ ha come componenti:
ū v̄
nu = β nv = β
Jv Ju
6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 63

per cui l’equazione della retta ortogonale a tale vettore e passante per il centro è
ū v̄ tan α 1
u +v =0 → u +v =0
Jv Ju Jv Ju
che coincide con l’asse neutro già calcolato.

6.3.8 Esercizio
Si analizzi la sezione della Figura 6.11 con la schematizzazione a profilo sottile.
Baricentro coincide con origine assi. Momenti di inerzia:

L2
 
1 3 2 8 3 1 3 2
Jx = h(2L) + 2(hL)L = hL Jy = 2 hL + (hL) = hL3
12 3 12 4 3
L2
Jxy = 2(hL) = hL3
2
Calcolo centro e raggio del cerchio di Mohr:
5 3 √
C= hL R= 2hL3
3
Calcolo momenti principali di inerzia:
5 √ 5 √
   
Ju = + 2 hL3 Jv = − 2 hL3
3 3

Calcolo direzioni principali d’inerzia usando il cerchio di Mohr (Figura 6.12). L’asse x deve ruotare
in senso orario di α = π/8 per sovrapporsi alla prima direzione principale. Nella Figura 6.13 è poi
rappresentata anche l’ellisse principale d’inerzia. Se ne illustra un’applicazione.
Si immagini che alla trave venga applicato il momento M ex . L’asse di sollecitazione è quindi ey ed il
diametro associato è d. Il diametro coniugato è c e coincide con l’asse neutro. La trave si inflette dunque
attorno a questo asse.
Si supponga ora che sulla sezione in z = L della trave vengano applicate le forze:
y
fz = M
Jx
Quale è l’asse neutro della trave assoggettata a queste azioni esterne?
Si è tentati di dire che, poichè questa distribuzione genera un momento Mx = M , l’asse neutro sarà
quello appena ottenuto. In realtà essa produce anche un momento My = −M Jxy /Jx e quindi questa
conclusione è a priori falsa. Si può facilmente verificare, usando i concetti della meccanica dei solidi, che
la distribuzione di σ con la sola componente:
y
σzz = M
J
diversa da zero è la soluzione del problema perchè rispetta tutte le equazioni di equilibrio e congruenza.
Allora l’asse neutro è y = 0, cioè l’asse x!

6.3.9 Esercizio
Si analizzi la sezione della Figura 6.14 con la schematizzazione a profilo sottile. Si vuole calcolare lo stato
di sforzo in D quando la sezione è soggetta ad azione assiale N e momento flettente Mx .
Calcolo baricentro:
L
A = 6Lh xG = yG =
4
Momenti di inerzia:
29 3 11
Jp = Jr = hL Jpr = − hL3
8 8
64 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.11: Flessione deviata per la sezione a Z: momento applicato Mx

Figura 6.12: Cerchio di Mohr per sezione a Z

Figura 6.13: Ellisse centrale di inerzia per sezione a Z


6.3. CASO FONDAMENTALE: PRESSOFLESSIONE 65

Figura 6.14: Geometria del profilo sottile

Calcolo direzioni principali d’inerzia usando il cerchio di Mohr (Figura 6.15). L’asse p deve ruotare in
senso antiorario di α = π/4 per sovrapporsi alla prima direzione principale. Nella Figura 6.16 è poi
rappresentata anche l’ellisse principale d’inerzia. Calcolo momenti principali di inerzia:
9 3
Ju = 5hL3 Jv = hL
4
Si ha poi:
N
σD (N ) =
6Lh
e
M u vD Mv uD 14Mx
σD (Mx ) = − =−
Ju Jv 45L2 h
con:
L√ √ Mx Mx
uD = − 2, vD = −L 2, Mu = √ , Mv = − √
4 2 2
66 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.15: Cerchio di Mohr

Figura 6.16: Ellisse centrale di inerzia


6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 67

6.4 Caso fondamentale: torsione


Sulla sezione estrema si applica solo M = Mt ez , per cui risulta σzz = 0. Il problema retto dalle
eq.(6.20)-(6.23) associato a σxz e σyz diventa, essendo Tx = Ty = 0:

∂σzy ∂σzx
− = c in S (6.27)
∂x ∂y
∂σzx ∂σzy
+ = 0 in S (6.28)
∂x ∂y
σzx nx + σzy ny = 0 su ∂S (6.29)

che devono essere associate alla condizione che il momento torcente dovuto alla distribuzione di σzx e σzy
sia pari ad Mt :
Z
Mt = (σzy x − σzx y) dA (6.30)
A

Esiste una forte analogia con altri fenomeni fisici, come l’idrodinamica. Si consideri ad esempio un fluido
inviscido incomprimibile in un contenitore cilindrico cavo con la stessa sezione della trave di DSV. Si
immagini di indurre una vorticità uniforme nel contenitore, ad esempio tramite opportuno mescolamento.
Le componenti della velocità sono determinate da un problema identico a 6.27-6.29 (ux al posto di σzx ,
uy al posto di σzy ).
Prima di affrontare la descrizione del problema associato alla torsione si esaminano alcune evidenze
sperimentali su travi in gomma a sezione circolare e quadrata (Figura 6.18).

Torsione di una sezione circolare. Un caso tipico e semplice è la torsione di una sezione circolare.
L’osservazione suggerisce che le sezioni ruotano tra loro senza spostamenti lungo l’asse z e quindi si
ipotizza che il campo di spostamento abbia la forma:

sx = −βzy sy = βzx sz = 0

Si osserva che β è una rotazione per unità di lunghezza. In particolare le due sezioni di estremità ruotano
tra loro di βL.
Le uniche componenti non nulle del tensore delle deformazioni sono:
1 1
εxz = − βy εyz = βx
2 2
e quindi, dal legame elastico:
σxz = −µβy σyz = µβx
Le tre condizioni 6.27-6.29 sono verificate con:

c = 2µβ

L’imposizione della eq.(6.30) mostra che la costante β (angolo di torsione per unità di lunghezza) è legata
al momento Mt da: Z
Mt = µβ (x2 + y 2 )dA = µβJp
A

Si lascia come esercizio la verifica delle ipotesi (6.9)

6.4.1 Torsione di una sezione generica


Si consideri ora una trave a sezione generica (ad esempio a sezione quadrata come negli “esperimenti”).
Se si riprova con lo stesso campo di spostamento della sezione circolare la condizione al contorno 6.29 non
è rispettata. La sperimentazione suggerisce infatti che le sezioni della trave subiscono uno spostamento
68 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.17: Travi in gomma a sezione quadrata e circolare

Figura 6.18: Prova di torsione


6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 69

Figura 6.19: Quadrettatura di riferimento

Figura 6.20: Quadrettatura deformata per la sezione circolare

Figura 6.21: Quadrettatura deformata per la sezione quadrata


70 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

in direzione z proporzionale alla rotazione β per unità di lunghezza, ma indipendente da z. Si assume


dunque

sx = −βzy, sy = βzx, sz = βψ(x, y) (6.31)

dove ψ è detta funzione di ingobbamento. Le uniche componenti non nulle del tensore delle deformazioni
sono:
   
β ∂ψ β ∂ψ
εxz = −y εyz = +x
2 ∂x 2 ∂y

e quindi, dal legame elastico:


   
∂ψ ∂ψ
σxz = µβ −y σyz = µβ +x
∂x ∂y

La condizione di congruenza è soddisfatta se, anche in questo caso:

c = 2µβ (6.32)

mentre le altre due condizioni diventano:

∂2ψ ∂2ψ
+ = 0 in S (6.33)
∂x2 ∂y 2
∂ψ ∂ψ
nx + ny = ynx − xny su ∂S (6.34)
∂x ∂x

che è un classico problema di Neumann che è ben posto perchè l’integrale di ynx − xny lungo ∂S è
nullo (dimostrarlo per esercizio). È possibile determinare ψ a meno di una costante che rappresenta
una traslazione lungo z. Per sezioni non semplicemente connesse si dovrebbero aggiungere condizioni
specifiche che esulano da questo corso. Solo in pochi casi è possibile ottenere una soluzione analitica del
problema (ad esempio sezione ellittica). In genere è necessario ricorrere a metodi numerici.
Ad esempio, nella Figura 6.22 si mostra la soluzione numerica per una trave a sezione quadrata. La trave
è stata incastrata nella sezione in z = 0 per cui qui l’ingobbamento è impedito. Anche in questo caso si
verifica la validita del principio di equivalenza elastica: nella figura a destra è presentata la σzz che nella
soluzione DSV è nulla.

6.4.2 Osservazioni sulla funzione di ingobbamento


Si osservi che il campo di spostamento ipotizzato in eq.(6.31) assume arbitrariamente che il centro delle
rotazioni relative tra le sezioni sia il baricentro. Si generalizzi adesso introducendo un nuovo punto di
coordinate xT , yT tale che le componenti di spostamento sx ed sy rappresentino una rotazione attorno
ad esso. Si chiami ψT la nuova funzione di ingobbamento:

sx = −βz(y − yT ) sy = βz(x − xT ) sz = βψT (x, y)

È facile verificare che, detta ψG la soluzione del problema eq.(6.33) e (6.34) con rotazione attorno al
baricentro, si ottiene, a meno di una costante arbitraria:

ψT = ψG − yT x + xT y

Si nota che le due funzioni di ingobbamento (che rappresentano uno spostamento in direzione z), diffe-
riscono di una rotazione rigida xT ex + yT ey . Esse quindi corrispondono alle stesse deformazioni ed agli
stessi sforzi.
6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 71

Figura 6.22: simulazione numerica di torsione ed ingobbamento di una sezione quadrata. La superficie
inferiore è bloccata e su di essa si generano anche gli sforzi σzz mostrati nella figura di destra. Sulla
superficie superiore si sono applicate trazioni identiche a quelle previste da DSV

6.4.3 Rigidezza torsionale ed energia di deformazione


L’imposizione della eq.(6.30) fornisce:

Mt = µJt β
Z  
∂ψ ∂ψ 2 2
Jt = x −y + x + y dA
A ∂y ∂x

con il prodotto µJt detto rigidezza torsionale. È possibile mostrare che:


Z
Jt ≥ Jp = (x2 + y 2 )dA > 0
A

In realtà il modulo Jt può essere calcolato seguendo un approccio alternativo. Si consideri il cilindro di
DSV soggetto alle coppia torcenti ±Mt ez . Si vuole scrivere il PLV usando come campi statici e cinematici
i campi reali. Il lavoro esterno fatto dalle coppie è:

Mt2
Le = Mt βL = L
µJt

mentre il lavoro interno, considerando che σzx e σzy non dipendono da z, è:
Z L Z
L 2 2
Li = σij εij dV = (σzx + σzy )dA
0 µ A

Imponendo Li = Le :
Mt2
Z
2 2
= (σzx + σzy )dA
Jt A
72 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

quindi, se τ indica il modulo delle tensioni tangenziali, con τ 2 = σzx


2 2
+ σzy :

τ2
Z
1
= dA (6.35)
Jt A Mt2

In particolare poi l’energia di deformazione risulta:


Z
L L 1
Ω= σij εij dA = µJt β 2 = Mt βL
2 A 2 2

6.4.4 Approccio agli sforzi


Esiste un approccio alternativo in cui si introduce la funzione ϕ, detta potenziale degli sforzi:

∂ϕ ∂ϕ
σzx = σzy = −
∂y ∂x

Per una sezione semplicemente connessa si dimostra che ci si riduce al problema di Dirichlet:

∂2ϕ ∂2ϕ
+ = −c = −2µβ in S (6.36)
∂x2 ∂y 2
ϕ = 0 su ∂S (6.37)

Se la sezione non è semplicemente connessa la seconda condizione viene sostituita da ϕ = ci con ci


costante differente (da determinare) su ogni contorno distinto.

6.4.5 Caso della sezione ellittica


Se si considera una sezione a forma di ellisse:
x2 y2
2
+ 2 −1<0
a b
è possibile verificare che il potenziale degli sforzi:

x2 y2
 
Mt
ϕ= 1− 2 − 2
πab a b

e la funzione di ingobbamento:
a2 − b2
ψ(x, y) = − xy
a2 + b2
sono soluzione del problema.

6.4.6 Caso dei profili sottili aperti


È un caso particolare di notevole interesse pratico. Si consideri un profilo rettangolare di lunghezza L ed
di spessore h sottile con il lato lungo parallelo all’asse x. In genere un profilo viene può essere considerato
sottile se L > 10h. Lontano dalle estremità l’analogia idrodinamica suggerisce che σzy = 0 per cui le
equazioni del problema impongono:

∂σzx ∂σzx
= 0, = −c = −2µβ (6.38)
∂x ∂y

da cui, se si vuole che la distribuzione sia equipollente a un momento torcente (taglio nullo):

Mt
σzx = −2µβy = −2 y
Jt
6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 73

La condizione al contorno σzx nx + σzy ny = 0 è violata sui bordi verticali, perchè, in realtà, vicino alle
estremità del rettangolo appare anche σzy . Quindi σzx = −2µβy non può essere una soluzione esatta,
ma è una buona approssimazione ingegneristica lontano dalle estremità.
Ci si propone di calcolare il valore della costante Jt . A priori si potrebbe utilizzare la relazione:
Z
Mt = µJt β = (σzy x − σzx y)dA
A

ma l’espressione di σzy non è nota ed il suo contributo non può essere trascurato perchè moltiplicato
per un braccio elevato. Si preferisce invece la eq.(6.35) in cui il contributo della σzy può invece essere
ignorato perchè limitato ad un’area molto ridotta e non moltiplicato per il braccio. Si ottiene:
Z L Z h/2
1 4 1
= 2 y 2 dydx → Jt = Lh3
Jt Jt 0 −h/2 3

Figura 6.23: Senso degli sforzi tangenziali

Il valore massimo di sforzo è dunque:


Mt
τ =3
Lh2
Se si hanno più profili rettangolari sottili assemblati come in Figura 6.23 per ogni singolo componente
vale lo stesso ragionamento. Si assume che, tranne che per una regione molto limitata presso le estremità
o gli incroci, le tensioni tangenziali siano dirette come la linea media.
Per ogni profilo rettangolare della sezione si introduca una terna es , em , ez tale che es sia parallelo alla
linea media; em , ortogonale alla linea media, è fissato di modo che la terna sia destrorsa.
Se s ed m indicano le rispettive coordinate le equazioni (6.38), scritte nel sistema s, m, implicano
Mt
σzs = −2 m, σzm = 0 (6.39)
Jt
Il valore massimo del modulo della tensione tangenziale in un punto di spessore h è quindi
Mt
τ= h
Jt
Si osservi che, indipendentemente dal verso di es prescelto (tra le due opzioni possibili), in ogni rettangolo
del profilo le tensioni tangenziali σzs circolano nello stesso senso del momento torcente applicato, orario
o antiorario). La verifica è lasciata come esercizio.
74 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.24: Esempio di profilo sottile soggetto a torsione: σzy e σzx

Figura 6.25: Esempio di profilo “più” sottile soggetto a torsione


6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 75

A partire da eq.(6.39), si può quindi applicare eq.(6.35) per ottenere che la rigidezza a torsione è
semplicemente la somma delle rigidezze dei singoli rettangoli:
1X
Jt = Li h3i
3 i

Nel caso della sezione di Figura 6.23 (i profili hanno spessore costante h), siccome i tre rettangoli
costituenti hanno tutti la stessa lunghezza:
1 4
Jt = (2L × h3 + L × h3 + L × h3 ) = Lh3
3 3
da cui:
Mt
τ=
Lh2
Si osservino le Figure 6.24-6.25 dove sono plottate le componenti σzy e σzx (è un utile esercizio individuare
quali siano σzy e σzx prima di leggere la didascalia). Nel primo caso i profili non sono “sottili”, ma
l’approssimazione vale con ragionevole accuratezza lontano dagli spigoli.

6.4.7 Profili chiusi


Si consideri adesso un profilo sottile chiuso, come nella Figura 6.26. Come per i profili sottili aperti
la sezione è completamente definita dalla linea media e dallo spessore h(s), dove s è una coordinata
curvilinea definita lungo la linea media. Si calcoli la tensione sulla sezione di normale ez , ricordandosi
che le uniche componenti di sforzo non nulle sono σxz e σyz :

t = σ · ez = σxz ex + σyz ey

Figura 6.26: Esempio di profilo sottile chiuso

Basandosi sulla analogia idrodinamica, si può ipotizzare che gli sforzi di taglio siano diretti come la linea
media e indipendenti dalla posizione lungo lo spessore. Cioè, se p indica la tangente alla linea media della
sezione:
t = τ (s)p(s)
In particolare le componenti di σ sono legate a τ dalle relazioni:

σzx = τ px σzy = τ py
76 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Per un dato valore della coordinata curvilinea s, la quantità:


Z h/2
q= τ ds = τ (s)h(s)
−h/2

viene definita flusso delle tensioni tangenziali. Si dimostra che q non dipende da s, cioè si mantiene
costante lungo tutta la linea media. Infatti, si consideri la porzione di profilo sottile indicata nella Figura
6.26 e si imponga la condizione necessaria di equilibrio che la risultante delle forze in direzione z si annulli.
Gli sforzi σzx e σzy sulle due superfici di normale ±ez sono ortogonali a z. La superficie interna ed esterna
sono scariche e quindi rimangono da considerare solo le due superfici A1 ed A2 , di normali n(s1 ) = −p(s1 )
e n(s2 ) = p(s2 ) (le superfici A1 ed A2 sono, per costruzione, ortogonali alla superficie media). La tensione
esercitata sulla superficie A2 è (le uniche componenti di σ sono σzx , σzy ):

σ · n(s2 ) = (σzx px + σzy py )ez = τ (p2x + p2y )ez = τ (s2 )ez


Si osservi che sulla superficie A2 lo sforzo ha lo stesso valore (τ ) che sulla superficie di normale ez che
converge sullo stesso spigolo. Questo risultato era atteso, per la simmetria del tensore degli sforzi. Infatti,
in un sistema di riferimento s, n, z dove s è un asse diretto come la tangente ed n completa la terna, τ
rappresenta la componente σzs = σsz .
In maniera simile, la tensione esercitata sulla superficie A1 è:
σ · n(s1 ) = −τ (s1 )ez
L’equilibrio in direzione z impone quindi:
τ (s1 )h(s1 ) = τ (s2 )h(s2 ) → q(s1 ) = q(s2 )
Si calcoli adesso il momento di questa distribuzione di sforzi rispetto al baricentro della sezione. La sola
componente non nulla è quella diretta come z, cioè il momento torcente. Considerando il caso di spessore
molto piccolo ed indicando con A l’area racchiusa dalla linea media:
Z Z
M = x ∧ h(s)τ (s)p(s) ds = q x ∧ p(s) ds

Il vettore x ha una componente x · n diretta come n ed una diretta come p che però sparisce nel prodotto
vettore con p e quindi:
x ∧ p = (x · n)n ∧ p = (x · n)ez
da cui il momento torcente è, indicando con A l’area della sezione racchiusa dalla linea media:
Z Z
Mt = q x · nds = q divx dA = 2Aq
A
e
Mt 1
τ (s) =
2A h(s)
che è nota come formula di Bredt.
Si ricorda che la relazione Mt = µJt β è sempre valida, con Jt fornito dalla eq.(6.35), da cui:
4A2
Z
1
Jt = con ρ = ds (6.40)
ρ h(s)
Se lo spessore è costante ed L è la lunghezza della linea media:
h
Jt = 4A2 (6.41)
L

6.4.8 Esercizio
Si paragoni il comportamento di due profili sottili, uno chiuso e uno aperto, soggetti a un momen-
to torcente di 250 kNm. Si vuole calcolare il massimo valore di τ e l’angolo di rotazione. Sia µ =
80000 N/mm2 .
6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 77

Figura 6.27: Paragone tra profili chiusi ed aperti

Caso profilo aperto


Calcolo di Jt . Si sfrutta la simmetria tra parte superiore e parte inferiore:
1
2 × 980 × 303 + 2 × 770 × 203 = 2.1746×107 mm4

Jt =
3
Siccome t(Mt ) = (Mt /Jt )h si hanno due valori distinti per i profili verticali:
2
τV (Mt ) = 229.9 N/mm
e per i profili orizzontali:
2
τH (Mt ) = 344.9 N/mm
Infine, la rotazione per unità di lunghezza β vale:
Mt
β= = 1.436×10−4 rad/mm
µJt

Caso profilo chiuso

A = 980 × 700 = 7.546×105 mm2


Mt
q= = 165.65 N/mm
2A
Si hanno ancora due valori distinti per i profili verticali:
2
τV (Mt ) = 8.28 N/mm
e per i profili orizzontali:
2
τH (Mt ) = 5.52 N/mm
Calcolo di Jt :
4A2
Jt = = 1.6002×1010 mm4
2(980/30 + 770/20)
La rotazione per unità di lunghezza β vale:
Mt
β= = 1.953×10−7 rad/mm
µJt

6.4.9 Osservazione
Caso di profili chiusi con più circuiti chiusi. Trattato in corsi avanzati, e.g. ponti.
78 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.28: Profilo chiuso o aperto? Quali sforzi sono plottati?

Figura 6.29: Profilo chiuso o aperto? Quali sforzi sono plottati?


6.4. CASO FONDAMENTALE: TORSIONE 79

Figura 6.30: Profilo aperto. Lunghezza di estinzione elevata. Spostamento sz


80 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

6.5 Caso fondamentale: taglio


Sulla sezione di estremità in z = 0 è applicata una distribuzione di forze tangenziali equipollenti alla forza
F 0 = −Tx ex − Ty ey applicata nel baricentro.
In z = L, per equilibrio, le forze applicate devono essere equipollenti alla forza F L = Tx ex + Ty ey nel
baricentro e alla coppia C L = Ty Lex − Tx Ley .

