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L’analisi di bilancio consente di effettuare un processo di riconversione delle cifre in andamenti economici.
L’analisi può essere effettuata secondo una sequenza di attività così definite:
- Lettura dei prospetti di bilancio, della nota integrativa e della relazione sulla gestione
- Riclassificazione
- Formulazione dei giudizi
Nell’ambito della lettura l’analista individua i valori presenti nel bilancio e i criteri di valutazione di cui è
data spiegazione nella nota integrativa. La rel sulla gestione consente di apprendere ulteriori eventi
gestionali significativi nella comprensione delle dinamiche aziendali e prospettive future; in particolare può
far riferimento a “indicatori di risultato finanziari” e interpretazione degli amministratori.
Peraltro, in ossequi all’art 2428 nella rel sulla gestione vengono riportati i prospetti riclassificati e gli indici
patrimoniali, reddituali e finanziari oltre che i giudizi sintetici degli amministratori.
Essendo il bilancio rivolto agli stakeholder e redatto dall’azienda non può essere considerato neutrale e
indipendente.
La rel sulla gestione è particolarmente importante poiché riferisce i vari settori in cui la società ha operato
ed anche il giudizio sulle prospettive future della società.
Lo stato patrimoniale ai sensi dell’art 2424 distingue le attività in base alla loro destinazione economica e le
passività secondo la loro natura.
Ai fini interpretativi può essere utile distinguere invece le attività e le passività in base a criteri puramente
finanziari, separando quindi attivo fisso e attivo corrente, nonché passività consolidate e passività correnti.
Questo tipo di riclassificazione consente di evidenziare la sincronizzazione temporale degli impieghi con le
fonti.
Lo stato patrimoniale può alternativamente essere riclassificato secondo un criterio gestionale, che separa
attività e passività in gestione operativa, accessoria e finanziaria.
È del tutto evidente che le info che possono essere tratte dagli stati patrimoniali riclassificati non
potrebbero essere ottenute automaticamente dallo stato patrimoniale redatto ai sensi dell’art 2424.
Precisiamo che le società che devono redigere il bilancio secondo i principi IAS/IFRS presentano già un SP
redatto secondo un criterio finanziario.
La riclassificazione del CE può rendersi necessaria rispetto allo schema dell’art 2425 che segue la
configurazione a “costi e ricavi della produzione”.
L’analista potrebbe avere convenienza ad esempio a rappresentare il CE a “costi e ricavi della produzione
venduta”.
Inoltre, il CE civilistico non distingue i costi e ricavi relativi alle attività extra-caratteristiche (accessorie) e
all’area straordinaria. L’analista può invece porle in evidenza.
Il CE redatto secondo i principi IAS/IFRS non ha uno schema rigido e potrebbe già presentare una forma
idonea rispetto a quella chiesta dall’analista.
Il calcolo degli indici si rende necessario per supportare il processo interpretativo e decisionale dell’analista.
Questi possono essere determinati come margini o come quozienti e mettere a confronto grandezze del
medesimo prospetto o di prospetti differenti.
La formulazione del giudizio rappresenta l’output finale del processo di analisi. Il giudizio dovrà essere
ponderato tenendo conto di tutte le info ottenute dall’analista.
Chiaramente il giudizio è strumentale rispetto al tipo di decisione che deve essere assunta (da una banca,
da un investitore, etc.).
Nelle analisi interne il soggetto che svolge tale attività ha accesso ai dati e alle info aziendale, senza dover
attendere la pubblicazione ufficiale del bilancio di esercizio.
Peraltro, vi sono casi in cui i destinatari sono soggetti esterni all’azienda, si pensi alle analisi presentate
nella rel sulla gestione. Inoltre, è da considerare il caso in cui un’azienda consegna a un proprio stakeholder
un rapporto di analisi già preparato come in richiesta di un finanziamento bancario.
- I criteri di valutazione possono essere diversi rispetto a quelli definiti dalla normativa di riferimento
e dipendono unicamente dalle specifiche richieste espresse dai destinatari interni.
- La tempistica è determinata dai destinatari delle info e dalle potenzialità del sistema
amministrativo-contrabile oltre che informatico.
- Il controllo sull’attendibilità dei dati viene svolto da unità organizzative interne.
Nelle analisi esterne si deve fare affidamento generalmente soltanto alle info fornite dall’azienda tra le
quali ha un ruolo fondamentale il bilancio di esercizio. Tali analisi possono essere svolte nell’interesse di
vari soggetti tra i quali:
- Gli attori del sistema competitivo quali clienti, fornitori, concorrenti etc.
- Portatori di risorse finanziari a titolo di capitale proprio e capitale di terzi. Possiamo inoltre
distinguere tra portatori di risorse attuali e potenziali.
- Altri soggetti appartenenti al sistema degli interlocutori sociali dell’azienda.
Nell’ambito delle analisi esterne possono essere annoverate anche quelle svolte dai cosiddetti produttori di
informativa derivata come analisti finanziari, agenzie di rating etc.
La frequenza delle analisi esterne dipende dalla frequenza con cui vengono pubblicate le situazioni contabili
dell’azienda.
Il controllo sull’attendibilità dei dati non può essere svolto direttamente agli analisti esterni. Tuttavia, per le
aziende la cui tutele dei creditori è economicamente rilevante (esempio Spa) il controllo viene svolto da
soggetti esterni come revisori legali dei conti.
Le società di revisione si trovano in una posizione intermedia, in quanto hanno accesso a dati interni
dell’azienda ma il loro compito è quello di verificare l’informativa prodotta per l’esterno. Essi adottano
tecniche di analisi di bilancio nell’ambito della cosiddetta “analytical review” per individuare la coerenza e
l’attendibilità dei valori rappresentati nei prospetti.
I limiti informativi dell’analisi di bilancio
- L’attendibilità dei valori: se i valori presentano alterazioni l’analisi di bilancio potrebbe condurre a
risultati fuorvianti.
- Non viene considerato adeguatamente il rischio aziendale: il bilancio solo in minia parte riesce a
riflettere il rischio attraverso i fondi rischi, relativi accantonamenti, le riserve e la descrizione degli
eventi temuti in nota integrativa. Tuttavia, l’analista deve cercare di estrapolare tale elemento ad
esempio facendo riferimento alle info che vengono fornite al riguardo nella rel sulla gestione o altre
info di cui è in possesso.
- È tendenzialmente orientato al passato: tale limite discende dalla logica di competenza
normalmente adottata dai principi contabili, che non consente in linea di massima di anticipare i
benefici di futura manifestazione. Per alcune società e alcuni elementi si riscontra un graduale
cambiamento di tendenza. La necessità di uno sguardo al futuro è data dal fatto che l’analista deve
effettuare valutazioni riferite alle proiezioni future. A tal riguardo è utile la parte relativa alla
“evoluzione prevedibile della gestione” contenuta nella rel sulla gestione.
- Non esprime il processo di creazione del valore
- Non riflette a pieno la dinamica delle risorse immateriali: tendenzialmente sfuggono al modello
proposto dai principi contabili per il bilancio esterno gli accadimenti che non hanno riflessi diretti
sulla dinamica numeraria dell’azienda come i fenomeni accresciti del patrimonio conoscitivo
dell’azienda (know how). L’analista potrà comunque fare riferimento a documenti come la rel sulla
gestione.
- Trascura le performance di natura quantitativa non monetaria ed altri profili della gestione a
carattere quantitativo: le performance possono essere apprezzate non solo in riferimento ai ricavi e
costi ma anche altre dimensioni come i tempi, i rendimenti, il turnover etc. L’ampliamento
dell’informativa si realizza pertanto, nell’annual report che include oltre al bilancio documenti
relativi alla divulgazione di notizie inerenti la gestione non desumibili dal bilancio ed altri prospetti
contabili.
L’OIC 11 afferma tra le altre cose che il bilancio debba offrire una valutazione e conoscenza della
composizione del patrimonio aziendale in modo da esprimere la situazione patrimoniale nonché quella
finanziaria in funzione della classificazione delle attività e delle passività avendo riguardo sotto quest’ultimo
aspetto di sottolineare rispettivamente il grado di liquidità ed esigibilità.
Si capisce allora che per situazione finanziaria si intende il grado di prossimità al denaro dei vari elementi
del patrimonio, e che lo schema civilistico di SP non fornisce in tal senso info sufficienti.
Tale carenza è ancor più evidenziata dell’OIC 12 in cui viene considerato che:
La classificazione delle poste attive e passive più idonea a rappresentare la situazione finanziaria è
quella “a zone” che si basa sulla liquidità delle poste attive e esigibilità di quelle passive
La durata annuale è il criterio di separazione tra poste a breve (correnti) e immobilizzate o a medio
lungo temine (consolidate)
Sono da considerarsi attività a breve quelle destinate a trasformarsi in liquidità entro l’esercizio
successivo, e le passività destinate a generare un’uscita nell’esercizio successivo.
In nota integrativa sono fornite info riguardo la composizione delle singole voci per poter
ricomporre le varie “zone”
La mancanza di info per effettuare una classificazione a zone non è ritenuta rilevante in termini di
mancata presentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria.
Il grado di prossimità al denaro dei componenti attivi e passivi dipende da una pluralità di fattori che
possono essere così sintetizzati:
La natura: è un’espressione della destinazione economica decisa dal soggetto aziendale e in una
prospettiva di normale funzionamento deve essere ritenuta irreversibile nel breve periodo.
La destinazione economica: è invece modificabile per quegli investimenti che per loro natura non
hanno un ruolo preciso nella combinazione produttiva; sono tendenzialmente quelli che non fanno
parte della gestione caratteristica.
I vincoli di mercato: si tratta di quelle situazione ad esempio in cui una merce diventa di difficile
vendita.
Le condizioni contrattuali e quelle soggettive: l’esigibilità e la liquidità delle poste sono oggetto di
previsione nella fase di formazione dei valori di bilancio che però non hanno indicazioni sulla data
della probabile riscossione o pagamento in molti casi diverse da quelle concordate.
Data di estinzione concordata o prevista per le passività e patrimonio netto: tutto dipende da
vincoli contrattuali e legislativi e da previsioni per le posizioni debitorie più o meno approssimative
(TFR, fondi rischi etc.), mentre in una prospettiva di normale funzionamento per i componenti del
patrimonio netto.
A questo punto risulta chiaro che la composizione del SP non risponde pienamente alle finalità previste dai
principi OIC 11 e 12 per le seguenti ragioni:
Le informazioni contenute nella nota integrativa possono servire solo in parte a colmare le lacune indicate
nel paragrafo precedente.
Con le info di tipo finanziario desunte dal prospetto civilistico e dalla nota integrativa si arriva invece a
comporre uno stato patrimoniale riclassificato a zone che prescindendo dalla composizione più o meno
accurata delle stesse viene rappresentato graficamente con uno schema di questo tipo, dove gli impieghi e
le fonti vengono rispettivamente indicati in ordine crescente di liquidità ed esigibilità:
Cerchiamo innanzitutto di precisare alcuni concetti chiave:
Una riclassificazione accurata può essere effettuata solo da personale interno all’azienda
Essa riflette almeno in parte il punto di vista degli amministratori
Il capitale proprio può non coincidere con il patrimonio netto risultante dallo stato patrimoniale civilistico.
La differenza riguarda la destinazione dell’utile di esercizio che generalmente viene in parte accantonato a
riserva e in parte distribuito tra i soci.
Per riclassificare una parte dell’utile tra passività correnti (quindi la quota destinata ai soci) occorre tenere
conto che:
1) Procedere alla scomposizione dell’utile se si possiedono elementi fondati per prevedere la sua
destinazione.
2) Lasciare l’utile nel capitale proprio quando non è possibile formulare una previsione ragionevole.
Ovviamente se la riclassificazione viene fatta su bilanci già approvati la destinazione dell’utile è già nota.
Il processo di trasformazione in denaro delle attività correnti diversi dalla liquidità può avvenire attraverso
una o più operazioni. Nello stato patrimoniale riclassificato ciò viene rilevato attraverso la suddivisione
delle attività correnti in tre gruppi:
Liquidità immediate
Nelle rimanenze devono essere collocati anche i risconti attivi perché la loro trasformazione in denaro
avviene in modo indiretto (per la quota imputabile al solo esercizio successivo) e gli anticipi a fornitori di
materie e merci perché costituiscono un credito che si estinguerà con la consegna dei beni acquistati.
