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VIAGGI

PSICHEDELICI

Andrash
©2010 by Andrash
Prima edizione Ottobre 2010

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PREFAZIONE
di Massimiliano Palmieri

Cos’è lo stato di coscienza? Cosa produce lo stato di


coscienza? Cosa è prodotto dallo stato di coscienza?
E soprattutto, cos’è la coscienza?
Ai primi tre quesiti, studiosi di diverse discipline danno
risposte, uniformi, dissimili, contrastanti, varie,
fantasiose, scientifiche e non, ma la risposta all’ultima
domanda forse l’uomo ancora non la possiede e
forse la sua affannosa ricerca cui tendono ancora
diverse discipline della scienza moderna ha indirizzato
l’uomo verso il sentiero sbagliato.
Attraverso la ragione, il raziocinio, la logica
(cartesiana), l’essere umano si promette di spiegare il
mondo e venire a capo di quel che l’occhio vede, di
quel che il suo cervello pensa.
E’ probabile che il perché, dopo le numerosissime
conquiste scientifiche effettuate dall’uomo, ancora
egli non sia giunto a scoprire cos’è davvero la
coscienza, possa risiedere nel fatto che questi si
prefigge di studiare un concetto che non è riducibile
entro i canoni del rigore scientifico.
La coscienza ci appartiene, è personale e senza il
cervello non potrebbe esistere, tuttavia è anche al di
fuori di noi, sopravvive a volte dopo che il cervello ha
perso la vita e può andare molto al di là del
personale, venendo ad includere quella di altri esseri
umani, e di altre forme di vita, anche non basate sulla
biologia, fino a toccare i confini di quella che viene
chiamata “coscienza universale”, che santi, asceti,
mistici e guaritori d’ogni tempo ben conoscono per
averla, pochi di loro, intravista o, molti di loro averne
anelato l’incontro per tutta una vita.

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Lo stato di coscienza che noi unanimemente
definiamo “normale” in realtà non esiste; noi
sperimentiamo diversi stati di coscienza durante tutto
il giorno, dal sonno, al sogno, allo stato di veglia che
al suo interno però comprende diverse oscillazioni
della vigilanza venendo anche ad includere
fenomeni spontanei di estasi e trance profonda.
L’uomo, in quanto rappresentante del genere
umano, possiede nel suo essere tale la potenzialità di
sperimentare modifiche della coscienza che non di
rado attraversano esperienze che vanno ben al di là
di quel che una mente logica può spiegarsi con
parole o pensieri.
Fin dall’età della pietra antica, ossia dal Paleolitico,
l’uomo utilizzava la sua coscienza per entrare in
contatto con dimensioni “altre” al fine di curare,
ricevere informazioni, prevedere ed influenzare le
condizioni climatiche, a scopo divinatorio, etc.
Egli non aveva bisogno di nessun tipo di strumento
poiché il suo stato di coscienza di base (per
comodità s’indica la media delle fluttuazioni della
coscienza nello stato di veglia) era già in quella che
oggi chiameremo coscienza modificata; si trovava in
costante connessione con l’ambiente in cui viveva,
con piante, animali e minerali, ed il suo rapporto con
gli elementi, il Sole, l’Aria, l’Acqua e la Terra era
diretto e questi ultimi erano le forze cui egli chiedeva
aiuto proprio attraverso la capacità cui una
coscienza espansa permette di poter mirare.
La sua attenzione era totalmente de-focalizzata, nel
senso che i suoi sensi erano coinvolti nel raccogliere
segnali d’ogni tipo dalla natura; i cosiddetti Sciamani
si pensa ebbero origine da questo periodo.
Mano a mano ch’egli progredì nello sviluppo, la sua
attenzione venne sempre più catturata da attività
che la sottrassero a questo contatto con l’ambiente

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intero.
Alcuni studiosi ipotizzano che sia stato proprio
l’addomesticamento del fuoco che costrinse l’uomo
a ritirare i raggi della consapevolezza dalle forze della
natura.
Come a dire che l’imbrigliamento del fuoco se da un
lato ha portato ad innumerevoli conquiste, dall’altro
ha preteso una pagamento in termine di una quota
di consapevolezza perduta.
Fu così che l’uomo iniziò ad avere bisogno di
strumenti per espandere la propria consapevolezza e
pervenire a quel tipo di contatto con la natura, che
prima era quotidiano e da questa ricevere
insegnamenti, aiuto ed informazioni.
Fu il Tamburo la prima cavalcatura in grado di far
viaggiare l’uomo.
Dopodiché, mano a mano che il progresso andava
avanti inesorabile, solo pochi destinati furono in
grado di entrare in questi stati, con l’ausilio del
Tamburo o di altri oggetti rituali essenziali per produrre
un ritmo, come sonagli, cereali, battenti, etc.
Così, mentre l’uomo comune progrediva nelle sue
scoperte, alcuni individui (sempre meno) mantennero
questa possibilità di contatto con l’invisibile,
l’ineffabile ed il divino; pur essendo questi individui
diversi per un verso dagli altri, dall’altro hanno in
comune con tutto il resto del genere umano la
potenzialità di sviluppare questo tipo di
comunicazione.
Ad un certo punto, che si può far certamente risalire
all’età storica dell’uomo e che però può essere
ipotizzabile far risalire molto, ma molto più indietro,
l’uomo incontro i vegetali “psicoattivi”.
E non solo, tra l’elenco praticamente infinito di
vegetali psicoattivi (che agiscono sulla psiche, ma
del cui effetto non si tiene conto in una classificazione

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del genere), ce ne sono alcuni che oltre a questa
caratteristica possiedono quella di “permettere alla
mente di manifestare sé stessa”, la sua essenza; questi
sono i vegetali “psichedelici” (lett.te: che permette
alla mente di manifestarsi).
La categoria si restringe dunque; all’interno di
quest’ultima solo pochi possiedono una caratteristica
che li pone in un ordine a parte, sono gli “enteogeni”,
quelli che permettono la “genesi della divinità che è
in ognuno di noi” (en-dentro, teo-dio, geni-
generatore)
Attraverso la loro ingestione gli fu possibile quindi
ottenere comunicazioni con il sovrannaturale,
divinare, curare ed in definitiva vivere.
Non sappiamo con cosa nutriva la sua coscienza
l’uomo preistorico, ma dall’età storica ci sono arrivate
informazioni teoriche e pratiche circa l’utilizzo di
numerosi vegetali di tal sorta, primi fra tutti quelli più
conosciuti come il cactus Peyote del Messico, il San
Pedro della zona andina dell’America Latina, i funghi
Psylocibinici praticamente ubiquitari, l’Ayahuasca
delle regioni amazzoniche.
Questi i maggiori il cui uso si è conservato ancora ai
nostri giorni, custodito spesso in ritualità di tipo
sciamanico che derivano il loro essere da millenni
addietro.
Accanto a questi ne esistono numerosissimi minori
perché meno conosciuti, ma altrettanto validi e sacri
come i loro fratelli maggiori.
E’ il caso della Salvia Divinorum del Messico, della
Datura che cresce dappertutto nel modo, del
Tabacco, della Cannabis, dell’Iboga dell’Africa Nord-
Occidentale o dell’Amanita Muscaria, il fungo che
solevano usare gli Sciamani della Siberia; l’elenco
sarebbe lunghissimo.
Con l’acquisizione delle competenze adeguate, dai

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primi alchimisti ad oggi, l’uomo ha dapprima appreso
ad estrarre i principi attivi di tali sacri vegetali, e poi a
crearne di nuovi, totalmente sintetici.
Tra i primi troviamo la Mescalina, la Psilocibina, la
DMT, il Salvinorin, il THC, l’Ibogaina, etc., mentre nel
gruppo dei secondi rientra di sicuro la Ketamina e
l’LSD (anche se questo è di tipo semi-sintetico,
derivato cioè da rimaneggiamenti chimici di
materiale vegetale).
Forse parallelamente, l’uomo apprendeva dalla sua
scienza che la coscienza poteva essere modificata in
numerosissimi modi oltre all’utilizzo del Tamburo e dei
vegetali enteogeni.
Ecco che il panorama dei mezzi per incontrare il
proprio sé superiore, il divino o esplorare le origini
della coscienza si amplia, e di molto.
Il digiuno, l’isolamento, l’ipostimolazione o al contrario
l’iperstimolazione e il dolore vennero usati soli o
combinati con i vegetali per produrre visioni, stati
mistici e viaggi nell’altrove sempre però allo scopo di
ritrovare quel filo comune che lega l’uomo, divenuto
ormai quasi moderno, al suo lontano antenato del
Paleolitico; questo filo è la necessità di connettersi al
sacro, entrare nella dimensione del trascendente e
tornarne arricchito, per sé e per la propria comunità.
La sintesi oggi della scienza e di conoscenze antiche
ha prodotto strumenti che amplificano questi mezzi
naturali per esplorare le potenzialità della mente
umana che trascende sé stessa.
E il caso della vasca di restrizione sensoriale, della
respirazione olotropica o di altre metodiche
integrate.
L’elenco dunque è vasto, seppur sempre incompleto
ed approssimativo, ma permette di capire come
l’uomo nel corso dei millenni abbia tentato e tenta di
ritornare, seppur ora solo momentaneamente a

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quella condizione di imprescindibile unità con il
creato, seppur ora a tratti celata dalla cosiddetta
ricerca interiore o esasperata dal consumo di
sostanze da sballo.
Si potrebbe azzardare l’ipotesi di una filogenesi
(processo di ramificazione delle linee di discendenza
nell'evoluzione della vita) enteo-genica che però è
proceduta nel senso contrario, cioè andando
perdendo mano a mano quote della propria
coscienza, ma venendo ad acquisire metodiche per
accedere temporaneamente a questi stati; come
una sorta di programmazione interna che attraverso
vie misteriose (non si dice forse che Dio agisce spesso
per vie misteriose?) ci porta al punto da cui siamo
partiti.
Il dato per me curioso è che lo sviluppo ontogenetico
(l'insieme dei processi mediante i quali si compie lo
sviluppo biologico del singolo essere vivente) ricalca
fedelmente quello “filogenetico enteogenico al
contrario” ipotizzato qui, poiché quando veniamo al
mondo siamo molto più ricettivi e la nostra coscienza,
seppur non ancora supportata da capacità cerebrali
mature, è molto più aperta e disposta a ricevere
segnali.
Mano a mano che cresciamo, attraverso i
condizionamenti dell’ambiente in cui viviamo, la
nostra possibilità di ottenere ciò viene gradualmente
meno, fino a scomparire spesso del tutto; solo però la
possibilità, non le potenzialità !
Nel corso dello sviluppo dell’essere umano, la cultura
ha, a seconda dei tempi, modellato la duttile creta
della coscienza, plasmandola secondo quel che essa
“doveva” essere in grado di accettare e secondo
quel che era ritenuto accettabile al tempo.
Fu così che in tutto il mondo, con modalità differenti,
queste persone vennero perseguite perché diverse,

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perché non comprese fino in fondo e perché
sostanzialmente pericolose per un ordine mantenuto
attraverso l’addome-sticamento di un animale che è
in origine selvaggio, la coscienza stessa !
Sciamani, streghe, stregoni, indovini, medium,
guaritori, santi o semplici persone che erano in
contatto con qualcosa di enormemente più grande
di loro, vennero accusati di sovvertire l’ordine stabilito
o più ipocritamente imputati d’altro come prova per
la loro colpevolezza e quindi messi al bando o
considerati pazzi visionari nel migliore dei casi, ed
uccisi nel peggiore, relegando comportamenti di tal
sorta in un limbo che oggi ha smarrito molte delle sue
tracce natie.
Nel mondo post-moderno qual è quello in cui viviamo
oggi, in alcune regioni esotiche della Terra, resistono
tradizioni di tal sorta rimaste immutate, ma ciò che
forse sfugge all’individuo comune è che anche il
mondo cosiddetto civilizzato pullula di persone che
spingono la ricerca del contatto primigenio con la
natura della coscienza ai massimi livelli, certamente
con i mezzi che hanno a disposizione, dati dalla
scienza, ma anche riappropriandosi di metodiche
antiche come l’uso dei vegetali entogenici.
Spesso in modo inconsapevole, altre volte dopo una
ricerca matura, con spessa cognizione gli
“psiconauti” di oggi si spingono oltre le soglie di
quella illusoria realtà che circonda le nostre persone
e che è frutto della elaborazione dei sensi (i 5
classici).
Lo psiconauta, o per lo meno colui che lo rimane
tutta la vita, inizia una ricerca mosso inizialmente da
una spinta, sia essa ludico-voluttuaria o della natura
più sacra, verso la sorgente della coscienza e
sperimenta a volte colla consapevolezza del terrore
che proverà nel solo pensiero d’incontrarla.

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A parer mio questo termine bene esprime la
propensione e la pratica di viaggi in regni altri, sia
praticati in modo del tutto inconsapevole e
selvaggio, dal raver che in discoteca assume LSD, o
dallo Sciamano che chiede, attraverso
l’intermediazione dell’Ayahuasca, l’aiuto agli spiriti
delle acque per la cura di un suo paziente, fino ad
arrivare a chi consapevolmente conosce entrambi
questi lati, per averne fatto esperienza, e ne fa propri
gli angoli che più gli si confanno: l’unica clausola, per
me imprescindibile, all’accettazione del termine
psiconauta è che la psiche-coscienza debba essere
intesa solo come un apparato in grado di ricevere
qualcosa che con o senza di lei esisterebbe
comunque; un dispositivo fedelmente interconnesso
ai primordi della vita, fin dal suo esistere che a questa
è legato, sempre.

Le pagine che seguiranno rappresentano bene un


connubio di tal tipo; uno, anzi più tentativi d’indagare
attraverso l’apertura della propria mente, qualcosa
che trascende la normale esperienza dei sensi.
Di volta in volta saranno i magici funghi psilocibinici,
la Salvia del veggente, la Ketamina, la Marijuana, la
DMT, la vasca di restrizione sensoriale o questi
dispositivi combinati insieme che sottoporranno il
lettore ad un esame curioso della realtà che incontra
pagina dopo pagina.
L’autore, caro amico e collega di esplorazioni,
descrive in un linguaggio chiaro e diretto alcune sue
esperienze di viaggio negli infiniti reami della mente, i
cui confini però vanno molto al di là della materia su
cui questa s’inserisce.
Ecco che la comunicazione con entità superiori, con
il concetto d’immanente, di Dio, si fa immaginabile.
Nel corso della lettura non sarà difficile scorgere una

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maturazione personale circa il modo d’affrontare
questo tipo di esperienze e gli insegnamenti da
queste tratti.
Il titolo scelto dall’autore, “Viaggi Psichedelici” non
deve trarre in inganno.
Non si tratta di viaggi fine a sé stessi, voluti per tuffarsi
in regni caleidoscopici fatti di colori cangianti e
mutaforma, sebbene ciò spesso accade, ma di
consapevoli escursioni all’interno della propria
coscienza che, lungi dall’essere solo “la” meta, viene
intesa qui come mezzo attraverso cui è possibile ri-
sperimentare quella condizione unitiva che alla
nostra nascita, così come alla nascita del genere
umano, caratterizzava le percezioni dell’uomo circa
l’ambiente esterno e la natura.
Come già visto nella prima parte di questa
introduzione, l’uomo non può sottrarre sé stesso alla
ricerca interiore, può solo sceglierne i mezzi o
rifiutarne i dolori; ecco che o si è disposti ad
affrontare consapevolmente scelte che ti porteranno
ad essere una persona diversa, forse migliore, forse
più sola, oppure quel che resta è conformarsi alla
massa e non rammaricarsi mai di non aver
conosciuto quel che Blake nominava sia “Paradiso
che Inferno”: la dualità infinita dell’essere umano
nella sua interezza.
Tralasciando questioni di natura legale, per me
assolutamente arbitrarie, piene d’ipocrisia e
d’ignoranza, che impediscono a chi cerca una via
come questa per espandere la propria
consapevolezza, come ripeterà anche l’autore,
questi scritti non vogliono assolutamente spingere
all’uso di sostanze e/o preparati vegetali, anzi forse il
lettore ravviserà nelle pagine che seguono segnali
che lo sconsigliano ad intraprendere tali strade, quel
che egli ha voluto è stato solo riportare la propria

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esperienza intima ed umana, non progettata per la
condivisione, ma proprio per questo ancora
maggiormente veritiera e piena di senso, perché non
inquinata dalla ragione di esporre in senso
maniacalmente chiaro le parole.
Scorrendo le pagine, parola dopo parola, è possibile
cogliere lo spirito del viaggiatore di mondi lontani,
destato in interesse e spinta ad ogni suo passo dagli
stessi propri passi e da quelli che fin dagli albori del
genere umano muovono le medesime membra verso
la ricerca.
A volte al lettore sarà difficile seguirne il filo, mentre a
volte sarà così chiaro da essere disarmante; in ogni
caso alla fine le emozioni non esiteranno a far
capolino e destare l’interesse su di un argomento
sempre più spesso visto meno di nicchia rispetto a
tempo fa, anche se ancora considerato nel modo
sbagliato.
Come un cammino spirituale, come peregrinare
verso lidi distanti, come l’assaporare, con il piacere
della ri-scoperta, un cammino che è proprio o come
pura sperimentazione di sé e dei propri limiti fisici e
non, questo testo si presta ad essere letto con diversi
occhi, seppur sarà difficile non esserne interessati ed
affascinati.
E’ l’esame critico di Sé stesso che, per mezzo della
chimica vegetale e/o sintetica, viene presentato in
questo testo, ciò che viene visto come una
scorciatoia dettata dai ritmi veloci dei tempi moderni
che a torto, a mio avviso, numerosi rivendicano come
puro edonismo poiché breve ed effimero ma, il
camminare diritto lungo un sentiero fatto di
immersioni negli abissi ed ascese verso le vette, nulla
invidia all’avventura di asceti, santi e sciamani che
fanno patrimonio dentro di sé dell’umana eredità
tutta.

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INTRODUZIONE

Questo libro è una raccolta dei racconti delle


esperienze psichedeliche che ho vissuto dal 2001 al
2004, per mezzo di differenti sostanze usate per
l’alterazione degli stati di coscienza.

L’idea portante dietro queste esperienze è che la


coscienza umana che normalmente possediamo sia
solo una piccola parte dello spettro umanamente
sperimentabile, e che tramite l’uso di certe chiavi
specifiche, le porte della mente possano aprirsi su
scenari ben più vasti dell’ordinario.

La tradizione associata a questo tipo di esperienze


vanta personaggi illustri come Beaudelaire, Rimbau e
altri poeti o scrittori che usavano le “droghe” come
porte di accesso ad esperienze estetiche ed
artistiche, ma nel mio caso specifico i riferimenti
culturali erano Castaneda, Hoffman, Leary,
McKenna, Lilly, tutti esploratori della coscienza che
hanno aperto un varco verso un mondo sconosciuto
che abita dentro di noi. Mi ha sempre attratto un
approccio scientifico alla domanda: cosa è la
coscienza?

In particolare l’inizio della mia sperimentazione fu


indotto dalla lettura dell’opera di Castaneda e del
suo incontro con le piante sacre per opera dello
sciamano Don Juan, nei territori desertici del Messico.

L’incontro con le pagine di Castaneda ebbe su di me

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l’effetto propulsivo che mi spinse ad affacciarmi con
stupore sul mondo degli psichedelici, stimolandomi a
studiarne uso ed effetti in maniera molto
approfondita prima di poter anche solo ipotizzare di
poterne fare esperienza. Tutto ciò che leggevo però
mi riempiva di enorme fascinazione, perché mi
parlava di una realtà ben diversa da quella che fino
a quel momento conoscevo, che era basata sulle
riduttive leggi della tridimensionalità e della
materialità. Il mio spirito invece anelava a vagliare
l’ipotesi di andare in un “oltre” di cui sentivo la
possibilità.

Fu in occasione di un viaggio in Messico nel 2001 in


cui si profilò la possibilità di incontrare per la prima
volta i funghi sacri. Avevo letto tutto il possibile su
questo tipo di esperienza e avevo le idee abbastanza
chiare su quali erano i parametri entro i quali poter
condurre in sicurezza un’esperienza del genere.
Anche se non avevo mai immaginato che
l’alterazione della chimica cerebrale potesse dare
luogo ad uno stravolgimento così straordinario della
percezione della realtà.

Fu così che con buona dose di incoscienza, intrapresi


il mio primo viaggio psichedelico. A questo primo
viaggio ne sono seguiti altri cinque a base di funghi,
mentre a questi si sono aggiunte altre esperienze
fatte con marijuana, ketamina, salvia divinorum, DMT.
L’intento è sempre stato quello di portare avanti una
ricerca sull’espansione della coscienza e vedere
come questa interagisce in modo diverso con
sostanze differenti. Inoltre a questa ricerca si è
aggiunta la necessità spirituale ben più profonda di
sondare le realtà più alte a cui l’essere umano può
accedere, per poterne cogliere così quelle leggi che

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le rendono accessibili. Mai si è palesata alla mia
mente l’idea di fare uso di queste sostanze solo per
“sballo” o per fuga dalla realtà, per sopperire a
mancanze o rifugiarmi in paradisi artificiali nei quali
annullare il dolore di questa esistenza. La mia pulsione
primaria è sempre stata quella di sondare le
profondità della mente umana e di poter
comprendere meglio i meccanismi che ne regolano il
funzionamento. Ma non solo. Comprendere la mente
umana e la coscienza, vuol dire arrivare a
comprendere anche la loro origine. Chi ha creato la
mente? Da dove deriva la coscienza? L’uso di queste
sostanze mi ha spinto in territori dove le risposte a
queste domande si tingono di mistico.

I racconti di queste esperienze sono stati scritti


sempre nella fase immediatamente successiva
all’esperienza, in modo da poter ricordare e fermare
su carta ogni sfumatura dell’esperienza stessa,
nonostante per loro natura, i contenuti associati a
questo tipo di esperienze siano volatili ed
estremamente difficili da descrivere. La mente
umana e il suo vocabolario, perdono
immediatamente efficacia nel momento in cui
devono fermare su carta sensazioni che attraversano
e mischiano fra loro sfumature e possibilità inusuali,
inedite. Il nostro linguaggio è tarato per comunicare
stati ordinari di coscienza, mentre quando si varca la
soglia, ogni vocabolo sembra inaridirsi di fronte ad
una ricchezza esperienziale senza confronti. I colori
diventano suoni, i suoni diventano musica, la musica
forma delle immagini. I pensieri esplodono, le
emozioni decollano. E di fronte a certi stati, la mente
ordinaria non può che cercare di costruire castelli di
parole per poter comunicare anche solo un misero
frammento di certe verità rivelate.

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VIAGGI PSICHEDELICI

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Prima esperienza psichedelica con i funghi
10 agosto 2001

La mia prima esperienza di viaggio allucinogeno si è


consumata a San Cristòbal de Las Casas, in Chiapas.
Ho trovato una buona quantità di Psilocibe, credo
della varietà Mexicana. Dopo esserci procurati della
marmellata di fragola per attutirne il gusto, e del
succo di mela e patatine per il "ritorno", io e la mia
compagna di viaggio abbiamo cercato un posto
isolato all'aperto per consumare i funghi. La chiesa di
San Cristòbal è in cima ad una collina boscosa,
anche se il posto non è eccezionale, questo ci
permette di essere abbastanza isolati, a parte la
presenza di due cani. Ci sediamo su un tappeto di
aghi di pino, tutt'intorno è abbastanza sporco,
cartacce, buste, plastica. Inizia il rito, non senza una
leggerissima ansia. Ma per lo più siamo tranquilli.
Prendo un fungo mediamente secco di diametro di
circa 3 cm, lo intingo nella marmellata e lo mastico.
Poi passo il tutto alla mia compagna che mi siede a
destra. Anche lei ne prende uno, poi un altro io, e
così via fino a che io non ne assumo quattro e lei tre.
Inizia l'attesa. I primi minuti sono abbastanza tesi ad
osservare i cambiamenti di percezione, che non
essendo ancora presenti, mettono in uno stato di
costante agitazione, poiché la suggestione inizia ad
ingannare gli occhi. Nell'attesa mi sono sdraiato sulla
schiena, e l'ultima cosa che mi ricordo prima di
partire, oppure il primo segno che il viaggio è iniziato,
è stata la mia domanda: "Ma sembra anche a te così
azzurro questo cielo?". Dopodiché tutto è stato
talmente rapido, veloce e pieno di significato che
riuscire a riportarlo fedelmente e interamente è
un'impresa assai ardua in cui vado a cimentarmi.

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Proprio davanti a me c'è un albero e la sua corteccia
è spaccata e rugosa. Ed è viva. Si muove con
piccolissimi movimenti locali, come se ogni piccola
particella sia animata. La trovo assolutamente
affascinante. Il terreno coperto di aghi di pino
diventa una superficie di filamenti che scorrono gli uni
sugli altri con movimenti ad onde in avanti e indietro.
Sento un forte desiderio a cibarmi di ogni visione
perché so che tutto adesso mi apparirà diverso. La
prima cosa che mi trovo davanti sono le mani, le fisso
un po' e diventano traslucide, di consistenza
lattiginosa. Vedo le vene bluastre dentro alla massa,
e percepisco i globuli rossi che scorrono dentro di
esse come un turbinio di palline microscopiche. Mi
impressionano a tal punto che decido di cambiare
vista, spinto dal reale impulso a guardare altrove.
Guardo sul terreno vicino a me. E' come una massa di
lombrichi che si muovono, vermi scuri e lucidi. Non mi
piace, cambio visione. Credo di essermi sdraiato a
terra a occhi chiusi e sono stato rapito da un libro
fantasy. Sono stati attimi, ma ho percepito i luoghi e i
personaggi fantastici di Tolkien. Credo fosse una
specie di cavalcata in carovana su qualche deserto,
ma in un tempo remoto e in chissà quale territorio. Poi
sono strappato alla compagnia dell'Anello da un urlo
violento che ha rotto la visione. La mia compagna di
viaggio si era trovato sulla mano un verme peloso
nero. Reale. Ne ho il ricordo perché prima della
partenza ne avevo visto uno anch'io. Lei me lo
mostra, e poi me lo scaglia su una gamba. Non mi
frega niente del verme, voglio tornare alla mia
visione, le dico che voglio stare da solo, non voglio
interferenze. Decido di alzarmi per allontanarmi da
lei, ma mi chiedo se posso farlo. Effettivamente è
facile, non mi sento limitato nei movimenti, anche se
la mia percezione del corpo è diversa. Come se

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muovessi il mio corpo tramite dei fili. Inizio a girare su
me stesso, vedo gli alberi scorrere vorticosamente
intorno a me, è una sensazione molto forte, e mi
siedo, non molto lontano. Mi raggomitolo su me
stesso, le gambe abbracciate al petto, e sparisco in
un mondo di visioni colorate. Linee fluorescenti che
muovendosi lasciano tracce seguendo delle
misteriose geometrie. Di nuovo la voce di lei, mi
riporta alla realtà (quale?). Mi dice che sta iniziando
a piovere. Me ne accorgo. Decidiamo che è meglio
tornare a valle. Mi sembra assolutamente plausibile
riuscirci. Mi incammino verso la parte da cui siamo
venuti, anche se non riconosco un sentiero, ma mi
muovo molto velocemente. Ci rendiamo conto di
aver sbagliato, perché ci sono delle mura di case
che ci ostacolano il cammino. Torniamo un pezzo
indietro, lei si mette avanti. Io mi guardo intorno
correndo. Sono circondato da un oceano di piante
verdissime con le foglie a forma di cuore. Si muovono
tutte nel vento, e si generano alcuni processi
interessanti. Intanto mi rendo conto che prima non le
avevo viste, e più che pensare ad una vera
allucinazione, penso semplicemente che non
eravamo passati di lì, e lo stato alterato andava solo
ad influire sulla percezione del colore e del
movimento d'insieme. Però un attimo dopo mi trovo
nel vento, e vedo la pioggia come dei fili argentati
che cadono su di me sibilando come una tempesta
di aghi ghiacciati. E' questo il primo istante in cui mi
rendo conto veramente di quello che sto vivendo. E
di quanto l'alterazione sia un processo molto più
complesso di alcune semplici visioni. Usciamo dal
sentiero e ci ritroviamo sulla scalinata che porta da
una parte alla chiesa, e dall'altra in città. C'è un
bambino che si sta riparando sotto un albero proprio
nel punto da cui sbuchiamo noi. Ci sente e si gira a

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guardarci. I nostri occhi si incrociano. Vedo uno
sguardo spaurito e indifeso e dall'altro lato mi vedo io
come un pazzo che sbuca da questa strana
boscaglia. Sento come le domande del bambino
che rimane incuriosito da questi strani personaggi
che corrono e sorpassandolo procedono giù nella
pioggia, incuranti. Scendendo le scale avverto la
pioggia in maniera più diretta, ma non riesco a
capire se è veramente forte, o se è per via
dell'alterazione. C'è gente che si ripara sotto un
balcone, mentre noi corriamo in mezzo alla scala. Lei
davanti mi grida qualcosa tipo: "Ma che scemi a
correre sotto la pioggia!" e io penso che lo dice per
non sembrare troppo alterata a quelle persone. Che
io stranamente percepisco come italiane, anche se
non so perché, forse per via di alcune parole che la
mia mente ha registrato senza renderle coscienti.
Come se attuassi un processo cognitivo istantaneo.
Le rispondo che invece è fantastico stare sotto la
pioggia, in fondo è solo acqua. Arriviamo in fondo
alla scalinata, ci fermiamo sul marciapiede, vicino ad
un muro. Io sento la presenza di qualcuno dietro di
me, come se fossimo un gruppo. Mi giro, ma non c'è
nessuno. Cerco di attraversare la strada. La
coscienza mi dice di stare attento, perché potrei fare
un errore di valutazione delle distanze delle
macchine che passano. Lo dico a lei, ma non mi
sembra di essere così alterato. In ogni caso aspetto
che tutte le macchine che vedo siano passate. E
intanto guardo le gocce di pioggia disegnare
cerchietti sulla superficie di una pozzanghera. E'
fantastica. Attraversiamo correndo e proseguiamo su
un altro marciapiede. Avverto un euforia crescente in
me, e rido. Il mondo esterno è solo un tunnel in
movimento mentre corro, non ne ho la reale
percezione, sento solo una profonda e gioiosa

