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Carmen Dell’Aversano

«Positioning theory» e critica letteraria

1. Nel saggio che apre il volume miscellaneo che ha segnato


l’ingresso della positioning theory nel panorama delle scienze so-
ciali (Positioning Theory: Moral Contexts of Intentional Action, a
cura di Rom Harré e Luk van Langenhove), questo orientamento
metodologico viene definito come «[t]he study of local moral or-
ders as ever-shifting patterns of mutual and contestable rights and
obligations to speaking and acting»1; e il concetto centrale della
teoria, quello di position, come
a complex cluster of generic personal attributes, structured in various ways,
which impinges on the possibilites of interpersonal, intergroup and even intrap-
ersonal action through some assignment of such rights, duties and obligations to
an individual as are sustained by the cluster2.

Come spiegano van Langenhove e R. Harré,


The concept of positioning can be seen as a dynamic alternative to the more
static concept of role. Talking about positions instead of roles fits within the
framework of an emerging body of new ideas about the ontology of social phe-
nomena3.

Nella prospettiva costruttivista-costruzionista che rappresenta


il punto di riferimento teorico dei due autori il carattere fonda-
mentale dell’ontologia è la sua natura relazionale4: «[g]enerally

1
R. Harré e L. van Langenhove, The Dynamics of Social Episodes, in R. Harré e L.
van Langenhove (eds.), Positioning Theory: Moral Contexts of Intentional Action, Oxford,
Blackwell, 1999, pp. 1-13, qui p. 1.
2
Ibidem.
3
L. van Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory, in R. Harré e L. van
Langenhove (eds.), Positioning Theory, cit., pp. 14-31, qui p. 14.
4
La trattazione più utile e chiara a me nota di questo importantissimo assunto teorico è
in D. Stojnov e T. Butt, The Relational Basis of Personal Construct Psychology, in R.A. Nei-
meyer e G.J. Neimeyer (eds.), Advances in Personal Construct Psychology: New Directions
and Perspectives, Westport (CT) e London, Praeger, 2002, pp. 81-112.

STRUMENTI CRITICI / a. XXXIII, n. 2, maggio-agosto 2018


Carmen Dell’Aversano

speaking, positions are relational»5. In particolare, lo spazio re-


lazionale in cui si articolano le interazioni che generano le posi-
tions e le loro dinamiche è quello della retorica, specificamente
dell’interazione verbale: Hollway, la prima studiosa ad introdurre
i concetti di position e di positioning (che tradurremo in italiano
rispettivamente con «posizione» e «posizionamento») afferma in-
fatti che «discourses make available positions for subjects to take
up. These positions are in relation to other people»6. Questo loro
essere funzione non di relazioni costanti e consolidate bensì del
continuo divenire dell’interazione discorsiva segna la differenza
tra posizioni, che sono dinamiche e mutevoli, e ruoli, realtà sociali
molto più stabili.
Scopo di questo contributo è mostrare come queste tre carat-
teristiche fondamentali delle posizioni, la loro intrinseca dinami-
cità, la loro natura relazionale e il loro definirsi nell’ambito della
comunicazione verbale, rendano la positioning theory un ausilio
metodologico particolarmente fecondo per la critica letteraria, e
proporre un metodo di analisi dei testi letterari fondato sui con-
cetti fondamentali di questa teoria.
Il primo motivo di interesse di questa proposta metodologica
va individuato a mio parere nella possibilità che offre di rinnovare
l’immagine (di evidente ascendenza romantica, ma tuttora egemo-
nica) del personaggio letterario come individuo sostanzialmente
isolato e autonomo, sostituendola con un modello in cui trovano
spazio le molteplici influenze relazionali e discorsive che contri-
buiscono a costituirne l’identità7. Più specificamente, le peculia-

5
R. Harré e L. van Langenhove, The Dynamics of Social Episodes, cit., p. 2.
6
W. Hollway, Gender Difference and the Production of Subjectivity, in J. Henriques,
W. Hollway et al. (eds.), Changing the Subject: Social Regulation and Subjectivity, Londra,
Methuen, 1984, citato in L. van Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory,
cit., p. 16.
7
Sono grata a Guido Paduano per questo spunto di riflessione, che merita di esse-
re approfondito e sistematizzato ben al di là di quanto mi sarà possibile fare in questa
nota. Credo comunque sia importante osservare che questa, che più che una concettua-
lizzazione, andrebbe definita come una percezione della natura del personaggio letterario,
rappresenta una conseguenza abbastanza ineludibile di una serie di caratteristiche forma-
li della comunicazione letteraria: da Omero in poi (nella tradizione occidentale; ma una
conoscenza anche superficiale di testi letterari di altre culture, dal Mahabharata al Genji
Monogatari conferma che la diffusione di questa peculiarità strutturale è coestensiva al
campo letterario), la rappresentazione artistica della realtà sociale si fonda sulla distinzione
tra primo e secondo piano, tra protagonisti e comprimari, e tende a conferire ai personaggi
appartenenti alla prima categoria una rilevanza che porta a percepirli come largamente
indipendenti dal loro contesto. E questa focalizzazione ossessiva e mai problematizzata
sull’individuo rappresenta un aspetto di non trascurabile rilevanza di quella che si po-
trebbe definire l’«ideologia letteraria», vale a dire la visione del mondo che le forme della
comunicazione letteraria, del tutto a prescindere dagli stili e dai referenti, trasmettono

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rità tecniche della teoria ne fanno uno strumento naturalmente


affine ai testi drammatici: se infatti è vero che «positioning is to
be understood as a way in which people dynamically produce and
explain the everyday behaviour of themselves and others»8, la po-
sitioning theory può offrire spunti particolarmente produttivi per
la comprensione del funzionamento del testo drammatico, il cui
oggetto è appunto il processo attraverso cui le reciproche posi-
zioni dei personaggi (e del pubblico nei loro confronti) vengono
negoziate nell’interazione attraverso strumenti e mosse discorsive.
Il contributo principale della positioning theory all’analisi del
testo drammatico può essere individuato in una ridefinizione delle
sue unità strutturali fondamentali, l’azione e i personaggi. Nell’ot-
tica della positioning theory la principale posta in gioco nelle in-
terazioni sociali è infatti la definizione delle azioni compiute dai
partecipanti:
a conversation unfolds through the joint action of all the participants as they
make (or attempt to make) their own and each other’s actions socially determi-
nate. A speech-action can become a determinate speech-act to the extent that it
is taken up as such by all the participants. So what it is that has been said evolves
and changes as the conversation develops. This way of thinking about speech
acts allows for there to be multiple speech acts accomplished in any one saying
and for any speech-act hearing to remain essentially defeasible9.

Oltre ad essere il luogo strategico da cui avviene la negozia-


zione sul significato delle interazioni, le posizioni sono anche e
soprattutto il luogo della definizione dell’identità:
A subject position incorporates both a conceptual repertoire and a location
for persons within the structure of rights and duties for those who use that rep-
ertoire. Once having taken up a particular position as one’s own, a person inevi-
tably sees the world from the vantage point of that position and in terms of the
particular images, metaphors, storylines and concepts which are made relevant
within the particular discursive practice in which they are positioned. [...] An
individual emerges through the processes of social interaction, not as a relatively
fixed end product but as one who is constituted and reconstituted through the
various discursive practices in which they participate10.

come sistema ontologico-gnoseologico-assiologico, in maniera largamente indipendente


dal genere, dall’epoca e dalla cultura di provenienza, attraverso la semplice fruizione di
testi letterari, in quanto costituiscono le precondizioni della loro intelligibilità.
8
L. van Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory, cit., p. 29.
9
B. Davies e R. Harré, Positioning and Personhood, in R. Harré e L. van Langenhove
(eds.), Positioning Theory, cit., pp. 32-52, qui p. 34.
10
Ivi, p. 35.