Le passività correnti sono rappresentate in massima parte da debiti certi o presunti che si prevede di
estinguere entro l’esercizio successivo. La collocazione dei fondi per rischi ed oneri se l’evento a loro
collegato non è prevedibile in un arco temporale preciso deve essere effettuata per intero all’interno delle
passività correnti.
I fattori che determinano la collocazione degli elementi patrimoniali nelle diverse zone possono modificarsi
nel tempo a causa della destinazione economica, dei vincoli contrattuali e le condizioni delle controparti.
Lo stato patrimoniale secondo il criterio gestionale
Tale costruzione si basa sulla suddivisione e sul raggruppamento delle poste dell’attivo e del passivo in
classi distinte in relazione all’appartenenza ad aree di gestione. Si distinguono normalmente tre aree:
- Operativa
- Accessoria
- Finanziaria
La prima fa riferimento a fonti e impieghi della gestione caratteristica corrente. L’area accessoria fa
riferimento a fonti e impieghi complementari rispetto alla gestione caratteristica mentre l’area finanziaria
fa riferimento alle fonti legate a copertura del fabbisogno finanziario residuo dell’area caratteristica, alla
disponibilità di cassa e impieghi temporanei di denaro in investimenti finanziari.
Vediamo in tabella che le attività e le passività operative possono essere ulteriormente distinte in
“correnti” o “non correnti/di struttura”.
Attività legate al ciclo operativo corrente Passività legate al ciclo operativo corrente
Attività legate al ciclo operativo non corrente o di Passività legate al ciclo operativo non corrente o di
struttura struttura
Attività accessorie Debiti finanziari
Le attività del ciclo operativo corrente sono anche dette capitale circolante operativo.
Il CCNOP esprime il fabbisogno finanziario generato dallo svolgimento della gestione caratteristica corrente
al netto delle fonti di finanziamento spontanee di natura operativa.
Il CCNC esprime il fabbisogno finanziario della gestione commerciale e la sua entità dipende dal ciclo
monetario e i volumi di attività posti in essere.
Questi valori dipendono dalle politiche commerciali e produttive dell’azienda ed una modifica di esse
genera una modifica del valore del CCNC.
Se le operazioni sono distribuite uniformemente nel tempo, l’ammontare del CCNC sarà tendenzialmente
costante e il valore a fine esercizio sarà un dato affidabile del fabbisogno finanziario. Ciò non accadrà se ad
esempio vi sono picchi commerciali causati ad esempio da attività fortemente stagionali.
Generalmente il CCNC è positivo nelle aziende di produzione e di servizi; è invece negativo ad esempio nella
grande distribuzione.
Un valore negativo del CCNC implica che il ciclo operativo genera un surplus finanziario che è possibile
impiegare temporaneamente in investimenti finanziari.
a) Rimanenze
b) Crediti vs clienti
c) Debiti vs fornitori
CCNC
d) Altri crediti operativi
e) Ratei e risconti attivi operativi
f) Altri debiti operativi
g) Ratei e risconti passivi operativi
CCNOP= CCNC+d+e-f-g
L’area operativa include anche le attività legate al ciclo operativo nella sua dimensione non di struttura.
Facendo riferimento alle aziende di produzione nel ciclo operativo vengono incluse anche le
immobilizzazioni tecniche ossia quelle immobilizzazioni mat o immat direttamente coinvolte nel processo
operativo caratteristico.
Le passività operative legate al ciclo operativo nella sua dimensione di struttura sono rappresentate dai
fondi rischi e oneri, il fondo TFR e i debiti per fornitori di impianti. Si tratta di passività spontanee legate alla
struttura dell’azienda e allo svolgimento di più cicli operativi.
Il capitale investito netto COIN può essere calcolato considerando tutte le attività e le passività operative
legate al ciclo operativo sia nella sua dimensione corrente che in quella di struttura.
Questa grandezza può essere ottenuta attraverso (CCNCOP + imm tecniche) – (fondi e passività operative
strutturali).
Dal punto di vista finanziario esprime il fabbisogno finanziario netto della gestione operativa; tale
fabbisogno dovrà essere soddisfatto tramite mezzi propri o di terzi.
Dal punto di vista economico esso è utile per analizzare la redditività operativa caratteristica; esso può fare
da denominatore nel calcolo del ROI legato all’area caratteristica.
L’area accessoria include terreni e fabbricati ad uso civile (o comunque non produttivo caratteristico) e le
attività finanziarie. Con segno meno potrebbero entrarvi anche le passività spontanee legate a gestioni
accessorie come ad esempio i debiti tributari.
Sommando al COIN le attività accessorie si ottiene il CIN ossia capitale netto investito. Quest’ultimo
rappresenta l’insieme dei capitali investiti in azienda al netto delle fondi di finanziamento spontanee e
quindi il fabbisogno finanziario complessivo di tutte le gestioni.
a) Immobilizz tecniche
b) Fondi rischi e oneri e TFR
CAPITALE OPERATIVO INVESTITO NETTO (COIN= CCNOP + a – b)
c) Attività accessorie (al netto di eventuali passività)
CAPITALE INVESTITO NETTO (CIN= COIN+C)
Il CIN come sommatoria degli impieghi netti trova copertura attraverso il capitale netto e l’indebitamento
finanziario.
Per quanto riguarda l’indebitamento finanziario si considera la posizione finanziaria netta (PFB) ottenuta
deducendo dai debiti finanziari la liquidità e gli strumenti di gestione di tesoreria.
La PFN rappresenta l’indebitamento finanziario al netto della liquidità e degli strumenti di gestione della
tesoreria. Normalmente è espressa da un valore positivo in quanto i debiti superano le liquidità e gli altri
attivi. Se fosse positivo il suo valore verrebbe riportato negli impieghi del SP gestionale.
a) Disponibilità liquide
b) Investimenti e crediti finanziari a breve
c) Strumenti derivati attivi
d) Debiti bancari a breve
e) Altri debiti finanziari correnti
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA A BREVE d+e-a-b-c
f) Debiti bancari a medio lungo
g) Obbligazioni
h) Altri debiti di medio lungo
POSIZIONE FINANZIARIA NETTA d+e+f+g+h-a-b-c
La PFN è un indicatore sintetico dell’indebitamento finanziario netto. Essa come grandezza stock di debito
può essere ad esempio al denominatore in indici che hanno al numeratore un flusso economico.
Seguendo il criterio di pertinenza gestionale i crediti vs soci e le azioni proprie possono essere portati a
deduzione del capitale netto.
I contributi in conto impianti possono essere inclusi nei mezzi propri ossia considerati in una voce a parte
tra le coperture insieme al capitale netto e alla PFN.
Presentazione capitale impiegato e relative coperture:
CCNOP
a) Immobilizz tecniche
b) Fondi rischi e oneri e TFR
COIN
c) Attività accessorie
CIN
d) PFN
e) Contributi in conto impianti (se presenti)
f) Capitale netto
TOTALE COPETURE FINANZIARIA d + e + f
Il conto economico
La costruzione del conto economico gestionale
Al fine di redigere un conto economico gestionale è necessario allocare i componenti reddituali nelle
diverse aree in cui si articola la gestione aziendale. Si distinguono quattro aree:
- Caratteristica
- Extra-caratteristica
- Finanziaria
- Straordinaria
L’area caratteristica comprende i costi e ricavi relativi alla realizzazione e alla vendita della produzione.
L’area extra-caratteristica (o accessoria) comprende costi e ricavi che si generano in relazione a operazioni
che seppur ricorrenti non rientrano nell’area caratteristica.
Rientrano nell’area straordinaria le componenti reddituali generate da eventi non direttamente collegati
alla normale gestione dell’impresa.
A prescindere dalla tipologia di prospetto utilizzato il conto economico riclassificato deve evidenziare i
risultati economici progressivi derivanti dai saldi delle singole aree gestionali.
Il primo risultato parziale è il risultato operativo caratteristico dato dalla differenza tra ricavi e costi
caratteristici. Comprendendo anche l’area extra-caratteristica si ottiene il risultato operativo globale. In
seguito, abbiamo il risultato ordinario o corrente che rappresenta il risultato complessivo della gestione al
netto dell’area tributaria e straordinaria. Infine, abbiamo il risultato ante imposte e quello netto.
È importante sottolineare come i flussi economici del CE gestionale corrispondono a grandezze stock dello
SP gestionale e ne rappresentano il relativo flusso. (Pagina 38 libro)
Il risultato operativo caratteristico viene determinato tramite la differenza tra valore della produzione
ottenuta e costo della stessa. Tale grandezza esprime la redditività del core business.
Per ottenere il valore della produzione ottenuta è necessario partire dalle rimanenze finali di prodotti finiti
a cui vengono sommati i ricavi netti di vendita; da questa grandezza sottraiamo le rimanenze finali dei
prodotti finiti. I ricavi di vendita si intendono netti in quanto il valore da indicare deve essere rettificato di
resi, abbuoni e sconti a essi riferibili.
Il costo della produzione si ottiene sommando i costi sostenuti per realizzare la produzione. I costi vengono
classificati per natura del fattore produttivo che ha generato le componenti reddituali. Riferendoci all’area
caratteristica ciascun costo dovrà rappresentare un consumo di fattore produttivo; l’unico fattore che si
differenzia è quello delle materie prime infatti il suo costo lo si ottiene partendo dalle rimanenze iniziali a
cui andiamo a sommare i relativi acquisti registrati e a cui sottraiamo le rimanenze finali di materie. Al
consumo delle materie poi sommiamo i consumi degli altri fattori produttivi.
Nell’ambito di tale riclassificazione si può evidenziare il VALORE AGGIUNTO come risultato intermedio
all’interno dell’area caratteristica che distingue i costi della produzione in interni ed esterni. I costi interni
sono relativi alla struttura organizzativa e tecnica aziendale, quelli esterni a fattori acquistati esternamente.
Il valore aggiunto rappresenta la capacità dell’azienda di creare grazie al processo di trasformazione, nuova
e maggiore ricchezza rispetto a fattori produttivi acquistati esternamente.
Possiamo anche evidenziare il risultato intermedio del MARGINE OPERATIVO LORDO o EBITDA
Il MOL presenta una duplice interpretazione; esso può essere un utile indicatore di performance economica
ma ha anche rilievo finanziario derivando dalla contrapposizione di ricavi e costi monetari.
Sottraendo all’EBITDA gli ammortamenti e gli accantonamenti si ottiene il risultato operativo della gestione
caratteristica o EBIT. Questo indica la capacità dell’azienda di remunerare il capitale tramite la gestione
caratteristica prima di considerare oneri finanziari e fiscali.
- L’area industriale riferita ai costi e ricavi legati ai processi produttivi ovvero ai processi di
trasformazione delle materie prime in prodotti finiti
- L’area commerciale riguarda i costi che si generano nelle attività di vendita e di collocazione dei
prodotti sul mercato
- L’area amministrativa relativa ai costi generati dall’attività di supporto alle altre aree
Ricavi di vendita
- costo industriale della produzione
= RISULTATO LORDO INDUSTRIALE
- costi commerciali e distributivi
- costi amministrativi e generali
= RISULTATO OPERATIVO CARATTERISTICO
Il primo aggregato di valore da analizzare è il valore della produzione venduta rappresentato dai ricavi netti
di vendita realizzati in quel periodo. A questi si contrappone il costo industriale della produzione
determinato dalla somma dei coti riferiti all’area industriale.
Una volta determinato il costo industriale del venduto si perviene al RISULTATO LORDO INDUSTRIALE il
quale rappresenta l’incidenza dei coti di fabbricazione dei prodotti rispetto ai prezzi di vendita quindi la
capacità del prezzo di vendita di remunerare i costi delle attività operativi industriali.
Sottraendo al risultato lordo industriale i costi commerciali e amministrativi giungiamo alla determinazione
del RISULTATO OPERATIVO CARATTERISTICO.
Tale schema è ammesso dai principi contabili internazionali e largamente usato dalle società quotate e non
quotate che applicano gli IAS/IFRS.
