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Pisa University Press S.R.L.

"P. BEROL." INV. 13270: I CANTI DI ELEFANTINA


Author(s): Franco Ferrari
Source: Studi Classici e Orientali, Vol. 38 (Giugno 1989), pp. 181-227
Published by: Pisa University Press S.R.L.
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/24182965
Accessed: 13-12-2015 21:47 UTC

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Franco Ferrari

P. BEROL. INV. 13270: I CANTI DI ELEFANTINA

«Una grossa porzione di bel papiro, alta cm 25 e larga cm 33,


rinvenuta nel 1906 a Elefantina: il papiro era stato utilizzato per
incartare una serie di documenti sigillati ancora intatti, il più
recente dei quali risale al secondo anno [284/283 a.C.] del Fila
delfo [...] La scrittura è simile a quella del papiro di Timoteo1,
sebbene più recente [...] Il papiro di Timoteo appartiene al IV
secolo, e neppure ai suoi ultimi anni [...] Esso doveva costituire
una copia privata, così come in questo caso un soldato di stanza
a Elefantina2 ha annotato a proprio uso le canzoni e l'elegia in
quanto idonee ad essere eseguite nel corso dei simposi della
compagnia militare. Nessuno può dire per quanto tempo egli le
abbia portate con sé nel proprio equipaggiamento da campo
prima di usare il foglio come carta da imballaggio».
Così nel 1907 Wilamowitz3 annunciava la pubblicazione di
questo singolare documento4 che per la prima volta rivelava
agli occhi degli studiosi un esemplare di quegli υπομνήματα sim

1. Ne aveva Γeditio prìnceps lo stesso Wilamowitz


dato pochi anni prima: cfr.
Timotheos. Die
Perser, Leipzig 1903. Sulla datazione al principio del III secolo
(«early c. Ili B. C.») della scrittura di P. Berol. 13270 (definita come apparte
nente a un «early transitional type in which archaic forms, e. g. square E, are
in process of adaptation to a rounder style more suitable to the pen») cfr. di
recente E. G. Turner, Ptolemaic Bookhands and Lille Stesichorus, Scrittura e Ci
viltà 4 (1980), p. 27.
2. Fin dal tempo della dominazione persiana l'isola nilotica di Elefantina era
occupata da una guarnigione di truppe di frontiera ed era interamente orga
nizzata come un distretto militare: cfr. C. Schneider, Kulturgeschichte des Helle
nismus, Munchen 1967, I 582.

3. BerlinerKlassikertexte, Heft V, zweite Hàlfte, Berlin 1907, pp. 56-63 (56).


L'edizione di BKTV 1 e V 2 si deve a Schubart e Wilamowitz, ma la specifica
responsabilità editoriale per i canti di Elefantina spetta a Wilamowitz, come
viene segnalato nella prefazione a V 1 (p. VI).

4. Grazie alla cortesia di Gunter Poethke ho potuto esaminare direttamente


P. Berol. 13270 (già 17270) presso la Papyrussammlung degli Staatliche Mu
seen zu Berlin, nonché il negativo della fotografia riprodotta in BKTV 2. Allo
stesso Poethke sono molto grato anche per i preziosi suggerimenti nella deci
frazione di alcuni punti problematici e per l'invio di una nuova fotografia del

papiro, che viene qui riprodotta (tav. Ili) col consenso della Direzione dell'À
gyptisches Museum/Papyrussammlung di Berlino est.

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posiali di cui qualche anno prima lo stesso Wilamowitz aveva


ricostruito genesi e funzioni: repertori destinati a registrare e
selezionare brani prodotti dall'improvvisazione simposiale ο
anche brani che, pur traendo la propria origine da differenti
occasioni, per l'esecuzione simposiale potevano essere ritagliati
e riutilizzati. Più precisamente, coi suoi tre skolia (di cui a ridot
to a poche parole e qualche lettera, ma bec quasi intatti) tra
scritti senza nessuna soluzione di continuità tanto fra verso e
verso6 quanto fra componimento e componimento, e con l'ele
gia posta invece in eisthesis di circa quattro lettere7, corretta
mente divisa in versi e separata dagli skolia anche per mezzo di
una paragraphes8, il papiro di Berlino offriva un riscontro tangi
bile sia ai cosiddetti 'scoli attici' trasmessi da Ateneo (XV 694
ss.) sia a quei carmi conviviali ascritti ai Sette Sapienti che Dio
gene Laerzio attinse al trattato Sui poeti di Lobone di Argo9 sia
infine a quei repertori elegiaci (strutturati per 'nastri' ο 'catene'
che rispecchiavano la prassi della 'ripresa' simposiale conforme
al passaggio fra i convitati, da sinistra verso destra, di un ramo

5. In Arìstoteles und Athen, Berlin 1893, II 316-22 e in Textgeschichte der griechi


schen Lyrìker, Berlin 1900, pp. 58 s.
6. Questa prassi è documentata per brani lirici, oltre che dal papiro di Ti
moteo, da P. Strassb. W. G. 307r, fr. A (antologia di brani euripidei: metà del
III a.C.) e da P. Berol. 9771 (parodo del Fetonte di Euripide: III a.C.), ma si
riscontra anche per esametri (P. Heidelb. 176) e per trimetri giambici (P.
Oxy. 864; P. Turner 5; P. Oxy. 3432). Il più antico esempio di colometria è
oggi rappresentato da P. Lille inv. 76a + 73 (Tebaide di Stesicoro), della metà
del III a.C. Cfr. E. G. Turner, Greek Manuscripts of the Ancient World, Second
Edition Revised and Enlarged, Edited by P. J. Parsons, London 1987, p. 12.
7. Analoga funzione, ma per marcare sezioni liriche, è riscontrabile p. es. in
P. Oxy. 2161 (Diktyoulkoi di Eschilo), in P. Oxy. 2452 ( Teseo di Sofocle (?)) e in
P. Oxy. 1174 (Ikhneutai di Sofocle). Gli esametri sono invece posti in ekthesis
rispetto ai trimetri giambici in P. Oxy. 2545 (Cavalieri di Aristofane).

8. Nel papiro di Derveni la paragraphes precede e segue citazioni esametriche,


separandole dalla prosa, ma già in P. Hibeh I 4 + P. Lit. Lond. 80, dell'inizio
del III sec. a.C.(cfr. Turner, Ptolemaic Bookhands, cit., p. 27), con resti di una

tragedia anonima, essa è attestata con la funzione di segnalare il cambio di


locutore. Comparabile al nostro caso è P. Oxy. 2075 (Catalogo esiodeo), dove a
r. 8 la paragraphes segna il passaggio a una nuova sezione.

9. Cfr. M. Vetta (a cura di), Poesia e simposio nella Grecia antica, Bari 1983,

pp. XXXII s.; W. Kroll, in R.-E. XIII 1 (1926) s. v. Lobon, coli. 931-3.
Una nuova edizione con commento di questa raccolta è stata offerta da C.
Casagrande, E. Fabbro, E. Pellizer, G. Rittmeyer, M. P. Senesi, G. Te
deschi, Sei carmi conviviali attribuiti ai Sette Sapienti, QFC 3 (1981), pp. 5-23.

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di mirto ο d'alloro) dai quali nella sua prima genesi (e cioè


prima che a tali repertori si sovrapponessero le selezioni ordina
te con criteri gnomologici) dipende in larga misura la formazio
ne della silloge teognidea10.
Di antologie poetiche ellenistiche, del resto, i papiri ci hanno
restituito, com'è noto, una messe nutrita di esemplari: selezioni
che attingevano a generi specifici quali il teatro ο l'epigram
ma12, oppure costituivano più comprensive miscellanee di sola
poesia ο di poesia e prosa1 , e che ben presto mostrano in atto
una gamma articolata di criteri ordinatori14. E inoltre, se ricor
diamo come la consuetudine di cantare durante il simposio bra
ni dei lirici arcaici (per Alceo cfr. Ar. Δαιταλήο, fr. 235 K.-A.;
per Stesicoro, Alcmane e Simonide cfr. Eup. fr. 148 K.-A.) era
stata progressivamente soppiantata dall'uso di cantare ο recita
re brani di tragedia, e specialmente di Euripide (cfr. Ar. Nub.
1371 ss. e Theophr. Char. 27, 2), si può presumere15 «che già nel
IV secolo fossero molto diffuse quelle antologie di pezzi teatrali
di cui i papiri ellenistici ci hanno restituito alcuni esemplari, e
che il loro impiego, oltre che per gli spettacoli delle compagnie
di attori itineranti, potesse essere anche quello delle recitazioni
nel simposio»16.

10. La mia opinione in proposito in Sulla ricezione dell'elegia arcaica nella silloge

teognidea, Maia n. s. 39 (1987), pp. 177-97 e in Teognide. Elegie, intr., trad. e


note di F. F., Milano 1989, pp. 5-45.
11. Basti ricordare P. Berol. 9772 (tragedia e commedia), P. Schubart 28
(commedia), P. Ross. Georg. 1.9 (Euripide).
12. Gli esempi più antichi sono offerti da P. Petrie 2.49 (a) + P. Lit. Lond.
60, ca. 250 a.C., e da P. Petrie 2.49 (b).
13. Un esempio del primo tipo è dato da P. Strassb. W. G.
305-307v, del II
a.C. (Filemone; un peana; riadattamento di Eur. Or. 9,10, 6, ecc.: cfr. B.
Snell, Euripidei, Alexandros, Berlin 1937, pp. 89-92), un esempio del secondo
da P. Berol. 12311, del III a.C. (Euripide, parafrasi di una sentenza di Socra
te, due versi comici).
14. Intenti gnomici sono riconoscibili già in due esemplari del III a.C. quali
P. Hibeh 1.7 (Euripide, Ps.-Epicarmo, brani lirici (?)) e P. Hibeh 2.224 (esa
metri e trimetri giambici). Una pericope περί γυναικών è offerta da P. Berol.
9773, del II a.C. (Euripide, Anassandride, Antifane, coliambi, ecc.), una peri
cope περί γάμου da P. Oxy. 3214, del II d.C. (cinque citazioni da Euripide),
un repertorio scolastico da P. Freib. 1 (b), inv. 12, del II-I a.C. Una catena di

pericopi è attestata in P. Oxy. 3005, del II-III d.C. (I 12 [περί εύδοξίαε και]
άδοξίαο, 20 [περί έλπίδοο]και άπροεδοκήτου).
15. Vetta, Poesia e simposio, cit., p. LVIII.
16. Su questi copioni scenici per esibizioni di virtuosi cfr. W. E. H. Cockle,

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Nei confronti di questa nuova prassi, e per altro verso dell'af


fermarsi del convito di tipo 'filosofico' (coi λόγοι che subentrano
ai canti nella catena verbale che lega i presenti), il Commersbuch
rinvenuto a Elefantina sembra dunque rispecchiare un uso degli
οκόλια e del canto a turno che dovette continuare «nelle zone
culturalmente periferiche e negli strati socialmente inferiori»17:
il che ben corrisponde alla circostanza per cui le altre antologie
poetiche restituite dai papiri, se contengono brani che eventual
mente potevano essere riutilizzati a scopo simposiale, non ripor
tano poesie veramente prodotte dagli usi e dal contesto del con
vito. Non senza, tuttavia, qualche eccezione. Due di queste era
no richiamate nel 1920 da Giorgio Pasquali18: «nell'Egitto stes
so carmi lirici conviviali, se non si cantavano, almeno si recita
vano ancora nel secondo ο terzo secolo dopo Cristo. Un papiro
di quell'età (Oxyr. Pap. I 15 p. 38) ci ha conservato fini e princi
pii di versi che potevano appartenere soltanto a scolii: esametri
zoppi, il cui ultimo piede cioè era non uno spondeo ma un giam
bo, un metro cioè recitativo19. Un altro papiro all'incirca con
temporaneo {Oxyr. Pap. Ili 425 p. 72) prova che neppur l'uso
d'improvvisare era del tutto scomparso, ancorché forse non si
cantasse più ma si recitasse20: leggiamo due versi assai liberi nel
ritmo ma di andamento evidentemente ionico, con invocazioni
sonanti ai navigatori del mare e ai Niliaci: segue 'dite su, amici,
il contrasto tra il Nilo e il mare'. Chi parla, passa il bicchiere e
la parola a un altro convitato»21.

The Odes of Epagathus the Choral Flautist: Some Documentary Evidence for Dramatic

Représentation in Roman Egypt, in Proceedings of the XIV International Congress of


Papyrologists, London 1975, pp. 59-65; Β. Gentili, Lo spettacolo nel mondo antico,
Bari 1977, pp. 8-11; A. Carlini, Recenti scoperte di papiri nel teatro greco, in Actes
du VIP Congrès de la F. I. E. C., vol. Ili, Budapest 1983, pp. 533-46 (sp. 538 e

542).
17. Vetta, Poesia e simposio, cit., pp. LVIII s.

18. Orazio lirico, con introduzione, indici ecc. a cura di A. La Penna, Firenze
1964 (1920), p. 346.
19. È invece incerto, ma comunque non esametrico, il ritmo del primo com

ponimento (cfr. col. I, 1-2).


20. Questo non mi pare probabile: perché mai usare metri 'lirici' per com

porre pezzi da recitare? Lo stesso Pasquali, attraverso tutto l'Orazio lirico, tende
a valorizzare l'uso di metri lirici non κατά «ίχον come indizio di esecuzioni
effettivamente cantate.

21. Qui tuttavia, diversamente che per P. Oxy. 15, non ci troviamo di fronte
a un 'libro simposiale', bensì a un esercizio scolastico concluso in se stesso: il

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In più, io credo che un repertorio conviviale affine per molti


aspetti a quello attestato dal papiro di Elefantina fosse stato
ritrovato e pubblicato, eppure misconosciuto come tale, già nel
1902: si tratta di P. Tebt. 1, della fine del II sec. a.C.22 Appare
significativa innanzi tutto, in P. Tebt. 1, la dislocazione dei bra
ni: dapprima undici righe contenenti due testi lirici che si susse
guono senza divisione fra verso e verso (invece, diversamente
che in P. Berol. 13270, i due componimenti sono separati fra
loro per mezzo di una paragraphes posta fra r. 4 e r. 5) ; poi due
brani 'semilirici', posti in eisthesis di tre lettere rispetto ai due
canti precedenti e costituiti da un distico ciascuno (in entrambi
i distici un verso - ma il ν. 1 nel primo componimento, il v. 2 nel
secondo - è un trimetro giambico, mentre l'alto verso si può
interpretare nel primo caso come dochm dochm cr, nel secondo
come dochm ia cr23). Poi ancora, allineati coi due distici, due
brani disposti rispettivamente su due e tre righe24: del primo,
corrispondente a rr. 15-16, gli edd. pr. dubitavano se si trattasse
di versi ο di prosa (anche se, a favore di un'interpretazione liri
ca, mi pare che giochi l'agevole identificazione di una serie dat
tilo-epitritica -Dve- in π]ότου μ[εμε{Η3]ομεθα κούκέτι φρο
νουμεν), mentre sicuramente in prosa è il secondo, che costitui
sce anche l'ultimo anello di tutta la serie25.

papiro è completo e - come osserva Turner, Greek Manuscripts, cit., p. 32


-
«the large, clumsy writing of the letters, the correction of malformed letters,
and the uneven size and spacing establish its character as a 'school hand'».
Ecco il testo: ναύται βυθοκυμα-/τοδρόμοι, άλίων τρί-/τωνεο υδάτων / καί
Νειλώται γλυκυ-/δρόμοι τά γελών-/τα πλέοντεε ϋδατα,/ την εύγκριαν εΐπα-/τε,
φίλοι, πελάγουο / καί Νείλου γονί-/μου: «ο naviganti che correte sugli abissi
delle onde, Tritoni delle acque marine, e voi, ο Niloti che con dolce corso
navigate sulle acque ridenti, dite, amici, la contesa del mare e del Nilo fecon
datore».

22. Cfr. The Tebtunis Papyri, Part I, Edited by B. P. Grenfell, A. S. Hunt and
J. G. Smyly, London 1902, pp. 1-5.
23. Per il testo dei due brani lirici cfr., dopo l'ed. pr., Wilamowitz, Timo
theos, cit., p. 82 n. 3, e D. L. Page, Select Papyri, III: Literary Papyri, London
Cambridge (Mass.) 1962, pp. 410-13. Perii testo dei due distici v. infra, p. 188.
L'affinità fra i cola suddetti, e la considerazione che cola docmiaci sono ampia
mente attestati in alternanza con cola giambici (non di rado anche 3ia) nelle
parti liriche della tragedia attica, avrebbe dovuto dissuadere dal voler ridurre
entrambi i versi a trimetri giambici (Blass e, dubitativamente, gli edd. pr.).
24. Per il testo v. infra, pp. 188 s.

25. Un dato singolare di P. Tebt. 1 è che i brani che vi sono contenuti ricom
paiono (in uno stato di conservazione più deteriorato) in P. Tebt. 2, scritto

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Dunque P. Tebt. 1 esibisce, almeno fino al secondo componi


mento 'semilirico', un formato editoriale largamente coinciden
te con quello offerto dal papiro di Elefantina. Di per sé questa
circostanza non dimostra ancora che P. Tebt. 1, pur presentan
do la facies di un Commersbuch, sia etichettabile come υπόμνημα
simposiale. Anzi, la pur cauta e generica ipotesi degli edd. pr.
sulla sua natura antologica26 fu contestata energicamente pro
prio da Wilamowitz27 a favore della teoria per cui ci troverem
mo di fronte a nient'altro che «Diktate zur Ubung in der Kalli
graphie der Buchschrift»28. Ma questa teoria non rende conto

dallo stesso copista, il quale portò dunque a termine una seconda trascrizione
del medesimo modello antologico. Senonché in P. Tebt. 2 i medesimi brani
appaiono dislocati in modo parzialmente diverso e sono seguiti da un'altra
serie di componimenti; inoltre la forma del testo è stata aggiornata a una
struttura editoriale (divisione in versi e conseguente abolizione delVeisthesis)
più consona allo standard ormai diffuso dagli esemplari alessandrini. Quanto
alla dislocazione dei testi, la differenza è modesta ma significativa: la succes
sione a-b-c-d-e-f è sostituita dalla serie b-c-d-e-a ... (dunque f scompare, a si
sposta dopo e, a tutto l'insieme si aggrega un'altra serie di brani). L'operazio
ne era facilitata dal fatto che, come vedremo nel testo, c'è forte aggancio anto
logico fra c e d, mentre non sussiste, fra a e b, altro collante che lo statuto lirico
(a è un lamento di Elena abbandonata da Menelao dopo il ritorno
in patria, b
un idillio boschivo con l'evocazione della vita
e api). di uccelli
Uno statuto,

per altro, del quale il nostro copista (o colui che gli detta) non è affatto compe
tente: la sua divisione in 'versi' di a e b, la sua 'colometria', risulta del tutto
esteriore ed
'estetica', essendo unicamente volta ad offrire un'immagine illu
sionisticadi versi lirici; e infatti gli sfugge perfino l'elementare disegno metri
co di a (un brano tutto in eretici, spesso risolti in peoni, «die wir aus der
Komôdie und den delphischen Technitenhymnen kennen» [Wilamowitz, 77
motkeos, cit., p. 82 η. 3]).
26. Essi titolano il papiro come «Fragments of an Anthology» ma precisano

opportunamente che gli 'estratti' sono contenuti «in a broad column of wri
ting, which does not fili up more than three-fourths of the depth of the papy
rus, and is complete in itself so far as it goes». Questo dato non fa pensare a
fragments, bensì, ricordando che in P. Tebt. 2 la stessa serie è seguita da altri
brani, suggerisce la presenza di un nastro conviviale in sé compiuto, estratto
da un più ampio e diversificato modello antologico.
27. Timotheos, cit., p. 82 η. 3: «wie das ein Florilegium sein kônnte, begreife
ich nicht». Gli fa eco Page, Literary Papyri, cit., p. 411: «extracts from an

anthology, according to ed. pr.: but, if so, it was a curiously heterogeneous


collection».