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E altrettanto illuminante può essere il contributo della positio-


ning theory per lo studio della meccanica e del preciso funziona-
mento degli effetti che il testo drammatico esercita sui suoi fruito-
ri, che nel dramma vengono ad essere sia spettatori del reciproco
posizionamento dei personaggi sia oggetti di posizionamento da
parte loro nelle allocuzioni a loro direttamente rivolte, sia chiama-
ti ad assumere una propria posizione rispetto ai singoli personaggi
e alle dinamiche in continuo divenire dell’azione.

2. Nell’ambito delle stesse scienze sociali, uno dei principali


motivi di interesse della positioning theory, che è finora inesplica-
bilmente sfuggito all’attenzione degli specialisti, sta nel permettere
di descrivere il funzionamento di oggetti considerati reali nell’am-
bito di una determinata teoria (la madre abbastanza buona, il co-
rollario di costruzione, la forclusione del nome del padre...)11, ma
privi di qualsiasi consistenza ontologica per i sostenitori di teorie
diverse, in un linguaggio equidistante dalle varie teorie, e di dimo-
strarne l’azione e l’effetto nell’interazione. Questa particolarità,
se sistematicamente sfruttata, potrebbe fare molto per facilitare il
dialogo tra posizioni teoriche differenti, e la collaborazione tra i
loro esponenti.
In questo lavoro, focalizzato sulle applicazioni della positioning
theory all’analisi letteraria, mi limiterò a due soli esempi: il concet-
to laingiano di disconferma12 e quello freudiano di spostamento.
A little boy of five runs to his mother holding a big fat worm in his hand and
says, «Mummy, look what a big fat worm I have got». She says, «You are filthy –
away and clean yourself immediately»13.

Questo brevissimo esempio citato da Laing chiarisce che la di-


sconferma avviene attraverso un atto di posizionamento e, cosa
per noi abbastanza interessante, può di conseguenza essere de-
scritta ed analizzata in termini posizionali. Con la sua risposta
la madre riesce a ridefinire la posizione del suo interlocutore (il

11
Che hanno un ruolo di primo piano rispettivamente nelle teorie psicologiche di
Winnicott, Kelly e Lacan.
12
Nel capitolo Confirmation and Disconfirmation, (R.D. Laing, Self and others, Lon-
don, Tavistock, 1961), Laing esplora con grande finezza la fenomenologia e le implicazioni
dei due concetti, ma non ne fornisce in alcun punto una definizione precisa. La migliore
approssimazione è probabilmente «a tangential response [...] fail[ing] to endorse what [the
subject] is doing from his point of view» (ivi, p. 103).
13
R.D. Laing, Self and others, cit., p. 102.

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«Positioning theory» e critica letteraria

bambino), le loro posizioni reciproche e la natura della situazione


e della loro interazione attraverso il semplice stratagemma di rifiu-
tare di prendere posizione rispetto a un particolare elemento della
situazione interattiva, e di escludere così questo elemento dalla
definizione della situazione condivisa dai partecipanti. Ma la chia-
rezza didattica di questo esempio, e le sue probabili conseguenze
patogene, non devono indurre a trascurare che tutte le strategie
di posizionamento, per quanto oneste, benigne e illuminate, sono
invariabilmente e per loro stessa natura sempre in qualche misu-
ra anche strategie di disconferma: hanno la funzione non solo di
definire delle posizioni ma anche e soprattutto di definire chi ha il
diritto di prendere una posizione e ciò rispetto a cui è ammissibile
prendere posizione, contrapponendolo, in maniera implicita ma
proprio per questo indiscutibile e assolutamente vincolante, a tut-
to ciò che resta fuori dall’attività di posizionamento e a cui quindi
non viene accordata alcuna forma di esistenza sociale.
Altrettanto agevole da ridefinire in termini di positioning theo-
ry risulta il concetto freudiano di spostamento.
Le sue [dello spostamento] due manifestazioni sono: primo, che un elemento
latente viene sostituito non da una propria componente bensì da qualcosa di
più lontano, ossia da un’allusione, e secondo che l’accento psichico passa da un
elemento importante a un elemento irrilevante [...]14.

La positioning theory permette di applicare assai proficuamen-


te la definizione di Freud, concepita per situazioni di comunica-
zione intrasoggettiva come il lavoro onirico o la formazione dei
sintomi, a tutte quelle situazioni intersoggettive in cui l’oggetto
palese rispetto a cui ha luogo il posizionamento è diverso dal suo
oggetto reale che, per quanto maggiormente rilevante, resta esclu-
so dalla definizione esplicita della situazione sociale; la pertinenza
del concetto freudiano a questo fenomeno di posizionamento sta
appunto nella direzione dello spostamento che, come nel fenome-
no descritto da Freud («l’accento psichico passa da un elemento
importante a un elemento irrilevante») riguarda sempre il passag-
gio da un elemento rilevante a uno irrilevante. Il caso più diffuso e
benigno di posizionamento di spostamento è rappresentato dalla
comunione fatica15, in cui i partecipanti alla situazione sembrano
prendere posizione rispetto a una serie di informazioni ma in re-

14
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi. Prima serie di lezioni [1917], Torino, Borin-
ghieri, 1978, p. 157.
15
Il termine, e la sua definizione, «a type of speech in which the ties of union are cre-
ated by a mere exchange of words», sono di Bronisław Malinowski (B. Malinowski, The

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altà sono interessati precipuamente a rinsaldare i legami sociali


che intercorrono tra di loro; ma è importante osservare che il po-
sizionamento di spostamento può avere come oggetto l’espressio-
ne di qualsiasi tipo di posizione (dal massimamente amichevole
all’incondizionatamente ostile) rispetto a qualsiasi oggetto, e che
è definito unicamente dal fatto di essere apparentemente rivolto a
un oggetto che non ne rappresenta il reale obiettivo («l’articolo di
A è indecente» = «odio A»).
È importante notare che questo excursus sulla positioning the-
ory come linguaggio descrittivo transdisciplinare per le scienze
sociali non è privo di pertinenza in relazione all’oggetto princi-
pale di questo lavoro, e non soltanto perché l’azione dei due mec-
canismi che abbiamo appena analizzato rappresenta spesso una
determinante importante della definizione del significato dei testi
letterari16. Concetti derivati dalle scienze sociali, dalla repressione
alla lotta di classe, sono infatti da molti decenni parte sostanziale
e aproblematica dello strumentario dell’analisi letteraria: di con-
seguenza potrebbe rivelarsi abbastanza utile una metodologia che
permetta di descriverli in termini comprensibili e accettabili anche
a chi non condivide le premesse teoriche da cui derivano, e di
evidenziarne l’azione nei dettagli più minuti dei testi in maniera
intersoggettivamente verificabile.