Distinguendo tra costi variabili e fissi si giunge alla determinazione del MARGINE DI CONTRIBUZIONE dato
dalla differenza tra ricavi di vendita e costi variabili.
Tale grandezza esprime il contributo dato dai ricavi della produzione ottenuta alla copertura dei costi fissi e
dei costi variabili.
Esso risulta necessario nel calcolo del punto di pareggio break even point ed è indicativo della capacità
dell’azienda di agire sulla leva operativa (?) al fine di migliorare la redditività aziendale.
Rappresentazione:
provvigioni
commissioni
assicurazione crediti
accantonamento a fondo svalutazione crediti
costi di distribuzione per la parte variabile
Per giungere poi al risultato operativo caratteristico aggiungiamo i costi fissi divisi per:
La determinazione del margine di contribuzione permette di calcolare la LEVA OPERATIVA data dal rapporto
tra il margine di contribuzione e il risultato operativo caratteristico. Essa è un indicatore di rischio in quanto
un suo valore troppo alto corrisponde a eccessivi costi fissi e quindi eccessiva rigidità dell’azienda; questo
perché per tali aziende è più complicato adattarsi al variare delle condizioni di mercato.
Anaisi patrimoniale-finanziaria
Ognuno dei valori ottenuti dai prospetti contabili acquista un significato ulteriore se viene messo in
relazione con alti valori attraverso procedimenti aritmetici di sottrazione e di divisione. Si ottengono in
questo modo degli indicatori che vengono chiamati margini o indici. Questi ultimi i più significativi devono a
loro volta essere confrontati nel tempo e nello spazio, utilizzando anche parametr di riferimento esterne
all’unità economico-produttiva esaminata.
I molteplici rapporti possibili vengono generalmente compresi in alcune classi a seconda del tipo di
informazione che è possibile trarre dalla loro lettura.
Indici di copertura fianziaria—> gruppi di valori delle fonti/gruppi di valori degli impieghi
Impieghi:
Fonti:
Molte aziende indicano tali valori accanto a quelli del prospetto patrimoniale riclassificato.
Nella sezione degli impieghi tali indici esprimono il grado di rigidità ed il complementare grado di elasticità
del impieghi; si intende la minore o maggiore possibilità dell’azienda di modificare nel breve periodo la
destinazione economica dei propri investimenti. Essi forniscono una prima indicazione sulla tipologia
dell’azienda alla quale si riferiscono (rigidità funzionale). Confrontati nel tempo tali indici forniscono
indicazioni sulle linee di sviluppo e sugli oriententi strategici dell’azienda.
Nella sezione delle fonti si esprimono i gradi di indebitamento e capitalizzazione e il diverso peso degli
indeb a breve e a lungo termini.
Confrontati fra loro gli indici di composizione degli impieghi e quelli delle fonti permettono di stabilire se vi
è una corretta relazione fra finanziamenti e investimenti ossia se i tempi di rientro monetario del capitale
investito corrispondono a quelli di estinzione dei finanziamenti utilizzati.
Dall’altra parte il rapporto tra mezzi propri e capitale di terzi può essere così espresso:
Tale indice esprime il grado di idebitamento che crescere all’aumentare questo valore.
Se è 1 —> l’aziende si finanzia solo con mezzi propri
Se è 2 —> vi è equivalenza tra mezzi propri e di 3°
I valori ompresi tra 1 e 2 esprimono una situazione soddisfacente di capitalizzazione mentre quelli superiori
a 2 esprimono una situazione più o meno accentuata di sottocapitalizzazione.
Gli indici di copertura finanziaria
La copertura finanziaria può essere definità come il complesso delle relazioni che sussistono fra fonti e
impieghi. Gli indicatori servono a stabilire se le risorse finanziarie, acquisite con diverse modalità sono state
correttamente impiegate ovvero se esiste la giusta correlazione temporale tra le fonti e gli impieghi.
Vediamoli:
Se facciamo la differenza tra quoziente priario e secondario otteniamo il quoziete di copertura estera. Il
risultato è lo stesso che si ottiene dal seguente rapporto:
Il quoziente di copertura esterna è di notevole importanza nella verifica delle relazioni fra fonti e impieghi
infatti se è <1 vuol dire che le risorse a medio lungo sono state pienamente impegnate negli investimenti a
medio lungo e se contemporaneamente il quoziente di struttura secondario è >1 significa che anche le
risorse attinte dalle passività correnti sono state correttemete utilizzate negli investimenti a breve.
Costo materie prime impiegate o merci vendute = esistenze iniziali + acquisti – rimanenze finali
Indice di rotazione del magazzino = costo materie prime impiegate/scorta media materie prime
Indice di rotazione del magazzino prodotti = costo industriale della prod venduta/scorta media prodotti
In via approssimativa sommando la giacenza media del magazzino all’indice di durata dei creduti è possibile
difinire il tempo di realizzo monetario dei prodotti.
Per definire il tempo di realizzo monetario delle materie prime, invece, sarebbe necessario aggiungere ai
periodi precedentemente individuati quelli di giaenza media del magazzino materie prime e di durata del
ciclo tecnico di trasformazione.
Potremmo in questo modo arrivare a definire il ciclo del circolante per individuare il periodo di eccedenza o
di fabbisogno di liquidità.
L’interpretazione degli indici reddituali perette di fornire una misurazione della capacità di un’impresa di
generare reddito. Tale analisi mira a verifiare che i ricavi generati da un’impresa siano adeguati a
ronteggiare i costi derivanti dall’utilizzo dei fattori produttivi. Ossia l’azienda sia in grado di coprire i costi
dei fattori produttivi e garantire agli stessi una remunerazione congura. Peraltro, una gestione “economica”
dell’impresa garantisce non solo una remnureazione congura del capitale residuale, ma è un requisito
necessario per il rafforzamento delle condizioni finanziarie, potendo destinare una quota del reddito
all’autofinanziamento dell’azienda.
L’equilibrio economico e quello finanziario costituiscono due facce della stessa medaglia; possiao dire che
un risultato reddituale positivo, o la sua mancanza, incide sulla capacità dell’impresa di ottenere credito ed
attrarre capitali, sulla sua liquidità e sulla sua capacità di crescere.
Diventa perciò fondamentale l’analisi degli indici reddituali cioè la valutazione dell’entità e della qualità dei
risultati reddituali conseguiti.
Per gli investitori attuali e potenziali, gli indici sono fondamentali perché fornisono informazioni sul
rendimento del capitale proprio; sono importanti anche per i fornitori di capitale di terzi in quanto
consentono di stimare l’affidabilità dell’azienda.
Si dicono indici redditual quelli che portano al numeratore e/o al denominatore un valore del conto
economico riclassificato.
Il ROE è una misura utilizzata per misurare la redditività del capitali investito in azienda dagli azionisti, esso
è cioè espressione della redditività, lorda o netta, del capitale di rischio.
Rn=reddito netto
Mp=mezzi propri
Spesso per depurare l’indicatore dagli effetti fiscali si calcola il ROE lordo
ROE lordo = Rl/Mp
Rl=reddito lordo
Mp=mezzi propri
Moltiplicando e dividento la romula del ROE netto per il risultato operativo Ro e per il totale del capitale
investito per il risulato operativo (Ro) e per il totale del capitale investito (Ci) si ottengono tre componenti
che ne condizionano il valore:
Ro/Ci = ROI
Si osserva che il ROE è infuenzato dalla gestione caratteristica delll’impresa (ROI), dalla struttura delle fonti
di finanziamento (grado di indebitamento), e dalle gestioni extra-caratteristica, finanziaria, straordinaria e
tributaria dell’impresa (Rn/Ro).
In altre parole la redditività del capitale deriva in primis dalla redditività della gestione caratteristia
espressa dal ROI, dalla giusta combinazione tra fonti interne ed esterne e dal risultato derivante dai
proventi ed oneri delle aree non operative.
Tale indice viene sovente impiegato come generale misurazione della creazione del di valore per gli
azionisti che l’impresa è capace di generare per effetto della sua gestione.
Il ROE è soddisfacente se superiore alla somma di tasso di rendimento netto di investimenti alternativi a
rischio nullo ( r ) e il rishio di settore della specifica azienda e del settore, cioè il premio per il rischio (p)
rihiesto dall’investitore.
ROE soddisfacente = r + p
Dal ROE derivano altri due indicatori complementari ossia il tasso di autofinanziamento e il tasso di
dividendo. Tali indicatori esprimono rispettivamente l’inlinazione dell’impresa a “riservizzare” e a
distribuire gli utilil.
Taf = Ur/Mp
Ta = tasso di autofinanziamento
Tale tasso viene usato in via primaria per verificare il grado di sostegno alla crescita dell’impresa tramite
fonti interne quindi non onerose.
È evidente che in presenza di un reddito netto negativo tale indicatore avrà al numeratore la perdita di
esercizio. Quindi tale quoziente in caso di perdita assume un segno negativo indicando una riduzione del
capitale netto.
Td = Ud/Mp
Si può verificare facilmente che la somma dei due tassi costituisce il ROE.
Tale indice è quello principale per valutare la redditività dell gestione caratteristica rispetto al capitale
complessivamente investito nell’impresa. Il ROI esprime quindi il tasso di ritorno che l’area caratteristica
genera indipendentemente dalle fonti di finanziamento (interne ed esterne).
Non esiste una sola forma di ROI; nella prassi si ha al denominatore l’importo complessivo del capitale
investito, il quoziente viene detto ROI globale o ROA return on assets:
Si può osservare come a differenza del ROE, il ROI al numeratori consideri solo gli effetti della gestione
operativa dell’impresa mentre al denominatori comprende tutte le fonti ossia Mp e Mt vale a dire tutto i Ci.
Fisiologicamente le imprese dovrebbero ottenere un ROI positivo per effetto della gestione che genera un
“utile operativo” o eventualmente negativo con una perdita operativa; entrambi derivanti dal core business
dell’azienda.
Tuttavia, il ROI è influenzato anche da condizioni che differenziano dalla redditività operativa come le
caratteristiche dimensionali, strutturali e l’effcienza.
Il ROI deriva quindi dal capitale investito sulla gestione operativa ma anche da quello investito nella
gestione accessoria, da cui possiamo quindi gerare due ROI che indichino i diversi contributi:
Il ROI caratteristico è pertinente alla sola gestione tipica questo perché si considerano reddito operativo
caratteristico e capitale investito caratteristico, il c.d CINO.
Nel caso in cui contributo del ROI extra sia notevolmente superiore a quello caratteristico il managemente
dovrebbe provvedere a mettere in atto azioni utili a rivalutare alcune scelte strategiche riguardanti il core
business dell’azienda.
Nel caso contrario invece il managemente dorebbe valutare l’esigenza di investimenti atipici anche
considerando il relativo rishio e l’opportunità di diversificazione degli investimenti totali.
Se il Roi è pari a 0 vuol dire che l’azienda non produce utili o perdite.
La dimensione dell’azienda influenza da un lato il numeratore ossia che cosa e quanto produrre e quindi le
quantità di produzione/vendita, e da altro lato il denominatore in termini di investimenti effettuati
nell’attività operati, in tale ambito può essere utile determinare i ricavo medio per unità di capitale
investito nell’attività operativa (V/Ci).
Per le caratteristiche strutturali è utile tenere presente il rapporto tra osti fissi e variabili.
L’efficienza interna dell’azienda viene misurata tramite il grado di utilizzazione della capacità produttiva
dato dal rapporto tra capitale investito e costi variabili (Ci/CV), il primo rappresenta le potenziali produttive.
Le condizioni di produttività si misurano anche tramite il costo medio operativo di produzione per unità di
capitale investito (CF+CV)/Ci
Per le condizioni di competitività deve essere posta l’attenzione sull’efficienza dell’azienda nel mercato del
lavoro e nei mercati di acquisizione dei fattori produttivi.
Sebbene il ROI abbia il vantaggio di fornire un rapida valutazione dell’andamento della gestione
caratteristica, esso è soggeto ad alcune limitazioni a causa della sua esclusiva derivazione dai dati contabili
subisce quindi l’influenza del redattore del bilancio.