28. Che di fatto P. Tebt. 1 potesse


costituire un esercizio calligrafico non si

può astrattamente escludere se l'ipotesi


(anche è tutt'altro che evidente all'oc
chio: si tratta di uno stile grafico che senza potersi dire elegante non sembra
certamente quello di un principiante), ma il punto è che, se pure così fosse
stato, questa 'Ubung' doveva essere consistita nella dettatura di un modello
che rappresentava un vero libro conviviale.

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né della grande affinità fra P. Tebt. 1 e un indubbio repertorio


simposiale qual è P. Berol. 13270 né di un tratto compositivo
che è stato del tutto trascurato e che pure si pone come specifi
camente conviviale. È noto da quasi un secolo, e cioè da Epi
grammi und Skolion di R. Reitzenstein29, come uno degli aspetti
più caratteristici degli υπομνήματα simposiali, e insieme uno dei
più aderenti all'effettivo svolgimento delle esecuzioni poetiche,
fosse dato dalla presenza di «coppie di tipo agonale, e cioè di
interventi il cui rapporto è di 'botta e risposta': una specie di
riduzione alle dimensioni del simposio (e della non professiona
lità) delle grandi forme dell'agone rapsodico e citarodico, e una
pratica affine all'agone bucolico che conosciamo nella forma let
terarizzata degli alessandrini»30. Basti richiamare il nesso fra i
carm. conv. 900 Ρ MG

εϊϋε λύρα καλή γενοίμην έλεφαντίνη


και με καλοί παΐδεο φέροιεν Διονύαον èc χορόν

e 901 Ρ MG

εϊύ' άπυρον καλόν γενοίμην μέγα χρυοίον


και με καλή γυνή φοροίη καθαρόν θεμένη νόον,

fra Thgn. 579-80

έχϋαίρω κακόν άνδρα, καλυψαμένη δε πάρειμι


ομικρήο όρνιθος κοΰφον εχουςα νόον
e Thgn. 581-82

έχύαίρω δε γυναίκα περιδρομον άνδρα τε μάργον,


ôc την άλλοτρίην βούλετ' άρουραν άρουν,

fra Thgn. 595-96


·
άνθρωπ', άλλήλοιαν άπόπροθεν ώμεν έταιροι
πλήν πλούτου παντός χρήματός àcci κόρος

e Thgn. 597-98
·
δήν δή και φίλοι ώμεν άτάρ τ'άλλοιαν όμίλει
άνδράαν, οΐ τον còv μάλλον ïcaci νόον,

29. Giessen 1893, pp. 14 ss.; e cfr. anche, di recente, M. Vetta, Theognis.
Elegiarum liber secundus, Roma 1980, pp. XXVIII-XXXI, e Identificazione di un
caso di 'catena simposiale' nel corpus teognideo, in AA. VV., Lirica greca da Archiloco
a Elitis. Studi in onore 'di F. M. Pantani, Padova 1984, pp. 113-26, e il mio Sulla
ricezione dell'elegia arcaica, cit., pp. 194-97.
30. Vetta, Theognis, cit., p. XXVIII.

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fra Thgn. 1253-54 (= Solo, fr. 23 W. [17 G. -P.])

δλβιοο, ώι παΐδέε τε φίλοι και μώνυχεε ίπποι


θηρευταί τε κννεε και ξένοι άλλοδαποί
e Thgn. 1255-56

ôctic μή παιόάε τε φιλεϊ και μώνυχαε ίππο ve


και κνναε, οΰποτέ οί θυμόο έν ευφροσύνη ι.

Tutti esempi, come si vede, in cui l'orientamento illocutivo a


'botta e risposta' viene rinforzato da puntuali e talora argute
riprese lessicali. Ed ecco che P. Tebt. 1 ci offre precisamente un
altro esempio di tali coppie agonali: al distico di rr. 12-13 (= P.
Tebt. 2 (a) verso 1-2)

έρώντα νουθετούντεο άγνοείθ' ότι


πυρ άνακαιόμενον έλαίωι θέλετε κοιμίεαι
(«Se intendete dar consigli a un innamorato non capite che cercate di

spegnere con l'olio un fuoco ardente»)

replica con disillusa ironia il distico di rr. 13-14 (= P. Tebt. 2


(a) verso 3-4)

έρώντοε ψυχή και λαμπάδιον ΰπ' άνέμου


ποτέ μέν άνήφθη ποτέ δέ πάλιν κοιμίζεται
(«L'anima di un innamorato, come una torcia al soffio del vento, ora si
accende e ora si spegne di nuovo»).

In più, il brano corrispondente a rr. 15-16 (= P. Tebt. 2 (a) verso


5-7)
πίνοντ[εο....π]ότου
μ[εμεθυ]ομεθα κούκέτιφρονοϋμεν
ό δ'ερωο έμέπ[υρί]ναιοταίο[.].τει.[ ]iç κατακέκαυκεν
(«A furia di bere ci siamo ubriacati della [...] bevanda e sragioniamo,
e il desiderio mi ha bruciato con le sue infuocate [...] <follie (?)>31»)

ha un carattere metasimposiale (con preciso riferimento a uno


specifico convito in fieri) proprio di tanti componimenti giambi
ci ed elegiaci e di alcuni scoli attici come 902 Ρ MG, così come
metasimposiali si configurano in vario grado tutti i componi
menti leggibili, e specialmente l'elegia, del papiro di Elefantina.
E infine l'aïvoc in prosa (l'attacco con tic seguito da verbum

31. Integrerei infatti [μανία] te κατακέκαυκεν (sul nesso molto frequente tra
ερωε e μανία cfr. Vetta, Tkeognis, cit., p. 39).

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA l8g

dicendi e discorso diretto richiama appunto il genere aneddotico:


di qui l'uso della prosa?)

φιλοπυγιοτής r[ic] αποθνήεκων [ένετείλα]το roïc γνωρίμοισ |


τα ό[ο]τάριάμουκαικατά[ξατε]
'κατακαύεατε καίκόψατε[ι]νατοϊετα
ώε φ[άρ]μακον'
πονοΰα | έπιπαοθήι
έμπΰγια

(«In punto di morte un pederasta raccomandò agli amici: 'bruciate le


mie ossicine, poi frantumatele e pestatele perché si possano spargere,
a mo' di medicina, su quanti soffrono alla regione anale»)

difficilmente avrebbe trovato un contesto che meglio di una di


sinvolta riunione simposiale potesse apprezzarne lo scanzonato
umorismo.

Riconosciuto a P. Berol. 13270 un suo non remoto parente,


torniamo dunque ai canti di Elefantina. Dopo Veditto princeps del
-
1907, essi sono stati più volte ripubblicati gli skolia da Diehl
{scolia anonyma, 30), Powell {Coli. Alex.: lyr. adesp. 16-20), Page
(prima, con traduzione e note, in Literary Papyri 2, nr. 86, poi in
PMG come carm. conv. 917 (a), (b), (c)); l'elegia da Powell {lyr.
adesp. 21), West {adesp. eleg. 27), Gentili-Prato (fragra. adesp. 12)
- e sono stati
complessivamente ripresentati e commentati nel
l'ambito di un interessante e proficuo seminario diretto da Ezio
Pellizer e Gennaro Tedeschi e svoltosi all'Università di Trieste
nel 1980-198133, ma non poco resta ancora da approfondire sia
per quanto riguarda la ricostruzione e l'interpretazione del testo
sia nella ricognizione di quegli agganci a moduli, schemi, im
magini di un illustre archivio poetico che fanno di questi brani
d'occasione dei saggi certamente epigonali e manieristici, non
privi tuttavia di un loro festevole incanto34.
Sul primo skolion35

32. Pp. 386 ss.


33. Poesia conviviale
in un papiro di Elefantina. Edizione crìtica e commento, QFC 4
(1983), pp. (a cura di Cinzia
5-23 Casagrande, Elena Fabbro, Eleonora Iscra,
Nadja Marincic, Ezio Pellizer, Gennaro Tedeschi). Anche perché non viene
segnalato dall'Anno; Philologique né nella bibliografia relativa al 1983 né in
quelle relative agli anni 1984-1986, ho avuto conoscenza di questo lavoro solo
nel corso della revisione delle bozze.

34. Quanto all'epoca, gli skolia sembrano presupporre, come vedremo, alme
no la maniera dell'ultimo Euripide, mentre l'elegia rispecchia l'affermarsi del
simposio filosofico. Una datazione complessiva alla prima metà del IV sec.
a.C. resta dunque la più probabile, ma non ci sono prove oggettive contro gli
ultimi anni del V sec.
35. Qui e in seguito riporto i testi secondo Veditio prìnceps, di cui seguo anche

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igO FRANCO FERRARI

[ ]αιθυγάτη[ρ

[ά]πλε[τ]α cita φέρων

5 [,.]α μοιτεμένηβ[ ]ων

Wilamowitz non a torto tace. Tutt'al più, per άπλετα cita36


si potrebbe - sulla base di
φέρων, congetturare passi come
Anacr. 38, 1-4 Gent. = 396, 1 s. ΡMG φέρ' ϋδωρ φέρ' οινον, ώ
παΐ, φέρε <δ'> άνθεμόεντασ ήμιν / στεφάνουc e Thgn. 1001 s.
χέρνιβα δ'αιψα θύραζε φέροι, οτεφανώματα δ'εΐοω, / εύειδήσ
- che
ραδιναϊσ χεροι Λάκαινα κόρη soggetto della frase fosse un
παίσ che portava il cibo ai convitati.

Ecco il testo del secondo οκόλιον:

7 [έ]νκέρασονΧαρίτωνκρατή[ρ]αέπιστ[ε-]
φέα κρ[ύφιόντε π]ρόπι[ν]ε| [λό]γον·
σήμαινε,ότι παρθένων
10 άπείροα πλέξομεν ύμνοισ |
τάν δορί σώματι κειραμέναν
Τρ[οί]ανκάτα[τ]όνπαράναυσίν
άειμνά
[σ]τοισάλόντα|
14 νυκτιβάτανσκοπόν.

ΑΙ ν. 7 Wilamowitz intendeva ένκέραοον (έγκέραοον), al pari del


susseguente σήμαινε del ν. 9, come rivolto al simposiarca: «setze
einen vollen Mischkrug der Chariten an (d. h. lafi ein schònes
Lied singen)». Senonché una frase come «mescola fino all'orlo il
cratere delle Cariti» non può che riferirsi direttamente, nella
tradizione lirica, all'atto della composizione del canto, all'eser
cizio poetico, e quindi non può avere altro destinatario che lo
stesso cantore. Così, al principio di Isthm. 6, Pindaro proclama
(vv. 1-3):
θάλλοντοσάνδρώνώσ ότε συμποσίου
δεύτερονκρατήραΜοισαίων μελέων
κίρναμενΛάμπωνοσεύαέθλουγενεάσϋπερ,

la numerazione dei versi (diversamente Page in Ρ MG, di cui accolgo la colo


metria infra a p. 226).
36. Il nesso è singolare, ma cfr. Hdt. IV 53, 3 aXec ... άπλετοι.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 191

mentre in Isthm. 5, dopo aver annunciato di esser venuto cùv


i
Χάριαν (ν. 21) per figli di Lampone, incita se stesso (vv. 24 s.)
a non rifiutare di mescere al canto la lode (μή φθάνει κόμπον xòv
εοικότ' άοιδάι / κι,ρνάμεν); in Nem. 3, 77-9 invia ad Aristoclide di
Egina

...μεμειγμένον μέλι λευκώι


συν γάλακτι, κιρναμένα δ'εερε' άμφέπει,
πόμ' άοίδιμον Αίολήιαν έν πνοαϊοιν αυλών,

e in 01. 6, 91 apostrofa Enea, l'istruttore del coro, chiamandolo


ήϋκόμων οκυτάλα Moicàv, γλυκύς κρατήρ άγαφθέγκτων άοιδάν.
E inoltre, per l'associazione fra la metafora dell'ode-bevanda e
le Cariti, cfr. anche Isthm. 6, 62-4, dove è detto della famiglia di
Filacida:

...άνά δ'ήγαγον èc
·
φάοο οϊαν μοΐραν ύμνων
τάν Ψαλυχιαδάν δε πάτραν Χαρίτων
άρδοντι καλλίοται δρόαοι.
Un altro parallelo è poi offerto da un'elegia di Dionisio Calco
(metà del V sec. a.C.?), dove a proposito della poesia (ποίηαν
2) Dionisio dice, rispecchiando l'andamento della catena sim
posiale,

...έγώ δ'επιδέξια πέμπω


σο! πρώτωι Χαρίτων έγκεράτατ χάριταε
= 1,2 s. G.-P., fr. 4,1 W. =
(si tratta di fr. 1,2 s. W. e cfr. anche
3, 1 G.-P. ϋμνουο οίνοχοεΐν).
Né ci può stupire la presenza delle Cariti in luogo delle Muse:
basti ricordare ancora Stes. 212, 1 Ρ MG τοιάδε χρή Χαρίτων
δαμώματα καλλικόμων / ύμνεΐν, Pind. 01. 1, 30; 7, 11 s.; 9, 27; 14
(passimi); Pyth. 9, 89; Nem. 6, 37 s.; 10, 1 s.; Bacch. 1, 152. Altret
tanto tradizionale, del resto, era l'associazione fra Muse e Cari
ti, da Esiodo (Th. 64) a Saffo (frr. 103, 5 V. e 128 V.), dalla
silloge teognidea (v. 15) a Pindaro (Nem. 4, 1-8; 9, 53-5) a Euri
pide (HF 673-75, Hel. 1341 ss.)37.

37. E cfr. anche h. Hom. 27, 15, e v. J. Duchemin, Pindare poète et prophète,
Paris 1955, pp. 54-94 (di cui cfr. anche, sul motivo dell'ode-bevanda, pp.
247-55); M. L. West, Hesiod. Theogony, Oxford 1966, p. 177; R. Kannicht,
Euripides. Helena, Heidelberg 1969, II 350; G. F. Gianotti, Per una poetica pinda

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ig2 FRANCO FERRARI

Dunque il poeta (ma formalmente un noi- cfr. πλέξομεν 10 -


che include idealmente i compagni di bevuta38) si rivolge a se
stesso incitandosi al canto, conforme a un modulo espressivo
che trova anch'esso precisi riscontri nella tradizione lirica: cfr.
Pind. 01. 1, 17 s. άλλά Δωρίαν άπό φόρμιγγα πασάλου /
λάμβαν'39, Nem. 5, 53 s. προθύροιαν δ'Αίακοΰ / άνθέων ποιάεντα
φέρε ετεφανώ-ματα cuv ξανθαΐο Χάριεαν, Nem. 10, 21 αλλ' όμωε
εΰχορδον έγειρε λύραν, Isthm. 5, 62 s. λάμβανέ οί ετέφανον, φέρε
δ'εΰμάλλον μίτραν, / και πτερόεντα νέον εύμπεμψον ΰμνον, e forse
il frammento lirico adespoto 929 (b), 1 s. Ρ MG άναβόαςον
αύτώι· / Δ ιό νυ co ν ά[.]ςρμεν (άείεομεν vel άΰεομεν Oellacher),
dove comunque riconosciamo il medesimo trapasso che abbia
mo nel nostro scolio dall'imperativo in seconda persona singola
re al futuro in prima persona plurale.
Lo schema etimologico έγκέραοον ... κρατήρα è tradizionale:
cfr. Od. 3, 390 άνά κρητήρα κέραεεεν e 393 (= 18, 423) κρητήρα
=
κεράοεατο, 7, 179 13, 50 κρητήρα κεραεεάμενοε, Sapph. 141,
2 V. κράτηρ εκέκρατ', Ale. 367, 2-3 V. έν δέ κέρνατε ... κρατήρα,
Pind. Isthm. 6, 2 s. κρατήρα ... κίρναμεν, Eub. 93, 1 Κ.-Α. (PCG

rìca, Torino 1975, pp. 68-71; G. W. Bond, Euripides. Heracles. Oxford 1981, p.
238.
38. Non sembra plausibile, in effetti, ipotizzare una reale esecuzione corale
per un breve skolion d'occasione. Del resto non traluce alcun indizio di una
simile eventualità performativa né nei cosiddetti έγκώμια di Pindaro (i frr. da
118 a 128 Sn.-M.) e di Bacchilide (i frr. da 20A a 21 Sn.-M.) né nella raccolta
di skolia attici trasmessi da Ateneo ο negli altri carmina convivialia raccolti da
Page in PMG né infine nelle testimonianze antiche (Aristosseno, Dicearco,
Proclo). Anzi essa sembra chiaramente esclusa nella descrizione offerta da
Proclo = Phot.
(Chrest. 60 Bibl. 32la) del canto conviviale, allorché viene
sottolineata l'esaltazione dei singoli
poeti-esecutori (εκαοτον άκροαραλώε
συγκόπτεεθαι περί την προφοράν trjc dnòrjc) via via che essi ricevevano uno
dopo l'altro il barbitos su cui accompagnare il proprio canto. Su questa testi
monianza v. il commento di A.
Severyns, Recherches sur la Chrestomathie de
Proclos, I 2, Liège-Paris 1938, 182-89, e in generale,
pp. sulla totale monodicità

degli skolia, B. A. Van Groningen, Pindare au banquet, Leyde 1960, pp. 15 s. e


M. Da vies, Monody, Choral Lyric, and the Tyranny of the Hand-Book, CQ 38
(1988), pp. 55-66 (spec. 55 s.).
39. Con lo scolio 28e (I 27 Dr.) άναλάμβανε, ώ Πίνδαρε, την Δωρίαν
φόρμιγγα. È interessante osservare come lo schema dell'apostrofe a se stesso

potesse porsi quale variante funzionale rispetto al modulo dell'apostrofe allo


strumento musicale, come risalta dal confronto con Bacch.
fr. 20B, 1-3 Sn.-M.
/ έπτάτονον ·/
ω βάρβιτε, μηκέτι jtóccaXov φυλάς[αον] λ[ι]γυράν κάππαυε γάρυν
δεϋρ' ic έμάε χέραε. Su questi e analoghi passi cfr. D. E. Gerber, Pindar's

Olympian One: A Commentary, Toronto/Buffalo/London 1982, pp. 42 s.