Figura 6.31: Caso fondamentale del taglio

Nella generica sezione in z i momenti risultano dunque Mx = Ty z e My = −Tx z per cui lo sforzo σzz
vale:
Ty Tx
σzz = zy + zx (6.42)
Jx Jy
mentre σzx e σzy sono determinate dal problema:
∂σzy ∂σzx Tx Ty
− = ν̄(− y + x) + c su S (6.43)
∂x ∂y Jy Jx
∂σzx ∂σzy Tx Ty
+ =− x− y su S
∂x ∂y Jy Jx
σzx nx + σzy ny = 0 su ∂S

Sulla sezione di estremità z = L la distribuzione di σzx e σzy deve inoltre rispettare la condizione:
Z
0= (σzy x − σzx y) dA
A

Il problema è di difficile soluzione nel caso generale. Si usano metodi metodi numerici o soluzioni
approssimate.

6.5.1 Centro di taglio


Si consideri la sezione a C della Figura 6.32. Essa è soggetta, sulla superficie superiore A0 , a un taglio
Ty applicato nel baricentro ed è incastrata alla base. Gli assi x, y baricentrici sono principali di inerzia
e quindi ci si attenderebbe una flessione retta della trave. Appare invece evidente che la trave si torce,
oltre ad inflettersi. Inoltre, a destra della Figura 6.32 sono plottati gli sforzi σzx che hanno l’andamento
tipico della torsione appena analizzata.
Appare naturale chiedersi se esiste un punto particolare xC della sezione, detto centro di taglio, tale che
se gli sforzi di taglio sono equipollenti ad una forza passante per tale punto le sezioni non subiscono
6.5. CASO FONDAMENTALE: TAGLIO 81

Figura 6.32: Flessione e torsione di una sezione a C soggetta a taglio baricentrico

“rotazioni” relative tra loro nel senso definito nel Capitolo della torsione. La formalizzazione di questa
osservazione non è univoca ed in effetti esistono varie definizioni di centro di taglio. Nel seguito si adotterà
un approccio basato sul PLV.
Sia A un problema di puro taglio in cui le azioni esterne applicate sulle sezioni sono quelle indicate nel
paragrafo precedente, con la sola differenza che gli sforzi di taglio sono equipollenti ad una forza applicata
nel punto di coordinate xC , yC (il centro di taglio) per ora non meglio individuato.
Sia B un problema di pura torsione definito sullo stesso cilindro, con azioni esterne applicate sulle sezioni
equipollenti alle coppie ±MtB ez . In particolare il campo di spostamento sB avrà la forma eq.(6.31) e solo
B B
le componenti σzx e σzy sono diverse da zero.
Se come campi statici si scelgono quelli B e come cinematici quelli di A, Il PLV afferma che Le = Li , dove
Le è il lavoro fatto dalla forze del sistema B sugli spostamenti del sistema A. Anche se risulta difficile
esprimerlo analiticamente perché non si conosce la forma del campo di spostamenti sA , intuitivamente
è possibile associare il lavoro esterno al prodotto della coppia MtB per la rotazione media θB tra le due
sezioni di estremità. Imporre il lavoro esterno nullo implica quindi, in un certo senso, imporre che la
rotazione media θB sia nulla. L’equazione da imporre è quindi:
Z Z
B A A B
Li = σij εij dV = σij εij dV = 0
V V
B A
In effettiσij εij = Cijk` εB A
k` εij
che è uguale a A B
σij = Cijk` εA
εij B
k` εij . Si dirà che il centro di taglio è quel
particolare punto tale che se la forza equipollente alle tensioni tangenziali è applicata in esso il lavoro
interno è nullo.
Poichè la torsione prevede solo εxz e εzy (indipendenti da z), le uniche componenti che interessano di
σ A sono quelle con gli stessi indici, che non dipendono mai, in DSV, da z. Quindi basta imporre che
l’integrale sulla sezione di annulli:
Z
A B A B

Li = 2 σzx εzx + σzy εzy dA = 0
A
82 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

che è equivalente ad imporre:


Z     
A ∂ψ A ∂ψ
σzx − y + σzy +x dA = 0
A ∂x ∂y

Poichè il taglio è applicato nel centro di taglio xC :


Z
A A

−σzx y + σzy x dA = Ty xC − Tx yC
A

mentre:
Z  
A ∂ψ A ∂ψ
σzx + σzy dA
A ∂x ∂y
!
A A
∂σzy
Z   Z
∂ A
 ∂ A
 ∂σzx
= σzx ψ + σzy ψ dA − ψ + dA
A ∂x ∂y A ∂x ∂y

Il primo termine a secondo membro è nullo. Lo si deduce applicando il teorema della divergenza e le
condizioni condizioni al contorno. Il secondo termine, usando le equazioni indefinite di equilibrio:
!
A A
∂σzy ∂σ A
Z Z Z Z
∂σzx Tx Ty
− ψ + dA = ψ zz dA = xψdA + yψ dA
A ∂x ∂y A ∂z Jy Jx

Sommando i due contributi:


 Z   Z 
1 1
Li = Ty xC + ψy dA + Tx −yC + ψx dA
Jx A Jy A

che si annulla se e solo se:


Z Z
1 1
xC = − ψy dA, yC = ψx dA (6.44)
Jx A Jy A

Esercizio. Mostrare che si può giungere alla stessa conclusione partendo dal termine di lavoro esterno:
Z Z
Le = tB s
i i
A
dA = tA B
i si dA
∂V ∂V

espresso come lavoro delle forze del sistema A sugli spostamenti del sistema B. Il campo di spostamenti
dovuto alla torsione è:
sB
x = −βzy sB
y = βzx sB
z = βψ(x, y)

In z = 0 tA z = 0 perchè qui il momento è nullo. Quindi il contributo della sezione z = 0 al lavoro esterno
è nullo. Il contributo della sezione in z = L è:
Z
A A A

β σzz ψ − Lσzx y + Lσzy x dA
A

Ma: Z  Z Z 
A Tx Ty
σzz ψ dA = L ψx dA + ψy dA
A Jy A Jx A
e Z
A A

−σzx y + σzy x dA = Ty xC − Tx yC
A

da cui, imponendo l’annullarsi del lavoro esterno, si ottiene la stessa conclusione di prima.
6.5. CASO FONDAMENTALE: TAGLIO 83

Figura 6.33: Taglio della parte di cilindro compresa tra z1 e z2

6.5.2 Trattazione approssimata alla Jourawsky


Si assume che venga applicato solo il taglio Ty e quindi Tx = 0. Si immagini di considerare la porzione
di cilindro compresa tra le coordinate z1 e z2 e di tagliarla inoltre secondo il piano della Figura che è
parallelo all’asse z. Si introduce un sistema di riferimento n, s, z in cui n è diretto come lo spigolo tra A2
ed A3 . L’asse s definisce per convenzione un lato positivo nella sezione, rispetto al taglio effettuato.
Su di una superficie di normale ez sono applicati le tensioni t = σxz ex +σyz ey +σzz ez , ovvero t = τ +σzz ez ,
dove τ = σxz ex + σyz ey è la parte del vettore t giacente nel piano della superficie. Sulla superficie A2 :

t = τ + σzz (z2 )ez

Sulla superficie A1 :
t = −τ − σzz (z1 )ez
Se es indica il versore di s, la componente di τ in direzione es è σzs = τ · es . Le tensioni esercitate sulla
superficie A3 sono:

t = −σ · es = −(σzx esx + σzy esy )ez = −(τ · es )ez = −σzs ez

Si osservi la Figura 6.34 di sinistra. Per la simmetria del tensore di sforzo σzs rappresenta anche le forze
su di una superficie di normale z in direzione s, come disegnato.
Per il postulato dell’equilibrio deve valere la condizione necessaria di equilibrio Rz = 0. Indicando con
A+ la superficie A2 (uguale ad A1 ) e con h la lunghezza dello spigolo:
Z Z h
(σzz (z2 ) − σzz (z1 )) dA = (z2 − z1 ) σzs d`
A+ 0

Si osservi la notazione utilizzata: A+ indica la superficie dalla parte delle s positive; A− indicherà la
superficie dalla parte delle s negative.
Questa relazione è valida per qualunque scelta del taglio e di z2 −z1 e quindi, al limite, anche per z2 → z1 :
Z h Z
∂σzz
σzs d` = dA
0 A+ ∂z
84 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Se con σ̄zs si intende il valor medio di σzs , allora:


Z
Ty +
hσ̄zs = S , S+ = y dA (6.45)
Jx A+

Figura 6.34: Convenzioni e segni

Poichè il momento statico di tutta la sezione è nullo (il sistema di riferimento è baricentrico), indicando
con S − il momento statico dell’area A− si ottiene anche (Figura 6.34):
Z
Ty
hσ̄zs = − S − , S− = ydA (6.46)
Jx A−

Infatti S + + S − = 0.
Queste relazioni sono esatte. Si ricorda che le convenzioni assunta fanno sı̀ che, se σ̄zs risulta positiva ha
la direzione indicata in Figura 6.34, quindi diretta nel verso delle s crescenti.

Espressione generale. Se sono presenti sia Tx sia Ty , ripetendo separatamente la procedura appena
descritta per i termini si ottiene:
Ty + Tx +
hσ̄zs = S + S (6.47)
Jx x Jy y
Z Z
Sx = ydA Sy+ = xdA
A+ A+

Esercizio. Arrivare alla stessa conclusione a partire dall’equazione di equilibrio:


∂σzx ∂σzy ∂σzz
+ + =0
∂x ∂y ∂z
integrata sulla superficie A1 . Utilizzare il teorema della divergenza.

6.5.3 Sezioni piene simmetriche e simmetricamente sollecitate


Sia y asse di simmetria per la sezione. Spesso si accetta l’approssimazione che lo sforzo σzy sia pari al
suo valor medio σ̄zy .
Ty Sx+ (y)
σzy =
Jx h(y)
6.5. CASO FONDAMENTALE: TAGLIO 85

Accettando questa ipotesi, si vuole adesso calcolare σzx . Dalle equazioni di equilibrio:

∂σzx ∂σzy ∂σzz ∂σzy Ty


=− − =− − y
∂x ∂y ∂z ∂y Jx

Però:
L
∂Sx+
Z
Sx+ (y) = th(t)dt → = −yh(y)
y ∂y
dove h indica la larghezza della Sezione. Quindi:

1 ∂Sx+ S + ∂h S + ∂h
   
∂σzy Ty Ty
= − − x2 = −y − x2
∂y Jx h ∂y h ∂y Jx h ∂y

e quindi:
∂σzx ∂σzy Ty Ty Sx+ 1 ∂h 1 ∂h
=− − y= = σzy
∂x ∂y Jx Jx h h ∂y h ∂y

Figura 6.35:

Per rispettare le condizioni al contorno e la simmetria l’unica espressione possibile è:


x
σzx = −2σzy tanα
h
poiché ∂h/(∂y) = −2 tanα.

Esercizio. Mostrare che le distribuzioni di σzx e σzy ricavate sono equipollenti a Ty ey . In particolare
mostrare che Tx = Mt = 0.

6.5.4 Profili sottili: distribuzione di sforzi


Profilo sottile di spessore h(s). Come indicato nella Figura 6.36 la coordinata s è diretta come la linea
media (ortogonale al piano di taglio!) ed n è ortogonale alla linea media. La formula di Jourawsky 6.47
fornisce un’approssimazione molto ragionevole per σzs .
Le σzn non sono nulle a priori. Equazione equilibrio:

∂σzs ∂σzn ∂σzz


+ + =0
∂s ∂n ∂z
da cui:
∂ 2 σzn ∂ 2 σzs ∂ 2 σzz
= − − =0
∂n2 ∂s∂n ∂z∂n
86 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.36: Sforzi di taglio per sezione sottile

perché σzs non dipende da n e σzz è bilineare. Quindi σzn è quadratica, ma si deve annullare sulle pareti
del profilo sottile se lo spessore è costante (per la condizione di equilibrio sulla parete laterale σ · n = 0).
È in genere trascurabile. Si assume quindi per ipotesi che, in un profilo sottile, σzn = 0 e σzs è pari al
valore medio predetto dalla formula di Jourawsky:

Ty + Tx +
hσzs = S + S (6.48)
Jx x Jy y
Z Z
Sx+ = ydA Sy+ = xdA
A+ A+

Se σzs è positiva risulta diretta come l’ascissa s, altrimenti è equiversa.

6.5.5 Esempio
Si consideri la sezione a profili sottili a C di Figura 6.36 soggetta ad un taglio Ty applicato nel baricentro.
Il sistema di riferimento è principale.
La formula approssimata di Jourawsky prevede:
Z
Ty +
hσzs = Sx Sx+ = ydA
Jx A+

per cui è necessario calcolare la distribuzione di Sx+ e Jx .

1 8
Jx = h8L3 + 2L3 h = hL3
12 3
Si ricordi che Sx+ indica il momento statico della porzione A+ di profilo “al di sopra del taglio”, per cui
si deve definire chiaramente cosa si intende con questa dicitura. Per ogni rettangolo della sezione si fissa
arbitrariamente un verso positivo di percorrenza e si definisce un’ascissa curvilinea crescente in questo
senso (vedere Figura 6.37).
Si fissa poi un punto della sezione in cui si vuole calcolare σzs . Si taglia il profilo in questo punto
in direzione ortogonale alla linea media. La sezione viene divisa in due porzioni dette A+ e A− . Per
convenzione si dirà che A+ è la parte di profilo che giace dalla parte del verso positivo di percorrenza del
6.5. CASO FONDAMENTALE: TAGLIO 87

Figura 6.37: Schema per il calcolo dei momenti statici

profilo tagliato. Se le convenzioni appena introdotte vengono rispettate, la formula di Jourawsky fornisce
σzs che è positiva se è concorde con il verso di percorrenza positivo.
Si consideri il profilo 1 della Figura 6.36. Si fissa l’ascissa curvilinea s come indicato in Figura 6.37, con
s nulla nell’estremo di sinistra.
Allora, con l’approssimazione a profili sottili:
Z Z L
(1)+
Sx (s) = y dA = h Ldt = hL(L − s) 0<s<L
A+ s

In particolare nello spigolo vale hL2 .


Si consideri il profilo 2 (anima verticale) e si fissi un’ascissa curvilinea s secondo il riferimento indicato
in Figura 6.37, con origine in y = 0. Il momento statico è dato dalla somma del momento statico della
parte orizzontale (che è già stato calcolato) più il contributo della parte verticale :
Z L
L2 − s2
Sx(2)+ (s) = hL2 + h tdt = hL2 + h −L<s<L
s 2
Infine, per il profilo 3 :
Z L
Sx(3)+ (s) = hL2 + h −Ldt = hLs 0<s<L
s

L’espressione di σzs è quindi:


(i)+
(i) Ty Sx
σzs =
Jx h
Si osserva che σzs è lineare sulle piastre orizzontali e parabolico sull’anima verticale. In particolare il
valore massimo nell’anima verticale è:
3 1
max σzs = Ty
8 hL
e si sviluppa in mezzeria. È immediato verificare la regola generale secondo cui:
∂Sx+
= −hy(s)
∂s
Tale regola sarà molto utile nel tracciare l’andamento qualitativo di Sx+ .
88 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.38: Sforzi di taglio per sezione a C

6.6 Profili sottili: centro di taglio e momento torcente di tra-


sporto
Su ogni profilo rettangolare lo sforzo di taglio σzs è diretto come la linea media, e quindi la distribuzione
di sforzi è equipollente ad una forza diretta come la linea media ed applicata in un punto qualunque della
linea media stessa. Se V è la lunghezza del profilo, la risultante vale:
Z V Z V
Ty
hσzs (s)ds = Sx+ (s)ds
0 Jx 0

Si vogliono calcolare i valori di queste risultanti adottando una tecnica particolare. Sia f (s) un polinomio
lineare. Allora si dimostra che: Z V
V
f (s)ds = (f (0) + f (V ))
0 2
Se invece f (s) è un polinomio quadratico:
Z V
V
f (s)ds = (f (0) + 4f (V /2) + f (V ))
0 6

Applichiamo questo formule all’anima verticale dove S + è quadratico:


 
3Ty 2L 3 2
R(2) = hL2 + 4 × hL + hL2 = Ty
8hL3 6 2

Per le piastre orizzontali invece:


3Ty L 3
R(1) = R(3) = hL2 + 0 =

3
Ty
8hL 2 16
6.6. PROFILI SOTTILI: CENTRO DI TAGLIO E MOMENTO TORCENTE DI TRASPORTO 89

Figura 6.39: Calcolo del centro di taglio per il profilo a C

In pratica se l’andamento degli sforzi è lineare basta calcolare i valori del momento statico agli estremi.
Se è quadratico serve conoscere anche il valore in mezzeria.
Questa distribuzione di sforzi è equipollente a una forza applicata in punto particolare. Se si calcola ad
esempio il momento rispetto alla mezzeria dell’anima verticale si ottiene −(3/8)LTy , da cui risulta che
la distribuzione di sforzi previsti dalla formula di Jourawsky è equipollente ad una forza applicata alla
sinistra dell’anima verticale a distanza: 3L/8.
Il procedimento è stato sviluppato nell’ipotesi che vi sia solo un taglio Ty .

Figura 6.40: Taglio Tx . Distribuzione di sforzi e centro di taglio

In presenza anche di un taglio Tx si dovrebbe applicare la (6.48):

Tx Sy+
σzs =
Jy h
In pratica risulta spesso operativamente più semplice “ruotare” la sezione come indicato nella Figura 6.40
di modo che il taglio Tx diventi verticale. I calcoli richiesti diventano quindi identici a quelli svolti per un
taglio Ty , in particolare per il momento statico Sy+ per cui valgono tutte le regole ricavate, sostituendo
alla coordinata y la x. Per esercizio si verifichi che la distribuzione di σzs è quella indicata. In particolare,
data la simmetria, la distribuzione di sforzi di taglio previsti dalla formula di Jourawsky è equipollente a
una forza applicata nella mezzeria del lato lungo.
90 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Formalizzando le osservazioni precedenti si introduce la definizione di centro di taglio per un profilo sottile
soggetto a una forza di taglio T = Tx ex + Ty ex .

Definizione di centro di taglio. Il centro di taglio è quel punto del piano in cui è applicata la forza
T equipollente alla distribuzione di sforzi previsa dalla formula di Jourawsky.

Spesso viene richiesto di analizzare una sezione assoggettata ad un taglio applicato applicato in un punto
preciso della sezione, ad esempio nel baricentro. Per poter determinare lo stato di sforzo indotto dalla
forza la si trasporta nel centro di taglio aggiungendo per equipollenza un momento torcente Mt , detto
momento di trasporto:

Mt ez = (xG − xT ) ∧ T = 0 (6.49)

Ad esempio, nel caso di taglio verticale: Mt = (xG − xC )Ty . Il taglio nel centro di taglio induce lo stato
di sforzo uniforme sullo spessore dato dalla formula di Jourwasky (6.48); il momento torcente Mt fornito
dalla (6.49) genera uno sforzo σzs a farfalla sullo spessore dato dalla formula della torsione discussa nella
sezione 6.4.6.
Lo stato di sforzo σzs totale sarà quindi la somma dei due contributi.

Osservazione. In particolare la definizione appena data di centro di taglio si applica solo a profili sottili
aperti e coincide in tal caso con la definizione più generale data nelle sezioni precedenti.
Si calcoli infatti il lavoro interno Li dovuto ai due sistemi A e B utilizzando la soluzione di Jourawsky
per taglio. Se si utilizza un sistema di riferimento s, n, z con s allineato alla linea media:
Z
A B

Li = σzs εzs dA
A

A
Ma Jourawsky prevede che σzs sia costante sullo spessore, mentre εB
zs è a farfalla per la soluzione della
torsione. Quindi il lavoro mutuo è automaticamente nullo.

6.7 Energia di deformazione


L’energia di deformazione Ω è data dalla somma di un contributo flessionale e di un contributo a taglio.
Z L Z Z
1 2 1 2 2
 
Ω = ΩF + ΩT = σzz dA + σzx + σzy dA dx
0 2E A 2µ A
Si consideri per semplicità solo il caso di una sezione rettangolare piena soggetta a taglio Ty applicato
nel baricentro (che coincide con il centro di taglio):
Z  + 2 !
T2
Z
ΩT 1 2 1 Sx
= σ dA = dA
L 2µ A zy 2µ Jx2 A h

L’integrale tra parentesi dipende solo dalle caratteristiche geometriche della struttura. Si può scrivere:
2
Sx+
Z 
ΩT 1 T 1 1
= T , con = 2 dA
L 2 µA? A? Jx A h

dove A? è un’area “corretta”, che nel caso della sezione rettangolare risulta A? = (5/6)A. È allora uso
comune introdurre lo scorrimento medio t:
T
t=
µA?
tale che l’energia a taglio per unità di lunghezza sia:
ΩT 1
= Tt
L 2
6.7. ENERGIA DI DEFORMAZIONE 91

Figura 6.41: Inflessione pure di una trave soggetta a taglio applicato nel centro di taglio

In pratica se esistesse una sezione ideale di area A? con σzy costante (e quindi pari a T /A? ), la sua energia
di deformazione a taglio sarebbe
ΩT 1 T 1
= T = Tt
L 2 µA? 2
e quindi pari alla energia di deformazione delle sezione reale. È per questo che nella teoria delle travi
deformabili, che si ispira ai casi di Saint Venant, si adotta spesso l’approssimazione di assumere una
deformazione a taglio t costante pari a:
T
t=
µA?
92 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

6.8 Esercizi riassuntivi sul problema di Saint Venant


6.8.1 Pressoflessione sezione piena
Si consideri la sezione della Figura 6.42. Essa è soggetta alle azioni interne:
N = 86955 N, Mx = −478099 Ncm My = 277277 Ncm
dove Mx ed My sono momenti baricentrici, cioè rispetto ad assi passanti per il baricentro della sezione.
Si vuole calcolare il valore di σzz nel punto A di coordinate A = (0, 0).