Inoltre il ROI dovrebbe tenere conto anche degli eventuali oneri finanziari di dilazione impliciti nei costi
operativi; l’analista dovrebbe quindi rettificare tale effetti finanziari spostandoli dall’area caratteristica a
quella finanziaria. Infina, è utile ricordare che spesso è preferibile determinare il risultato operativo posto al
numeratore al netto di eventuali effetti fiscali; in tal caso al posto del risultato operativo viene messo al
numeratore il NOPAT.
Il ROI può essere scomposto nelle sue fondaentali componenti: redditività delle vendite (return on sales
ROS) e produttività del capitale investito (turnover del capitale, pci). Ciò lo si ottiene moltiplicando e
dividendo l’indice ROI per i ricavi netti di vendita:
Queste scoposizione può essere fatta sia per il ROI globale che quello caratteristico.
Il primo fattore è il ROS cioè il rapporto tra il risultato operativo e le vendite, esprime l’incidenza
percentuale della gestione operativa sul totale delle vendite.
Un quoziente ROS positivo manifesta la parte dei ricavi netti di vendita che residuano dopo il pagamento di
tutti i costi ed oneri della gestione operativa; evidenzia quindi la quota residua dele vendite utile a coprire
gli oneri finanziari, fiscali etc oltre he la remunerazione dei mezzi propri investiti dall’azienda.
Un ROS nullo esprime l’incapacità dell’area operativa di rispondere alla copertura degli oneri e costi delle
aree non-operative; in tal caso la remunerazione sia del capitale proprio che di terz deriva dalle altre aree
gestionali.
Tale indice esprime quindi la capacità remunerativa delle vendite nette ed è fortemente influenzato dalle
quantità fisicamente vendute, dai prezzi di vendita e dal mix di vendita, oltre che dai costi operativi.
Esso rappresenta un indicatore fondamentale dal punto di vista strategico/gestionale dando informazioni
su prezzi/costi e i margini che l’azienda ottiene dalla vendita dei prodotti.
Il secondo fattore denominato produttività del capitale investito (pci) o turnover del capitale, esprime
l’attitudine del capitale investito a produrre ricavi. Esso rappresenta il ricavo medio per ogni unità di
capitale investito. Un valore basso esprime l’incapacità dell’azienda nel medio-lungo di sfruttare
convenientemente il capitale. Allo stesso tempo un valore elevato esprime un’esigenza espansiva
dell’azienda.
La scomposizione del ROI consente di capire la porzione di ROI generata dalla redditività delle vendite e
quella generata dal tasso di rotazione del capitale; tendenzialemente il valore espresso dalle due
componenti dipende dal settore in cui opera l’azienda. Il confronto con le medie di settore dei due
quozienti consente perciò la realizzazione di decisioni strategiche più oculate, in quanto il manager può
individuare almeno teoricamente le leve su cui interenire.
Il ROS è determinato dall’influenza in via generale dei costi operativi sul fatturato. Diviene allora rilevante
indagare la suddivisione dei costi operativi. Sul piano del fatturato è permesso di individuare il mix di
vendita più idoneo, che tenga in considerazione i prezzi, i volumi di vendita e eventuali sonti.
Al fine di interpretare la redditivià delle vendite e verificare l’effetto di leva operativa possiano
ulteriormente analizzare il ROS tramite l’interpretazione della redditività primaria delle vendite e del grado
di leva operativa. Per tali indici è necessaria la contabilità analitica e la divisione tra costi fissi e variabili.
Avendo a disposizione la contabilità analitica è possibile procedere alla suddivisione dei costi operatii totali
in costi fissi e variabili e quindi determinare la leva operativa.
Il rischio operativo si può misurare alternativamente tramite il grado di leva operativo (GLO) o tramite il
margine di sicurezza (MdS).
Il grado di leva operativo misura la variazione percentuale del risultato operativo in conseguenza di una
variazione nei volumi di vendita. Per determinarla è necessaria in primis la conoscenza del margine di
contribuzione: MdC = V — Cv ossia ricavi di vendita meno costi variabili.
Ora possiamo calcoare l’effetto di leva operativa che manifesta in altre parole il grado di rigidità del
risultato operativo rispetto alle variazioni percentuali dei ricavi:
GLO = MdC/Ro
(Esempi libro)
La rotazione del capitale investito o turnover del capitale deriva dal rapporto tra i ricavi netti di vendita e il
capitale investito. Attraverso tale indice l’analista è in grado di giudicare se la dimensione strutturale
dell’impresa è congrua rispetto al livello dei ricavi netti di vendita.
Tale quoziente è fortemente condizionato dal settore di appartenenza e dalle politiche contabili e
strategiche che influenzano l’altezza del capitale investito.
Abbiamo visto che a parità di condizioni per migliorare la produttività del capitale si può:
Ovviamente nella decisione di aumentare le vendite l’azienda dovrà attentamente prevedere e stimare la
reazione del mercato.
Nella valutazione sullo sfruttamento della capacità strutturale è utile verificare come si è formato il tasso di
rotazione del capitale investito determinando alcuni indici parziali rappresentanti le principali classi degli
impieghi, attivo fisso e corrente.
È opportuno confrontare questo indicatore con le medie di settore e con quello di aziende competitor.
Sovente come attivo fisso si considera soltanto la classe di immobilizzazioni tecniche (materiali) che indica
stricto sensu, il grado di sfruttamento della capacità produttiva.
Questo indica quante volte il capitale corrente “ritorna” per mezzo delle vendite; esso viene ulteriormente
scisso per analizzare quante volte il capitale investito in crediti e in magazzino si riproduce tramite i ricavi di
vendita.
Servono per determinare l’efficienza del processo produttivo. Tali indici pongono al numeratore il risultato
ottenuto (vendite) e al denominatore le unità di fattore produttivo, lavoro e capitale che sono state
utilizzate per ottenere quella vendita.
Ovviamente a parità di condizioni risulta più efficiente l’azienda che genera più ricavi di vendita.
Partendo dal fattore produttivo possiamo determinare i ricavi medi per dipendente dati dal seguente
quoziente:
Esso esprime quanti ricavi in media sono stati prodotti dai dipendenti.
Rispetto al primo indice questo si concentra esclusivamente sulla parte del risultato della gestione
caratteristica cui ha contribuito in media ciascun dipendente.
L’esame di tali indicatori è utile laddove si voglia determinare le cause delle diminuzioni nei ricavi netti di
vendita derivanti per esempio dalla produzione di prodotti non competitivi o dall’aumento dei costi delle
materie prime, in sintesi per determinare le aree di inefficienza nell’utilizzo delle risorse.
LA LEVA FINANZIARIA
Nei paragrafi passati abbiamo anticipato che il ROE è la sintesi delle diverse gestioni aziendali, reddituali e
finanziaria: ROE = Rn/Mp = (Ro/Ci) (Ci/Mp) (Rn/Ro)
Un altro modo per esprimere il legame tra il ROE e il ROI è offerto dalla seguente equazione:
Dunque, il debito contratto dall’impresa contribuisce al pari del capitale proprio a alla gestione operativa e
finanziaria dell’impresa.
Rispetto al capitale di rischio quello di terzi si accompagna al costo del debito espresso tramite il
sostenimento degli oneri finanziari.
Dall’equazione possiamo vedere che le aziende possono avere convenienza al ricorso all’indebitamento.
Nel caso in cui infatti la redditività operativa (ROI) superi il tasso di onerosità dei finanziamenti (Of) la
crescita dell’indebitamento contribuisce alla crescita della redditività globale, realizzandosi così l’effetto
leva o leverage. Esso avviene grazie al quoziente Q che agisce da fattori moltiplicativo del maggior
rendimento dell’area operativa rispetto al costo del debito.
In altri termini ogni volte che il ROI supera gli Of, la differenza positiva contribuisce al rendimento dei soci
che godono oltre che del rendimento ottenuto sul capitale di rischio anche di quello ottenuto sul capitale di
debito al netto degli oneri sostenuti sullo stesso.
Di conseguenza il ROI viene confrontato con il tasso medio di onerosità dei finanziamenti (Of) conosciuto
anche come return on debt (ROD), al fine di individuare la convenienza del ricorso a fonti di finanziamento
esterno.
Contrariamente nel caso in cui il ROI asia inferiore al tasso medio di onerosità dei finanziamenti i nuovi
investimenti effettuati grazie ai finanziamenti accesi presso terzi producono una redditività operativa
inferiore allo stesso costo degli interessi sul debito, comportando ripercussioni negative anche sulla
redditività globale misurata dal ROE.
Dagli esempi vediamo che la leva finanziaria esprime il rischio finanziario di un’azienda derivante dalle
scelte sulla struttura finanziaria.
Non dobbiamo sottovalutare inoltre che le scelte riguardo le fonti di finanziamento derivano in genere da
un ROI prospettico che è influenzato da costi e ricavi futuri. È pertanto fondamentale tenere in
considerazione sia ipotesi espansive che condizioni economiche recessive che possono risultare in un ROI
limitato o addirittura negativo.
Nello scenario in qui ROI-Of fosse negativo allora il leverage agirebbe da fattore riduttivo del ROE.
Infine, va sottolineato che la scelta delle fonti di finanziamento non può derivare solo dal semplice
confronto tra ROI e Of. Infatti anche nel caso in cui tale valore sia positivo non è sempre facile accendere un
finanziamento poiché esso è collegato al rischio di impresa che può generare un maggior costo del debito a
fronte di un maggior rischio percepito dai finanziatori.
Nella valutazione della struttura finanziaria più conveniente l’azienda può utilizzare come strumento
l’equazione che mette in relazione il ROE con il ROI utilizzando come incognita il quoziente di
indebitamento.
Tale formula permette di rispondersi alla seguente domanda: quanto deve indebitarsi l’azienda dati un
certo ROI, un certo Of, e un certo coefficiente di defiscalizzazione α al fine di ottenere il ROE desiderato?
Gli analisti finanziari e investitori fanno ricordo all’analisi fondamentale che si basa sull’identificazione e
previsioni di variabili economiche e finanziarie che influenzano l’andamento delle quotazioni delle azioni.
Tra queste variabili vi sono anche indicatori che tengono conto del numero di azioni emesse o del prezzo
corrente dei titoli azionari emessi e soggetti a negoziazione.
Book Value per Share rappresenta il valore di patrimonio netto per ciascuna azione emessa e si ottiene
dividendo il patrimonio netto risultante da bilancio per il numero delle azioni ordinarie in circolazione.
Earnings per Share rappresenta l’utile per ciascuna azione emessa e si ottiene dividendo il reddito netto
di esercizio risultante dal bilancio per il numero delle azioni ordinarie in circolazione.
Vi sono indicatori il cui scopo è evidenziare eventuali fenomeni di sopravvalutazione o sottovalutazione del
prezzo di un titolo:
PRICE/EARNINGS (P/E)
Tale indicatore è il rapporto tra la quotazione dell’azione di una società e gli utili per azione.
Si esprime anche come rapporto tra la capitalizzazione di borsa dell’emittente e gli utili conseguiti; a sua
volta la capitalizzazione è ottenuta moltiplicando il prezzo delle azioni per il numero delle stesse.
Questo valore mette a rapporto un dato derivante dal conto economico (earnings) co il valore di
capitalizzazione che varia giornalmente e che si forma fuori dal bilancio di esercizio. Quindi tale indicatore
ha una certa variabilità.
È da sottolineare che il prezzo del titolo varia in funzione dei redditi e flussi di cassa attesi per il futuro
mentre il reddito considerato nel denominatore dell’indice è ottenuto dall’ultimo bilancio approvato.
Indica quante volte il prezzo dell’azione incorpora gli utili attesi e quindi quante volte l’utile di una società è
contenuto nel valore che il mercato le attribuisce.
Quanto più il P/E è alto tanto maggiori sono le aspettative degli investitori sulla crescita della società;
infatti, vuol dire che il mercato è disposto a pagare molto per avere il livello di utili al denominatore in
quanto crede alla capacità dell’azienda di incrementarli ulteriormente.
Nell’ipotesi di utili costanti il P/E rappresenta il numero di anni necessari all’investitore per recuperare il
capitale investito.
Tale indice non è utile per la valutazione delle società legate ad Internet e caratterizzate da una forte
crescita. Per queste aziende il bilancio annuale è poco rappresentativo si usa dunque un altro indicatore il
Price/Earnings to Growth (PEG).