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felicità. Facciamo un bel pezzo di strada, e ad un
certo punto mi rendo conto di non sapere dove sono.
Non solo nel senso che mi sono perso. Non so proprio
in quale parte del mondo mi trovo. In che città o
paese. Non ho memoria del viaggio, non so come
sono arrivato lì. Ma questo non mi importa molto, solo
che lei deve andare in bagno. Intorno tutto è
coloratissimo, come prescrive l'architettura tipica di
questa città. Sbuchiamo su una strada. Non capisco
ancora che posto è, ci fermiamo ad un angolo. Ci
sono altri turisti, ci guardano strano, probabilmente
perché noi iniziamo a ridere come matti e ci
buttiamo addosso alla parete quasi perché non ci
reggiamo in piedi dal ridere. Cerchiamo però di darci
un contegno, mi viene in mente che potrei essere
arrestato in fondo. Non che la cosa mi turbi molto al
momento, ma ho la coscienza di essere un vero e
proprio "fattone", come uno di quelli che spesso mi è
capitato di incontrare. Ne condivido la felicità e
l'entusiasmo, e capisco perché uno abbia il desiderio
di provare questi stati, tutto è assolutamente
fantastico. All'improvviso riconosco la @ di un internet
café. In un barlume di coscienza capisco dove sono,
non lontano dallo zòcalo, la piazza principale della
città, in cui si trova il nostro albergo. Sbuchiamo su
una piazza molto grande mai vista, ma non capisco
dove siamo. Sembra come un quadro di De Chirico,
delle arcate azzurre, molto metafisico. Arriviamo allo
zòcalo, ma non capisco da quale lato. Seguo lei che
sembra avere le idee più chiare di me. Intreccio
velocemente gli occhi con una signora indigena,
forse mi attraversano velocemente i suoi pensieri che
sanno di spesa appena fatta, e mi soffermo un istante
sul parafango di un maggiolone rosso bagnato di
pioggia. Arriviamo al centro della piazza. Mi sembra
di essere a Parigi, la gente intorno mi sembra tutta

23
felice. Lei si ferma all'improvviso: "Non ci sono, non ci
sono. Non sono io." "E' così, è sempre stato così, è
normale, solo che tu non lo sai." È stata la mia
risposta. Attraversiamo la strada, corriamo sul
marciapiede verso l'albergo, il pavimento è
piastrellato ad esagoni. Entriamo nella hall.
Cerchiamo di fare i seri e contenerci. Chiedo la
chiave, una donna me la da, non riesco a trattenermi
dal ridere e mi giro di corsa per imboccare la porta
della camera che è proprio di fronte. Infilo la chiave
al volo e ci serriamo dentro. L'interno è molto buio,
illuminato da una fioca luce gialla. Lei si leva i vestiti
bagnati, penso che è una buona idea e faccio lo
stesso. Sono, in effetti, fradici. Cerco di levarmi le
scarpe, è difficilissimo capire come funzionano i lacci,
ma ci riesco. Mi butto sul letto. Non mi ero accorto
che il copriletto fosse tanto bello. Ci sono dei fiori
arabescati che si muovono cambiando colore.
Strepitoso. Ci faccio scivolare una mano dentro e mi
fondo con essi. Poi mi rialzo in piedi sul letto. Anche il
pavimento è fantastico le mattonelle verdi sono a tre
dimensioni. Tutta la stanza mi sembra invasa di luce e
sento in me ancora una persistente sensazione di
euforia. Poi all'improvviso mi sembra di stare ad una
festa di amici in California. Solo che non ci sono mai
stato nella realtà. Ed è pieno di gente, musica,
frastuono. Molte persone che ballano, che ridono e
bevono. Sto parlando con qualcuno e mi sto
divertendo un sacco. Tutti i suoni sono amplificati ed
è come se avessero un'eco. Forse è per via di questa
sensazione di ripetizione di ogni singolo suono che ho
l'impressione di una moltitudine di persone. In realtà
devono essere le voci delle persone fuori dalla
stanza, nella reception dell'albergo.
Ho voglia di sentire della musica, per vedere che
effetto fanno i suoni. Riesco a prendere il lettore cd, e

24
scelgo i Radiohead che mi sembrano appropriati allo
stato in cui sono, ma ne ascolto pochissimo, alla fine i
suoni non sono così interessanti, o forse sono troppo
complessi da decifrare. Preferisco concentrarmi sulle
visioni.
Ogni tanto, nel mezzo delle mie visioni, ho dei lampi
di coscienza in cui la comprensione delle cose si
allarga. Ho come l'impressione di essere entrato nella
cultura psichedelica di cui adesso capisco le leggi e i
meccanismi. Capisco l'esigenza delle persone che
vogliono entrare in questi stati alterati, perché tutto è
meravigliosamente diverso. Pur essendo sempre stato
così. Mi sembra quasi che è da sempre che la mia
coscienza abita in questa regione, e solamente
adesso io me ne renda conto. Successivamente mi
appaiono sequenze di immagini di feste o serate in
discoteca, scene del passato. Comprendo i motivi
dello 'sballo'. Adesso mi è tutto chiaro. Mi tornano in
mente i racconti che mi erano stati fatti sugli
allucinogeni, e adesso capisco il senso esatto di
quelle parole. Poi penso al rapporto fra gli artisti e le
sostanze allucinogene, ne colgo il potenziale
creativo, e il senso dell'arte come mezzo per riportare
alla realtà normale la realtà alterata, traducendone i
contenuti secondo i mezzi comuni. Mi viene l'istinto di
registrare tutto ciò che sperimento, per paura di
potermelo dimenticare. Mi spaventa l'idea di poter
dimenticare queste sensazioni e comprensioni
fortissime. Prendo la macchina fotografica, riesco a
capirne il funzionamento, svitando filtri e regolando le
sue funzioni. Scatto a caso, senza neanche
inquadrare. Non importa cosa viene immortalato,
tutto è meraviglioso, anche lo squallido bagno.
Lascio la macchina dopo aver scattato le foto che
ritengo sufficienti e salgo in piedi sul letto. Inizio a
girare su me stesso, felicità estrema. Voglio

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sperimentare ancora, guardo lo specchio sopra al
piano del lavandino. Mi ci avvicino e mi guardo. Mi
ricordo che qualcuno mi aveva detto di non
guardarsi mai nello specchio, perché ci si sembra
bruttissimi, ma al contrario, io mi vedo molto bene. Mi
trovo in splendida forma, solare. Mi siedo sul piano del
lavandino. E' tutto un nuovo punto di vista. Credo che
mi perdo in qualche altro mondo, perché non ho
coscienza di dove sono andato. Come se per
qualche attimo si fosse sospeso il sistema memoria.
Quando ritorno dal buio, mi avvicino alla mia
compagna, che è attratta dagli odori. Ci odoriamo
intensamente, tutto sembra amplificato. Anche
l'odore del mio corpo è molto più forte del normale.
Provo il lucidalabbra al mirtillo che lei si è spalmato in
faccia. Ha un profumo buonissimo, condividiamo. Poi
iniziamo a baciarci, scambiandoci frasi senza senso,
ripetendo le cose più volte. Mi rendo conto di quanto
sia assurda la comunicazione in questo stato, perché i
tempi non coincidono. Avverto il suo corpo di donna,
ma è come se ne smarrissi l'identità, confondendomi
con altre donne del passato e mescolandone le
immagini. Forse vorremmo fare l'amore, ma il pensiero
mi sembra che mi faccia distrarre dalle mie visioni,
molto più interessanti. Me ne torno al mio letto, e mi
spoglio completamente. Il mio corpo nudo mi fa uno
stranissimo effetto, ogni dettaglio mi sorprende. Mi
guardo il pene, è tutto raggrinzito e scuro, come una
radice nodosa di albero, ma vivo. Mi sdraio ad occhi
chiusi e mi concentro sulle sensazioni fisiche. Avverto il
peso del corpo, la sua consistenza e materialità,
come se fosse un'ancora che mi tiene fermo a terra e
mi impedisce di volare. Poi iniziano di nuovo le visioni
colorate: luci, fili luminosi, che si intrecciano. Riapro gli
occhi e guardo la parete accanto al letto che è
come liquida e trasparente, sembra che dell'acqua

26
stia scorrendo sulla sua superficie. Non so dove sono,
fuori sento delle voci, delle melodie che non fanno
parte del luogo. Mi sento come se fossi in Oriente, e
immagino o sono consapevole, che fuori dalla
finestra ci siano i bambù che ondeggiano nel vento e
ci sia una tettoia fatta di canne sotto la quale stanno
parlando due cinesi.
Poi avverto un rumore talmente forte da spaccarmi la
testa. E' come un rombo crescente che aumenta, e
sento la mia scatola cranica che viene spaccata al
suo crescere, fino al suo culmine che mi permette di
riconoscere cos'è, una moto che passa in strada.
Sento di sprofondare dentro di me.
La coscienza si muove a più livelli interconnettendo
ricordi a visioni, realtà e immaginazione. Ho la
coscienza di tutte le volte che sono entrato in stati
alterati, soprattutto con l'alcool. E' qualcosa di molto
simile, solo estremamente più potente.
Poi ricominciano le visioni. Serpenti colorati che si
muovono in bellissimi intrecci. Aprendo gli occhi
queste visioni scompaiono e torno di nuovo alla
realtà alterata. Mi rendo conto di essere in vacanza,
in un posto sconosciuto, ma la sensazione è quella di
quando da piccolo andavo in vacanza con i miei
genitori, in qualche posto marino di villeggiatura.
Affiorano ricordi lontanissimi di posti dimenticati. Poi
altre immagini, fiere, circhi, giostre. Forse per via dei
colori così vividi. Mi viene in mente Fellini e il suo
amore per il circo. E' come se adesso riesco a
comprendere la vita dei gitani e la trovo
meravigliosa. Le visioni si fermano su una sorta di
tendone da circo azzurro, come fosse un membrana.
Poi mi ritrovo dentro 2001 Odissea nello spazio, e
capisco da dove vengono quelle immagini. Ogni
tanto riapro gli occhi, e il soffitto a tavole ritorna lo
spazio solido della realtà, anche se vedo che la sua

27
superficie con i nodi e le venature si muove.
Mi rannicchio sotto le coperte in posizione fetale,
come se entrassi nell'utero. Come in un bozzolo, al
buio, le mie visioni possono creare tutti i mondi che
voglio, senza interferenze dall'esterno. Ho avuto visioni
di tutti i tipi. Splendidi demoni/dragoni multicolori che
roteano nello spazio, anelli dorati intarsiati con
turchesi, lapislazzuli e giada, che girano su se stessi,
come pelle di serpente a formare dei simboli esoterici
dal potere infinito. Sento come se l'unione di questi
cerchi può darmi la comprensione del tutto, l'infinita
coscienza. Poi la visione diventa tutta d'argento.
Improvvisamente diventa la scenografia di un teatro
d'opera che esce dal boccascena e invade tutta la
platea.
Dopo questa parte più visiva, iniziano a susseguirsi
alcuni concetti, anche se sempre associati alle
immagini. Un concetto base è quello della
molteplicità dei mondi a cui si può accedere con
l'uso delle sostanze allucinogene, ma più in generale
con lo sviluppo della coscienza. Visivamente mi si
rappresenta come una forma spaziale composta da
esagoni dai colori cangianti, di un materiale
opalescente, traslucido. Al centro di ogni esagono
c'è come una sorta di oblò che conduce ad altri
mondi-visioni-realtà. La volontà è al centro di questo
solido geometrico e a suo piacere può spingersi in
uno qualsiasi degli altri spazi dai quali si ha accesso
ad altri ancora. Bisogna solo scegliere di quali mondi
si vuole fare esperienza, sebbene i mondi sono infiniti.
Da qui ne deduco che anche nella realtà ordinaria
sia possibile plasmare il proprio destino grazie alla sola
volontà, quando questa sia forte, decisa e
determinata, ma soprattutto cosciente. La mia
volontà cosciente mi spinge quindi ad indagare
sull'idea della morte in questo stato alterato, visto che

28
è uno dei miei massimi tabù. Non sono proprio in
grado di pilotare il pensiero, ma sento che lo stato in
cui mi trovo è molto simile alla morte, ossia cessazione
della realtà ordinaria a favore dell'esplorazione degli
infiniti mondi. Quest'idea mi riempie di gioia e mi
trasmette la voglia di comunicarla alle persone a me
più care. Si sviluppa una sensazione di amore puro
verso i miei familiari, amici, e vedo l'amore come
unica possibilità di relazione per l'evoluzione
dell'umanità. Probabilmente per bilanciare le cose, la
mia volontà si spinge poi all'opposto per esplorare
l'idea di male assoluto. Mi si configura come un
enorme cuore di ossidiana, nera e lucida, all'interno
di una caverna buia. Non c'è affatto luce, eppure lo
percepisco visivamente. Ogni battito emana ondate
di male puro. Poi assume una vaga forma
antropomorfa composta di nebbia nera che è
l'essenza della malvagità. Queste immagini però non
mi incutono timore, le osservo in maniera distaccata
come se accettassi la loro esistenza nel bilanciare le
forze del cosmo. Il pensiero poi ritorna ancora
sull'idea di morte. Questa volta però sento come se
nella dissoluzione del corpo, tutto sprofonda in un
silenzio freddo. Allora avverto come una profonda
tristezza. Immobilità. La mia mente è smarrita, vago in
preda a pensieri sconnessi e incontrollabili. Forse da
un lato ho paura, e questa paura mi genera avversità
nei confronti delle sostanze allucinogene. Ne
comprendo la pericolosità e il potere di
destabilizzazione della società, per cui capisco che
bisogna assolutamente vietarne l'uso. Penso che non
farò mai più uso di queste sostanze perché la realtà
sta bene come sta, e venire a conoscenza delle altre
realtà esistenti può distruggere lo stato ordinario della
vita come la conosciamo.
Dopo questa serie di sogni/pensieri riaffiora alla

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coscienza qualche pensiero ordinario che riesco a
controllare. Questo genera in me un senso di
sicurezza, per via del ritorno "a casa". Ma dall'altro
lato sento un po' di dispiacere per via della fine del
viaggio. Progressivamente i pensieri diventano più
normali, anche se ogni tanto ci sono dei residui di
alterazione. Cerco di sfruttare l'alterazione fin dove
posso, e torno a fissare il palmo della mano. Dopo un
po' mi perdo nelle linee del palmo, che si muovono
cambiando colore e sembrano delimitare delle
regioni. C'è come un rettangolo al centro che è
composto di fili iridescenti, e sembra morbido e
pulsante. Poi tutta la mano va a occupare l'intero
campo visivo, come se fosse tutto ciò che riuscissi a
vedere. Come la superficie di un pianeta, la mano
sembra un terreno aspro e scuro. Poi giro sul dorso. I
tendini sono tutti tirati, le vene sono in evidenza,
scure. Sembra la mano di un morto. Con quest'ultima
visione ho iniziato a ritornare alla realtà. Iniziamo a
parlarne in maniera logica, cercando di ricostruire
l'inizio del viaggio. Poi viene la fame. Abbiamo del
succo di mela e delle patatine. Il loro sapore è
eccezionale, gustosissimo. Le mangio voracemente.
Gli effetti finiscono completamente, è il momento di
ritornare alla realtà come la conosciamo. Mi guardo
intorno, la camera è un disastro. I letti spostati, i vestiti
sparsi tutt'intorno, le coperte per terra, gli zaini
rovesciati con parte del contenuto di fuori. Un caos
totale. Lo guardo, decido di fare una doccia, ma,
seppur cosciente, non riesco a capire come si fa.
Cosa mi serve, cosa devo prendere. Vado nel
pallone, non riesco a schiarirmi le idee. Capisco allora
che ancora non ne sono del tutto fuori, o perlomeno
devo ancora smaltire la fase di ritorno, in cui il
cervello deve riprendere le sue normali funzioni. Sto
fermo qualche minuto sul letto. Abbastanza

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velocemente riprendo il controllo totale. Sotto la
doccia canticchio stupidamente, sono pieno di
euforia. Poi, mentre è lei ad essere sotto la doccia, io
mi guardo allo specchio, e avverto un'incredibile
padronanza del corpo. Lo muovo in un modo
fantastico, facendo delle coreografie che mi
sembrano meravigliose. Ho l'impressione di aver
acquisito delle nuove potenzialità espressive. Mi sento
estremamente potente, e capace di ottenere tutto
quello che voglio dalla vita. Dopo esserci preparati
usciamo in strada, ad assaporare il vecchio mondo,
con i nostri occhi nuovi.

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Riflessioni sulla prima esperienza

E’ sempre vero che la prima volta non si scorda mai e


se devo separare in due fasi la mia vita, potrei
benissimo definirle come “prima dei funghi” e “dopo i
funghi”.
La prima volta che si varca il confine del reame
psichedelico, vediamo modificarsi davanti ai nostri
sensi tutte le leggi che fino a quel momento
consideravamo come immutabili e immanenti alla
realtà, definendola come un’unica possibilità di
esistenza del reale. E una volta varcato il confine
vediamo cadere tutte quelle certezze di cui eravamo
fieri. Non padroneggiamo più il nostro spazio virtuale
così come lo conosciamo, ma ci troviamo in un
territorio completamente nuovo in cui siamo dei
bambini esploratori incerti su come muovere i primi
passi.
Del primo viaggio ho questo sapore d’infanzia, un
battesimo psichedelico totalmente inconsapevole e
privo di tutte le sovrastrutture che successivamente si
vanno a creare. E’ stato entrare nella tana del
bianconiglio e sperimentare la meraviglia più
virginea, il candore dello stupore totale. Come aprire
per la prima volta gli occhi e vedere veramente
come è la realtà. Ma soprattutto sarà stata la
spensieratezza dell’essere in vacanza, del luogo
completamente lontano dal contesto abituale,
quindi privo di agganci ad un passato e a situazioni
più complesse, che ha reso questo viaggio
completamente positivo e divertente.
Anche se delle profondità dell’esperienza
psichedelica ho intravisto solo la superficie, questo è
bastato a donarmi una visione del mondo
completamente nuova e fresca.

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Seconda esperienza psichedelica con i funghi
Capodanno 2003

Per la seconda esperienza psichedelica, avvenuta a


più di un anno e mezzo dalla prima, il contesto è
stato totalmente differente, e più complesso.
Il luogo di questa esperienza è stata la mia
abitazione, allestita per l’occasione con quanti più
mezzi possibili con i quali giocare durante la fase
visuale. Avevamo preparato una serie di “trip toys”
per l’occasione, un albero di Natale, visto il periodo,
con lucine intermittenti, una lampada a fibre ottiche,
una lampada con la cera colorata, e una stanza
buia con stelle luminescenti sul soffitto e le pareti,
illuminate da luce nera.
I partecipanti a questa esperienza erano altre quattro
persone, di cui tre totalmente inesperte sull’uso di
sostanze allucinogene. Nei giorni precedenti alla
serata, avevo avuto cura di provvedere alla loro
preparazione, spiegando alcuni degli elementi
essenziali e informandoli con una serie di testi
sull’argomento. Erano tutti d’accordo sul consumare
un’esperienza del genere, sebbene con gradi diversi
di intensità di viaggio.
Prima dell’esperienza abbiamo avuto parecchie ore
per stare insieme, e prepararci al rituale sciamanico
che avevo ideato per ritualizzare l’assunzione dei
funghi.
Vista l’occasione del capodanno, abbiamo
festeggiato ballando, e creando un’atmosfera
particolare di unione grazie allo svolgimento insolito
della serata. Anziché il solito cenone, avevamo
optato per un’insalata da consumare alle 18, in
modo da avere lo stomaco vuoto per la mezzanotte,
ora in cui avremmo iniziato ad assumere i funghi. Il
resto del tempo lo abbiamo passato decorando la

33
stanza delle stelle, che avevamo destinato alla parte
più tranquilla del viaggio, e alla vestizione con abiti
rituali, vestiti indiani, arabi, o tibetani.
Alla mezzanotte abbiamo brindato con succo di
frutta, e abbiamo iniziato il rito solo all’una e mezza,
dopo che il frastuono dei botti di capodanno si fosse
placato un po’.
Per l’assunzione dei funghi avevo preparato un rituale
sciamanico che avevo appreso durante un paio di
seminari sull’argomento. Mi sembrava un modo per
sacralizzare l’esperienza, e rendere l’atmosfera più
importante. Il rituale prevedeva l’invocazione degli
spiriti delle diverse direzioni, affinché ci aiutassero nel
viaggio, nonché delle altre entità naturali, affinché ci
facessero da guida. Abbiamo anche consacrato un
talismano personale, affinché ognuno potesse avere
un proprio “oggetto di potere”.
Il rituale ha messo un po’ di tensione fra le persone,
che hanno iniziato a prendere la cosa un po’ troppo
sul serio, per cui dopo l’assunzione, ci è parso il caso
di rendere l’atmosfera più distesa, creando un clima
rilassato con qualche luce in più. Ci siamo messi
comodi e siamo stati in attesa che la sostanza
iniziasse a fare effetto, cercando anche di
sdrammatizzare.
Il quantitativo di funghi secchi è stato il seguente:
Io: 3 gr. GT
Al: 3 gr. mista
G: 2,5 gr. GT
An: 2 gr. PF
S: 2 gr. PF
La varietà era Psilocybe Cubensis, in due razze
diverse. Una viene chiamata Psilocybe Fanaticus,
l’altra Golden Teacher.
Nel giro di 20 minuti ho iniziato ad avvertire i primi
effetti. Differentemente dalla prima volta, ho sentito

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molto di più l’effetto fisico sullo stomaco e
sull’organismo. Un senso di pesantezza allo stomaco,
accompagnato da una leggera nausea, mentre in
tutto il corpo si diffondeva una sensazione di
qualcosa che si scioglie nei muscoli, accompagnata
da una forte sensazione di rilassamento. Anche la
testa era molto pesante, come se avessi bevuto o
fumato molto, ma con caratteristiche diverse.
Gli altri ancora non avvertivano alcun effetto,
quando già riuscivo a vedere qualche leggero
movimento negli oggetti. La testa era molto pesante,
e mi sentivo quasi annegare nella forte sensazione di
stordimento. Anche i rumori hanno iniziato ad
apparirmi più forti, uno scricchiolio nel mobile sul
quale ero appoggiato mi ha fatto trasalire, come se si
fosse fratturata una qualche struttura solida nella mia
mente. Quindi è iniziata la fase di risata incontrollata,
ma che non veniva ancora condivisa dagli altri. Alla
richiesta del perché ridevo, la mia risposta è stata:
non lo so, però mi viene.
Quindi è iniziato ad accadere qualcosa anche negli
altri. Al ha iniziato a commuoversi, per qualcosa che
stava iniziando a fare effetto su di lui. Trovava la
situazione commovente, e le lacrime non hanno
tardato ad uscire. Nello stesso tempo anche S ha
iniziato a piangere, ma il suo era un pianto più
disperato e profondo. In questo momento sono
avvenute due cose, An si è alzata per andare
immediatamente nell’altra stanza a viversi la sua
esperienza in solitario, G si è irrigidita, avendo paura
delle reazioni altrui e non volendo esserne
contaminata.
Io ho avvertito immediatamente questo irrigidimento,
questa sensazione negativa del partecipare al dolore
altrui, ma ho avuto un forte distacco etico. Non
vedevo nel pianto assolutamente niente di male,

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perché sapevo che era indotto, e che fra un
momento sarebbe stato soppiantato dal riso. Mi sono
reso subito conto che ognuno vive un’esperienza
completamente diversa dagli altri, a seconda della
sua propria inclinazione. Per cui il pianto non
diventava qualcosa di sbagliato, ma una modalità
personale di affrontare l’esperienza. Al contrario G
continuava a pensare che S soffrisse veramente, e
questo le dava fastidio. Tutto il suo viaggio è dipeso
da questa prima impressione, per cui si è sentita
minacciata dall’eccessiva interazione emozionale
con gli altri, e si è imposta di controllare il suo stato.
Nello stesso momento anch’io mi sono posto il
problema dell’interazione con gli altri. Ho avuto la
sensazione fortissima di come la presenza delle altre
persone venisse percepita in maniera amplificata e
l’interazione con gli altri diventava quasi ingestibile.
Mi sono posto seriamente il problema della
trasmissione emotiva, ovvero se il malessere degli altri
potesse trasmettersi a me, oppure se sarei stato in
grado di mantenere la mia indipendenza emotiva.
Per risolvere il problema mi sono allontanato da S, in
modo da trovare una mia dimensione personale. Mi
sono recato ad osservare la lampada a fibre ottiche.
La percezione della stanza era strana. Riuscivo
tranquillamente a controllare i miei movimenti, ma la
percezione spaziale era affetta da un forte
restringimento di campo. Questa è una sensazione
che si è protratta durante tutta l’esperienza. Come se
non fossi mai consapevole di ciò che avviene intorno,
fino al momento in cui non ci spostavo
volontariamente l’attenzione. Nello stato di realtà
ordinaria invece si mantiene sempre una certa
consapevolezza di ciò che accade nello spazio
circostante, tranne quando ci si immerge in
un’attività totalizzante che ci spersonalizza e ci rende

36
autistici.
Mentre osservavo la lampada, avevo momenti in cui
entravo in diretto contatto con essa, per cui
rimanevo estremamente affascinato da questo
strano oggetto pieno di punti colorati in movimento,
ma la profondità del contatto era interrotta
continuamente dal movimento delle persone intorno
a me che mi riportavano ad una realtà condivisa. In
questo frangente G si siede sul divano vicino a me, e
mi dice che secondo lei aver preso i funghi in gruppo
è stata una cazzata. Nel dirmi questo percepisco il
suo malessere e la sua non integrazione nel gruppo, e
nello stesso tempo realizzo che l’eccessiva interazione
con gli altri è anche un mio motivo di disturbo, ma in
definitiva mi sento aperto all’esplorazione di
un’esperienza così diversa da come era stata la
prima volta. G se ne va per raggiungere An nella
stanza delle stelle. Io rimango a guardare la lampada
a fibra ottica, ma sento in lontananza voci e risate
degli altri due. In questo momento mi rendo conto
delle forti visualizzazioni psichedeliche che ho, vedo
scie colorate intorno alle cose in movimento, e il mio
mondo interiore viene traslato in una dimensione
diversa. Perdo lievemente il contatto con la realtà, e
col posto in cui mi trovo. Non è più un luogo a me
familiare, il salone di casa mia, ma diventa una festa
in qualche posto lontano, in cui avverto che ci sono
altre persone che si muovono intorno, in preda alle
loro alterazioni. Le risate di Al e S mi riportano alla
realtà, mi stanno deridendo per il mio stato non
ordinario. La cosa mi da fastidio, ma nello stesso
tempo mi rendo conto che con loro c’è sempre
questa sorta di derisione nei miei confronti, per cui
non la prendo sul personale, ma cerco nuovamente
una mia dimensione. Mi metto carponi sul tappeto e
questo diventa un terreno inesplorato, come la

37
superficie di un pianeta blu che si muove in preda a
movimenti tellurici sotterranei. Per quanto la visione
sia interessante, sento sempre troppa confusione, e
mi allontano ulteriormente verso il PC che
ininterrottamente eseguiva un programma di
animazione di frattali coloratissimi. Mi metto a fissarne
lo schermo, e vengo rapito dalla straordinaria
molteplicità dei colori. In certi momenti vengo
risucchiato nello spazio tridimensionale che
percepisco aldilà dello schermo, e il cangiare dei
colori mi desta meraviglie improvvise. Sento ancora
confusione intorno a me e questo ogni volta mi
riporta alla realtà. Invito Al a guardare lo schermo,
così da coinvolgerlo nell’esperienza visuale che stavo
vivendo anch’io. Ho molta voglia che anche gli altri
entrino ad essere partecipi dell’esperienza visiva che
ho io, poiché pare che loro ne siano ancora
totalmente immuni. Nel frattempo mi allontano, e mi
soffermo a guardare l’albero di Natale che tutto
sommato non mi sembra così interessante. Mentre
per terra ci sono come delle linee scure nel marmo e
degli accumuli di polvere, che da un lato sembrano
interessanti, ma in qualche modo anche malefici.
Sento che se li guardo troppo poi inizieranno a
diventare cattivi. Mentre la lampada di carta accesa
ha una superficie traslucida molto interessante. E’
l’ultima cosa che guardo prima di cambiare stanza,
vado verso la stanza delle stelle. Mi avvicino alla
porta e spio quello che accade all’interno. Ci sono G
e An che parlano molto piano fra loro, in frasi
abbastanza sconnesse, che mi danno la netta
sensazione che anche loro sono entrate a far parte
dell’esperienza. Questo mi riempie di euforia per
l’idea di condivisione che decido di entrare nella
stanza, ma nello stesso tempo interrompo quello che
stava avvenendo fra loro. Vengo percepito come un