Figura 6.42: Presso flessione

La sezione è analizzata geometricamente nella Appendice sulla geometria delle aree dove si ottiene che il
baricentro ha coordinate:
xG = 15.34 cm yG = 17.06 cm
i momenti principali di inerzia sono:
Ju = 161744 cm4 Jv = 66289.8 cm4
l’area vale A = 990 cm2 ed α = 21.49◦ .
Si calcolano dapprima le coordinate di A nel sistema principale (si ricorda che in particolare il sistema
principale è baricentrico!)
uA = (xA − xG ) cosα + (yA − yG ) sinα = −20.53 cm
vA = −(xA − xG ) sinα + (yA − yG ) cosα = −10.25 cm
ed inoltre:
Mu = cosαMx + sinαMy = (−4.4486×105 + 1.0158×105 ) Ncm
Mv = − sinαMy + cosαMy = (1.7516×105 + 2.5800×105 ) Ncm
Quindi:
N 2
σA (N ) = = 87.8333 N/cm
A
Mx Mx 2
σA (Mx ) = cosα vA + sinα uA = 82.4317 N/cm
Ju Jv
My My 2
σA (My ) = sinα vA − cosα uA = 73.4372 N/cm
Ju Jv
6.8. ESERCIZI RIASSUNTIVI SUL PROBLEMA DI SAINT VENANT 93

Si noti che σA (Mx ) indica il valore di σz z in A dovuta al solo momento Mx , mentre σA (My ) indica il
valore di σz z in A dovuta al solo momento My . Il valore totale di σA è:
2
σA = 243.7022 N/cm

6.8.2 Flessione-torsione profili sottili


Si consideri il profilo sottile della Figura 6.43. Esso è soggetto alle azioni esterne:

Mx = −38000 Ncm My = −4700 Ncm Mt = −750 Ncm

Si vogliono calcolare i valori di σzz e τ nel punto A (della linea media) di coordinate A = (6, 0). Per
il calcolo delle τ il punto A deve essere considerato sulla linea media del profilo orizzontale, a distanza
sufficiente dallo spigolo per applicare le formule approssimate.

Figura 6.43: Esempio di profilo sottile

La sezione è analizzata geometricamente nell’Appendice sulla geometria delle aree. Il baricentro ha


coordinate:
xG = 1.7124 cm yG = 3.4737 cm
I momenti principali di inerzia sono:

Ju = 66.4174 cm4 Jv = 18.9650 cm4

ed α = 26.35◦ .
Come nell’esempio precedente si devono calcolare le coordinate di A nel sistema principale:

uA = (xA − xG ) cosα + (yA − yG ) sinα = 2.3 cm


vA = −(xA − xG ) sinα + (yA − yG ) cosα = −5.01 cm

ed inoltre:

Mu = cosαMx + sinαMy = (−3.4051×104 − 2.0863×103 ) Ncm


Mv = − sinαMx + cosαMy = (1.6868×104 − 4.2116×103 ) Ncm
94 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Quindi:
Mx Mx 2
σA (Mx ) = cosα vA + sinα uA = 525.8664 N/cm
Ju Jv
My My 2
σA (My ) = sinα vA − cosα uA = 668.3330 N/cm
Ju Jv
ed il valore totale è:
2
σA = 1.1942×103 N/cm
Per quanto riguarda il momento torcente semplici calcoli portano a:
1X
Jt = Li h3i = 0.12823 cm4
3 i

Mt 2
τA = h = 1.169×103 N/cm
Jt
L’angolo di rotazione per unità di lunghezza risulta:
Mt
β= = 7.3111×10−4 rad/cm
µJt

6.8.3 Taglio e torsione profili sottili

Figura 6.44: Esempio di profilo sottile soggetto a torsione

Si consideri la sezione della Figura 6.44. Essa è soggetta alle azioni esterne:

N = 1.31×105 N Mx = 1.79×106 Ncm Mt = 4.52×104 Ncm Ty = 2.69×103 N

Si vuole calcolare il massimo valore di σ e di τ sull’anima verticale in prossimità del punto A.


Calcolo A ed xg :
A = 184.4 cm2 xg = 16.32 cm
6.8. ESERCIZI RIASSUNTIVI SUL PROBLEMA DI SAINT VENANT 95

da cui:
N 2
σ(N ) = = 710.4121 N/cm
A
Calcolo Jx :
1 1
Jx = 2(272 × (1 × 33) + 1.6 × 103 + 322 (1.6 × 10)) + × 1.6 × 543 = 1.0214×105 cm4
12 12
da cui:
Mx yA 2
σ(Mx ) = = 473.1562 N/cm
Jx
Calcolo effetto momento torcente. La τ massima si ottiene sul bordo della sezione:
Mt
τ (Mt ) = h
Jt
Calcolo di Jt :
2 3
1 × 33 + 1.63 × 10 + 1.63 × 27 = 123.0347 cm4

Jt =
3
da cui il massimo valore assoluto (sul bordo) della σzs da torsione vale:
2
τ (Mt ) = 587.8018 N/cm

Poichè il momento torcente è positivo le σzs sono dirette verso l’alto a destra della linea media e dirette
verso il basso a sinistra.
Calcolo Sx+ (in figura sono indicati i versi positivi delle ascisse su alcuni profili ed in particolare sul profilo
dove il punto A è situato):

Sx+ = 32 × 1.6 × 10 + 27 × 1 × 23 + 27 × 1 × 10 = 1403 cm3

Quindi il valore medio della τ da taglio vale:

Sx+ 1 2
τ (Ty ) = Ty = 23.0929 N/cm
Jx h
L’andamento qualitativo degli sforzi di taglio è indicato in Figura 6.45. Si sfrutta la simmetria e si
calcolano le risultanti solo nella parte superiore. Inoltre si vuole determinare la distanza del centro di
taglio dall’anima verticale per cui non serve calcolare la risultante in questo profilo.
Si comincia a calcolare i momenti statici indicati in Figura:

S1+ = 32 × 1.6 × 10 = 512 cm3


S2+ = S1+ + 27 × 1 × 23 = 1133 cm3
S3+ = 27 × 1 × 10 = 270 cm3
S4+ = S3+ + S2+ = 1403 cm3
S5+ = 34.5 × 1.6 × 5 = 276 cm3

Si noti che alcuni di questi momenti statici sono già stati calcolati per fornire Sx+ . È allora opportuno non
ripetere operazioni ed impostare i calcoli di Sx+ in modo da essere riutilizzabili in questa fase. Calcolo
delle risultanti dovute a taglio unitario:
10 2 1
R(1) = (0 + S5+ + S1+ ) = 0.0264 N
Jx 3 6
23 1 + 1 +
R(2) = ( S + S2 ) = 0.1852 N
Jx 2 1 2
10 1 +
R(3) = ( S + 0) = 0.0132 N
Jx 2 3
96 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.45: Calcolo centro di taglio

Il loro momento (e delle simmetriche sulla parte inferiore) è pari alla distanza del centro di taglio
dall’anima:
xC = 10 + 2(R(1) × 23 − R(2) × 27 + R(3) × 27) = 1.9256 cm
In coordinate baricentriche:
uC = xC − xG = −14.3944 cm
Se il taglio è applicato nel baricentro vuol dire che per trasportarlo nel centro di taglio si deve aggiungere
un momento torcente −Ty uC = 3.872×104 Ncm che fornisce:
2
τ (Ty , Mt ) = 503.5455 N/cm

che si somma a quello dovuto a Mt .


Riassumendo. I due contributi all’azione assiale sono:
2 N 2
σ(Mx ) = 473.1562 N/cm σ(N ) = = 710.4121 N/cm
A
per cui il valore totale dello sforzo normale è:
2
σ = σ(N ) + σ(Mx ) = 1.1836×103 N/cm

I tre contributi massimi allo sforzo tangenziale sono:


2 2 2
τ (Mt ) = 587.8018 N/cm τ (Ty , Mt ) = 503.5455 N/cm τ (Ty ) = 23.0929 N/cm

I primi due sono associati ad una distribuzione a farfalla “‘dello stesso segno” e quindi si sommano. Il
terzo è associato ad una distribuzione costante. Il massimo valore di σzs sullo spessore in A è quindi:
2
τ = τ (Mt ) + τ (Ty , Mt ) + τ (Ty ) = 1.1144×103 N/cm
6.8. ESERCIZI RIASSUNTIVI SUL PROBLEMA DI SAINT VENANT 97

Calcolo degli sforzi equivalenti:


p 2
σMises = σ 2 + 3τ 2 = 2264 N/cm
p 2
σTresca = σ 2 + 4τ 2 = 2523 N/cm

Calcolo degli sforzi principali. Certamente x è direzione principale con sforzo principale associato nullo.
Nel piano z, y si può costruire il cerchio di Mohr. I due punti per costruire il cerchio sono: A = (σ, −τ ),
B = (0, τ ). Risulta:
2 2
σI = 1853 N/cm σII = −670 N/cm

6.8.4 Diagramma qualitativo di σzs


Si consideri la sezione a profili sottili di Figura 6.46 soggetta ad un taglio Ty applicato nel baricentro.

Figura 6.46: Sforzi di taglio per sezione a T

Il sistema di riferimento è baricentrico. Lo spessore è uniforme. Si tracci in maniera qualitativa il grafico


degli sforzi di taglio σzs .
In un profilo orizzontale Sx+ è lineare in quanto la linea media è a coordinata y costante. In un profilo
inclinato (ed in particolare verticale) l’andamento è parabolico. Quando più profili convergono in un solo
profilo (ad esempio il 2 ed il 4 nel 6), nel punto di intersezione i momenti statici si sommano: ad esempio
il momento di 6 all’incrocio tra 2 e 4 è dato dalla somma dei momenti statici di 2 e 4. Se in un punto del
profilo non orizzontale y = 0 la tangente si annulla, in quanto la derivata di σzs è proporzionale a −y.
L’applicazione sistematica di queste regole permette di tracciare agevolmente il diagramma qualitativo
della Figura 6.46.

6.8.5 Centro di taglio


Si analizzi la sezione della Figura 6.47 con la schematizzazione a profilo sottile. Si calcoli la posizione del
centro di taglio.
98 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.47: Calcolo centro di taglio

Figura 6.48: Rotazione della sezione: avendo scelto A come polo, la distribuzione di σzs sui profili che
convergono in A non viene considerata
6.8. ESERCIZI RIASSUNTIVI SUL PROBLEMA DI SAINT VENANT 99

Per simmetria xC = 0. Si deve solo calcolare yC . Per calcolare yC si deve analizzare la risposta del
profilo a un taglio Tx = 1. Seguendo la strada pragmatica già commentata, si ruota il profilo come nella
Figura 6.48. Il momento di inerzia Jy vale:

1 4
Jy = 2 × (2L)3 h = L3 h
12 3
Si sceglie di calcolare il momento rispetto al punto A, per cui è necessario analizzare solo il profilo verticale
di sinistra. L’andamento di σzs è parabolico. Il momento statico è nullo agli estremi e in mezzeria vale:
1 2
Sy+ = L h
2
mentre la risultante è:
1 2L + 1
R= 4Sy =
Jy 6 2
Il momento rispetto ad A vale dunque −L, per cui il centro di taglio si trova a distanza L da A, alla
sinistra di A nella Figura 6.48. Quindi yC − yA = L.

6.8.6 Diagramma qualitativo di σzs e centro taglio


Si consideri la sezione a profili sottili di Figura 6.49 soggetta ad un taglio Ty applicato nel baricentro. Il
lato del quadrato è L. Lo spessore è h uniforme.
Si tracci in maniera qualitativa il grafico degli sforzi di taglio σzs .

Figura 6.49: Andamento sforzi di taglio

Anche se vi è il taglio in alto a destra, il sistema di riferimento x, y è baricentrico e principale. Risulta:


2 3
Jx = Jy = L h
3
Per calcolare il centro di taglio si osserva che, per simmetria, dovrà giacere sulla diagonale indicata. Basta
quindi calcolare xC . Se si usa il punto A come polo servono R(1) e R(2) che richiedono due momenti
100 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

statici, quello all’inizio del profilo (2) e quello in mezzeria a (1). Si ottiene:

1 3
R(1) = T, R(2) = T
8 8
per cui il centro di taglio si trova a sinistra di A, xA − xC = L/4

Figura 6.50: Geometria del profilo

6.8.7 Centro di taglio


Si consideri la sezione a profili sottili di Figura 6.50. Il lato del quadrato è L. Si calcoli la coordinata
verticale del centro di taglio.
Il baricentro si trova a distanza −L/6 in orizzontale dal centro del quadrato. Il sistema di riferimento
x, y baricentrico è principale. Risulta:
Jy = L3 h
Per calcolare la coordinata verticale del centro di taglio si inserisce un taglio orizzontale Tx e si ruota la
struttura come nella Figura 6.51. Si sceglie come polo il vertice in alto a sinistra. Servono solo quindi le
risultanti sui profili (1) e (2).
Servono i momenti statici nei tre punti indicati. Scelti i versi delle ascisse curvilinee come indicato nel
disegno risulta:
+ + hL2 + hL2
Sy1 = −hL2 , Sy2 =− , Sy3 = ,
24 6
La risultante R(1) è nulla. Quella R(2) vale Tx /2 verso sinistra, per cui la coordinata verticale del centro
di taglio rispetto al polo è L/2.

6.8.8 Sforzi di taglio e riferimento principale


Si consideri la sezione della Figura 6.14 con la schematizzazione a profilo sottile già analizzata nella
Sezione 6.3.9. Se il profilo è soggetto a un momento torcente Mt e a un taglio Ty applicato nel baricentro.
Si vuole determinare il valore dello sforzo di taglio σzs in D. A priori sappiamo che sarà dato dalla somma
di vari contributi: la distribuzione uniforme sullo spessore prevista dalla formula di Jourawsky come se
il taglio fosse applicato nel centro di taglio; la distribuzione a farfalla dovuta al momento torcente di
trasporto MtT ; la distribuzione a farfalla dovuta al momento torcente Mt ;
6.8. ESERCIZI RIASSUNTIVI SUL PROBLEMA DI SAINT VENANT 101

Figura 6.51: Andamento sforzi di taglio su due profili

Si comincia a calcolare il primo contributo. La formula di Jourawsky deve essere applicata nel riferimento
principale:
Ty Su+ S+
 
hσzs = √ + v
2 Ju Jv
Se l’ascissa curvilinea è rivolta verso l’estremo libero, il calcolo dei momenti statici fornisce, nel punto di
spigolo D:
+ 3 √ + L√
Su3 = −Lh × L 2 Sv3 = −Lh × 2
4 2
da cui:
67 Ty
σzs = −
180 Lh
Lo sforzo di taglio ha quindi il verso della freccia nel diagramma qualitativo di Figura 6.52.
Si vuole poi cercare il centro di taglio. Si deve lavorare nel sistema principale. In tale sistema la sezione
è simmetrica rispetto all’asse u e quindi vC = 0. Si determina ora uC . Per farlo si immagina di applicare
un taglio Tv = T e Tu = 0. Prendendo come polo l’intersezione dei due profili lunghi 2L, si calcola il
momento della distribuzione di sforzi. Contribuiscono solo i due profili di estremità e per simmetria i loro
contributi sono identici. Si considera solo il profilo inferiore. L’andamento di σzs h è parabolico e quindi
+ + +
è necessario calcolare i momenti statici ai due estremi (Su1 e Su3 ) e in mezzeria, Su2 . I primi sono uno
+
nullo e l’altro pari al momento Su3 già calcolato. L’ultimo vale:

+ Lh 5 √
Su2 =− × L 2
2 8
La risultante di σzs su questo profilo vale dunque (positiva se verso sinistra):

T L + +
 2
R= 0 + 4Su2 + Su3 = − T
Ju 6 15
102 CAPITOLO 6. IL PROBLEMA DI SAINT VENANT

Figura 6.52: Sforzi di taglio e calcolo centro di taglio

e genera il momento −2LR rispetto al polo. Considerando anche il profilo simmetrico il momento globale
è −4LR e la distanza lungo u del centro di taglio dal polo vale:

4 2
L
15
mentre la distanza dal baricentro è: √ √ !
3 2 4 2
uC = + L
4 15
Poiché il taglio Ty è applicato nel baricentro lo si deve trasportare nel centro di taglio, aggiungendo il
momento torcente di trasporto:
uC
MtT = −Ty √
2
Il momento torcente di trasporto genera una distribuzione di sforzi tangenziali a farfalla come il momento
torcente Mt , ma di segno opposto. È come se il profilo fosse soggette al momento torcente totale:
uC
Mttot = Mt + MtT = Mt − Ty √
2

Per effetto di Mttot gli sforzi sono distribuiti a farfalla ed il valore massimo, sul bordo, vale:

Mttot
τmax (Mttot ) = h, con Jt = 2Lh3
Jt
Parte II

Travi deformabili

103
Capitolo 7

Ipotesi e soluzioni “esatte”

Le tecniche della statica dei corpi rigidi falliscono, ad esempio, se applicate alla semplice struttura della
Figura 7.1. Quando le equazioni cardinali della statica non permettono di calcolare in maniera univoca
le reazioni vincolari, si dice che il problema è iperstatico.

Figura 7.1: Esempio di struttura iperstatica

Osservazione. Nell’esempio precedente il numero di vincoli con cui la trave è collegata a terra è mag-
giore dello stretto necessario per bloccare tutti i movimenti possibili. Se ad esempio si elimina il carrello,
la trave rimane ben vincolata. Si osservi ora però la struttura della Figura 7.2. Essa è vincolata a terra
con tre gradi di vincolo, ma le equazioni cardinali della statica non permettono comunque di calcolare in
maniera univoca il valore delle reazioni vincolari. Tale struttura è quindi ancora iperstatica. Al contempo
è anche mal vincolata cinematicamente, in quanto i vincoli non bloccano il movimento di traslazione in
direzione orizzontale. Un semplice conteggio dei vincoli non permette quindi in generale di stabilire se
una struttura è iperstatica.
Per poter risolvere questi ed altri problemi è necessario abbandonare l’ipotesi che i corpi siano rigidi ed
ammettere la possibilità che si deformino. Si affronta dunque nel seguito l’analisi dei sistemi di travi
deformabili utilizzando il Metodo della Linea Elastica ed il Metodo dei lavori Virtuali, rimanendo sempre
nell’ambito dell’ipotesi di trasformazioni infinitesime.

7.1 Geometria della trave


Nel piano x = 0 di un generica sistema di riferimento cartesiano si consideri una figura 2D simmetrica
rispetto al piano x − y (ad esempio una figura rettangolare, oppure una figura a T , o a I). Il baricentro
di tale figura coincida con l’origine degli assi.
Si immagini adesso di creare un solido 3D, detto trave, per estrusione lungo l’asse x (verso positivo) della
figura 2D considerata. La lunghezza della trave sia L. Le sezioni del solido ortogonali ad x vengono dette
semplicemente sezioni della trave. Nel seguito si indicherà spesso con A la generica sezione, mentre A0 e
AL indicheranno le sezioni in x = 0 ed x = L, rispettivamente.

105
106 CAPITOLO 7. IPOTESI E SOLUZIONI “ESATTE”

Figura 7.2: Esempio di struttura iperstatica e mal vincolata

Figura 7.3: Esempio di trave a sezione simmetrica e simmetricamente caricata

L’asse x viene anche detto asse della trave. Per origine della sezione si intende l’intersezione dell’asse
con la sezione stessa. Per costruzione l’origine della sezione coincide con il baricentro della stessa.

7.2 Ipotesi cinematiche


7.2.1 Campo di spostamento
Il generico punto M (di coordinate x, y, z) della trave viene identificato tramite il vettore posizione

x = xex + yey + zez

In base all’osservazione sperimentale si ipotizza che, per travi simmetriche rispetto al piano xy, sufficien-
temente snelle e caricate simmetricamente, il campo di spostamento infinitesimo sia della forma:
 
s(x) = u(x)ex + v(x)ey + ϕ(x)ez ∧ yey

= (u(x) − ϕ(x)y)ex + v(x)ey (7.1)

Si osservi che ciò corrisponde ad ipotizzare che ogni sezione della trave subisca uno spostamento rigido.
Si consideri infatti la sezione in x. Il vettore u(x)ex + v(x)ey rappresenta la traslazione rigida della sua
origine, mentre ϕ(x)ez ∧ (yey ) rappresenta una rotazione infinitesima attorno all’origine stessa (il punto
xex ). Le quantità u, v e ϕ vengono dette spostamenti generalizzati della trave.

Osservazione. Poiché le sezioni si muovono in maniera rigida, esse restano piane, anche se non neces-
sariamente ortogonali all’asse x. In particolare se:

ϕ(x) 6= v 0 (x)

la sezione non rimane perpendicolare all’asse.


7.3. CONDIZIONI DI EQUILIBRIO 107

Figura 7.4: Esempi di deformate possibili

Osservazione. La traslazione e la rotazione di una sezione dipendono dalla coordinata x, quindi il moto
della trave non è globalmente rigido. Il campo di spostamenti ammissibili è molto più ampio dell’insieme
dei moti rigidi infinitesimi che ne rappresenta effettivamente un sottoinsieme. Basta infatti scegliere
ϕ(x) = ϕ̄, u(x) = ū, v(x) = v̄ + ϕ̄x per ottenere il più generale campo di spostamenti rigido:

s(x) = ūex + v̄ey + ϕ̄ez ∧ (xex + yey + zez )

Osservazione. I campi u, v, ϕ devono rispettare le condizioni al contorno imposte dai vincoli. Ad


esempio, nel caso della Figura 7.1:
u(0) = 0, v(0) = 0, ϕ(0) = 0, v(L) = 0,
Altri esempi di condizioni al contorno verranno discussi nelle Sezioni successive.