Se il P/E di una società risulta superiore al tasso di crescita e quindi il PEG risulta maggiore di 1, ciò significa
che il titolo della società è relativamente costoso; viceversa se P/E è inferiore al tasso di crescita e quindi
inferiore a 1, vi è un segno favorevole all’acquisto del titolo.
Il valore ti tale indice è tanto attendibile quanto maggiore è il numero di analisti a cui viene richiesta la
stima.
L’indice price/book value mette a confronto il Prezzo di un titolo azionario con il valore di patrimonio netto
per azione (BVPS).
Anche questo indice confronta due grandezze eterogenee; un valore dinamico dato dal prezzo di un titolo e
uno statico costituito dal patrimonio netto che deriva dall’ultimo bilancio approvato.
Soprattutto i due valori esprimono due fenomeni economici differenti: il prezzo di un titolo azionario
riflette le attese sui risultati reddituali e finanziari futuri, mentre il patrimonio netto deriva da valutazioni di
funzionamento.
L’indicatore può fornire elementi per capire se un titolo è correttamente apprezzato dal mercato a seconda
che il relativo valore sia superiore o inferiore all’unità.
Tuttavia, occorre considerare che per alcune aziende il patrimonio netto contrabile è ben distante rispetto
al proprio valore di mercato non per effetto di una sopravvalutazione ma perché il patrimonio netto non
esprime appieno il valore corrente di alcune attività in particolare quelle tangibili (esempio di marchio
molto forte).
Anche per questo motivo l’indicatore viene usato per valutare il cosiddetto “capitale intellettuale”
dell’azienda ossia il valore delle risorse immateriali che non trovano adeguata rappresentazione in bilancio.
I titoli venduti a un prezzo ampiamente inferiore al valore contabile del patrimonio netto sono in genere
considerati buoni candidati per portafoglio sottovalutati; al contrario saranno obiettivo di portafoglio
sopravvalutati.
P/B = prezzo/ [(capitale sociale + riserve + utili non distribuiti) /n° di azioni] =
= [prezzo x n° di azioni] / (capitale sociale + riserve + utili non distribuiti) =
a) È una misura relativamente stabile e intuitiva del valore da paragonare al prezzo di mercato
b) Supponendo uniformità di criteri contabili delle aziende, il P/B di aziende simili sono paragonabili e
ciò permette di individuare segnali di sopra-sotto valutazione.
Lo studio dei flussi finanziari si inquadra partendo dal confronto con l’esposizione dei flussi economici
attraverso il CE. Il reddito si determina attraverso il principio di competenza economica mentre i flussi
finanziari a partire dal principio di competenza finanziaria.
L’analisi sui flussi si concentra sulle entrate e le uscite rilevate nel periodo di riferimento del rendiconto. Il
rendiconto finanziario a differenza del CE tiene conto sia della gestione corrente che non corrente quindi le
entrate e le uscite si riferiscono anche a movimenti finanziari connessi a operazioni che trovano immediato
riflesso nello SP come investimenti, disinvestimenti, aumenti di capitale etc.
Il flusso finanziario è un indicatore dell’equilibrio finanziario ossia della capacità di ottenere entrate
superiori alle uscite; in particolare si parla di capacità dell’azienda di far fronte alle necessità di
investimento e di rimborso di passività – con scadenze a breve e medio-lungo — con convenienti mezzi
finanziari messi a disposizione dalla gestione.
Lo studio de flusso pone in evidenza anche la capacità di autofinanziamento dell’azienda non desumibile da
altri prospetti contabili.
Il flusso finanziario è tendenzialmente oggettivo non è in effetti influenzato dalle valutazioni basate sulle
stime e le congetture. Tuttavia, si deve tenere in considerazione le pratiche di real earning management e
la rappresentazione in contabilità di operazioni fittizie che alterano il rendiconto stesso.
Un’altra differenza tra flusso economico e flusso finanziario è legata al fatto che il secondo può essere
penalizzante per le aziende in crescita in quanto queste stanno investendo.
Infine, il flusso finanziario a differenza del reddito è soggetto a minori distorsioni dovute all’inflazione.
Il rendiconto è l’illustrazione delle variazioni intervenute in una RISORSA FINANZIARIA STOCK tra l’inizio e la
fine di un periodo; queste possono essere diverse:
La risorsa di riferimento usata negli ultimi anni è rappresentata dalle disponibilità liquide (cassa e banca) al
lordo o al netto degli scoperti di conto corrente. La forma usata nei principi contrabili internazionali e negli
US GAAP è quella scalare; questo perché un rendiconto che espone i flussi di cassa organizzati per aree in
forma scalare evidenzia immediatamente le causali di generazione e assorbimento dei flussi stessi
mettendo in luce il saldo delle diverse nature.
Nel rendiconto troveranno espressione le operazioni che hanno avuto come conseguenza una variazione
finanziaria ossia una variazione che ha portato un incremento o decremento della risorsa di riferimento.
Non troveranno espressione invece le operazioni che non hanno avuto come conseguenza una variazione
finanziaria: es. conversione di obbligazione in azione, scambio di attività etc.
Le operazioni che hanno condotto a variazioni finanziarie possono essere ulteriormente distinte in
operazioni di gestione reddituale o corrente e operazioni che hanno modificato la composizione delle
attività, del patrimonio netto e delle passività. Nell’ambito della gestione non caratteristica vengono
rappresentati: investimenti, disinvestimenti, accensione e rimborso di passività, aumenti e rimborsi di
patrimonio netto.
Prendiamo d’ora in poi come risorsa di riferimento le disponibilità liquide nette con una classificazione dei
flussi finanziari secondo le aree gestionali dell’azienda in analogia con lo stato patrimoniale gestionale e il
conto economico gestionale.
L’area caratteristica raccoglie i flussi di cassa rappresentanti l’equivalente monetario dei ricavi e dei costi
del core business dell’aziende.
L’area extra-caratteristica o accessoria raccoglie le entrate e le uscite legate a gestioni reddituali che hanno
una natura integrativa e complementare rispetto a quella caratteristica.
Nell’area finanziaria rientrano le entrate legate a interessi attività su conti correnti e i pagamenti relativi a
interessi passivi su finanziamenti ricevuti.
Nell’area straordinaria e tributaria rientrano rispettivamente le entrate e le uscite legate a fatti estranei alla
gestione e non ricorrenti, e i pagamenti per le imposte sul reddito.
A questo punto è possibile costruire il rendiconto finanziario come sommatoria dei flussi di cassa relativi
alle diverse aree. Uno schema può essere l’elenco dei flussi delle diverse aree e l’evidenziazione della loro
sommatoria nel cash flow globale:
I destinatari possono essere sia interni che esterne e a seconda del destinatario il rendiconto può avere
modalità diverse di costruzione.
Nell’ottica della rendicontazione esterna, gli obiettivi del rendiconto finanziario per flussi cassa possono
essere riepilogati così come fa il principio contabile statunitense US GAAP Statement of Financial
Accounting Standard 95:
Il punto 3 è di particolare interesse infatti è utile evidenziare le differenze tra utile netto e flusso di cassa
della gestione reddituale.
Possiamo inoltre aggiungere come obiettivi quello di valutare correttamente i rischi finanziari dell’azienda.
I destinatari utilizzano l’informazione diffusa per prendere decisioni riguardanti l’apporto dietro ricompensa
di risorse e contributi al soggetto emittente.
In quest’ottica il destinatario principale è rappresentato tra i vari stakeholder dai portatori di capitale di
rischio dove possiamo distinguere i detentori di capitale di comando che hanno accesso illimitato al sistema
informativo aziendale e quelli di minoranza che privi di accesso al sistema informativo aziendale sono
interessati ad ogni info utile per prendere decisioni di convenienza economica sull’investimento effettuato
in titoli azionari.
Nel linguaggio dello IASB (international accounting standard board) l’info economico finanziaria ha due
compiti:
Da quanto sopra esposto si evince la rilevanza del rendiconto finanziario per gli utenti esterni all’azienda.
Esso completa le info sulla solvibilità di medio e lungo ovvero integra le informazioni sugli stock
patrimoniali con informazioni sui flussi finanziari. Mette inoltre in evidenza la capacità dell’azienda di
tradurre la redditività in flusso di cassa.
La capacità di produrre flussi di cassa è associata a un più basso costo del capitale; essa è inversamente
proporzionale al costo del debito. Vi sono infatti minori costi in termini di interessi su obbligazioni e migliori
rating creditizi.
La risorsa di riferimento assunta è data dalle disponibilità liquide nette ossia la differenza tra la cassa e le
banche attive e le banche passive.
L’entità di tale risorsa per la parte attiva è chiaramente desumibile dallo stato patrimoniale civilistico e
coincide con il totale del gruppo C IV. La componente passiva è invece compresa nel gruppo D.4, SP passivo,
insieme ad altre posizioni debitorie.
La sua individuazione è agevole quindi sia per un analista esterno che uno interno.
La funzione del rendiconto è quella di quantificare i flussi ed esso si compone a partire dal bilancio civilistico
ricostruendo la dinamica dei valori aziendali ed i flussi che ne sono scaturiti.
Nel modello per aree gestionali si parte dai movimenti prodotti dalla gestione reddituale caratteristica
integrati e rettificati dalle variazioni delle rimanenze, crediti e debiti caratteristici, portando alla
quantificazione del cash flow caratteristico.
Si prosegue con il flusso legato ad operazioni di investimento e disinvestimento in fattori produttivi al lungo
ciclo di utilizzo della gestione caratteristica per poi passare ai movimenti di disponibilità liquide derivanti da
operazioni dell’area extra caratteristica.
Successivamente si individuano i flussi di cassa derivanti da pagamento del debito per TFR e dall’utilizzo dei
fondi, quelli legati alle operazioni di finanziamento, operazioni con i soci ed infine, quelli derivanti dalla
gestione straordinaria e dalle imposte sul reddito.
La somma algebrica di queste aree genera il cash flow globale.
In questo prospetto i flussi vengono quantificati come saldi derivanti da variazioni di segno opposto.
1) Si individuano i componenti di reddito della gestione accessoria nei gruppi residuali del CE A5 e
B14. Se si neutralizza (?) il concorso di questi componenti, arriviamo alla determinazione del
reddito operativo della gestione caratteristica.
2) Si individuano i componenti di reddito della gestione caratteristica che nel corso dell’esercizio non
hanno avuto sicuramente un esito monetario.
Questi sono derivanti in gran parte dagli assestamenti finali; TFR e quiescenza, ammortamenti,
svalutazioni immobilizzazioni e crediti, accantonamenti per rischi e oneri. Pur diversi sono
sicuramente non monetari, per alcuni non ci sarà mai una manifestazione finanziaria e per altri
avverrà in futuro.
Si tratta inoltre delle variazioni di rimanenze e esistenze e di componenti del reddito che hanno
avuto come contropartita definitiva un elemento del patrimonio diverso dalla liquidità come le
rivalutazioni degli immobili dove la contropartita sta nel fondo svalutazione.
Per determinare la componente reddituale nel cash flow ci sono due metodi:
- Diretto
- Indiretto
In entrambi i casi non si arriva subito alla quantificazione del flusso di liquidità ma a una variazione di
capitale circolante netto che esclude le rimanenze e i fondi rischi e oneri che considerati in seguito
permetteranno di ottenere il flusso di liquidità.
Il metodo diretto consiste nell’individuare i ricavi e i costi che sono stati rilevati come contropartita di
movimenti nella liquidità, nei crediti e nei debiti o nei ratei (esclusi quindi i fondi rischi e oneri). La
sottrazione delle componenti negative fornirebbe così direttamente il flusso di capitale circolante netto
della gestione reddituale caratteristica. Tuttavia, i calcoli necessari sarebbero molto laboriosi.
Si ricorre quindi al metodo indiretto ossia come dice l’OIC 12: le risorse finanziarie generate dalla gestione
reddituale dell’esercizio, viene ottenuto rettificando l’utile netto o la perdita di quelle voci che non hanno
generato o non hanno richiesto l’esborso di liquidità. (!)
Quindi partendo dal primo risultato intermedio del CE, A(valore della produzione) - B(costi della
produzione), rettificandolo dei componenti atipici, che quindi non fanno parte della gestione corrente e
non monetari ossia non utili al rendiconto.