3. Provo adesso a proporre un esempio di applicazione della


positioning theory a un brevissimo frammento di un testo lettera-
rio. Per chiarire in che cosa consista secondo me l’analisi posizio-
nale di un testo letterario, credo possa essere utile schematizzare
la procedura che seguirò, che prende le mosse da una serie di do-
mande.
A 1. Rispetto a quali elementi del contesto e delle relazioni con
gli altri personaggi si posiziona il personaggio che parla o agisce?

problem of meaning in primitive languages, in C. Ogden and I. Richards, The Meaning of


Meaning, London, Routledge and Kegan Paul, 1923, pp. 296-336, qui p. 315).
16
Per quanto riguarda lo spostamento, il primo esempio che mi viene in mente è dalle
Nuvole di Aristofane (vv. 868-873: «Socrate Ma è ancora un ragazzino! Non è perito delle
nostre sospensioni... Fidippide Perito sarai tu: basta che t’impicchi! Strepsiade Disgrazia-
to! Imprechi contro il maestro? Socrate Sentilo: “Impiiicchi”. Che pronuncia da stupido,
con quelle labbra tutte aperte!», trad. A. Grilli), dove l’attenzione posta da Socrate sulla
pronuncia di Fidippide serve ad evitare di prendere posizione nei confronti dell’insulto di
cui è stato oggetto. L’azione della disconferma verrà esemplificata nella sezione successiva,
nel corso dell’analisi di un breve brano dell’Othello.

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«Positioning theory» e critica letteraria

A 2. Rispetto a quali invece rifiuta di posizionarsi? In che modo


esprime questo rifiuto?
B 1. Così facendo, che posizioni definisce per se stesso e per gli
altri personaggi e come definisce la situazione in cui si trovano?
B 2. Gli altri personaggi accettano o rifiutano queste posizioni
e questa definizione della situazione? In che modo manifestano la
propria accettazione o il proprio rifiuto?
C 1. Che posizioni il testo definisce per i fruitori, e in che modo
le definisce?
C 2. In che modo i fruitori manifestano la propria disponibilità
o indisponibilità ad occupare queste posizioni?
C 3. Quali sono le conseguenze di questa disponibilità o indi-
sponibilità per l’interpretazione del testo?
Cassio Dear general, I did never give you cause.
Othello I do believe it, and I ask your pardon;
Will you, I pray, demand that demi-devil
Why he hath thus ensnar’d my soul and body?
Iago Demand me nothing, what you know, you know,
From this time forth I never will speak word.
Othello V, ii, 300-305

Cassio ha appena appreso che Otello è il mandante dell’ag-


gressione che per poco non gli è costata la vita; il suo primissimo
atto di posizionamento è estremamente significativo. Anzitutto
perché, pur essendo gravemente ferito, non si rivolge ai delegati
della Repubblica presenti in scena per chiedere loro soccorso e
giustizia bensì unicamente a Othello; inoltre perché lo apostro-
fa non come suo potenziale assassino bensì come suo superiore
(«Dear general»); in terzo luogo perché, lungi dall’esigere da lui
che renda oggetto di posizionamento la sua responsabilità nel cri-
mine di cui è stato vittima (e di conseguenza la posizione di vittima
innocente, meritevole di tutela e di giustizia, che Cassio è stato da
lui costretto ad occupare), sceglie, al contrario, di occupare una
posizione subordinata protestando la propria innocenza, come se
questa non fosse del tutto scontata («I did never give you cause»).
Tutte queste scelte di posizionamento confermano al di là di ogni
dubbio sia il ruolo fondante del rapporto con Othello per l’iden-
tità di Cassio sia la sua assoluta fedeltà di subordinato, e rendono
atrocemente palpabile la magnitudine devastante dell’accecamen-
to di Othello.
Altrettanto significative le peculiarità delle scelte di posiziona-
mento evidenziate dalla risposta di Othello. Anzitutto, la sua col-

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pa nei confronti di Cassio è oggetto di un riconoscimento cursorio


e marginale («I do believe it, and I ask your pardon»); quest’ef-
fettiva disconferma della gravità della situazione di Cassio e della
posizione altamente problematica in cui Othello si trova nei suoi
confronti viene subito seguita da una richiesta formalmente rivol-
ta a Cassio (che, con il semplice fatto di venire espressa, disconfer-
ma la posizione di Cassio come interlocutore privilegiato in uno
scambio che ha per oggetto l’attentato alla sua vita) ma di cui non
è lui il vero destinatario. Anche quando viene messo di fronte alla
gravità irreversibile delle conseguenze delle proprie decisioni sba-
gliate a danno di un amico fedele e innocente, l’oggetto centrale
del posizionamento di Othello non è Cassio: è Iago. Quello che è
stato per quasi tutto il corso del dramma il suo unico interlocuto-
re continua a ricoprire anche qui questo ruolo; l’unica differenza
è che il tardivo riconoscimento della sua natura diabolica rende
Othello riluttante a relazionarsi direttamente con lui: per questo
Cassio, la cui posizione centrale di vittima viene sistematicamente
disconfermata, viene chiamato invece a ricoprire quella, acces-
soria e marginale, di mediatore («Will you, I pray, demand that
demi-devil»).
La scelta di posizionare Iago come «semidemonio» serve ad
Othello a rivendicare per sé stesso una posizione complementare:
quella di chi è caduto in una «trappola» architettata per imprigio-
nare sia l’anima che il corpo, e a cui quindi era impossibile resiste-
re. Questo svela che il rifiuto di riconoscere a Cassio la posizione
di vittima aveva per Othello un’importantissima funzione strate-
gica: era finalizzato a lasciare libera quella posizione e pertanto a
poterla rivendicare per sé.
Altrettanto significativa dal punto di vista strategico la scelta
di invocare la mediazione di Cassio per rivolgere a Iago la sua
domanda invece di porgliela direttamente: Othello si guarda bene
dal posizionarsi nei confronti di Iago come qualcuno che gli ri-
volge una richiesta diretta perché vuole evitare ad ogni costo di
concedere a Iago di occupare la posizione complementare, quella
di chi può rifiutare la sua richiesta.
La struttura grammaticale della risposta di Iago non chiarisce
chi sia l’interlocutore rispetto a cui si posiziona: può trattarsi sia
di Cassio, sia di Othello (nelle scene precedenti Iago si è sempre
rivolto ad entrambi con la forma di cortesia «you»), sia di tutti i
presenti indistintamente. È tuttavia evidente che, visto che Cassio
non ha accolto l’invito di Othello a posizionarsi come mediatore
della richiesta di lui, e che nessun altro dei presenti ha posiziona-

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to Iago come possibile interlocutore, a «demand» è stato il solo


Othello: è dunque rispetto a lui che Iago si posiziona con un at-
teggiamento di superiorità («Demand me nothing» è un impera-
tivo), ed è al suo bisogno di sapere che oppone una frustrazione
definitiva e non negoziabile («what you know, you know, / From
this time forth I never will speak word»), decretando quindi il
fallimento della strategia di posizionamento di Othello, e cemen-
tandolo definitivamente nella posizione subordinata di chi chiede
continuamente certezze esplicite e definitive e riceve in cambio
soltanto silenzi e ambiguità.
Le peculiarità posizionali che emergono da questa microanalisi
non sono prive di conseguenze per un’interpretazione complessi-
va del testo: le scelte di posizionamento che abbiamo evidenziato,
infatti, confermano e sintetizzano in maniera per più versi estre-
ma, e quindi particolarmente memorabile, le peculiarità posizio-
nali che abbiamo visto dispiegarsi nel corso del dramma.
In primo luogo, la posizione in cui qui si colloca Iago, quella
di chi dispensa frustrazione rifiutandosi di soddisfare le esigenze
comunicative degli altri personaggi, rappresenta la cifra della sua
strategia di posizionamento. Questo è, naturalmente, evidente in
tutte le sue interazioni con Othello, dove Iago si posiziona invaria-
bilmente come colui che possiede informazioni di rilevanza vitale
per il suo interlocutore ma che è riluttante a condividerle, collo-
cando di conseguenza Othello nella posizione di abietta inferiorità
di colui che formula, con insistenza sempre più ossessiva e dispe-
rata, richieste per lui di fondamentale importanza ma destinate ad
rimanere eternamente insoddisfatte. Ma è particolarmente signifi-
cativa a questo riguardo, per la sua completa mancanza di rilevan-
za ai fini dello sviluppo dell’intrigo da lui ordito, e quindi per la sua
valenza di caratterizzazione per così dire pura degli automatismi
posizionali del personaggio, l’interazione con Desdemona rappre-
sentata in II, i, 117-164: da quando Desdemona gli rivolge l’in-
vito a lodarla («What wouldst thou write of me, if thou shouldst
praise me?», II, i, 117) fino a quando Iago, dopo averla menata
per il naso per quasi cinquanta versi, la frustra definitivamente
(«To sucke fools and chronicle small beer», II, i, 160), Desdemo-
na, nonostante la presenza in scena di Cassio e di Emilia, nonché
della delegazione di maggiorenti di Cipro venuta ad accogliere le
navi in arrivo da Venezia, non ha letteralmente occhi e orecchie
se non per Iago, facendo di lui l’unico oggetto del proprio posi-
zionamento, fino a quando la presa di coscienza della frustrazione
non la spinge a chiedere agli altri personaggi presenti la conferma