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Staatliche Museen zu Berlin: i3. Berol.
P. Inv. 13270.

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P. Berol. Inv. 13270.

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P. BEROL. INV. I327O: I CANTI DI ELEFANTINA I93

V 244) κρατήρασ έγκεραννύω. E per il composto έγ- cfr. anche


//. 8, 189, Hdt. V 124, 1.
έπιστεφέα presuppone naturalmente II. 8, 232 = Od. 2, 431
κρητήραο έπιστεφέασ οΐνοιο.
Al ν. 8 l'integrazione di Wilamowitz e Schubart (κρύφιόν τε
Wil., πρόπινε λόγον Schubart) può dirsi sicura: cfr. Pind. fr.
260, 2 Sn.-M. κρυφίου δέ λό[γου40. E correttamente Wilamo
witz parafrasa con «gib einen γρΐφοο auf».
Con πρόπινε si continua, col riferimento all'istante del brindi
si, la linea metaforica dell'ode-bevanda. Analogo procedimento
si coglie in Dionisio Calco (1 W. = 1 G.-P.), dove il prima citato
πέμπω ... χάριταο è preceduto (w. 1 s.) da δέχου τήνδε
προπινομένην / την άπ' έμοΰ ποίηαν ed è seguito (ν. 4) da και σύ
λαβών τόδε δώρον àoiôàc άντιπρόπιΰι. E all'interno di un illu
strans correlato alla propria attività poetica usava προπίνω an
che Pindaro in 01. 7, 4 νεανίαι γαμβρώι προπίνων.
Al. ν. 9 la resa di σήμαινε proposta da Wilamowitz («gib das
Kommando») parrebbe esclusa (a parte la supposta, e infonda
ta, apostrofe al simposiarca) dalla costruzione con ότι. Piuttosto
«dichiara», «annuncia» (cfr. LSJ s.v. σημαίνω, III 1).
παρθένων era inteso da Wilamowitz come genitivo partitivo
in nesso col successivo τάν: «fra le ragazze (canteremo) colei
che...». Ma è un'interpretazione che appare in contrasto con
l'ordine delle parole e dipende inoltre dall'arbitraria correzione
di καί del papiro in κάτα al ν. 12 (su ciò v. sotto). Possiamo
invece riconoscere un nitido andamento sintattico e tematico,
nonché una limpida congruenza con l'asindeto (esplicativo) che
giustappone la frase incentrata su έγκέρασον e su πρόπινε a
quella avviata da σήμαινε se intendiamo che i canti, gli
άπείρονεσ ΰμνοι che si vogliono 'intrecciare', sono appunto i
canti di quelle παρθένοι, le Cariti, a cui appartiene il cratere
della poesia e che sono state appena nominate. È vero che le
Cariti non sembrano esser dette παρθένοι prima dei giambi
scoptici di Costantino di Rodi (v. 47 Moùcai γλυκεραι Χάριτέσ
τε παρθένοι)41, e del pari non può che restare ipotetica la pur

40. -φέ(α) άκρ[ατόν τε π]ρόπι[ν]ε, proposto da G. Tedeschi, Nota a carm.


conv. 917/34 Page, GFF 6 (1983), pp. 69-71, è comunque troppo breve.
41. Cfr. P. Matranga, Anecdota Graeca, Romae 1850, II 628. Sul notaio Co
stantino di Rodi, attivo nella prima metà del X secolo, i dati essenziali in K.
Krumbacher, Geschichte der byzantinischen Literatur, Munchen 1891, pp. 352 s.

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I 94 FRANCO FERRARI

plausibile identificazione delle Παρθένοι con le Cariti42 nel fr.


286, 1-4 PMG di Ibico (ήρι μέν αϊ τε Κυδώνιαι / μηλίδεο
άρδόμεναι ροάν / έκ ποταμών, ίνα Παρθένων / κήποο
άκήρατοα..), ma è ben attestato l'uso anaforico di παρθένοε per
denotare, senza altra specificazione, una figura femminile
(«quella ragazza») nominata in precedenza: cfr. Pind. 01. 1, 88
(παρθένον dopo Ίπποδάμειαν 70), Pyth. 12, 19 (παρθένοε dopo
Παλλάε 7), Eur. Hel. 1342 (περί παρθένοι dopo θυγατρόο 1322 e
παιδόε 1337), Ph. 48 (παρθένου dopo Σφίγξ 46), Arist. 842, 2
PMG (παρθένε 3 dopo Άρετά 1). Del resto in Pind. paean 6, 54
sono definite παρθένοι quelle Muse di cui le Cariti, come si è
visto, surrogano qui la funzione. E infine le Cariti erano dette
όπλότεραι, 'giovinette', in II. 14, 267 = 275 Χαρίτων μίαν
όπλοτεράων.
Al ν. 10 άπείροα ... ΰμνοιε veniva tradotto da Wilamowitz
con «mit unendlichen Liedern», ma poi in nota43 egli obiettava
che un tale significato mal si adatta a una breve canzonetta e
perciò proponeva dubitativamente ben tre ulteriori esegesi:
άπείρονεε ϋμνοι nel senso che tali inni «die Gòttin ins Grenzen
lose riihmen wollen», oppure in quanto «haben die γρίφοι kein
πέραο, wie die δεεμοί Θ 340», ο infine in quanto «άπειρων ist
άπείρατοο ['inesperto'] wie Soph. Ο. T. 1089». Tutte queste
interpretazioni (fuorché probabilmente l'ultima) sembrano
astrattamente non impossibili, ma credo che l'iniziale, e più
semplice, resa di άπείροα come 'infiniti' (cfr. Stes. 184, 2 PMG
παρά nayàc άπείρovac, Pind., paean 6, 176 άπείροναο άρετάε,
fragra, adesp. 925 (e), 13 PMG δι' άπείρονα κύ[μα]τα, Timoth.
Pers. (= 791 PMG), 58 écp[ò]c [άπ]ειροε) non sia in contrasto
con la brevità del componimento: non è 'infinito' questo parti
colare skolion, ma sono 'infiniti', 'illimitati' i canti delle Cariti (il
plurale è significativo) in quanto si configura come inesauribile
l'ispirazione che esse offrono ai cantori e che appare qui simbo
leggiata dall'immagine del κρατήρ (rispetto al quale i singoli
canti rappresenterebbero le κύλικεε). E inoltre dietro άπείρονεε

42. Essa è stata proposta da B. Marzullo, Frammenti della lirica greca, Firen
ze 19672, p. 148, sulla base del confronto con Pind. 01. 9,26 έξαίρετον Χαρίτων
νέμομαι κάπον e con Ar. Av. 1100 Χαρίτων ...κηπεΰματα. Ipotetica è anche la
brillante integrazione di Erbse (accolta nel testo da Snell-Maehler)
κ<όρ>αι...Χάριτεο in Bacch. 19, 5 s.
43. P. 59 n. 1.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 195

ύμνοι vi è forse la memoria dell'esiodeo (Op. 662) άθέοφατον


44
υμνον .
Quanto a πλέξομεν, esso allude molto probabilmente alle co
rone simposiali: cfr. Pind. Istkm. 8, 66 s. πλεκέτω / μυραναε
σιέφανον, Ar. Th. 458 πλέξαι στεφάνους. E per il nesso con
ΰμνοιο cfr. Pind. 01. 6, 86 s. πλέκων ... ΰμνον, Nem. 4, 94 φήματα
πλέκων.
Per Wilamowitz «πλέκειν τινά ύμνοιο, fur οτεφανούν ΰμνοιο,
d. i. ύμνείν» sarebbe la prima di due 'orrende catacresi': senon
ché la seconda, e cioè «κείραοθαί τινα etwa fur λωτίοαι,
άπανθίοαι» è da interpretare, come vedremo, in termini molto
diversi da quelli indicati da Wilamowitz, mentre πλέκειν τινά
ΰμνοιο mi pare che rispecchi l'uso transitivo (con oggetto in
accusativo della persona celebrata) di χορεύω (cfr. Pind. Isthm.
1, 7 Φοΐβον χορεύων, Eur. Ion 1084-86 χορευόμεναι / τάν
χρυοοοτέφανον κόραν / και ματέρα οεμνάν) e soprattutto di
éXiccco (cfr. Eur. H F 689 s. τάν Aatoûc εΰπαιδα γόνον /
είλίοςουοαι καλλίχοροι e ΙΑ 1480 s. έλίοοετ' άμφι vaòv / άμφι
βωμόν "Αρτεμιν).
Ai w. 11-14 Wilamowitz, subito dopo aver fatto di παρθένων
un genitivo partitivo che anticipa τάν ... κειραμέναν, interpreta
τάν ... κειραμέναν come «colei che ha (rac)colto (]gepfliickt] (pre
dato [erbeutet])» e spiega la sconcertante giustapposizione di da
tivi δορί οώματι come «con l'asta, suo corpo» (αόματι apposizio
ne di δορί) ; infine al v. 12 corregge il καί del papiro in κάτα, così
da avere la seguente traduzione: «noi vogliamo coronare con
canti infiniti, fra le giovinette, colei che con l'asta, suo corpo, a
Troia presso le navi per sempre memorabili ha (rac)colto (cat
turato) la spia notturna». Con ciò il poeta alluderebbe a una
παρθένος ο νύμφη che rappresenterebbe «'il fortunato sorpren
dere e arraffare', la pulcra Taverna del soldato di ventura, del
bandito, la quale ha la sua naturale dimora nell'asta, in quanto
ella procura αιχμάλωτοι, la miglior preda» (e questa pulcra La
cerna sarebbe infine da identificare in ευφωρατ[, cioè Εύφω
ρατ[ίο] ο Εύφωρατ[ώ], che è il secondo dei titoli allineati sul
margine sinistro del papiro in corrispondenza di rr. 8-10). Il
tratto più singolare di questa bizzarra esegesi45 è che Wilamo

44. Per άθέεφατοc / illimitato ν. West ad loc., e cfr. anche Hes. Th. 830 δπ(α)...
άΟέεφατον e h. Ven. 237 φωνή ... άαιετοο.

45. Essa era considerata sicura da Wilamowitz («sicher ist die Bedeutung»)
e veniva accolta senza discussione da Pasquali, Orazio lirico, cit., p. 345.

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ig6 FRANCO FERRARI

witz poneva le difficoltà che essa comporta (e soprattutto la


giustapposizione δορί οώματι, «dove almeno si richiederebbe
l'articolo τώι οώματι») a carico del presunto cattivo gusto del
poeta. Ma esaminiamo i singoli punti:
(a) Su παρθένων ν. sopra.
(b) La correzione di καί in κάτα (accolta da Powell, da Diehl
e anche da Page in Literary Papyri ma non in PMG) consegue il
pessimo risultato di introdurre una costruzione τάν κειραμέναν
τον άλόντα οκοπόν caratterizzata da un tipo di participio con
giunto assai più latino (qualcosa come ... eam quae captum specula
torem attendit) che greco e di abolire il limpido ductus del testo
tràdito, dove a πλέξομεν ΰμνοιο si aggregano due complementi
in accusativo (τάν ... κειραμέναν Τροίαν e τόν ... άλόντα ...
οκοπόν) collegati da καί.
(c) In τάν δορί αοματι κειραμέναν Τροίαν la giustapposizione
di οώματι a δορί riesce davvero incomprensibile e sollecita un
emendamento (possibilmente economico e plausibile ad un
tempo), ma per il resto ogni altro elemento della frase parrebbe
appropriato e funzionale, e trova larghi riscontri nella tradizio
ne poetica. In particolare: (1) per Troia conquistata δορί cfr. II.
16, 707 s. οΰ νύ τοι aîca / οώι ύπό δουρι πόλιν πέρθαι Τρώων
άγερώχων, Pind. Isthm. 8, 51 s. Τροϊαο / ivac έκταμών δορί, Eur.
Andr. 105 s. ω Τροία, δορί και πυρί δηϊάλωτον / ειλέ c ό χι
λιόναυο Έλλάδοο ώκυε "Αρηο, Hec. 101 ss. πόλεωο άπελαυνο
μένη / rfjc Ίλιάδοο, λόγχηο αίχμήι / δοριδήρατοε πρόο 'Αχαιών e
476 ss. ... χϋονόε θ', / à καπνώι κατερείπεται / τυφομένα δορί-/
κτητοο Άργεϊων (con attribuzione a Troia del δουρικτήτην rife
rito a Briseide in II. 9, 343), Tr. 1 ss. ... πάλει, / ή νϋν καπνοΰται
και πρόο Άργείου òoqòc / ώλωλε πορΌη·θείο(α). Cadono con ciò
anche le proposte, già di per sé assai poco promettenti, di emen
dare δορί: δορόο ήματι Powell (con nesso inusitato), δορόο
οιματι Page (ma l'uso di οΐμα è limitato ad animali: di un leone
in II. 16, 752, di un'aquila in II. 21, 252, di serpenti in Q. S. 6,
201: Page lo riferirebbe ad Atena, da lui identificata nella pre
sunta napfiivoc che falcia il bottino, ma questo presuppone an
che la falsa interpretazione di κειραμέναν su cui v. subito sotto).
(2) Il participio medio aoristo di κείρω viene impiegato sistema
ticamente altrove con valore passivo, e questo pur in contrasto
con la generale tendenza del greco a non usare con funzione
passiva il medio dell'aoristo primo. Né sarà casuale se incon
triamo una serie di luoghi in cui forme di έκειράμην risultano
riferite, con valore passivo, alla spoliazione di una città ο di un

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P. BEROL. INV. I327O: I CANTI DI ELEFANTINA 197

territorio (ο di qualcosa che ad esso appartiene). In un epi


gramma inciso su una statua dedicata a Epaminonda e compo
sto nel (o verso il) 367 a.C.46 leggiamo al ν. 1 un ήμετέραιο
βουλαΐο Σπάρτη μεν έκείρατο δόξαν che Cicerone (Tusc. 5, 49)
avrebbe tradotto con consiliis nostris laus est attesa Laconum. In A.
P. IX 106, 2 (un epigramma composto da Leonide di Alessan
dria, del I sec. d.C.47) troviamo έν χθονι τήι πεύκαο είο έμέ
κειραμένηι («nella terra spogliata a mio danno dei suoi pini»),
in Ps.-Phocyl. 165 s. άρουραι / λήϊα κειράμεναι («campagne spo
gliate delle loro messi»), in Greg. Naz., or. 16, 6 γή
καθυβρισμένη και άποκειραμένη. E sembra significativo anche il
dato, inverso e complementare, dell'uso molto sporadico, per
κείρω, dei veri passivi έκέρθην (Pind. Pyth. 4, 82 κερθέντεο) ed
έκάρην (Hdt. IV 127, 2 καρήι). E ancora, una puntuale analo
gia per l'uso passivo di κειραμέναν è offerta dall'epinicio simoni
deo per Crio di Egina, fr. 507, 1 PMG έπέξαθ' ό Kpiòc ουκ
άεικέακ, «il Caprone fu tosato non indecorosamente»48, dove il
valore passivo di έπέξατο è garantito da Ar. Nub. 1355 s. (Ari
stofane riecheggia apertamente il passo simonideo con έγώ
'κέλευοα / cacai Σιμωνίδου μέλοο, τον Κριόν cbc έπέχϋη49).
Stando così le cose, sembra naturale intendere τάν δορί ...
κειραμέναν Τροίαν come «canteremo Troia tosata (falciata, spo
gliata) con l'asta» (e per κείρομαι riferito a un territorio cfr.
anche Thgn. 892 Ληλάντου δ'άγαθόν κείρεται οίνόπεδον). Che
fare allora di οώματι? Proviamo a partire dalla precedente con
statazione per cui il κείραοθαι patito da un luogo tende a preci

46. Testo e commento in D. L. Page, Further Greek Epigrams, Oxford 1981,


nr. 71, pp. 426 s.
47. Nr. 40 in Page, Further Greek Epigrams, cit., pp. 539 s.
48. Cfr. H.
Frankel, Dichtung und Philosophie des friihen Griechentums, Miin
chen 19693, p. 495, e B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Bari 1984,
=
p. 199: «sottile è il gioco sul nome dell'atleta (Kriós ariete) e sul termine
pékein, tosare (il vello del caprone) per 'picchiare': 'non indecorosamente fu
tosato Crio quando venne nel celebre, ombroso santuario di Zeus'. Crio ha
vinto, ma dopo averle prese non senza decoro».
49. Cfr.
in proposito V. Bers, Greek Poetic Syntax in the Classical Age, New
Haven / London 1984, p. 105, e già J. Wackernagel, Vorlesungen iiber Syntax,
Basel, 19262 I 137 s. Francamente eccessivo, per contro, lo scetticismo di E.
Wistrand, Uber das Passivum, Goteborg 1941, pp. 22 s., che fra l'altro non
prende in considerazione il luogo simonideo (giusta, e significativa, resta tut
tavia l'osservazione di Wistrand sull'assenza, in simili casi, di un complemen
to d'agente).