Ra = ricavi atipici
Ca = costi atipici
Abbiamo dunque:
Rcm+Rcnm+Ra–Ccm-Ccnm-Ca = A-B
Spostiamo al secondo membro i costi e ricavi che non concorrono al cash flow reddituale
Rcm-Ccm = A-B-Rcnm-Ra+Ccnm+Ca
Il primo membro rappresenta il flusso di cassa del capitale circolante netto ottenuto con metodo diretto
mentre il secondo quello ottenuto con metodo indiretto.
La dinamica delle rimanenze materiali viene scorporate da quelle degli altri componenti di reddito di
competenza dell’esercizio e sviluppata in una sezione specifica aggregandola a quella delle rimanenze
contabili ossia i risconti attivi nati dalla sospensione di costi operativi (manifestazione finanziaria ora e
quella economica dopo).
Le variazioni dei prodotti in corso, semilav, e finiti fanno parte del valore della produzione e figurano
insieme a tutti i componenti positivi del reddito operativo.
Rimanenze finali > esistente iniziali segno + nel valore della produzione
Sia le rimanenze finali che le esistenze iniziali rientrano nei componenti di reddito non monetari che con il
metodo indiretto (Rcm-Ccm = A-B-Rcnm-Ra+Ccnm+Ca) incidono positivamente se di segno – e
negativamente se di segno +. Quindi:
Per ciò che concerne le rimanenze di materie prime etc fanno parte dei costi della produzione e quindi
figurano nel CE tra le componenti negative del reddito operativo.
Perciò se RF>EI compare con segno – perché è un componente positivo che va a diminuire i costi di
produzione, viceversa se RF<EI comparirà con segno + ad incrementare i costi.
Al contrario delle variazioni di prodotti finiti, in lavorazione etc le variazioni di materia compaiono nel
rendiconto finanziario con lo stesso segno con un cui compaiono nel conto economico.
La dinamica delle rimanenze contabili e la sua incidenza sulla liquidità vanno quindi ricostruita a livello
patrimoniale, attraverso il confronto i risconti attivi finali e iniziali secondo questa logica:
- I risconti attivi iniziali sono costi non monetari e quindi incidono positivamente sulla liquidità in
quanto la manifestazione finanziaria negativa è stata gli esercizi precedenti.
- I risconti finali invece sono a tutti gli effetti monetari pur non essendo dei costi di esercizio e quindi
incidono negativamente sulla liquidità esercizio corrente
Quindi se:
La variazione dei crediti caratteristici coinvolge i crediti verso clienti e tutti gli altri crediti operativi inlusi
nella classe CII dello SP. Se escludiamo i crediti verso clienti, in altri gruppi riferiti a soggetti diversi possono
essere presenti sia crediti operativi che crediti finanziari, la distinzione viene fatta sulla base della nota
integrativa.
La variazione dei crediti nel rendiconto andrà inserita considerando i vari movimenti in aumento e in
diminuizione intervenuti nel corso dell’esercizio; questi sommati tra loro daranno la differenza tra crediti
finali ed iniziali.
Le svalutazioni non sono un movimento effettvo ma una rettifica del valore nominale.
La relazione tra crediti iniziali e finali può essere descritta matematicamente così:
Possiamo eliminare crediti nati e riscossi nell’anno in quanto già considerati nella prima parte del
rendiconto generando una variazioe positiva sulla liquidità e scrivere quindi:
Crediti iniziali – riscossione crediti iniziali (perché non si compensano con i crediti iniziali riscossi?) - perdite
su crediti + crediti nati nell’esercizio non riscossi – svalutazioni = crediti finali
Da cui:
Crediti nati nell’esercizio non risossi – riscossioni crediti iniziali = crediti finali – crediti iniziali + perdite sui
crediti – svalutazioni
Come possiamo verificare i movimenti significativi ai fini della liquidità evidenziati al primo membro,
vengono ricostruiti in modo indiretto attraverso la somma algebrica dei valori di bilancio posti al secondo
membro.
I movimenti del primo membro dell’equazione incidono sulla liquidità con segno inverso rispetto a quello
che presentano in bilancio perché, i crediti non riscossi misurano una frazione di ricavo non monetario (-)
mentre la riscossione dei crediti iniziali rappresenta un flusso positivo di liquidità (+) non incluso nella 1°
sezione del rendiconto.
Poiché dobbiamo lavorare sui dati di bilancio, otteniamo la variazione della liquidità in modo indiretto dal
secondo membro e se il risultato è positivo produce una variazione negativa di liquidità (crediti non riscossi
> di quelli riscossi) altrimenti si verifica un flusso positivo.
La stessa logica viene seguita per i ratei anche se i movimenti sono più semplici.
I ratei iniziali si azzerano nella prima parte dell’esercizio per effetto delle riscossioni e si formano
nuovamente in sede di assestamento, quando interengono a misurare ricavi di competenza a
manifestazione finanziaria futura.
In termini monetari:
- I ratei attivi iniziali producono entrate
- I ratei attivi finali misurano ricavi che non hanno prodotto entrate
Quindi:
- Se ratei attivi finali > ratei attivi iniziali vi è una variazione con segno – nel rendiconto
- Se ratei attivi finali < ratei attivi iniziali vi è una variazione con segno +
La dinamica dei debiti caratteristici è rappresentata dalle variazioni dei debiti operativi contratti
prevalentemente con fornitori ma anche con altri soggetti. In alcuni casi non è semplice individuare la parte
operativa; l’operazione è possibile se nella Nota Integrativa viene fornito un dettagli qualitativo.
- Nei debiti tributari non devono essere considerati quelli relativi alle imposte sul reddito;
rimangono sostanzialmente quelli inerenti le ritenute da versare e l’IVA.
- Vengono inserite anche le variazioni dei ratei e risconti passivi anche se nel caso dei risconti non
possiamo parlare di debiti in senso stretto ma di debiti di servizio.
La variazione dei debiti operativi presenta uno sviluppo analogo e speculare rispetto a quello dei crediti.
Debiti iniziali + debiti nati nell’esercizio non pagati – pagamento debiti iniziali = debiti finali
Debiti dell’esercizio non pagati – pagamento debiti iniziali = debiti finali – debiti iniziali
Da cui: debiti iniziali = pagamenti debiti iniziali e debiti finali = debiti dell’esercizio non pagati
Se:
- DF > DI l’incidenza sul rendiconto è con segno –
- DF < DI l’incidenza sul rendiconto è con segno +
Le variazioni dei debiti tributari devono essere onsiderate separando i debiti per ritenute fiscali effettuati
dai debiti per IVA.
I primi nascono come contropartita della principale componente dei costi del lavoro ossia i salari e stipendi
per cui:
- I debiti iniziali misurano costi dell’esercizio precedente che dovendo essere pagati a Gennario
produrranno un flusso negativo di segno –
- I debiti finali viceversa quindi segno + dovendo essere pagati a Gennaio dell’anno successivo
- Vi sono poi i debiti nati e pagati nell’anno che però sono già stati considerati un flusso di liquidità
negativo nel reddito caratteristico operativo.
Se:
I debiti per l’IVA sono il risultato della liquidazione periodica dell’imposta nella quale si compensano
l’imposta a debito con quella a credito.
Dato il carattere di neutralità che l’imposta riveste per le aziende, l’IVA a debito e credito nascono ome
contropartita dei crediti e dei debiti commerciali.
I debiti verso istituti previdenziali nascono come contropartita dei costi del lavoro:
Anche questi come l’iva vengono pagati periodicamente entro il 16 del mese successivo.
I ratei passii iniziali vengono azzerati nella prima parte dell’esercizio per effetto dei pagamenti e si formano
nuovamente in sede di assestamento. Quelli iniziali producono delle uscite, quelli finali le rimandano da cui:
La variazione dei risconti non ha una sua evidenza nel conto economico poiché sono ricavi di cui ho
manifestazione finanziaria ma non economica. Quindi la dinamia deve essere ricostruita a livello contabile
attraverso il confronto tra risconti pssivi iniziali e finali:
Gli altri flussi caratteristici inerenti ai debiti sono gli acconti da clienti e gli acconti a fornitori.
Gli acconti da clienti misurano entrate monetarie anticipate rispetto alle cessioni di beni e servizi, sono
quindi debiti che si estingureanno come contropartite di riavi carattteristici.
Gli acconti iniziali sono quindi misurano ricavi non monetari mentre quelli finali sono entrate monetarie
non corrispondenti a ricavi di competenza.
Acconti finali per vendite non effettuate nell’esercizio – estinzioni acconti iniziali per vendite nell’esercizio =
acconti finali – acconti iniziali
Quindi:
- Se AF > AI variazione finanziaria di segno –
- Se AF < AI variazione finanziaria di segno +
Investimenti(tra cui costr.interne e costi patrimonializzati) – disinvestimenti = valori di bilancio finli – valori
di bilancio iniziali + ammortamenti + svalutazioni – rivalutazioni di ripristino
Ad esempio i debiti finali per acquisto immobilizzazioni non pagate rappresentano un rettifica positiva al
flusso negativo dei disinvestimenti e viceversa per debiti iniziali pagati nell’anno per immobilizzazioni
acquistate l’esercizio precedente.
Quindi:
Imm imm finali > imm imm iniziali variazione in aumento e viceversa
Debito per TFR iniziale – pagamenti per TFR + quota TR esercizio = debito per TFR iniziale
Pagamenti debito TFR = debito per TFR finale – debito per TFR iniziale – quota TFR esercizio
I componenti extra-caratteristici non sono di facile reperibilità in quando non sono esplicitamente richiesti
in maniera dettagliata in Nota Integrativa. Vengono considerati extra-caratteristici anche i componenti di
reddito derivati dall’attività finanziaria non funzionale allo svolgiment della gestione caratteristica.
Il flusso originato deve essere integrato dalle variazioni di crediti, ratei attivi e riscont passivi originati da
proventi extra-caratteristici e dai debiti, ratei passivi e risconti originati da oneri extra-caratteristici.
Oltre la componente reddituali c’è una parte patrimoniale costitutita da investimenti e disinvestimenti
extra-caratteristici. Questi possono essere individuati da immobilizzazioni materiali e attività finanziare che
non costituiscono immobilizzazioni. Nel primo gruppo vi sono gli immobili civii acquistati per scopo
speculativo; è invece discutibile l’inclusione delle immobilizzazion finanziarie dato il carattere strategico che
questi assets assumono anche se è indubbio il loro contributo largamente indiretto alla gestione
caratteristica. L’importo dei disinvestimenti deve essere integrato delle relative plusvalenze e minusvalenze
oltre che svalutazioni e rivalutazioni. Il cash flow degli investimenti e disinvestimenti extra caratteristici
deve essere integrato dalle variazioni di credi e debiti derivanti dalla cessione e dall’acquisto di attività
extra-caratteristiche.
Anche per il caso dei finanziamenti non è sempre possibile rilevare i dati necessari dalla nota integrativa e
quindi potremo ricavare dal bilancio solo valori che rappresentano la compensazioe fra incrementi e
riduzioni; questo sorattutto in quanto per “gli altri debitore” dell’azienda vi possono essere una pluralità di
posizioni debitore al cui interno vanno individuate quelle di natura finanziaria.
Per i prestiti obbligazionari bisogna tenere conto del diaggio di emissione che rappresenta un minore flusso
positivo di liquidità rispetto al valore nominale dei prestiti stessi, inoltre deve essere considerato il valore
della quota di ammortamento del disaggio stesso.
-Disaggio su prestiti nell’esercizio (valore originario) = -disaggio su prestiti finale (valore di bilancio) -
disaggio su prestiti iniziale (valore di bilancio) + quota di ammortamento complessiva disaggi
Precisiamo che se non sono stati emessi prestiti obbligazionari nell’esercizio la differenza tra i vaori di
bilancio iniziale e finale del disaggio coincide con la quota di ammortamento cioè un costo non monetario
che non ha alcuna incidenza sulla liquidità.