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sociale che ha ormai capito di non poter ricevere da quello che


aveva poco avvedutamente selezionato come unico oggetto del
proprio posizionamento («O most lame and impotent conclusion:
do not learn of him, Emilia, though he be thy husband; how say
you Cassio, is he not a most profane and liberal counsellor?», II, i,
161-164). È abbastanza interessante osservare come Desdemona
in questa scena, esattamente come Othello nel brano che abbiamo
appena esaminato, cerchi di salvaguardare la propria posizione
dalla disconferma conseguente a un rifiuto formulando la propria
richiesta in maniera indiretta: («What wouldst thou write of me,
if thou shouldst praise me?», II, i, 117; «Will you, I pray, demand
that demi-devil» V, ii, 302; corsivi miei), tranne poi evidenziare,
con l’attenzione esclusiva che rivolge al suo interlocutore, la pro-
pria posizione di assoluta dipendenza, posizione del tutto analoga
a quella di Othello che, di fronte a Cassio in fin di vita, non si ri-
volge a lui se non per chiedergli di mediare la sua comunicazione
con Iago. Non è quindi sorprendente che i tentativi di posizio-
namento strategico sia di Desdemona (la formulazione ipotetica
della richiesta) sia di Othello (la richiesta di una mediazione da
parte di Cassio) non si dimostrino di alcuna utilità nel tutelare le
loro rispettive posizioni dalla disconferma di Iago, che afferma la
propria posizione di superiorità in maniera univoca e definitiva
attraverso il rifiuto di soddisfare le loro richieste.
Anche dall’esame delle possibilità di posizionamento che il te-
sto rende disponibili per i fruitori possono emergere risultati di
qualche interesse. Nell’epilogo del dramma, poche decine di versi
prima di suicidarsi, dopo aver ucciso Desdemona, aver assistito al
massacro di Emilia ed avere visto Cassio ridotto in fin di vita per
causa sua, Othello seleziona come estremo oggetto del proprio po-
sizionamento non le proprie colpe e responsabilità bensì i moventi
di Iago: ma questo suo bisogno di capire, per quanto prioritario
e assoluto, è destinato a una definitiva frustrazione («what you
know, you know, / From this time forth I never will speak word»);
frustrazione che naturalmente è resa possibile unicamente dalla
scelta di Othello di posizionarsi rispetto a Iago come bisognoso
e dipendente, rendendo disponibile per Iago una posizione com-
plementare di indipendenza e superiorità, che Iago non ha alcuna
esitazione ad occupare, facendone, attraverso la strategia di sot-
trarsi a qualsiasi ulteriore interazione, la propria scelta posizionale
definitiva, che Othello non ha altra opzione che avallare, anche se
questo significa avallare al tempo stesso il proprio definitivo posi-
zionamento di inferiorità.

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«Positioning theory» e critica letteraria

È perlomeno plausibile supporre che l’esperienza di essere po-


sizionati come testimoni della frustrazione devastante e definitiva
sperimentata da Othello dovrebbe avere sugli spettatori l’effetto
di incoraggiarli ad assumere una posizione molto diversa, tanto
più che i soliloqui a cui hanno assistito a più riprese nel corso
del dramma17 hanno loro incontrovertibilmente confermato che
i moventi di Iago sono in realtà del tutto inconoscibili, in quanto
impossibili da definire in maniera stabile e univoca anche e soprat-
tutto per lui stesso, e che quindi nessuna sua ipotetica ultima paro-
la potrebbe portare a un effettivo reale chiarimento delle ragioni
per cui ha distrutto le vite di Othello e di Desdemona, nonché
quelle di Emilia e la propria. La storia della ricezione del testo
mostra tuttavia che la stragrande maggioranza degli interpreti ha
rifiutato di allinearsi a questo posizionamento di distacco critico,
ma ha scelto invece di identificarsi con la posizione di Othello: la
letteratura secondaria sul dramma è infatti da sempre caratterizza-
ta da una produzione inesauribile di ipotesi, prese singolarmente
del tutto razionali ma la cui infinita proliferazione non può essere
definita se non delirante, sulle motivazioni di Iago, e questo nono-
stante il testo, rappresentando in maniera così univoca e memo-
rabile la definitiva frustrazione di Othello, presenti nel modo più
chiaro questa posizione come irrazionale e destinata alla sconfitta.
Gran parte della riflessione critica sul dramma viene così a poter
essere interpretata come risultato di una scelta di posizionamento
aberrante rispetto alle indicazioni posizionali fornite dal testo.

4. Oltre ad aprire, come abbiamo visto, prospettive ermeneu-


tiche non prive di interesse, la scelta di applicare la positioning
theory all’interpretazione dei testi letterari ha anche importanti ri-
svolti metametodologici. Negli ultimi decenni la prassi della criti-
ca letteraria ha preso le distanze in maniera sempre più netta dallo
«psicologismo», vale a dire dall’uso di categorie psicologiche per
spiegare la struttura e il senso delle opere letterarie, e in particola-
re il funzionamento dei personaggi. Chiunque sia informato sugli
sviluppi che nello stesso periodo hanno trasformato il territorio
delle scienze sociali non può non essere colpito da una curiosa
coincidenza: questo screditamento dello psicologismo negli studi
letterari si è infatti sovrapposto cronologicamente a un mutamen-
to di prospettiva esattamente inverso nel campo della psicologia

17
I i 41-65; I iii 381-402; II i 281-307.

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Carmen Dell’Aversano

e della sociologia, dove si è assistito all’affermazione di un nuovo


paradigma, che individua in aspetti discorsivi, e in particolare nel-
la conversazione e nella narrazione, il fondamento sia dell’identità
del singolo che dell’azione sociale18: sempre più spesso i fenomeni
psicologici e sociali tendono ad essere interpretati non solo come
conseguenze bensì addirittura come proprietà o aspetti immanenti
di particolari forme di discorso, alcune pubbliche (comportamen-
ti), altre private (pensieri)19, e la formazione della stessa identità
individuale viene ascritta all’azione di forme discorsive:
Constructionists [...] have argued that personhood is created primarily in the
process of engaging in certain types of spoken discourse. The subjective sense of
self emerges in the mastery of sotto voce discourse. The main persona-displaying
discursive acts are declarations and narrations20.