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ig8 FRANCO FERRARI

sarsi nell'oggetto ο negli oggetti (espressi da un accusativo di


relazione: δόξαν, πεύκαε, λήϊα) di cui il luogo stesso viene de
predato, e in più cerchiamo di allargare il campo dei riferimenti
individuando il modulo letterario presupposto da δορί ...
κειραμέναν Τροίαν: saremo allora ricondotti a una costellazione
figurale che ha una lunga e articolata vicenda e di cui trasceglie
remo alcuni esempi più significativi. In II. 11, 67-71 il poeta
paragona Troiani e Achei che fanno strage correndo gli uni con
tro gli altri ai mietitori che seguono il solco in senso inverso, «e
cadono densi i mannelli» (τα δέ δράγματα ταρφέα πίπτει); in
Aesch. Supp. 635 s. Ares viene accusato come «colui che miete i
mortali in campi altrui» ("Αρη / τον άρότοιο θερίζοντα βροτουε
εν άλλοιε)50; in Eur. Supp. 447-49 Teseo domanda all'araldo te
bano: πώε ούν ετ' αν γένοιτ' άν Ισχυρά πόλιε / δταν τιε ώε
λειμώνοε ήρινοΰ οτάχυν / τομαΐε άφαιρήι κάπολωτίζηι νέουο;,
mentre in un famoso apologo di Erodoto (5, 92 ζ-η) Trasibulo
accompagna l'araldo di Periandro in un campo di grano e lì, a
significare come un tiranno debba procedere per conservare il
proprio potere, έκόλουε αίεί δκωε τινά ΐδοι τών άοταχύων
υπερέχοντα. E cfr. ancora Aesch. Pe. 920 s. άνδρών, / oûc νυν
δαίμων έπέκειρεν, Supp. 664 ss. μηδ'.,.'Άρηο κέρεειεν άωτον,
Soph. fr. 724, 4 R. "Αρηε γαρ ούδέν τών κακών λωτίζεται, Eur.
fr. 373 Ν.2 nàc δ'έξεθέριοεν ώετε πΰρινον <οτάχυν> / οπάθηι
κολούων φαεγάνου μελανδέτου, Hypsip. fr. 60 II 32 Cockle (= fr.
757, 6 Ν.2) βίον θερίζειν ώετε κάρπιμον ετάχυν, ΙΑ 790-92 τίε
άρα μ'εύπλοκάμου κόμαε, / έρυμα δακρυόεν, τάο yàc / πατρίαο
όλομέναο άπολωτιει;51. Dunque una serie di accusativi che de
notano non più le messi ο i pini ο altro elemento specificamente
proprio di un territorio, ma individui ο gruppi umani che ven
gono falciati come spighe. Uno schema che ci indurrà a recupe
rare in εώματα (che immagineremo corrotto in εώματι per mera
attrazione del dativo precedente) un altro di questi sostantivi:
un σώματα per il quale un poeta epico arcaico avrebbe probabil
mente impiegato ψυχάε ο κεφαλάε ma che diventa corrente, a
partire dal V sec. a.C., in relazione a corpi viventi (un esempio
che interessa il nostro caso anche per via del participio passivo

50. Per il testo di questo passo (έν àXXoic Μ: έναίμοιε Lachmann, Page) cfr.
E. Fraenkel, Aeschylus. Agamemnon, Oxford 1950, II 228 η. 1.
51. Per il testo di questo passo, basato su P. Leid. inv. 510, e la sua interpre
tazione, cfr. CCC 5 (1984), pp. 19-22.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 199

con accusativo di relazione è Pind. 01. 6, 55 s. βεβρεγμένοο


άβρόν / αΰμα) e in particolare si specializza nel senso di 'esseri
umani', 'individui' (cfr. e. g. Soph. Aut. 676 οώιζει τα πολλά
οώμαθ' ή πειθαρχία, Eur. HF 910 ώ λευκά γήραι οώματ', Supp.
223 s. χρή γαρ ούτε οωματα / άδικα δικαίοιο τον οοφόν
ουμμειγνύναι... e LSJ s.v. οώμα II 2). (Vedo da ultimo - cfr.
nota 33 - che questa proposta di correzione era già stata avan
zata da G. F. Gianotti e comunicata ai partecipanti al seminario
triestino).
Ricorderemo infine un altro passo, nel quale invero il quid di
cui una città viene spogliata non è dato dai suoi abitanti bensì
dalle sue torri, ma che per il resto offre tali elementi di conso
nanza (i vocaboli δόρυ e κείρω, la costruzione con κείριο passivo
e l'accusativo di relazione, il riferimento alla rovina di Troia) da
non far escludere, se la correzione οώματ α coglie nel segno,
un'eco diretta e forse consapevole: Eur. Hec. 905-11

cù μέν, ω πατρίο Ίλιάο,


τών απόρθητων πόλιχ ούκέτι λέξηι ·
τοίον Έλλάνων vécpoc άμφί ce κρύπτει

δορί δή δορί πέροαν.


άπό δε οτεφάναν κέκαρ
cai πύργων...

Dunque «Troia che fu spogliata di corpi con l'asta» come varia


zione rispetto a «tu, ο iliaca patria [...] sei stata spogliata della
tua corona di torri».
Sembra così svanire nel nulla la wilamowitziana ninfa del
soldato di ventura. Ma perché dolercene? Già Page aveva avan
zato per lo stesso titolo ευφωρατ[52 una diversa possibilità, inte
grando Εύφώρατ[οε] (da intendere come 'The Easy Prey' in ri
ferimento a Dolone, al quale alludono i vv. 12-14)53. Tuttavia
neppure questa ipotesi appare convincente, dato che l'aggettivo
εύφώρατοο sembra attestato solo col valore di 'facile da scopri
re': cfr. Plut, quomodo adul. ab amico internosc. 63c ώστε παντελώε
εν γε τούτοic εύφώρατον είναι την διαφοράν (una differenza faci
le da scoprire, da riconoscere), Lib. deci. 49, 79 tiqòc

52. Che Moûcai, εύφωρατ[ e Μνημοα&νη costituiscano i titoli dei tre cxóXia
sembra indubitabile. Si tratta, per gli cxóXia, di una prassi che troviamo già
attestata in Ar. Ach. 980, Ve. 1225 (per VArmadio) e Lys. 1236 s. (per il Telamone
e il Clitagora).

53. Literary Papyrì, cit., pp. 388 s.

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200 FRANCO FERRARI

συκοφαντίαν εύφώρατον, Gal. 13, 333 Kiihn εύφώρατοι δέ αί


διαφοραί των λυπούντων χυμών είσι («ceterum differentiae affli
gentium humorum facile deprehendi possunt» [Kuhn]) e 6, 95
εύφωρατότεροι γίνονται μή γινώεκοντεε όρθώο. È vero che si
tratta comunque di passi ben più recenti del nostro brano, ma
una tale valenza è confermata dall'uso di φωράω al passivo, che
si riferisce costantemente al dato di essere 'scoperti' ο 'ricono
sciuti', non 'catturati' (v. LSJ s. ν. φωράω, 2). Se così è, si può
congetturare che lo spunto per la creazione di un titolo
εύφώρατ[ου], ο piuttosto εύφώρατ[ον], fosse offerto dal κρΰφιον
... λόγον del ν. 8, e cioè in quanto il γρίφου, basato sulla identifi
cazione di Dolone nello cxojióc del v. 14, si prospettava - come
di fatto si prospetta anche noi - 'facile da
per scoprire
(interpretare)'54.
Nel conclusivo καί τον παρά vaucìv άειμνάστοιυ άλόντα
νυκτιβάταν υκοπόν il poeta condensa in una sintesi veloce indi
cazioni disseminate attraverso la Doloneia - παρά vaucìv presup
pone II. 10, 325 s. ... δφρ' âv ϊκωμαι / νή' Άγαμεμνονέην, 336 βή
δ'Ιέναι προτι νήαυ από στρατού, 347 επί νήαυ, 366 φεύγων te
νήαε, 385 επί vqac (e cfr. anche [Eur.] Rh. 203 ήαυ vaùc έπ'
Άργείων πόδα); υκοπόν richiama II. 10, 324 ckokòc ëccopai;
άλόντα fa eco a II. 10, 378 ζωγρείτ'; νυκτιβάταν riutilizza II. 10,
385 s. πήι δή ούτωυ έπί νήαυ άπό στρατού ερχεαι oioc / νύκτα δι'
- ma le
όρφναίην e 394 ι'όντα θοήν όιά νύκτα μέλαιναν imprezio
sisce con l'introduzione àtWhapax νυκτιβάτηυ (cfr. νυκτίφοιτου
in Aesch. Pr. 657; νυκτιπόλοο in Eur. Ion 718 e 1049, e fr. 472, 11
Ν.2; νυκτοπεριπλάνητου in Ar. Ach. 264; νυκτοβατία in Hp. vici.
3, 68) e di un composto, quale αείμνηστου, noto altrimenti solo
dal lessico della tragedia (cfr. Aesch. Pe. 760, Eur. IA 1531 e
soprattutto Soph. Ai. 1166 s. τον άείμνηστον / τάφον).
Veniamo ora alla metrica di questo brano. Wilamowitz offri
va la seguente analisi:
*1 — — — — —
j V^ I
*2 V w-w

*3 w —ν —w w

*4 V — — — S-<W— V V — W
— W V — W V —-\J —— — V —

*5 — WV — w —

54. Vedo da ultimo che questa interpretazione è già stata avanzata da G.


Manteuffel, De opusculis Graecis Aegypti e papyris, ostracis lapidibusque collectis,
Warszawa 1930, pp. 60 e 174.

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P. BEROL. INV. l^2JO: I CANTI DI ELEFANTINA 201

e questo commento (p. 61): «V. 1. 3. 4 lassen sich bequem dacty


loepitritisch lesen; aber V. 2 Hymenaikus und V. 5 Dochmius,
also sogenannte àolische Reihen, daneben sind sehr merk
wurdig».
Un'analisi, per altro, che, presupponendo quella modificazio
ne di καί in κάτα al ν. 12 (= *v. 4 dello schema metrico) che
abbiamo sopra rifiutato, va modificata per tale *v. 4, e scan
dendo non Τροίαν ma Τροϊαν, nella sequenza
e cioè Dd2d2-D-e^. In effetti la serie
Dd2d2- (corrispondente a D3- delle sigle di West: si tratta del
cosiddetto pentametro dattilico) compare già nell'VIII sec.
a.C. nel prosodio di Eumelo di Corinto, fr. 696, 2 Ρ MG ά
καθαρά καί ελεύθερα εάμβαλ' εχοιχα //55e ritorna p. es. in Sim.
506, 2 Ρ MG ή οτεφάνοια ρόδων άνεδήοατο νίκαο , in Pind. fr.
51a, 3 Sn.-M. καί οκοπιαίαν [άκρ]αιο όρέων ΰπερ εετα e fr. 169a
str. / ant. 7, e in Aesch. Ag. 105 s. / 124 s.; la sua forma cataletti
ca Dd2d2 (= D3) in Pind. Pyth. 3 str./ant. 4, in Aesch. Eum. 534
/ 545, in Soph. Ai. 225 / 24757 e in Eur. Hel. 384 ώλεοεν ώλεοε
πέργαμα Δαρδανίας58.
=
Quanto ai sorprendenti 'imenaico' (cioè tei ~gl) e 'docmio',
si tratta di asimmetrie ritmiche ben comprensibili in relazione
agli esperimenti polimetrici dell'ultimo Euripide, dell'ultimo
Sofocle e dei ditirambografi, pur se, d'altra parte, sostenere che
«die Metrik [...] die ausgeartete Kunst des 4. Jahrhunderts
- come
zeigt» sembra arbitrario almeno in quanto opportuna
mente sottolinea West59 - dal punto di vista metrico (non musica

55. Cfr. C. Ο. Pavese, Il più antico frammento di lirica corale greca, in AA. VV.,
Filologia e forme letterarie. Studi offerti a F. Della Corte, Urbino 1987, I 53-7.
56. Cfr. B. Gentili, in B. Gentili-P. Giannini, Preistoria e formazione dell'esa
metro, QUCC 26 (1977), pp. 25 s., che giustamente prende posizione contro
l'arbitraria correzione vtxctcaic in luogo di νίκαο del Page.
57. Cfr. H. A. Pohlsander, Metrical Studies in the Lyrics of Sophocles, Leiden
1964, p. 8.
58. Nel nostro caso resta aperta, in astratto, l'alternativa se connettere l'an
ceps interpositum al precedente D3 ο al seguente D, ma il principio (teorizzato da
Gentili, Preistoria e formazione dell'esametro, cit., pp. 17 s., sulla base delle occor
renze di anceps interpositum bisillabico) secondo il quale «il cosiddetto anceps
interpositum [...] è elemento iniziale del colon che segue e non elemento finale del
colon che precede») richiede D3 -D (e non D3- D), e pertanto l'interpretazione
di tutta la serie D3-D-e'-' come pentametro dattilico catalettico seguito da
prosodiaco anapestico e da reiziano giambico.
59. Greek Metre, Oxford 1982, p. 138.

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202 FRANCO FERRARI

le) la stessa poesia di Melanippide, Timoteo e Filosseno «seems


from our evidence to have been more straightfbrward than
much of Pindar or of tragic lyric». E non a caso possiamo ad
durre per le suddette asimmetrie non del tutto sporadici, e non
solo recenziori, confronti, tanto più se intendiamo entrambe le
asimmetrie, con lo stesso Wilamowitz, come di tipo 'eolico', es
sendo in realtà il colon -ww-w- una sequenza ambivalente, una
sorta di trait d'union fra cola docmiaci e cola a cellula coriambica
(ossia, a seconda dei contesti, docmio 'attico' oppure dodrans A
corrispondente a ~gl, a 'tei e anche a dim cho A : più specifica
mente, però, va colta nel nostro caso l'omologia fra i due tipi di
inserti asimmetrici, cosicché -ww-w- viene a in
configurarsi
contesto come forma 'acefala' di —ww-w- e pertanto co
questo
me 'tei):
=
Pind. 01. 6 str. / ant. 5 -e-/D— (cioè -ww-ww-w- ibyc);
Bacch. 19 (= dith. 5) str. / ant. 15 -5-ww-w-w-w (= pha
e 17 —ww-w-w-w-w^ come nel nostro
laec) (ossia tei, brano,

seguito da docmio 'kaibeliano', ο piuttosto 'hipp + hypo


dochm);
Bacch. 20,8 w-ww-w-[-.„ ('hipp seguito da un quid irrecupe
rabile a causa della frattura del papiro60);
Eur. Med. 832 ξανθάν Άρμονίαν φυτεύοαι / 845 παντοίαε
άρετάο ξυνεργούε (hipp clausolare, al termine di una strofe inte
gralmente dattilo-epitritica);
757, 3-5 PMG / E-E -w-ww-w- (gl)/;
Melanippides,
""
Ariphron, 813, 1 PMG tel - D/;
Fragm. adesp. 1019, 1-3 PMG tel/-Dw e/hippd/.

Infine, per quanto riguarda l'uso clausolare di - ww-w-, va ri


cordato come tale colarion fosse tradizionale proprio nella chiusa
dei carmina convivialia, visto che esso compare in coppia

(_ww-w— ww w—) all'ultimo verso dei carm. cono. 884-887, 889
890, 893-896 e 907 PMG, undici componimenti in quartine eo
lo-coriambiche costituite da phalaec II phalaec II dim cho Β II
dodrans A dodrans A ///.

60. I carmi
19 e 20 (benché quest'ultimo gravemente lacunoso) di Bacchili
de sono due molto interessanti
esempì di polimetria tardo-arcaica. Quantun
que definiti 'dattilogiambici' da Snell, essi risultano caratterizzati, al pari del
nostro scolio, dall'associazione fra cola dattilo-epitritici e cola di tipo eolico: cfr.
B. Snell-H. Maehler, Bacchylidis carmina cum fragmentis, Leipzig 1970, p.
XXXII.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 203

Il disegno metrico di questo scolio (corrispondente alla colo


metria adottata dal Page in PMG e da noi infra, p. 226) sarà
dunque il seguente:
1 — \j w — w ^
—υυ—

2 — w w —w —

3 V — s·/w— w w — —

3 —— w w — w w — —— w — ν
6 —w w —w —

D-e- hem I + reiz ia


Dd2 (= D2) alcrrf
-d1 w- tei (= Agl)
D- enh ('erasmonideo')
Dd2d2 (= D3) pent dact"
-D-e^ pros an + reiz ia
d'«- dodrans A

Questo il testo stampato da Wilamowitz dello scolio (c):


15 Monca ν άγανόμματε μάτερ
συνεπίατεο ccòv τέκνων | [άγν]ώι [γόν]ωι·
άρτι βρύουεαν άοιδάν
πρωτοπαγεΐ οοφίαι διαποίκιλον
έκφέρομεν. |
20 [νήάτ]οιτέγξανΆχελώιουδρό[α>ι],
[παύε]πέραπροιών,ύφίειπόδα,
λύεέανοϋ| πτέρυγαο,τάχοοίεεο
λεπτολίθων[έπ' άγώ]ν:
ευ: καθόραπέλαγοε,
25 παράγάν| έκφευγεΝότουχαλεπάν
φοβεράν[διαπο]ντοπλανήμανίαν.
Al ν. 15 Μουοάν άγανόμματε (per questo epiteto cfr. Ibyc. 288, 3
PMG άγανοβλέφαροο Πειθώ, fragm. adesp. 929 (g), 1 Ρ MG
μαλακόμματοο, Lycimnius 769, 1 PMG λιπαρόμματεμάτερ, Α. Ρ.
IX 604, 2 [Nossis] xàc άγανοβλεφάρου e anche Pind. Pyth. 9, 37
s. άγανάι ... όφρύϊ) è correzione wilamowitziana per ωμουοαγα
νομματε del papiro (esempì di elisione realizzata sono anche a r.
14 χρηδοταν, a r. 19 ηδαρετη e a r. 21 εργανδρων): la correzione
è stata accolta da Diehl, e commentata da Page in apparato con
«fort, recte». Secondo Wilamowitz, infatti, «chiamare 'madre'
la Musa e pregarla di seguire il <...> dei suoi figli è più di

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204 FRANCO FERRARI

quanto si possa tollerare. Invece ha certamente bisogno della


memoria colui che intende eseguire un canto, tanto più se si
vanta che esso è davvero nuovo, e adornato riccamente con arte

assolutamente originale». E Wilamowitz integrava la lacuna al


la fine del v. 16 con [άγν]ώι [γόν]ωι (non γ[όν]αη, come riferito
da Page in Ρ MG), nel senso che il canto rappresenterebbe una
sorta di «Musenkind». Con ciò si otterrebbe una coerente linea
tematica, e il richiamo alla madre delle Muse verrebbe a colli
mare col titolo Μνημοούνη, l'ultimo dei tre dislocati sul margine
sinistro. Ma io credo che la correzione, e del pari tutta questa
ricostruzione dell'attacco, siano da rifiutare. Si tratta in primo
luogo di una 'correzione' solo apparentemente economica, coin
volgendo due interventi non interdipendenti (e in effetti Powell,
su proposta di Crusius e di K. F. W. Schmidt, limitava gli inter
venti a uno soltanto scrivendo ώ Moucòv άγανόμματε, ma pre

giudicando così il disegno metrico col ricorso a un improbabile


molosso iniziale). E soprattutto, considerando che il doppio da
tivo parzialmente in lacuna doveva riferirsi (come si ricava dai
vv. 17-9 e come è presupposto dalla stessa integrazione di Wila
mowitz) alla presente esecuzione simposiale, non solo non è 'in
tollerabile' ma sembra del tutto accettabile nella tradizione liri
ca che un poeta (come nello scolio precedente egli coinvolge nel
proprio canto i compagni del κώμοο) invocasse la Musa chia
mandola 'madre' e pregandola di assecondare la voce dei suoi
'figli': ché questi figli non sono altri che il 'noi' lirico, il poeta e i
suoi compagni (vedi il plurale έκφέρομεν del v. 19) in quanto
esecutori del brano presente. Ci soccorre un parallelo molto

preciso: al principio della Nemea 3 Pindaro invoca la Musa, la


chiama «madre nostra» e la supplica di recarsi a Egina poiché
presso l'acqua asopia61 ella è attesa dai giovani coreuti, bramosi
di ascoltare la voce della dea:

61. Lascio qui impregiudicata, anche perché non rilevante per l'esegesi del
nostro scolio, la questione, dibattutissima già fra gli interpreti antichi, della
localizzazione geografica delf'acqua asopia' (ma vedo da ultimo che la que
stione è stata in effetti risolta a favore di una fonte eginetica da G. A. Privite
la, Pindaro, Nem. Ili
1-5, e l'acqua di Egina, QUCC n.s. 29 (1988), pp. 63-70).
alla Musacome 'madre' dei poeti cfr. anche Pind. fr. 352 Sn.-M. =
Quanto (
Aristid. or. 45, 3) e già Hes. Th. 94 s. έκ γάρ toi Modcéiuv και έκηβόλου
'Απόλλωνος / άνδρες αοιδοί εααν έπί χθόνα καΐ κιθαριοταί (con la nota di
West, p. 187). Analogamente, in Pind. Nem. 4, 3 sono le odi trionfali ad essere
definite 'figlie delle Muse'.