Guardiamo ora la dinamica relativa ai componenti di reddito di natura finanziaria come gli interessi passivi
e attivi, e gli utili e perdite su cambi
In tal senso riportiamo che gli utili e perdite su cambi devono essere inclusi anche se rilevati in sede di
assestamento in quanto vanno a neutralizzare un movimento non monetario della posta attiva o passiva a
cui si riferiscono. (Tabella pag 40)
Il cash flow verso i soci può essere ricostruito attraverso i movimenti delle voci che compongono il
patrimonio netto. Questi li individuiamo da:
- Conferimenti dei soci anche se rappresentati da imobilizzazioni; essi devono essere rettificati con
l’aumento dei crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, il quale misura un aumento di
patrimonio netto che non ha generato variazioni nella risorsa di riferimento.
- Versamenti dei soci in aumento di capitae
- Il rimborso di apitale ai soci che genera diminuzione di capitale socciale
- Pagamento di utili misurati dall’annullamento dell’utile precedente
- Distribuzione di riserve di utili ai soci
Accantonamento di utili – distribuzione ai soci = riserve di utili finali – riserve di utili iniziali
Poiché gli accantonamenti sono una rettifica positivi e la distribuzione invece negativa, se RUF > RUI la
differenza va inclusa nel rendiconto con segno + altrimenti con segno — .
Un ragionamento a parte va fatto per coperture delle perdite di esercizi precedenti e per i movimenti di
azioni proprie.
1. Le perdeite di esercizi precedenti vengono portate a nuovo: in questo caso i due componenti del
patrimonio netto si annullano a vicenda non creando alcuna variazione della risorsa di riferimento e
non compaiono nel rendiconto
2. Le perdite di esercizi precedenti vengono coperte, in tutto o parte, con utilizzo di riserve o
riduzione di capitale sociale: la variazione in meno delle perdite precedenti rappresenta un
aumento del patrimonio netto (segno + in liquidità) va a neutralizzare la riduzione delle riserve o sul
capitale sociale (segno – sulle liquidità)
3. Le perdite di esercizi precedenti vengono coperte in tutto o in parte con versameti a reintegro da
parte dei soci: la riduzione delle perdite crea un flusso positivo che è rettificato eventualmente da
crediti verso soci per versamenti ancora dovuti.
1. Le azioni proprie vengono acquistate per sostenere la quotazione, evitare scalate da gruppi esterni
o favorire l’ingresso di un socio gradito al quale verrebbero cedute: essendo in questo caso
destinate alla vendita si crea un movimento di liquidità effettivo eventualmente integrato dall’utile
o perdita realizzato con la cessione.
2. Le azioni proprie vengono acquistate per ridurre il capitale sociale: l’acquisto rappresenta un
movimento negativo effettivo di liquidità, mentre l’annullamento rappresenta un movimento
negativo positivo virtuale. Al movimento del capitale si aggiunge quello delle riserve se il costo delle
azioni annullate non coincide con il valore nominale.
La variazione intervenuta nelle azioni proprie viene iscritta per intero nel cash flow soci attribuendo segno
— se il valore finale è superiore a quello iniziale, segno + al contrario.
Viene quantificato sommando algebricamente i componenti di reddito positivi e negativi iscritte al CE nelle
voci E20 e E21.
Tutti i costi e ricavi straordinari devono essere considerati anche se non hanno un riflesso immediato sulla
liquidità.
- Il danno riportato da un immobile per eventi naturali: deve essere riportato con segno negativo
per neutralzzare la riduzione di valore dell’immobile
- Gli effetti sulla valutazione del magazzino per passaggio da un metodo ad un altro (esempio LIFO a
FIFO)
Nella cash flow delle imposte sul reddito non dobbiamo prendere in considerazione tributi come IMU,
importe catastali, tasse sui rifiuti, imposte di bollo le quali sono incluse nella voce oneri diversi di gestione
B14 del CE la cui incidenza è già considerata nel cash flow caratterstico o extra.
- Le imposte anticipate si creano quando un costo di competenza delle esercizio non concorre per
intero alla formazione del reddito fiscale del periodo d’imposta corrispondente. In questi casi la
deducibilità non immediatamente riconosciuta verrà recuperata per quote negli esercizi successivi.
In questa situazione l’azienda paga imposte superiori a quelle che avrebbe dovut sostenere
rispettando il principio di competenza. Pertanto:
I debiti tributari aumentano sia per imposte di competenza che quelle anticipate D12 SP
Le imposte di competenza diventano un costo d’esercizio CE voce 22
Le imposte anticipate vanno a formare un credito tributario CII4 ter SP
Nel rendiconto le imposte di competenza vengono inserite con segno — e rettificate dall’aumento
dei debiti tributari. La parte che residua dalle rettifiche rappresenta la componente monetaria delle
imposte che si manifesta con il pagamento degli acconti nel corso dell’esercizio. Il credito per imposte
anticipate figura invece col segno — compensato dall’aumento dei debiti tributari col segno +.
- Le imposte differite si creano quando le norme tributarie consentono che un componente positivo
di reddito, iscritto per competenza nel CE, non concorra per intero alla formazione del reddito
imponibile. In questo caso l’azienda deve pagare imposte per un importo inferiore a quello che
avrebbe dovuto sostenere rispettando il principio della competenza. Questo significa che:
Le imposte di ompetenza rappresentano un costo di esercizio voce 22 CE
La parte di imposte douta al fisco aumenta i debiti tributari D12 SP
Le imposte differite aumentano il fondo per imposte
Secondo tale documento il rendiconto permette di valutare la capacità di genereare disponibilità liquide e
l’utilizzo che l’azienda ha fatto delle disponibilità create e assorbite nel corso dell’esercizio.
Lo IAS 7 prevede che il rendiconto finanziario faccia parte a pieno titolo della composizione del bilancio
redatto secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS. Dovendo il rendiconto d’esercizo essere
presentato insieme a quello dell’esercizio precedente è richiesta dunque una comparazione su almeno due
esercizi.
LA RISORSA DI RIFERIMENTO
La risorsa di riferimento individuata dallo IAS è data dalle disponibilità liquide e mezzi equivalenti. Le prime
comprendono cassa e i depositi a vista. I mezzi equivalenti sono “investimenti finanziari a breve termine e
ad alta liquidità che sono prontamente convertibili in valore di cassa noti e che sono soggetti a un
irrilevante rischio di variazione del loro valore”.
Gli scoperti di conto corrente possono essere considerati nel calcolo della risorsa di riferimento portandoli a
deduzione delle disponibilità liquide e dei mezzi equivaenti; secondo lo IAS gli scoperti bancari che sono
rimborsabili a vista formano parte integrante della gestione delle disponibilità liquide di un’azienda. Essi
devono essere quindi considerati come componenti con segno negativo della risorsa di riferimento.
I flussi finanziari devono essere classificati tra attività operativa, di investimento e finanziaria. L’attività
operativa è costituta dalle principali attività generatrici di ricavi e le alte attività che NON sono di
investimento e finanziamento; nell’area operativa rientrano dunque l’area caratteristica, quella
atipica/accessoria e quella extra-caratteristica. Il flusso di cassa operativo esprime l’equivalente monetario
di tutto il conto economico.
(Esempi pag 53)
Secondo lo IAS 7 l’ammontare dei flussi finanziari derivanti dall’attività operativ è un indicatore
fondamentale della capacità di generare flussi finanziari sufficienti a rimborsare prestiti, a pagare dividendi
e effettuare nuovi investimenti senza far ricorso a fonti esterne.
Lo IAS 7 definisce le attività di investimento come quelle attività comprendenti l’acquisto e la cessione di
attività a lungo termine e gli altri investimenti non rientranti nelle disponibilità liquide equivalenti.
Includiamo partecipazioni, titoli, crediti di finanziamento etc.
(Esempi pag 54)
I flussi finanziari legati alle attività di finanziamento comprendono transanzioni finanziarie con prestatori di
capitale di credito e con soci.
Lo IAS7 per alcuni voci prevede l’obbligo di separate inidcazioni e più opzioni di classificazione.
Gli interessi percepiti e corrisposti e i dividendi corrisposti e percepiti e in generale i proventi e oneri
finanziari devono essere indicati distintamente.
L’opzione benchmark prevede che gli interessi pagati e ricevuti e i dividendi ricevuti siano classificati come
flussi finanziari operativi. In alternativa gli interessi pagati possono essere classificati come flussi finanziari
dall’attività di finanziamento, mentre gli interessi e dividendi ricevuti possono essere classificati come flussi
dell’attività di investimento.
I dividendi corrisposti nell’opzione benchmark sono classificati nei flussi relativi all’attività di finanziamento
in quanto costi sosteuti per ottenere risorse finanziarie. In alternativa possono essere classificati nei flussi
dell’attività operativa per aiutatìre gli utilizzatori a capire la capacità dell’azienda di corrispondere dividendi
da flussi finanziari operativi.
I flussi legati alle imposte sul reddito dovrebbero essere classificati preferibilmente classificati nell’area
operativa a meno che non si riferiscano specificatamente all’area di finanziamento e investimento.
Per quanto riguarda quelli relativi a operazioni in valuta estera, questi devono essere iscritte nella valuta
funzionale dell’azienda che redige il bilancio applicando data e tasso di cambio del flusso.
Eventuali perdite e utili da cambi non rappresentano flussi finanziari e quindi possono essere presentati nel
rendiconto per riconciliare il valore delle disponibilità liquide e mezzi equivalenti a inizio e fine esercizio.
LA PRESENTAZIONE DEI FLUSSI DERIVANTI DALL’ATTIVITA’ OPERATIVA
Lo IAS prevede due opzioni in tema di rappresentazione dei flussi derivanti dall’attività operativa: il metodo
diretto e quello indiretto.
Il metodo diretto risulta essere preferibile rispetto a quello indiretto e richiede la rappresentazione delle
principali categorie di incassi e pagamento lordi; i dati possono essere desunti alternativamente o dalle
registrazioni contabili o attraverso le rettifiche sulle voci del conto economico.
In particolare, è possibile rettificare le vendite e il costo del venduto per la variazione degli elementi
capitale circolante operativo (crediti debiti e rimanenze), altri elementi non monetari (ammortamenti etc.),
altri elementi i cui effetti monetari rientrano tra le attività di investimento e finanziamento.
In pratica, tale approccio fa sì che ogni elemento del conto economico viene rettificato per eliminare ciò
che NON influenza l’entità dei mezzi finanziari o per eliminare ciò che non viene considerato nell’area
operativa.
Il metodo indiretto prevede che il flusso finanziario derivante dall’attività operativa sia determinato
rettificando l’utile o la perdita per gli effetti di:
Quindi tale metodo per lo IAS7 prevede una ricostruzione del flusso di cassa che parte dall’utile/perdita.
Lo IAS7 presenta anche un terzo metodo per il calcolo del flusso finanziario derivante dall’attività operativa.
Si tratta di una variante del metodo indiretto che espone la differenza tra ricavi operativi e costi operativi,
rettificandola con le variazioni delle rimanenze e dei crediti e dei debiti generati dalle attività operative.
Quest’ultimo metodo risulta scarsamente applicato nella prassi delle aziende le quali preferiscono
generalmente il metodo indiretto “classico”.
LE INFORMAZIONI INTEGRATIVE
Lo IAS prevede che nella relazione sulla gestione sia indicato l’ammontare dei saldi significativi di
disponibilità liquide e mezzi equivalenti posseduti dall’azienda ma non utilizzabili liberamente (somme
sotto sequestro etc.).
a) L’importo delle aperture di credito disponibili per future attività operative e per estinguere impegni
di capitale con indicazione di eventuali restrizioni all’utilizzo di queste aperture di credito
b) Gli importi complessivi dei flussi finanziari di ciascuna attività operativa, di investimento e di
finanziamento relativi a partecipazioni in joint venture presentati usando il consolidamento
proporzionale
c) L’importo dei flussi finanziari derivanti dall’attività operativa, di investimento e di finanziamento
per ciascun settore oggetto di informativa
Lo SFAS 95 precede di qualche anno lo IAS 7 il quale si basa appunto sul primo.
Secondo lo SFAS 95 il rendiconto viene costruito utilizzando i cash e cash equivalents come risorsa di
riferimento.
A differenza dello IAS 7 gli scoperti di conto corrente non sono inclusi nella risorsa di riferimento e la loro
variazione e riepilogata tra i flussi di cassa relativi alle attività di finanziamento.