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intruso e perciò non mi sento molto accettato. In più
mi metto a volteggiare davanti alla visuale delle stelle
e G mi chiede in maniera un po’ brusca se posso
togliermi di mezzo. Mi vado a sdraiare, e sento che
An se ne va.
Nel buio queste stelle luminose diventano una
presenza pesantissima sulla mia testa, sembra come
se fossero tenute con dei fili e che lo spazio nero
intorno diventasse profondissimo. Sento grande
confusione nella testa, come una tensione fra la
perdita di realtà incombente, e una necessità di
mantenerne il contatto in virtù della presenza degli
altri. Infatti sento che c’è qualcun altro nella stanza, e
devo capire chi è. C’è S che si è sdraiata anche lei.
Questa necessità di rendermi sempre conto di chi ho
intorno mi deriva dalla frequente sensazione di
presenze che ho intorno, anche quando poi mi rendo
conto che intorno non c’è nessuno. Probabilmente è
una sorta di riflesso incondizionato di mantenere un
certo controllo sulla situazione.
In lontananza sento le voci di An e Al che parlano
ininterrottamente, come se non ci fosse un momento
di silenzio nei loro discorsi, ma fosse un flusso
ininterrotto di parole. Sento che mi da molto fastidio,
e vorrei andare a chiudere le porte. Mi alzo, esco
dalla stanza, chiudo la porta del salone che produce
un fastidiosissimo cigolio, del quale ne è consapevole
anche Al. Mi pare di affacciarmi un attimo in salone,
credo di aver scambiato qualche parola con loro,
ma poi me ne torno nel corridoio, ormai già
dimentico che quello che dovevo fare era chiudere
la porta per non sentire il rumore. Infatti mentre mi
trovo nel corridoio in semioscurità, mi trovo al centro
di 4 porte. Da una parte il salone, la stanza delle
stelle, la camera da letto, il bagno. Qui vivo la mia
prima esperienza di mind loop, ovvero pensiero

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circolare. In pratica nella mia mente si avvia uno
schema di pensiero di scelta sulle diverse porte, che
non porta a nessuna conclusione e sembra ripetersi
all’infinito. E’ come se valutassi singolarmente il valore
di prendere una decisione piuttosto che un’altra, per
poi scartarle tutte visto che nessuna sembra
prevalere. E’ come se la mia reale parte cosciente sia
assente, e sia in funzione solo la parte mentale che
ripete uno schema di scelta molto lucido ma senza
contenuto. Ovvero è come assistere all’emergere di
una struttura mentale molto ben definita ma priva di
senso. Uno schema rigido che si va ripetendo senza
uscita. Ho un lampo di consapevolezza, lo riconosco
come mind loop, e allora riesco a interromperlo
volontariamente, e a prendere una decisione, cerco
di aprire la porta della camera da letto, ma poi
nuovamente la richiudo. Il circolo vizioso sembra
prendere il sopravvento, apro la porta del bagno, ma
subito la richiudo. Effettivamente la scelta del bagno
mi sembra quella meno utile, e poiché questo stato
mentale mi sta iniziando a mettere ansia, visto che
non ne sono più in controllo, decido alla fine di
andarmi a mettere sotto le coperte a letto, visto che
l’altra volta questa sensazione mi aveva dato un
senso di protezione. La camera è buia, e sento come
di entrare in un posto estraneo, sconosciuto. Mi viene
in mente una qualche stanza di una qualche città
americana, con vista sui grattacieli. Probabilmente è
dovuto ad una sorta di associazione visiva fra la luce
che penetra dalle persiane, e la luce delle finestre dei
grattacieli di notte. Avvicinandomi al letto mi viene in
mente che quella che sto vivendo è un’esperienza
psichedelica da LSD, anziché da psilocibina, perché
le visione che ho a tratti sono altamente complesse e
colorate, nonostante io non abbia mai intrapreso un
viaggio da acido. Mi sdraio sul letto, e dopo qualche

40
momento sento qualcuno che cerca di entrare in
camera. E’ G, ma io per rimanere da solo le dico che
la stanza è occupata. Sento che questo è un
momento che devo affrontare da solo, negli altri
probabilmente si è sviluppata la necessità di rimanere
in gruppo, ma io sono un solitario e devo affrontare la
situazione da solo. Mi sento anche molto forte per
questa mia scelta, come se gli altri che hanno
bisogno del gruppo in realtà non avessero
abbastanza coraggio per affrontare da soli la paura
di se stessi.
Ho vari momenti di perdita di realtà, in cui non mi
rendo conto se è notte e sto sognando, con G che
mi dorme accanto, oppure sta succedendo
qualcosa d’altro. Riprendo il contatto e mi rendo
conto che accanto c’è solo il cuscino. La fase
successiva diventa una sorta di incubo delirante. Mi
sento al centro di una visione caleidoscopica
composta da triangoli tridimensionali che si muovono
ad onda, trasmettendomi una sensazione di prigionia
dentro ad una rete iridescente. Mi perdo in pensieri
estremamente negativi sull’esperienza che sto
vivendo. Mi sento come se fossi ormai assuefatto alla
droga che ho preso, la quale mi reclude in una realtà
alterata senza via di scampo, come se fossi già
entrato dentro a questo vortice malefico che porta
alla totale perdita del senso di realtà, ormai
estraniato dalla società a cui appartengo. E inoltre mi
sento anche in colpa per aver coinvolto in questa
cosa le altre persone, come se fossi diventato il loro
spacciatore. Sono visioni alla “trainspotting”, in cui
questo mondo deformato mi soverchia,
probabilmente rivelando tutta la serie di
condizionamenti e moralismi a cui sono stato
sottoposto nella vita. La fase seguente assume invece
proporzioni cosmiche di una grandezza tale da

41
risultare totalmente devastanti per il mio sistema di
coscienza. Lo stato di realtà alterata in cui mi trovo mi
da accesso ad una visione amplificata dalla quale
vedo che qualunque tipo di realtà, anche quella
ordinaria, è comunque uno stato alterato di
coscienza, e tutti hanno lo stesso tipo di valore di
realtà. Ovvero l’alterazione è semplicemente uno
stato di cambiamento delle regole di costruzione
della mente, ma ha la stessa validità di qualunque
altro stato. Questa concezione si allarga all’idea che
l’esistenza delle altre persone sia come un diverso
riflesso della nostra coscienza che risponde a leggi
diverse. Quindi è come se gli altri non fossero altro
che la nostra stessa coscienza ma che agisce in base
a regole diverse dalle quali si ricava una diversa
realtà alterata. Quindi ogni persona vive
costantemente uno stato di alterazione rispetto alla
nostra realtà ordinaria, a seconda del modo in cui
sono costruite le regole della propria mente. Ne
segue che tutti costantemente viviamo in mondi con
gradi di alterazioni differenti. Questa visione del
mondo subisce quindi un ulteriore ampliamento, in
cui mi viene svelato una sorta di meccanismo che
regola il modo in cui la coscienza universale si
frammenta nella coscienza individuale, per
sviluppare il proprio ciclo di autocoscienza. E’ come
se da una sorta di rete cosmica, che è la coscienza
assoluta, si distaccassero dei brandelli di coscienza
per incarnarsi, ovvero per scendere negli strati più
pesanti di materia, attraverso i quali poi dissolversi per
ritornare nello stato di rete cosmica, dopo aver
compiuto lo spazio di un’esistenza umana. Ho
percepito distintamente l’eternità che questo ciclo
comporta, prima che tutta l’infinità della coscienza
abbia esaurito il suo potenziale. Ma dato che la
potenzialità di qualcosa che è infinito, è senza limite,

42
allora tutto questo ciclo di vite diventa un qualcosa
che si perpetua indefinitamente. Come se fossimo
costretti a ripetere per sempre la stessa identica
esistenza. Questa visione globale è stata devastante,
perché è come se l’universo subisse delle leggi alle
quali non è possibile sottrarsi, e non c’è scampo per
evitare questa terribile ripetizione di se stesso.
Inoltre la mia percezione di realtà stava iniziando a
disfarsi, come se il mio ego stesse iniziando a
sgretolarsi. Questo mi ha messo molta paura, o forse
più che paura, ho avuto un senso di incapacità a
sopportarne il dolore. Come se ancora non fossi
pronto per affrontare questo ulteriore passo.
Una consapevolezza di questa enormità mi ha
talmente sconvolto, che in un barlume di coscienza
mi sono reso conto che dovevo assolutamente
interrompere visioni di questa portata. Mi sono alzato
di corsa dal letto per precipitarmi in salone e afferrare
con violenza della cioccolata da mangiare.
Avevamo infatti messo della cioccolata in salone per
poter ridimensionare la portata del viaggio, poiché
l’assunzione di zuccheri smorza l’effetto della
psilocibina. Non appena ingerisco la cioccolata
sento come un macigno che mi si ferma in gola. Ho
necessità di bere dell’acqua, il mio corpo è
devastato dalla pesantezza della sostanza. Vado in
bagno per bere dell’acqua. Mi soffermo a guardarmi
nello specchio. La visione che ne ho è pazzesca. Sulla
superficie del mio viso che è opalescente vedo le
vene in trasparenza. Lo spazio dello specchio diventa
un superficie ipercristallina assoluta, in cui il mio viso
galleggia lasciandovi scie tutte intorno. La
percezione del mio viso così distorta fa molta paura,
per cui non indugio troppo su di essa con lo sguardo.
Mi affretto a bere dell’acqua e vedo le goccioline
d’acqua iridescenti che colano via nel lavandino

43
liquido. In quel momento entra G preoccupata a
controllare la mia condizione. Io mi sento giudicato
dalla sua presenza, come se esprimesse un giudizio
negativo sul fatto di arrivare a sentirsi così male per
divertimento. E in effetti mi sentivo malissimo, piegato
sul lavandino, come quando si vomita per eccessivo
alcool in corpo. Dopodiché mi sento leggermente
meglio e mi sento di voler raggiungere gli altri per
stare in compagnia e non più solo. Il gruppo mi fa
stare subito meglio, le sensazioni fisiche pesanti
passano presto, e continuo ad avvertire solo un certo
stordimento. La mia mente va a mille, i pensieri si
succedono ad una rapidità fenomenale ed
analizzano ogni istante tutte le interazioni con gli altri.
I discorsi in gruppo li avverto come abbastanza
deliranti, il che mi fa supporre che anche gli altri siano
ancora nel pieno del flusso psilocibinico. In realtà G,
An e S dicono di essere ormai sobrie, mentre solo Al
sembra essere pienamente alterato. Io invece in virtù
delle visioni di prima, percepisco come se loro fossero
racchiusi nella loro individuale realtà alterata, senza
esserne consapevoli. Si cerca di affrontare vari
discorsi. Io mi perdo nei pensieri svariate volte, e
quando mi viene di parlare spesso emergono solo
luoghi comuni, come se io vivessi nella piena
consapevolezza di quanta verità esiste in un luogo
comune. Da un lato però è come se la mia capacità
linguistica fosse regredita ad un livello infantile, per
cui non riuscivo ad esprimere i concetti in maniera
interessante, ma mi fermavo a semplici banali
asserzioni. Cerco un contatto fisico con G, che però
lo rifiuta dicendomi che le do fastidio. Io riesco ad
accettare la cosa senza prendermela troppo male,
come se fossi consapevole che questo suo stato
dipendesse dall’alterazione e quindi non c’era molto
da preoccuparsi perché comunque le sarebbe

44
passato. Parliamo un po’ di me e del mio modo di
dire quello che penso senza dire mai quello che
sento, che è la visione che aveva G in quel
momento. Io cerco di esprimere il mio punto di vista,
ma mi trovo in difficoltà con le parole che sembrano
intrecciarmisi in testa. Ognuno parla un po’ della sua
esperienza, ma tutti sembrano ammettere di avere il
pieno controllo di sé. Solo Al ogni tanto irrompe in
risate, oppure cade in stati mistici di contemplazione
di verità assolute e incomunicabili. Io sento di avere
una profonda empatia nei suoi confronti, soprattutto
nel culmine di una sua visione mistica, nella quale
avverto ciò che lui non riesce a dire e lo trovo
bellissimo, perché anche senza parole riesco a
percepire ciò che c’è in lui. Da un lato della mia
mente emerge l’immagine della scena finale del film
Ghost in cui Patrick Swayze dice a Demi Moore che è
bellissimo l’amore che ha dentro, che si vede e che
deve portarlo con sé. Trovo l’analogia perfettamente
calzante, ma la consapevolezza della
stucchevolezza di una tale scena mi fa sentire un
idiota. Io ogni caso resta un senso di profonda
comunione con le emozioni di Al. Cerco di trovare più
o meno contatti con tutti gli altri, ma S e G sono
impenetrabili. Solo An si rivela abbastanza empatica,
e c’è qualche accenno di comunicazione. Gli
argomenti che si affrontano sono svariati, si parla
della necessità della tecnologia, piuttosto che la
ricerca della semplicità, si parla degli eventi dei giorni
prima e di un certo bilanciamento nella situazione di
scherzi che si era venuta a creare fra noi. Io ho la
percezione di un certo equilibrio nello scambio con
gli altri, come se tutto quello che tu dai, ti ritorna in un
certo modo in uguale misura. Lo ritrovo visualizzato
nel tao, e mi viene in mente che certi simboli e
significati occulti derivano da probabili esperienze di

45
tipo sciamanico o da stati di trance indotta.
Poi c’è un momento in cui l’attenzione si focalizza su
di me, e gli altri insieme assumono il ruolo di guide
spirituali. Come se quello che io cercavo di fare su di
loro, cioè fungere da guida attraverso questa
esperienza, stessero in quel momento facendolo su di
me. C’è stato un momento in cui nella mia mente li
ho quasi trasfigurati a livello di angeli, intesi come
entità evolute che fungono da guida. Quello che mi
hanno comunicato è che devo cercare di entrare di
più a contatto con i miei sentimenti ed usare meno la
testa.
Col passare del tempo la mente si rischiara, si
chiacchiera a lungo, e poi la serata volge alla
conclusione. S e An si addormentano in salone,
mentre io e Al ci ritroviamo a parlare nella stanza
delle stelle. Condividiamo un profondo senso di
comunicazione, di gratitudine per la presenza
dell’altro, e abbiamo un forte scambio emotivo. Si
aggiunge G per un attimo, ma poi se ne va perché
inizia a sentirsi male per le mestruazioni che hanno
tardato per una settimana e sono iniziate
esattamente appena è finito l’effetto dei funghi. Io
ho la necessità di scrivere qualcosa su quanto è
successo. Prendo dei fogli, e nel tentativo di scrivere
qualcosa di senso compiuto, mi rendo conto che la
tendenza è invece quella di lasciare libero sfogo
all’inconscio. Produco una serie di fogli con scritte e
disegni. Sono ormai le 7 di mattina, torno a parlare
con Al e iniziamo a mangiare qualcosa vista la fame
che si comincia a sentire. Alle 7 e 30 mi metto a letto.
Faccio 3 ore di sonno abbastanza pesante, mi sveglio
completamene sudato, vado a bere e mi
riaddormento per altre 2 ore. Al mio risveglio gli altri
sono tutti in piedi e molto stanchi. Passiamo la
giornata mangiando e riposando. Alla sera

46
rimaniamo solo G e io. La mia mente produce un
quantitativo enorme di pensieri, rincorrendosi in cicli
senza fine. Penso ad ogni cosa e al suo opposto
senza trovarvi una via d’uscita. Analizziamo un po’ la
situazione, e una mia visione estremamente lucida e
razionale del nostro rapporto mi porta a pensare che
non abbia senso continuare a stare insieme. Ci
prendiamo una pausa, nella quale io cerco di
staccare la spina mettendomi a letto. Dopo un po’ di
silenzio, con la mente ancora completamente
sottosopra, mi rendo conto che ho estremo bisogno
del contatto fisico per riportare le cose ad un livello di
normalità. Vado a cercarla, e nel contatto si
sciolgono i miei blocchi emotivi. Mi libero in un pianto
sofferente, in cui le mie emozioni sembrano uscire
dopo essere state trattenute per un tempo indefinito.
Ritrovo una dimensione umana, mi sento di essere
totalmente sottosopra, e di non poter riaffrontare la
realtà allo stesso modo di prima.
I giorni successivi la mia mente è in uno stato di
veloce recupero della sua struttura razionale. Tutte le
cose sembrano tornare al loro posto anche se ho una
percezione accentuata della schematizzazione di
ruoli che la gente porta avanti nella vita, e nello
stesso tempo della mia alienazione da una serie di
giochi di ruolo che vengono attuati
inconsapevolmente dagli altri, nonché da una
maggiore capacità di vedere dentro alle cose.
Ripensando all’esperienza in generale, ho momenti
contrapposti di sensazioni negative e positive, per cui
l’idea di riaffrontare una cosa del genere mi risulta
difficile, ma col passare del tempo sempre più
accettabile, fino ad una voglia sottile di rientrare in
quel sistema di alterazione per approfondire le
tematiche mentali, mantenendosi su dei livelli di
maggiore controllo.

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Riflessioni sulla seconda esperienza

Il secondo viaggio è stato estremamente più


complesso e impegnativo del primo. Non solo per
l’intensità del picco visuale, ma proprio per le
relazioni e l’ambiente che avevamo creato. Ho
compreso in tutta la sua durezza la difficoltà di
interazione con gli altri, e lo stato di estrema
delicatezza psichica in cui ci si viene a trovare per cui
ogni interazione sbagliata può ferire in modo
profondo e duraturo, andando anche ad incrinare il
rapporto fra due persone, ritornando nello stato
normale. Questo probabilmente accade anche
perché vengono messe in luce e amplificate certe
dinamiche che se in uno stato di coscienza
“normale” sono tranquillamente gestibili, in uno stato
alterato possono manifestarsi come problematiche.
Da qui deriva l’idea di scegliere con maggiore
cautela i partecipanti al viaggio, fra i quali deve
esserci un’ottima intesa e armonia, ma soprattutto
comune finalità.
Per quanto riguarda le visuali e le dinamiche
dell’esperienza, tutto è stato più intenso. La ricchezza
del panorama mentale non ha confronti fra il primo e
il secondo viaggio, probabilmente a testimoniare il
fatto che una volta aperte certe vie, il percorso si fa
più facile, più immediato.
E’ aumentato anche l’impatto mistico e archetipico
che l’esperienza mi ha donato, aprendo scenari
estremamente più vasti che non nella prima
esperienza, sebbene si sono manifestate anche le
prime forme di reazione negativa al viaggio,
definibile come bad trip, anche se ancora in una
forma non terrificante, ma non meno leggera.

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Terza esperienza psichedelica con i funghi
15 gennaio 2003

Della mia terza esperienza non ho un resoconto


scritto subito dopo. In realtà fu un’esperienza molto
blanda, perché visto la potenza della precedente, ho
preferito usare un dosaggio molto leggero (2 gr
circa). L’ho consumata in solitudine in casa, cosa che
ha eliminato tutte le interazioni complesse con le altre
persone e mi ha dato modo di essere più centrato.
Ma per la verità il dosaggio così leggero ha fatto si
che l’esperienza fosse estremamente controllabile.
Non ci sono state visioni particolarmente vivide ne
alterazioni sostanziali della mia mente. E’ stato più
che altro un viaggio introspettivo che però mi ha
lasciato molta amarezza. Questo perché il tema
portante del viaggio è stato la struttura della società
e le relazioni umane. Mi è sembrato di scorgere tutta
l’ipocrisia di cui è condita l’esperienza umana di
oggi. Le contraddizioni insite nella nostra vita come
gruppo, gli inganni, il sopruso del potere. La
strumentalizzazione dei mezzi di comunicazione, il
modo in cui la verità viene occultata, o plasmata per
essere trasmessa in modo distorto al fine di ottenere il
controllo sulla popolazione. Tutta questa serie di
riflessioni, in cui le cose mi sembravano così chiare e
lampanti, ha però avuto il riflesso di un profondo stato
di malessere interiore per appartenere a questa razza
così infima. Non ho percepito speranze per l’umanità
nella condizione in cui è adesso. Siamo troppo lontani
dalla Verità e troppo soggiogati a sistemi di controllo
per cui la nostra coscienza è sopita. E’ mi è stato
subito chiaro il fatto che l’uso delle sostanze
enteogeniche, psichedeliche, così come era stato
promulgato negli anni ’60 per poter dare il via ad un
cambiamento culturale, fosse stata un’arma

49
minacciosa per il sistema stesso, perché ne sovvertiva
le regole ma soprattutto apriva la mente delle
persone a rendersi conto della gabbia invisibile in cui
il sistema le imprigiona. E quindi mi è parso
assolutamente logico che il sistema stesso abbia poi
reagito cercando di spargere la paura riguardo l’uso
di queste sostanze, perché la paura permette di
esercitare il controllo, e ha cercato di metterle al
bando in ogni nazione affinché l’uso massivo di
queste sostanze fosse completamente eliminato. E
c’è riuscito. Tutte le speranze che nella summer of
love erano emerse nell’intento di unire l’umanità sotto
il segno della pace, sono state soffocate sostituendo
la tipologia delle droghe da diffondere: non più
marijuana che provoca empatia, comunione,
pacifismo, non più LSD che provoca apertura
mentale, riflessione filosofica, esperienze mistiche ed
estatiche, ma tutte droghe che inibiscono questi
processi: cocaina, eroina, anfetamine. Il sistema ha
combattuto le sostanze che espandono la coscienza
con quelle che creano dipendenza e la inibiscono
ma sono funzionali al sistema commerciale,
produttivo, competitivo. Ecco come è nata la
reazione che ha portato i danni degli anni ’80, in cui
si è diffusa la credenza che tutte le droghe fanno
male e tutte le droghe sono uguali, con il loro carico
di luoghi comuni, di disinformazione, di eliminazione
completa di una rivoluzione culturale che
prometteva di cambiare le cose.

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Quarta esperienza psichedelica con i funghi
2 febbraio 2003

Con questa quarta esperienza psichedelica credo di


aver chiuso ogni tentativo di esplorazione della mia
mente attraverso l'uso della psilocibina. Quest'ultimo
viaggio mi ha portato a confrontarmi con ogni
costrutto mentale appartenente alla mia mente,
intrappolandomi in un mondo fittizio che si ripeteva
all'infinito, senza via di uscita, senza più il controllo
della mia volontà, senza più il controllo del mio corpo
fisico, senza più dominio della mia persona e
padronanza della mia coscienza.
Il viaggio è iniziato alle 11:45 con l'ingestione di solo
2,7 grammi di psilocibe cubensis. Il mio compagno di
viaggio stavolta era A, con il quale condivido una
grande complicità e unione spirituale. La sua
ingestione è stata di 3,7 grammi, visto che aveva già
mostrato un'ottima tolleranza alla psilocibina, e
aveva manifestato la volontà di spingersi un po' oltre
nell'alterazione delle percezioni.
Abbiamo iniziato il viaggio con una musica ricca di
flauti, cercando di mantenere attiva una
conversazione sensata prima che l'effetto della
sostanza si manifestasse in tutto il suo potere.
Questa parte iniziale era caratterizzata dalla classica
sensazione di pesantezza alla testa e nel corpo, con
pensieri ancora molto lucidi, ma le parole che
uscivano con difficoltà. I discorsi che facevamo
erano rivolti a cosa avevamo fatto il giorno prima, ed
man mano che procedevamo le frasi rimanevano
sempre più a metà, inframmezzate da un sacco di
risate. Poi ci siamo stesi, io sul divano, in preda a
brividi di freddo, e lui sul tappeto. Lentamente siamo
stati sempre più in preda a visioni, sia ad occhi aperti
che chiusi. La musica con flauti creava delle

51
bellissime forme ad occhi chiusi, e io mi sentivo
sempre più appartenente al divano su cui mi trovavo.
Da questo mondo di visioni ogni tanto emergevo per
curiosità di vedere come se la stava vivendo lui, che
era sprofondato con la faccia nel tappeto. Era molto
divertente lo scambio di commenti che avevamo. Poi
ad occhi aperti mi sono messo ad osservare il soffitto
bianco, sul quale si sovrapponevano le visioni che
erano di un rosa e creavano dei disegni meravigliosi,
celestiali, di cui mi beavo. Anche A. stava iniziando a
vedere qualcosa di più della realtà ordinaria, e
rideva come un matto, per cui gli ho chiesto perché
rideva così. Mi ha risposto che se me lo avesse detto
mi sarei ammazzato di risate. Poi mi ha detto che nel
tappeto c'erano come una fila infinita di Mastro
Lindo! Abbiamo riso come pazzi… allora mi sono
avvicinato a lui sul tappeto per trovare qualcosa da
osservare. Il tappeto che ha zone di diversi colori, blu
e bianco, era come diventato una sorta di fondale
marino sul quale ondeggiavano dei coralli iridescenti.
Poi sono passato ad osservare il pavimento di marmo.
Era trasparente e profondissimo, con miliardi di
particelle coloratissime che scorrevano sotto e sopra
la sua superficie. Anche A era partecipe di questa
visione, e ha commentato che ci mancava solo che
un pesciolino che nuotasse sotto la superficie… io gli
ho risposto che se voleva veramente vederlo bastava
che ci si concentrasse. Ho deciso di cambiare
musica, e passare ad un CD degli Shpongle per
movimentare la cosa. L'interazione con la musica e i
suoni era fantastica.
Poi A ha iniziato a rotolare sul tappeto sperimentando
la forza di gravità sul suo corpo. Abbiamo iniziato a
farlo insieme, mi sentivo schiacciato dal suo peso, ed
era come se fossi finito in un angolo buio di una
discoteca in cui c'erano tutte luci psichedeliche.

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Ridevamo molto insieme, e poi abbiamo iniziato a
parlare di cose molto mistiche. A. diceva che noi in
siamo attaccati alla terra, ma in realtà siamo a metà
tra la terra e il cielo, o qualcosa del genere. Poi
pensava alla terra e a quello che noi umani le
abbiamo fatto. Mi pare che si stesse scusando con
lei. Se solo anche gli altri se ne accorgessero del
danno che le stiamo perpetrando.
Fra un discorso e l'altro mi è venuta sete, mi sono
alzato per prendere un po' di succo d'arancia. A. mi
ha chiesto invece dell'acqua e sono dovuto andare
in cucina a prenderlo. Sono tornato col bicchiere, ne
ha preso un sorso rovesciandone in parte sul tappeto.
Io gli ho detto di stare attento, ma lui mi ha risposto
che tanto era acqua che non bagna!
In quel momento credo che ognuno è partito poi per
il suo mondo. In me c'erano pensieri legati alla diversa
percezione della realtà da parte delle persone che
conosco, e come ognuno di noi in realtà viva in un
mondo diverso e sperimenti cose diverse proprio
grazie alla sua diversa percezione. Mi sono poi alzato
per andare a prendere un altro bicchiere d'acqua, e
dal momento in cui mi sono trovato in cucina, il
ricordo di quello che è successo è alquanto
frammentario.
Arrivato al centro della cucina, non so esattamente
per quale motivo, ho scagliato con violenza il
bicchiere di vetro contro il pavimento mandandolo in
frantumi. Forse perché il pavimento era trasparente e
tridimensionale, allora ho pensato che se ci avessi
lanciato il bicchiere, questo avrebbe raggiunto il
fondo del pavimento? Non lo so esattamente, ma è
stato un gesto impulsivo e non consapevole. Il rumore
di vetri è stato assordante, credo di ricordare anche
la voce di A. che mi chiedeva che era successo.
Non gli ho risposto perché ero preso da questa nuova

53
situazione, il bicchiere rotto e sparso per tutta la
cucina. Ho pensato che avrei potuto rincollarlo con il
potere dell'immaginazione, credo di aver preso
qualche frammento, ma mi devo essere tagliato. Il
sangue ha iniziato a coprirmi le mani. Non mi rendevo
conto di dove ero tagliato, né sentivo dolore, ma il
sangue sembrava tanto. Con la stessa facilità ho
pensato che avrei potuto far rientrare il sangue
dentro le ferite e autocicatrizzarle con la volontà.
Da questo momento in poi ho molta difficoltà a
ricordare esattamente la sequenza degli
avvenimenti. A. mi ha riferito successivamente che io
ero in preda a un delirio che mi rendeva quasi
indemoniato. Che correvo qua e là farfugliando cose
senza senso (per lui) e che il sangue dalle mani non se
ne andava come io affermavo.
Ho sporcato tutta casa di sangue, lasciando gocce
rosse dappertutto.
Invece io mi ricordo di essere finito in una sorta di
strano universo fatto a scatole cinesi. La descrizione di
questo mondo psicologico è molto complicata da
ricordare e rendere a parole. Diciamo che da un lato
viveva in me la suggestione "Matrix" ovvero la
convinzione che io fossi l'eletto e che potessi piegare
a mia volontà la realtà esterna, visto che la realtà è
solo percezione e le percezioni possono essere
alterate. Questa è la motivazione dei miei gesti più
folli, come per esempio correre e planare nel mezzo
del salone per finire sul tappeto. In realtà io in quel
momento stavo entrano nella "luce" ovvero stavo
penetrando attraverso il mondo delle percezioni per
giungere alla realtà ultima.
Dall'altro lato vivevo in un mondo fatto di continue
prese di coscienza. In un istante capivo certi
meccanismi del mondo e mi dicevo che avrei dovuto
ricordarli perché era importante che lo riferissi agli