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P. BEROL. INV. I327O: I CANTI DI ELEFANTINA 205

ώ πότνια Molca, μάτερ άμετέρα, λίοεομαι,


τάν πολυξέναν έν ίερομηνίαι Νεμεάδι

ϊκεο Δωρίδα νάοον ΑΙγιναν ϋδατι γαρ

μένοντ' έπ' Άεωπίωι μελιγαρΰων τέκτονεε

κώμων νεανίαι, εέθεν όπα μαιόμενοι.

Davvero sorprendente suona invece proprio il tipo di invocazio


ne prospettato da Wilamowitz, dove le Muse dovrebbero essere
soccorse dalla madre Mnemosine per creare le proprie canzoni:
una nozione estranea alla tradizione e per la quale lo studioso
tedesco non offre appunto alcun parallelo (e questo anche a
dalla bizzarra idea del canto come -
prescindere 'nipote' figlio
delle figlie-di Mnemosine). In effetti ατνεπίαιεο sembra realiz
zare una delle molteplici varianti suscettibili di caratterizzare la
relazione fra il poeta e la Musa: in particolare, per casi in cui la
Musa non dona il canto ma si limita ad 'assecondare' ο 'accom
pagnare' l'ispirazione del poeta, cfr. Pind. 01. 3, 4 s. Molca
δ'οΰτω ποι παρέ-cta μοι νεοαγαλον εύρόντι τρόπον, fragm. adesp.
935, 1 ss. PMG [ ]c θεαί, / δεύρ' ελθετ' άπ' ώρανώ / καί μοι
ευναείαχτε, Ar. Pax 816 Monca θεά μετ' έμου ξυμπαιζε την
εορτή ν.
Resta, in accordo con la ricostruzione di Wilamowitz, il dato
per cui il titolo posto in margine non è Monca bensì appunto
Μνημοαίνη. Si può tuttavia osservare che con Moùcai era già
stato titolato il primo componimento trascritto, e soprattutto
che una titolazione Μνημοούνη poteva essere suggerita da uno
sguardo appena un po' distratto al solo incipit ώ Mofic'
άγανόμματε μάτερ.
Diehl osservava che ουνεπίατεο è termine proprio della prosa
attica (Platone, Senofonte), ma cfr. anche Eur. Hipp. 1307 s. όδ'
... ουκ έφέσπετο / λόγοιαν (λόγοιαν come τώι λόγωι in Plat. Soph.
254c συνεπιεπώμεθα τώι λόγωι e μΰθωι in Plat. Ep. 7, 344d
τούτωι δέ τώι μύθωι τε και πλάνωι ό ξυνεπιοπόμενοο).
In lacuna integrerei [υμν]ωι [καλ]ώι (ο meglio [ΰμ]νωι κα[λ]ώι:
ν. infra, p. 225): per il nesso cfr. Anacr. 33, 10 s. Gent. = 356 (b),
4 s. PMG άλλα καλοΐο / ύποπίνοντεο èv ΰμνοιο. (Ma per il primo
dei due termini si può pensare anche a [πό]νωι, già suggerito da
G. Manteuffel per supplire il secondo dativo: per πόνοο come
denotatore dell'attività poetica cfr. Ibyc. (?) 221,1 SLG e Pind.
paean 7b, 22, Nem. 3,12 χαρίεντα... πόνον).
Ai w. 17 s. il motivo della 'originalità' del canto è apparente
mente tradizionale: senonché in casi come Od. 1,351 s., Alcm. 14

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2θ6 FRANCO FERRARI

(a) PMG (= 4 Calarne) Marc' άγε Marca λίγηα πoλυμμελέc /


αίενάοιδε μέλοσ / νεοχμόν άρχε παρεένοιχ άείδην, Pind. 01. 9, 48
s. αϊνει δε παλαιόν μέν οίνον, άνθεα δ'ΰμνων / νεωτέρων ο Isthm.
5, 63 νέον σύμπεμψον ΰμνον si sottolinea in primo luogo che il
canto è 'nuovo' perché specificamente composto per l'occasione
attuale: l'enfasi posta sulla novità non solo del canto ma dell'ar
te che lo ispira e lo regola presuppone probabilmente una poeti
ca più recente, quale ritroviamo in Timoteo sia nel noto manife
sto di fr. 796 PMG ούκ άείδω τα παλαιά, / καινά γαρ άμα
·/
κρείοοω· / véoc ό Ζευσ βασιλεύει / τό πάλαι δ'ήν Κρόνοε άρχων
άπίτω Moûca παλαιά sia ai νν. 211s. dei Persiani (791 PMG) ...
παλαιοτέραν véoic / ΰμνοιο μούοαν άτιμώ, e già in Euripide in un
passo 'programmatico' come Tr. 511-13 άμφί μοι Τλιον, ώ /
Moûca, καινών νμνων / àicov cûv δακρύου ώιδάν έπικήδειον
(per altro non va trascurato che proprio il famoso proclama di
originalità enunciato da Callimaco per bocca di Apollo nel pro
logo degli Aitia [fr. 1, 25-8 Pf.] sembra presupporre direttamen
te Pind. paean 7b, 10 ss. Sn.-M.)62.
Anche se l'uso traslato di βρύω è molto frequente (cfr. p. es.
Bacch. 13, 179; Aesch. Supp. 966, Ag. 169; Ar. Nub. 45), l'unico
vero parallelo per il nesso col canto sembra essere offerto da
Aesch. fr. 360, 6 R. (lo οτόμα di Apollo μαντικήι βρύον τέχνηι).
πρωτοπαγεΐ è un flosculo epico: cfr. II. 5, 193 s. δίφροι / καλοί
πρωτοπαγεΐο, 24, 266 s. άμαξαν ... / καλήν πρωτοπαγέα.
Insieme con Vhapax [διαπο]ντοπλανή (l'integrazione è presso
ché sicura) del v. 26, διαποίκιλον (che altrove è limitato alla
prosa: Hp. Coac. 7, 603; Arist.; Theophr.; Strab.) mostra una
certa predilezione di questo poeta per i composti in δια-.
έκφέρειν non è tradizionale per denotare l'esecuzione poetica.
Nella lirica il verbo compare anzi una sola volta (Pind. Nem. 4,
61), e col valore di efficio. In Erodoto (Vili 132, 2) e nei tragici
(Soph. Tr. 741; Eur. Hipp. 650, Supp. 561) indica la 'divulgazio
ne' di un discorso ο di una notizia. Sembra dunque che con
έκφέρομεν si sottolinei lo stacco fra momento compositivo (fissa

62. In generale, sul 'neues Lied' dell'ultimo Euripide, cfr. W. Kranz, Stasi
mon, Berlin 1933, pp. 228-66, e V. Di Benedetto, Euripide. Teatro e società,
Torino 1971, pp. 241 ss.; sulla poetica di Timoteo cfr. P. Maas in R.-E. II 6
(1937), coli. 1333-35, Wilamowitz, Timotheos, cit., pp. 53-5 e Gentili, Poesia e
pubblico, cit., pp. 31-9; sul rapporto fra il prologo degli Aitia di Callimaco e il
peana 7b di Pindaro cfr. J. K. Newmann, Pindar and Callimachus, ICS 10 (1985),
pp. 169-89.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 207

to in un prossimo passato: άρτι) e momento performativo, con


siderato quest'ultimo come atto di comunicazione al pubblico
dei simposiasti di un canto già ideato e memorizzato: un atteg
giamento che ben si accorda col ruolo collaterale (συνεπίοπεο)
che abbiamo visto assegnato alla Musa, la quale deve limitarsi
ad assecondare ciò che nella mente del compositore è già stato
realizzato in virtù della sua originale coqpia. (Non a caso nel IV
sec. εκφέρω viene impiegato anche per la 'pubblicazione' di uno
scritto: cfr. Isoc. 9, 74, Arist. Po. 1447b17).
Al v. 20 l'integrazione di Wilamowitz, che intende Άχελώιου
δρόοοι come 'gocce di pioggia', è stata giudicata 'elegante' da
Page («νήά τ]οι eleganter suppl. e. p.»), ma non mi sembra con
vincente: (a) nulla in Άχελώιου δρόαη suggerisce acqua piova
na. A partire dal V sec. a.C. Άχελώιοο indica spesso nella lin
gua poetica genericamente 'acqua' (cfr. p. es. Soph. fr. 5 R.;
Eur. Andr. 167, Ba. 625, fr. 753 N.2; Ar. fr. 365, 3 K.-A.; Cali.
Ep. 29 Pf.63). E quanto a δρόαη, il termine può riferirsi pa
rimenti a qualsivoglia 'spruzzo' d'acqua, anche marina (cfr.
Eur. IT 255 έναλίαι δρόαοι e 1192 θαλαοααι δρόαοι, Ar. Ra.
1311 s. (άλκυόνεο) τέγγουαχι votîoic πτερών / ρανία χρόα δρο
αζόμεναι). (b) Nella tradizione poetica l'elemento 'pioggia'
non ricorre come segnale di tempesta, e se alla pioggia eventual
mente si allude questo dato viene connotato con tratti ben più
forti e minacciosi, come le nubi incombenti in Arch. 105, 2 W. e
in Aesch. Th. 228 s.; oppure viene usato, come in Ale. 73, 4 V.
όμβρωι μάχεοθαι..[, un termine quale ομβροο ('uragano', 'tem

63. Cfr. A. S. Gow - D. L. The Greek Anthology, Cambridge


Page, 1965, II
160; P. T. Stevens, Euripidei. Andromache, Oxford 1971, p. 116; N. Hopkinson,
Callimachus. Hymn to Demeter, Cambridge 1984, pp. 92 s. - Page, Literay Papyri,
cit., pp. 390 s., identificherebbe qui l'Acheloo con l'Oceano sulla base di Pa
nyas. fr. 1 Powell = 31 Bernabé πώο δ'έπορεύθηε
(Coll. Alex., p. 248)
φεϋμ'Άχελώιου άργυροδίνα,/ 'Ωκεανού ποταμοίο δι' εύρέοο υγρά κέλευθα,di
Cali. Cer. 13 τρίο μέν δή διέβαο Άχελώιον άργυροδίναν e di epic. adesp. 5, 2 s.
Powell (Coll. Alex., p. 79) κατέλεξα Άχελω[ίου] άργυροδ[ί]νεο/ έξ ού πάεα
θάλαεοα (un'ulteriore citazione del Page, col richiamo al v. 433 della Periegesi
di Dionisio, è invece errata: lì il riferimento è al fiume Acheloo della Grecia
occidentale). Senonché in questi luoghi l'Acheloo / Oceano si configura chia
ramente come fiume, mentre nel nostro skolion la scena è collocata in mare
aperto (πέλαγοε) (una difficoltà forse non insormontabile: non si può infatti
escludere - come osserva G. B. D'Alessio - che «con la menzione
per litteras di
Acheloo si voglia indicare che la nave si trova in una posizione di pericolo
essendosi spinta troppo oltre, addirittura fra le acque del mitico Acheloo
Oceano»),

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2θ8 FRANGO FERRARI

pesta' e non semplici 'gocce di pioggia'), che comunque non


suole qualificare un segno iniziale di pericolo64. Sembra dunque
naturale, per tentare una plausibile integrazione dell'inizio del
v. 20, muovere dall'idea che le Άχελώιου δρόοοι siano spruzzi
d'acqua marina prodotti dal sollevarsi delle onde (e dal loro
battere contro le fiancate della nave: per il motivo basti il richia
mo a Pind. Nem. 6, 55-7 tò δέ παρ ποδί vaòc έλιχοόμενον α'ιει
κυμάτων / λέγεται παντί μάλιστα δονεΐν /θυμό ν). Ma se così è, chi
ο che cosa esse bagnano? Muovendo da [ ]i e da un quasi cer
to eretico iniziale, ho pensato a [γυΐά μο]ι, con un nesso fra γυϊα
e τέγγειν che forse trova esatto riscontro in Pind. Nem. 4, 4 s.
ουδέ θερμόν ΰδωρ τόοον γε μαλθακά τέγγει / γυϊα65, ovvero a
- - come in
[γυΐά το]ι (un τοι di contatto «attento!», «bada!»
Aesch. Ag. 1444, Soph. Ph. 855, OC 1578: a τοι in simili casi
Denniston, Gr. Part. , p. 542, attribuisce la funzione di «direc
ting a person's eye or ear to a sight or sound»), anche se un
pronome personale parrebbe più che opportuno e in più giove
rebbe al gioco mimetico presupposto da εύ 24: se questo ευ rap
presenta infatti (v. infra, pp. 215-7) un grido di approvazione del
gruppo, è naturale che il 'bravo!' sia rivolto a un singolo (ap
punto indicato da μοι al v. 20) il quale si è differenziato dal
gruppo assumendo l'iniziativa di ammonire del pericolo immi
nente il pilota della nave. D'altra parte la traccia d'inchiostro
riconoscibile sul bordo inferiore della lacuna può creare difficol
tà in relazione a un iniziale γυ- (integrando [ειμά μο]ι essa sareb
be invece identificabile con la base dello iota).
Al v. 21 [παύε] di Wilamowitz appare eccellente, e probabil
mente superiore (in quanto più idiomatico) anche a [λήγε] di
Page.
πέρα προιών è correzione di παραπροιών del papiro, ma lo
stesso Wilamowitz immaginava non a torto che Yhapax παρα
προιών (conservato da Page) avrebbe trovato difensori nel sen

64. Perδμβροε va menzionata anche la molto lacunosa descrizione di una


tempesta in P. Oxy. 2879 (cfr. The Oxyrhynchus Papyri, vol. XXXIX, London
1972, pp. 9-12), dove a col. I, 6-7 (= adesp. 458, 6-7 SLG) leggiamo jatoc
άλιβατο../ ]ov δμβρον άπο νοτέει, ossia «drips such and such a shower from the
high (huge) <wave>» (Lobel) (per la costruzione Lobel richiamava opportu
namente Pind. 01. 7, 50 ϋει/ν χρυεόν e Soph. Tr. 849 τέγγειν άχναν).
65. τέγγει è congettura di Heyne (accolta anche da Bowra) basata su Plut, de
tranqu. an. 6,467d, dove la tradizione oscilla fra τεΰξει e τέγξει (τεΰχει i codici

pindarici).

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P. BEROL. INV. J327O: I CANTI DI ELEFANTINA 2O9

so di παρά τό καθήκον προιών. E in effetti si può confrontare


l'uso di παραπλάζω (cfr. II. 15, 464 παρεπλάγχθη δέ οί άλληι /
lòc χαλκοβαρήο, e in ambito nautico Od. 9, 80 s. άλλά με κύμα ...
/και Βορέηο άπέωοε, παρέπλαγξεν δέ Κυθήρων, cfr. Od. 19, 187).
Del resto πέρα pare inusitato, in senso fisico (non invece in rela
zione a moto figurato: cfr. πέρα λέξαι!), senza determinazione
del limite oltrepassato.
ύφίει πόδα vale «molla la scotta». Il verbo, in questo senso di
'ammainare', 'calare' la vela ο il πούο, è in genere usato al me
dio (cfr. Arch. 106, 2 W. πολλόν δ'ίαάων ύφώμεθα, Soph. El.
335 νύν δ'έν κακοΐο μοι πλεϊν ύφειμένηι δοκεΐ, Ar. Ra. 1220
ύφέοθαι μοι δοκεΐ), ma per l'attivo cfr. II. 1, 434 ύφέντεο, Pind.
Pyth. 1, 91 s. έξίει ... icxiov, fragm. adesp. 999, 1 PMG λαΐφοο
ύποοτολίοαε66. Πούο denota qui, come spesso (cfr. Od. 5, 260 e
10, 32 s.; Soph. Ani. 715 s. πόδα / teivac; Eur. IT 1136, Or. 707;
Ar. Eq. 436 τού ποδόο παρίει; Ap. Rh. 2, 931 s.; Luc. Cont. 3
ένδοϋναι ολίγον τοϋ ποδόε; Q. S. 9, 438; analogo l'uso di pes in
Cic. Ad Att. XVI 6, 1 pedibus aequis, Ov. Fa. 3, 565 pede ...
aequo67) la 'scotta' che era fissata all'angolo inferiore della vela e
ne regolava l'apertura.
In ύφίει πόδα κτλ. Wilamowitz riconosceva non a torto il ro
vesciamento di una situazione rappresentata in Alceo: «in Ate
neo c'è una strofe alcaica che propone la sua regola di vita nella
forma di una regola di navigazione: 'dapprima riflettere sulla
rotta, ma poi mantenerla imperturbati'. Qui per contro: 'se si
avvicina la tempesta, portarsi immediatamente al sicuro'». Wi
lamowitz si riferiva a quel carni, cono. 891 PMG

<--«> έκ γηο χρή κατίδην πλόον


ει tic δύναιτο και παλάμην εχοι,
έπεί δέ κ'έν πόντωι γένηται
τώι παρεόντι τρέχειν άνάγκη

che un papiro (P. Oxy. 2298, fr. 1 = Aie. fr. 249 V.) ha permes
so di ricostruire nella sua originaria facies linguistica e di reinse
rire almeno in parte nel suo primitivo contesto68:

66. Sull'operazione di contrahere vela, effettuata per riprendere il controllo


della nave (ed eventualmente, come qui, anche per apprestarsi a virare verso

costa) cfr. L. Casson, Ships and Seamanship in the Ancient World, Princeton 1971,
pp. 275-77.
67. Cfr. Casson, Ships, cit., pp. 259 s.