7.2.2 Deformazioni e deformazioni generalizzate


Si calcolino ora le deformazioni associate al campo di spostamento eq.(7.1). Le uniche componenti di ε
non nulle sono:
εxx = u0 (x) − ϕ0 (x)y (7.2)
0
2εxy = v (x) − ϕ(x) (7.3)
Nella teoria delle travi è spesso uso introdurre le deformazioni generalizzate:
η(x) = u0 (x), (7.4)
t(x) = v 0 (x) − ϕ(x) (7.5)
χ(x) = ϕ0 (x) (7.6)
L’interpretazione del significato fisico è la seguente. La quantità η, detta deformazione assiale, rappre-
senta l’allungamento della linea d’asse. Il campo t rappresenta l’angolo tra la tangente alla linea d’asse
e la sezione della trave ruotata e viene detto scorrimento angolare. Infine χ è la variazione di angolo tra
sezioni per unità di lunghezza. Se la sezione resta ortogonale all’asse, χ rappresenta la curvatura della
linea d’asse (positiva se la concavità è verso l’alto); nel caso più generale la sua interpretazione fisica è
meno evidente.

7.3 Condizioni di equilibrio


7.3.1 Carichi applicati
Si consideri la Figura 7.5 dove una trave è rappresentata tramite il suo asse. La trave è soggetta a
carichi di superficie applicati sulle sezioni di estremità che sono equipollenti (relativamente ai rispettivi
108 CAPITOLO 7. IPOTESI E SOLUZIONI “ESATTE”

baricentri) alle forze a coppie indicate in Figura. Essa è anche soggetta a carichi di volume distribuiti.
Per una data sezione (quindi per x fissato), i carichi di volume sono equipollenti alle forze p(x) e q(x)
indicate in Figura, avendo usato come polo di riduzione il baricentro della generica sezione.

Figura 7.5: Carichi applicati sulla trave

7.3.2 Azioni interne ed equazioni indefinite di equilibrio


Si immagini di separare col pensiero la trave in due in corrispondenza della sezione in x. Le azioni
esercitate dalla parte di destra su quella di sinistra sono equipollenti (rispetto all’origine della sezione)
alle classiche azioni interne N, T, M che risultano legate alle componenti del tensore degli sforzi:
Z Z Z
N= σxx dA, M =− σxx y dA, T =− σxy dA (7.7)
A A A

Anche per le travi deformabili si ammette la validità del Postulato dell’Equilibrio introdotto nel capitolo
della Meccanica dei Solidi, che afferma che se un corpo deformabile è in equilibrio, le equazioni cardinali
della statica devono essere necessariamente rispettate per ogni sua parte.
Come noto dall’analisi dei sistemi di travi rigide, l’imposizione delle equazioni cardinali per una generica
porzione di trave porta a mostrare valgono necessariamente le equazioni indefinite di equilibrio:

N 0 (x) + p(x) = 0, (7.8)


0
T (x) + q(x) = 0, (7.9)
0
M (x) − T (x) = 0 (7.10)

Inoltre, sulle sezioni di estremità della trave le azioni interne devono essere in relazione con le forze e
coppie esterne su di esse applicate:

H0 = −N (0), V0 = T (0), W0 = −M (0), (7.11)


HL = N (L), VL = −T (L), WL = M (L) (7.12)

Osservazione. Poiché le equazioni di equilibrio (indefinite ed agli estremi) sono le stesse che per i
sistemi di travi rigide, sono ancora applicabili tutte le tecniche di calcolo delle reazioni vincolari e delle
azioni interne. Queste però non sono in generale sufficienti per determinare la soluzione del problema. Si
consideri ad esempio il problema della Figura 7.1. Se si indica con Y P la reazione iperstatica del carrello,
le reazioni a terra nell’incastro possono essere espresse in funzione di Y , ma le equazioni cardinali della
statica non permettono di determinare il vero valore di Y .

7.3.3 Configurazione deformata ed indeformata


Siccome la trave si è deformata e l’equilibrio sussiste nella configurazione deformata, le equazioni dovreb-
bero essere imposte nella configurazione deformata della trave. Una trattazione più complessa permette-
rebbe di dimostrare il risultato intuitivo seguente. Se la trasformazione subita dalla trave è infinitesima,
allora le equazioni possono essere imposte nella configurazione indeformata.
7.4. LEGGE COSTITUTIVA 109

7.4 Legge costitutiva


Dal confronto tra le espressioni delle deformazioni eq.(7.2) e (7.3) e le soluzioni dei problemi di Saint
Venant per la pressoflessione ed il taglio, appare naturale assumere la validità delle relazioni:
N (x) T (x) M (x)
η(x) = t(x) = − χ(x) = (7.13)
EA µA? EJ
In realtà si ricorda che il problema di Saint Venant assume per ipotesi l’assenza di forze di volume, mentre
in questa trattazione esse sono state introdotte. L’utilizzo delle soluzioni di Saint Venant in questo ambito
rappresenta dunque una approssimazione che la pratica ingegneristica rivela però del tutto accettabile.

Osservazione. Una rapida e parziale giustificazione delle relazioni sopra scritte si può ottenere nel
modo seguente. Assumendo che tra le componenti di sforzo con indici uguali solo σxx sia non nulla
(stessa ipotesi del problema di Saint Venant), il legame costitutivo lineare isotropo si riduce a:
σxx = E (εxx − α∆T ) σxy = 2µεxy = µt
che include anche l’effetto di una variazione termica ∆T (x, y). Inserendo queste relazioni nelle equazioni
(7.7), si ottiene:
Z Z
α
N= σxx dA = EA (η − ηT ) , ηT = ∆T dA
A A A
Z Z
α
M =− σxx y dA = EJ (χ − χT ) , χT = ∆T y dA
A J A
T = −µAt
poiché: Z Z
y dA = 0 y 2 dA = J
A A
A parte le deformazioni termiche, queste relazioni coincidono con quanto ipotizzato sulla base del pro-
blema di Saint Venant tranne che per l’area efficace A? . La differenza è dovuta all’ipotesi “semplicistica”
(assunta in questo capitolo) che la deformazione εxy sia costante sulla sezione. Si legga a tal proposito il
paragrafo 6.7.
Le variazioni di temperatura inducono elongazioni ηT e curvature χT della linea media. Se ad esempio
una trave subisce il riscaldamento uniforme ∆T , la sua deformazione assiale termica sarà ηT = α∆T .
Se invece una trave a sezione rettangolare (di altezza H) viene riscaldata in maniera differenziale, con
∆T variabile linearmente tra ∆TI sulle fibre inferiori e ∆TS sulle fibre superiori, oltre a subire una sua
deformazione assiale termica ηT = α(∆TI + ∆TS )/2, essa subirà anche una curvatura termica pari a
χT = α(∆TI − ∆TS )/H. Nelle applicazioni i contributi termici ηT e χT saranno sempre da considerare
assegnati.

Forma finale della legge costitutiva. Nel seguito si assumerà quindi la validità dei legami:
N (x) T (x) M (x)
η(x) = + ηT (x) t(x) = − χ(x) = + χT (x) (7.14)
EA µA? EJ

7.5 Esempi di soluzione


La legge di comportamento elastico discussa nel paragrafo precedente si esprime in funzione di deforma-
zioni generalizzate ed azioni interne:
N (x)
u0 (x) = + ηT (x), (7.15)
EA
T (x)
t(x) = v 0 (x) − ϕ(x) = − , (7.16)
µA?
M (x)
χ(x) = ϕ0 (x) = + χT (x) (7.17)
EJ
110 CAPITOLO 7. IPOTESI E SOLUZIONI “ESATTE”

Queste equazioni, associate alla opportune condizioni al contorno, permettono di risolvere direttamente
semplici strutture, come illustrato nei prossimi paragrafi.

7.5.1 Esempio
Si consideri dapprima la trave di lunghezza L della Figura 7.6, nel sistema di riferimento cartesiano x, y.
Si assume assenza di deformazioni termiche: ηT = χT = 0.

Figura 7.6: Esempio di applicazione

Le condizioni al contorno di tipo cinematico sono:

u(0) = 0, v(0) = 0, ϕ(0) = 0

Poiché l’azione assiale è assente, si ottiene subito che u(x) = 0. Dalla 7.16 si ha:

µA? (v 0 (x) − ϕ(x)) = −P (7.18)

su tutta la trave. Dalla 7.17:


1 2
EJϕ0 (x) = P x − P L, → EJϕ(x) = P x − P Lx + D
2
Dalle condizioni al contorno si ha subito D = 0, mentre dalla eq.(7.18), per integrazione, si ottiene v.
Infine:  2  3
x2
 
P x P x P
ϕ(x) = − Lx v(x) = − L − x
EJ 2 EJ 6 2 µA?
Il problema è quindi risolto. È però utile cercare di approfondire la relazione che intercorre tra ϕ e v 0 .
Dalla eq.(7.18) segue che:
P
v 0 (x) = ϕ(x) − (7.19)
µA?
Si osservi che la pendenza in L vale:
P L2
ϕ(L) = −
2EJ
quantità infinitesima. Quindi:
2EJ
P = ϕ(L)
L2
da cui si ottiene che:
P EJ
=2 ϕ(L) = 2βϕ(L)
µA? µA? L2
dove si è posto: β = EJ/(µA? L2 ). Per una trave in acciaio a sezione rettangolare di altezza H:
 2
H
β ' 0.26
L
7.5. ESEMPI DI SOLUZIONE 111

di modo che, se la trave è sufficientemente snella, β  1. In tal caso dalla eq.(7.19) si ottiene:

ϕ(x) − v 0 (x) = 2βϕ(L)  ϕ(L) → v 0 (x) ' ϕ(x) (7.20)

A rigore questo ragionamento non vale per una regione limitata presso l’incastro, che è però trascurabile
se la trave è sufficientemente snella.

7.5.2 Esempio
Si consideri la struttura iperstatica della Figura 7.7.

Figura 7.7: Struttura iperstatica: reazioni vincolari nella struttura resa isostatica

La procedura di soluzione prevede di eliminare un grado di vincolo (ad esempio il carrello a destra) sosti-
tuendolo con la sua reazione incognita (incognita iperstatica) Y qL. La struttura diventa cosı̀ isostatica e
può essere risolta con le tecniche classiche dei sistemi di corpi rigidi. Le azioni interne diventano (calcolate
sulla Figura 7.7):

N (x) = 0
T (x) = −(Y + 1)qL + qx
1 1
M (x) = Y + qL2 − (Y + 1)qLx + qx2
2 2
mentre le condizioni al contorno sono, a sinistra:

u(0) = 0, v(0) = 0, ϕ(0) = 0

mentre a destra:
v(L) = 0
Come nel caso precedente si ha u(x) = 0. Inoltre:

1 2 1 1
EJϕ(x) = Y + qL x − (Y + 1) qLx2 + qx3
2 2 6
e:  
1 µA? 11 2 2 1 1
µA? v(x) = (Y + 1)qLx − qx2 + Y + qL x − (Y + 1) qLx3 + qx4
2 EJ 2 2 6 24
112 CAPITOLO 7. IPOTESI E SOLUZIONI “ESATTE”

Dopo qualche passaggio necessario per imporre la condizione al contorno in x = L si trova che:
 
3 1 + 4β
Y =−
8 1 + 3β

e quindi, per β → 0, si trova Y = −3/8, che verrà poi riottenuto con il PLV. Dalle relazioni sopra scritte
si ottiene inoltre che, al limite β → 0:
 
0 1 5
v (x) = ϕ(x) − qx − qL (7.21)
µA? 8

Ci si occupa ora di stabilire l’entità del termine:



1 5 5 qL
qx − qL ≤
µA? 8 8 µA?

e di mostrare che questo termine è proporzionale a β e che quindi tende a zero per travi snelle. A questo
scopo si calcola la pendenza ϕ in L (ϕ è massima in tale punto), trovando:

qL3
ϕ(L) =
48EJ
Poichè vale l’ipotesi di trasformazioni infinitesime, necessariamente ϕ(L) = 1. Inoltre:

EJ qL
qL = 48 ϕ(L) → = 48βϕ(L)  ϕ(L)
L2 µA?
da cui, con ottima approssimazione si può affermare che, per travi snelle, anche in questo caso:

v 0 (x) ' ϕ(x) (7.22)


Capitolo 8

Metodo della linea elastica

Le osservazioni fatte negli esempi precedenti possono essere generalizzate a tutte le travi snelle formulando
il metodo della linea elastica. Per ipotesi si assume che la deformabilità a taglio sia trascurabile, per cui
M (x)
v 0 (x) = ϕ(x), → v 00 = + χT
EJ
Inoltre, in virtù di ragionamenti simili a quelli condotti sinora, la deformabilità assiale elastica può essere
trascurata e solo la deformabilità assiale termica risulta significativa:
N
' 0, u0 = ηT
EA
Le equazioni che governano il problema sono quindi:
u0 (x) = ηT (8.1)
M (x)
v 00 (x) = + χT (8.2)
EJ
Alle eq.(8.1) e (8.2) devono essere associate le opportune condizioni al contorno.

8.1 Esempio: deformata di strutture isostatiche


Si consideri adesso l’esempio della Figura 7.6. Poiché non vi è deformazione termica assiale lo spostamento
u è costante lungo l’asse ed in particolare è nullo a causa dell’incastro.
Il momento lungo la trave risulta:
M (x) = −P L + P x
da cui, per integrazioni successive:
EJv 00 (x) = −P L + P x
1
EJv 0 (x) = −P Lx + P x2 + C1
2
1 1
EJv(x) = − P Lx2 + P x3 + C1 x + C2
2 6
Le costanti C e D vengono imposte dalle condizioni al contorno sull’incastro. Infatti:
v(0) = 0 → C2 = 0
0
v (0) = 0 → C1 = 0
per cui la deformata risulta:  
P 1 1
v(x) = − Lx2 + x3
EJ 2 6
e coincide con il contributo flessionale calcolato nei paragrafi precedenti.

113
114 CAPITOLO 8. METODO DELLA LINEA ELASTICA

8.2 Esempio: iperstatiche


Si consideri ancora la struttura iperstatica della Figura 8.1 e si scelga come incognita iperstatica la coppia
dell’incastro.

Figura 8.1: Esempio di applicazione

Come per il PLV l’applicazione della linea elastica comincia con la riduzione ad isostatica della struttura.
Il momento lungo la trave risulta:
 
1 1
M (x) = −Y qL2 + Y − qLx + qx2
2 2

da cui, per integrazioni successive:


 
1 1
EJv 00 (x) = −Y qL2 + Y − qLx + qx2
2 2
 
1 1 1
EJv 0 (x) = −Y qL2 x + Y − qLx2 + qx3 + C1
2 2 6
 
1 1 1 1
EJv(x) = − Y qL2 x2 + Y − qLx3 + qx4 + C1 x + C2
2 6 2 24

Le costanti C e D vengono imposte dalle condizioni al contorno sull’incastro. Infatti:

v(0) = 0 → C2 = 0
v 0 (0) = 0 → C1 = 0

Il carrello impone v(L) = 0, da cui:


 
1 1 1 1 1
+ Y − − Y =0 → Y =−
24 6 2 2 8

8.3 Sistemi di travi. Osservazioni e convenzioni.


Si consideri un sistema isostatico di N travi. Per ciascuna trave valgono le eqs.(8.1)-(8.2) che, integrate,
introducono 3N costanti da determinare. Sono però presenti 3N gradi di vincolo che equivalgono a 3N
8.3. SISTEMI DI TRAVI. OSSERVAZIONI E CONVENZIONI. 115

relazioni cinematiche tra i campi ui e vi delle varie travi. Queste equazioni permettono di calcolare
le costanti. Se il sistema è iperstatico il numero di incognite aumenta per la presenza delle incognite
iperstatica, ma aumenta parimenti anche il numero di condizioni di vincolo.
Anche in questo caso conviene stabilire alcune convenzioni per la scrittura delle equazioni della linea
elastica per strutture più complesse. Per ogni trave si stabilisce un’origine ed un’ascissa curvilinea s
diretta lungo l’asse della trave stessa. I momenti verranno assunti positivi se tendono le fibre del lato su
cui si è disegnata la freccia che indica l’origine dell’ascissa s. Le curvature termiche saranno positive se
tendono le stesse fibre. Lo spostamento v ortogonale all’asse è positivo se diretto dalla freccia verso la
trave stessa.

8.3.1 Esercizio
Si consideri la struttura isostatica della Figura 8.2 priva di deformazioni termiche. Si vuole calcolare lo
slittamento ∆vC nel pattino C.

Figura 8.2: Struttura isostatica

Con la notazione della Figura:


∆vC = v2 (0) − v1 (L)
Si scrivono dapprima le condizioni al contorno in forma sintetica. In A:

u1 (0) = v1 (0) = 0

Il pattino in C impone:
u1 (L) = u2 (0) v10 (L) = v20 (0)
Il manicotto in B richiede:
v2 (L) = 0 v20 (L) = 0
Il momento è nullo sulla prima asta, mentre è pari a:

1
M2 (s) = − qs2
2
sulla seconda. Si ha dunque:

u01 = 0
u02 = 0
EJv100 = 0
1
EJv200 = − qs2
2
116 CAPITOLO 8. METODO DELLA LINEA ELASTICA

Lo spostamento assiale è nullo ovunque. Integrando due volte:

EJv1 (s) = C1 s + C2
1
EJv2 (s) = − qs4 + C3 s + C4
24
Dalla prima C2 = 0; dalla seconda C3 = C1 ; dalla quarta:

qL3
C3 =
6
ed infine dalla terza:
qL4 qL4 qL4
C4 = − + =−
6 24 8
Lo slittamento risulta quindi:
7 qL4
∆vC = v2 (0) − v2 (L) = −
24 EJ

8.3.2 Esercizio
Si consideri la struttura isostatica della Figura 8.3. Si vuole calcolare lo spostamento verticale a metà
dell’asta (2). Le travi hanno lunghezza b e rigidezza flessionale EJ. L’incasro A subisce un cedimento δ
verso il basso. Il carrello in C è appoggiato su di una molla di rigidezza lineare k. La trave (1) è soggetta
alla variazione termica indicata, che corrisponde a:
∆T ∆T
ηT = α , χT = −α
2 H
dove H è l’altezza della trave supposta a sezione rettangolare. La curvatura termica è negativa perché
tende le fibre di sinistra, mentre il momento è positivo se tende quelle di destra.

Figura 8.3: Struttura isostatica

La struttura è isostatica e le equazioni cardinali permettono di calcolare le reazioni vincolari, compresa


la forza VC trasmessa dalla molla a C: VC = qb/2.
Le condizioni al contorno legate all’incastro in A sono:

v1 (0) = 0
v10 (0) = 0
u1 (0) = −δ
8.3. SISTEMI DI TRAVI. OSSERVAZIONI E CONVENZIONI. 117

La cerniera in B impone che gli spostamenti delle due travi siano continui in B. Lo spostamento v2 (b) è
legato all’allungamento della trave (1), ovvero:

v2 (b) = u1 (b)

Lo spostamento assiale u2 (b) è invece legato allo spostamento v1 :

u2 (b) = v1 (b)

Lo spostamento verticale in C è legato alla deformazione della molla. Se la molla deve esercitare una
forza verso l’alto pari a VC sulla trave (2), allora deve essere compressa di modo che lo spostamento del
suo estremo sia:
VC
v2 (0) = −
k
Il momento è nullo sull’asta (1), mentre:

qb q
M2 (s) = s − s2
2 2
Si ha dunque:

u01 (s) = ηT
v100 (s) = χT
u02 (s) = 0
1  1 2 qb 
v200 (s) = − qs + s
EJ 2 2
Integrando si ottiene:

u1 (s) = ηT s + C1
1
v1 (s) = χT s2 + C2 s + C3
2
u2 (s) = C4
1  1 4 qb 3 
v2 (s) = − qs + s + C5 s + C6
EJ 24 12
Le condizioni in A impongono:
C1 = −δ, C2 = C3 = 0
Dal vincolo in C:
qb
C6 = −
2k
Infine, per i vincoli in B:
q 1 δ
C5 = − qb3 − + ηT
2k 24 b
Terminati i calcoli lo spostamento in mezzeria viene valutato come v2 (b/2):

5 qb4 qb δ b
v2 (b/2) = − − − + ηT
384 EJ 4k 2 2

8.3.3 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 8.4, priva di deformazioni termiche. Essa è iperstatica una volta. Se
infatti la molla torsionale viene sostituita con le coppie di modulo ±Y qb2 che questa esercita, le equazioni
cardinali della statica sono sufficienti a calcolare le reazioni vincolari, e quindi anche la forza che la
molla lineare in B deve esercitare sul carrello per mantenere l’equilibrio. Ai fini del calcolo delle reazioni
vincolari della struttura resa isostatica, la molla in B può essere sostituita con un vincolo fisso.
118 CAPITOLO 8. METODO DELLA LINEA ELASTICA

Figura 8.4: Esempio di applicazione

Scrittura delle condizioni al contorno in forma sintetica. In A:


qb3
u1 (0) = v1 (0) = 0, v10 (0) =
EJ
per la presenza di un incastro cedevole alla rotazione. Il pattino in C impone:

u1 (b) = u2 (0), v10 (b) = v20 (0)

Dalla cerniera in D:
u2 (b) = v3 (0), v2 (b) = −u3 (0)
mentre la molla in D lega le pendenze delle due aste:

Y qb2
v30 (0) − v20 (b) =
kD
come verrà spiegato nel seguito. Infine in B
VB 2qb
v3 (b) = 0 u3 (b) = =
kB kB
Infatti lo spostamento u3 (b) è legato all’accorciamento della molla dato da VB /kB
8.3. SISTEMI DI TRAVI. OSSERVAZIONI E CONVENZIONI. 119

Nella molla torsionale in D, se vengono applicate sulle travi due coppie Y qb2 , le travi ruotano relati-
vamente tra loro di un angolo dato da Y /kD . Il comportamento della molla torsionale è spiegato nella
Figura 8.5. Si immagini di “aprire” le aste (2) e (3) come indicato in Figura (ad esempio applicando
opportune coppie agli estremi). L’angolo retto compreso tra le aste aumenta della quantià v30 (0) − v20 (b)
positiva. La molla torsionale reagisce applicando le forze del disegno in mezzo, che corrispondono alle
coppie di destra. Tali coppie tendono le fibre interne delle aste e sono quindi positive.