54
altri. Un attimo dopo dimenticavo tutto e capivo
un'altra cosa, e così via per non so quante volte o
quanto tempo. E nel frattempo correvo da un lato
all'altro di casa cercando sempre di ricordare
qualcosa che dimenticavo. In un momento dovevo
fare una telefonata, poi tornavo in bagno per far
scorrere l'acqua, poi di nuovo al telefono… un delirio
di immagini e ripetizioni. Poi il meccanismo si è reso
più complesso. Era come se sapevo che il mondo
che ognuno di noi vive, è una diversa
rappresentazione dell'infinito. Quindi esistono infiniti
mondi, e ognuno di noi ne vive uno, con l'impossibilità
di comunicarlo agli altri perché in realtà è la stessa
coscienza che li vive tutti insieme, ma nel momento in
cui passa dall'uno all'altro perde la consapevolezza
dell'appartenenza ad altri mondi possibili. In questo
caos vedevo il mondo con gli occhi delle persone
care che conosco e capivo che ognuno di loro
aveva perfettamente ragione nel descrivere il proprio
mondo, perché per loro era effettivamente così il
mondo. Solo che nessuno si rendeva conto che non è
il mondo ad essere diverso, ma la coscienza che lo
filtra in modo diverso. Non esiste un giusto o sbagliato,
perché essendo tutte sfaccettature dell'infinito, tutte
sono possibili e giuste. Allora mi esaltavo per l'idea di
poter comunicare questa cosa agli altri, e non
facevo altro che ripetermi: "Quando torno glielo devo
dire!".
Poi sono arrivato ad un punto in cui il delirio mi ha
spinto in un meccanismo ancora più complesso. Una
sorta di mondo quadrimensionale abitato da porte
nelle quali risiedono le coscienze di tutte le persone
connesse fra loro. E per entrare in contatto con esse
bastava volere la presenza di quelle persone, e la
loro coscienza si spostava in questo meccanismo tipo
"The Cube", per entrare nel tuo mondo e abitarlo

55
come se fosse realtà ordinaria. Con questa
convinzione chiamavo a gran forza il nome di G.,
immaginando che bastasse la mia volontà per farla
apparire nel mio universo. Credo di aver anche
aperto la porta di casa convinto che l'avrei trovata
là, materializzata dalla mia evocazione.
In tutto questo caos, A. si era rinchiuso in una camera,
spaventato dal mio delirio. Io lo sentivo parlare dietro
la porta a telefono, ed era come se sapessi che lui
fosse in un'altra cella di realtà, ma io volevo portarlo
fuori per farlo entrare nella mia. Allora ero convinto
che avrei potuto materializzare la chiave della porta
per entrare. Di fatto la chiave non si materializzava.
Da questo momento credo che le cose hanno
iniziato a prendere una strana piega, voglio dire, ben
più strana della piega assurda che aveva già. Il fatto
di non vedere A. in giro per casa (dimenticandomi
che era chiuso nella stanza) e vedendo tutte le
gocce di sangue per casa, e i vetri rotti in cucina, mi
ha portato a pensare che lui si fosse lanciato
attraverso la finestra e giacesse morto fuori per
strada. Quest'idea aveva assunto un certo valore, al
punto che io mi chiedevo che cosa avrei detto agli
altri quando sarebbe passato tutto. Ma da un lato
sapevo che siccome gli universi erano infiniti, era
probabile che non fosse morto, ma magari solo ferito.
Ma poi invece mi convincevo proprio che stavo
nell'universo in cui lui era proprio morto, e allora ci
sarebbe stato il suo funerale… e mi dicevo: che palle!
Tutto il dolore al funerale, quando invece ci sono altri
universi in cui questa cosa non è successa! Non ero
proprio preoccupato poi, ma in realtà non ero
proprio io in quel momento, è come se ci fosse una
sorta di mente stupida dentro che reagiva in maniera
illogica ai pensieri che si autocreava. Come essere un
burattino ingenuo in preda a strane idee legate al

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fatto che comunque qualcuno si era fatto male. E
siccome questo tipo di universo non mi piaceva alla
fine, urlavo perché volevo uscirne e viverne un altro.
Ma le mie urla oltre a spaventare A. non ottenevano
alcun effetto.
Poi ho vissuto nell'idea che essendo gli universi infiniti,
io in quanto parte della coscienza cosmica, avrei
dovuto viverli tutti. Vivere tutto il dolore possibile di
ogni esistenza, per poi morire, rinascere e riprovare le
stesse cose dal punto di vista di un'altra persona che
aveva partecipato all'esistenza di quella prima. E
vedevo il momento fra la morte e la rinascita un po'
come la parte finale di "2001 Odissea nello spazio".
Un'esistenza che regrediva a feto passando
attraverso la luce psichedelica della dimenticanza. E
di nuovo un'altra esperienza di universo ne veniva
fuori. Mi trovavo in cucina e lasciavo scorrere l'acqua.
In tutto questo viaggio l'elemento acqua è stato
fondamentale. La lasciavo sempre aperta per farla
scorrere, perché ero convinto che l'acqua era una
cosa buonissima, ed era l'elemento primordiale da
cui tutto deriva e tutto ritorna, e attraverso l'acqua
potevo ritornare in altri universi rinascendovi dentro.
Poi mi sono lasciato portare dalle sensazioni fisiche.
Ho pensato che se l'universo è infinito, e l'universo è
rappresentato tramite le nostre percezioni fisiche,
allora saranno infinite anche le percezioni, e allora
dovevo sperimentare le percezioni più assurde
perché comunque facevano parte dell'universo. Mi
sono messo a leccare le veneziane in cucina, e
ricordo benissimo la sensazione della polvere sulla
lingua, poi mi sono messo a succhiare l'angolo del
tavolo, convinto che la mia percezione di quella
consistenza nella mia bocca fosse alla fine una sorta
di entità appartenente all'universo come lo sono io. In
tutto ciò i frammenti di vetro erano sempre lì a

57
ricordarmi che comunque era successo qualcosa da
cui non si poteva tornare indietro.
Probabilmente mi sarò perso da qualche parte.
Entra A. in cucina, e mi chiede come va. Dico bene,
con tutta naturalezza. E dentro di me mi dico: che
viaggio strano, anche se in quel momento non mi
ricordavo quasi nulla di tutto. E stavo ancora
cercando di analizzare le mie percezioni. Vedevo
attraverso gli occhi, sentivo il sangue appiccicoso
sulla mano, sentivo il sapore di cioccolata in bocca.
Insomma, le mie percezioni c'erano tutte. Ma io no.
Non sentivo di essere dentro di me. A. iniziava a
cucinare qualcosa come se fosse tutto normale. Mi
chiedeva se la panna era scaduta, cucinava della
pasta. Io ero totalmente frastornato. Non sapevo
dov'ero. Riconoscevo tutto, la cucina, il resto della
casa, ma era come se fossero percezioni vuote senza
consistenza. O ero io che non avevo più consistenza
dentro di me. Sempre più confuso ho cercato
spiegazioni ad A. che mi rispondeva in tono ancora
più enigmatico, mettendomi pure una certa ansia.
Non ricordavo quello che era successo. Allora mi è
iniziato a venire il dubbio che era successo qualcosa
di catastrofico che non riuscivo a ricordare. Da lì il
colpo di genio! Ho pensato che in definitiva ero io
che mi ero buttato dal balcone, e in quel momento
mi trovavo in una sorta di limbo nel quale dovevo
prendere coscienza del mio stato. E il mio "angelo"
aveva le sembianze di A. per aiutarmi a ricordare e
accettare la nuova situazione. Ero totalmente
confuso. Non capivo più niente. A. Mi ha consigliato
di andare a dormire, e io invece l'ho presa come se
mi avesse detto che se mi fossi addormentato sarei
rinato da un'altra parte. Allora me ne sono andato a
letto, con la convinzione che stavo andando a morire
per rinascere. In quel momento mi è presa una

58
tristezza enorme, immensa. Non volevo che finisse
così, mi dispiaceva per quello che avevo fatto, ma
soprattutto per il dolore che avrei causato alle
persone che mi vogliono bene. E poi i miei progetti…
tutto stava andando in fumo. Mi veniva da piangere,
ma non riuscivo, ero confuso anche per quello. Mi
sdraio a letto, e non accade niente di significativo,
sento sempre che non sono dentro di me, che la
realtà è vuota. E sento G. rientrare a casa. Penso che
sarà lei il mio angelo che mi aiuterà a "passare". Infatti
è estremamente dolce e comprensiva, cosa che mi
risulta strana, perché penso che se fosse veramente
lei dovrebbe essere incavolata per ciò che è
successo. Ci abbracciamo e mi fa sentire bene. Poi
mi lasciano solo a letto. Lentamente sento di rientrare
in me stesso. Dopotutto non sono morto. Cavolo,
NON SONO MORTO ALLORA!!! Li chiamo, mi tengono
compagnia, mi riprendo un pochetto. Poi mi alzo,
mangiamo qualcosa. Parliamo, ma poco,
dell'accaduto.
Il processo di ripresa totale dell'equilibrio psichico è
stato abbastanza lungo. Anche il giorno dopo non
ero del tutto certo che fossi poi veramente vivo.
Magari era solo un'illusione per via del fatto che in
fondo ero molto attaccato a questa realtà. Le notti
seguenti sono stato un po' agitato, come se nei sogni
vivessi l'asfissia di pensieri circolari continui e
insostenibili.
Ora che scrivo tutto è passato.

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Riflessioni sulla quarta esperienza

Rileggendo a posteriori questo resoconto, emerge


tutto il lato devastante dell’uso di queste sostanze. E’
stato veramente un “bad trip”. Spesso avevo letto di
questa possibilità, ma fino a che non ti ci trovi dentro,
non ti rendi conto della portata interiormente
devastante di questa esperienza negativa. E allora
emergono altre riflessioni sull’uso di queste sostanze.
Non sono assolutamente cose con cui giocare in
maniera inconsapevole. La loro portata di
modificazione della coscienza e della mente, va
molto al di sopra di quello che si può pensare di poter
gestire senza un’accurata preparazione.
Risulta chiaro allora perché nelle tradizioni
sciamaniche di ogni cultura, prima di poter avere
accesso a queste dimensioni, lo sciamano veniva
duramente sottoposto ad una disciplina spirituale in
grado di prepararlo ad affrontare queste esperienze.
Solo un’accurata preparazione mette in grado lo
sciamano di poter gestire qualunque situazione in cui
può venirsi a trovare.
Con questa esperienza mi sono reso conto di quanto
labile sia il confine fra la follia e la sanità mentale, e
quanto la mia mente possa completamente perdere
il legame che ha con la realtà condivisa. Senza una
guida che presiede al viaggio, affrontare una
situazione così intensa può veramente creare dei
danni psicologici in qualcuno che si avventuri su
questi sentieri.
La pesantezza di questa esperienza ha fatto si che
per diversi mesi l’idea di ripeterla non si palesasse
minimamente alla mia volontà. Avevo assoluto
bisogni di riappropriarmi del mio territorio mentale. Di
rimettere le cose a posto e di chiarirmi un po’ le idee.
Però la mia sete di conoscenza e la mia curiosità alla

60
fine hanno prevalso. Sentivo che l’esperienza
psichedelica doveva ancora darmi qualcosa di
importante.

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Quinto viaggio psichedelico con i funghi
8 giugno 2003

Nonostante dopo l'ultimo viaggio fossi rimasto molto


scosso, e mi fossi deciso a non intraprenderne
ancora, dopo alcuni mesi mi sono ritrovato
nuovamente implicato in una portentosa esperienza
psichedelica.
Questa volta ho coinvolto nella cosa un mio amico
che era molto attratto da un'esperienza di questo
genere e mi sono deciso di accompagnarlo nel
viaggio.
Abbiamo scelto come setting una zona collinare
presso Tolfa (Civitavecchia) dove lui aveva una casa
di campagna.
Mentre cercavamo un posto che ci piacesse
abbiamo visto uno stranissimo uccello che ci
sembrava accompagnarci, penso fosse un upupa,
perché aveva la testa rossa con una sorta di
raggiera.
Percorrendo un sentiero sassoso abbiamo trovato
una radura in cui c'erano tre grosse querce, e sotto
una di esse, abbiamo trovato un sasso con incisa la
lettera R. Per noi questo voleva dire Rivelazione.
Come rivelatorio è stato tutto il viaggio, forse anche
più forte di tutti gli altri che abbia mai vissuto,
sebbene non si possa definirlo un bad trip in senso
reale. O forse dipende tutto dall'ottica in cui si
guardano le cose.
Ci siamo preparati stendendo a terra dei pareo
tailandesi con disegni psichedelici, ideali come base
di lancio. Abbiamo preso i nostri funghetti tritati e
mescolati al succo d'arancia. La mia dose è stata di 2
grammi, assolutamente inferiore alle volte
precedenti, cioè solo per entrare in sintonia col
viaggio del mio compagno. Eppure non si può dire

63
che l'effetto sia stato minore, anzi forse molto più forte
perché mi ha mandato in orbita attraverso tutto
l'universo, lo spazio e il tempo. Da questo fatto inizio a
capire che ormai non esiste più una precisa
correlazione fra quantitativo e potenza di viaggio. E'
come se nel mio cervello, o sistema nervoso, si fossero
aperte delle strade, dei percorsi neurali ampliati, e
ogni volta che mi accingo ad un'esperienza del
genere basta sempre meno per poter andare più
avanti e più veloci su questi sentieri della coscienza.
Il mio amico ne aveva presi 3 grammi, essendo di
corporatura più robusta e di ottima tolleranza ad altri
tipi di sostanze (alcool e marijuana).
Beviamo l'intruglio di funghi e succo e aspettiamo di
iniziare a planare verso altri mondi. Questa volta la
partenza mi è sembrata piuttosto lunga e graduale.
Forse una mezz'ora rispetto ai soliti 15 minuti.
Pochissima nausea, e nell'attesa abbiamo scherzato
sul fatto che fosse tutto uno scherzo, e che in realtà
non sarebbe accaduto niente.
Poi come al solito, ci siamo finiti dentro con tutte le
scarpe.
Come sempre è difficile raccogliere le fila di tutto
quello che mi è passato per la testa, visto che ho
attraversato più o meno tutto lo scibile umano, ogni
forma di pensiero e filosofia, ogni sensazione fisica e
ogni legge di natura, percorrendo più e più volte
l'universo in una giostra caleidoscopica interminabile.
La quercia mi faceva da tetto con i suoi rami contorti
e le verdi foglie, il sole traspariva fra di esse come una
sottile pioggia di luce; ho tolto gli occhiali, perché
una cosa come la miopia non serve quando si inizia il
viaggio. I rami iniziavano ad assumere una
conformazione tridimensionale più profonda, come
se la loro trama si disponesse su molti piani di
profondità. Se quello che vediamo normalmente è la

64
terza dimensione, quella potrebbe definirsi la quarta,
la realtà che assume dentro di sé il tempo. Era lì e io
la vedevo. Vedevo la trama di materia energia luce
tempo e spazio che formavano tutto quanto era
davanti ai miei occhi. Ho iniziato a baloccarmi con le
leggi del cosmo, la gravità, gli atomi, la relatività
einsteiniana. Mi attraversavano la mente come se
non ci fosse neanche da parte mia una reale
comprensione attiva ma una constatazione di fatto
che le cose funzionano effettivamente così fin nella
loro più sottile essenza. Dalla mia mente veniva fuori
ogni tipo di costrutto intellettuale, supportato di
immagini, forme, suoni, sensazioni come se in realtà
fosse un tutt'uno senza distinzione tra le parti. Il senso
della religione, della scienza, della ricerca mi
attraversava lasciandomi un forte senso di sacralità.
Capivo l'esistenza di ogni legge, del motivo per cui le
cose sono esattamente così come le percepiamo. E
tutto in un singolo enorme istante in cui i miei neuroni
giocavano con la psilocibina. E' solo la droga, mi
ripetevo ogni tanto per non perdere il filo. E questa
sola parola scatenava in me ogni possibile
condizionamento a cui associamo la parola "droga"
fin dall'infanzia. Sentivo le voci di amici e parenti che
consideravano qualsiasi tipo di droga come
assolutamente sbagliato e nocivo per il mio
organismo, non sapendo ciò che di meraviglioso era
invece nascosto in questi piccoli funghetti, e io non
volevo dare retta a loro, sebbene in certi momenti
avessi il dubbio che avessero ragione.
Vedevo il mio sistema nervoso interagire con la
sostanza invadente, atomi e molecole che si
scontravano e creavano mondi. E quel mondo ero io.
E quel mondo era Dio. Forse questa è stata la più alta
esperienza divina che abbia mai sperimentato, tutto il
viaggio intendo. Era come se Dio, o l'Assoluto per

65
eliminare quel senso di cattolicesimo che mi è tanto
antipatico, non facesse altro che sperimentare la sua
potenzialità attraverso di me, o attraverso il suo Sé. E
in un momento ero un filo d'erba, un insetto che
camminava lì, un farfalla che volava. E questo in un
certo modo dipendeva da dove io ponevo
l'attenzione. Ogni volta che muovevo la mia
attenzione su una cosa o su un'altra ne sperimentavo
l'essenza. E allo stesso modo facevo con le percezioni
fisiche pure. Mi spostavo da un senso ad un altro,
focalizzando ora sul tatto della punta delle dita sul
terreno attraverso il tessuto su cui mi trovavo, ora sulla
sensazione dell'acqua che bevevo e sentivo
scendere dentro di me. Mentre cercavo di ricordarmi
quant'è l'acqua che effettivamente si potesse bere
senza scoppiare. Ora era lo stimolo della pipì, e di
nuovo tornavo a toccare la bottiglia. Sentivo i denti in
tutta la loro fisicità, compattezza, e poi riaprivo gli
occhi e rimanevo sconvolto di ciò avevo davanti gli
occhi. Era pieno di insetti tutt'intorno. Ne avevo sulle
mani, alcuni li schiacciavo senza volere, ed era come
se rimanessero appiccicati e non riuscissi a levarmeli
di dosso, poi vedevo degli strani bruchi sul tessuto,
iridescenti, simili alle processionarie. E l'erba secca
tutt'intorno, che formava delle spirali uncinate
colorate che disegnavano un intreccio fluttuante sul
terreno.
E poi il tessuto stesso con i suoi disegni già psichedelici
di per sé, diventava uno spazio in cui sprofondare. E lì
ci sprofondai. Entrai nella rete del sé e degli ego.
Andai a toccare il più profondo stato di personalità
multiple. Era una rete caleidoscopica infinita che si
estendeva ovunque. Costituita da punti di coscienza
luminosi che avevano credo 5 raggi o filamenti
fluorescenti o lattiginosi che li collegavano ad altri
punti. E in quegli altri punti riconoscevo le altre

66
persone che ho incontrato in questa vita. Erano i miei
amici e i miei familiari. E il mio amore. C'era lei, e lei
era la mia guida. La guida per non perdermi da dove
ero, da quel posto così totale e grandioso ma anche
in cui è estremamente facile perdersi. C'era tutto
laggiù, e tutto era luce e colore. Ma avevo così
paura di smarrirmi in questo Labirinto di coscienze. E
allora mi ripetevo chi ero, ripetevo il mio nome e
l'indirizzo di casa mia come un mantra per ritornare a
ricordare chi fossi. Perché lì ad un certo punto non sai
più chi sei, non sei più uno solo, e sei tutti allo stesso
tempo. La vita, la coscienza, l'Universo, non sono altro
che un paradosso di dualità. Tutto è il contrario di
tutto nello stesso tempo. Unità, dualità e trinità. Tutto
sempre insieme uno dentro l'altro. A seconda del
punto in cui ci si mette ad osservare. Ed io ero lì, nel
cuore dell'universo, al centro di dove scaturiscono
tutte le leggi. Il tempo e lo spazio sono nati lì. E non ha
senso misurarli perché da ogni punto cambiano i
riferimenti. E' tutta solo una questione di punti di vista
e di quale coscienza è giudicante in quel momento.
Per cui nulla nella vita è mai vero o mai falso.
Dipende solo in ciò che vuoi credere, nella fede. Sei
hai fede, puoi credere in qualunque cosa e
qualunque cosa diventa vera, reale. Ed è per questo
che si possono manipolare le leggi dell'universo,
perché è la nostra coscienza che le crea nel modo in
cui le vediamo. E le creiamo istante dopo istante
esattamente come le vogliamo vedere. Ho giocato
con la materia deformandola e plasmandola in ogni
forma diversa. Ma sono giochi che non ci sono
concessi qui nella cosiddetta realtà consensuale. Qui,
conosciamo altre leggi, ed il sapere di poterle
cambiare tutte ci spaventa, perché ci fornisce un
potenziale infinito nelle nostre mani. E possiamo
diventare tutto. Un filo d'erba, una coccinella, un

67
aereo che vola lontano, tutto. Ogni pensiero, ogni
forma fisica o emozione. Possiamo diventare
veramente tutto e trasferirci da una cosa ad un'altra
con la sola nostra volontà, percependo il tempo da
tutta un'altra ottica. A seconda di come noi vogliamo
che scorra. Possiamo mandarlo avanti veloce,
indietro, o semplicemente bloccarlo e vedere le cose
come sono. E' tutto nelle nostre mani, in nostro
possesso, e il motore di questo "gioco" è la volontà
pura. La volontà di essere ciò che si è più di essere
qualsiasi altra cosa. E' tutto in bilico fra paura di
perdersi e volontà di esprimere ciò che si è.
Riemergevo in certi momenti da questa realtà nella
realtà, ma mi bastava soffermarmi sulla trama del mio
vestito bianco di cotone per ricaderci dentro.
Vedevo i fili bianchi che si ingrandivano, diventavano
lattiginosi e luminescenti, dai colori cangianti, e poi si
aprivano ad imbuto, si allargavano e mi lasciavano
entrare come un flusso di pensiero, risucchiandomi di
nuovo nell'altra realtà. E di nuovo mi trovavo nella
rete, la rete di circostanze e presenze che mi rendono
quello che sono. Ma chi sono? Chi ero in quel
momento? Non ero più niente. Più volte ho letto in
altri racconti di viaggio dell'ego death, la morte
dell’Io. Ma non sapevo che fosse quello in cui mi
trovavo in quel momento. Perché da un lato è vero
che non ero più quello che sono, ma forse ero molto
di più e non molto di meno. A volte abbiamo paura
della morte perché abbiamo paura di perdere. E non
sappiamo che invece potremmo trovare molto di più
di quello che non abbiamo già. Perché al di là della
barriera che noi chiamiamo morte, si trova il tutto e
non abbiamo altro che la scelta di tornare ad essere
ciò che vogliamo. Questa è la legge del Cristo e del
Buddha. E io ero in quel momento il Cristo e il Buddha,
e tutti gli illuminati che fin dal principio dei tempi si

68
sono chiesti il perché delle cose. Ho trasceso ogni
legge, ne ero padrone e schiavo allo stesso tempo.
Ero io che creavo le leggi e poi le seguivo, per poi
eluderle nuovamente e crearne altre. Mi sottoponevo
alla legge universale e ne ero il suo artefice. Questo è
il grande paradosso del Tao. Tutto e il suo contrario
ad ogni istante, quando il senso di un istante è tutto il
tempo che si può immaginare.
E dallo stato di Assoluto di nuovo nasce il ciclo delle
cose. Tutto si ripete ciclicamente, tutto continua ad
andare avanti come lo conosciamo, come vogliamo
che le cose tornino ad essere. Cambia l'esteriorità,
ma l'essenza è la stessa. Si evolve la tecnologia,
impariamo ad usarla in nuovi modi, ampliamo le
nostre forme mentali, ma sono solo nuovi inganni che
l'Assoluto adotta per promuovere la conoscenza di
sé. Inganni e verità allo stesso tempo. E' verità ciò che
riteniamo tale, e in quest'ottica non esiste differenza
fra memoria e immaginazione, tutto si confonde, e si
torna a rivivere ogni frammento della propria
esistenza in una serie di rimbalzi concatenati della
coscienza. Da un ricordo ne viene un altro, poi
torniamo ad una sensazione fisica, poi un suono,
un'immagine, una fantasia. E' una rete in cui ci si
perde, pur essendone i padroni. A seconda di come
muoviamo la nostra attenzione, l'Assoluto segue
questo intricato viaggio con noi, in un immensa
danza cosmica. E allora ci appaiono ovvie tutte le
descrizioni del mondo che finora abbiamo
conosciuto, ogni libro letto o film visto prende un
nuovo senso, si riveste di nuove simbologie. E ci
appaiono segnali di quello che riusciamo a
comprendere in quel grande istante di fusione col
tutto. Ogni schema di pensiero, ogni concezione
filosofica, o religiosa, diventa vera perché è solo un
modo diverso di raccontare la stessa cosa vista ogni

69
volta da un punto di vista diverso. Dagli infiniti punti di
cui è costituito l'assoluto. Ma a sua volta l'infinito non
è una linea retta, ma un ciclo. Una sinusoide frattale
che si ripete su diverse scale, sempre uguale a se
stessa ma diversa. Sinusoide perché vive nella dualità,
nello spostamento fra un punto ed il suo opposto,
nell'accordare verità ad un'asserzione ed al suo
contrario. Frattale perché ogni verità è chiusa dentro
l'altra. E' un intero mondo fatto a buccia di cipolla.
Dopo ogni strato se ne trova un altro e poi uno
ancora, opposto al primo. E poi ancora troviamo la
sintesi, e poi ancora la dimenticanza per poi ritornare
alla fonte della conoscenza. Torniamo al caldo per
ricordare il freddo, torniamo al freddo per ricordare il
caldo. Viviamo nel ricordo e nell'esperienza delle
cose. Un tunnel dentro l'altro con sempre nuove
strade da imboccare, nuove possibilità. E allora
capisci che l'India non è solo un paese dell'Asia, ma
un posto nella mente che puoi visitare se tu davvero
vuoi. Se tu vuoi viaggiare stando fermo in un posto.
Puoi farlo in ogni momento, tornarci più e più volte e
ogni volta ricordare un frammento diverso. Devi solo
volerlo e credere nelle tue possibilità. Nella possibilità
che ti è data di sperimentare qualunque cosa tu
voglia. E allora dov'è il problema? Se tutto fosse così
facile, così semplice, dove è il grande problema?
Nella dualità. Esistono le leggi e i modi per cambiare
e plasmare la materia e l'energia nella forma che
vogliamo. Questa è la conoscenza suprema,
assoluta. Ma per controbilanciare questa, esiste
anche la dimenticanza, ciò che ci fa essere uomini
inconsapevoli su questa terra. Perché è solo
dimenticando che possiamo tornare a ricordare. E'
solo scomparendo che possiamo tornare ad esistere.
E' una pulsazione cosmica che si ripete uguale ma
diversa. Ed esiste la paura di smarrirsi e di dimenticare

70
per sempre tutto quanto solo perché non abbiamo
avuto la fede.
Io ero lì sotto quella quercia, e vivevo chiuso in questo
nodo universale. Solo una domanda risuonava nella
mia testa: chi volevo tornare ad essere? Quello che
ero prima di assumere i funghi. Ma la strada di ritorno
dall'infinito è lunga e i bivi che ti si aprono davanti
sono moltissimi. Ogni volta hai due o più possibilità e
sta a te scegliere quella che vuoi. E per non perderti
in questo dedalo, esiste una sola unica e infallibile
guida. L'amore. Il mito dell'amore che non è solo uno
scompiglio sensuale del corpo e della mente. E' lo
spirito e la forza che guida l'universo in questa danza
cosmica. E' la luce, e quindi l'energia e quindi la
materia scendendo sempre più verso i regni a noi più
familiari.
Questa volta sapevo che avevo questa guida. Era il
sole davanti a me che splendeva fermo nel cielo.
Fermo in un'ora senza tempo. Ed era anche nel suono
che si ripeteva costantemente tutt'intorno a me. Era il
nome del mio amore. Il mio amore terreno, ma in
quel momento era il mio aggancio per tornare sulla
terra come la conosco. Il mio punto fermo, il faro
nella tempesta. La stella polare nel buio della notte.
E con questa guida ho cercato di tornare indietro,
sotto quella quercia dalla quale ero partito. E allora
ho spinto la mia volontà percorrendo a ritroso tutto
quello spazio che avevo attraversato fino a quel
momento, tornando a sperimentare di nuovo tutte le
sensazioni delle cose che mi circondavano.
Ogni bivio sapevo dove mi avrebbe portato, e
lottavo contro la paura per non imboccare quello
sbagliato, e finire in un mondo che non era quello
che volevo. Mi smarrivo nelle sensazioni. Avevo la
bocca impastata di sangue. Perlomeno quello era
quello che credevo in quel momento. Mi sentivo il

71
sangue in bocca, volevo bere, sapevo che l'acqua
faceva bene, ma l'acqua era finita. Non so quante
volte ho pensato di poter bere l'acqua e poi mi
rendevo conto che non c'era più. Avanti e indietro
come un videoregistratore. Poi tornavo al sangue.
Cos'era quel sangue che sentivo? Come un lampo mi
attraversava la mente che quel sangue era il sangue
che versava il mio corpo in un incidente di moto per
strada da qualche parte là nel buio. No, non era
quello l'universo a cui volevo tornare. Avevo paura di
iniziare a ricordare quel mondo in cui la mia vita finiva
per un incidente stradale. No, no, non è quello. Di
nuovo cercavo di imboccare un'altra strada.
Chiamavo il nome del mio amico incessantemente
per riportarmi alla realtà e rendermi conto che era
ancora l'effetto della sostanza nel mio corpo. Sì, è
vero, ho preso i funghi. Ora ricordo. I funghi… la
droga. E' solo la droga che mi fa questo effetto. Ma
se fosse stata troppa? Se non potessi tornare indietro?
Il mondo non vuole che si prendono droghe. Ho
trasgredito le leggi umane, le leggi dei padri. Ho
voluto farlo, mi sono spinto troppo oltre, mi sto
perdendo in un universo in cui non so chi sono, non so
dove voglio tornare. No, non lì dove mi schiantavo.
Poi passa un aereo, e sono su quell'aereo, e so che se
ci penso troppo potrei ritrovarmi su quell'aereo per
schiantarmi da un'altra parte. No, devo essere forte,
tornare indietro, ricordare. Guardo il sole, il sole è la
mia guida.
L'amore. Non mi accadrà nulla che non voglio. Sono
solo i funghi. E di nuovo il ciclo si ripete, e si ripete
ancora. Basta, basta, è un ciclo, l'ho capito, voglio
uscirne. Quanto manca? Quanto tempo è passato?
Cos'è il tempo?
Cerco l'orologio, lo guardo. Non capisco cosa sto
guardando, cosa cerco di capire. Sì, il tempo. Come