68. Cfr. S. Nicosia, Tradizione testuale diretta e indiretta dei poeti di Lesbo, Roma
1976, pp. 71-9.

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2 IO FRANCO FERRARI

]·[
]..ον χ[ό]ρονal..[
].νάαφ[ερ]έεδυγον
]ηνγαρο[ύ]κ άρηον
5 άνέμ]ωκατέχηνάήταιε
έ]κ γάε χρήπροϊδηνπλό[ον
αϊ tic δύνατα]ι και π[αλ]άμαν ε[χ]η,
έπείδέ κ'ένπ]όν[τωιγ]ένηται
τώιπαρέοντιτρέχηνάνά]γκα
10 μ]αχάνα
ώο κ' άν]εμοε φερ[

5 άνέμ]ω Page 11 ώε κ' Lobel

D'altra parte ύφίει πόδα rimanda in modo ben più diretto a un


altro famoso carme (208a V.) di Alceo (un carme che Wilamo
witz non poteva conoscere per la parte che qui più ci interessa),
là dove - come informa Eraclito - il
(Alleg. Hom. 5, 9) poeta
paragonava alle tempeste marine gli sconvolgimenti prodotti
dai tiranni69. In particolare, ai vv. 3 ss., vediamo la nave già
trascinata in mezzo ai flutti e prossima ad affondare

...αμμεε δ'όν τό μέεεον


νάϊ φορήμεθα εύν μελαίναι
5 ·
χείμωνι μόχθεντεε μεγάλωι μάλα
πέρ μέν γαρ άντλοο Ιετοπεδαν εχει,
λαίφοε δέ πάν ζάδηλον ήδη,
καϊ λάκιδεε μέγαλαι κατ αυτο,
9 δ'|άγκυραι|, <τά δ'δήϊα>
χάλαιει
mentre ai w. 12 ss., nuovamente in simmetrica opposizione al
nostro scolio, il poeta, dopo una lacuna di due versi, sembra
esortare i compagni (o pregare gli dei?) a che «entrambe le scot
te (πόδεο) resistano fissate ai cordami: questa è la sola cosa che
ancora potrebbe salvarmi»70:

12 τοι πόδεε άμφότεροιμενρ[ ]


έ<ν> βιμβλίδεεει■τοΰτό καί
με ε[άοι]
μόνον...
12 άρρηκ-]τοι Marzullo μενο[ιεν vel μενο[ντεε Page,
μενω[ει(ν) Barner

69. Per ciò che segue utilizzo in larga misura il denso quadro sulla «pragma
tica dell'allegoria della nave» in Gentili, Poesia e pubblico, cit., pp. 257-83.

70. Riporto la traduzione di G. Burzacchini in Civiltà dei Greci 2, a cura di E.


Firenze 1987, p. 173 (e cfr. anche E. Degani-G. Burzacchini, Lirici
Degani,
greci, Firenze 1977, pp. 220 s.).

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 211

Uno scenario simile sia a quello richiamato in una commedia


anonima (adesp. novae com. 255 Austin), dove i marinai si aggrap
pano alle gomene (v. 14 τών κάλων tic ήψατο) e tirano i 'piedi'
della vela (vv. 15 s. ετεροο.,./.,.τουο πόδαο προοέλκεται) sia al
paragone utilizzato da Emone (Soph. Ant. 715-17) per censura
re chi, come Creonte, nell'orgoglio delle proprie convinzioni si
ostina a rifiutare i consigli altrui:

αΰτωο δέ vaòc ôctic έγκρατήο πόδα


τείνας ύπείκει μηδέν, ύπτίοιο κάτω

ετρέψαο το λοιπόν οέλμααν ναυτίλλεται.

E se in questo passo àûYAntigone l'atto di tener tese le scotte è


connotato negativamente, in modo complementare la decisione
di allentare la vela per non affondare, ed eventualmente per
guadagnare il porto ο la costa più vicini, viene positivamente
raccomandata in una serie di passi che consentono di ridisegna
re un preciso schema letterario, un modulo (di cui anche il no
stro passo partecipa) variamente riutilizzato in relazione ai di
versi contesti.
Non possiamo leggere quale reazione suggerisse ad Archiloco
la tempesta annunciata nel fr. 105 W.
·
Γλαΰχ', δρα βαΐΚιο γαρ ήδη κύμααν ταράεοεται
πόντοc, άμφί δ'άκρα Γυρέων όρθόν 'ίεταται νέφοε,
σήμα χειμώνοο, κιχάνει δ'έξ άελπτίηε φόβοο,
ma ciò che Plutarco (de superst. 8, 169b) fa seguire alla citazione,
e cioè τοϋτ' ίδών κυβερνήτηο εύχεται μέν ύπεκφυγεϊν, suggerisce
che tale reazione non fosse troppo diversa da quella che trovia
mo raccomandata in un papiro pubblicato dal Milne71 nel
1927:

]νται νήεε έν πόντωι θοαί


π]ολλόν δ'Ιοτίων ϋφώμεθα
3 ·
λύοαν]τεε όπλα νηόο ούρίην δ'εχε...
(«... [vanno alla deriva] nel mare le navi veloci / ... allentiamo le vele /
... [sciolte] le gomene della nave; e prendi il vento favorevole...»)72

71. P. Lit. Lond. 54. Cfr. H. J. Milne, Catalogue of the Literary Papyri in the
British Muséum, London 1927, pp. 42 s. Si tratta di Archiloco, fr. 106 W. Per
l'attribuzione ad Archiloco cfr. F. R. Adrados, Origen del tema de la nave del
estado en un papiro de Arquiloco, Aegyptus 35 (1955), pp. 206-10, e id., El mundo de
la lirica griega antigua, Madrid 1981, pp. 167-71.
72. La traduzione ricalca quella di Gentili, Poesia e pubblico, cit., p. 281.

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212 FRANCO FERRARI

Anche in un'elegia della silloge teognidea che possiamo attri


buire con buone probabilità a Eveno di Paro, e quindi al V sec.
a.C.73, le vele vengono ammainate, ma l'operazione si colora di
una qualificazione in - insieme al non voler
negativa quanto
vuotare la sentina, all'eliminazione del pilota valente ecc. — essa
si riferisce alla rinuncia, da parte dell'equipaggio, a mantenere
sulla giusta rotta la nave-città:

671 οΰνεκα νυν φερόμεοδα καθ'Ιοτία λευκά βαλόντεε


Μηλίου έκ πόντου νύκτα δια δνοφερήν,
άντλείν δ'ούκ εθέλουα,ν...

(e cfr. anche la κεκλιμένη vaùc di Thgn. 856).


Una connotazione positiva assume invece l'atto di allentare
la scotta (nel senso di resistere alla furia della tempesta ade
guandosi alla situazione) in una complessa similitudine dell'O
rerie euripideo, allorché Menelao paragona il demos a un incen
dio violento e a una tempesta marina:

όταν γαρ ήβάι δήμοο εϊχ όργήν πεεών,


·
όμοιον ώετε πυρ καταεβίχαι λάβρον
εί δ'ήσύχωε τιε αυτόν έντείνοντι μεν
χαλών ύπείκοι καιρόν εύλαβούμενοο,
·
700 ïcoc άν έκπνεύοει' όταν δ'άνήι πνοάε,
τύχοιο αν αυτού ραιδίωο ócov θέλειε.

706 και ναύο γαρ ένταθείοα πράε βίαν ποδί


εβαψεν, εετη δ'αύθιε, ήν χαλάι πόδα.
(«quando il popolo, in preda alla collera, si sfrena in tutto il suo vigo
re, è come un fuoco violento da spegnere. Ma se di fronte alla tensione,
piano piano, uno cede e si piega, studiando il momento, può darsi che

sbollisca; e se poi calma i suoi bollenti spiriti, s'ottiene facilmente ciò


che si vuole [...] Anche una nave, se ha le scotte tese con troppa forza,
affonda; se le allenta, si regge di nuovo a galla»)74.

Più precisamente, il 'correre' verso costa (anziché limitarsi a


mantenere la manovrabilità dello scafo) come reazione di fronte
alla furia degli elementi compare esplicitamente in due testi liri
ci: nel fr. 6, 7 s. V. di Alceo

73. Cfr. Β. A. Van Groningen, Théognis. Le premier livre, Amsterdam 1966,


pp. 267-69.
74. La traduzione è di F. M. Pontani, Euripide. Tutte le tragedie, Milano 1977,
III 90. Sui problemi testuali relativi ai vv. 698-700 cfr. V. Di Benedetto,

Euripidis Orestes, Firenze 1965, pp. 139-41.

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 2Ιβ

7 φαρξώμεθ' ώο ώκιοτα [τοίχοιο


έο δ'εχυρον λιμένα δρό[μωμεν
7 suppl. Murray

(«otturiamo al più presto le fiancate e corriamo verso un porto si


curo») .

e in un frammento melico adespoto (999 PMG)

φεύγει μέγα λαιφοο ujtoctoXicac èc ένέρτερον ίστόν

έρεβώδεοε έκ tfaXàccac

(«fugge via dal mare tenebroso dopo aver calato la grande vela sul
l'antenna inferiore»).

dove - come apprendiamo dal testimone (Plut., de superst. 8,


169b: subito prima Plutarco cita il frammento archilocheo ri
cordato innanzi Γλαυχ', δρα ■ βαθύς κτλ., cosicché le frasi che
introducono 999 PMG tendono in parte a confondersi con quel
le che commentano il brano archilocheo) - il
soggetto era costi
tuito dal pilota della nave (pilota che invece è oggetto dell'ap
pello contenuto nel nostro skolion) : costui, allorché viene sorpre
so dalla tempesta, spera di fuggire e «invoca gli dei salvatori, e
pregando manovra il timone e abbassa l'antenna (την κεραίαν
ύφίηα)75 e 'φεύγει μέγα λαιφοο ύποετολίεαο έρεβώδεοο εκ
θαλάσσαο'76».

75. Cfr. Casson, Ships, cit., p. 275: «when the wind was somewhat too strong
for normal sailing, the yard was carried lower on the mast to bring down the
center of pressure; this manoeuvre, by keeping the bow from digging in, en
abled the vessel to piane better. When that did not suffice, sail was shortened
up on the brails (ietta οτέλλειν, aut sim.)».
76. Tale è propriamente il testo riportato da Plutarco in de superst. 8, 169b, e
così appunto veniva riprodotto da Nauck in TGl·'2, pp. 910 s. (non ci sono per
altro specifiche ragioni per attribuire il frammento a una tragedia ο a un
dramma satiresco), L'èc ένέρτερον ietóv che leggiamo nel testo stampato da
Page riposa invece sulla citazione del medesimo brano da parte dello stesso
Plutarco in de tranquillitate animi 17, 475f (III 215 Pohlenz-Sieveking) άλλ'έωε
ούκ άπέγνωκε τήι χέχνηι χρώμενοε 'φεύγει μέγα λαίφοο fmoctokicac èc ένέρτερον
ictòv έρεβώδεοο έκ itaXàccac', <έπειδάν δέ το πέλαγοε> ύπέρεχηι, τρέμων
κάθηται καί παλλόμενοε. Page accoglie appunto la ricostruzione del testo plu
tarcheo proposta da Pohlenz, a cui si deve l'integrazione έπειδάν δέ το
πέλαγοε: una ricostruzione che non può certo dirsi sicura e che comporta
anche il sensibile iperbato tra φεύγει e έκ θαλάεεac, ma a favore della quale si

può richiamare Pind. Nem. 5, 51 ανά δ'ίοτία τείνον πράε ζυγόν καρχαείου (cfr.
'
Sch. 94a [III 99 Dr.] καρχήειον τό άνώτατον τήε κεραίαε τούτωι το Ictiov
προεανατείνουειν, όταν θέλωει δαψιλεί τώι άνέμωι χρήοίαι ούριοδρομούντεε),
dove è descritta l'operazione esattamente inversa di tendere le vele fino al
sommo dell'albero maestro.

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214 FRANCO FERRARI

Al ν. 22 per λϋε cfr. Eur. Hec. 1020 λύοαι ... πόδα (in genere
κάλωο έξιέναι ο έφιέναι, immittere ο laxare rudentes77). La manovra

è antitetica a quella appena espressa con ύφίει πόδα: il pilota


deve prima serrare le vele, poi virare, infine riprendere la navi
gazione procedendo lungo la costa.
έανοϋ πτέρυγαο: «ali di tessuto» per «vele di lino». Diehl ri
chiamava Eur. Ion 1143 πτέρυγα ... πέπλων, ma il Lessico
Sabbaitico78, col recupero di un testo riconosciuto comico da
Kock (fr. com. adesp. 9 Demianczuk), offre un parallelo esatto
per πτέρυγεο nel senso di 'vele': μετέωρον αιρουο' αί πτέρυγεο
την ναϋν <-->, / εωο αν έμπέαυαν είε τον ούρανόν. E più in
generale, per l'immagine, cfr. Hes. Op. 628 εύκόομωο ctokicac
vqòc πτερά ποντοπόροιο con la nota di West79: «the analogy of
ship and bird was an old idea, and 'ship's wings' is established
as an epic metaphor in more than one sense: Od. 11.125 =
23.272 εύήρε' έρετμά, τά τε πτερά νηυα πέλονται, but [Hes.] fr.
205.7 πρώτοι ô'icci' έθεν, νηόο πτερά ποντοπόροιο. In the pré
sent passage the sails are probably meant in view of εύκόομωο
ccokicac [...] This is the usuai sense in later poetry: A. PV468
λινόπτερα ... ναυτίλωνόχήματα, E. Hipp. 752 ώ λευκόπτερε
Κρηεία πορθμίε [...] Lyc. 25 υπέρ Καλυδνώνλευκά φαίνουοαι
πτίλα».
έανοϋ rappresenta una 'glossa' epica (per lo più 'veste' ο 'tes
suto' femminile - cfr. II. 14, 178; 16, 9; 21, 507; h. Cer. 176; Ap.
Rh. 4,169, e cfr. anche Pind. fr. 75,14 Sn.-M. φοινικοεάνων ...
Ώράν —; probabilmente 'velo' in II. 3, 385 e 419), qui riferita al
lino con cui si fabbricavano le vele80.
Per τάχοο = ταχέωο cfr. Eur. HF 860 con la nota di Bond81:
«τάχοο used alone adverbially at A. Ag. 945, 'Eur.' Rh. 986;
elsewhere with ôcov or ibc».
Al v. 23 l'integrazione di Wilamowitz [έπ' άγώ]ν non è affatto
sicura come vorrebbe il suo autore (p. 61: «die Ergànzung wohl
sicher, da nur έπί mit dem Genetiv die Richtung bezeichnen,
kann, wo dann der Raum das ionische Substantiv bestimmt»):

77. Cfr. Casson, Ships, cit., p. 277 η. 25.

78. Cfr. Lexica Graeca minora, selegit K. Latte, disposuit et praefatus est H.
Erbse, Hildesheim 1965, p. 58.
79. Hesiod. Works and Days, Oxford 1978, pp. 315 s.

80. Cfr. Casson, Ships, cit., p. 48.


81. Euripides. Heracles, cit., p. 294.

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P. BEROL. INV. I327O: I CANTI DI ELEFANTINA 215

άγή, nel senso di 'frangente', ricorre solo in nesso con κύματοο, e


comunque non prima del III sec. a.C. con Ap. Rh. 1, 554 πολιήι
δ'έπι κύματοο άγήι e con Numenio di Eraclea {ap. Ath. 7, 305a
= fr.
584,5 Lloyd-Jones/Parsons: Suppl. Hell., p. 283) έπ' άκρηι
κύματοο άγή ι. Inoltre con ιεμαι (quel */ΐεμαι / mi affrettoche ben
presto si confonde col medio di ΐημι) è corretto anche il genitivo
semplice: cfr. II. 11, 168 ίέμενοι πόλιοο, Od. 10, 529 ίέμενοε
ποταμοΐο φοάων. È piuttosto [ψαμάθω]ν di Page ad avere a pro
prio favore ottimi riscontri nella poesia degli ultimi decenni del
V sec.: cfr. Eur. 7T215 s. ψαμόθων Αύλίδοο έπέβαεαν / νύμφαν,
ΙΑ 1054 παρά δέ λευκοφαή ψάμαθον, Ar. Ve. 1520 s. πηδάτε
παρά ψάμαθον / καί θΐν' àXòc άτρυγέτοιο. E inoltre, anche a
livello fonico, riuscirebbe suggestivo il confronto tra Αεπτολίθων
χραμάϋων e Aesch. Supp. 3 άπό προετομίων λεπτοψαμάΰων
(Pauw: λεπτομαθών M). (Un'altra interessante proposta è tut
tavia offerta da [λιμένω]ν Pellizer, che C. Casagrande accoglie
nel testo col rinvio ad Alcae. 6,8 V. èc δ'εχυρον λίμενα
δρό[μωμεν e Hor. carm. I 14, 2-3 fortiter occupa / portum).
Al v. 24 in merito a :εύ: Wilamowitz dapprima sospetta che i
segni che isolano l'avverbio intendano suggerire «eine Akkla
mation der Zechgenossen», un 'bravo!', ma poi osserva che εύ
καθόρα «è talmente appropriato al senso e anche alla metrica
da far supporre che nel modello i doppi punti fossero stati segni
che indicavano la sua posizione a una parola tralasciata e ag
giunta in margine, e che lo scriba li abbia copiati insieme ad
essa». Senonché: (a) come segni di omissione incontriamo nei
papiri l"àncora' (cfr. p. es. P. Oxy. 2654, del I d.C., P. Oxy.
1174, del II d.C. e P. Oxy. 223, del III d.C.) oppure /. ovvero
-r- (P. Bodmer 2), non invece il dicolon; (b)
per converso il dicolon
compare già nel IV sec. a.C. in P. Saqqara inv. 71/2 GP 9, dove
nell'ambito di un conteggio in dracme esso serve a separare le
somme dalle singole voci, mostrando dunque già in atto quella
generale funzione separatoria che in concreto può precisarsi
volta a volta come forte pausa sintattica (p. es. in P. Oxy. 1809 e
in P. Oxy. 1016) ο come pausa metrica (così già nel III sec. a.C.
con P. Lille inv. 76a + 73: cfr. v. 217 Parsons) ο come stacco fra
lemma e commento (P. Oxy. 2258) e infine, e soprattutto, come
segno ben noto per marcare il cambio di locutore nei testi
drammatici82. Sembrerebbe quindi ragionevole attribuire al