Vale la pena di notare che gli specifici termini usati («sotto


voce», «declarations and narrations») definiscono univocamente
i particolari tipi di «discourse» che determinano la formazione
dell’identità come retorici e, più specificamente, letterari.
In quello che potrebbe essere definito un approccio «top
down» al significato, i topoi, le narrazioni, le strutture attanziali
precedono i significati dei singoli enunciati e li determinano:
from the constructionist point of view, the meanings of speech acts and other
forms of behaviour derive from the behaviour itself as it occurs within the con-
fines of a mutually agreed upon context which can called [sic] the narrative con-
vention, or storyline, which itself derives from the mutual constructions of the
personas in question21.

18
Si tratta appunto della «seconda rivoluzione cognitiva» (su cui si veda sotto la nota
22), che identifica nelle pratiche discorsive la forza principale che dà forma non solo alle
relazioni interpersonali ma anche alla soggettività individuale. Nella bibliografia vastissima
che ha prodotto, i lavori più rigorosi e più interessanti sono con ogni verosimiglianza quelli
degli esponenti del Discourse and Rhetoric Group (DaRG) dell’università di Loughborou-
gh, il cui principale rappresentante è probabilmente Michael Billig.
19
«Many, if not most, mental phenomena are produced discursively. By this we do not
mean that the discursive activities cause mental phenomena to come into existence. Many
mental phenomena, like attitudes or emotions, are immanent in the relevant discursive
practices themselves» (L. van Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory, cit.,
p. 16), Come molte tra le idee fondanti del costruzionismo sociale, anche questa è stata an-
ticipata di diversi decenni dalla linguistica: in un suo celeberrimo articolo del 1958, Emile
Benveniste afferma: «c’est dans et par le langage que l’homme se constitue comme sujet;
parce que le langage seul fonde en réalité, dans sa réalité qu’est celle de l’être, le concept
d’“ego”» (E. Benveniste, De la subjectivité dans le langage, in «Journal de psychologie»,
1958, ristampato in Id., Problèmes de linguistique générale, I, Paris, Gallimard, 1966, pp.
258-266, qui p. 259, corsivi dell’autore).
20
R. Harré e L. van Langenhove, The Dynamics of Social Episodes, cit., p. 8.
21
Ivi, p. 9.

404
«Positioning theory» e critica letteraria

La linguistica pragmatica viene così a essere in pratica ridefini-


ta come una branca della retorica e della teoria della letteratura.
In particolare, la narrazione rappresenta la metafora centrale
della cosiddetta «seconda rivoluzione cognitiva»22 e delle sue ap-
plicazioni in tutto l’arco, davvero molto ampio, delle discipline
che da essa traggono ispirazione:
Our acquisition or development of our own sense of how the world is to be
interpreted from the perspective of who we take ourselves to be, involves, we
claim, the following processes:
1. Learning the categories which partition the universe of human beings [...].
2. Participating in the various discursive practices through which meanings
are allocated to those categories. These include the storylines through which dif-
ferent subject positions are elaborated.
3. Positioning oneself, as a person, in terms of these categories and storylines.
This involves imaginatively positioning oneself as though one belongs in one
category and not in the other (e.g. as a girl and not boy, or good girl and not bad
girl).
4. Recognition of oneself as having the characteristics that locate oneself as
a member of various subclasses of [...] category formation and not to others, i.e.
the development of a sense of oneself as belonging in the world in certain ways
and thus seeing the world from the perspective of one so positioned23.

Come chiariscono le due espressioni evidenziate dai corsivi, il


fondamento della psicologia sociale e cognitiva, vale a dire il senso
dell’identità personale in relazione al mondo è radicato nelle due
componenti principali della letteratura, la narratività e l’immagi-
nazione.

22
L’uso del termine è stato inaugurato da Rom Harré nella sua introduzione a uno sto-
rico numero della rivista American Behavioral Scientist (intitolato appunto «The Second
Cognitive Revolution»), che ha segnato il passaggio da una scienza cognitiva focalizzata
sulla creazione di modelli computazionali del funzionamento della mente all’esplorazione
del ruolo delle pratiche discorsive nell’emergere dei processi mentali: R. Harré, The Second
Cognitive Revolution, in «American Behavioral Scientist», 1992, 36.1, pp. 5-7.
23
B. Davies e R. Harré, Positioning and Personhood, cit., p. 36, corsivi miei. È doveroso
osservare che la nozione di «category» che, come abbiamo visto, gioca un ruolo fondamen-
tale nella definizione, e nella stessa possibilità, del posizionamento, è stata sviluppata, con
funzioni molto simili ma con assai superiore rigore teorico, e con sviluppi ben altrimenti
originali, da Harvey Sacks verso la metà degli anni Sessanta (H. Sacks, Lectures on Con-
versation, ed. by Gail Jefferson, Oxford, Blackwell, 1992; per la sua importanza centrale il
concetto ricorre continuamente nelle Lectures, dove è oggetto di continue elaborazioni e
approfondimenti; è pertanto impossibile citare singole occorrenze; il lettore interessato – e
il tema è di interesse davvero straordinario – è rimandato alla lettura dell’opera). Per questo
è abbastanza stupefacente che i sostenitori della positioning theory non facciano mai riferi-
mento ad alcun aspetto della sua opera, poliedrica, profondissima e veramente illuminante,
né, in genere, ad alcun concetto o autore della branca della linguistica da lui inaugurata,
l’analisi della conversazione.

405
Carmen Dell’Aversano

Questo mutamento di paradigma nelle scienze umane e sociali


ha la potenzialità di ispirare negli studi letterari una vera rivolu-
zione copernicana, in cui all’attuale disinteresse per lo «psicologi-
smo» potrebbe subentrare il riconoscimento della centralità delle
forme discorsive, e in particolare della narrazione, nel dare forma
all’interiorità, all’individualità, alla psicologia e alle loro mani-
festazioni sociali: la consapevolezza, dominante nella psicologia
contemporanea, che le categorie «psicologiche», lungi dal poter
essere considerate realtà primigenie ed autofondantisi, debbano
in realtà la loro struttura, il loro funzionamento e la loro stessa
consistenza ontologica a processi discorsivi e narrativi, diffonden-
dosi nell’ambito disciplinare degli studi letterari, non potrebbe
non portare a una legittimazione di categorie ermeneutiche per
cui la maggior parte degli studiosi di letteratura dimostra invece
attualmente un interesse molto scarso. Lungi dal rappresentare
una mortificazione della specificità definitoria della letterarie-
tà, questa nuova forma di «psicologismo» non farebbe altro che
riportare al loro luogo di origine, e al loro punto di riferimento
principale, concetti e strutture che al linguaggio, e in particolare
al suo uso nell’etopoiesi e nella narrazione, devono la loro ragion
d’essere e la loro produttività ermeneutica.
E a questo effetto vistoso sulla metodologia della critica lettera-
ria non potrebbe non affiancarsi una parallela rivalutazione della
letteratura e delle sue discipline sussidiarie nel campo delle scien-
ze umane: se la psicologia, le relazioni sociali e la stessa interiorità
non sono che effetti di discorso, allora i testi letterari, che per defi-
nizione non sono altro che discorso, possono offrire la possibilità
di osservare la generazione discorsiva delle relazioni sociali, della
psicologia e dell’interiorità in maniera singolarmente precisa. Le
modellizzazioni dell’identità individuale e dell’interazione sociale
fornite dagli orientamenti metodologici più attuali delle scienze
umane, in particolare dalla discourse analysis e dal costruzionismo
sociale, possono agevolmente trovare dei corrispondenti sorpren-
dentemente esatti nell’ambito dei termini e dei concetti della teo-
ria e della critica letterarie:
It is our belief that if one looks to three basic features of interactions, one is
indeed able to understand and explain much of what is going on and how social
and psychic phenomena are «constructed». These three basic features are:
i. the moral position of the participants and the rights and duties they have
to say certain things.
ii. the conversational history and the sequence of things already being said,

406
«Positioning theory» e critica letteraria

iii. the actual sayings with their power to shape certain aspects of the social
world24.