72
si legge il tempo. Le lancette. Cosa sono, come
funzionano? Non riesco a ricordare. Il mio amico mi
guida. Disegna un orologio su un quaderno. Non so
se è più fuori lui o io. Lui scrive, scrive tanto. Vedo
pagine e pagine scritte. Le scritte ondeggiano
multicolori sulle pagine, scompaiono e riappaiono. La
matita va avanti e indietro. Le scritte rientrano nella
punta. E' tutto vero, è tutto falso. Non so più dirlo. E di
nuovo imbocco un corridoio di pensiero. Porte,
corridoi, stanze. Qual era quella giusta? Mi scappa la
pipì. Un pensiero vero, un'esigenza reale, fisica, del
mio organismo. Penso alle leggi di natura. La legge
che governa la salute, il giusto equilibrio in tutte le
cose. La chimica del nostro funzionamento. La
sostanza nel mio corpo che mi sta facendo provare
tutto questo. Ecco dov'ero. I funghi… e ci sono da
capo. Di nuovo sto ripercorrendo tutti i sentieri. Aiuto,
non ce la faccio più. E' la giostra cosmica, tutto, si
ripete, sempre più veloce. Voglio scendere. Si, il
tempo. Prima o poi finisce tutto. Ma quanto è
passato? Che ore sono? Torno all'orologio. Stavolta
ricordo qualcosa. Leggo il quadrante, sono le cinque
e mezza. Sono circa 4 ore che stiamo viaggiando
oltre la velocità della luce, oltre il pensiero.
Ma ancora la strada è lunga. Ancora posso smarrirmi
molte volte. Alcune volte i pensieri si ripetono uguali,
altre volte cambiano piccoli particolari che mi fanno
ritrovare la via di casa. E allora mi confondo
passando in rassegna le leggi umane, la morale e
l'etica. I rapporti umani passati, i legami, i pensieri
altrui. Il sesso con uomini e donne, ciò che è giusto e
ciò che è sbagliato. Sperimento tutte le ottiche e
capisco che nulla è mai né giusto né sbagliato.
Semplicemente è quello che è, e ha il senso che
vogliamo dargli.
Il mio amico mi dice: è tutto così semplice. Già. E'

73
tutto così semplice come questa foglia davanti a me.
E' una foglia di felce, con la sua struttura a frattale. Si
apre davanti ai miei occhi e il frattale si ripete, il
viaggio rinizia, o meglio dire, continua su nuovi
pensieri e nuove sensazioni. Aiuto mi sto perdendo di
nuovo in un turbinio di salti fra realtà e
immaginazione. Chi sono? Torno con la memoria allo
studente che ero, un mondo lontanissimo di cui ora
non c'è più traccia. Non è quello il mio mondo, le
cose sono cambiate, si va avanti. Fantasmi del
passato ritornano a trovarmi. Persone smarrite,
perdute che hanno preso vie diverse. Ognuna
portava con sé la sua verità. Ognuno in cerca di
riscontro. Cerchiamo di parlarci, di comunicare
quello che siamo. Ognuno è una cosa diversa ma
siamo tutte le cose. Comunichiamo usando tutti i
mezzi possibili e immaginabili, l'arte, la musica, ogni
poesia non è che un frammento di questa realtà che
cerchiamo di riportare quando torniamo a casa. Che
ci tramandiamo facendo rimbalzare ogni cosa fra
un'esistenza ed un'altra, nell'immensa storia
dell'umanità. L'umanità è una, ed è legata alla terra
che è la nostra casa, ma anche il nostro corpo
spirituale. La massa che ci lega. E allora un lampo
improvviso di comprensione. La materia subisce la
legge di gravità, e anche le anime lo fanno. Tutte le
anime umane sono attratte dall'anima della terra. Da
questo grande masso di vita che è sotto i nostri piedi.
Che dovremmo amare e rispettare perché non siamo
altro che noi, le nostre possibilità, il nostro passato e il
nostro futuro. E questa forza spirituale di gravità ci
tiene legati gli uni agli altri. In una grande rete di
relazioni fra anime e coscienze. Ci reincarniamo su
questa terra perché è lei che ci attrae e ci impedisce
di reincarnarci in altre esistenze di altri sistemi solari. Ci
tiene legati a questa rete di realtà, ma non perché

74
non sia possibile allontanarsene. Ma solo perché la
forza di gravità spirituale è più forte della nostra
volontà. Altrimenti potremmo andarcene in giro per il
cosmo a vivere ogni esistenza di ogni pianeta che
possiamo concepire. O addirittura altri universi in cui
la legge di gravità non è come la conosciamo qui
ma si chiamerà legge di appiccicosità, come tutti
questi insetti che mi trovo appiccicati addosso. Ecco
ci siamo di nuovo, sono tornato di nuovo al principio.
Non ci posso credere, ma quando finisce? Ne voglio
uscire, adesso. Adesso. Scuoto la testa, ma niente, il
viaggio dentro continua. Chiamo il nome del mio
amico, e tutto riparte, come sempre, sempre uguale.
E' il mind loop. Come pochi altri nella vita. Ho paura
ma so che se ne verrà fuori. Devo riconcentrarmi sul
sole. Mi alzo. Finalmente qualcosa è cambiato. Mi
muovo, muovo il mio corpo su questa terra. Qualche
legge sta tornando in sé. Faccio qualche metro verso
il sole. Sono vestito di bianco, la luce è accecante.
Sono il Cristo che torna verso il suo Dio padre. Ho
raggiunto l'illuminazione. L'eterno si è svelato. E' un
attimo. In cui ti ricordi di come quella volta
camminasti sulle acque. Non è difficile se la tua fede
è così forte da aprire il cielo. E il cielo è lì, azzurro con
questa palla infuocata immobile a guardarmi. E' tutto
lì. La risposta a tutte le domande.
Poi si ritorna. Si inizia a ricordare. Ricordo che in
qualche tempo lontano dovevo fare pipì. Sono lì in
piedi e faccio una pipì interminabile. Quanto liquido
può contenere il mio corpo? Quanto ancora? Tutta
l'acqua che ho bevuto prima, ora riesce. L'acqua. Ho
sete ancora. Ricordo e di nuovo afferro la bottiglia di
plastica. Mi trovo punto e d'accapo. Mi smarrisco
eppure ogni volta è più facile uscirne. Basta seguire il
cuore. E lei, il mio amore. E' qui tutt'intorno nella voce
della natura. La sento, riecheggia come in una

75
grande festa. C'è festa qui intorno, sento voci, cori. E
tante moto che passano, e macchine. Traffico. C'era
una strada qui vicino. O è la strada dove giace il mio
corpo sfracellato per un incidente? Il sangue, sento
ancora il sapore di sangue. Tutto è ciclico si ripete
ancora. Mi scappa di nuovo la pipì. E sono lì in piedi
davanti al sole. Qualche cosa è cambiato ancora.
Ora ricordo.
E' così si va avanti, per momenti interminabili di
ciclicità. E ti viene da pensare che ogni filosofo, ogni
artista o religioso abbia vissuto una qualche
esperienza psichedelica e ne abbia raccontata solo
una parte. Quella che amava di più.
Così anch'io dopo aver percorso tutto il percorribile,
mi trovo a sceglie di nuovo chi sono grazie all'amore,
per poter tornare indietro nel Labirinto. C'è lei. E' vero.
Ma c'è anche qualcos'altro. Un'altra presenza abita il
mondo in cui voglio tornare. E' mio figlio. Il figlio che
non ho, che vivrà nel mondo in cui io voglio tornare.
E' il mondo in cui un padre racconterà al figlio tutta la
sua esperienza, tutto l'infinito che ha percorso per
poter dare vita a lui. Questa è una luce grande, forte
che mi aiuta a tornare indietro, verso dove vuole la
mia volontà. La volontà di appartenere a questa
terra e tramandare la conoscenza di padre in figlio,
così come da sempre impariamo dai padri e
insegniamo ai nostri figli, e siamo noi stessi figli e padri,
perché queste sono le leggi degli uomini. E padre
non è chi ti genera per il suo seme, ma chi ti
trasmette la sua conoscenza. Come madre è colei
che ti da l'amore. La mia donna, amore e madre, mia
madre e mio padre, ogni persona che ho incontrato
è insieme padre e madre e figlio per ogni altro essere
vivente. Di nuovo la rete. La gabbia. Non se ne può
uscire ma neanche entrare. Non c'è dentro ne fuori.
Dualità. Tutto è dualità.

76
Frammenti. Ricordi. Tanto altro prima di tornare ad
essere quello che sono.
Il mio caro amico mi è accanto. Dice o scrive cose
assurde. Mi è compagno, supporto, padre e madre.
Sento il bene che gli voglio. E' il bene che dovremmo
volere a tutti sempre, perché è solo dualità. Perché lui
sono io, lui è Dio. E io amo il Dio che vedo in lui, sento
la luce, il calore, la forza e l'amore. L'amore spirituale
che diventa fisico. Che diventa sesso. Energia di carni
che si uniscono e si danno piacere. Il piacere è tutto.
La ricerca del piacere è la ricerca di sé. Capisci cosa
sei quando sai cosa ti piace. Penso ai nostri corpi in
una danza sessuale. Ma poi vengono i
condizionamenti umani, ciò che è lecito e ciò che
non lo è, ciò che è immorale a seconda dei punti di
vista. La morale, i giudizi altrui, li vedo come
costruzioni fasulle e prive di verità. La nostra vera
natura è di amarci l'un l'altro ma c'è così tanta paura
di mostrare sé stessi, nudi e pieni di verità. Nudo.
Voglio essere nudo. Spogliarmi dei miei vestiti e vivere
della semplicità del solo corpo umano. Mi levo la
maglietta, fa caldo sono sudato e appiccicoso.
Riesco a levarmi anche le scarpe e un calzino, ma
poi mi perdo ancora. Mi smarrisco nei meandri dei
miei pensieri. Mi stringo in posizione fetale, sono nudo
nell'immaginazione. E il mio è il corpo di un bambino
che regredisce fino a tornare nell'uovo. Tutto scorre
indietro ancora una volta. L'avanti e indietro sono
solo vuoti punti di riferimento. Ma io voglio tornare.
Dovunque io sia voglio tornare. Ora è freddo. Ah, sì.
Ora ricordo. Mi sono levato la maglietta. Voglio
rimetterla perché ho freddo. Ma anche freddo è
caldo sono solo sensazioni a cui se voglio posso
mettere fine spostando la mia attenzione su altro. In
fondo è tutto così semplice, vero amico mio?
Semplice e intricato tutto insieme.

77
Sono sdraiato. Il mio peso sulla terra. Respiro. Devo
ricordarmi di respirare. Sento l'aria uscire ed entrare
dal mio corpo. Fa bene. E' vita. E segue le leggi di
natura. Sono immerso nella natura. Che bella la
natura, il sole, gli alberi, le farfalle. Lo stesso strano
uccello dell'inizio. Nella natura nulla può accaderci di
brutto. Io non ho paura. Non devo aver paura di
niente. Devo andare in fondo alle cose, le cose
vanno affrontate. Non si può rimandarle a lungo,
tutto torna se non lo si affronta. E allora torno a
pensare che devo affrontare il fatto che io mi sia
davvero schiantato su quell'autostrada. No, no e
ancora no. Devo chiamare lei. Devo uscirne, ma non
in quel modo. Cerco il telefono. Non c'è campo.
Eppure sono in un campo. Un campo della natura.
Paradosso della terminologia. Dei sensi delle parole.
Ironia. Una battuta che crea un sorriso. Il mio amico è
lì a sostenermi ogni volta che mi smarrisco. E ridiamo,
diciamo cose senza senso, deliri incredibili da cui ogni
tanto la coscienza emerge per dirci: ma cosa cavolo
stiamo dicendo?
Sembra che stia per finire, ad ogni momento sembra
di poterne uscire fuori. Il ritmo rallenta, si torna a
prendere confidenza con ciò che definiamo
maneggevole. Pensieri più comuni, allacciare le
cinture, si sta atterrando. E' un atterraggio dolce in
fondo. C'è il sole, l'aria è tiepida e piacevole. Sto
bene. Niente di rotto questa volta. Il piacere delle
semplici cose, di quando si sta al mare stesi al sole a
non far niente. Quand'era? Ah si. Era ieri. Eppure
sembrano mille anni fa.
Si torna, ma in fondo non se ne è mai veramente
fuori. E' solo una diversa percezione delle cose.
Anche ora mentre scrivo, vengo attraversato da altri
mille pensieri, faccio telefonate, sento altre voci, altri
mondi lontani che entrano in contatto col mio. E poi

78
torno di nuovo su queste righe, dove potrei
smarrirmici per sempre e rimanere bloccato qui
dentro fra pagine e pagine che scorrono come un
flusso ininterrotto di coscienza e allora capisci Joyce
anche se non l'ho mai letto capisci tutta la ricerca
che è stata fatta fino adesso dall'uomo perché in
fondo anch'io sono stato Joyce e ho provato tutte le
cose che ha provato lui e se solo volessi potrei tornare
a provarle con un grande sforzo di volontà oppure
anche solo aprendo un suo libro perché è li che lo
ritroverei con i suoi pensieri e le cose in cui lui credeva
perché tutto è stato scritto e attraverso lo scrivere
comunichiamo la nostra conoscenza attraverso la
parola comunichiamo altri mondi e tutto ciò che c'è
da sapere e così con l'arte e ogni forma di
espressione di sé del proprio sé del sé che anima tutte
le cose ed è il più grande sé che esprime sé stesso
attraverso di noi come noi esprimiamo noi stessi nei
modi che conosciamo ognuno secondo le sue
diverse inclinazioni o volontà un canto una voce
lontana un suono un gesto un emozione tutto quello
che vogliamo lo possiamo materializzare proprio ora.
Adesso.
Tutto rimane scritto, e tutto scorre. La storia va avanti
e siamo noi a spingerla, mentre ne veniamo spinti
dalla forza immortale che ci anima.
E se andando avanti non farai altro che trovare le
stesse cose ripetute e ripetute centinaia di migliaia di
miliardi di volte non stupirti, perché è un gioco che
non ha mai fine, a meno che tu veramente lo voglia.
Allora potresti porre fine alla tua esistenza, con un
suicidio, e quante volte ci hai pensato. Ma non faresti
che ritrovarti che dall'altra parte dell'imbuto. E ti
troveresti di nuovo a dover percorrere altre vite e altri
percorsi per la sola esigenza di esprimere quello che
sei. Per cui tanto vale di tenersi questa vita, e

79
trasformarla già nella cosa più alta che sogni, visto
che ne hai i mezzi in ogni istante. Pace in terra agli
uomini di buona volontà. Una volontà forte e guidata
dall'amore, perché solo così puoi non smarrirti. Non
perché perdersi sia un male. Perdersi serve solo per
potersi ritrovare. Ricordi la danza? La dualità. Non ne
puoi uscire. Proverai enorme ed infinita solitudine. Ti
sembrerà di essere chiuso in un recinto dalle mura
altissime e invalicabili, ma poi si aprirà un pertugio
nella tua mente e troverai di nuovo la strada verso la
compagnia di altre anime amanti in cerca di te per
ascoltare quello che tu hai da dire. E allora ritroverai
gioia, amore e felicità. Perché è quello che da
sempre stiamo cercando e a cui apparteniamo.
L'unico inferno è quello in cui non ti ricordi la via di
casa per tornare da dove sei venuto. L'unico inferno
è l'ignoranza. E l'unico paradiso è la verità. E la verità
è che noi non esistiamo, se non finché ci va di
esistere. E io voglio farlo ancora per raccontare ad
altri la mia verità, per guidarli verso la luce e far
trovare loro la strada di casa. Perché io sono il Cristo,
il Buddha, il liberato. Ma voi mi prenderete per pazzo,
per un folle drogato visionario, per uno che ha voluto
rompere tutte le regole e si è bruciato il cervello. E io
vi amerò lo stesso, anche il giorno in cui mi deriderete
e mi porrete sulla croce per poi adorarmi nei millenni
a venire. E' questa l'ironia delle cose, l'ironia del
mondo. E allora sorridete, perché non c'è scampo, ci
siamo tutti dentro, nessuno escluso. Oggi sono il tuo
Cristo, domani sarò il tuo Giuda. Ti ingannerò e
tradirò, e poi ingannerò me stesso impiccandomi ad
un ramo, e tornerò all'origine. E così ognuno di voi
quando sarà il vostro turno, e poi tutti insieme, un
giorno, ci accompagneremo verso la luce per poter
spiccare un grande salto. Il salto di un'umanità
evoluta che ha trasceso la dualità. Ma la dualità è

80
solo la forma in cui noi umani vediamo le cose.
Perché oltre le stelle, esiste una e una sola cosa.
Chiamatela come vi pare, ogni tempo da il suo
nome. Ma è lì che prima o poi dopo aver tutto
compreso, tutto vissuto e sperimentato, noi
torneremo.
Per iniziare un altro e profondo viaggio dentro noi
stessi. Alla scoperta di chi siamo. E poi di nuovo le
scatole cinesi si schiuderanno una dentro l'altra
all'infinito per ripercorrere tutta la strada fatta fino a
questo momento. E ritrovare me stesso.
Che botta. Che viaggio co' 'sti funghi. Ma sto
tornando, sto planando dolcemente a bassa quota
per tornare quello che ero, e restarci.
Sì, sono proprio io. Più folle, o consapevole di prima
non so. Mentre atterravo dicevo sempre: meno male
che si dimentica, perché come si potrebbe ricordare
tutto ciò? Eppure in larga parte è qui nero su bianco.
Un viaggio nel cosmo e dintorni. E io di nuovo sotto il
sole immobile di un pomeriggio di giugno. La natura
riprende il suo corso. Tutto torna ad essere come è
sempre stato, amabile. Forse si hanno più dubbi di
prima. E' stato tutto un sogno? Ma in fondo poco ci
importa. Ormai sappiamo che non c'è differenza fra
sogno e realtà, ma l'importante è che sia finita bene.
Io e il mio amico che torniamo a comunicare. E'
come un tappo di citrosodina che cade dal settimo
piano dice lui. Non ha senso. Ma è lo zen. Non si può
capirlo. Il dubbio è sacro e va rispettato. Ogni nuova
domanda che l'uomo pone, avrà per risposta un
nuovo dubbio, e così via. E' il ciclo no? Per questo
non ci resta che accettare le cose come sono e
amarle, senza mai smettere di avere dubbi e
domande su tutto.
Così risento la mia voce che suona nel mio corpo, è
familiare e mi riporta a casa, nella conversazione con

81
un amico. Un po' folle, fuori da ogni logica. Ma per
noi è la logica dell'aver condiviso una grande
esperienza. Un grande viaggio di coppia. Non so se
sono stato io il suo maestro o lo sia stato lui. Ci siamo
aiutati a vicenda a uscirne nuovamente. Anche se
ogni tanto piccoli dubbi rimangono che siamo
ancora dentro ad un sogno. Anche ora a 24 ore di
distanza dagli eventi sotto le querce.
La quercia che mi sovrasta e mi fa da tetto, con i suoi
rami contorti e le verdi foglie che hanno ancora una
conformazione tridimensionale più profonda, come
se la loro trama si disponesse su molti piani di
profondità.
Ricominciamo? No, stavolta è uno scherzo. Stavolta
sono veramente tornato.
Mi alzo e giro intorno alle querce. Cammino
respirando ad ampi polmoni, risento la mia coscienza
che riprende forza e mi da voce. E dice cose totali.
Cioè fuori dai dubbi, fuori da ogni incertezza. Stiamo
parlando, dialogando come due guru che al
massimo del loro cammino evolutivo parlano in un
codice figurato incomprensibile ma che racchiude il
segreto dell'universo. Ci teniamo a braccetto
percorrendo altri sentieri, volgendoci verso il mare
all'orizzonte. E' tutto molto reale adesso. Siamo
veramente tornati.
Ma il bello del viaggio è quando si torna a casa, e di
nuovo si percorre un viaggio dentro al viaggio. La
condivisione dell'esperienza davanti ad un piatto di
pesto, riallacciando le trame dei pensieri e dei
momenti vissuti.
Emergono discorsi di un'ampiezza inaudita,
intrecciando filosofia a religione a scienza all'arte. Si
aprono connessioni fra le parti, salti di senso e
intuizioni improvvise. Ma i pensieri si ripetono anche
ossessivamente, e si ha l'idea che tutto quanto sia già

82
stato pensato, vissuto, sperimentato, da noi stessi o
anche da altri, in altri tempi e spazi.
Arriva la stanchezza, la voglia di un letto in cui
riposare, e la coscienza che il viaggio è ancora
lungo, e ancora devo attraversare la notte su quella
moto sulla quale ho pensato di schiantarmi un sacco
di volte. E allora con tutto il coraggio di chi vuole
affrontare l'ennesima prova, mi metto a cavallo e
vado a fendere il vento. Le macchine, le luci, la città.
La civiltà. Un labirinto di strade in cui bisogna
interpretare cartelli e segnali che ci indicano la via. Ci
si riperde e sembra che il viaggio non abbia mai fine,
ma poi si raggiunge il benzinaio. Si ritrova familiarità
con i piccoli gesti quotidiani, i soldi, le cose normali di
tutti i giorni che tanto detestiamo, e che in quel
momento ci sembrano così care.
E via, di nuovo sul serpente nero a seguire la linea
bianca. 70 chilometri verso casa, perdendomi dietro
ai pensieri e alle musiche che ho in testa. Ripensando
al viaggio e cercando di ricomporre le tessere di
questo vasto mosaico. La realtà è frattale. Lo dico
sempre, ma ora che lo penso appare un cartello con
la scritta "frattali" che indica un negozio di lampade. E
poi le chiamano coincidenze. La realtà ci parla e ci
dà segnali, cerca di ricordarci in ogni momento
quello che siamo. E' solo che ne perdiamo il codice,
dimentichiamo il linguaggio del mondo. E io ancora
che scorro sulle mie due ruote in cerca di me.
Interminabile. Ma quando c'è volontà, si arriva
sempre ad una metà, e così dopo aver ripercorso i
sentieri dell'infanzia, dell'adolescenza, mi ritrovo
maturo a salire le scale di casa. Ritrovare le cose che
ho lasciato, i vestiti per terra come i piatti da lavare. E
fanno bene perché niente è cambiato. Eppure sì.
Qualcosa dentro lo ha fatto. Sono sempre io, eppure
non so bene chi sono. E nel dubbio un bel bagno

83
caldo per dimenticare.
Ed infine… il sonno.

La nottata è passata, con una pesantezza di testa, un


po' di agitazione e qualche fantasma di ciò che mi
aveva attraversato la mente. Ma la stanchezza ha
prevalso sopra tutto, per cui ho cercato di riposare il
più possibile.
Al risveglio il giorno seguente, ero abbastanza sveglio
e vivace, ma con una sorta di peso nel cervello.
Avevo proprio la sensazione di avere una massa
densa dentro al cranio che mi pesava portare in giro.
Ma ero molto lucido e neanche troppo confuso, forse
addirittura euforico. Il corso dei pensieri era meno
ossessionante della notte prima, ma rimaneva la
traccia di flusso ininterrotto e instancabile. In molti
momenti cercavo di mettere termine a questa voce
interminabile che portava avanti i suoi discorsi, con
uno sforzo di concentrazione mentale sull'assenza di
pensieri.
Alla fine sono riuscito anche a scrivere tutto il mio
resoconto, che come un fiume passava dalla mia
mente attraverso le dita che saltellavano
velocemente sulla tastiera come se non ci fosse
neanche un processo di mediazione, ma fluisse
direttamente così come veniva.
La notte successiva è stata invece più fastidiosa per
certi versi. Pensieri ossessivi e ripetitivi che mi
rendevano il sonno impossibile se non solo agitato.
Anche la notte seguente ha avuto i suoi pensieri in
stile trip, ma molto più docili, a semplice livello di
sogno, fantasie oniriche indefinibili.

Quello che mi interessa analizzare è invece un


cambiamento nella percezione del mondo e delle
altre persone. Ho provato una forte empatia con

84
varie persone e grande capacità di dialogo. Grande
emotività, e continuo riscontro di "coincidenze" fra
cose accadute e scambi con persone. Piccoli
dettagli che acquisivano un senso molto particolare.
Invece per quanto riguarda il mondo materiale e le
sue leggi, ho alcuni momenti di percezione diretta
della realtà in termini di energia piuttosto che di
materia. Come se leggessi gli oggetti in termini
energetici piuttosto che puramente solidi. Ma mi
rendo conto che è una sensazione molto sottile da
poter comunicare. C'è anche una forte tendenza a
ridimensionare l'apertura mentale offertami dal
viaggio, cioè una spinta verso un comune
materialismo per cercare di ridurre la componente
mistico-religiosa del viaggio, ed interpretare il vissuto
in termini di pura reazione chimica fra psilocibina e
neuroni nello scambio sinaptico. Anche se comunque
il mistero di come questo possa accadere sia
effettivamente quell'ennesimo dubbio che rispetta la
sacralità della ricerca.

Ora sono qui. Aria fresca è entrata nelle stanze, ha


portato cambiamento, refrigerio. Ma ora che le
finestre sono di nuovo chiuse, la polvere lentamente
torna a depositarsi nella stanza della mente. Ed è
difficile mantenere lo specchio così puro e pulito da
riflettere solo il sé, senza lasciare che le cose
quotidiane non lascino le loro tracce opache.
Bisogna essere vigili, svegli e ricordare. E farlo tutto il
giorno, tutti i giorni, fino a che non saranno più i
funghi a portarci lì, ma saremo noi a portare di qua il
mondo meraviglioso che abbiamo dentro.

85
Riflessioni sulla quinta esperienza

La quinta esperienza è stata un riappacificamento


con l’esperienza fungina, rispetto al viaggio
precedente, sebbene ciò che per me rimane
estremamente difficile da digerire è proprio l’intensità
dell’esperienza stessa sotto il punto di vista
coscienziale.
Questo viaggio è stato il viaggio mistico per
eccellenza, il viaggio filosofico, il viaggio che ha
messo davanti alla mia coscienza tutto quello che
sono e che ho imparato in questa vita. Tutti i libri letti
e le verità apprese, si sono riversati come un fiume in
piena uno dopo l’altro confrontandosi, senza mai
trovare contraddizioni, ma semmai apparendo come
sfaccettature di un’unica verità che veniva osservata
attraverso filtri diversi.
La difficoltà per me è rappresentata proprio
dall’intensità delle rivelazioni mentali che
velocemente si proiettano sullo schermo della mente,
perché non hanno la leggerezza dei pensieri, ma è
come se tutta la mia coscienza si espandesse in
quelle riflessioni per acquisire un peso e un’enormità
dalla quale mi sento schiacciato. Come se nella mia
piccola mente ordinaria, volessi riversare un oceano
di percezioni universali e assolute e le pareti stesse di
essa venissero scardinate completamente.