82. Cfr. Turner, Greek Manuscripts, cit., pp. 8 s.

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2l6 FRANCO FERRARI

doppio dicolon quest'ultima funzione in un papiro che non reca


tracce di punteggiatura ο di colometria; (c) quand'anche la fun
zione dei due dicola potesse essere quella ipotizzata da Wilamo
witz, ci si chiede - dato che la parola omessa e registrata in
-
margine non avrebbe potuto che essere εύ perché mai uno
scriba avrebbe aggiunto in margine, e non supra lineam, una pa
rola di sole due lettere (supra lineam è scritto al r. 6 Γει di άει-);
(d) εύ καμόρα non è superiore per il senso al semplice καθόρα,
come mostra il già citato carm. cono. 891, 1 Ρ MG χρή κατίδην
πλόον; (e) εύ καθόρα non è superiore, anzi è decisamente infe
riore a καθόρα dal punto di vista metrico. Come osservava
Snell83, «DD perraro apud Pindarum invenitur» (forse per la
tendenza a evitare una sequenza cristallizzatasi come pentame
tro elegiaco: casi sicuri sembrano in effetti solo 01. 13 ep. 1, e
con DD- paean 5 str. 5), e nessun esempio se ne incontra in
Bacchilide84 (due esempi indiscutibili sono tuttavia offerti da
Stes. 219, 2 Ρ MG έκ δ'άρα τοϋ βααλεύο Πλειχθενίδαο έφάνη e
da Simon. 581, 2 PMG άεναοΐο ποταμοίο' άνθεοί τ'ε'ιαρινοΐο). Ε
da un esame che spero completo delle serie dattilo-epitritiche in
tragedia e in commedia mi risultano come casi certi non più che
Eur. Tr. 822 s. Λαομεδόντιε ~ 842 s.
παΐ, Zqvòc εχειχ κυλίκων
ούρανίδαια μέλων, (bc τότε μεν μεγάλωε e IT 1235 τόν ποτε
έν ~ 1260 παΐδ' άπενόαχατο
Δηλιαε καρποφόροιχ γυάλοιχ
< — ^ >άπό Al con εύ extra si ha
ζαθέων85. contrario, metrum,

semplicemente che la serie anapestica conclusiva della canzone


viene a risultare non di quattro ma di cinque metra (un mono
metro e due dimetri)86: un plesso ritmico che include e circo

83. Pindarus. Pars II: fragmenta, post B. Snell edidit H. Maehler, Leipzig
19754, p. 167.
84. È erratolo schema dato da Snell-Maehler a p. XXIX della loro edizione
di Bacchilide per 11 ep. 9-10: non si ha -D/D ma, come correttamente riporta
to a p. 35, -D/-D. Lo schema proposto per fr. 23, 1-2 (eD/D-) è del tutto
ipotetico, e in ogni caso il secondo D presuppone una trasposizione di Bergk
(elei vócojv) rispetto al testo tramandato da Clemente Alessandrino.
85. Suquesto passo cfr. A. M. Dale, Metrical Analyses of Tragic Choruses,
Fase. 1: Dactylo-Epitrite, London 1971, p. 88. L'unico caso ricordato dalla stes
sa Dale in The Lyrìc Metres of Greek Drama, Cambridge 19682, e cioè Eur. Ale.
590 s. / 599 s. (cfr. p. 183), è dubbio: la colometria adottata da Diggle per i vv.
590-92 / 599-601 (e-D/4da/aristoph//) sembra almeno altrettanto plausibile
della soluzione dalla Dale —
proposta (e-DD/^^-"^-^^-^ II).
86. Cfr. p. es. Eur. IT 123-25e in generale, sugli anapesti lirici, B. Gentili,
La metrica dei Greci, Messina-Firenze 1952, pp. 199-202, Dale, Lyric Metres,
cit., pp. 47-68 e West, Greek Metre, cit., pp. 121-24 e 138 s.

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P. BEROL. INV. I CANTI DI ELEFANTINA 217
I327O:

scrive le due frasi incentrate rispettivamente sugli imperativi


καθόρα e έκφευγε.
L'uso interiettivo di εΰ («bravo!», «ben detto!») è ben attesta
to per l'area attica del V e del IV sec. a.C.: per lo più ευ viene
rinforzato da γε (cfr. Ar. Eq. 470, Nu. 866; Plat. Gorg. 494c), ma
per la forma semplice cfr. Xen. Cyn. 6, 20, dove εΰ è ricordato
come grido d'incitamento ai cani da caccia (εάν άαν έν όρει ed
μεταδρομαί, έπικελεύειν τόδε 'εΰ κΰνεε, εΰ ω κΰνεε').
Quanto alla trovata di inserire un'interiezione di commento
che doveva essere espressa dai compagni di bevuta, essa si può
forse collegare all'uso di 'didascalie' sul tipo di Aesch. Eum. 117
e 120 (μυγμόε), 123 e 126 (ώγμόο), 129 (μυγμόε διπλούεόξύε),
Diktyoulkoi (P. Oxy. 2161) F 47a, 803 R. ποππυεμόο; Eur. Cyc.
487 ώιδή ενδοθεν; P. Oxy. 2746 (Ettore di Astidamante?) ώιδή
(otto volte a vari intervalli): παρεπιγραφαί che, secondo un'ipo
tesi di O. Taplin87, potrebbero risalire ad «actual noises (μύ, μυ,
ώ, ώ etc.)», e dunque a tratti interiettivi non dissimili dall^
registrato nel nostro papiro.
Vv. 25-6. παρά γάν: cfr. Thgn. 856 vaùc παρά γήν έδραμεν. -
Il vento Noto è qui ostile, come p. es. in adesp. iamb. 2,2 W.
Nótoc κυλίνδει κύματ' εΰρείηε àXóc; talora invece assicura un
felice approdo, come in Pind. Pyth. 4, 203 e in Bacch. 13, 130 ss.
Il tricolori asindetico χαλεπάν φοβεράν [διαπο]ντοπλανή appa
re congruente con la giustapposizione altrettanto asindetica del
le frasi in imperativo: in entrambi i casi lo stilema marca il
ritmo concitato dell'appello al pilota.
[διαπο]ντοπλανήε è un hapax, ma cfr. διαπόντιοο di Aesch. Ch.
352 (tuttavia nel senso di 'al di là del mare'), ύπερπόντιοε di
Aesch. Supp. 41 e di Soph. Aut. 785, νυκτοπεριπλάνητοο di Ar.
Ach. 264.
μανίαν comporta una blanda personificazione del vento: per
la μανία degli elementi cfr. II. 15, 605 s. (bc ôt' ... πυρ / οΰρεα
μαίνηται, Aesch. Sept. 155 δοριτίνακτοε α'ιθήρ έπιμαίνεται, e so
prattutto Ibyc. 286, 9 PMG (con Borea in luogo di Noto)
Θρήικιοε Βορέαο àicccov παρά Κύπριδοε άζαλέ-aic μανίαιαν
έρεμνόε αθαμβήο ...; forse anche Ale. 38a, 13 V. άνε]μοο βορίαιο
έπιμ[αίνεται
(έπιμαίνεται
suppl. Diels).

87. The Stagecraft of Aeschylus, Oxford 1977, p. 371 n. 3: «we might have ex
pected Aeschylus to have supplied the actual noises (μύ, μϋ, ώ, ω etc.) rather
than the mere abbreviations μυγμόε and ώγμόο [...] They may be susbtitutes
added by a scribe for the purposes of brevity or of calligraphy».

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2l8 FRANCO FERRARI

Il disegno metrico del terzo scolio appare sostanzialmente


non problematico. Ecco lo schema (con la colometria di Page,
adottata anche infra, p. 226):

1 ——\j——

3 —ww — —

4-ww-ww-ww-ww-ww.(...C||?)
5 <C-ν —^> — www — w — —

6 <C— ν —w w — w —w w

7 —^ ^ —ww— ν ^ *"ΊJ?)
8 - w«-<ww->||
9 — v-/
w—

10 ^ ^ ν V —υ υ —
11

-D enh
d2d2 e pros + ia
D hem II
D « ^ I) hem I + pros an
E^e trim tro"
4da alcm
4da alcm
D hem I
d2d2 monom an
d2d2d2d2 dim an
d2d2d2d2 dim an

4: per D^D cfr. Pind. Pyth. 1, 92 ώ φίλε κέρδεαν εύτραπέλοιο


όπι/θόμβροτον αυ- in responsione con D-D; Eur. Ph. 831-pac
μεταμειβομένα πόλιο άδ' έπ' άκροιο εοτακ'; per D«~D- Stes., P.
Lille 76a II, 32 e 55 (in responsione in entrambi i casi con
Cere. fr. 54, 2 Livrea = 1, 2 s. Powell
D^D)88, tfjvoc ó
.βακτροφόραο διπλοείματοο (codd., Livrea: διπλείματοο von Ar
nim, Powell) αίθεριβόοκαο. Il colon è raro, e tuttavia preferibile,
credo, all'isolamento del coriambo (έκφέρομεν) voluto da Wila
mowitz.
6-7: cfr. Alcm. 3 PMG (= 26 Calarne), vv. 7 s. / 61 s. / 79 s.;
17 PMG (= 9 Calarne), vv. 3 s.; Ibyc. 286, 4-6 PMG; Soph. El.
124 s. / 140 s., 130-33/ 146-48, OT155 s. / 163 s.89; Ar. Nub. 277
s. / 301 s., 281-84 / 304-08. Possibile alla fine di 7 il blocco della

88. Cfr. Gentili, Preistoria e formazione dell'esametro, cit., p. 17.


89. Cfr. Pohlsander, Studies, cit., p. 93: «the tetrameter, not the hexameter,
is the typical colon of lyric dactyls in Sophocles».

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 2ig

sinafia, e pertanto una fine di verso come in Ibyc. 282


PMG str. / ant. 2 (cfr. ν. 24)90.

Infine l'elegia:

Χαίρετε ευμπόται άνδρες όμ[ήλικεο, έ]ξ άγαθού γάρ


άρξάμενος τελέωτόνλόγον[ε]ίςά[γαθό]ν.
Χρή δ', ότανειςτοιούτοςυνέλθωμεν φίλοιάνδρες
πράγμα,γελάνπαίζειν χρηεαμένουοάρετήι
5 ήδεεθαίτε ςυνόντας ές άλλήλουο
τε φ[λ]υαρείν
καιςκώπτειν τοιαύταοίαγέλωταφέρει,
ή δε επουδήέπέεθωάκούωμέν[τελ]εγόντων
πέλεται.
έμ μέρει·ήδ' άρετήςυμποςίου
τού δέ ποταρχούντοε ταύταγάρέετιν
πειθώμεθα-
10 εργ'άνδρώναγαθώνεύλογίαν τε φέρει.

Col χαίρετε iniziale il poeta si pone, secondo Wilamowitz, come


rex convivii: «con questo brano elegiaco il simposiarca apre il
convivio. Si pensa immediatamente alla corrispondente elegia
di Senofane e a quella del poeta che si rivolge a Simonide,
Theogn. 467». Senonché, come precisa lo stesso Wilamowitz,
nell'elegia 467-96 della silloge teognidea «il poeta non parla co
me colui che presiede»91, mentre in Xenoph. Β 1 D.-K. = 1
G.-P. non compaiono allocuzioni in seconda persona. In ogni
caso nella nostra elegia la presunta apostrofe al simposiarca è
smentita dal του δέ ποταρχοΰντοο πειθώμεθα del ν. 9, da cui
risulta che il simposiarca si differenzia rispetto a un gruppo di
cui il poeta stesso fa parte.
Analogo attacco con una forma di χαίρω all'imperativo è in
Ion fr. 27, 1 W. = 2, 1 G.-P. χαιρετώ ήμέτεροο βααλευο αοτήρτε
πατήρ τε, dove tuttavia il saluto è probabilmente rivolto a Dio

90. A favore di fine di verso generalizzata per l'ultimo colon di alcmanì in


serie è West, Greek Melre, p. 49: «the final position must have been anceps,
making the last colon in fact non 4da but D « « - « - //». Ma in assenza di iato
ο di brevis in longo si tratterà pur sempre di una possibilità, non di una certezza.
91. Qui simposiarca e anfitrione sembrano identificarsi nello stesso Simoni
de, a cui si indirizzano, almeno nella prima parte del componimento, le apo
strofi del poeta, cfr. κατέρυκε 467, κέλευ' 468 e 471, έπέγειρε 469: ν. Κ. Bieloh
lawek, Gastmahls- und Symposionslehren bei griechischen Dichtem, WS 58 (1940),
pp. 11-30, trad. it. in Vetta (a cura di), Poesia e simposio, cit., pp. 95-116 (109
s.).

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220 FRANCO FERRARI

niso (cfr. χαίρε 15 dopo πάτερ Διόνυσε 13 nel fr. 26 W. = 1 G.-P.


dello stesso Ione), χαίρω iniziale, ma con diversa funzione, an
che in Thgn. 533. Al di fuori dell'elegia, precisi riscontri simpo
siali sono offerti da Ale. 40la V. χαίρε και πώ τάνδε e da
Kretschmer, Vaseninschr. 175 (ampia lista di iscrizioni vascolari
con ripetizione ο variazione della formula χαίρε καί πίει).
L'integrazione όμήλικεο (Schubart) si può considerare sicura:
cfr. Pind. 01. 1,61 άλίκεσα ουμπόταισ, Eur. Hipp. 1098 ώ νέοι
μοι τήοδε γήο όμήλικεο, Tr. 1183 s. όμηλίκων / κώμουσ. Osserva
plausibilmente Vetta92 che «alcuni particolari, quali l'apparte
nenza dei convitati ad una stessa età [...] ο la formulazione fina
le ( lauta gàr es tiri/ èrg' andròn agathòn, v. 10), fanno pensare ad un
circolo aristocratico, probabilmente organizzato con aspetti af
fini a quelli dell'eteria arcaica»93.
La relazione fra έξ αγαθού 1 e sic άγαθόν 2 non è commentata
da Wilamowitz né, che io sappia, da altri, ma non si prospetta
né limpida né lineare. A me pare che ci sia fra i due nessi una
certa dissimmetria sintattica, ancorché mascherata dalla quasi
identità fonica. Eie άγαθόν, come implicitamente sembrano in
tendere Gentili-Prato col rinvio a II. 9, 102 είπείν rie άγαθόν,
deve infatti significare «per il (vostro) bene», ut bene procédât (e
cfr. anche II. 11, 789 ó δέ πείθεται eie άγαθόν e 23, 305 μυθεΐτ'
eie άγαθά φρονέων94). Al contrario έξ άγαθοϋ (inattestato e pre
sumibilmente inesistente come nesso avverbiale) andrà inteso
come έξ άγαθοϋ (λόγου) (cfr. τον λόγον 2): «voglio terminare
(τελέω futuro) il mio Xóyoc (da identificare con la presente ele
gia) per il bene di tutti dopo aver cominciato da un άγαθόο
λόγοο (da identificare col saluto augurale contenuto nell'apo
strofe χαίρετε ουμπόται άνδρεο όμήλικεο). Così λόγοε vale expres
sion, phrase (cfr. LSJ s. ν. λόγοσ VI lb) in relazione ad
άρξάμενοο, mentre in relazione a τελέω si configura come il
complesso dei vv. 3-10 (e dunque con la medesima funzione

92. Poesia e simposio, cit., p. XXXVI.


93. Sul nesso fra eteria e simposio cfr. J. Trumpf, Uberdas Trinken in der Poesie
des Alkaios, ZPE 12 (1973), pp. 139-60, trad. it. in Vetta (a cura di), Poesia e
simposio, cit., pp. 43-63, e Ο. Murray, The Greek Symposion in History, in
AA.VV., Tria corda. Scritti in onore di A. Momigliano, Como 1983, pp. 257-72.

94. Questo nesso avverbiale non è ricordato come locuzione specifica in LSJ
s. v. àyaHóc; invece in ThGL I 128 si rimanda anche a Mosch. 2, 27 άλλά μοι
rie αγαθόν μάκαρεο κρήνειαν όνειρον e a Paul, ad Rom. 13, 4 θεού γαρ όιάκονόο
êcxtv col sic xò αγαθόν. Si può confrontare il diffuso έπ' άγαθώι.

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P. BEROL. INV. I CANTI DI ELEFANTINA 221
I327O:

assolta da κρύφιον λόγον al principio del secondo scolio). Per la


conseguente valenza di γάρ (inteso a motivare qualcosa di testé
pronunciato) cfr. Denniston, Gr. Part.2, p. 66, e p. es. Soph. OT
168 s. ώ πόποι · άνάριθμα Υ«ρ φέρω / πήματα, Eur. Hel. 857 οι
·
εγώ τάλαινα τήο τύχηο γαρ ώδ' έχω.
άρξάμενοε τελέω ripropone un'antitesi che era tradizionale
nello stile innico e che in ambito elegiaco incontriamo anche in
Thgn. 2 άρχόμενοο ούδ' άποπαυόμενοε e in Dion. Chalc. 6, 1 s.
W. = 6,1 s. G.-Ρ. τί κάλλιον άρχομένοιαν / ή καταπαυομένοιε...
ΑΙ ν. 3 χρή introduce la sezione precettistica come in Phocyl.
=
14, 1 G.-P. e in Xenoph. Β 1, 13 D.-K. 1,13 G.-P. (e sono in
parte assimilabili casi come Ale. 332, 1 V., 335, 1 V. ού χρή,
368, 2 V. ai χρή e carni, conv. 906, 2 Ρ MG εί χρή toîc άγαθοϊε
άνδράαν οίνοχοείν).
Il nesso φίλοι άνδρεο compare, in ambito eterico-simposiale,
anche in carm. conv. 889, 4 PMG άνδρα φίλον, 908, 1 PMG άνδρα
φίλον e in Thgn. 323 φίλον άνδρ' (e άνδρα φίλον è anche in
Thgn. 113, dove però φίλον si connette sintatticamente al suc
cessivo έταΐρον).
Al v. 4 πράγμα ha il senso, comune nella tradizione elegiaca,
di 'attività organizzata' (cfr. Thgn. 70, 80, 642, 1075).
Per la giustapposizione asindetica γελάν παίζειν cfr. Ion fr.
=
27, 7 W. 2, 7 G.-P. πίνωμεν παίζωμεν. Per il γελάν simpotico
cfr. Thgn. 1041 s. παρά κλαίοντι γελώντεο / πίνωμεν95 e 311 ε'ιε
δέ φέροι τά γελοία; per παίζειν Thgn. 567 ήβηι τερπόμενοο παίζω
e forse 1211, nonché il testé citato passo di Ione. Ma il parallelo
più puntuale, per la congiunzione fra scherzo (riso, gioco ecc.) e
'virtù' (χρησαμένουε άρετήι), è offerto dallo stesso Ione in fr.
=
26,16 W. 1, 16 G.-P. πίνειν και παίζειν καί τά δίκαια φρονεΐν
austero il dove in Β 1 D.-K. = 1
(più 'programma' senofaneo,
G.-P. il massimo di festività è segnalato da εύφροουνηε del v. 4).
Nonostante l'intenzionale eco interna, mi pare che άρετήι 4
abbia una valenza diversa rispetto ad άρετή 8. Al v. 4 c'è un
invito a praticare la 'virtù' come eccellenza morale (e cioè come
summa di 'virtù' particolari quali potevano essere εωφροεύνη,
αιδώε, δικαιοευνη ecc.), dunque sulla stessa linea di Xenoph. Β
1, 20 D.-K. = 20 G.-P. tovoc mentre al v. 8 è in
1, άμφ'άρετής96,

95. Per l'esegesi di questo distico cfr. G. Cerri, Frammento di teoria musicale e
di ideologia simposiale in un distico di Teognide, QUCC 22 (1976), pp. 25-38.