Tradotte nel lessico della critica letteraria, le «three basic fea-


tures» che gli autori mettono al centro della loro descrizione non
sono altro che i) il personaggio come ente costruito attraverso il
discorso e come soggetto di discorso, ii) il testo analizzato secon-
do un modello ermeneutico in cui la categoria più importante è
quella della sequenzialità25 e iii) il testo come oggetto dell’analisi
stilistica e strutturale, vale a dire di uno sguardo sincronico alla
lettera del testo («the actual sayings»), e, parallelamente, di una
contestualizzazione di tipo storico-filologico («their power to sha-
pe certain aspects of the social world»).
Una delle proprietà che distinguono il concetto di posizione da
quello di ruolo è la sua applicabilità continua e universale, che lo
rende al tempo stesso più plastico ma anche più vincolante: anche
se le posizioni sono più flessibili e transitorie dei ruoli, esiste una
separazione tra persona e ruolo, mentre una persona occupa sem-
pre, anche nel monologo interiore, una qualche posizione:
In role theory the person is always separable from the various roles they take
up; any particular conversation is understood in terms of someone taking on a
certain role. [...] With positioning, the focus is on the way in which the discursive
practices constitute the speakers and hearers in certain ways and yet at the same
time they are a resource through which speakers and hearers can negotiate new
positions26.

Di conseguenza i concetti retorici e teorico-letterari che abbia-


mo visto essere imprescindibili per la comprensione e la definizio-
ne delle posizioni si dimostrano essenziali alla comprensione di
qualunque aspetto dell’interazione sociale, dell’identità personale,
dell’interiorità e delle sue manifestazioni.

24
R. Harré e L. van Langenhove, The Dynamics of Social Episodes, cit., p. 6.
25
Si tende a identificare questo modello ermeneutico con l’opera di Stanley Fish (in
particolare con le posizioni teoriche espresse in S. Fish, Is there a Text in this Class?, Cam-
bridge (MA), Harvard University Press, 1982), ma è importante ricordare che esso viene
affermato con almeno altrettanta chiarezza nell’edizione commentata dei Sonetti di Booth:
«My primary purpose in the present edition is to provide a text that will give a modern
reader as much as I can resurrect of a Renaissance reader’s experience of the 1609 Quarto.
[...] Both my text and my commentary are determined by what I think a Renaissance reader
would have thought as he moved from line to line and sonnet to sonnet in the Quarto. [...]
Scholarly glosses [...] have commonly done a disservice both to readers and poems by ig-
noring the obvious fact that verse exists in time, that one reads one word and then another»
(S. Booth, Shakespeare’s Sonnets, Edited with analytic commentary by Stephen Booth, New
Haven and London, Yale University Press, 1977, pp. ix-x, corsivi miei).
26
B. Davies e R. Harré, Positioning and Personhood, cit., p. 52.

407
Carmen Dell’Aversano

5. L’impiego dei metodi di analisi propri della critica letteraria


può dimostrarsi inoltre dirimente per l’impostazione e la risolu-
zione di una serie di questioni piuttosto serie relative alla positio-
ning theory, che hanno con ogni verosimiglianza avuto un ruolo
nel limitare sia la diffusione che l’applicazione della teoria. Il mo-
dello teorico di procedura di analisi presentato dai suoi sostenitori
presuppone infatti l’uso di strumenti che permettano di rendere
conto di fenomeni che si collocano al livello delle scelte stilistiche
e lessicali, delle figure retoriche e degli impliciti da esse veicolati,
del rapidissimo alternarsi e dell’embricarsi caleidoscopico di for-
me narrative e di ruoli attanziali:
The following dimensions should be taken into account:
1. The words the speaker chooses invariably contain images and metaphors
which both assume and invoke the ways of being that the participants take them-
selves to be involved in.
2. Participants may not be aware of their assumptions nor the power [sic] of
the images to invoke particular ways of being and may simply regard their words
as “the way one talks” on this sort of occasion. But the definition of the interac-
tion being of ‘this sort’ and therefore one in which one speaks in this way, is to
have made it into this sort of occasion.
3. The way in which “this sort of occasion” is viewed by the participants may
vary from one to another. [...]
5. The positions may be seen by one or other of the participants in terms
of known “roles” (actual or metaphorical), or in terms of known characters in
storylines, or they may be much more ephemeral [...]27.

Lo scopo, ovviamente è riuscire a rendere conto di fenomeni


per definizione effimeri e circoscritti; la scala ridottissima e la ra-
pidità delle loro manifestazioni testuali sono del resto appunto ciò
che distingue le posizioni da concetti precedenti come quello di
ruolo in sociologia o quello di attante in una narrazione.
Per questo è abbastanza stupefacente riscontrare come né il
libro di Harré e van Langenhove, né altri successivi contributi,
affrontino mai il problema, metodologicamente cruciale, della
selezione e definizione degli strumenti d’analisi; e questa lacuna
teorica si riflette (e non si vede come potrebbe essere altrimenti)
nella prassi, caratterizzata (almeno finora) da risultati analitici in-
commensurabili con le premesse teoriche e, più in generale, del
tutto insoddisfacenti.
Da un esame approfondito della letteratura sulla positioning
theory emerge dunque una curiosa aporia: da un lato il concetto

27
Ivi, pp. 38-39.

408
«Positioning theory» e critica letteraria

di posizione, come abbiamo visto, viene contrapposto a quello di


ruolo in termini di dinamico vs. statico e di plastico vs. rigido28, ma
dall’altro le (pochissime) analisi di scambi o testi concreti presen-
tano le posizioni come dotate di notevole inerzia, anche se definite
nel contesto di un’interazione: in particolare nel capitolo 3 di Po-
sitioning Theory29, le posizioni rispettive di Sano e di Enfermada
sono l’antitesi della fluidità e della temporaneità, ma vengono pre-
sentate come assolutamente definite e definitive. Quello che nella
teoria dovrebbe essere un fenomeno non soltanto relazionale ma
anche e soprattutto locale e temporaneo (come si ricorderà, la po-
sitioning theory viene appunto definita come «[t]he study of local
moral orders as ever-shifting patterns of mutual and contestable
rights and obligations to speaking and acting»30), nell’analisi (che
dovrebbe essere il luogo in cui l’astrazione generalizzante della
teoria si flette modellandosi sulle specificità dei singoli casi con-
creti) assume paradossalmente una fissità e una rigidità del tutto
inopinate.
Un’importante prova corroborante su questo divario fra teoria
e prassi analitica è data dal lavoro di Luberda su Middlemarch31.
Malgrado le sue intenzioni ambiziose («The purpose of this essay
is to introduce to literary studies a recent theoretical development
in social psychology known as «positioning theory» through its
application to George Eliot’s Middlemarch»32), il lavoro formula
le proprie tesi (non particolarmente originali) in termini vistosa-
mente incoerenti con la teoria che si proporrebbe di applicare33,
colloca al centro della propria argomentazione un caso vistosa-