86
Sesto viaggio psichedelico con i funghi
28 giugno 2003

Eccomi reduce dal mio ultimo viaggio oltre i confini


dell'io. Un viaggio intricato e misterioso più degli altri,
orrorifico ed estatico, terribile e divertente, nei regni
del fantastico e della psiche umana.
Per strada il tempo era stato burrascoso, acqua e
grandine a non finire, code sull'autostrada, e tutto il
nostro entusiasmo smorzato da questo tempo grigio e
autunnale. Sembrava impensabile aver lasciato
dietro di noi un sole assoluto, per ritrovarci nel bel
mezzo di una fresca giornata di ottobre.
Ma già quando eravamo vicini alla meta nuvole più
leggere si libravano nell'aria. Fra queste due che
rappresentavano incredibilmente un enorme e
gigante fungo, simile a quello di Hiroshima. Non mi
era mai capitato di vedere una nuvola verticale!
Il viaggio comincia alle 18,35 di un sabato nuvoloso,
al bordo di una piscina nel cuore dell'Umbria. Il cielo
ora parzialmente rischiarato, aspetta che noi
entriamo nel vivo dell'esperienza.
Siamo in tre, e stavolta tutti con almeno altre due
esperienze alle spalle. La mia ragazza, e mio cugino
sono gli altri due viaggiatori, e fra tutti e tre c'è una
bellissima empatia generalmente.
Prendiamo circa 2-2,5 grammi a testa, tritati
finemente nel succo d'arancia.
Beviamo il tutto e ci sediamo su delle sdraio in attesa
delle prime manifestazioni. Questa volta è iniziato
velocissimo. Già dopo appena 10 minuti mi sembrava
di iniziare a vedere il prato ondeggiare lievemente.
Anche il travertino a bordo piscina si espandeva e
contraeva, e tutti i dettagli delle cose erano come
posti in evidenza. Ognuno raccontava più o meno
questi suoi primi sintomi, mentre il contatto con la

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realtà andava sempre più smarrendosi. Mio cugino si
allontana e si siede su una panca. E' lì da solo
accucciato, e ogni tanto ride, perché gli vengono
cose divertenti in testa.
Io resto vicino al mio amore, ma presto ognuno
partirà per i suoi viaggi interiori. Una delle prime
bellissime immagini è stato il cielo azzurro, con le
nuvole bianche che disegnavano dei frattali in
movimento. Era fantastico, di una bellezza
inimmaginabile. Sarebbe stato bello se il viaggio fosse
finito lì, nella sola ammirazione estatica della bellezza
delle cose. Ma quello era solo il preludio di uno
sprofondare sconvolgente nei meandri della mia
mente.
In questo viaggio termini come realtà,
immaginazione, sogno, ricordo hanno perso
significato.
Dopo aver osservato il cielo, credo di essermi subito
smarrito dentro di me. Mi sono messo con la faccia
appoggiata nelle mani, e nel buio dei miei occhi si è
aperto il Labirinto. Un intreccio di luce blu sullo sfondo
nero, in cui si aprivano passaggi energetici temporali
che mi conducevano in altre realtà. Inseguivo e
percorrevo questi cunicoli come una sorta di
metropolitana interiore con le sue gallerie e i suoi treni
che correvano lontani. Un'immagine talmente
potente da smarrirmi totalmente, senza sapere più né
chi, né dove, né cosa.
Non sentivo più il mio corpo. Era come un ammasso
molle che percepivo a stento, come se le ossa al suo
interno fossero liquefatte. Muovevo le mani alla
ricerca di un contatto con me stesso, sentivo la mia
faccia e percepivo tutto il cranio al suo interno, ma
non appena spostavo l'attenzione, questo spariva e
tornavo ad essere solo un involucro di immaginazione
e pensieri. In questo primo momento mi sono sentito

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perso completamente. Completamente lontano
dalla terra, dalle cose che conosco e dal linguaggio
umano. Non riuscivo a ricordare cosa fossero i sogni,
cosa volesse dire la parola "ricordo". Come se non
sapessi più niente, come se avessi perso il mio
vocabolario. Credo d'aver fatto un rapido salto fra
immagini del passato, pensieri, frasi, parole,
mischiando le cose senza un senso logico. Mi ricordo
cose come la parola cabala, o alchimia, che mi
tornavano in mente ma non so perché. Pensavo che
fosse tutto un sogno, al cui risveglio mi sarei dovuto
ricordare delle cose per poter giocare i numeri al
Lotto. Si, è solo un sogno, domani mi sveglierò e non
sarà accaduto niente. Forse è solo un brutto sogno,
non c'è da preoccuparsi. Ma c'erano altri sentieri.
C'era l'India, un paese dove non sono mai stato.
Eppure in quel momento pensavo di sì. Mi dicevo che
in India c'ero già stato, ed era inutile tornarci. Come
se in definitiva l'India non fosse che un posto nella
mente, il posto in cui la psiche si perde, si
raggiungono le soglie dell'immaginabile, e qualche
volta si ritrova se stessi in un improvviso risveglio di
coscienza. Ma la mia coscienza in quel momento era
persa chissà dove. C'era il mio nome che aleggiava
come un'etichetta su un contenitore vuoto. Ma sotto,
dentro al nulla del contenitore, c'era tutta la psiche
dell'universo in un caleidoscopio di strutture
sovrapposte e livelli intersecanti. Eccola l'ego death
tanto immaginata. Che non è affatto il nulla assoluto,
ma tutto ciò in cui non esisti più tu. Non c'è più niente
che ti appartenga, i ricordi della tua vita, di tutto
quello che sei, si sono sciolti nella totalità. Quella è la
morte vera. La morte della propria personalità, di
quello che riconosci come te stesso su questa terra.
Tutto svanisce, si dilegua, non sei più niente eppure
sei partecipe dei misteri dell'Universo.

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Ma latente appare la paura, la paura di non tornare
più indietro da lì, l'attaccamento alle tue cose, ai tuoi
ricordi. Alcuni di questi mi schizzavano fuori come
presi a caso nel mucchio. Ho ricordato di quella volta
che da bambino la ruota della mia bici si bloccò in
un mucchio di sabbia e ricevetti un forte colpo al
petto. E il mio cuore si fermò. Il mio respiro si bloccò
per lunghi attimi. Lunghi attimi in c'era solo la paura di
non sapere cosa mi stava accadendo, di non sentire
più l'aria nei polmoni. Ma poi a poco a poco il respiro
tornò, e io tornai in vita, senza averla mai
abbandonata. E se invece quella volta fossi proprio
morto? Se la mia vita fosse finita lì? Tanto in
quell'attimo non ricordavo nient'altro, non ricordavo
chi ero. Forse ero solo quel bambino impaurito, come
quella volta che una finestra fu sbattuta dal vento e i
vetri stavano per precipitarmi in testa dal terzo piano
per conficcarmisi dentro. Fu una frazione di secondo
ma mia madre mi salvò. E se fossi morto lì, in quel
momento?
Ecco, tutti gli attimi di paura che ho vissuto, quella
paura irrazionale e folle, erano uniti in quel momento,
e stavano cercando di riportarmi in vita, riportarmi
fuori nel mondo normale, nella realtà. Riaprivo gli
occhi, ed ero lì, a bordo piscina, in mezzo alle colline
umbre. C'era il mio amore accanto, mi si avvicinava,
mi chiedeva se andava tutto bene, se la sua
presenza mi dava fastidio. Uscivo dai miei labirinti
interiori, per un istante tornavo alla realtà, guardavo il
suo viso accanto al mio. Era smarrita e persa come
me, mi diceva che procedevamo ad ondate, un
attimo eri via, poi riprendevi il contatto. No, la sua
presenza non mi dava fastidio, forse mi era
indifferente, tanto ero perso nei miei viaggi. Diciamo
che nulla aveva più molto senso. Mi chiedeva se
avevo freddo o caldo. Non ricordavo esattamente

90
che cosa volesse dire. Nel senso che non sapevo
cosa volesse dire avere freddo o caldo. Infatti io non
avevo nulla, e basta. Non percepivo più dualità, in un
certo senso stavo benissimo, perché non sentivo più
niente, ma dall'altro ero in confusione totale, perché
non sapevo distinguere le cose.
Immaginavo questa interazione della psilocibina con i
miei neuroni bombardati e le sinapsi impazzite che
creavano connessioni mai sperimentate. Una sorta di
vita interiore multilivello incontrollabile, totalmente
sconnessa con la nostra realtà consensuale. Mi
ricordavo di aver letto che nella nostra testa esistono
più connessioni neurali di tutti gli atomi del nostro
universo, e per me questo voleva dire che l'Universo
fuori di me altro non è che la concretizzazione di tutto
quello che è nella mia testa, di questa rete intricata
di neuroni, in una sorta di visione solipsistica, nel cui
principio era Dio. Eccomi di nuovo lì, di fronte alla
Legge delle Leggi, ma totalmente inerme di fronte ad
essa. Smarrito, astratto, incapace di reagire, in balia
delle maree di psilocibina che nutrivano i miei tessuti
cerebrali in un movimento pulsante ad onde. Infatti
poi tornavo un po' indietro, su questo pianeta,
riattratto dalle sue leggi, la gravità spirituale mi
riportava qui. Non so se è stato in quel momento che
mio cugino mi si trovava accanto e ha iniziato a
ridere. Rideva perché mentre io ero preso in queste
fantasie cosmiche, mi ero rannicchiato sul bordo
della sdraio, e questa si era impennata in verticale
dietro di me. Verticale come i cipressi sullo sfondo. E
questo lo trovava terribilmente comico. Ridevo con
lui, anche se non capivo cosa lo facesse ridere, ma
cosa importava poi? Come se non bastasse era finito
con le scarpe in una pozza di fango, e si era sporcato
tutto. Rideva, lanciava le scarpe. Io lo seguivo, ma
tornavo a smarrirmi nei miei mondi. Ero come in un

91
parcheggio fuori da uno di quei locali dove si fanno i
rave, dove per altro non sono mai stato. Ma mi
immaginavo di essere lì, strafatto, in mezzo a questo
parcheggio. C'erano echi in lontananza, voci di festa,
rumori che rimbalzavano nella mia testa. Forse erano
le voci dalle case vicine, che si amplificavano dentro
di me, o il rumore di qualche macchina sporadica
nella stradina. Ma era come una festa di luci e suoni.
Mio cugino credo sia rientrato in casa. Sono rimasto
di nuovo con la mia ragazza accanto. Lei ad un
tratto piangeva da morire. La guardavo e sentivo
che era normale. La sua natura è emotiva e non
c'era molto da meravigliarsi se le veniva da piangere.
Ma anch'io mi sentivo molto emotivo, anche se erano
emozioni strane, quasi sconosciute, o forse solo
diverse dalle sue. A cercare di ricordare ora certe
cose, trovo solo un senso di vuoto, un senso di
qualcosa che c'è stato ma ora è rimosso come in un
sogno. Mi rimane solo la certezza di aver saputo in
quegli istanti esattamente quello che succede nel
momento della morte. Nel mio sentirmi molle ero
come se fossi tornato un embrione, per rinascere da
qualche parte, per reincarnarmi. E vivere nuove vite.
Mi era anche chiaro il perché non si ricordassero le
vite precedenti, perché la mente fisica si perde, i
nostri ricordi entrano a far parte dell'universale, e si
prendono nuove sembianze per fare nuove
esperienze. Non ricordiamo tutte le nostre vite solo
perché mentre ne viviamo una le altre non ci
servono. Quello che è importante è essere quello che
si è in una vita, e in fondo quello che siamo in una
vita è tutto quello che di quella vita possiamo
ricordare.
Diciamo che fino a questo punto il viaggio nel suo
percorso di dimensioni cosmiche, non era stato
affatto male, per quanto a tratti confuso e difficile da

92
ricordare. La parte peggiore è arrivata dopo, a
causa della combinazione di due fattori: ci siamo
spostati verso la casa, e la luce non era ancora
tornata.
Infatti a causa del temporale era saltata la luce e
non dava segni di tornare. Questo ci ha creato una
paranoia assurda sul fatto che la luce doveva
tornare, e non facevamo altro che chiederci questo.
Il fatto è che nella mia testa in realtà non sapevo di
che luce si trattava. Cioè, per me non si parlava di
corrente elettrica in quel momento, ma di Luce.
Quindi il fatto che questa Luce non si vedeva
diventava una metafora per dire che non saremmo
riusciti a tornare da questo viaggio. L'altra paranoia
assurda era che i miei stavano aspettando una
chiamata per sapere se la luce era tornata e se tutto
era apposto, e la mia ragazza non faceva altro che
ripetermi che dovevo chiamare loro. Cosa che mi
risultava impossibile se non assurda… non sarei mai
riuscito a portare avanti una conversazione credibile.
Quindi non facevo che rimandare la cosa, e ogni
volta mi ritrovavo col cellulare in mano. Qualche
volta era vuoto e leggerissimo, altre volte riacquistava
il suo peso. Ho guardato decine di volte il display, ma
non ci capivo niente, non sapevo come funzionava,
cosa dovevo fare per chiamare. Allora mi ripetevo
che non c'era campo, come se quello giustificasse il
fatto che fossi totalmente incapace di agire, di
concentrarmi su piccole azioni. Insomma ci siamo
ritrovati dentro casa. Mio cugino in ginocchio per
terra, non so in che assurdità si stava smarrendo. Io
entravo e uscivo in continuazione, sempre alla
ricerca di qualcosa che mi aiutasse ad uscirne. In un
momento era la bottiglia d'acqua, in un altro il
barattolo di Nutella. Correvo dall'una all'altro, per
tutto il tempo del viaggio, mentre ogni volta

93
dimenticavo cosa stavo cercando di fare. Raggiungo
la mia ragazza su una sedia, dall'altro lato della casa,
oltre il portico. Ci sediamo. La sua faccia è grigia,
come spenta. Mi parla, mi dice che ha sentito una
nostra amica per telefono, ma era fredda e
indifferente a noi e si preoccupava come sempre
solo di sé. La ascoltavo, mentre nella testa mi
attraversavano tutti altri pensieri. Poi cercavo di
concentrarmi su di lei, mi chiedevo quand'è che
saremmo tornati normali. Vedevo i suoi lineamenti
deformarsi un po', gli occhi diventavano a mandorla,
i contorni del viso erano tutti ondulati. Poi lei piange di
nuovo, cerco di abbracciarla ma mi allontana. Mi
dice che io non ci sono, che io non la sento. Le dico
che non è così, ma non sono convincente. In fondo a
tratti non so neanche io chi sono. Questo l'ha portata
a pensare che sono la persona sbagliata per lei,
perché in quel momento di bisogno non riesco a
tirarla fuori da lì, ma non si rende conto a sua volta
che anch'io sono totalmente smarrito e lontano da
me stesso. Mi dice che l'aria nella casa è malsana,
che bisogna starne lontano. Ma mio cugino è dentro
e in un attimo siamo lì con lui. E' nella camera al
piano terra, una stanza cupa, con un odore di stantio
e vecchio. E' lì e piange, disperato. Mi dice che
capisce quello che volevo dire quando gli
raccontavo della morte dell'ego. Anche lui era
morto, e il suo nome non era più che un'etichetta che
non rappresentava niente. Era disperato, ma amava
quello stato. Non voleva uscirne, perché era
totalmente preso da questo dolore. Voleva viversi fino
in fondo questo suo scoppio di emotività, perché in
esso ritrovava la madre perduta, ritrovava tracce del
suo passato, il ricordo della sua infanzia e tutto il
dolore che aveva provato. Lo capivo, capivo ciò che
passava. Io ero in piedi in quella stanza, ma i miei

94
occhi percepivano come se io fossi dentro al letto, in
piedi sul pavimento, come se tutta la materia fosse
un po' fusa e mescolata insieme. Esco dalla stanza. Ci
sono le scale e sono inondate di luce. Allora mi
ricordo di quel film, "Allucinazione perversa", in cui il
protagonista rivive scene della sua vita miste ad
allucinazioni nel momento della sua morte, e solo alla
fine scopre di essere morto davvero, e quella
scoperta avviene proprio nel salire su di una scala
piena di luce. Allora mi convinco che anch'io ero
morto davvero e che al termine di quella scala avrei
trovato la luce. La salgo, ma una volta arrivato su, mi
rendo che è solo un'altra stanza mentale, un'altra
trappola per tenermi prigioniero della mia mente.
Tutta la casa era una trappola per la mia mente, con
scale e porte che si aprivano su luoghi già percorsi e
sempre uguali, un mondo alla Escher. Torno giù, e
forse rientro nella stanza. Il ricordo di tutti i miei
movimenti in giro per casa diventa difficile da
riportare. Un immenso mind loop in cui pensavo di
essere bloccato per sempre. Vivevo l'essenza
dell'esperienza psichedelica, che descrivere a parole
mi risulta ancora difficile. La tengo dentro come una
sensazione inspiegabile. E' il flusso di coscienza che
diventa tutt'uno con la materia, con l'energia e il
pensiero. Il pensiero è energia, l'energia è materia. Il
pensiero crea la materia che attraverso,
camminando mi muovo dentro flussi di energia.
Qualche volta vedo le cose come con un fish-eye,
distorte. Altre mi soffermo sui dettagli infinitesimi,
come se avessero un valore immenso. Come se
fossero tutto quello che si possa mai provare di così
intenso. Poi il flusso riprende e mi spinge a perdermi in
altre fantasie, altre libere associazioni. Subentra uno
stato mentale diverso. Io ci sono, mi muovo, ho
volontà, tutto è come se fosse normale, solo che

95
inspiegabilmente ci sono ancora dentro. Non so
come spiegarlo meglio. Come se dei pezzi di me
fossero assenti, altri ne emergessero a tratti,
ricomponendo l'immagine di me che conosco.
Ancora l'immagine è incompleta, frammentata. E poi
la sensazione del sale nelle mie orecchie, come
quando esco dalla mia vasca di deprivazione
sensoriale. La sensazione dei tappi con cui dormo la
notte per evitare il rumore delle macchine. Queste
sensazioni mi hanno accompagnato tutto il tempo,
fino al giorno dopo, quando le cose sono tornate
quasi normali. Allora delle volte pensavo che in tutto
quello che stavo vivendo non fosse altro che un
sogno, forse un sogno lucido, ma niente di più. Allora
immaginavo di svegliarmi nel mio letto, mi scuotevo,
ma niente, il sogno continuava, sempre più vero.
Suona il telefono!!! Corro di nuovo sopra a rispondere,
è mio padre, preoccupato per sapere se la luce è
tornata. Non lo so! Forse si, forse no, non capisco cosa
mi chiede, cosa devo dire. Sento loro che ridono
sotto perché dico cose senza senso a telefono. Allora
gli dico al volo che lo richiamo dopo, ed aggancio il
telefono. Chissà che cavolo avrà pensato!? Torno giù,
mi chiedono cosa gli ho detto, non lo so, non ricordo
niente. Sono confuso da morire. Ma questa luce è
tornata o no? Vedo il mio cellulare, devo chiamare i
miei per tranquillizzarli, ma non ce la faccio. Sul
display c'è un 8. Ripenso alla cabala. L'8 non è altro
che il simbolo dell'infinito rigirato. Infinito è il viaggio,
la coscienza universale. Allora vuol dire che non ne
usciremo mai, non si smetterà mai di viaggiare,
cambieremo forma, pensieri, etichette alle cose, nel
continuo intreccio che lega presente passato e
futuro. I padri e i figli, le leggi umane del vivere. Che
caos nella mia testa!
Devo fare pipì, finalmente me ne ricordo, cerco di

96
portare la cosa a termine, salgo di nuovo la scala,
entro in bagno, la luce credo sia tornata, l'accendo,
e dal bagno esce una grande falena nera. Il terrore
totale mi invade, vacillo, ma è solo una falena.
Capisco che l'immaginazione è ancora
predominante, penso che potrei vedere altri mostri in
ogni angolo non appena mi giro, ma il raziocinio
nascosto in un anfratto della mia mente mi aiuta a
tenerli lontani. Faccio pipì, e in un secondo vedo
l'immagine di me che faccio pipì che si ripete
all'infinito alla mia destra e alla mia sinistra come in un
immenso orinatoio pubblico. Liberato torno di sotto,
continuo ad inscatolarmi nei miei assurdi pensieri.
Che altro dire? Come posso rappresentare il senso di
smarrimento che avevo in quegli attimi? Ho pensato
di essere impazzito per sempre e che nulla sarebbe
tornato come prima. Gli altri girovagavano per i loro
sentieri mentali, a tratti ci incontravamo, e le nostre
interazioni generavano solo pensieri ulteriormente
assurdi. Questi incontri fatico a collocarli
temporalmente l'uno con l'altro. Mi ricordo che in un
certo momento eravamo seduti tutti e tre sul
pavimento della cucina a mangiare uno yogurt
perché pensavamo che ci potesse aiutare a placare
la cosa, visto che fa molto bene. Io sentivo molta
empatia per loro in quel momento. Una forte unione
e un bel legame. Mi sentivo estatico, in completa
ammirazione per quell'attimo e mi veniva anche da
ridere, anche se mio cugino diceva delle cose serie.
Poi c'è stato un momento in cui qualcuno aveva
acceso la televisione e incredibilmente sentivo
parlare di cose che riguardavano il mio lavoro, e mi
ricordavano chi ero. Come un flash mi vedevo
disegnare con autocad. Poi mentre osservavamo il
video, il tempo si è fermato. La tv è rimasta immobile.
Pensavo fosse l'effetto dei funghi, ma tutti e tre ce ne

97
siamo resi conto. Mio cugino ha iniziato a ridere
dicendo che anche i cameramen della Rai erano
sotto fungo! Risate incontrollate, ma io restavo
sconvolto perché ancora non distinguevo il reale
dall'immaginario. Mi aspettavo ad ogni istante che
accadessero cose assurde, qualche volta lo
facevano altre volte no. Qualche volta le cose e i
gesti si ripetevano uguali, altre volte cambiavano
particolari che aprivano nuovi sentieri. Per questo mi
tornava in mente il fatto che la realtà fosse frattale.
Certi gesti li ripetiamo continuamente nella nostra
vita, identici gli uni con gli altri. Però ogni volta su
scala diversa ci troviamo in diverse situazioni. E in quel
momento non sai se a che punto della scala si trova
quel gesto che hai compiuto, se è proprio lo stesso
identico di prima, o se semplicemente gli assomiglia,
ma è in un punto diverso del tempo.
Poi la mia ragazza mi chiede di uscire, di accendere
le luci fuori. Io non mi ricordo dove sono gli interruttori,
non riesco a rammentare cose molto semplici. Lei
vuole che la guidi fuori, visto che non conosce bene
la casa come me, ma in realtà è lei a guidarmi,
perché io sono ancora perso. Mi porta fuori verso la
piscina, dove adesso è calata la notte. E' lei a trovare
le luci, e le faccio notare che è inutile che continua a
chiedermi dove sono le luci visto che lei è più brava
di me a trovarle. Lei si è sentita schiaffeggiata da
questa frase, anche se il mio intento era quello di dirle
che era lei la mia luce, la mia guida.
Ci sediamo a bordo piscina, nelle stesse sdraio
dell’inizio, lei accende una piccola candelina, e
cerca di tenerla accesa nonostante tiri un po’ di
vento. Io sprofondato nella mia sdraio alzo gli occhi al
cielo ormai scuro. Fisso le stelle, finalmente. Prima
dell’inizio del viaggio mi ero prefissato di osservarle,
per vederne l’effetto. Ora sono lì davanti ai miei

98
occhi. Un velo leggero e luminescente le copre un
po’ e la mia miopia me le fa vedere un po’ sfocate.
Ma sono lì immobili da sempre. In quell’attimo ho
compreso una grandissima cosa, qualcosa che
spiegare è complesso come sempre, ma per me
molto importante. In questo momento della mia vita
sto pensando di avere un figlio, e sto scrivendo per lui
un libro in cui raccogliere quello che penso
dell’Universo, della Vita e della Coscienza. In questo
libro all’inizio parlo delle stelle, e a come si sentissero
sole perché non c’era nessuno a guardarle e a
godere della loro luce. Per questo è nato l’Uomo,
perché un giorno potesse alzare gli occhi e capire
quanto sia immenso essere partecipe dell’esistenza.
Così come le stelle hanno bisogno di noi per essere
ammirate, noi abbiamo bisogno di loro per ritrovare
noi stessi. Ed io ero lì ad osservarle. Io ero quel figlio a
cui rivolgevo le mie parole. Le stelle erano lì da
sempre, e io da sempre continuavo ad osservarle,
essendo una volta padre, una volta figlio, una volta
madre, una volta sorella. E ho pensato che Dante
quando scrisse: “Uscimmo a riveder le stelle”,
intendesse proprio quello, dopo essersi fatto un acido.
Ne ero uscito in qualche modo, le cose stavano
planando lentamente verso la normalità, anche se il
totale rientro a distanza due giorni è ancora
incompleto. Tornati in casa, c’erano ancora alcune
cose da affrontare. Mio cugino aveva preparato una
pasta orrenda, senza sale, con del burro vecchio. Ho
provato a mangiarne un po’, ma il sapore orribile mi
ha paralizzato. Non riuscivo neanche a deglutire, si
era come bloccata e pietrificata a mezza gola. In
quel momento chiama di nuovo mio padre, ancora
preoccupato per via della luce. Sono abbastanza in
me per riuscire a rispondergli che va tutto bene, e
che gli voglio bene. Non si riesce mai a dire. Mai ad

99
una persona mentre è in vita davanti a noi.
Aspettiamo sempre che se ne vada, che sia lontana
e che non ci possa più guardare negli occhi mentre
gli dimostriamo il nostro affetto. E quanta gioia ci
perdiamo per strada. Certe volte basta così poco.
Rieccomi a terra. Atterro su un divano, con i miei
compagni che intrecciano una discussione sulle loro
esperienze. Ognuno mette in gioco i suoi pensieri, i
suoi ricordi e le emozioni vissute. Affrontiamo
tematiche importanti del nostro passato, i nostri
fantasmi nel cassetto. Tiriamo fuori cose mai
affrontate, mai così dirette, che fanno quasi male.
Ma è il processo di guarigione, di sanamento del sé. Il
viaggio ci ha fatto far luce su noi stessi, sulle nostre
verità, su quello che siamo. Lo scontro in qualche
momento è duro, ma alla luce di tutto quello che è
venuto dopo, posso solo ringraziare che sia andata
così. Ancora una volta un pessimo viaggio è stato un
grande insegnante. So che i miei compagni mi
capiscono molto meglio adesso, perché hanno
visitato quel mondo. Per quanto ognuno abbia
percorso sentieri diversi, molte delle sensazioni sono
state simili a quelle provate da me in altri viaggi.
Questo me li fa sentire più vicini. La serata mi ha
riservato altre chiacchiere interessanti con mio
cugino, e un bagno in piscina, io e lui a parlare con
grande unione e complicità. Se fosse qui gli direi che
gli voglio bene, ma so che lo sa già. Ci siamo fatti
molte risate, mentre ballava con in dosso la
biancheria della mia ragazza… momenti che
resteranno per sempre. Nel cuore e nel ricordo di
magici momenti che qualcuno in qualche parte del
mondo, in qualche tempo, ha vissuto dopo un
viaggio terribile e inquietante. Il sorriso che lenisce un
dolore profondo, quello di essersi sentiti smarriti come
mai, come quando da piccolo ti perdi nella folla e

100
non trovi più i tuoi genitori.
La notte è passata rivangando i momenti e le
sensazioni più forti. Poi sono arrivati i sogni, strani e
incongruenti, che non avevano nulla a che fare con
ciò che avevo vissuto. Come se fossero spezzoni di
film, o frammenti di altri viaggi che altre persone
stavano vivendo in altre parti del mondo, come se
dei tunnel potessero aprirsi fra le nostre coscienze e
lasciassero passare immagini.
Al mattino tutti e tre con un mal di testa spaventoso,
mai capitato dopo un viaggio coi funghi. Tutta la
giornata è stata soffocata da un senso di pesantezza,
confusione e nebbia, ma tutto sommato io mi sentivo
meno peggio di come vedevo loro.
In serata di torna a casa. Ogni tanto qualche
accenno, qualche dettaglio che prende maggior
fuoco. E finalmente si torna nella nostra casa.

Altra consapevolezza, altro amore da condividere.

Grazie, che anche questa volta siamo qui per


raccontarlo.

101
Riflessioni sulla sesta esperienza

Con questo sesto viaggio si è conclusa la mia


esperienza con i funghi. L’intensità della visione di Dio
(della quale la copertina di questo libro è un
tentativo accennato di riproduzione), è stata tale da
indurmi a decidere di smettere con esperienze così
forti. Ma non è solo quello, anche lo stato di panico
che vive la mia mente quando va in confusione
totale per via della continua perdita di significato
delle cose banali, e il ricercare costantemente altri
significati che sfuggono da ogni parte.
Sono esperienze troppo intense, troppo forti per
continuare a viverle. Mi manca la leggerezza del
lasciarmi andare. La mente ha continua necessità di
mantenere il controllo, è il fatto di perderlo
continuamente la manda nel panico più totale. Per
cui le emozioni diventano tempestose, irruenti,
incontenibili.
Mi sono reso conto che per fare questo tipo di
esperienze occorre prima una disciplina interiore che
pulisca la mente, la plachi, la addomestichi. Occorre
una pratica che renda limpida la mente, depurata
dalle sue contraddizioni, dalle sue paure, dai suoi
ostacoli. I rischi sono troppo elevati sul piano della
stabilità, della costruzione.
Questo viaggio mi ha dato un input diverso.
Proseguire la ricerca su altri territori, con altri mezzi.
Abbandonare la corsa sfrenata e senza protezioni
verso la verità assoluta e adottare un procedere più
cauto e consolidato. Per quello successivamente ho
preferito sostanze dall’impatto più tranquillo, e ho
iniziato a sperimentare tecniche di alterazione degli
stati di coscienza senza uso di sostanze psicotrope.