Figura 8.5: Spiegazione della molla torsionale

Poiché (1) e (2) hanno deformazione assiale nulla le relazioni sopra scritte impongono v3 (0) = 0. Poiché
(3) ha deformazione assiale nulla v2 (b) = −u3 (0) = −u3 (b). Gli spostamenti assiali nelle prime due aste
sono invece nulli.
Il calcolo dei momenti permette di scrivere:
 
00 2 Y
2EJv1 (s) = 2qb 1 +
2
EJv200 (s) = qb2 (2 + Y ) − 2qbs
EJv300 (s) = Y qb2 − (Y + 1)qbs + qs2

Integrando due volte:

qb2
 
Y
EJv1 (s) = 1+ s2 + C1 s + C2
2 2
qb2 1
EJv2 (s) = (2 + Y )s2 − qbs3 + C3 s + C4
2 3
1 4 1 1
EJv3 (s) = qs − (Y + 1)qbs3 + qb2 Y s2 + C5 s + C6
12 6 2
Le condizioni al contorno, filtrati gli spostamenti assiali, diventano:

v1 (0) = 0
qb3
v10 (0) =
EJ
v10 (b) = v20 (0)
v3 (0) = 0
v3 (b) = 0
2qb
v2 (b) = −
kB
Y qb2
v30 (0) − v20 (b) =
kD
120 CAPITOLO 8. METODO DELLA LINEA ELASTICA

Risulta:
7 13 3 49 4 11 3
C1 = qb3 , C2 = 0, Y =− C3 = qb , C4 = − qb , C5 = qb C6 = 0
5 10 15 20
Si capisce dunque che, una volta scritte tutte le condizioni al contorno, queste devono essere espresse
in funzione degli spostamenti trasversali vi , sfruttando l’inestensibilità assiale delle aste (o comunque la
conoscenza di ηT ). Questa procedura può risultare eccessivamente lunga. Con l’esercizio risulta spesso
possibile scrivere le condizioni direttamente sugli spostamenti trasversali, senza nemmeno introdurre gli
spostamenti assiali ui .

8.3.4 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 8.6. Scrivere le condizioni al contorno in forma sintetica.

Figura 8.6: Esempio di applicazione

Si cercano in totale 7 condizioni al contorno. L’incastro in A impone:

v1 (0) = v10 (0) = 0

Il pattino in B impone alle aste (2) e (3) di avere la stessa tangente:

v10 (L) = v20 (0)

L’incastro in C impone:
v20 (L) = v30 (0)

La cerniera in D impone:
v3 (L) = 0

Le condizioni rimanenti sono meno ovvie. L’inestensibilitá dell’asta (3) impone:

v2 (L) = 0

Le aste (1) e (2) devono avere uguale spostamento in direzione ortogonale al pattino. Gli spostamenti
dell’asta (1) in L sono (nel suo sistema di riferimento) εAB L e v1 (L); Gli spostamenti dell’asta (2) in 0
sono (nel suo sistema di riferimento) −v3 (0) e v2 (0). Quindi:

εAB L − v1 (L) = −v3 (0) + v2 (0)


8.3. SISTEMI DI TRAVI. OSSERVAZIONI E CONVENZIONI. 121

Figura 8.7: Esempio di applicazione

Figura 8.8: Spostamenti agli estremi

8.3.5 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 8.7 assoggettata a carichi qualunque. Scrivere le condizioni al
contorno in forma sintetica.
Le condizioni sulle pendenze sono:

v10 (0) = 0
v10 (L) = v20 (0)
v20 (L) = v30 (0)
v30 (L) = 0

Le condizioni sull’inestensibilitá delle tre aste comportano:

−v1 (0) = v2 (0)


−v1 (L) = v3 (0)
−v2 (L) = v3 (L)
122 CAPITOLO 8. METODO DELLA LINEA ELASTICA

Si consideri infatti la Figura 8.8 dove sono stati indicati i vari spostamenti. Il vincolo in A impone u1 (0) =
−v1 (0). L’inestensibilità dell’asta (1) impone: u1 (0) = u1 (L). Il vincolo in B impone u1 (L) = v2 (0), da
cui v2 (0) = −v1 (0). Procedendo in maniera simile si dimostrano le altre due condizioni.
Capitolo 9

Metodo dei lavori virtuali

9.1 Introduzione
Si vuole introdurre il Metodo dei Lavori Virtuali dapprima per una singola trave ad asse rettilineo. Si
suppone che la trave rispetti tutte le ipotesi introdotte nel Capitolo 7, dove si è già imparato a calcolare
la soluzione di una trave deformabile soggetta a vincoli e carichi assegnati. Si consideri ad esempio la
trave isostatica della Figura 9.3 di sinistra, assoggettata al carico distribuito q. Nella struttura deformata
si ha una distribuzione di azioni interne M, N, T e un campo di spostamento definito dalle funzioni u, v
e ϕ. Queste quantità sono soluzione del problema assegnato (detto problema reale).
Il Metodo dei Lavori Virtuali permette di avere informazioni puntuali sulla soluzione e/o di calcolare
le incognite iperstatiche seguendo una strada alternativa. Si cercherà ad esempio di calcolare col PLV
la deflessione dell’estremo di destra della trave stessa. Per rispondere alla domanda posta si dovrà
introdurre una struttura fittizia (a destra nella Figura 9.3) che è assoggettata a carichi fittizi. Tali strutture
fittizie vengono utilizzate per generare opportuni campi statici staticamente ammissibili, necessari per
l’applicazione del metodo. Le reazioni vincolari e le azioni interne delle strutture fittizie verranno indicate
con un asterisco per sottolineare che non sono quelle reali.

9.1.1 Azioni esterne ed interne staticamente ammissibili


Si consideri la trave soggetta a carichi di superficie fittizi applicati sulle sezioni di estremità. Essi sono
? ? ? ? ? ?
equipollenti a forze a coppie concentrate H 0 , V 0 , W 0 e H L , V L , W L . Essa è anche soggetta a carichi di
? ?
volume fittizi equipollenti alle forze p(x) e q(x).
? ? ?
Le azioni interne fittizie N , T , M sono dette Staticamente Ammissibili con i carichi di volume e con le
azioni applicate sulle sezioni di estremità se rispettano le tre equazioni indefinite di equilibrio lungo l’asse:
? ?
N 0 (x) + p(x) = 0, (9.1)
? ?
T 0 (x) + q(x) = 0, (9.2)
? ?
M 0 (x) = T (x) (9.3)

e le condizioni di equilibrio alle estremità della trave:


? ? ? ? ? ?
H 0 = −N (0), V 0 = T (0), W 0 = −M (0), (9.4)
? ? ? ? ? ?
H L = N (L), V L = −T (L), W L = M (L), (9.5)

Per la struttura di Figura 9.3 sono SA, ad esempio, le due situazioni della Figura 9.1, la prima con:
? ? ?
N (x) = 0 T (x) = 0 M (x) = P L

123
124 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Figura 9.1: Esempi di azioni SA

e la seconda con:
? ? ?
N (x) = 0 T (x) = P M (x) = −P L + P x

Osservazione. La struttura fittizia sarà sempre identica geometricamente alla struttura reale (lunghez-
za delle aste, caratteristiche della sezione, etc.) La definizione di quantità SA non introduce però alcun
riferimento alle condizioni imposte dai vincoli nella struttura reale. Si consideri il caso della Figura 9.5
che verrà utilizzato per esemplificare il calcolo delle reazioni iperstatiche. Le azioni appena calcolate sulla
Figura 9.1 sono ancora SA. È però evidente che la prima, anche se SA, non è compatibile con i vincoli
reali, in quanto il carrello non può applicare una coppia.

Osservazione. Si vuole sottolineare che, dato un problema reale, le azioni interne soluzione del pro-
blema sono certamente staticamente ammissibili con i carichi reali assegnati.

9.1.2 Quantità cinematicamente ammissibili


Il campo di spostamenti ŝ(x):

ŝ(x) = (û(x) − ϕ̂(x)y)ex + v̂(x)ey (9.6)

viene detto cinematicamente ammissibile con le deformazioni generalizzate η̂, t̂, χ̂ se ŝ(x) è sufficientemente
continuo e se:
η̂ = û0 (x) t̂ = v̂ 0 (x) − ϕ̂(x) χ̂ = ϕ̂0 (x)
Il vettore ŝ(x) ha la stessa forma del campo di spostamento reale (7.1). Il vettore ŝ definisce l’insieme
degli spostamenti ammissibile per una trave, all’interno del quale si trova senz’altro anche la soluzione s
del problema considerato (la trave con i carichi assegnati); ŝ non si riduce però alla soluzione del problema
posto.
Le deformazioni associate sono:

ε̂xx = û0 (x) − ϕ̂0 (x)y (9.7)


0
2ε̂xy = v̂ (x) − ϕ̂(x) (9.8)

Osservazione. In particolare, dato un problema reale, gli spostamenti e le deformazioni soluzione del
problema sono certamente tra loro cinematicamente ammissibili.
9.1. INTRODUZIONE 125

9.1.3 Equazione dei lavori virtuali


Si consideri il Principio dei Lavori Virtuali eq.(3.5) analizzato nel Capitolo sulla Meccanica dei Solidi.
Z Z Z ? Z ?
? ?
L̂i = σ : ε̂ dV = σ ij ε̂ij dV = f · ŝ dA + F · ŝ dV = L̂e (9.9)
V V S V

che è valido per una qualunque scelta dei campi cinematicamente ammissibili e dei campi staticamente
ammissibili in un solido 3D.
Si impone ora questa equazione limitandosi a considerare campi ammissibili della forma assunta per le
travi nei paragrafi precedenti.
Si comincia ad analizzare il termine di lavoro interno:
Z Z  
? ? ?
σ : ε̂ dV = σ xx (û0 (x) − ϕ̂0 (x)y) + σ xy (v̂ 0 (x) − ϕ̂(x)) dV
V V
Z L ? ? ? 
= N (x)û0 (x) + M (x)ϕ̂0 (x) − T (x)(v̂ 0 (x) − ϕ̂(x)) dx
0

Si consideri poi il termine di lavoro esterno associato alle forze di volume:


Z ?
Z L 
? ?

F · ŝ dV = F x (û(x) − ϕ̂(x)y) + F y v̂(x) dx
V 0
Z L ? 
? ?
= p(x)û(x) + m(x)ϕ̂(x) − qv̂(x) dx
0

Infine, se si assume che le forze di superficie siano applicate solo sugli estremi della trave, con procedimento
analogo:
Z ? ? ? ? ? ? ?
f · ŝ dA = H 0 û(0) + V 0 v̂(0) + W 0 ϕ̂(0) + H L û(L) + V L v̂(L) + W L ϕ̂(L)
S

Il PLV diventa dunque:


Z L ? ? ? 
N (x)η̂(x)+M (x)χ̂(x) − T (x)t̂(x) dx (9.10)
0
Z L ? 
? ?
= p(x)û(x) + m(x)ϕ̂(x) − qv̂(x) dx
0
? ? ? ? ? ?
+ H 0 û(0) + V 0 v̂(0) + W 0 ϕ̂(0) + H L û(L) + V L v̂(L) + W L ϕ̂(L)

per ogni scelta di campi staticamente ammissibili e di campi cinematicamente ammissibili.

9.1.4 Metodo dei lavori virtuali


Si introduce ora una tecnica che permette di calcolare reazioni vincolari, azioni interne e spostamenti
(rotazioni) puntuali in sistemi di travi deformabili.
L’ equazione dei lavori virtuali eq.(9.10) vale certamente se come campi cinematici si scelgono gli sposta-
menti e le deformazioni generalizzate soluzione del problema assegnato.
? ?
In particolare, utilizzando la legge di comportamento eq.(7.14) ed assumendo per semplicità che p = q =
?
m = 0 (in tutte le applicazioni affrontate in questo corso tale condizione sarà verificata) si ottiene la
versione del PLV di interesse per le applicazioni:
Z Lh ?    i
N (x) T (x)
? ? M (x)
N (x) + ηT + T (x) + M (x) + χT dx = (9.11)
0 EA µA? EJ
? ? ? ? ? ?
+ H 0 u(0) + V 0 v(0) + W 0 ϕ(0) + H L u(L) + V L v(L) + W L ϕ(L)
126 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Osservazione. Si presenta, per completezza, una dimostrazione di eq.(9.11) diretta, che permette di
non passare attraverso l’equazione del PLV per mezzi continui 3D. Dimostriamo cioè che i termini di
destra nella eq.(9.11) sono effettivamente identici ai termini di sinistra. Grazie alle 7.14:
Z Lh ?    i
N (x) ? T (x) ? M (x)
N (x) + ηT + T (x) + M (x) + χT dx (9.12)
0 EA µA? EJ
Z Lh ? ? ? i
= N (x)u0 (x) − T (x) (v 0 (x) − ϕ(x)) + M (x)ϕ0 (x) dx
0
 L
? ? ?
= N (x)u(x) − T (x)v(x) + M (x)ϕ(x) −
0
Z Lh ? ? ? ? i
N 0 (x)u(x) − T 0 (x)v(x) − (M 0 (x) − T (x))ϕ(x) dx
0

dove alcuni termini sono stati integrati per parti. Poiché le quantità statiche sono ammissibili, valgono
le equazioni indefinite di equilibrio e l’ultimo termine integrale si annulla. Inoltre, grazie alle eq.(9.4):
h? ? ? iL
N (x)u(x) − T (x)v(x) + M (x)ϕ(x) =
0
? ? ? ? ? ?
H 0 u(0) + V 0 v(0) + W 0 ϕ(0) + H L u(L) + V L v(L) + W L ϕ(L)

Si ottiene quindi il risultato cercato.

9.1.5 Convenzioni per PLV


In molte applicazioni si devono analizzare travi orientate in maniera generica, per cui risulta conveniente
stabilire alcune convenzioni per la scrittura delle funzioni N, T, M come indicato nella Figura 9.2. Per
ogni trave si stabilisce un’origine e un’ascissa curvilinea s diretta lungo l’asse della trave stessa. Per N e
T si utilizzano le medesime convenzioni adottate per tracciare le azioni interne nelle travature isostatiche.

Figura 9.2: Convenzioni per azioni interne


9.1. INTRODUZIONE 127

Per M è necessario invece introdurre una ulteriore specifica, indicando un lato privilegiato dell’asta. Se
nel disegno la freccia che designa l’origine dell’ascissa s viene disegnata da un lato della trave, i momenti
verranno assunti positivi se tendono le fibre dello stesso lato.
Le curvature termiche saranno positive se tendono le stesse fibre.
Gli spostamenti u, v dei punti della trave e le forze concentrate vengono invece considerati positivi o
negativi in riferimento al sistema di riferimento globale x, y. Le rotazioni e le coppie sono invece positive
se antiorarie.

9.1.6 PLV per il calcolo di spostamenti puntuali


Si consideri la trave di Figura 9.3 a sinistra. Si vuole mostrare come la eq.(9.11) possa essere applicata
per calcolare lo spostamento verticale nell’estremo di destra.

Figura 9.3: Calcolo di spostamenti in strutture isostatiche

A tale scopo si fissa l’origine del sistema locale a sinistra, per cui:
1 2 1
M (s) = qL − qLs + qs2 , T (s) = −qL + qs N (s) = 0
2 2
Poiché l’estremo di sinistra della trave è incastrato si ha:

u(0) = v(0) = ϕ(0) = 0


? ? ?
Si immagini ora di considerare una struttura fittizia in cui H L = W L = 0 e V L = P . Questo vuol
semplicemente dire che si intende assumere come struttura fittizia la trave a destra nella Figura 9.3. Il
secondo membro della eq.(9.11) diventa quindi L̂e = P v(L). Per calcolare il valore del primo membro si
? ? ?
devono conoscere M , T , N , ovvero le distribuzioni di azioni interne in equilibrio con i carichi fittizi. Si
ha:
? ? ?
M (s) = P L − P s T (s) = −P N (s) = 0
Quindi:
L
1 P 2 L3 1 P 2L
Z  
? M (s) ? T (s)
L̂i = M (s) + T (s) ds = + (9.13)
0 EJ µA? 8 EJ 2 µA?
da cui:
1 P L3
(1 + 4β)
v(L) =
8 EJ
con β = EJ/(µA? L2 ). Se si considera una trave a sezione rettangolare di altezza H e spessore t, il
coefficiente β diventa:
 2
1+ν H
β=
5 L
ed appare evidente che, se la trave è snella, ovvero se H/L  1, il contributo del taglio risulta trascurabile.
128 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

9.2 Il metodo dei lavori virtuali per travi snelle


Le osservazioni appena discusse, dedotte in maniera sperimentale per l’esempio specifico in questione,
risultano sempre valida in presenza di azione flettente non nulla e le si assumerà sempre valide nel seguito
per travi snelle. In maniera analoga si potrebbe mostrare che anche il contributo dell’azione assiale (ma
non quello della deformazione assiale di origine termica!) è in generale trascurabile, per cui nel seguito il
PLV verrà utilizzato nella forma:

Z Lh ?  i
? M (s)
N (s)ηT + M (s) + χT ds = (9.14)
0 EJ
? ? ? ? ? ?
+ H 0 û(0) + V 0 v(0) + W 0 ϕ(0) + H L u(L) + V L v(L) + W L ϕ(L)

9.2.1 PLV con cedimenti vincolari e deformazioni termiche


Si consideri sempre la stessa trave della Figura 9.3 e si supponga che l’incastro a sinistra subisca un
cedimento verso l’alto di δ ed una rotazione antioraria di θ. In tal caso si ha:

v(0) = δ, ϕ(0) = θ

Intuitivamente, se non fossero presenti altre azioni esterne, la linea media della trave subirebbe lo
spostamento rigido:
v(s) = δ + θs
e quindi la freccia all’estremità sarebbe δ + θL. Poichè il problema è lineare, se venisse poi applicato
il carico distribuito q, si avrebbe il contributo aggiuntivo calcolato nel paragrafo precedente, per cui la
freccia globale sarebbe:
1 P L3
v(L) = + δ + θL
8 EJ
Si vuole adesso ottenere lo stesso risultato direttamente dal PLV utilizzando la struttura fittizia a destra
nella Figura 9.3. La presenza dei cedimenti vincolari non può alterare il lavoro interno (che rimane pari
al primo termine di eq.(9.13)), ma solo quello esterno. In questo caso:
? ?
L̂e = P v(L) + v(0)V 0 + ϕ(0)W 0

ma:
? ?
V 0 = −P W 0 = −P L
da cui si ottiene il risultato cercato.
Si supponga ora che venga imposta solo una curvatura termica χT (nessun carico distribuito o cedimento)
che allunga le fibre superiori ed accorcia le fibre inferiori ed ha valore assoluto χ. Poiché il momento e
la curvatura sono positivi (per come è stato scelto il riferimento di s) se tendono le fibre inferiori, allora
χT = −χ. Il termine di lavoro interno diventa dunque:
Z L ?
1
L̂i = − M (s)χds = − P L2 χ
0 2
mentre:
L̂e = P v(L)
e dunque:
1
v(L) = − L2 χ
2
cioè, come atteso, una curvatura termica costante induce una deformata parabolica con tangente nulla
nell’incastro.
9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 129

9.2.2 PLV per il calcolo di rotazioni puntuali


Si consideri ancora la stessa trave dell’esempio precedente. Si intende utilizzare eq.(9.14) per calcolare la
rotazione dell’estremo di destra. Dai calcoli svolti nel caso precedente appare evidente che le espressioni
dei momenti flettenti sono molto più semplici se l’origine viene presa a destra.

Figura 9.4: Calcolo di rotazioni in strutture isostatiche

Ovviamente adesso s = 0 a destra e s = L a sinistra. Si ha:


1 2
M (s) = qs ,
2
? ? ?
Si immagini ora di considerare una struttura fittizia in cui H 0 = V 0 = 0 e W 0 = P L. Quindi si assume
come struttura fittizia la trave a destra nella Figura 9.4. Il secondo membro della eq.(9.14) diventa quindi
L̂e = P Lϕ(0). Inoltre:
?
M (s) = P L
Quindi:
L ?
1 P 2 L3
Z
M (s)
L̂i = M (s) ds =
0 EJ 6 EJ
da cui:
1 P L2
ϕ(0) =
6 EJ

9.2.3 PLV per il calcolo di incognite iperstatiche


Si consideri ora la trave iperstatica della Figura 9.5. Il PLV permette anche di calcolare le reazioni
vincolari. Si considera un sistema di riferimento con l’origine a destra.

Figura 9.5: Calcolo di strutture iperstatiche: struttura iniziale (sinistra) e struttura ridotta ad isostatica
(destra)

Si immagini di rompere il carrello a destra e di sostituirlo con la sua reazione incognita Y P , dove Y è
un numero puro. Utilizzando le tecniche appena illustrate è possibile calcolare lo spostamento verticale
dell’estremo di destra sotto l’effetto del carico distribuito e della reazione del carrello. In realtà però
130 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

questo spostamento è impedito dalla presenza del carrello: quindi l’unico valore ammissibile di Y è quello
che garantisce l’annullamento dello spostamento verticale.
La struttura fittizia è la stessa che nell’esempio della Figura 9.3.
Il lavoro virtuale esterno è dunque:
L̂e = v(0)P = 0
Poichè:
1 2 ?
M (s) = qs + Y P s M (s) = P s
2
il lavoro virtuale interno è:
L ?
1 P 2 L3 1 P 2 L3
Z
M (s)
L̂i = M (s) ds = + Y
0 EJ 8 EJ 3 EJ

da cui:
3
Y =−
8

Osservazione. Prima di concludere si osservi che il momento della struttura reale può essere espresso
come:
M (s) = M0 (s) + Y MY (s)
con
1 2
M0 (s) = qs MY (s) = P s
2
dove M0 (s) è il momento dovuto solo ai carichi attivi (ottenuto ponendo Y = 0), mentre MY (s) è il
momento dovuto alla sola iperstatica con Y = 1 (eliminando i carichi attivi). Si osservi che MY (s) =
?
M (s)! Si rifletta sul fatto che questa non è una coincidenza, ma è una condizione necessariamente
verificata.