28
«The concept of “positioning” can be used to facilitate the thinking of linguistically
oriented social analysts in ways which the concept of “role” prevented. In particular the
new concept helps focus attention on the dynamic aspects of encounters in contrast to the
way in which the use of “role” serves to highlight static, formal and ritualistic aspects» (ivi,
p. 32).
29
B. Davies e R. Harré, Positioning and Personhood, cit.
30
R. Harré e L. van Langenhove, The Dynamics of Social Episodes, cit., p. 1.
31
J. Luberda, Unassuming Positions: Middlemarch, its Critics, and Positioning Theory,
<http://www.sp.uconn. edu/~jbl00001/positioning/luberda_positioning. htm> (ultimo
accesso: marzo 2009).
32
Trattandosi di un testo in formato html, ovviamente non esistono numeri di pagina.
33
«The central problem [di Middlemarch], in terms of positioning theory, concerns
the positions available for women in a given society» (ibidem). A meno che non intendesse
parlare di posti di lavoro, qui Luberda avrebbe fatto decisamente meglio a usare la parola
«role». Il modello evocato da Eliot, santa Teresa, non occupa affatto una posizione fluida e
negoziabile ma si identifica, in maniera assoluta e definitiva, con un ruolo. Tutto il lavoro di
Luberda è un esempio davvero da manuale di come una prassi analitica sbilenca confonda
i concetti chiave di una teoria e ne annulli le potenzialità euristiche.

409
Carmen Dell’Aversano

mente periferico34, e si conclude con l’ammissione di una sconfitta


ermeneutica:
Even if positioning theory does not itself shed much new light upon Middle-
march, it provides a common critical language for the ideas arrived at and descri-
bed independently by critics of the novel35.

La mia tesi è che i risultati deludenti delle analisi (non importa


se di interazioni o situazioni reali o di testi letterari) condotte sulla
base della positioning theory non siano da imputarsi a un’intrin-
seca insufficienza della teoria, bensì ad una prassi analitica com-
pletamente inadeguata e, soprattutto, incoerente con le premesse
della teoria stessa. Per analizzare fenomeni che si collocano al li-
vello di dettaglio presupposto dalla positioning theory36 è necessa-

34
«We need look no further for an example of the significant distinction between role
and position than Dorothea, who, in the moment she discovers the codicil to Casaubon’s
will, undergoes a dramatic change [corsivo mio] that could hardly be described as a change
in role, but rather usefully elaborated as a shift in positions (segue citazione di Eliot)»
(ibidem). Lungi dall’essere un caso focale di «position», l’esempio addotto da Luberda è in
realtà completamente fuorviante (anche se in maniera perfettamente coerente con la prassi
analitica della positioning theory in generale): esattamente come Sanus e Enfermada, Doro-
thea ha un atteggiamento rigido e univoco sia prima che dopo la scoperta. Semplicemente il
testo la mostra nel momento di transizione, che però è puntiforme, e non prevede ulteriori
oscillazioni; e tra l’altro, malgrado l’importanza centrale della componente relazionale e
dialogica per la definizione del concetto di posizione, questo cambiamento non avviene nel
contesto di un dialogo.
35
Non stupisce che Luberda debba cercare le ragioni dell’affinità tra positioning theory
e analisi letteraria, che rappresenta il presupposto fondante del suo lavoro, in luoghi molto
improbabili: «positioning theory is itself a positioned discursive practice, one that is prin-
cipally constituted by a metaphor [quella, appunto, implicita nel termine “position”] and
its attendant narrative. Both positioning theory as a discursive practice, then, as well as the
discursive practices it analyzes place a good deal of weight upon metaphor as structuring
principle. This is especially appropriate to literary analysis [...]» (ibidem). Questa modelliz-
zazione frettolosa e semplicistica trascura completamente di prendere in considerazione il
fatto (tutt’altro che marginale) che il pensiero in genere (e quello scientifico in particolare)
è strutturalmente metaforico; la trattazione più sistematica e illuminante di questo assunto
si trova nel lavoro che, negli ultimi tre decenni George Lakoff ha condotto con vari col-
laboratori, a partire da George Lakoff e Mark Johnson, Metaphors We Live By, Chicago,
University of Chicago Press, 1980. Per citare solo un esempio particolarmente familiare
alla generalità dei lettori, la psicologia dinamica si fonda su una metafora energetica, ma
questo non la rende particolarmente affine all’analisi letteraria bensì, semmai, alla fisica.
Analogamente, il veicolo della metafora su cui si fonda la positioning theory è spaziale, e
questo ha l’effetto di renderla affine non all’analisi letteraria bensì alla geometria. Il collega-
mento (reale, e potenzialmente molto produttivo) tra positioning theory e analisi letteraria
è un altro, e sta nella natura (linguistica) e nella scala (al massimo livello di dettaglio) dei
fenomeni osservati. Il fatto (piuttosto incomprensibile) che le applicazioni finora proposte
della positioning theory abbiano sistematicamente ignorato il secondo parametro è la ragio-
ne della scarsissima produttività ermeneutica che, malgrado le sue promettenti premesse
teoriche, la positioning theory ha dimostrato finora.
36
«A speech-action can become a determinate speech-act to the extent that it is taken
up as such by all the participants. [...] This way of thinking about speech acts allows for

410
«Positioning theory» e critica letteraria

rio usare strumenti che lavorano su una scala decisamente diversa


da quella delle sommarie parafrasi e schematizzazioni così tipiche
della letteratura sul tema. La positioning theory (come del resto
tutto il costruzionismo sociale) non si è finora occupata di mettere
a punto tali strumenti, e non ha neppure manifestato alcun inte-
resse per questo compito, che alla luce delle sue stesse premesse
potrebbe essere considerato piuttosto imprescindibile; ma non ne
avrebbe neppure avuto bisogno, se almeno fosse stata disposta
a familiarizzarsi con quelli offerti da due discipline (una molto
antica, l’altra decisamente più recente) che si propongono pro-
prio il fine, circoscritto ma tutt’altro che superfluo, di descrivere
al massimo possibile livello di dettaglio le microstrutture dell’e-
spressione e dell’interazione verbale: la retorica e l’analisi della
conversazione37.
Che sia appunto questa la scala a cui, nel quadro metodologico
della positioning theory, andrebbe condotta un’analisi finalizzata a
ottenere risultati significativi e compatibili con le premesse della
teoria è chiarito dalla natura del modello soggiacente, tanto fonda-
mentale per la teoria quanto marginalizzato nella prassi analitica:
This model [la triade «position/speech act-action/storyline» definita da
van Langenhove e Harré38] emphasizes the fact that positions are taken up or
assigned within the context of a narrative, and are produced through and by
speech acts39.

Il loro essere «produced through and by speech acts» rappre-


senta la peculiarità strutturale massimamente rilevante delle po-
sizioni, e genera una naturale affinità tra i fenomeni di posizio-
namento e gli strumenti analitici dell’analisi della conversazione,
almeno in tutti i casi in cui la natura dei materiali renda possibile
il loro utilizzo. Altrettanto evidente, e praticamente ancora più
rilevante in quanto non soggetta alle limitazioni tecniche dell’a-
nalisi della conversazione, è la pertinenza della retorica, in quanto
una retorica contiene e propone, in termini più o meno espliciti,
una definizione di tutti gli oggetti che compongono l’universo che

there to be multiple speech acts accomplished in any one saying and for any speech-act
hearing to remain essentially defeasible» (B. Davies e R. Harré, Positioning and Person-
hood, cit., p. 34).
37
Inaugurata da Harvey Sacks con le sue Lectures (su cui si veda sopra la nota 23),
l’analisi della conversazione è la branca della linguistica pragmatica che studia l’interazione
linguistica faccia a faccia.
38
L. van Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory, cit., p. 16.
39
J. Luberda, Unassuming Positions, cit.