102
Prima esperienza con marijuana nella vasca di
deprivazione sensoriale
6 luglio 2003

Mi sono preparato al viaggio fumando prima di


entrare nella vasca, un joint d'erba di qualità discreta.
Non essendo un fumatore abituale, mi sembrava che
la qualità fosse buona, visto che il profumo dei
boccioli secchi era molto forte. Già prima di entrare
ho sentito un effetto molto rilassante in tutto il corpo,
e il mio stato emotivo/mentale era già cambiato
notevolmente. I pensieri si facevano più lenti, ma
anche meno razionali, più fluidi e legati alle emozioni
profonde, interne. Come un calore nel cuore, che mi
si riempiva di gratitudine per quello che ero, per
quello che avevo.
Mi accingo ad entrare in vasca dopo un bacio di
saluto alla mia compagna, come augurio di un bel
viaggio interiore. Programmo la sessione della durata
di un'ora, e mi accingo ad immergermi nella
soluzione.
Il primo compito all'interno è generalmente quello di
pulire il soffitto dalle gocce di condensa che
altrimenti possono risultare fastidiose nel caso
dovessero cadere durante l'esperienza. Ho cercato di
portare a termine questo compito in maniera precisa,
sebbene fossi estremamente impedito dal flusso di
coscienza che già mi animava.
Chiuso dentro al guscio, immaginavo e mi
immedesimavo in tutte le persone che avevano
compiuto quel gesto proprio in quella vasca, o in
tutte le vasche possibili. Era per me un gesto rituale,
che mai come in quel momento ho sentito di così
grande importanza. E' l'ultima fatica reale prima di
potersi lasciare andare completamente. Al termine
dell'operazione, mi sono finalmente disteso supino

103
nella soluzione per galleggiare.
In quel momento mi sentivo partecipe del grande
viaggio della Ricerca, e sentivo dentro di me i grandi
maestri psiconauti: Leary, McKenna, Hoffman e sopra
tutti Lilly, l'inventore della vasca. Erano i miei padri, i
miei maestri e li sentivo veramente partecipi della mia
situazione, o per lo meno mi sentivo di stare per
intraprendere una grande esperienza con le stesse
emozioni che potevano aver coltivato loro stessi negli
ultimi momenti di lucidità prima di perdere il contatto
con il reale.
Anche se in fondo lucido non lo ero affatto, ma già in
preda ad un viaggio interiore immaginario. Appena
steso nella soluzione, il contatto col corpo si è fatto
immediatamente labile. La fase di defaticamento e
perdita della percezione sensoriale tattile è
straordinariamente amplificata dall'uso di Marijuana.
In pochi istanti già non sentivo più nulla di connesso al
corpo. La luce era ancora accesa, e lo schermo
sopra la mia testa era il mio unico punto di
riferimento. La testa ondeggiava vertiginosamente,
amplificando quella normale perdita di orientamento
che comunque si ha nei primi minuti. Per questo
motivo ogni tanto avevo bisogno di aprire gli occhi e
trattenerli sullo schermo. La sensazione altrimenti era
troppo forte da sostenere. Dopo circa 10 minuti
(immaginari) ho chiuso gradualmente gli occhi,
immaginando che nel mio schermo mentale si
proiettassero delle stelle del tipo viaggio
nell'iperspazio. Mi sono sentito più rilassato man mano
che la sensazione di ondeggiamento svaniva, e ad
occhi chiusi ho iniziato il viaggio.
E' stato fondamentalmente un viaggio sonoro. Il mio
universo interiore si esprimeva tramite emissioni sonore
di qualunque tipo. L'inizio di questa percezione è
stato l'essere sempre più cosciente di un ronzio nella

104
mia testa. Questo ronzio cresceva di intensità e
iniziava a differenziarsi creando musiche, o ritmi, di
diverso tipo. Sembravano rumori generati
elettronicamente, come da un sintetizzatore di suoni.
Le frequenze aumentavano e diminuivano, in una
continua oscillazione che mutava anche timbro
sonoro. E come in una registrazione multitraccia, si
andavano aggiungendo voci e strumenti diversi.
Riuscivo a percepire distintamente il suono di un
tamburello, di quelli molto usati nei '70. Più tutta
un'altra gamma di strumenti o suoni di difficile
interpretazione.
Questi suoni avevano anche un'ubicazione spaziale
ben precisa. Li sentivo muoversi da una parte all'altra,
avvicinarsi o allontanarsi in tutte le direzioni.
Incrociavano i loro percorsi, si fondevano in un'unica
sinfonia sonora, per poi tornare a dividersi e sfumare
scomparendo da un lato.
A questo concerto di suoni, che non davano
un'esatta melodia compositiva, ma più una sorta di
jam session improvvisata ma con un suo stile,
corrispondeva anche a livello visivo una
manifestazione molto leggera di movimenti
particellari o di onde. Diciamo che era più un rumore
di fondo, che non visuali ben definite. Si intravedeva
nel buio della mente questa leggera danza di luci
appena percettibili, infatti l'universo sonoro era più
predominante e catalizzava completamente la mia
attenzione.
Questo era quello che più o meno accadeva nel mio
strato di attenzione più esterno, mentre sui livelli
interiori di coscienza, avvenivano ben più strani
accadimenti, che mi risulta assolutamente
complicato tornare a far emergere.
Posso dire comunque che questa sia stata la più
estrema situazione di esplorazione della mia

105
coscienza che finora abbia mai provato, proprio
perché lontana dai fasti degli effetti psichedelici dei
funghi, ed estremamente consapevole senza mai
buchi o salti fra un evento esperienziale e un altro.
Questo proprio a causa dell'ambiente neutro e
asettico della vasca, che non fornisce un substrato a
cui aggrapparsi e da riempire con prodotti esogeni,
ma lascia che tutto ciò che accada esca
esclusivamente da dentro, senza interferenze esterne.
Per cui si riesce realmente a cogliere l'essenza di una
sostanza a prescindere dal setting.
L'unico fenomeno di interesse risulta quindi il set, cioè
l'io, l'aspetto più soggettivo e individuale di ogni
essere umano, senza condizionamenti e conflitti con
quanto è esterno al nostro mondo privato.
In questo mondo ero un viaggiatore di spazi mentali e
attraversavo numerosi spazi interiori, sensazioni
inspiegabili e anche aliene. Continuavo a sentire
quanto estrema fosse questa esperienza, proprio
perché ancora così poco esplorata dagli esseri
umani, se non dai pochi ricercatori che hanno avuto
la possibilità di farlo. Non mi sentivo però affatto a
disagio, ero consapevole di tutto e affrontavo questo
viaggio con serenità.
Non so dire quanto tempo e quali cose mi abbiano
attraversato la coscienza. Cose che in quel momento
erano molto chiare, e che pensavo di poter ricordare
anche fuori, sono adesso totalmente svanite e
confuse nel vuoto che hanno lasciato dentro di me.
Lo straniamento del viaggio andava aumentando, e
anche la mia sicurezza iniziava a vacillare.
Cominciavo a sentirmi un po' smarrito nei meandri
dell'ignoto, in un posto pieno di strane sonorità e in
cui il buio assumeva strane dimensioni. La mia
capacità di rapportarmi all'ignoto generalmente è
abbastanza capace di mantenermi saldo nella mia

106
spinta verso la ricerca, ma purtroppo qualcosa nel
mio corpo iniziava a mandarmi segnali un po'
allarmanti sul procedere dell'esperienza. Sentivo un
po' di nausea iniziare a salire dallo stomaco,
probabilmente coadiuvata dall'ondeggiare continuo
della mia testa e nella mia testa. Le prime fitte ho
cercato di reprimerle, sperando che la sensazione
sgradevole passasse. Ma col passare degli attimi, mi
sentivo sempre più strano e concentrato, fino al
punto in cui ho deciso di alzare la testa e
appoggiarmi un po' al bordo. Sono stato qualche
attimo a monitorare quello che mi accadeva, ma la
situazione non sembrava migliorare, anzi. Mi sono
messo allora proprio a sedere, e in quel momento ho
sentito un fiume di saliva salata invadermi la cavità
orale. Mai mi era capitato di avvertire un sapore così
forte autoindotto. Sembrava quasi sangue dalla
consistenza, vischioso e denso, ma il sapore
fortemente salato faceva immaginare altro. Ho
capito che ero sulla sottile linea fra il sentirmi male e
magari collassare lì dentro, e avere ancora qualche
forza per uscire da lì.
Un po' dispiaciuto che la mia esperienza finisse così
presto, ho aperto il portello. L'aria era fresca fuori, mi
ha ridestato.
Sono uscito a fatica e mi sono subito buttato sotto la
doccia calda. Le mie gambe non reggevano, mi
sono seduto, cercando di levarmi il sale di dosso. Ero
ancora in viaggio con la mente, e tutto sembrava
accadere come in sogno.
Al termine della doccia, ho usato il bagno. Diarrea.
Probabilmente le due patatine mangiate prima di
fumare, e l'acqua che ho bevuto, mi hanno dato
questa strana reazione fisica. Forse a stomaco vuoto
sarebbe stato meglio, ma in genere quando si fuma
viene sempre un po' di fame o sete, per questo

107
avevo cercato di riempire un po' lo stomaco prima,
visto che non potevo mangiare una volta nella
vasca. Forse è stato uno sbaglio, non so. Ma il mio
viaggio non è finito con la doccia.
Fisicamente ancora provato, mi sono steso sul divano,
dopo aver cercato di raccontare qualcosa alla mia
compagna in cucina. Sul divano la mia
immaginazione mi ha regalato un momento molto
intenso e significativo.
Il mio corpo giaceva supino. Ne sentivo il peso, e la
gravità mi sembrava una vera energia che tirava
verso il basso. La visualizzavo come flussi energetici
che attraevano la materia del mio corpo
scomponendola. Ora la materia diventava scura,
globulare, come delle macchie pesanti che
venivano tirate via. Nello stesso tempo, dalla massa
del mio corpo, emergeva come una luce azzurra,
che invece veniva tirata verso l'alto, come se
esistesse una gravità opposta che tirava in su questa
componente immateriale.
Le due componenti, quella pesante e scura, quella
leggera e chiara, venivano strappate dal mio corpo
che scompariva per lasciare spazio ad un altro
mondo.
Queste due parti si allontanavano l'una dall'altra
iniziando a mutare forma. Entrambe stavano
assumendo un aspetto antropomorfo. Quella scura
era diventata un essere di pietra nera, come un
cavaliere in una corazza da scarafaggio, e dalle
articolazioni del suo corpo si intravedeva una materia
rossa infiammata. Stava andando ad abitare il suo
regno che era in una caverna, fra montagne aspre e
inospitali, e nuvole nere all'orizzonte.
L'altro essere invece assumeva la forma di una
creatura spirituale, azzurro e trasparente con guizzi di
luce bianca che mettevano in risalto un bel corpo. Il

108
suo regno era su una collina verde e piena di sole,
ma nei campi dei cieli.
Questi due esseri, lontanissimi, erano consapevoli
della presenza dell'altro, e si stavano preparando ad
un combattimento. Ognuno raccoglieva le energie
nel suo luogo di potere, prima di sferrare l'attacco.
Nello stesso momento, i due esseri si lanciano l'uno
verso l'altro, diventando un'ondata di energia: la
creatura scura, era un'onda nera con spume di
fuoco, l'altro era un'onda azzurra piena di luce. Le
due onde sorvolavano un territorio neutrale che
separava i due regni. Al passare della prima, la terra
diventava nera e si creavano rocce appuntite e
vetrificate, mentre ogni cosa si corrompeva e
marciva. Al passare dell'altra, la terra si ricopriva di
prati e fiori, e ogni pianta e animale nascevano
immersi nella luce.
Le due onde si avvicinavano l'una all'altra ad una
velocità sconfinata e in un attimo arrivarono a
scontrarsi. Non ci fu un botto, né una reazione.
Semplicemente le due onde al loro contatto
crearono un muro di energia. Da un lato energia
scura, dall'altro chiara. Questa barriera si innalzava e
si estendeva da ogni lato, dividendo il mondo in due
metà. Io potevo vederle, passando ora da un lato,
ora dall'altro. Rimanendo in mezzo, le vedevo in
sezione come fossero solo due linee di energia, non a
contatto ma separate da un sottile spazio vuoto. Non
rimaneva nient'altro. Le due linee in uno sfondo nero.
Ora queste due linee iniziavano ad oscillare, a
formare un'onda verticale che si muoveva
ritmicamente. Bloccando per un istante l'immagine di
questa onda, ho capito da dove deriva il simbolo del
Tao.
Dopo questa "illuminazione", il filmato si è dissolto, e
ho continuato a smarrirmi in strane fantasie, fino a

109
quando non mi sono sentito tornato sulla terra, sul mio
divano, e un buon odore di pizza mi ha risvegliato i
sensi sopiti.

110
Prima esperienza con Salvia Divinorum

Difficilissimo descrivere questo primo approccio con


Salvia! Una cosa shockante direi, ma non in senso
negativo. Ho fumato una pipetta con un po’ di foglie
intrise di tintura 5x. Ho fatto 2 o 3 tiri, cercando di
trattenere il più possibile.
Tempo trenta secondi e boom.
E’ stato come se un martello invisibile rompesse lo
specchio che era davanti alla mia coscienza, e
mandasse in frantumi quella che io fino a quel
momento consideravo la realtà. E immediatamente
dietro ve n’era un’altra. Su un piano completamente
diverso. Questo è stato per la verità l’unico vero
effetto. Perché poi è stato tutto tremendamente
evanescente. Era un mondo oscuro, velato di verde.
C’era un sorta di sagoma informe verdastra… ma
dire di più sarebbe un azzardo.
Contemporaneamente però avvertivo i rumori della
realtà “normale”, i passi al piano di sopra, e le
macchine in strada, ed erano come delle lacerazioni
di questa nuova realtà che andavo esperendo.
Totalmente fastidiose.
Non so per quanto tempo sono restato così, roba
davvero di pochi istanti, e poi sono tornato. E’ stato
molto piacevole l’after effect. Mi sono sentito cullato
e avvolto da una presenza amorevole femminile che
si prendeva cura di me. Non so come altro definirlo.
Probabilmente è quello che chiamano lo spirito di
Salvia. Sembrava qualcosa di connesso a Madre
Terra, molto antico e protettivo. Sono restato come
cullato in un limbo a godermi questa sensazione il più
possibile fino a che la realtà comune non ha ripreso il
sopravvento con le sue ordinarie percezioni.

111
112
Prima esperienza con Salvia Divinorum nella vasca di
deprivazione sensoriale
20 settembre 2003

Ho usato una soluzione alcolica di Salvia nella misura


di 3 dosatori (2,25 ml). Non appena messo in bocca
per l’assunzione tramite assorbimento orale, sono
entrato nella vasca.
La produzione di saliva alla reazione dell’alcol è
tantissima, e il senso di bruciore in bocca è molto
fastidioso.
Ho impostato il timer della musica nella vasca sui 15
minuti, in modo da sapere quando sarebbe finito il
tempo consigliato per tenere in bocca la soluzione.
Passati 15 minuti ho deglutito la soluzione e sono
rimasto nel buio e nel silenzio totale.
Nella mente si agitava ogni tipo di pensieri, però su
soglie abbastanza normali. Probabilmente
l’eccitazione mentale iniziale era dovuta anche al
tipo di esperienza che mi apprestavo a vivere.
Fisicamente avvertivo il consueto rilassamento da
vasca, condito però con qualche brivido lungo il
corpo. Dopo pochi minuti, il mio stato mentale ha
avuto una rapida impennata.
Probabilmente mi è arrivato un rumore dall’esterno
della vasca (la porta accanto che sbatteva?), che
mi ha fatto schizzare il sangue al cervello. Il cuore ha
iniziato a battermi all'impazzata, e nella testa mi è
passato un treno di pensieri veloce come un fulmine.
Ho pensato subito che c’era qualcuno fuori dalla
vasca che sarebbe entrato per tirarmi fuori, ma
sapevo che non poteva esserci nessuno, allora un
senso di panico generale mi ha creato una
confusione incredibile in testa, come se già fossi
totalmente fuori controllo. Ho pensato che mi sarei
sentito male perché avevo esagerato con

113
l’esperienza, e ho avuto una serie di rapide
visualizzazioni di me fuori della vasca sotto la doccia
che cercavo di riprendermi dal panico, con la mia
compagna che mi ammoniva per aver voluto
un’altra volta spingermi in territori sconosciuti.
Quindi mi si è aperta la mia ormai nota visione del
mondo fatto a stanze di realtà, ma ne ho subito
realizzato la portata, per cui mi sono semplicemente
detto che era tutto a posto ed ero in totale controllo
della situazione.
Dopo questa valanga di pensieri fiume, man mano
che il cuore rallentava il battito, ho ripreso totalmente
controllo dei pensieri, che si sono fatti più stabili e
normali.
Anzi, ho sentito come una sorta di tranquillità interna,
che mi ha confortato molto. Sentivo che non mi
poteva accadere nulla di male alla fine.
Mi sono abbandonato al rilassamento totale, ma la
qualità del galleggiare era in un modo diversa dal
solito, anche se in una maniera che non saprei
definire meglio.
Poi ho iniziato una sorta di dialogo interno. Parlavo
diciamo con altre due entità nella mia testa, anche
se mi era difficile formulare i pensieri come al solito,
ero quasi rallentato. Da questo strano dialogo veniva
fuori come se il mio io più vicino chiedesse che
motivo c’era ogni volta che si intraprendeva un
“viaggio” di perdersi dentro le stanze di realtà. La
risposta mi veniva da una sorta di “presenza”
femminile sulla destra della mia mente, che mi
diceva che un po’ di confusione serviva sempre,
altrimenti sarebbe stato troppo facile. Alla
“conversazione” partecipava in maniera silenziosa
anche un’altra presenza maschile sulla mia sinistra,
leggermente più vicina. Ovviamente non parlo in
termini fisici, in realtà era come se scindessi il mio

114
monologo interno in un dialogo in cui impersonavo
diversi io. Il primo allora continuava a chiedere che
motivo c’era di rendere tutte le cose così complicate.
La risposta mi è arrivata come una valanga di
immagini/concetti, per cui le voci più esterne hanno
sottolineato se c’era bisogno di ulteriori spiegazioni, o
la risposta non la conoscevo già benissimo da me. La
risposta in forma di immagini concetti, era
semplificando, che per arrivare alla radice della
verità c’è bisogno di un percorso difficoltoso, perché
deve essere così. Diciamo che la sensazione che ho
avuto io fosse in fondo di arrendermi all’evidenza
delle cose, è così e basta.
Poi le voci sono diciamo sparite, o tramutate in altri
flussi di pensieri.
Un altro dialogo interessante che è emerso è stato fra
una serie di anime interne. Cerco di spiegare questo
concetto.
Diciamo che ho avuto l’impressione che tutto quanto
costituisce il mio essere, cioè corpo più mente, altro
non è che una sorta di personaggio comandabile
dall’interno da entità/anime che possono guidare il
mio essere come un pilota può guidare una
macchina complessa. E queste entità anime sono in
qualche modo intercambiabili fra un personaggio
umano e l’altro, anche se generalmente ogni anima
guida un solo personaggio, col rischio di iniziare ad
identificarcisi e iniziare a credere di essere quel
personaggio, con il suo corpo, la sua mente, il suo
comportamento, la sua vita. Altre anime invece
passano da un personaggio ad un altro, solo per
farne esperienza. Scopo di tutte queste anime è
esperire semplicemente la vita in forma umana, per
trarne sensazioni, emozioni, conoscenza.
Fatta questa premessa, diciamo che ho avvertito il
dialogo fra la mia anima guida, e un’altra anima “di

115
passaggio” che mi diceva che non dovevo
attaccarmi troppo al mio personaggio, e io (o la mia
anima guida) rispondeva che ormai ci si era
affezionata, che aveva fatto tanto per renderlo così
come era adesso, e dopo tanta fatica non voleva
abbandonarmi.
Era molto interessante la sensazione che il mio corpo
galleggiasse su di un mare nero infinito, nel quale
erano immerse o ne facevano parte tutte le
coscienze/anime, e il mio corpo in quel momento
faceva da portale fra il mondo acquatico della
anime e il mondo fisico della realtà umana. Dentro a
quel mare era come se fosse possibile nuotare per
poter emergere tramite un altro portale e quindi
avere un’altra esperienza umana diversa da me.
Allora mi sono chiesto come fosse possibile riuscire a
sperimentare una totale diversa esperienza umana,
stando in quello stato. Una sorta di altra voce interna
mi ha risposto che ne dovrei prendere molta di più di
salvia, ma correrei il rischio di non ritrovare più la via di
casa. Non tanto perché in ultimo io non possa tornare
sui miei passi, ma semplicemente perché arrivati
molto lontano con un’esperienza di questo tipo,
potrebbe essere molto spaventoso, perché mi sentirei
smarrito e estremamente confuso, fino ad una paura
terribile di essermi perso da qualche parte. Allora io
ho chiesto come si fa a trovare sempre la via di casa,
e in quel momento è come se una via mi si aprisse
nell’oscurità totale in cui mi trovavo. Come un tunnel
di energia che mi si allargasse davanti agli occhi.
Questa serie di voci interne hanno iniziato a
ricongiungersi su un’unica voce interna, quella dei
miei pensieri più coerenti. Mi sono chiesto se per caso
l’uso della salvia con la vasca non rendesse più
semplici le esperienze extracorporee, e ho iniziato a
pensare un po’ a questa eventualità. Ho avvertito

116
un’altra voce maschile parlare con un’altra presenza
e dire: “Questo qui non sta mai zitto” e io dentro di
me mi dico che in effetti non riesco mai a mettere a
tacere la mia voce interna. E l’altra continuava “Non
lo capisce che se non sta zitto non ci riesce”, e allora
io rivolto a lui gli ho detto: “e allora perché vi ci
mettete pure voi a parlare?” e di colpo le due
presenze sono sparite. Allora ho pensato che potevo
far sparire allo stesso modo la mia voce interna, ma
niente da fare... era sempre lì a pensare.
Il resto è stato abbastanza normale, ho pensato un
po’ al meccanismo interno del cervello, a dove viene
immagazzinata la memoria, e a come sarebbe
interessante poter avere una “registrazione” di ciò
che hanno visto gli occhi in tutta una vita, e poter
mandare avanti e indietro il nastro come su un
videoregistratore. Poi ho pensato al fatto che tutto il
tempo di una vita umana potrebbe in fondo stare su
una enorme videocassetta che ne contenesse tutte
le percezioni e tutti i pensieri. Se allora esistesse una
videocassetta così, tutto il tempo di una vita non
sarebbe altro che lo scorrere di questo nastro, ma di
per se il tempo stesso non esisterebbe al di fuori del
nastro stesso, perché è solo chi ne percepisce lo
scorrimento che capisce cos’è il tempo, ma per chi
vede dal di fuori una videocassetta non esiste la
percezione del tempo. Il tempo diventa solo un
concetto riferito alla videocassetta, e alla velocità
con la quale questa si può vedere.
Ho continuato a galleggiare e a sguazzare
nell’acqua cambiando molte posizioni.
Sono uscito dalla vasca dopo un’ora e un quarto,
perfettamente ripreso.

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118
Seconda esperienza con Salvia Divinorum nella
vasca di deprivazione sensoriale
23 settembre 2003

Questa volta, avendo già sperimentato il potere di


Salvia Divinorum nelle foglie fumate, ho ritentato
l’esperienza di provare la soluzione alcolica nella
vasca di deprivazione sensoriale. Ho usato
l’equivalente di 3,75 ml di soluzione (5 contagocce).
Entro nella vasca e pulisco bene il soffitto dalle gocce
di condensa come di rito. Eseguo il lavoro ancora più
meticolosamente del solito, mentre in bocca la
soluzione mi sta bruciando le mucose terribilmente.
Mi stendo finalmente nel liquido a galleggiare, e
trasportato dalla musica di Brian Eno che ascolto
usualmente all’inizio della sessione, aspetto di sentire i
primi sintomi della partenza.
Non passano neanche 10 minuti (stimo il tempo a
naso), che qualcosa accade alla struttura della
mente. Avverto le presenze intorno al mondo che mi
si è espanso dentro la testa. Come un parlottare di
persone, un brusio di fondo. Cerco di restare il più
possibile cosciente e concentrato, faticando un po’
per mantenere l’attenzione. Mi rendo conto che ho
la bocca totalmente piena di liquido alcolico, che
sta salendomi nel naso. Sono momenti di delicato
equilibrio fra la realtà ordinaria e l’Altrove. Mi tiro su,
per non farmi andare il liquido per traverso, ma
ancora non sono passati i 15 minuti previsti. Allora mi
stendo di nuovo. Le voci dentro di me mi dicono di
rilassare la bocca, mentre io so che se lo facessi, mi
troverei a dover sputare tutto. Torno di nuovo seduto,
e lentamente deglutisco il tutto. Non sento più la
musica, quindi il quarto d’ora programmato è finito.
Posso stendermi di nuovo e godermi tutto ciò che
avviene nella mia testa.

119
Principalmente ed essenzialmente: voci. Mi è difficile,
come in tutte le esperienze di questo tipo, riuscire a
riportare fedelmente i dialoghi, mi limiterò quindi alle
sensazioni provate nei vari passaggi di questa
esperienza. Ho intessuto diversi dialoghi con diverse
voci/entità. Posso dire che queste voci mi arrivavano
da zone distinte dello spazio, e per questo riuscivo a
capire che erano più di una. Erano divise in voci
maschili e femminili, o perlomeno io le avvertivo così.
Oltre alle voci percepivo anche degli aloni di diversi
colori a seconda della scena a cui stavo assistendo,
ma non erano visioni ben dettagliate, piuttosto
luminescenze molto sfumate che si muovevano.
Ho percepito anche una certa gerarchia fra le voci,
perché sentivo che parlavano fra di loro chiedendo
l’autorizzazione a entità superiori quando le mie
domande richiedevano risposte più complesse.
Io ho cercato di porre le domande che ritenevo più
importanti, anche se effettivamente era difficile
mantenere quella concentrazione, in quanto il flusso
di cose che sperimentavo era estremamente
sorprendente e anche di difficile analisi.
Subito ho chiesto se quel mondo era quello dove si
va dopo la morte. La risposta è stata affermativa.
Erano due entità di sesso diverso, che stavano ai miei
lati.
Ho chiesto come funzionava il Karma, cioè come
potevano essere registrati nell’anima gli eventi vissuti
in un’esistenza umana, su un supporto così
immateriale. Mi hanno detto che nell’anima esiste
una specie di codice, che equivale al DNA del corpo
umano, ma che contiene le informazioni spirituali
dello stato di avanzamento, nonché le sue
caratteristiche. Poi ho visto come un grande tunnel in
cui fluivano questi codici che erano come delle
corde intrecciate tra loro, di colore rosso/arancio.

120
In un'altra situazione, mi sono trovato a parlare con
un’entità femmina a cui ho rivolto svariate domande.
Le ho chiesto quanti erano i tipi di realtà possibili,
alludendo a quella fisica a noi ben conosciuta e a
quella spirituale che era quella in cui ci trovavamo. Mi
ha detto che sono solo queste due, non esiste una
terza possibilità. Tranne nel caso del momento della
creazione, in cui queste due sono fuse insieme. Ma è
solo un momento di passaggio per arrivare alla
situazione più stabile che è appunto duale. Le ho
chiesto come funziona il tempo, e mi ha risposto che il
tempo è per chi lo misura e nell’eternità non c’è
fretta. Le ho domandato che rapporto c’è fra lo
spazio fisico e lo spazio spirituale, mi ha detto che in
qualche modo corrispondono, ma non come si può
pensare che combacino. In realtà da un punto
dell’uno si può passare ad un punto dell’altro. Ma in
entrambe le realtà ci si deve spostare con un mezzo.
Di qua i mezzi fisici, di là la volontà. A ben vedere
anche di qua è necessaria la volontà di spostarsi per
poterlo fare. Mentre con le sostanze che sono
prodotte in natura è possibile passare da uno stato
all’altro. Io in realtà ero ancora consapevole del mio
corpo che fluttuava nell’acqua, ed è come se fossi
consapevole contemporaneamente di questi due tipi
di realtà. Allora ho chiesto come è possibile che ci
fossero dei punti di contatto fra questo mondo così
fisico e quello così intangibile. Il contatto avviene nel
cervello nella sua struttura che crea la
consapevolezza. Ho chiesto come fosse possibile
quest’unione, e mi è stato detto che è troppo
complesso perché io lo possa capire. Ma per averne
un’idea avrei dovuto immaginare il cervello come
una membrana che capta il flusso spirituale che lo
attraversa e ne decodifica i segnali. Le sostanze
psichedeliche allargano questa percezione del flusso

121
in modo che arrivi al livello del cosciente, perché la
nostra struttura interna è sviluppata a diversi livelli di
consapevolezza. E io sentivo che i miei pensieri infatti
provenivano proprio da delle parti diverse della mia
coscienza, e ne coglievo il rapporto fra loro in
maniera davvero precisa e stupefacente.
Poi ho chiesto se mi fosse possibile ricordarmi di una
scena di una mia vita precedente. Qui ho sentito che
l’entità in questione ha dovuto chiedere un parere
ad una entità maschile superiore per potermi svelare
questa cosa. Ma pare che non ho avuto il consenso,
perché non ero pronto per questo. Io insistevo, anche
solo un piccolo frammento. Ma in risposta mi hanno
detto che non ho vite precedenti, e non so se è stata
una risposta datami per farmi stare buono o se sia la
verità. Allora mi sono chiesto come mai, come fosse
possibile che questa sia la mia prima vita, e io mi
sentissi già così evoluto. Mi hanno detto che ero stato
creato già così, per uno scopo preciso. Ho chiesto
quale fosse, e la risposta è stata quella che io dovevo
aprire gli occhi agli altri, per fare in modo che le
persone durante la loro vita possano avere accesso a
questa dimensione spirituale, visto che non occorre
per forza morire per farlo, e una vita in cui questa
dimensione non sia stata esplorata, non ha molto
significato. Allora la mia osservazione è stata quella di
far notare quanto fosse difficile far aprire gli occhi alle
persone su di un mondo così intangibile come quello,
e quanto gli esseri umani abbiano bisogno di
qualcosa di concreto per poter credere ad una
realtà sfuggente come quella. Allora chiedevo che
mi fosse dato un mezzo per poter convincere gli altri
di questo, qualcosa di indiscutibile che potesse
mostrare la realtà di quel mondo. Ho proposto che io
potessi riuscire a guarire le persone. Mi è stato chiesto
se questa proposta veniva fuori da una volontà

122
egoica, oppure se fosse qualcosa di veramente
sentito. Io ho osservato che in effetti avere il dono di
guarire all’inizio potrebbe rappresentare una grande
sfida per l’ego, ma poi il fatto di poter aiutare le altre
persone a stare meglio e a mostrare loro la possibilità
di entrare in contatto con questa dimensione
spirituale, avrebbe senza dubbio prevalso. Ho chiesto
che mi venisse insegnato un modo per poter guarire
le persone e mi hanno detto che già conoscevo il
Reiki ed era più che sufficiente. Insistevo a volere
qualcosa di più, qualcosa che fosse solo mio, un
simbolo o un rituale particolare. Ma non ho avuto
alcuna risposta.
In un altro momento ho incontrato la dea madre. Il
principio femminile, la madre terra, o qualunque altro
modo in cui si voglia chiamarla. E’ stato un contatto
breve, poche battute. Ero immerso in una
luminescenza azzurra. Il tutto è stato soave e dolce.
Mi ha lasciato una sensazione di beatitudine. Non
ricordo esattamente cosa abbiamo detto, ma niente
di più delle presentazioni. Mi sono sentito
abbracciato, e quello era sufficiente.
In un’altra situazione ho chiesto di voler entrare in
contatto con l’anima di mio figlio futuro. Ma anche se
insistevo, non ottenevo nulla. Mi è stato risposto che in
ogni caso non avremmo potuto comunicare usando
la mia lingua. Allora ho detto che mi sarebbe bastato
un qualunque tipo di comunicazione. Ma la mia
richiesta non ha avuto alcuna risposta. Ho pensato
che forse sia dovuto al fatto che non avrò figli, ma
anche qui sono stato lasciato nel dubbio.
Ho cercato di avere qualche prova della possibilità di
vedere qualcosa di esterno da quello stato
adimensionale. Ho cercato di connettermi alla
coscienza della mia ragazza, ma non ho avuto molto
successo. Mi è venuta solo l’immagine di lei nella sua

123
macchina vista dall’alto, infatti doveva quasi stare
per tornare. Poi ho visto le buste della spesa sul
tavolo, e ho cercato di visualizzare qualcosa di
particolare che avesse potuto comprare che non
fosse scontato. Ho visualizzato qualcosa tipo delle
crocchette di patate (all’uscita della vasca ho
constatato che non c’erano ne buste della spesa, ne
tantomeno crocchette).
Poi ho chiesto se mi fosse possibile uscire dal corpo, al
quale io mi sentivo veramente vincolato. Mi è stato
detto che non è facile affatto, e che abbiamo una
paura innata ad abbandonarlo che ci rende quasi
impossibile questa cosa. Ho chiesto se mi potesse
essere insegnata una tecnica efficace. Ma in quel
momento era tornata la musica, segno che era
passata un’ora, e questa produceva troppa
distrazione per la parte cosciente che mi impediva di
poter seguire una sorta di addestramento.
Mentre fluttuavo nella musica, mi sono messo in
posizione fetale e ho iniziato a visualizzare me stesso
che regredivo col corpo fino a tornare alla
dimensione prenatale. Mi sentivo veramente tornato
a quello stato, seppure avessi la mia coscienza. E
questa giustamente mi ha fatto notare che allora non
c’era la musica come adesso.
Lentamente sentivo che il contatto con quella realtà
si andava perdendo, e che i miei pensieri tornavano
sempre più miei, anche se con una capacità
immaginativa e introspettiva davvero particolare. In
tutto sono stato nella vasca circa 1 ora e tre quarti.
A posteriori non so cosa pensare di questa
esperienza. E’ stata senza dubbio meravigliosa, priva
di paura, e ricchissima di sensazioni ed emozioni. Ma
del contenuto delle rivelazioni che mi sono state date
non saprei proprio cosa pensare. Non c’è stato nulla
che in fondo fosse così lontano o diverso da quello

124
che mi appartiene, ne mi è stato dato modo di
verificare qualcosa di concreto. Quindi potrebbe
semplicemente essere stato un effetto dissociativo
del Salvinorin che mi ha dato l’impressione di diverse
voci all’interno della mia testa, mentre non erano
altro che diverse sfaccettature dell’Io che parlavano
fra loro.
A 24 ore di distanza le mucose orali sono ancora
terribilmente irritate e per tutto il giorno mi hanno
dato molto fastidio. La nottata è stata come sempre
densa di sogni molto vividi e particolari.
Questo è quello che ricordo per adesso. Se mi
dovesse tornare qualcos’altro in mente l’aggiungerò.