I flussi di cassa sono classificati in flussi generati dall’attività operativa, di investimento e di finanziamento.
Il metodo diretto per la ricostruzione dei flussi operativi è raccomandato. Ad ogni modo anche usando tale
metodo viene richiesta una conciliazione tra utile netto e flusso di cassa in un prospetto separato.
Il principio non fornisce uno schema ma un contenuto minimo per l’area operativa presentata col metodo
diretto, che prevede flussi di cassa legati a:
1. Entrate da clienti
2. Interessi e dividenti ricevuti
3. Altre entrate operative
4. Uscite per lavoratori dipendenti e fornitori
5. Interessi pagati
6. Imposte pagate
7. Altre uscite operative
Se si opta per il metodo indiretto viene specificato che nell’ambito del rendiconto le rettifiche all’utile
netto siano chiaramente identificate come rettifiche e quindi non confuse con flussi di cassa; in relazione ai
fondi rischi e oneri e benefici ai dipendenti ciò implica la necessità di indicare gli accantonamenti come
rettifiche e gli utilizzi tra i flussi di cassa.
Gli interessi incassati e pagati e i dividendi ricevuti devono essere inclusi nell’area operativa e non vi sono
opzioni alternative come nello IAS 7.
I dividendi pagati devono essere inclusi tra i flussi legati alle attività di finanziamento; anche in questo caso
non vi sono opzioni alternative.
La differenza tra il valore di stock di due esercizi successi coincide con il flusso finanziario complessivo
dimostrato dal rendiconto. Questa informazione generale però non risulta di particolare utilità: vi possono
essere aziende che pur presentando un’analoga variazione complessiva di una certa risorsa di riferimento
sono caratterizzate da una dinamica finanziaria ben diversa. Lo scopo del rendiconto è quello di evidenziare
gli impieghi e le fonti di risorse in relazione alle operazioni che le hanno determinate, più che la
determinazione del flusso in sé per sé.
L’interpretazione del rendiconto deve essere focalizzata sulle cause che hanno generato variazioni vale a
dire sull’entità e il segno delle singole classi di flussi finanziari.
Nel linguaggio anglosassone sentiamo sempre più spesso dire “cash is king” o “il flusso di cassa non mente”.
Questo perché ad esempio nel conto economico una serie di grandezze sono largamente soggettive ed è
più facile fare politiche di bilancio piuttosto che alterare valori più oggettivi come il conto corrente, il valore
in cassa o il fatturato. La cassa pertanto è un valore tendenzialmente oggettivo più scevro da alterazioni
soggettive.
Il cash flow è uno strumento per il controllo finanziario della gestione in particolare della tesoreria per
controllare l’andamento della gestione e delle singole sub-unità. Inoltre, serve anche come strumento di
comunicazione tant’è che è obbligatorio per lo IAS7.
- Perché nonostante la crescita del fatturato sta aumentando lo scoperto di conto corrente?
- Ho abbastanza soldi per rimborsare i prestiti bancari secondo le scadenze predeterminate senza
compromettere l’equilibrio finanziario?
- Posso prelevare soldi per esigenze personali e familiari?
- Ho abbastanza risorse da dedicare agli investimenti e allo sviluppo quantitativo e qualitativo
dell’azienda?
Quindi il cash flow può essere utilizzato come strumento di supporto per le politiche finanziarie, fi
finanziamento. Di investimento etc.
Il rendiconto può essere sottoposto ad analisi ed interpretazione con l’ausilio di indicatori dati da
rielaborazioni del documento stesso come:
- I margini o risultati intermedi, dati dalla somma algebrica di due o più flussi
- Il rendiconto finanziario sintetico percentualizzato
- I quozienti
Nella versione di “metodo indiretto” il modello del rendiconto presenta già dei risultati intermedi:
- Flusso del circolante della gestione caratteristica corrente: esprime l’autofinanziamento prodotto
dalla gestione caratteristica corrente, tanto maggiore è il valore di questo margine quanto più
l’azienda risulta autonoma dal punto di vista finanziario rispetto ai soggetti esterni. È da ribadire
che si tratta di un autofinanziamento di capitale circolante netto e non di liquidità.
- Cash flow caratteristico corrente: non segue esattamente la dinamica del margine precedente. È
possibile infatti che vi sia un flusso del circolante molto positivo ed un cash flow caratteristico
corrente negativo; questo perché tale valore è influenzato anche dalle variazioni di capitale
circolante netto (rimanenze, crediti, debiti etc.).
Le variazioni del capitale circolante netto sono legate anche alla lunghezza del ciclo monetario e
quindi alla durata media delle giacenze di magazzino, ai tempi di incasso dei crediti e di pagamento
dei debiti commerciali. Quanto più aumenta il ciclo monetario tanto più si amplia il gap tra flusso
del circolante e cash flow della gestione caratteristica.
- Cash flow investimenti caratteristici: esprime le risorse prodotte o assorbite dalla gestione dei nei
strumentali; di solito questo margine ha segno negativo per l’effetto dei fondi per rischi e oneri
utilizzati e per il fatto che il costo sostenuto per acquistare dei beni strumentali nuovi sovente
eccede il valore di realizzo dei beni dismessi. Il flusso in esame ha segno positivo quando vi è stata
una significativa contrazione dell’attivo immobilizzato oppure i beni dismessi hanno determinato
notevoli plusvalenze.
- Cash flow extra-caratteristico: ci si aspetta un valore positivo in quanto è presumibile che gli
investimenti extra-caratteristici siano volti proprio ad ottenere già nel breve termine delle entrate
finanziarie nette. È prevedibile che nell’esercizio in cui vengano fatti degli investimenti esso sia
negativo e quindi assorba liquidità.
- Cash flow finanziamenti: tendono ad essere positivi se la gestione operativa globale (caratt. Extra-
caratt, corrente e non) manifesta un fabbisogno di finanziamento e negativi se tale area ha
prodotto della liquidità. Dipende anche dalle condizioni e dalle possibilità offerte dai mercati
finanziari e monetari. Infatti, se l’azienda non gode di fiducia da parte delle banche potrebbe
risultare difficile accedere a nuovi prestiti. Vi è una tendenziale correlazione inversa tra questo
margine e quello della gestione operativa globale.
- Cash flow soci: vale sostanzialmente quanto appena detto con riferimento al Cash flow
finanziamenti.
Possiamo stabilire alcune regole auree che possono guidare l’interpretazione del rendiconto finanziario.
Il margine dato dal cash flow caratt. Corrente dovrebbe essere positivo e di incidenza elevata sul cash flow
globale netto. Quanto più è elevato tanto più è soddisfacente.
Per il cash flow degli investimenti il ragionamento può essere contrario rispetto a quello appena applicato;
si ritiene funzionale e fisiologico un flusso degli investimenti negativo perché pur manifestando un impiego
di liquidità può rilevare un’azione di rinnovo o espansione dei fattori produttivi strutturali.
Il cash flow extra-caratt ci aspettiamo abbia segno non negativo infatti tali investimenti hanno proprio la
finalità lucrativa e non strategica.
Sul cash flow dei finanziamenti la situazione è più complessa; esso dovrebbe assicurare l’idonea copertura
finanziaria possiamo allora affermare che il cash flow dei finanziamenti generalmente approssima la
sommatoria del cash flow caratt corrente e quello degli investimenti ma con segno opposto.
Il cash flow dei soci dovrebbe agire in via residuale ossia approssimare la sommatoria di cash flow caratt
corrente, cash flow degli investimenti e cash flow degli investimenti ma con segno opposto.
La prima cosa da osservare è il cash flow caratt corrente: se questo è negativo la risposta è da ritenere
negativa per tutti e tre i quesiti.
In caso di necessità uno di questi fabbisogni potrebbe anche essere colmato ma soltanto con un intervento
“non caratteristico” e non corrente.
Qualora il cash flow caratteristico corrente abbia segno positivo la risposta ai quesiti precedenti viene a
dipendere dall’ammontare di tale flusso.
Se l’importo è superiore al fabbisogno di investimento prelievo o rimborso tutte queste esigenze possono
essere soddisfatte.
Sovente però l’ammontare del cash flow caratt corrente non basta a coprire investimenti etc. in tal caso,
occorre porsi delle priorità in base alle esigenze che si intendono soddisfare per prime.
Nel caso in cui venga data priorità agli investimenti è opportuno determinare un ulteriore indicatore: il free
cash flow ossia la somma algebrica del cash flow caratteristico corrente e del cash flow degli investimenti
caratt.
Letteralmente significa flusso di cassa disponibile per il rimborso di debiti e per il prelievo dei soci.
Altre importante domande sono:
Per l’interpretazione dell’entità e del segno del cash flow caratt corrente possiamo individuare cinque
fattori causali dello stesso, corrispondenti ai singoli addendi dell’espressione che porta alla determinazione
del cash flow con il metodo indiretto:
- Redditività caratteristica
- Costi e ricavi non monetari
- Variazione magazzino
- Variazione crediti commerciali
- Variazione debiti commerciali
I costi non monetari spiegano la differenza tra redditività caratteristica e flusso di circolante, mentre le
variazioni di magazzino, crediti e debiti evidenziano lo scostamento tra flusso circolante e flusso finanziario.
Al fine di ottenere un’immediata percezione della dinamica finanziaria può risultare opportuno
rappresentare i flussi in un apposito prospetto che possiamo definire rendiconto finanziario sintetico
percentualizzato, distinguendo due diverse sezioni, le aree che generano liquidità (fonti) e quelle che invece
la assorbono (impieghi). I flussi vengono rappresentati in classi le cui dimensioni riflettono le relative
percentuali di incidenza sul totale della composizione.
SITUAZONE IDEALE SITUAZIONE DI CRISI FINANZIARIA
INDICI DI CORRELAZIONE
Un terzo strumento di interpretazione è dato dagli indici di correlazione sui flussi finanziari.
Facciamo riferimento a indicatori non ancora molto diffusi nelle nostre aziende.
a) il denominatore ha segno positivo (utile caratt.). In questo caso più è alto l’indici più è alta la
capacità di generare liquidità. Se l’indice è negativo vuol dire che la gestione del circolante produce
un elevato fabbisogno finanziario.
b) il denominatore ha segno negativo (perdita caratt.). Se l’indice è positivo (quindi anche il cash
flow operativo caratt è negativo), quanto più aumenta il valore dello stesso tanto peggiore è il
giudizio sulla situazione finanziaria dell’azienda. Se invece l’indice è negativo ossia l’azienda
nonostante una perdita operativa riesce ad avere un cash flow positivo allora il giudizio è
soddisfacente e migliora al diminuire del valore dell’indice, ossia all’aumentare del suo valore
assoluto.
Quando l’indice assume valori negativi significa che vi è stata una divergenza tra la dinamica
reddituale e quella finanziaria.
Al fine di individuare le cause che hanno generato un valore negativo, l’indice può essere
scomposto in due indicatori: l’indice di autofinanziamento e l’indice di conversione in liquidità dei
flussi di capitale circolante netto. Il primo è ottenuto dividendo il flusso di capitale circolante netto
caratteristico per il reddito operativo ed evidenzia la capacità del reddito operativo di trasformarsi
in flusso di circolante. Tale indicatore è determinato da ammortamenti, accantonamenti etc. cioè
costi non monetari.
Il secondo rappresenta la capacità del flusso di circolante di convertirsi effettivamente in moneta
ed è influenzato dalle scorte in magazzino dai crediti e dai debiti commerciali.
- Indice di autofinanziamento
Si ottiene dal rapporto tra il flusso di circolante della gestione caratt corrente con il reddito
operativo caratt. Si differenzia dall’indice precedente in quanto non prende in considerazione la
dinamica delle componenti del capitale circolante netto operativo e quindi non misura la liquidità
del reddito operativo caratteristico ma solo la capacità di autofinanziamento, ovverosia la capacità
di accrescere il capitale di finanziamento dell’azienda senza ricorrere a fonti esterne.
Anche in questo caso il giudizio dipende dal valore assunto dal denominatore:
a) se il reddito operativo caratt è positivo (utili caratt.), l’indice dovrebbe preferibilmente assumere
un valore superiore all’unità