9.2.4 PLV per strutture iperstatiche: scelte possibili dell’incognita


La scelta dell’incognita iperstatica appena effettuata non è univoca. Ad esempio è possibile ridurre la
struttura a isostatica come indicato nella Figura 9.6. Si deve sempre comunque prestare attenzione a non
introdurre labilità nella struttura (ad esempio riducendola come nella Figura 7.2).

Figura 9.6: Scelta alternativa dell’incognita iperstatica

In tal caso il PLV viene utilizzato nel modo seguente: si calcola, con il PLV, la rotazione dell’estremo
a sinistra per effetto del carico e della coppia incognita, utilizzando una struttura fittizia caricata con
una coppia pari a P L sull’estremo di sinistra. Tale rotazione deve essere nulla per effetto della presenza
dell’incastro e questa condizione permette di calcolare Y .
Se l’origine del sistema è sempre a destra:

1 1 ?
M (s) = −Y P s − P s + qs2 M (s) = −P s
2 2
9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 131

il lavoro virtuale interno è:


L ?
Y P 2 L3 1 P 2 L3
Z
M (s)
L̂i = M (s) ds = +
0 EJ 3 EJ 24 EJ

da cui, ponendo L̂i = 0:


1
Y =−
8
Anche in questo caso il momento può essere espresso come:
?
M (s) = M0 (s) + Y MY (s) = M0 (s) + Y M (s)
con
1 1
M0 (s) = − P s + qs2 MY (s) = −P s
2 2

Scelta del sistema fittizio. La scelta del sistema fittizio deve essere fatta in modo da non fare
intervenire ulteriori incognite nel problema. In questo caso, ad esempio, una trave caricata con due
coppie uguali ed opposte alle estremità sarebbe un possibile sistema fittizio. La coppia a destra però
lavorerebbe per la rotazione ϕ(0) che è incognita. Una tecnica per scegliere opportunamente il sistema
fittizio è la seguente: si considera la struttura ridotta a isostatica, la si carica con un’iperstatica unitaria e
si impone l’equilibrio della trave utilizzando le tecniche classiche per il calcolo delle reazioni vincolari. Tali
reazioni, insieme all’iperstatica unitaria, rappresentano un opportuno insieme dei carichi fittizi applicati
alla trave.

9.2.5 PLV in presenza di molle


Si immagini ora di sostituire il carrello con un elemento elastico (molla) come indicato nella Figura 9.7.

Figura 9.7: Molle elastiche

La molla lineare è un oggetto che, se tirato/compresso con una forza F , si allunga/accorcia di F/k, dove
k è la rigidezza della molla.
Il problema viene risolto in maniera simile alla trave iperstatica appena analizzata. Si immagini di
staccare la molla e di mettere in evidenza la forza Y P incognita da essa esercitata verso l’alto sulla trave
(come nella Figura 9.5 a destra).
Allora la trave, per azione e reazione, esercita una forza verso il basso sulla molla pari a Y P . La molla
quindi si accorcia di Y P/k ed il suo punto superiore si sposta verso il basso di Y P/k. Quindi:
YP
v(0) = −
k
Ovviamente il segno di Y indicherà a posteriori se si tratta veramente di spostamento verso il basso o
verso l’alto.
Il termine di lavoro interno resta identico all’esempio precedente. Solo il lavoro esterno cambia:
Y P2
L̂e = v(0)P = −
k
132 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

da cui, se k = (1/α)EJ/L3 ,
3 1
Y =−
8 1 + 3α
Se α → 0 (molla molto rigida) si riottiene il risultato del carrello, mentre α → ∞ (molla molto cedevole)
la forza è nulla, come atteso.

9.2.6 PLV per sistemi di travi ad asse rettilineo


Il PLV nella forma della eq.(9.14), può essere rapidamente esteso a insiemi di travi ad asse rettilineo.
Per la generica trave k valgono le ipotesi fatte nelle sezioni precedenti e si fissa un sistema di riferimento
locale in cui l’asse è diretto come la trave. La lunghezza della generica k-esima trave sia Lk . Si suppone
che le forze e coppie concentrate siano applicate sugli estremi delle travi. Se una trave dovesse essere
caricata con un’azione concentrata in mezzeria, per svolgere il procedimento la si deve considerare come
l’unione di due travi separate dal carico concentrato. In linea di principio quindi è possibile “esplodere”
la struttura di modo che la struttura sia la collezione di travi che presentano forze e coppie concentrate
solo agli estremi.

Scelta delle quantità staticamente ammissibili. Le quantità staticamente ammissibili vengono


definite su di una struttura fittizia identica alla struttura assegnata se questa è isostatica, oppure identica
alla struttura “declassata” se quella assegnata è iperstatica.
La struttura fittizia (che è quindi sempre isostatica) viene sollecitata con opportuni carichi fittizi con-
centrati scelti in base alla domanda posta dal problema, seguendo i criteri discussi negli esempi semplici
precedenti; si calcolano quindi le reazioni vincolari esterne fittizie e le azioni interne fittizie. In particolare
queste rispettano l’equilibrio di tutti i vincoli interni.

Metodo dei lavori virtuali. Avendo definito le quantità staticamente ammissibili, ad ogni trave si
applica ora il PLV nella forma vista nei paragrafi precedenti:
(k)
L̂i = L̂(k)
e ∀k

Conviene però scrivere la eq.(9.14) esprimendo i termini di lavoro esterno in un riferimento globale,
indicando con sx ed sy gli spostamenti orizzontali e verticali, e con Fx e Fy le forze orizzontali e verticali:
Lk h ?
M (k) (s)
Z  i
?
(k) (k) (k) (k)
N (s)ηT +M (s) + χT ds = (9.15)
0 EJ (k)
? ? ? ? ? ?
(k) (k) (k) (k) (k) (k)
+ F 0x s(k) (k)
x (0) + F 0y sy (0) + W 0 ϕ
(k)
(0) + F Lx s(k) (k)
x (L) + F Ly sy (L) + W L ϕ
(k)
(L)

in modo da renderla valida qualunque sia la direzione del suo asse.


Si definisce ora: lavoro virtuale esterno L̂e della struttura la somma di tutti i lavori esterni delle singole
travi; lavoro virtuale interno L̂i della struttura la somma di tutti i lavori interni delle singole travi. Si
ottiene immediatamente che: X (k) X
L̂i = L̂i = L̂(k)
e = L̂e
k k

L’espressione di L̂i è quindi:


XZ Lk   (k) 
?
(k)
? M (k)
L̂i = N (k) ηT + M (k) + χ T ds
0 EJ (k)
k

(k)
L’espressione di L̂e per una singola asta a priori contiene invece il lavoro di tutte le reazioni vincolari
esercitate alla sue due estremità, secondo la eq.(9.15). Queste possono essere reazioni interne o esterne.
(k)
In generale è però possibile mostrare che, nella somma di tutti i L̂e , i contributi delle reazioni vincolari
interne si cancellano. Senza voler presentare una dimostrazione generale si consideri come esempio il
nodo B della Figura 9.8. Gli spostamenti reali sx , sy e la rotazione ϕ sono gli stessi sulle tra aste, per
9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 133

effetto dell’incastro. La somma dei nove termini di lavoro esterno associati agli estremi delle tre aste in
B fornisce dunque:
     
? ? ? ? ? ? ? ? ?
(1) (2) (3) (1) (2) (3) (1) (2) (3)
F Bx + F Bx + F Bx sx (B) + F By + F By + F By sy (B) + W B + W B + W B ϕ(B)

Le tre parentesi sono peò nulle, perchè il nodo B della struttura fittizia è in equilibrio.
Nel termine L̂e può dunque rimanere solo il contributo delle reazioni vincolari esterne fittizie e delle azioni
attive concentrate fittizie. Queste ultime sono le forze e coppie con cui si carica la struttura fittizia al
fine di calcolare gli spostamenti/rotazioni richieste. Nel caso di vincoli cedevoli (ad esempio molle), le
reazioni vincolari esterne fittizie lavorano per effetto del cedimento del vincolo stesso e forniscono quindi
un contributo al lavoro esterno. Nel caso invece di vincoli perfetti, tali reazioni vincolari non forniscono
alcun contributo.

9.2.7 Esercizio
Calcolare le azioni interne nella struttura. Tutte le aste hanno lunghezza b. La molla in D ha costante
elastica k = 4EJ/b3 .

Figura 9.8: Esercizio

Le aste EF ed F G sono appendice isostatica e le equazioni cardinali della statica sono sufficienti per
calcolare la reazione VG = 3qb e le azioni trasmesse dall’appendice all’asta CE in E:
3
WEF = qb2
2
È conveniente ridursi a studiare la struttura della Figura 9.9 che è iperstatica. La reazione del carrello
in A viene scelta come incognita iperstatica Y qb.
La struttura fittizia, per quanto detto nel paragrafo precedente, è in tutto identica alla struttura declassata
a isostatica e viene caricata con una forza verticale in A pari a qb (come illustrato nella Figura 9.10).
Tale forza lavora per lo spostamento reale sy (A) che si vuole imporre nullo.
Sfruttando gli esercizi precedenti si sa a priori che il momento reale ammette la forma:
?
M (s) = M0 (s) + Y MY (s) = M0 (s) + Y M (s)
?
dove M0 (s) è il momento dovuto ai soli carichi attivi senza iperstatica e MY (s) = M (s) è il momento
dovuto alla sola iperstatica (di valore unitario) senza carichi attivi. Semplici calcoli permettono di ottenere
i vari contributi:
(BC) 5
M0 = qbs (9.16)
2
(EC) 3
M0 = qb2 + qs2 (9.17)
2
134 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Figura 9.9: Parte iperstatica

Figura 9.10: Struttura declassata e struttura fittizia


9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 135

Figura 9.11: Struttura “0”, ovvero struttura reale declassata soggetta a tutti i carichi attivi tranne
l’iperstatica: definisce M0

Figura 9.12: Struttura fittizia soggetta a iperstatica unitaria: definisce MY

(AB)
MY = qbs (9.18)
(BC)
MY = qb(b − s) (9.19)

Si osservi che, in questa fase di calcolo delle reazioni vincolari nella struttura resa isostatica, la molla
può essere considerata rigida. In effetti la molla, per garantire l’equilibrio della struttura, deve fornire
la reazione prevista dalle equazioni cardinali della statica. Per farlo essa si deforma, ma lo spostamento
totale è infinitesimo per ipotesi e può essere trascurato (ma solo per il calcolo delle reazioni vincolari -
azioni interne!)
Il lavoro virtuale interno è:

q 2 b2 b q 2 b2 b q 2 b5 2
Z Z  
5 5 5
L̂i = sY sds + (b − s)( s + Y (b − s))ds = Y + −
EJ 0 EJ 0 2 EJ 3 4 6

Nel lavoro esterno appare solo il contributo della molla. Infatti lo spostamento sy (A) è nullo nella struttura
?
reale, cosı̀ come sy (C). Il lavoro della molla è V D sy (D) = −2qbsy (D), dove sy (D) è lo spostamento reale
in D:  
VD qb 5
sy (D) = − =− − 2Y
k k 2
La reazione VD è data dalla somma del contributo (Figura 9.11) dovuto ai soli carichi esterni senza
?
l’iperstatica e del contributo (Figura 9.12) dovuto alla sola iperstatica. La reazione V D è la reazione
136 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

vincolare fittizia (Figura 9.12), da cui

2q 2 b2 q 2 b5
   
5 5
L̂e = − 2Y = −Y
k 2 EJ 4

Si ottiene Y = 1/2. La distribuzione dei momenti reali è:


1
M (AB) = qbs
2
1
M (BC) = 2qbs + qb2
2
3
M (EC) = qb2 + qs2
2
che corrisponde alle azioni interne della Figura 9.13.

Figura 9.13: Diagramma momento e reazioni struttura reale

9.2.8 Calcolo spostamenti in strutture iperstatiche


Per la struttura della Figura 9.8 si vuole ora calcolare la rotazione del pattino in E. Se nella struttura
fittizia si sceglie come unico carico la coppia qb2 nell’estremo E, il lavoro esterno contiene il termine
ϕE qb2 , cioè la quantità che si vuole calcolare. Una volta fissati i carichi esterni della struttura fittizia,
per applicare il PLV è necessario calcolare le reazioni a terra e le azioni interne.
Se la struttura di partenza è iperstatica, come in questo caso, è però possibile fissare arbitrariamente le
iperstatiche a zero (in questo caso la reazione del carrello Y = 0) e trovare azioni interne staticamente
ammissibili sulla struttura declassata a isostatica. Infatti, le azioni interne cosı̀ determinate sono certa-
mente staticamente ammissibili anche per la vera struttura di partenza, in quanto soddisfano le equazioni
indefinite di equilibrio e le condizioni ai limiti per le azioni interne.
Si indichi con ME la distribuzione dei momenti conseguente all’applicazione della coppia in E:
(BC)
ME = qbs
(CE)
ME = qb2
?
Si sceglie M = ME , mentre il momento reale è già stato calcolato. Dunque:
Z b Z b
q 2 b5 1 2 3 1
 
qb 1 qb 3
L̂i = s( qb2 + 2qs)ds + b( qb2 + qs2 )ds = + + +
EJ 0 2 EJ 0 2 EJ 4 3 2 3
9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 137

Figura 9.14: Struttura di servizio per calcolo rotazione

Figura 9.15: Reazioni e diagramma momento per struttura di servizio

?
Il lavoro della molla è V D vD = qbvD , dove vD è lo spostamento reale in D:

3 q 2 b5
L̂e = ϕE qb2 −
8 EJ
Si ottiene:
25 qb3
ϕE =
8 EJ

9.2.9 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 9.16, due volte iperstatica. Tutte le aste hanno lunghezza b e
k = αEJ/b3 . Si sceglie di declassarla come indicato nella Figura 9.17.
Per la struttura zero solo la reazione del carrello in B è non nulla e vale P . In particolare M0 = 0
dovunque. Per le altre strutture delle Figure 9.18-9.19:
(AB)
MZ = Ps (9.20)
(BC)
MZ = P (b − s) (9.21)

(BC)
MY = Ps (9.22)
(CD)
MY = P (b − s) (9.23)
138 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Figura 9.16: Struttura

Figura 9.17: Struttura declassata

Figura 9.18: Momento MZ

Figura 9.19: Momento MY


9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 139

In particolare, gli spostamenti dei punti di applicazione delle molle sono:


P P
vB = − (1 − 2Z + Y ) vC = − (Z − 2Y )
k k
Il problema presenta dunque due incognite che devono essere risolte mediante un sistema di due equa-
zioni. Infatti, per ripristinare la continuità della struttura iniziale iperstatica, si devono imporre le due
condizioni:
∆ϕB = ϕBA − ϕBC = 0, ∆ϕC = ϕCB − ϕCD = 0,
Si comincia con la prima condizione che richiede di scrivere il PLV con una struttura di servizio uguale
a quella della Figura 9.18:
P
L̂e = P (−2vB + vC ) = (2 − 5Z + 4Y )
k
P2 b P2 b P 2 b3 2
Z Z  
1
L̂i = sZsds + (b − s)(Z(b − s) + Y s)ds = Z+ Y
EJ 0 EJ 0 EJ 3 6
da cui:
2 1 1
Z + Y = (2 − 5Z + 4Y )
3 6 α
La seconda condizione richiede di scrivere il PLV con una struttura di servizio uguale a quella della Figura
9.19. La scrittura del lavoro interno (lasciata come esercizio) e del lavoro esterno:
P
L̂e = P (vB − 2vC ) = (−1 + 4Z − 5Y )
k
porta alla seconda equazione:
1 2 P
Z+ Y = (−1 + 4Z − 5Y )
6 3 α
Dalla soluzione del sistema si ottengono Y e Z. Ad esempio, se α → 0:
2 1
Z= Y =
3 3
come per trave isostatica senza carrelli in mezzeria.

9.2.10 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 9.20, una volta iperstatica. Tutte le aste hanno lunghezza b e
kG = 2EJ/b3 .
Si noti che i vincoli a terra sono solo tre, per cui le equazioni cardinali della statica sono sufficienti a
calcolare le reazioni vincolari. Si ottiene infatti:
21
HA = −4F, WA = F b, VG = −4F
2
Non è possibile dunque declassare un vincolo a terra. L’iperstaticità è nel circolo chiuso CBED.
Si sceglie di declassarlo come indicato nella Figura 9.21. Ora il circolo CBED è isostatico e tutta la
struttura si comporta come un unico corpo rigido.
Per la struttura di servizio il momento risulta non nullo solo su tre aste:
(DC)
MY = Fs (9.24)
(BC)
MY = Fb (9.25)
(EB)
MY = Fs (9.26)
Di conseguenza si calcolano i momento nella struttura zero solo nelle medesime aste:
(DC)
M0 = 6F b
(BC) 21 1
M0 = F b − 4F s − qs2
2 2
(EB)
M0 =0
140 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Figura 9.20: Struttura iperstatica

Figura 9.21: Scelta dell’incognita iperstatica

Il termine di lavoro esterno è nullo:


L̂e = 0
per cui l’equazione del PLV si riduce a:
Z b
1 (DC) (DC) (DC)
L̂i = (M0 + Y MY )MY
EJ 0
(BC) (BC) (BC)
+ (M0 + Y MY )MY

(EB) (EB) (EB)
+ (M0 + Y MY )MY ds
F 2 b3
    
9+Y 25 Y
= + +Y + =0
EJ 3 3 3
Dopo alcuni calcoli:
34
Y =−
5

9.2.11 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 9.24, una volta iperstatica. Tutte le aste hanno lunghezza b e kD =
3EJ/b3 . Inoltre viene imposta una deformazione termica assiale sull’asta BC di valore εBC = 2b2 F/(EJ).
Dimostrare per esercizio che la forza esercitata dal carrello E sulla trave vale FE = (18/7)F verso sinistra.
9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 141

Figura 9.22: Reazioni e momenti per la struttura di servizio

Figura 9.23: Reazioni e momenti per la struttura zero

Se si sceglie l’iperstatica Y F direttamente la forza del carrello in E verso sinistra, le strutture zero e di
servizio sono risolte in Figura 9.25.
Il termine di lavoro esterno è:  
1 3
L̂e = − Y − F2
kD 2
La deformazione termica assiale fornisce un contributo al lavoro interno pari a:
Z b ?
N εBC ds = −2F b εBC
0

I calcoli rimanenti sono lasciati come esercizio.

9.2.12 Esercizio
Si consideri la struttura della Figura 9.26. In B e D vi sono due cerniere con associate molle torsionali
di costante k = EJ/b. La rigidezza flessionale delle travi AB, BC, CD e DE è pari a 2EJ, mentre le
rimanti aste hanno rigidezza EJ. Dimostrare per esercizio che la molla in D trasmette all’asta DG una
142 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI

Figura 9.24: Struttura iperstatica

Figura 9.25: Struttura zero e struttura di servizio


9.2. IL METODO DEI LAVORI VIRTUALI PER TRAVI SNELLE 143

coppia antioraria pari a (8/11)qb2 . Ogni molla torsionale contribuisce al lavoro esterno con il termine
−Y q 2 b4 /k. Quindi...

Figura 9.26: Struttura ad “ala” auto-equilibrata

Figura 9.27: Struttura zero e struttura di servizio


144 CAPITOLO 9. METODO DEI LAVORI VIRTUALI
Capitolo 10

Cenni ai teoremi energetici

Si consideri un generico sistema di aste. Le travi rispettano le ipotesi fatte nel Capitoli precedente sul
PLV: in particolare si assume che il comportamento sia lineare elastico. Si ipotizza inoltre assenza di
cedimenti vincolari e dilatazioni termiche.
Si ipotizza che vi siano solo forze generalizzate P concentrate (forze o coppie) esclusivamente al fine di
semplificare la trattazione.

10.1 Teorema di Betti


(A)
Si consideri una struttura assoggettata ad un sistema A di NA carichi concentrati P I applicati in
(A)
xI . Gli spostamenti conseguenti siano s(A) e deformazioni generalizzate η (A) , χ(A) , t(A) . Si consideri
(B)
poi consideri un’identica struttura assoggettata ad un sistema B di NB carichi concentrati P J applicati
(B)
in xJ . Gli spostamenti associati siano s(B) e le deformazioni generalizzate η (B) , χ(B) , t(B) .
Si applica ora PLV alla struttura B usando come staticamente ammissibili le quantità statiche associate
a A:
NA
(A) (A)
X
L̂AB
e = PI · s(B) (xI )
I
Z  
= N (A) η (B) − T (A) t(B) + M (A) χB dx

N (B) T (B) (B)


Z  
(A) M
= N (A) + T (A) + M dx = L̂AB
i
EA µA? EJ
dove l’integrazione è estesa a tutta la struttura.
Si applica una seconda volta il PLV alla struttura A, usando come staticamente ammissibili le quantità
statiche associate a B:
NB Z  
(B) (A) (B)
X
BA
L̂e = P J · s (xJ ) = N (B) η (A) − T (B) t(A) + M (B) χ(A) dx
J
Z  (A) (A) (A)

(B) N (B) T (B) M
= N +T +M dx = L̂BA
i
EA µA? EJ
I due lavori interni sono identici da cui si deduce che:
NA NB
(A) (A) (B) (B)
X X
L̂AB
e = L̂BA
e → PI · s(B) (xI ) = PJ · s(A) (xJ )
I J

Il teorema di Betti afferma dunque che:


Teorema 3 Il lavoro effettuato dai carichi del sistema A sugli spostamenti del sistema B è uguale al
lavoro effettuato dai carichi del sistema B sugli spostamenti del sistema A

145
146 CAPITOLO 10. CENNI AI TEOREMI ENERGETICI

10.2 Teorema di Maxwell


Si consideri un sistema di carichi P I = PI uI in xI (in questa sezione non si adotta la convenzione della
somma sugli indici ripetuti); con PI si indica il modulo della forza e con uI (vettore di lunghezza unitaria)
la sua direzione e verso. Si indica con sI lo spostamento del punto di applicazione del carico P I e con sI
la proiezione di sI lungo uI , di modo che:

P I · sI = PI uI · sI = PI sI

Si sottolinea che PI può indicare in senso generalizzato una forza o una coppia e quindi lo spostamento
associato sI indica uno spostamento lineare o una rotazione, rispettivamente.
Le applicazioni del PLV affrontate nei capitoli precedenti indicano che lo spostamento sI dipende linear-
mente dai moduli PJ dei carichi applicati. Se ad esempio si vuole calcolare lo spostamento s2 dovuto al
solo carico P 3 , si utilizza una struttura fittizia con un carico applicato in x2 e avente direzione u2 ed il
PLV permette di calcolare il coefficiente α23 tale che:

s2 = α23 P3

Generalizzando questa osservazione ed ipotizzando che vi siano N carichi concentrati, si può certamente
scrivere, per la linearità (sovrapposizione effetti):
N
X
sI = αIJ PJ
J =1

dove i coefficienti αIJ vengono detti coefficienti di influenza e dipendono solo dalla geometria della
struttura e dalle proprietà elastiche (ma non dall’intensità dei carichi applicati).
Si considerino adesso due carichi concentrati P 1 e P 2 . Quindi α12 è lo spostamento del punto di applica-
zione del carico 1 in direzione del carico 1 stesso per effetto dell’applicazione carico 2 e α21 lo spostamento
del punto di applicazione del carico 2 in direzione del carico 2 stesso per effetto dell’applicazione carico
1. Allora, in virtù del teorema di Betti, α12 = α21 .
Il teorema di Maxwell afferma dunque che:

Teorema 4 La matrice dei coefficienti di influenza αIJ è simmetrica

Esercizio
Trave incastrata con forza P applicata all’estremo. Calcolare con il PLV la rotazione dell’estremo. Poi
considerare la stessa trave incastrata con coppia C applicata all’estremo. Con il teorema di Maxwell
calcolare la deflessione dell’estremo.