411
Carmen Dell’Aversano

viene costruito attraverso la sua applicazione40, e che solo in segui-


to a questa definizione possono essere resi oggetto delle più varie
forme di posizionamento41. Sia nel suo significato massimamente
generale di disciplina che esplora la codifica, l’espressione e la co-
municazione dei significati (e che quindi fornisce un inventario
del mondo permettendo così la creazione, l’articolazione e l’evolu-
zione delle posizioni), sia in quello più ristretto di teoria dell’argo-
mentazione (e quindi della definizione reciproca e dell’evoluzione
delle posizioni nell’interazione)42, sia in quello ancora più specifi-
co di tropologia (e quindi di studio dei modi in cui un’immensa
quantità e varietà di «storylines» vengono codificate nei dettagli
connotativi dell’espressione verbale)43, la retorica costituisce quin-
di il fondamento invisibile ma imprescindibile di qualunque atto
di posizionamento, e rappresenta pertanto uno strumento indi-
spensabile per la sua analisi.
La possibilità di rappresentare «the fluid nature of social ac-
tion and experience»44 non dipende dalla selezione di una parola
chiave piuttosto che di un’altra («posizione» invece di «ruolo»)
bensì dalla scala a cui si lavora. A un ingrandimento sufficiente
tutta la materia, al di sopra dello zero Kelvin, è in movimento; lo

40
In primo luogo, naturalmente, dell’oratore. Nei termini (purtroppo largamente de-
sueti, ma ancora estremamente informativi) della retorica antica, è la funzione etopoieti-
ca della retorica a spiegare il funzionamento del posizionamento come cifra dell’identità:
parlando di qualcosa e parlandone in un certo modo (come inevitabilmente si fa) si parla
necessariamente anche di se stessi, anche e soprattutto se ci si sforza disperatamente di non
farlo. Si può trovare un brevissimo accenno al funzionamento di questi meccanismi in C.
Dell’Aversano e A. Grilli, La scrittura argomentativa, Firenze, Le Monnier, 2005, p. 423.
41
E, cosa ovvia dal punto di vista logico ma non priva di conseguenze interessanti sotto
quello pratico, specularmente impone di escludere dall’inventario dell’universo, e quindi
dalla possibilità di assumere nei loro confronti una qualsiasi posizione, un numero infinito
di oggetti potenzialmente pertinenti alla definizione della situazione sociale in corso. Per
definizione, ogni atto di posizionamento avviene rispetto a qualcosa e pertanto non rispetto
a qualcos’altro; le implicazioni di questa proprietà sono state esplorate in maggiore detta-
glio nella sezione 2, in relazione al posizionamento di disconferma.
42
Questo aspetto importantissimo delle posizioni, vale a dire la loro natura relazionale
e dialettica, che si richiama in ultima analisi ai dissói lógoi dei sofisti, è al centro del lavoro
di uno dei più interessanti esponenti del gruppo di Loughborough, Michael Billig; si veda
in particolare M. Billig, Arguing and Thinking: A Rhetorical Approach to Social Psychology,
Cambridge, Cambridge University Press, 1987, 19962, p. 2: «Attitudes are not to be under-
stood in terms of the supposed inner psychology of the attitude holder. They have outer,
rhetorical meanings, for to hold an attitude is to take a stance in a matter of controversy.
The meaning of the stance derives both from what is being supported and from what is
being rejected».
43
La trattazione più sistematica e illuminante di questo processo si trova nei più recenti
lavori di George Lakoff, che sviluppano le implicazioni linguistiche e cognitive del concet-
to di frame, da G. Lakoff, Moral Politics, Chicago, University of Chicago Press, 1996 a G.
Lakoff, Don’t Think of an Elephant, White River Junction, Chelsea Green, 2004.
44
J. Luberda, Unassuming Positions, cit.

412
«Positioning theory» e critica letteraria

stesso è vero dell’azione e dell’esperienza sociale. Allo stato at-


tuale, a causa della selezione di strumenti analitici incoerenti con
le proprie premesse teoriche, la positioning theory è vittima di un
divario vistoso e invalidante tra i fenomeni che la teoria cerca di
spiegare e quelli che l’analisi riesce a prendere in considerazione
con gli strumenti che ha a disposizione45. Che non sono gli stessi
fenomeni46.
La conclusione del mio discorso, pertanto, non può essere che
la seguente: è verosimile che la critica letteraria possa trarre qual-
che utilità dall’applicazione della positioning theory; ma è assolu-
tamente certo che la positioning theory non possa essere applicata
in maniera sensata e produttiva senza una conoscenza approfondi-
ta e una solida pratica degli strumenti della critica letteraria.

45
Divario che risulta evidente anche da una serie di ingenuità teoriche davvero im-
barazzanti: «We have adopted three main ways of classifying acts of positioning. On one
dimension of difference what matters is whether individual persons are positioned by in-
dividuals or collectives by collectives. On another dimension what matters is whether an
individual or a collective reflexively positions themselves or whether it is by some other
which [sic] positions and is positioned. The third dimension is whether the positioning
act is symmetrical or asymmetrical, that is, whether each positions the other or whether in
positioning one the other is also positioned in the same act» (R. Harré e L. van Langen-
hove, The Dynamics of Social Episodes, cit., p. 6). Un’analisi minimamente approfondita di
esempi concreti avrebbe dimostrato immediatamente la speciosità di queste distinzioni:
della prima perché la natura sociale del posizionamento implica sempre che un posizio-
namento individuale avvenga sullo sfondo di uno collettivo; della seconda e della terza
perché, come tutti i fenomeni sociali, anche gli atti di posizionamento sono co-costruzioni:
non è possibile posizionare qualcun altro senza al tempo stesso posizionarsi rispetto a lui.
«The most basic distinction is between first and second order positioning. First order
positioning refers to the way persons locate themselves and others within an essentially
moral space by using several categories and storylines. [...] [A] second order positioning
occurs [when] a first order positioning is questioned and has to be negotiated» (L. van
Langenhove e R. Harré, Introducing Positioning Theory, cit., p. 20). Nella trattazione non
viene mai considerata la possibilità, di considerevolissima rilevanza sia teorica che pratica,
che il «second order positioning» avvenga implicitamente: nell’esempio proposto, «Please,
iron my shirts», l’interlocutore può rifiutare di occupare la posizione che gli viene prepa-
rata senza dover dire nulla di sgradevolmente esplicito come «Why should I do YOUR
ironing? I am not your maid» ma, ad esempio, cambiando discorso, prendendola a ridere,
attirando l’attenzione dell’interlocutore su un’immaginaria macchia delle camicie da stira-
re: tutte eventualità che gli autori non considerano perché non analizzano mai nel dettaglio
l’andamento di una microinterazione.
46
Un elemento ulteriore di confusione è dato dall’oscillazione, anche a livello di
definizioni teoriche, tra la massima fluidità e impermanenza e una certa, sia pur locale,
solidità: «Once having taken up a particular position as one’s own, a person inevitably sees
the world from the vantage point of that position and in terms of the particular images, meta-
phors, storylines, and concepts which are made relevant within the particular discursive
practice in which they are positioned» (B. Davies e R. Harré, Positioning and Personhood,
cit., p. 35, corsivi miei).

413

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