96. Per αρετή come 'virtù' in senso generale nella tradizione elegiaca cfr. Sol.

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222 FRANCO FERRARI

primo piano la nozione più arcaica di άρετή come 'eccellenza' ο


'perfezione' all'interno di una determinata sfera di attività (per
=
l'elegia cfr. Tyrt. 12, 2 e 13 W. 9, 2 e 13 G.-P.; Thgn. 30, 654,
699, 904, 971): qui una 'virtù' del simposio che si ricollega ai
precetti appena impartiti contrapponendosi (il dimostrativo ήδε
=
è polemicamente enfatico, come in Tyrt. 12, 13 W. 9, 13
G.-P. ήδ'άρετή, τόδ' άεθλον) a quella tradizionale άρετή
ουμποτική che consisteva nel bere e nel motteggiare senza darsi
pensiero di più serie preoccupazioni (caratteristici in questa
prospettiva brani come Thgn. 757-64, 983-88, 1063-68) e che
verrà esplicitamente censurata da Epicuro nel Simposio, così co
me possiamo ricostruire dal commento di Filodemo97 in Περί
θεών III, fr. 76, rr. 1-4 την δέ ου]μποτική[ν (re. άρετήν) | toc[oûto
δόναchou,] eoe κ(αί) πίνειν πολύ | κ(αί) κα[ταληρείν κ(αί)
άναιδ]φο καί| τοιαΰτ'άλλα
όρχείοθαι άμο]υοα...
π[οείν
II φλυαρείν del ν. 5 (così frequente nei comici) è termine che
non compare prima del V sec. (lo stesso vale per φλυαρία, la cui
più antica attestazione sembra essere nel paignion di Timocreon
A.P. XIII = fr. 10, 1
te di Rodi contro Simonide: 31, 1 W.), e
anche οκώπτω del v. 6 non ha altre attestazioni nell'elegia e in
tutta la lirica. Analogamente, la costruzione (cfr. LSJ s. v. oloc
III) di oloc con l'infinito (οία ... φέρειν col papiro: φέρει di Wi
lamowitz è del tutto arbitrario, cfr. G.-P. in apparato) non com
pare prima di Tucidide.
Per l'accusativo interno τοιαύτα (οκώπτειν τοιαΰθ'οια...)
Gentili-Prato rimandano opportunamente a Plat. Rsp. 1, 337b
εάν τοιαύτα φλυαρήιο e a Xen. Cyr. V 2, 18, un luogo di cui
conviene riportare il contesto anche per la suggestiva descrizio
ne, filtrata attraverso gli occhi di Gobria, dei cuccétta persiani:
ένενόηεε (Γωβρύαο) δέ αύτών (se. των Περούν) και toc έπηρώτων
τε άλλη λούε τοιαύτα οία έρωτηθηναι ήδιον ή μη και ebe εεκωπτον
οία οκωφθήναι ήδιον ή μη, ά τε επαιζον ohe πολύ μέν ύβρεωο
άπήν, πολύ δέ τού α'ισχρόν τι ποιείν, πολύ δέ τού χαλεπαίνεοθαι
πράε άλλήλουε (oltre alle sottolineate coincidenze verbali la stes
sa ideologia simposiale appare, come si vede, su una linea molto
vicina a quella espressa nella nostra elegia).

= =
15, 3 W. 6,3 G.-P.; 27, 8 e 16 W. 23, 8 e 16 G.-P.; Thgn. 129, 147, 150,
336, 465, 790, 867, 1062, 1074. Per un utile orientamento cfr. A. W. Adkins,
La morale dei Greci da Omero ad Aristotele, trad. it. Bari 1964, pp. 126-35.

97. Cfr. Philodemus iiber die Getter, Griech. Text und Erlàuterung von H.
Diels, Berlin 1916, pp. 66 s. e 79-83.

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P. BEROL. INV. I327O: I CANTI DI ELEFANTINA 223

Per l'associazione fra οκώπτειν e γέλωτα un riscontro preciso è


dato da Hdt. II 121 δ (4) (bc δέ λόγουε τε πλέουε έγγίνεεθαι και
τινα και εκώψαί μιν και èc γέλωτα προαγαγέεθαι...
ΑΙ ν. 7 la sintesi fra επουδή / serietà e ciò che precede
(ήδεοθαι, φλυαρεΐν, οκώπτειν, γέλωο) trova il suo più preciso
termine di confronto nell'epilogo del discorso di Agatone in
Plat. Symp. 197e ούτοε, εφη, ó παρ'έμου λόγου, ώ Φαιδρέ, τώι
ΙΙεώι άνακείοθω, χα μέν παώιάε τα δέ επονδήε μετρίαο, καϋ'όεον
εγώ δύναμαι, μετέχων.
Il momento della conversazione, espresso con άκουωμεν...
λεγόντων, non era estraneo all'elegia arcaica (cfr. Phocyl. 14, 2
G.-P. ηδέα κωτίλλοντα καθήμενο ν οίνοποτάζειν), ma la diffusio
ne del motivo avviene a partire dalla fine del VI sec. con Xe
= 1, 14 G.-P.
noph. Β 1, 14 ευφήμοιο μύθοιο και καϋαροΐα
λόγοιο, 'Thgn.' 763 (nell'ambito di un'elegia dell'epoca delle
guerre persiane) πίνωμεν χαρίεντα μετ'άλλήλοιει λέγοντεο, Eve
no di Paro ap. Thgn. 493 ύμεΐε δ'εύ μνθείοθε παρά κρητήρι
μένοντεο e 495 ε'ιο το μέοον φωνεύντεε; e soprattutto, l'aggiunta
in enjambement εν μέρει / a turno presuppone qui l'avvenuta sosti
tuzione (pur inizialmente non completa né irreversibile) della
catena dei canti con quella successione di λόγοι che troviamo
rappresentata nel simposio di tipo 'filosofico'98: cfr. in particola
re Plat. Symp. MIA δοκει γάρ μοι χρήναι εκαετον ημών λόγον
ειπείν έπαινον Έρωτοο έπιδέξια (bc αν δύνηται κάλλιετον, Prot.
347d λέγοντάε τε και άκούονταc ένμέρει, Leg. 2, 671c τό
κατά μέροε αγήο και λόγου και πόεεωε καί μούεηο ύπομένειν.
ΑΙ ν. 9 ποταρχουντοε è un hapax: presumibilmente sulla base
di ευμποείαρχοε (cfr. Xen. An. VI 1, 30) e di ευμποααρχέω (cfr.
Arist. Poi. 2,1274b 12).
Considerando che nella tradizione elegiaca la forma
πειθώμεθα (in Omero compare πιθώμεθα in II. 18, 273; mai nel
corpus Hesiodeum πειθώμεθα ο πιθώμεθα) è attestata altrove solo
in Tyrt. 2, 10 W. = la, 10 G.-P. ]ω πειΰώμεθα κ[ (sicuramente
nella stessa sede metrica), non si può escludere che la coinci
denza fornisca una traccia di formularità elegiaca99, col trasferi

98. Un agile schizzo di questa evoluzione è offerto da P. Von der Mûhll,


Das griechische Symposion, in Xenophon. Das Gastmahl, Ubersetzung von G.-P.
Landmann, Berlin 1957, pp. 70-109, trad. it. in Vetta (a cura di), Poesia e
simposio, cit., pp. 3-28 (spec. 27 s.); e cfr. già A. Hug, Platons Symposion, Leipzig
1876, pp. XI ss.
99. Ad essa è dedicato lo studio sistematico di P. Giannini, Espressioni formu
lari nell'elegia greca arcaica, QUCC 16 (1973), pp. 7-78.

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224 FRANGO FERRARI

mento alla sfera simposiale (cfr. ποταρχοϋντοά) di un tratto del


l'elegia guerresca (e vedi anche, benché al principio del secondo
del 19, 11 W. = 10, 19 G.-P.
hemiepes pentametro, Tyrt.
πειοόμεθ'ήγεμ[ό-).
Al ν. 10 il nesso άνδρών άγαθών, estraneo a Omero ed Esio
do, si era affermato nella tradizione elegiaca guerresca (Tyrt.
- =
10,2 W. 6, 2 G.-P.; 12, 10 e 20 W. 9, 10 e 20 G.-P.) e
aristocratica (cfr. Thgn. 43, 148, 173, 615, 658, 972, 1037), nei
carmina convivialia (906, 2 PMG), nelle iscrizioni metriche (Peek,
Gr. Vers-Inschr., nr. 217, 4). Simonide lo riutilizza con problema
tico scetticismo in 542, 1 e 17 PMG, ma nel cosiddetto 'encomio'
per i morti alle Termopili (531 PMG) lo recupera a una dimen
sione di tipo tirtaico (w. 6 s.).
Non credo che εύλογίαν abbia qui il significato di 'laudem' vel
'bonam existimationem' (Gentili-Prato col rimando a Pind. 01. 5,
24 εύλογίαν προοτιθείο): tenendo conto di λεγόντων 7 e della
linea tematica di tutto il componimento mi sembra molto più
probabile una risemantizzazione del composto nel senso di 'ec
cellenza nel dire', good orfine language (LSJ), precisamente come
accade in Plat. Rsp. 3, 400d ευλογία άρα καί εύαρμοοτία και
εύοχημοεύνη καί ευρυθμία εύηθείαι άκολουθεϊ e in Luc. Lex. 1
πολλήν την εύλογίαν έπιδεικνύμενοα Anche il parallelismo con
γέλωτα φέρειν 6 suggerisce il riferimento a un dato inerente alla
presente situazione simposiale.
φέρει (come φέρει 6) è nuovamente correzione wilamowitzia
na di φέρειν del papiro (la proposta è stata accolta anche da
Gentili-Prato, ma non da West, che si limita a ricordare φέρει in
apparato). Da un punto di vista normativo φέρειν è sicuramen
te indifendibile, e resta in ogni caso ben possibile che esso rap
presenti un effetto accidentale del φέρειν posto alla fine del v. 6.
E tuttavia non si può escludere, credo, che P'errore' risalga
all'autore100. Al v. 6 egli ha terminato con γέλωτα φέρειν un
periodo sintatticamente ma non logicamente compiuto (ha svi
ai w. 5 s. solo il dei due tematici - scherzo e
luppato primo poli
virtù - di cui si sostanzia l'eccellenza conviviale). Allora ag
giunge il motivo della οπουδή e con una variazione semantica
dello stesso termine (v. sopra ad άρετήι 4) ridetermina άρετήι 4

100. Una sciatteria metrica, segnalata da Wilamowitz, è la «Verkurzung


eines langes Vokales in der ersten Kiirze des Daktylus [αιουδή 7], sogar von ω
in der Zâsur [έπέσθώ 7]».

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P. BEROL. INV. I CANTI DI ELEFANTINA 225
I3270:

con άρετή 8 e modifica il φλυαρεΐν di v. 5 con λεγόντων 7 e poi


con εύλογίαν 10. Date le interferenze fra le due quartine di w.
3-6 e di vv. 7-10 (la seconda sviluppa ma in parte 'corregge' le
formulazioni della prima) è ipotizzabile che egli componesse il
terminale εύλογίαν τε φέρειν tuttora fortemente condizionato
dalla memoria della quartina di w. 3-6 e pertanto, con un non
imperdonabile lapsus, dicesse φέρειν come se avesse appena pro
nunciato non già il ταύτα del v. 9 ma il non troppo dissimile
τοιαύθ' οία del ν. 6.

Enumero ora, prima di dare testo e traduzione di tutti i brani,


alcune divergenze di lettura rispetto alla trascrizione (quasi
sempre attenta e accurata) di Schubart-Wilamowitz.
Per lo skolion (b): a r. 4 (= ν. 1) il secondo epsilon di επιοτεφεα
non è dubbio; inoltre si intravede una traccia dell'asta dello iota
di κρυφιον. Al r. 5 (= ν. 2) l'epsilon di σήμαινε è pressoché
illeggibile.
Per lo skolion (c): al r. 7 (= v. 2) non ουνεπ-, ma ςυνεπ-. Al r. 8
(= v. 2) [..].ωι..[.]ωι piuttosto che [..]ιωιι[...]ωι (davanti al pri
mo ωι si scorge la traccia superiore di un'asta verticale che pote
va appartenere tanto a uno iota quanto piuttosto a un nu; poi,
dopo il primo ωι, traccia superiore e inferiore di un'asta vertica
le che poteva appartenere tanto a uno iota quanto a un kappa,
quindi lacuna che nel caso di iota precedente è probabilmente
di tre lettere, nel caso di kappa probabilmente di due; e della
prima di queste lettere si intravede la traccia inferiore di un
tratto obliquo eventualmente riconducibile a un alpha). Al r. 9
v. esaminando — oltre così come esso si
(== 5), pur all'originale
— anche il
presenta attualmente negativo della fotografia ripro
dotta nel 1907, non si scorge traccia dell'omicron ipotizzato do
po la lacuna da Schubart e Wilamowitz (dunque non [ ]οιτ,
ma [ ]ιτ). Invece ôqoco[i piuttosto che ôqoc[oi.
Per l'elegia: a v. 7 si scorge al di sopra della lacuna (dopo μεν)
l'apice superiore di una lettera che non può essere tau ma può
ben essere delta; poi, tracce dei sicuri epsilon e lambda.

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226 FRANCO FERRARI

MOYCAI

1 [ ]αιθυγάτη[ρ
2 [ά]πλε[τ]αςΐταφέρων[
3 [,.]αμοιτεμένη.[ ]ων[
Omnia suppl. Wil.

figlia ... portando cibi infiniti ... recinti ....

ΕΥΦΩΡΑΤ[
1 Χαρίτωνκρατή[ρ]αέπιςτε
[έ]νκέρα[ο]ον
lb ·
φέα κρ[υφ]ι[όντε π]ρόπι[ν]ε| [λό]γον
2 ότι
σήμαινε παρθένων
3 άπε[ί]ροςιπλέξομεν ϋμνοιε|
4 [τ]άνδορί αόματακειραμέναν Τρ[οϊ]αν
5 καί[τ]όνπαράνacciν άειμνά[σ]τοισ άλόντα|
6 νυκτιβάταν cκoπóv.

Omnia suppl. Wil. praeter lb πρόπινε λόγον (Schubart) // 4 αοματι


pap.: corr. Gianotti // 6 εκολοπον primitus pap.

Mesci fino all'orlo il cratere delle Cariti e brinda un indovinello! An


nuncia che con i canti inesauribili di quelle vergini noi coroneremo
Troia falcidiata di corpi con l'asta e colui che fu catturato presso navi

per sempre memorabili, la spia che andava nella notte.

MNHMOCYNH

1 ω Μούς' άγανόμματε μάτερ,


2 ςυνεπίαιεοccòvτέκνων| [,.].ωι..[.]ωι·
3 άρτιβρύουεανάοιδάν
·
4 πρωτοπαγεί εοφίαιδιαποίκιλον έκφέρομεν |
5 [ ]ι τέγξανΆχελωϊουδρόεο[ι·]
6 [παύε]παραπροϊών, ύφίειπόδα,
7 λϋε έανοϋ | πτέρυγαε, τά/oc ιεco
8 λεπτολίθων
[ ]γ :εύ:
9 καθόραπέλαγοε,
10 παρά γάν | εκφευγε Νότου χαλεπάν
11 μανίαν.
φοβερά[νδιαπο]ντοπλανή
Omnia suppl. Wil. 2 ΰμνωι (vel πόνωι) καλώι suppleverim // 3
αωιδαν pap. // 8 ψαμάθων Page, λιμένων Pellizer

Ο madre Musa dall'occhio delicato, asseconda (l'inno leggiadro) dei


tuoi figli: noi divulghiamo un canto or ora fiorito, adorno di originale
maestria: 'gli spruzzi di Acheloo (mi) hanno bagnato (la veste?): smetti
di avanzare fuori rotta! Molla la scotta, sciogli le ali di lino, dirigiti in
fretta verso (le sabbie) di fine ghiaia! - Bravo! - Guarda il mare, lungo
la costa fuggi la dura paurosa errante per le acque follia di Noto!'

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P. BEROL. INV. I3270: I CANTI DI ELEFANTINA 227

1 ·
χαίρετε,συμπόται άνδρεεόμ[ήλικεεέ]ξάγαθούγάρ
2 άρξάμενοε τελέωτονλόγον[ε]ίεάγ[αθό]ν.
3 χρήδ', ότανε'ιετοιούτοευνέλθωμεν φίλοιάνδρεε
4 πράγμα,γελάνπαίζειν χρηεαμένουε άρετήι
5 ήδεεθαίτε ευνόνταεέε άλλήλουετε φ[λ]υαρείν
6 καίεκώπτειν τοιαύταοιαγέλωταφέρειν.
7 ή δε επουδήέπέεθωάκούωμεν δε λεγόντων
8 ■ πέλεται.
έμ μέρει ήδ' άρετήευμποείου
9 τού δέ ποταρχοΰντοεπειθώμεθα· ταύταγάρέετιν
10 εργ' ανδρώναγαθώνεύλογίαν τε φέρειν.

Omnia suppl. Wil. praeter 1 όμήλικεε et 2 είε άγαθόν (Sehubart) // 10


φερειν pap.: φέρει Wil.

Salute a voi, eompagni di bevuta ehe mi siete eoetanei! Con questo


augurio ho esordito e per il bene eomune terminare il mio dire.
voglio
volta che la nostra cerchia di amici si riunisce
Ogni per un tale intrat
tenimento, dobbiamo ridere e scherzare praticando la virtù: godere
della reciproca compagnia, chiacchierare e motteggiare così da susci
tare il riso. Ma si accompagni serietà e a turno e ascoltiamo!
parliamo
Questa è la virtù del simposio. E obbediamo al simposiarca, poiché
questo si addice a uomini egregi e questo l'eccellenza nel con
produce
versare!

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