10.3 Teorema di Clapeyron


Si consideri una distribuzione di carichi dipendenti dal tempo P I (t), variabili molto lentamente da zero
fino a raggiungere il valore finale P I (T ). Il lavoro L dei carichi, in assenza di scambio di calore ed effetti
di inerzia, è:
Z TX Z TX
L= P I (t) · ṡI (t)dt = PI (t)ṡI (t)dt
0 0
Tale lavoro, per la conservazione dell’energia, viene immagazzinato nella struttura sotto forma di energia
elastica Ω = L.
Si postula che l’energia Ω sia funzione di stato, cioè che il suo valore dipenda solo dallo stato finale, e
non dalla storia che ha condotto a questo stato. Quindi anche il lavoro dei carichi è funzione di stato e
può essere dunque valutato lungo qualunque storia di carico.
Si suppone quindi che l’intesità di tutti i carichi possa essere espressa come:

PI (t) = β(t)PI (T )
10.4. TEOREMA DI CASTIGLIANO 147

dove 0 ≤ β(t) ≤ 1 è un coefficiente indipendente dal carico e funzione solo del tempo. Allora anche gli
spostamenti dei punti di applicazione dei carichi sono proporzionali tramite β al valore finale:
sI (t) = β(t)sI (T )
e quindi
Z T Z 1
X X 1X
Ω= PI (T )sI (T ) β β̇ dt = PI (T )sI (T ) β dβ = PI (T )sI (T )
0 0 2
che rappresenta il teorema Clapeyron:
Teorema 5 L’energia elastica immagazzinata in un sistema di travi a cui vengono applicati i carichi P I
è pari alla metà del lavoro esterno compiuto dai carichi sullo spostamento prodotto dai carichi stessi
In particolare, per il PLV:
N2 T2 M2
Z Z  
1 1
Ω= (N η − T t + M χ) dx = + ?
+ dx
2 2 EA µA EJ

10.4 Teorema di Castigliano


L’energia di deformazione elastica vale, applicando Clapeyron:
N N
1X 1X X
Ω= PI sI = PI αIJ PJ
2 2
I=1 J=1

da cui:
N N
∂Ω 1 ∂ X X
= PI αIJ PJ
∂PK 2 ∂PK
I=1 J=1
che conduce alla formula:
N
∂Ω X
= αKH PH = sK
∂PK
H=1
nota come teorema di Castigliano:
Teorema 6 La derivata dell’energia di deformazione elastica rispetto all’intensità di un carico concen-
trato è pari allo spostamento del punto di applicazione del carico stesso in direzione del carico.

Esercizio. Si calcoli la freccia di una trave incastrata a sinistra e soggetta ad un carico P applicato
all’estremità di destra.
Seguendo l’esperienza accumulata con il PLV, il termine preponderante in Ω è certamente quello fles-
sionale. Se M 6= 0 gli altri termini possono essere trascurati con ottima approssimazione per travi
snelle:
1 L M2 1 P 2 L3
Z
Ω= dx =
2 0 EJ 6 EJ
da cui:
∂Ω 1 P L3
f= =
∂P 3 EJ

Esercizio. Calcolo della freccia di una trave incastrata soggetta ad un carico distribuito q. Per applicare
il teorema si introduce una forza P fittizia sull’estremità, si calcola Ω, la si deriva rispetto a P e poi si
pone P = 0.
Z L  
1 1 1 1 2 5 1 2 3 1
Ω= ( qx2 + P x)2 dx = q L + P L + qP L4
2EJ 0 2 2EJ 10 3 4
da cui:
∂Ω 1 qL4
f= =
∂P P =0 8 EJ
148 CAPITOLO 10. CENNI AI TEOREMI ENERGETICI

10.5 Teorema di Menabrea


Si consideri una struttura iperstatica e la si riduca ad isostatica declassando alcuni vincoli esterni o
interni e mettendo in evidenza le relative incognite iperstatiche. Le incognite sono forze generalizzate
(forze o coppie) e gli spostamenti generalizzati associati sono tutti nulli nella struttura reale (prima
del declassamento). Quindi, usando il teorema di Castigliano, la derivata dell’energia di deformazione
rispetto ad una qualunque delle incognite iperstatiche deve essere nulla in soluzione.
Si ottiene dunque il teorema di Menabrea:
Teorema 7 In una struttura iperstatica l’energia di deformazione elastica risulta stazionaria rispetto
alle incognite iperstatiche

Esercizio Calcolare l’incognita iperstatica in una trave di lunghezza L con vincoli incastro-carrello
soggetta ad un carico distribuito q. Si indichi con Y qL l’iperstatica associata al carrello.
Z L
1 1
Ω= ( qx2 + Y qLx)2 dx
2EJ 0 2
Z L
∂Ω qL 1
0= = x( qx2 + Y qLx)dx
∂Y EJ 0 2
che coincide con il PLV a suo tempo usato e quindi:
3
Y =−
8
Capitolo 11

Cenni a problemi di instabilità

Sino ad ora l’equilibrio è stato imposto nella configurazione indeformata. Si consideri la struttura della
Figura 11.1. Se analizzata con le tecniche usuali la deflessione v(x) risulta nulla.
L’esperienza comune però insegna che trave snella compressa si instabilizza e trova equilibrio in configu-
razione non rettilinea.
Ammettiamo la validità di questa osservazione e ricerchiamo soluzioni deformate. con deflessione ancora
infinitesima.

Figura 11.1: Trave compressa: configurazione iniziale e configurazione deformata

Le condizioni necessarie di equilibrio applicate a tutta la struttura permettono il calcolo delle reazioni a
terra della cerniera.

Figura 11.2: Condizioni necessarie di equilibrio per la trave intera e per una porzione di trave

Le condizioni necessarie di equilibrio applicate invece ad una porzione di trave conducono a:

M (x) = −P v(x)

da cui, ammettendo la validità della linea elastica (travi snelle):

EJv 00 (x) + P v(x) = 0

con condizioni al contorno:


v(0) = 0, v(L) = 0

149
150 CAPITOLO 11. CENNI A PROBLEMI DI INSTABILITÀ

Figura 11.3: Estensione ad altre condizioni di vincolo

Ponendo α2 = P/(EJ) la soluzione ha la forma:

v(x) = A sin αx + B cos αx

con B = 0 per la prima condizione al contorno. La seconda impone A = 0 oppure:

αL = kπ

con A qualsiasi. Se cioè il carico applicato assume uno dei valori:

π 2 EJ
P = k2
L2
il problema ammette soluzione sinusoidale di ampiezza arbitraria che si chiama deformata critica. La
trave cede per instabilità a flessione.
Se alla trave si applica un carico crescente, il primo valore di carico critico euleriano è:

π 2 EJm
Pc =
L2
dove Jm è il minimo modulo di inerzia della sezione della trave. Prima di arrivare a questo valore di P
la trave rimane rettilinea.
11.1. ESTENSIONI 151

11.1 Estensioni
Si potrebbe ripetere lo stesso procedimento per altre condizioni di vincolo come quelle della Figura 11.3.
In questi casi si può applicare però una regola pratica molto semplice. Si consideri la deformata critica
per i vincoli specifici analizzati e la sua estensione oltre il piano dei vincoli.
In questi casi, detta L0 la distanza tra flessi successivi nella deformata critica (eventualmente dopo
l’aggiunta di strutture riflesse, vale la semplice formula:

π 2 EJm
Pc =
L20

ed L0 è detta lunghezza di libera inflessione.


Un caso in cui il procedimento semplificato non è applicabile è quello di Figura 11.4.

Figura 11.4: Caso non “riducibile”

11.2 Esempio numerico


Trave di lunghezza L = 5 m a sezione circolare di raggio 5 cm incastrata con carico di 1000 kN. Se il carico
è di trazione la verifica a resistenza impone che lo sforzo medio sia inferiore a σ0 :

P 2
σ= = 125 N/mm ≤ σ0
A
dove A = πR2 e σ0 è un valore determinato sperimentalmente che per acciai standard vale circa
420 N/mm2 .
Se il carico è di compressione l’instabilità critica è il fenomeno più gravoso. Infatti, in questo caso
J = πR4 /4 e lo sforzo medio σ dovrebbe essere inferiore allo sforzo medio critico σc = Pc /A, con:
2
σc ' 13 N/mm

Quindi la verifica a compressione non è soddisfatta.

11.3 Esercizio
Si consideri un’asta incernierata con carico di compressione P e molla torsionale con costante elastica K
(Figura 11.5). Studiare le configurazioni di equilibrio deformate.
Si impone l’equilibrio alla rotazione scrivendo l’equazione del momento rispetto alla cerniera in configu-
razione deformata:
Kϑ = P L sin ϑ
Questa equazione ammette sempre soluzione ϑ = 0. Se P ≥ K/L allora esiste anche un’altra soluzione.
152 CAPITOLO 11. CENNI A PROBLEMI DI INSTABILITÀ

Si sviluppi in serie sin ϑ nell’equazione del momento:

ϑ3 ϑ5
 
Kϑ = P L ϑ − + + ···
6 120

Se si considerano solo i termini in ϑ:


ϑ(K − P L) = 0
da cui si ottiene che ϑ = 0 è sempre soluzione, ma se P = Pc = K/L, ϑ può avere qualunque valore. Cioè
la trave si instabilizza. Per studiare come ciò avvenga si riconsidera lo sviluppo in serie e si tiene anche
il termine in ϑ3 :
ϑ3
Pc ϑ = P ϑ − P
6
da cui, per piccoli ϑ:
ϑ2
P = Pc (1 + )
6
che fornisce il caratteristico andamento “a corna” del grafico P − ϑ in Figura 11.5:

Figura 11.5: Esempio con elasticità concentrata


Appendice A

Richiami su vettori e tensori

A.1 Vettori
Si fissa l’attenzione sul caso semplice di spazi euclidei V con basi ortonormali:

e1 , e2 , e3 , con ei · ej = δij

I coefficienti δij sono definiti da:


(
δij =1 se i = j
δij :=
δij =0 6 j
se i =

A.1.1 Vettore
Un vettore u di V è una combinazione lineare dei vettori della base:

u = ui ei

Si utilizza la convenzione degli indici saturati: se un indice (in questo caso l’indice i) compare due volte,
allora si intende implicitamente la somma sull’indice stesso:

3
X
ui ei := ui ei
i=1

Liste e vettori

Un vettore è un’entità intrinseca che non dipende dal sistema di riferimento prescelto, al contrario delle
componenti ui . Si noti che è quindi improprio dire che un vettore coincide con le sue componenti, anche
se tale pratica è spesso in uso corrente. Infatti spesso si indica un vettore a con la lista colonna {a} delle
sue componenti:
 
 a1 
{a} = a2 (A.1)
a3
 

Si tratta di una notazione molto intuitiva e che quindi verrà spesso adottata nel testo per “spiegare” alcuni
passaggi. La notazione a viene detta intrinseca, la notazione ai indiciale, la notazione {a} notazione a
liste.

153
154 APPENDICE A. RICHIAMI SU VETTORI E TENSORI

A.1.2 Prodotto scalare


Siano u et v due vettori di V. Il prodotto scalare u · v è esprimibile come:

u · v = cos θkukkvk

dove θ é l’angolo compreso tra u e v nel piano definito dai vettori stessi. Inoltre:

u · v = (ui ei ) · (vj ej ) = ui vj ei · ej = ui vj δij = ui vi (A.2)

Utilizzando la notazione con le liste, il prodotto scalare tra due vettori a e b può essere rappresentato con
un prodotto tra una lista riga ed una lista colonna (o brevemente, prodotto riga-colonna):

a · b = {a}T {b}

Esercizio. Verificare la eq.(A.2) svolgendo termine a termine la sommatoria in ui vj δij ed utilizzando


la definizione di δij

A.1.3 Prodotto vettoriale


I numeri eijk (componenti del tensore di Ricci) sono definiti da:

eijk = 1 si {ijk} = {123} e permutazioni pari: {231},{312}

eijk := eijk = 0 se almeno due indici sono uguali

eijk = −1 altrimenti, cioé permutazioni dispari di {123}

Il prodotto vettoriale di due vettori qualunque u, v ∈ R può essere espresso nella forma:

u ∧ v = sin θkukkvkn = eijk uj vk ei (A.3)

A.2 Tensori del secondo ordine


Un tensore può essere interpretato come un operatore lineare che trasforma un vettore b dello spazio V in
un nuovo vettore a dello stesso spazio. Nel corso si indicheranno i tensori del secondo ordine con lettere
sottolineate due volte. Ad esempio, sia F il generico tensore del secondo ordine. Allora si scriverà:

a(x) = F (x) · b(x)

e si dirà: F applicato a b fornisce a.

A.2.1 Tensore diade


Dati due vettori c e d, l’espressione c ⊗ d indica un particolare tensore (detto diade) che, per definizione,
opera nel modo seguente sul vettore a:

(c ⊗ d) · a = c(d · a)

dove fra parentesi vi è il classico prodotto scalare tra due vettori.

A.2.2 Componenti e base di un tensore


Si fissi una base ei per V. Per definizione indicheremo con Fij la seguente quantità:

(F · ej ) · ei (A.4)

I numeri Fij vengono detti componenti del tensore. Essi dipendono dalla base, mentre F è un’entità
intrinseca.
A.2. TENSORI DEL SECONDO ORDINE 155

Poiché F trasforma un vettore b in un altro vettore a, Fij dice quale sarà la componente in direzione i del
vettore a se il vettore b è pari ad un vettore della base ej . In definitiva Fij dice come vengono trasformati
i vettori della base prescelta.
Il generico tensore può essere espresso come una combinazione lineare delle diadi em ⊗ en :

F = αmn em ⊗ en ,

ed i coefficienti della combinazione lineare αmn coincidono con le componenti Fmn . Si è adottata la
convenzione degli indici saturati: m ed n si intendono sommati da 1 fino alla dimensione dello spazio V.
Si immagini infatti di calcolare le componenti di F secondo la eq.(A.4). Dapprima si applica F a ej :

(αmn em ⊗ en ) · ej = αmn em δnj = αmj em

e poi si esegue il prodotto scalare rispetto di ei con il risultato:

(αmj em ) · ei = αmj δim = αij

quindi αij = Fij .

A.2.3 Tensori del secondo ordine e matrici


Se si fissa la base, l’operazione a = F · b può essere espressa indicando solamente le componenti

ai = Fij bj

Infatti:
a = ai ei = F · b = (Fij ei ⊗ ej ) · (bm em ) = ei Fij bj

Come per i vettori, un tensore non deve essere confuso con le sue componenti in una data base. È
comunque pratica molto diffusa rappresentare i tensori del secondo ordine con matrici, implicitamente
specificando la base prescelta. Si userà quindi spesso la notazione [F ] per indicare il tensore F (la matrice
delle sue componenti). L’applicazione di F ad un vettore b si può quindi rappresentare usando il classico
prodotto matrice-vettore.
a = F · b ↔ {a} = [F ]{b}

A.2.4 Notazione a · F · b ovvero {a}T [F ]{b}


La notazione a · F · b indica in maniera leggermente impropria la quantità:

a · (F · b) = a · (Fij bj ei ) = ai Fij bj .

Se si utilizza la notazione con le liste:

a · F · b = {a}T [F ]{b}

A.2.5 Tensore trasposto


Dato F = Fij ei ⊗ ej , il suo trasposto F T è:

F T = Fji ei ⊗ ej

La matrice associata ad F T è la trasposta della matrice associata a F :

[F T ] = [F ]T
156 APPENDICE A. RICHIAMI SU VETTORI E TENSORI

A.2.6 Tensore prodotto


Dati A e B con la notazione:
C =A·B
s intende il tensore con componenti:
Cij = Aim Bmj
e quindi:
[C] = [A][B]

A.2.7 Tensore unità


Si indica con 1l il tensore unità che trasforma un vettore nel vettore stesso.

1l = ei ⊗ ei

e corrisponde alla matrice unità. Si noti che il tensore 1l può essere espresso usando i coefficienti δij :

1l = δij ei ⊗ ej

per cui δij sono i coefficienti di 1l.

A.2.8 Cambiamento del sistema di riferimento


Sia dato il tensore F insieme alla sue componenti Fmn nel sistema di riferimento ortonormale em . Si
vogliano adesso calcolare le sue componenti Fij0 rispetto ad un nuovo sistema di riferimento ortonormale
e0j .
Si applica la definizione di componente di F :

Fij0 = e0i · (F · e0j ) = e0i · (Fmn em ⊗ en ) · e0j




Si indichi con Cij il prodotto scalare ei · e0j . Allora:

Fij0 = Cmi Fmn Cnj → [F 0 ] = [C]T [F ][C]

dove la notazione [C] indica la matrice dei coefficienti Cij e cosı̀ per [F ]. Si noti che, poichè:

e0i = Cim em , e0j = Cjn en

vale:
Cmi Cmj = δij → [C]T [C] = [I]
cioé la matrice [C] è ortogonale.

A.2.9 Rotazione di un tensore


Sia dato il tensore F insieme alla sue componenti Fmn nel sistema di riferimento ortonormale em . Sia e0n
una nuova base ruotata rispetto a em . Chiamiamo simbolicamente α questa rotazione.
Se un vettore a = ai ei viene ruotato di α esso diventa il vettore a0 con le stesse componenti ai ma nella
base e0i : a0 = ai e0i .
In maniera simile chiameremo tensore ruotato F 0 il tensore:

F 0 = Fij e0i ⊗ e0j

Quali sono le componenti di F 0 nel base non ruotata? Si applica la definizione di componente di F :

Fij0 = ei · (F 0 · ej ) = ei · (Fmn e0m ⊗ e0n ) · ej




e quindi
Fij0 = Cim Fmn Cjn → [F 0 ] = [C][F ][C]T
A.3. FORMULE ASSOCIATE AL TEOREMA DELLA DIVERGENZA, O DI GREEN 157

A.3 Formule associate al teorema della divergenza, o di Green


Sotto opportune condizioni di continuità
Z Z
diva dV = a · n dS (A.5)
V ∂V

ovvero, in notazione indiciale:


Z Z
∂ai
dV = ai ni dS (A.6)
V ∂xi ∂V

Si supponga poi di considerare un insieme di tre vettori aik ei , per k = 1, 2, 3. Il teorema della divergenza
applicato al k-esimo vettore fornisce:
Z Z
∂aik
dV = aik ni dS (A.7)
V ∂xi ∂V

Si noti che é possibile moltiplicare la eq.(A.7) per ek e sommare su k, da cui:


Z Z
∂aik ek
dV = aik ek ni dS (A.8)
V ∂xi ∂V
158 APPENDICE A. RICHIAMI SU VETTORI E TENSORI
Appendice B

Geometria delle aree

B.1 Baricentro
Figura piana nel piano x, y. Momento statico rispetto all’asse x:
Z
Sx = ydS
A

Momento statico rispetto all’asse y:


Z
Sy = xdS
A

Il baricentro è per definizione quel punto xG ex + yG ey tale che:


Z
Sy
(x − xG )dS = 0 → xG = (B.1)
A
ZA
Sx
(y − yG )dS = 0 → yG = (B.2)
A A

Se una figura ha un piano o asse o punto di simmetria il suo baricentro appartiene a tale luogo.

B.1.1 Esercizio
Calcolare la posizione del baricentro delle strutture di Figura B.1.

Figura B.1: Baricentro di triangolo e cerchio

159
160 APPENDICE B. GEOMETRIA DELLE AREE

Per il triangolo:
Z V Z H(1−y/V )
1 1
xG = x dS = H
A 0 0 3
Z V Z H(1−y/V )
1 1
yG = y dS = V
A 0 0 3
Per il semi-cerchio:

xG = 0
Z π Z R
2 4R
yG = (r sin θ)rdr dθ =
πR2 0 0 3π

B.1.2 Tecnica per il calcolo del baricentro


Si consideri una sezione S e la si immagini costituita più figure S (i) semplici di cui si conosce la posizione
del baricentro rispetto al riferimento generale:
(i) (i)
(i) Sy (i) Sx
xG = yG =
A(i) A(i)
Poichè per il momento statico vale la proprietà distributiva, si ha:
X X
Sx = Sx(i) Sy = Sy(i)
i i

da cui il calcolo del baricentro della struttura globale è immediato:


1 X (i) (i) 1 X (i) (i)
xG = x A yG = y A
A i G A i G

B.1.3 Esercizio
Si consideri la sezione S di trave della Figura B.3. Le dimensioni sono assegnate in centimetri. Si immagini
di dividere la sezione in due rettangoli, come nella Figura B.4. Si indichino con S1 e S2 , rispettivamente,
i rettangoli superiore ed inferiore.
Calcolo area:
A = 16.2 × 27.5 + 36.3 × 15 = 445.5 + 544.5 = 990 cm2
Calcolo momenti statici:

Sx = 445.5 × 28.75 + 544.5 × 7.5 = 16891.875 cm3


Sy = 445.5 × 11.9 + 544.5 × 18.15 = 15184.185 cm3

Calcolo baricentro:
Sy Sx
xG = = 15.34 cm yG = = 17.06 cm
A A

B.2 Momenti d’inerzia


Si definisce momento d’inerzia rispetto all’asse x lo scalare:
Z
Jx = y 2 dS
A

Si definisce momento d’inerzia rispetto all’asse y lo scalare:


Z
Jy = x2 dS
A
B.2. MOMENTI D’INERZIA 161

S1 S2 S
(i)
A 445.5 544.5 990
(i)
xG 11.9 18.15 15.34
(i)
yG 28.75 7.5 17.06

Figura B.2: Riassunto delle principali caratteristiche geometriche dei rettangoli componenti

Figura B.3: Esempio di sezione piena

Figura B.4: Partizione della sezione


162 APPENDICE B. GEOMETRIA DELLE AREE

Si definisce momento d’inerzia misto lo scalare:


Z
Jxy = xydS
A

Si noti che Jx e Jy sono quantità sempre positive al contrario del momento misto Jxy che può avere un
segno arbitrario. Inoltre, se uno degli assi x, y e di simmetria per la figura, il momento misto è nullo.
Si definiscono raggi giratori d’inerzia gli scalari:
r r
Jx Jy
rx = ry =
A A
Si definisce infine momento d’inerzia polare lo scalare positivo:
Z
JP = (x2 + y 2 )dS
A

B.2.1 Esercizio
Calcolare i momenti d’inerzia per le sezioni della Figura B.5. L’origine del sistema di riferimento coincide
con il baricentro delle sezioni.

Figura B.5: Calcolo momenti di inerzia

Per il rettangolo di base B ed altezza H:


Z H/2
1 1
Jx = B y 2 dy = BH 3 , Jy = HB 3 , Jxy = 0
−H/2 12 12
Per il cerchio di raggio R:
2π R
πR4
Z Z
Jx = Jy = r2 sin2 θrdr dθ = Jxy = 0
0 0 4

B.2.2 Trasporto dei momenti di inerzia


Siano p, r assi baricentrici (per una data figura) paralleli a x, y, assi del sistema di riferimento globale.
Siano xG e yG le coordinate del baricentro nel sistema globale. La relazione tra i due set di coordinate è
dunque:
x = p + xG y = r + yG
Si ha dunque:
Z Z
Jx = y 2 dS = (r2 + yG
2 2
+ 2ryG )dS = Jp + AyG
A A
Z Z
2
Jy = x dS = (p2 + x2G + 2pxG )dS = Jr + Ax2G
A A
Z Z
Jxy = xydS = (pyG + rxG + rp + xG yG )dS = Jpr + AxG yG
A A
B.2. MOMENTI D’INERZIA 163

B.2.3 Tecnica per il calcolo dei momenti di inerzia


Si consideri una generica sezione S suddivisa in sottosezioni semplici di cui si conoscono i momenti
(i) (i) (i)
di inerzia baricentrici Jp , Jr , Jpr (cioè i momenti d’inerzia rispetto ad assi p(i) , r(i) con origine nel
baricentro delle singole sottosezioni). Siano p, r due assi paralleli a x, y passanti per il baricentro della
sezione globale. Allora, per la proprietà distributiva dei momenti d’inerzia:
(i)
X X
Jp = Jp(i) + A(i) (yG − yG )2
i i
(i)
X X
Jr = Jr(i) + A(i) (xG − xG )2
i i
(i) (i)
X X
(i)
Jpr = Jpr + A(i) (yG − yG )(xG − xG )
i i

B.2.4 Esercizio
Si consideri ancora la sezione S di trave della Figura B.3. e si calcolino i momenti di inerzia rispetto ad
assi baricentrici p, r paralleli al sistema globale x, y usando le formule appena dedotte:

Jp =(1/12) × 16.2 × 27.53 + 445.5 × (28.75 − 17.06)2


+ (1/12) × 36.3 × 153 + 544.5 × (7.5 − 17.06)2 = 148929.26 cm4
Jr =(1/12) × 16.23 × 27.5 + 445.5 × (11.9 − 15.34)2
+ (1/12) × 36.33 × 15 + 544.5 × (18.15 − 15.34)2 = 79104.56 cm4
Jpr = 445.5 × (28.75 − 17.06) × (11.9 − 15.34)
+ 544.5 × (7.5 − 17.06) × (18.15 − 15.34) = −32542.389 cm4

B.2.5 Momenti di inerzia rispetto ad assi ruotati


Siano p, r assi baricentrici e siano n, t ancora baricentrici ma ruotati di α in senso antiorario rispetto ai
primi: en = cos α ex + sin α ey , et = − sin α ex + cos α ey . Il punto di coordinate pex + rey ha coordinate:

n = p cosα + r sinα t = −p sinα + r cosαy

nel nuovo sistema di riferimento. Quindi:


Z
Jn = t2 dS = Jr sin2 α + Jp cos2 α − 2Jpr cosα sinα
A
Z
Jt = n2 dS = Jr cos2 α + Jp sin2 α + 2Jpr cosα sinα
A
Z
Jnt = ntdS = (Jp − Jr ) sinα cosα + Jpr (cos2 α − sin2 α)
A

ovvero, introducendo l’angolo 2α e concentrandoci su Jn e Jnt :


Jp + Jr (Jp − Jr )
Jn = + cos(2α) − Jpr sin(2α)
2 2
(Jp − Jr )
Jnt = sin(2α) + Jpr cos(2α)
2
Si definiscono adesso le costanti:
r
Jp + Jr 1
C= R= (Jp − Jr )2 + Jpr
2
2 4
e l’angolo β tale che:
(Jp − Jr )
= R cos β Jpr = R sin β
2
164 APPENDICE B. GEOMETRIA DELLE AREE

Figura B.6: Cerchio di Mohr per i momenti di inerzia

Si ha dunque:

Jn = C + R cos(2α + β)
Jnt = R sin(2α + β)

da cui appare evidente la somiglianza con i cerchi di Mohr tracciati per lo stato di sforzo.
Si consideri infatti il piano Jn , Jnt . Queste quantità hanno il ruolo di σ e τ per lo stato di sforzo piano.
Il luogo descritto da tutti i possibili punti Jn , Jnt al variare dell’angolo α è un cerchio che ha raggio R
e centro in (C, 0). In particolare per α = 0 si ha n = p, t = r e quindi Jn = Jp e Jnt = Jpr . Per per
α = π/2 si ha n = t, t = −r e quindi Jn = Jr e Jnt = −Jpr . I punti A = (Jp , Jpr ) e B = (Jr , −Jpr )
giacciono quindi su estremità opposte di un diametro del cerchio per cui, se si conoscono i dati Jp , Jr , Jpr ,
il cerchio è di immediata costruzione.
In particolare esistono due direzioni che differiscono di 2α = π in corrispondenza delle quali Jnt = 0 e
Jn = C ± R cioè Jn è o massimo o minimo. La direzione con Jn = C + R viene indicata con ei e quella
con Jn = C − R con eii . Tali direzioni vengono dette principali ed il loro calcolo si esegue come per il
cerchio di Mohr dello sforzo. Ad esempio, se il punto A deve ruotare di 2α in senso antiorario sul cerchio
di Mohr per sovrapporsi al punto C + R ciò significa che la direzione ex deve ruotare di α nello stesso
senso per sovrapporsi a ei . Oppure, se il punto B deve ruotare di 2θ in senso orario sul cerchio di Mohr
per sovrapporsi al punto C − R ciò significa che la direzione ey deve ruotare di θ in senso orario per
sovrapporsi a eii .
Il sistema di riferimento u, v con u e v coordinate associate alle direzioni ei e eii , rispettivamente, è detto
principale, ed in particolare risulta dunque:

Ju = C + R, Jv = C − R, Juv = 0

L’ellisse: r r
u2 v2 Ju Jv
+ = 1, con ρu = ρv =
ρ2v ρ2u A A
viene chiamata ellisse principale d’inerzia. Senza dimostrazione si enuncia una proprietà dell’ellisse.
Ponendosi nel sistema u, v, si consideri un diametro d dell’ellisse di direzione eβ e che taglia in due punti
l’ellisse. Sia eγ la tangente all’ellisse in tali punti e sia c il diametro dell’ellisse parallelo a eγ . I due
B.3. PROFILI SOTTILI 165

diametri p
c, d si dicono coniugati. Si può dimostrare che la semilunghezza di un diametro è il raggio
giratore Jn /A in un sistema n, t in cui n è diretto come il diametro coniugato. La verifica è facile per
i due diametri dell’ellisse.

B.2.6 Esercizio

Figura B.7: Direzioni principali di inerzia

Si consideri ancora la sezione S di trave della Figura B.3.


r
Jp + Jr 4 1
2 + (J − J )2 = 47727.133 cm4
C= = 114016.914 cm R = Jpr p r
2 4
e:
Ju = C + R = 161744 cm4 Jv = C − R = 66289.8 cm4
In particolare si osserva dalla Figura B.6 che il punto A deve ruotare sul cerchio dell’angolo 2α, con:

1 2Jpr
= 0.3751 rad = 21.49◦
α = arctan
2 Jp − Jr
in direzione antioraria per sovrapporsi al punto associato alla direzione ei e quindi l’asse u forma l’angolo
α in senso antiorario rispetto all’asse p, come indicato nella Figura B.7.
Nella Figura è anche rappresentata qualitativamente l’ellisse principale d’inerzia.

B.3 Profili sottili


Di interesse pratico è una categoria di sezioni costituite da più profili sottile connessi tra loro. I profili
sono detti sottili nel senso che lo spessore è piccolo rispetto alle altre dimensioni. Geometricamente, come
in Figura B.9, vengono rappresentati fornendo le coordinate della linea media e lo spessore dei vari tratti.
La sezione viene dunque idealmente ridotta ad una linea dotata di spessore. Per calcolare le proprietà
geometriche della sezione si procede come negli esempi precedenti, introducendo una semplificazione:
poichè lo spessore h è piccolo, tutte le espressioni che contengono h2 e h3 possono essere trascurate
rispetto ai termini lineari in h.
Calcolo area:
A = 2.6 × 0.2 + 9.1 × 0.3 + 6 × 0.2 + 2.6 × 0.3 = 5.23 cm2
166 APPENDICE B. GEOMETRIA DELLE AREE

S (1) S (2) S (3) S (4) S


A(i) 0.52 2.73 1.2 0.78 5.23
(i)
xG 1.3 0 3 6 1.71
(i)
yG 9.1 4.55 0 1.3 3.47

Figura B.8: Riassunto delle principali caratteristiche geometriche dei rettangoli componenti

Figura B.9: Esempio di profilo sottile

Figura B.10: Esempio di profilo sottile


B.3. PROFILI SOTTILI 167

Calcolo momenti statici:

Sx = 0.52 × 9.1 + 2.73 × 4.55 + 0.78 × 1.3 = 18.17 cm3


Sy = 0.52 × 1.3 + 1.2 × 3 + 0.78 × 6 = 8.96 cm3

Calcolo baricentro:
Sy Sx
xG = = 1.71 cm yG = = 3.47 cm
A A
Calcolo momenti d’inerzia:

Jp =0.52 × (9.1 − 3.47)2 + (1/12) × 0.3 × 9.13 + 2.73 × (4.55 − 3.47)2


+ 1.2 × 3.472 + (1/12) × 0.3 × 2.63 + 0.78 × (1.3 − 3.47)2 = 57.07 cm4
Jr =(1/12) × 0.2 × 2.63 + 0.52 × (1.3 − 1.71)2 + 2.73 × 1.712
+ (1/12) × 0.2 × 63 + 1.2 × (3 − 1.71)2 + 0.78 × (6 − 1.71)2 = 28.315 cm4
Jpr =0.52 × (9.1 − 3.47) × (1.3 − 1.71) + 2.73 × (0 − 1.71) × (4.55 − 3.47)
+ 1.2 × (3 − 1.71) × (0 − 3.47) + 0.78 × (6 − 1.71) × (1.3 − 3.47) = −18.87 cm4

Calcolo del cerchio di Mohr:


r
Jp + Jr 1
C= = 42.69 cm4 R= 2 + (J − J )2 = 23.72 cm4
Jpr p r
2 4
e:
Ju = C + R = 66.41 cm4 Jv = C − R = 18.97 cm4
Il punto A deve ruotare in senso antiorario dell’angolo 2α, con:

1 2Jpr
= 26.35◦
α = arctan
2 Jp − Jr

per sovrapporsi al punto associato alla direzione ei e quindi l’asse u forma l’angolo α in senso antiorario
rispetto all’asse p.
168 APPENDICE B. GEOMETRIA DELLE AREE
Appendice C

Esempi di domande di teoria dai


compitini

C.1 Stato di sforzo e deformazione


Domanda. Che relazione deve essere necessariamente rispettata tra α e β affinché il tensore degli sforzi
definito da σxx = αx, σzz = αx2 , σxz = βz (le altre componenti sono nulle) sia soluzione, in un punto
arbitrario, di un problema di meccanica dei solidi. Il solido è caricato arbitrariamente sul contorno e le
forze di volume sono nulle.
Risposta. La divergenza di σ deve essere nulla. La sola equazione non automaticamente soddisfatta è:

∂σxx ∂σxy ∂σxz


+ + =0
∂x ∂y ∂z

da cui α + β = 0

Domanda. Uno stato di sforzo è caratterizzato da: σxx = −5 MPa, σyy = −3 MPa, σxy = −2 MPa,
(altre componenti nulle). Tracciare il cerchio di Mohr associato e determinare gli sforzi principali con le
relative giaciture

Domanda. Con opportune unità di misura, sia σyy = 1, σzz = 3, σzy = −2. Tracciare il cerchio di
Mohr. Calcolare gli sforzi principali e le relative direzioni. Le conclusioni tratte sono valide anche se
σzx = 2 ?
Risposta. Per il cerchio di Mohr vedere le dispense. Se σzx non è nullo allora x non è direzione principale
ed il cerchio di Mohr 2D non si applica.

Domanda. In un solido a forma di cubo lo stato di sforzo è (in MPa): σxx = 3y + 2x , σyy = −5zy,
σzz = (1/2)z 2 , σzy = zy, σxy = y (altre componenti nulle). Il lato del cubo è L = 1 m. Uno spigolo
coincide con l’origine, i lati sono allineati con gli assi e tutto il cubo si trova nel settore con x, y, z positive.
Quali sono le forze di volume e di superficie che necessariamente sono applicate sul cubo se questo è in
equilibrio?

Domanda. Si consideri il campo di spostamento infinitesimo sx = αx , sy = αx + βz, sz = βx con α


e β coefficienti costanti.

• Qual è la variazione di angolo tra due fibre inizialmente dirette come y e z?

• Calcolare l’elongazione di una fibra inizialmente diretta come la bisettrice tra x ed y

169
170 APPENDICE C. ESEMPI DI DOMANDE DI TEORIA DAI COMPITINI

Risposta. La variazione di angolo tra due fibre inizialmente dirette come y e z è

∂sy ∂sz
2εyz = + =β
∂z ∂y

Una fibra inizialmente diretta come la bisettrice tra x ed y ha come versore:


1
N = √ (ex + ey )
2
L’elongazione è:
 T   
1 1

 1  α

 2α 2 β 
 1 

1  
N ·ε·N → 1 1
1 =α
 2α
 1  0 2 β 

2  
  1 1  
0 2β 2β 0 0

Domanda. Si consideri il seguente campo di spostamenti (trasformazione infinitesima):

s = αzex − αxez

Si calcolino i tensori ε e w e se ne fornisca un’interpretazione fisica.


Risposta. Il gradiente ha solo due componenti non nulle:

∂sx ∂sz
=α = −α
∂z ∂x
e la matrice associata è antisimmetrica. Quindi le componenti di deformazione sono nulle (ε = 0) ed
il gradiente coincide con w. Fisicamente il campo di spostamenti assegnato rappresenta una rotazione
rigida attorno all’asse y.

C.2 Casi di Saint Venant


Domanda. Tracciare il diagramma qualitativo di σzs per i profili sottili di Figura C.1 soggetti solo a
taglio Ty (spessore costante)

Figura C.1: Profili sottili soggetti a taglio

Risposta. Vedere le Figure C.2.


C.2. CASI DI SAINT VENANT 171

Figura C.2: Profilo sottile soggetto a taglio


172 APPENDICE C. ESEMPI DI DOMANDE DI TEORIA DAI COMPITINI

Figura C.3: Problema di Saint Venant con sezione triangolare equilatera

Domanda. Si consideri un problema di Saint Venant con sezione triangolare equilatera come in Figura
C.3. Se nel punto indicato σxz = β, quanto vale σyz ?

Risposta. Per la condizione σzx nx + σzy ny = 0 (bordo laterale scarico), si ottiene σzy = 3β.

Domanda. Teoria della torsione per profili sottili applicata ad un rettangolo sottile di spessore h (in
direzione y) e con lato lungo (di lunghezza L) parallelo ad x. Dare l’espressione di σxz e σyz nell’ambito
di questa teoria in funzione di Mt e Jt . Si calcoli il sistema forza+coppia equipollente alla distribuzione
di σxz e σyz . Commentare.
Risposta. La teoria prevede:
Mt
σzx = 2 y, σzy = 0
Jt
La risultante di questi sforzi è nulla. Se si calcola il momento Mz rispetto al centro:
Z h/2
Mt Mt
Mz = 2 L y 2 dy =
Jt −h/2 2
si ottiene la metà del momento torcente. Infatti si sono trascurate le σzy vicino agli spigoli che, per
limitate ad una regione molto piccola, presentano braccio elevato rispetto al centro.

Domanda. Disegnare la distribuzione qualitativa di σz secondo l’approssimazione di Jourawsky quando


al profilo sottile della Figura C.4 (spessore uniforme t) viene applicato un taglio Ty .
Risposta. Lo sforzo di taglio è nullo sulla piastra orizzontale. È parabolico sulle due anime verticali; si
annulla agli estremi e raggiunge il massimo in y = 0. La distribuzione è simmetrica rispetto all’asse x.
Vedere la Figura C.5

Domanda. Calcolare la posizione del centro di taglio del profilo sottile della Figura C.5.
Risposta. Si rammenta che il centro di taglio, nel caso di profili sottili, può essere definito come quel
punto del piano rispetto a cui la distribuzione degli sforzi di taglio alla Jourawsky fornisce momento
nullo. In particolare, se si impone un taglio Ty , la distribuzione alla Jourawsky è equipollente ad una
forza Ty applicata in un punto qualunque della retta x = xC . Se si impone un taglio Tx , la distribuzione
alla Jourawsky è equipollente ad una forza Tx applicata in un punto qualunque della retta y = yC .
L’intersezione delle due rette è il centro di taglio.
Nel caso di interesse, per simmetria il centro di taglio si trova sull’asse x, per cui si cerca solo la coordinata
xC .
Si decide quindi di calcolare il momento rispetto all’origine dovuto ad un taglio Ty . Solo l’ala verticale di
destra può contribuire, poiché la linea media degli altri profili passa per l’origine. Per simmetria (vedere
la domanda precedente) la parte inferiore dell’ala fornisce lo stesso contributo della parte superiore. Si
considera quindi solo la parte superiore dell’ala di destra.
 
+ + 1 3 + H2
SA =0 SB = H2 t H2 SC = (H2 t)
2 4 2
C.2. CASI DI SAINT VENANT 173

Figura C.4: Profilo sottile soggetto a taglio

L’andamento è parabolico, per cui la risultante sulla la parte superiore dell’ala di destra vale:

Ty H2 + + +
 H23 t Ty
SA + 4SB + SC =
Jx 6 3 Jx
Inoltre:
2
Jx = t(H23 + H13 )
3
ed il braccio della risultante rispetto all’origine è D. Quindi la distribuzione alla Jourawsky è equipollente
ad un taglio applicato in:
H3
xC = D 3 2 3
H1 + H2

Domanda. Definire il centro di taglio per un profilo sottile. Determinare, senza calcoli, la posizione
del centro di taglio per il profilo sottile di destra nella Figura C.6
Risposta. Il centro di taglio è all’incrocio dei due profili sottili. Infatti il momento della distribuzione del
taglio rispetto a questo punto è nullo necessariamente.

Domanda. Per il profilo di sinistra nella Figura calcolare la posizione del centro di taglio.
Risposta. Il centro di taglio si trova sull’anima verticale (per simmetria) ad una distanza dalla piastra
inferiore pari a:
HD13
D13 + D23
Quando D2 tende a zero il risultato coincide con quello del profilo di destra!

Domanda. Ricavare l’espressione della rigidezza torsionale di un profilo sottile rettangolare (lunghezza
H e spessore t). Giustificare l’estensione all’insieme di più profili e calcolare la rigidezza torsionale del
profilo di sinistra nella Figura.
174 APPENDICE C. ESEMPI DI DOMANDE DI TEORIA DAI COMPITINI

Figura C.5: Andamento qualitativo dello sforzo di taglio

Domanda. Travi deformabili: illustrare le ipotesi cinematiche e commentarle.


C.2. CASI DI SAINT VENANT 175

Figura C.6: Profili sottili e centro di taglio

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