125
126
Prima esperienza con DMT
22 febbraio 2004

In questo mio primo contatto con l’amico DiMiTri,


c’erano ad assistermi dei grandi psiconauti, il meglio
che si può avere dalla rete: Club99, Sturmy,
Funghetto. Nell’abitazione di quest’ultimo, alquanto
inquietante per un senso di antico e di misterioso,
c’era una stanzetta che sembrava stranamente
predisposta ad un’esperienza trascendente. Un
materasso nudo, dei cuscini, coperte. Un pc con un
sottofondo ondeggiante di didjeridoo che ha
accompagnato Funghetto nel suo breve e intenso
viaggio, prima del mio. Forse l’emozione di vederlo
partire è stata tanto grande quanto quella di partire
io stesso. Sembrava veramente assistere ad una
magia. Ha fatto il suo breve tiro e poi giù disteso.
Silenzio nella stanzetta per 3 minuti. Lunghi. Il suo viso
tradiva un misto di estasi, meraviglia, pace. Passati i 3
minuti, semplicemente: eccolo tornato. Come se
nulla fosse accaduto. Noi a guardarlo da fuori lo
vedevamo identico a prima. Solo una persona che è
stata stesa su un letto per 3 minuti. Ma dentro di lui
chissà che mondi sottili si agitavano. E poi toccava a
me. Il cuore batteva tremolante, le mani tradivano un
misto di emozioni e ansia. Ho preso contatto con la
magica pipetta per sentirla un po’ anche mia, l’ho
potenziata con un simbolo Reiki che apre il contatto
con l’energia buona. E poi Club me l’ha infuocata. Il
vapore già pungeva nel naso, mentre con un
risucchio leggero ho sentito il fumo caldo entrare fino
in fondo. Ho aspirato di nuovo e ho pensato che per
la prima volta potesse bastare. Mi sono steso sul letto
in ascolto. Non c’era la musica stavolta.
Immaginavo un’esplosione fulminea, invece è stato
tutto molto dolce e quasi appena percettibile. A

127
ripensarci adesso mi chiedo se è successo veramente
qualcosa. DiMiTri non si è rivelato subito. Per me
questo primo contatto è stato solo uno sfiorare
leggero i mondi segreti del viaggio psichedelico.
Sensazione di calore nel corpo, di plastica nella
bocca. Poi qualcosa di ineffabile.
La tipica sensazione di vedere il mondo di fuori come
dal fondo di un tubo, mentre lentamente si scivola
all’indietro e si dimentica il posto in cui si è. Ho
pensato che quella non era che un’altra porta di
accesso alla realtà. Un po’ come le stanze coi
telefoni di Matrix. Solo invece di rispondere allo squillo,
si tira aria da una pipetta. Cambiano i modi ma il
passaggio fra un mondo e l’altro è simile. Nel buio dei
miei occhi chiusi poi sono apparse leggerissime visuali
sull’azzurro, ma senza geometrie, solo aloni eterei su
cui non riuscivo neanche a focalizzare bene
l’attenzione. Soprattutto i suoni hanno colorato
quest’esperienza. Li sentivo amplificati, sentivo dei
bambini che giocavano in strada, come se avessi
immaginato un cortile d’altri tempi, quasi una
vecchia foto seppiata, un ricordo sbiadito. Era reale o
frutto della mia immaginazione?
A momenti aprivo gli occhi e vedevo le alte pareti
della stanza, con una carta da parati a righe
verticali. C’ero e non c’ero. Avvertivo piani di
esistenza che si aprivano nella mia coscienza, ma
nulla di concreto e tangibile. Sensazioni sfuggenti. Poi
come è iniziato, tutto è sembrato finire. Sono tornato
velocemente che non sapevo neanche dove ero
stato in fondo. Unico commento: mah. Come aver
perso un treno. Ma il viaggio non è finito lì. Guardavo
la carta da parati, e mi sembrava fosse leggermente
tridimensionale. Quasi che potessi immergerci la
mano dentro. E per un attimo ho creduto di poterlo
fare. Sono quegli istanti in cui si è quasi incerti di

128
essere svegli, e avvolti dalle spire del sogno si possono
fare cose che contraddicono le leggi della fisica.
Invece no. La mia mano toccava solidamente la
parete. Ero davvero tornato. Ma mi sentivo leggero
quasi senza peso, e molto fluido nei movimenti.
Mentre un’altra ragazza si sottoponeva allo stesso
trattamento, io ero ancora intento a decifrare i
sintomi dell’atterraggio. Fissavo il pavimento di
vecchia marmaglia, e ondeggiava un po’ come nei
primi istanti fungini. In alcuni momenti mi sentivo perso
nei pensieri e lontano. Ma in effetti è stato breve.
Anche lei ha fatto questo volo brevissimo, e tutta
contenta se ne è tornata di qua.
Dopo ero ancora suggestionato dalla casa,
dall’ambiente. Mi sembrava un posto così strano,
pieno di vita vissuta lì dentro. Stanze e corridoi
labirintici. Un posto in cui perdersi, ma era pieno di
buoni amici. La realtà ha preso presto il posto della
suggestione. Era ora di saluti e ognuno doveva
prendere la sua strada di casa.

129
130
Prima esperienza con Ketamina
23 marzo 2004

La mia prima esperienza Ketaminica si è appena


conclusa. Ora sento solo un leggero strascico
sognante. Morbido e dolce. Sarebbe bello perdercisi,
ma ho idea che se non riesco a fermare alcuni
pensieri, tutto quello che è stato questo primo
incontro si possa perdere. Effimera. Ecco come
descriverla. E’ tutto meravigliosamente effimero.
Il mio umore prima dell’assunzione era buono. La
paura che mi attanagliava da tempo sembrava
dileguata, ero sereno e tranquillo. Mi sono preparato
la mia striscetta di K. Saranno stati all’incirca 80 mg di
polverina magica. Effetto medio-leggero dicono i
testi. Effetto bello per iniziare dico io. In un attimo è
nel naso. Poi si aspetta, come sempre no?
Forse un quarto d’ora prima che inizio ad avvertire
qualcosa che non sia sola suggestione. Ma la salita è
morbida, non c’è un primo sintomo netto di aver
messo piede in K Land. So che c’è stato un grande
espandersi della mia mente e immaginazione. Era
accompagnato da uno stato gioioso e amorevole.
Lo stesso che sento adesso. Forse sto cercando di
descrivere qualcosa che è così ovvio. Era la vita che
pulsava in me, si trasformava e assumeva forma di
pensieri, emozioni, sensazioni. Euforia è quello che
provavo, fiducia nell’universo e nelle sue leggi
segrete. Ho intonato un mantra, un OM che scaturiva
fuori da me e risuonava nel mio spazio interiore.
Non ci sono stati tunnel luminosi, altre presenze o
cose assolutamente fuori dall’ordinario. In questo
devo essere onesto. Le leggi della fisica
continuavano ad essere le stesse. Solo che io mi
percepivo in maniera diversa. Leggerissimo. Quasi
che la gravità non avesse presa su di me. Come se la

131
mia pelle fosse un involucro sottile che non contiene
nulla. Un contenitore d’aria. Per questo muovere le
braccia, mentre all’inizio sembrava pesante, poi è
diventato come un gesto concettuale. Io lo pensavo
e le braccia eseguivano il movimento quasi a livello
inconscio. Fluttuavo in questa realtà. Mi muovevo
sinuoso come se fossi di aria e attraversassi aria. Ma i
miei erano solidi passi sul terreno. Dentro di me un
sorriso enorme. Divertimento. Mi dicevo: ma perché
avevo tanta paura, cosa c’è da aver paura di
questo stato di sospensione sognante. Nella testa si
ramificavano ogni sorta di sensazioni. Ma il mio
registratore mentale non riesce a riportarle. Più
difficile che con i funghi. E’ normale fare paragoni,
d’altronde gli stati alterati certe volte lambiscono i
confini gli uni con gli altri. Però a livello di controllo è
molto più semplice delle ondate psilocibiniche.
Divertente soprattutto. E’ anche vero che i funghi
sono soprattutto divertenti la prima volta. Diventano
più difficili dopo. Spero non lo faccia la K. Perché mi
ha dato un senso di grande piacevolezza. Di
possibilità esplorative senza paure e paranoie. Ero
infatti estremamente ironico con me stesso.
Cazzeggiavo liberamente. Aperto ad ogni possibilità
con poca ansia che le cose più assurde si potessero
materializzare. Non lo hanno fatto in effetti. Ma forse
se lo avessero fatto ci avrei giocato. Ero come un
bambino che esplorava una nuova modalità di
esistenza. Saggiavo le consistenze degli oggetti, del
mio corpo. Mi guardavo nello specchio, trovando la
mia immagine buffa. Quasi che non mi appartenesse,
ma senza quel senso di alienazione inquietante che
delle volte la psilocibina da. Come se fossi a
carnevale. Era tutto come un sogno, un gioco, per
questo sapevo che non poteva succedere nulla di
male. Ma i miei pensieri razionali ogni tanto

132
cercavano di analizzare la consistenza dell’io. C’era.
E quando non c’era non mi prendeva l’angoscia di
non saper chi sono. Ero più colpito dalla divertente
sensazione di partecipare al gioco cosmico.
Nella gioia di questo stato sono riuscito
tranquillamente a telefonare e ad eseguire una pur
breve ma logica conversazione. Ero contento per la
gioiosità dell’esperienza e volevo condividere questa
scoperta con chi amo. Anche se nel mentre della
conversazione ho pensato che sarei potuto
chiaramente sembrare fuori di testa, e che non sarei
riuscito a comunicare esattamente quanto di
meraviglioso stessi sperimentando.
Ho cercato anche di prendere 2 appunti su un foglio
per fissare delle idee. Scrivere è stato stranissimo, forse
ha coinciso con una delle sensazioni più forti del
viaggio. Ho letto l’ora e l’ho appuntata, facendo un
po’ di confusione all’inizio sulla corrispondenza fra le
7.50 pm e le 17.50 che mi sembrava quasi più logico
rispetto alle 19.50. Ma ho presto capito l’errore. Poi le
lettere sono letteralmente schizzate fuori dalla penna.
Un flusso velocissimo di stampatello che poi è
rapidamente cambiato in corsivo.

“E’ LA COSA PIU’ BELLA CHE si possa anche solo


immaginare!!!”
“SI PUO’ TUTTO IN QUESTA VITA!”*
“SOGNANTE!” e “fluido”
“Leggero si può volare → dentro casa però”**
“AMO I MIEI NEURONI BALLERINI”

* Mi ricordo la sensazione di aver messo questo punto


esclamativo in maniera così profonda che ho
pensato che ci sarei stato risucchiato dentro.

** Questa frase in particolare illustra quanto l’idea di

133
volare sia associata durante un viaggio psichedelico
alla leggenda delle persone che si buttano dalla
finestra perché convinti di poter volare veramente. La
seconda parte è stato un tentativo mio di dire: se
posso volare, non c’è bisogno di buttarmi dal
balcone, posso tranquillamente svolazzare per la
stanza e sarebbe fantastico lo stesso. Questo è un
chiaro esempio che si mantiene la consapevolezza
del pericolo, almeno a questo dosaggio.

La sua natura è sicuramente psichedelica, ma con


una sfumatura tutta sua. Non c’è il gioco di incastri e
ripetizioni di una sessione fungina. La tua mappa
mentale funziona abbastanza bene. Ricordi dove
sono le cose, come funzionano. Magari fai qualche
pasticcio, ma sostanzialmente non ti blocchi
perdendoti completamente a metà di un gesto.
Mi ricordo la sensazione di ondeggiamento della mia
testa quando la muovevo a destra e a sinistra, tipica
di quando uno è ubriaco. Lo stesso vale per quando
mi sono alzato in piedi. L’equilibrio era precario, ma
concentrandosi ci si riesce a muovere.
E muoversi è come attraversare solo con la volontà lo
spazio. E’ come se il corpo fosse scollegato in effetti.
Tu decidi di andare e vai. Poco importa che siano i
tuoi muscoli a farlo. Ti ci trovi. Ti sposti attraverso
stanze e corridoi come se fosse la forza di volontà a
farlo direttamente, e non i tuoi muscoli. Anche vero
che i muscoli si muovono grazie alla forza di volontà,
ma per me era come se il passaggio fosse assente.
Avendo saggiato la piacevolezza dello stato, ho
pensato di introdurmi nella vasca di deprivazione
sensoriale. Ho pensato che fosse molto semplice
manovrare i controlli e prepararmi alla sessione. In
effetti non ho trovato difficoltà con la centralina, ne

134
ho dimenticato alcuna cosa nella serie di azioni che
svolgo prima di entrare, cose come fare la doccia,
mettere i tappi, prendere le ciabatte e
l’accappatoio. Ero incasinato, quello si. Ricordavo le
cose a tratti, ma funzionavo ottimamente rispetto alla
realtà consensuale. E là dove mi incasinavo, tiravo
fuori un atteggiamento divertito, della serie: che mi
frega, sono fatto come una prugna secca. Non c’era
l’ansia di aver perso le normali capacità
psicomotorie, o l’idea di restare per sempre in quello
stato. Anzi magari. Una delle cose che pensavo era,
non vedo l’ora di rifarlo. Capisco che la K possa dare
assuefazione. E’ bella, divertente, spensierata.
Almeno a questo dosaggio.
Poi mi sono introdotto nella vasca. Ma l’effetto era
già sull’onda di ritorno. C’è stato solo un ultimo
grande momento particolare. Una chiarezza mentale
profonda e calma. Seria. Niente più giochi e lazzi.
Una “chiacchierata” col mio sé profondo. Un’analisi
ultima della mia volontà di esperire alterazioni della
coscienza. Senza indugi sentivo che il motivo che mi
spinge a farlo è migliorare la comprensione del
funzionamento della coscienza umana in ottica
evolutiva per il benessere dell’umanità. E’ stato così
chiaro ed evidente, che non potevo proprio
schermarmi dietro false convinzioni.
Poco dopo ho sentito che i processi mentali
riprendevano la loro normale consistenza. Sono uscito
dalla vasca perché avevo voglia di tornare ad
interagire con il mondo. Ero definitivamente normale.
Ho pensato che a questo livello leggero la K non può
darti risposte. Sei ancora confinato sul piano della
realtà consensuale. Puoi giocarci in modo diverso,
inusuale, ma le regole principali della realtà sono
quelle. Cambiano molto le percezioni, niente
alterazioni di colore o suoni, ma soprattutto l’auto-

135
percezione del proprio corpo cambia notevolmente.
In qualche modo ci si rende conto quanto il corpo sia
solo una macchina mossa dalla volontà. Forse è il
primo passo per liberarsi da esso, e dall’idea che sia
tutto ciò che siamo. In ogni caso la cosa più
entusiasmante dell’esperienza è stata la non
associazione all’ansia del processo della morte.
Differente per me a tutte le altre sostanze che
inducono la morte dell’Ego o comunque
un’esperienza peritanatica. Era più come
abbandonarsi piacevolmente ad un flusso
energetico benevolo in cui avere completa fiducia.
Probabilmente questo stato di benevolenza era dato
anche dalla mia attitudine amorevole e consapevole
dell’uso della sostanza. O almeno mi piace pensarla
così. Prima di assumerla ho eseguito un rituale di
consacrazione, breve ma necessario e
assolutamente spontaneo. Il mio animo era disposto
positivamente e sentivo di avere accumulato un
buon karma per cui l’esperienza non avrebbe potuto
essere pericolosa o spaventosa.
Nelle ore successive all’esperienza mi sono sentito la
testa molto vuota. Leggera. Era difficile recuperare
altri dettagli dell’esperienza. Ero ancora in uno stato
come vacuo, sognante, non associato ad alcuna
sensazione sgradevole.

136
Seconda esperienza con marijuana nella vasca di
deprivazione sensoriale
10 maggio 2004

Fumo a dense boccate dell’erba di ottima qualità. Il


mio progetto è quello di immergermi per tre ore nella
mia vasca di deprivazione sensoriale. Prima di farlo so
che devo aspettare un po’ che entri in stato di high.
Decido di farmi la doccia intanto, sfruttando l’attesa
di entrare meglio nella dimensione enteogenica
dell’erba. Ma già le mie percezioni e i miei pensieri
interiori hanno modificato la loro struttura. Sono molto
fuso all’interno della mia unità percettiva, tutto
l’ambiente intorno a me diventa una mia estensione,
un prolungamento della mia entità cosciente. Creo
dei rituali spontanei, gesti e pensieri evocativi che
possano proteggere il mio viaggio. E’ un fare istintivo
che mi guida. E ci credo con la fede più pura. Non è
più costruzione e sedimentazione di gesti ripetuti, ma
un esprimere la propria religiosità in maniera onesta e
diretta. Questo mi mette in comunicazione con una
parte molto sacra in me, che mi regala una delle
manifestazioni più forti mai avute grazie all’erba. Entro
nel bagno. Chiudo la porta e già questo diventa un
gesto che racchiude in se una forte valenza di
sacralità, lascio fuori demoni e brutti pensieri. Mi
guardo allo specchio. Saluto la mia immagine come
ad augurarle un buon viaggio. Entro nella doccia e
sprofondo nel getto caldo e avvolgente. Un’onda di
estrema sensualità si insinua in me. Accarezzo il mio
corpo con le mani godendo dell’improvvisa
consapevolezza della mia fisicità. Poi di colpo sono
travolto da una folgorante illuminazione. E’ come un
click nella mente, e capisco tutto ciò che è. Non c’è
un oggetto specifico da comprendere né qualcosa
che occupa la mia attenzione. Ma è una sensazione

137
globale di comprensione onnisciente. Meravigliosa e
terrificante. Soprattutto perché mi sembra di averla
già avuta altre volte questa sensazione così forte e
dirompente, è qualcosa di già vissuto, seppure in
luoghi e tempi diversi. La mia mente poi ritorna al suo
regime comune, senza mantenere la sensazione di
questa improvvisa apertura di coscienza. Sono un po’
confuso, e continuo a lavarmi.
Mentre l’acqua calda scorre su di me e
all’apparenza tutto è tornato normale, sento con la
lingua che i miei denti anteriori sembrano come
sbriciolarsi e rientrare in dentro. Una scossa
adrenalinica mi scuote e il terrore avvampa in tutto il
mio corpo. Inorridisco all’idea di cosa mi stia
accadendo, e al mio tentativo di indagare
nuovamente sento che tutto è tornato come prima.
E’ solo suggestione mi dico. Un’impressione
momentanea. Mi sento leggermente più tranquillo, e
con timore torno a lavarmi. Esito un po’, poi torno a
saggiare con la lingua la consistenza dei miei denti.
Di nuovo la stessa sensazione… i denti rientrano e uno
di questi mi rimane in bocca. E’ allucinante. Sento
come una pietruzza liscia nella bocca. Istintivamente
la sputo, e vedo uscire dalla mia bocca una piccola
sagoma nera che finisce sul pavimento della doccia.
Sono pietrificato, mi chino ad osservare questo
oggetto e vedo una piccola virgola nera, lucida.
Sarà stata grande un centimetro. Sempre
istintivamente la tocco. Da questo momento
descrivere ciò che ho provato può essere
improduttivo ai fini dell’oggettività. Mentre fino alla
sensazione fisica dei denti tutto sembrava realissimo,
dal momento in cui ho toccato la virgola sconfiniamo
nel mondo del fantastico.
E’ stato un flash istantaneo. Al tocco della virgola,
questa stessa virgola è diventata una porta

138
dimensionale (ha senso descriverla così?), si è
allargata nel campo della mia vista fino a inglobarlo
tutto. L’immagine concentrica della virgola si
ripeteva all’infinito dentro di essa, e il suo bordo era
frastagliato con dei disegni frattali luminosi sullo
sfondo nero. All’ingrandirsi della virgola, questo tunnel
di virgole era un invito ad entrarvi. Ma se sono qui per
raccontarlo vuol dire che non ho avuto il coraggio di
prendere quella via. O forse solo una parte di me l’ha
presa, l’altra è rimasta qui per testimoniarlo.
Anche se la sensazione che ho è un’altra. E’ come se
io avessi imboccato quella strada fino a percorrerla
ovunque essa abbia portato, e poi essendomi
impaurito del potere che questa conoscenza mi
procurava, ho deciso volontariamente di tornare
indietro dimenticando tutto. Come se il flusso
dimensionale si svolgesse al contrario fino a ricostituire
la mia realtà ordinaria. Nel ripercorrere a ritroso
questo passaggio io decidevo deliberatamente quali
erano le cose che volevo ricordare e quali no.
Credo che quello che ho voluto ricordare è stata solo
la conoscenza dell’esistenza di questo tipo di
esperienza e non le possibilità conoscitive del varcare
quella porta. Queste avrebbero forse alterato troppo
la mia visione del mondo per permettermi di tornare
alla vita ordinaria. E’ stata quindi la paura a imporre il
mio limite conoscitivo. Non scelte imposte da altri. Da
qui ho realizzato che quello che siamo lo siamo
consapevolmente perché lo abbiamo scelto. Il
problema è che non ci ricordiamo di averlo fatto e il
nostro presente ci sembra una conseguenza di
casualità o scelte altrui. Perdiamo la connessione con
la nostra parte superiore che invece decide tutto
quanto il nostro cammino.
In un attimo il mondo mi si era ricomposto sotto i
piedi. Ero di nuovo nella doccia e di virgole nessuna

139
traccia. Ne esco sconvolto, abbandonando l’idea di
farmi la mia sessione di vasca, visto che per quel
momento avevo già viaggiato oltre i confini consueti.
Avevo bisogno di contatto fisico con la realtà e di
calore umano.
C’era la mia compagna in salone, sul divano, che mi
vede uscire delirante e completamente in stato
confusionale. Mi rendo conto che questi spettacoli
non giovano alla vita di coppia. Sul divano avviene
una conversazione surreale. Mi sembra che i discorsi si
ripetano circolarmente, la realtà si muove a scatti
con pause di vuoto in cui la coscienza sembra non
esistere. Frammenti che mi rendono completamente
incapace di articolare discorsi che possano essere
compresi da chi non ha vissuto quell’esperienza. Mi
lascia, e rimango solo a cercare di mettere ordine e
recuperare il normale flusso delle cose. Dopo poco
tempo mi sento già meglio. Per quanto continuo ad
avere processi mentali accelerati, comprendo meglio
le dinamiche della realtà.

140
Riflessioni sulla morte e le esperienze psichedeliche
(indotte dall’ultima esperienza)

Le morti sono porte.


Danno accesso ad altre dimensioni.
Puoi morire in mille modi.
Sei tu a decidere, consapevolmente o no, ogni volta
qual'è il modo in cui potresti morire, combinando
elementi diversi nella vita ordinaria.
Stai continuamente sperimentando l'interrelazioni di
cose fra loro.
Qualcuna di queste da accesso alla morte.

Esempio, strada bagnata e moto in velocità.


Oppure pallottola che attraversa il tuo corpo.
Malattia inscritta nella tua anima.
O sostanza vasodilatatrice e bagno caldo.
OK forse con questa solo un collasso.

Ma mentre sperimentiamo l'unione di alcuni degli


infiniti elementi che producono in un corpo l’effetto
della morte, noi siamo perfettamente coscienti di
quello che sta accadendo.
Il tempo sembra rallentare mentre le funzioni vitali
che rendono vivo il nostro organismo sembrano
venire meno.
Ci si rende conto che qualcosa nella struttura in cui
percepiamo l'esistenza sta cambiando.
E' un processo che mentre si attua è come se
ricalcasse una serie di schemi che già conosciamo.
Gli eventi sono nuovi, ma il modo in cui li
organizziamo in una serie sembra esserci già noto.

In quel momento indubbiamente c'è una forte


componente di confusione e quindi paura. Perché di

141
fatto vediamo cambiare davanti ai nostri occhi la
struttura delle cose come le conoscevamo prima.
Vediamo accadere cose che ci hanno detto essere
impossibili, o cose che mai abbiamo immaginato
potessero accadere di fronte a noi.
Questo crea immediatamente una associazione di
idee rapida e mozzafiato. Se vediamo qualcosa che
sappiamo, o crediamo di sapere non essere possibile,
esiste solo una possibilità per noi. Che siamo morti.
Solo se siamo morti possiamo immaginare che
all'improvviso ti si apra davanti agli occhi un vortice
dimensionale che ti attira al suo interno. Perché
altrimenti nella lucida realtà quotidiana, nulla di ciò
può accadere. Non esistono vortici dimensionali.
In quel momento allora scatta un meccanismo
inconscio e formidabile: la paura. Il pensare anche
lontanamente che noi siamo morti, vuol dire che
abbiamo finito con quello che consideriamo realtà
ordinaria. Le persone care che amiamo
appartengono ad un altra storia. Con loro abbiamo
chiuso. Questo è il concetto che associamo all'idea
di morte. Ma non solo. L’idea stessa che dobbiamo
lasciare uno stato di cose che conosciamo, per
affrontare qualcosa di totalmente ignoto, è talmente
raccapricciante, che a priori ci precludiamo la
possibilità di sbirciare cosa c’è oltre.
Perché diamo per scontato che una volta varcata
quella porta, non si possa tornare indietro.
Molto di ciò che sbagliamo nella vita si basa su ciò
che noi diamo per scontato. Più cose diamo per
scontato, più restiamo delusi e meravigliati quando la
realtà non si uniforma al modello che noi abbiamo
adottato. E questo nella maggior parte dei casi ci fa
paura, perché ci rendiamo improvvisamente conto
che non abbiamo il minimo controllo sulla realtà. Per
questo ci trinceriamo dietro visioni della realtà il più

142
possibile fredde e ciniche. Sono le uniche che non
possono farci male, nel loro cadere.
Al contrario, attraverso l’uso di certe sostanze che
inducono alterazione della nostra percezione, è
possibile arrivare a sperimentare alcune delle cose
che nella realtà ordinaria riteniamo impossibili.
Questo ci spaventa di meno, perché sappiamo che
l’interazione di queste sostanze con il nostro
organismo può dare certi effetti. Ne abbiamo una
conoscenza che ci tramandiamo di generazione in
generazione per non lasciarci prendere dal panico
nei momenti in cui varchiamo queste porte.
Ma ogni volta che decidiamo di fare uso di una
sostanza psicoattiva, qualunque essa sia, stiamo
aprendo una delle porte della morte. La morte della
visione dell’universo che avevamo prima di assumere
quella sostanza.
Ogni sostanza ha le sue leggi, i suoi metodi di
somministrazione, la sua durata in termini temporali
ordinari. Ma una delle prime cose su cui sembrano
agire le varie sostanze è la percezione del tempo. Per
cui ha realmente poco senso parlare del “quanto”
dura un’esperienza. Comunque vada, per chi la vive
dura sempre un’eternità.
Ora supponiamo di assumere una sostanza di cui
conosciamo già gli effetti, perché più volte
sperimentata. Se durante questa esperienza,
veniamo a contatto con qualcosa di
straordinariamente diverso dalla nostra esperienza
acquisita, il confronto fra ciò che sappiamo di quella
sostanza e quello che stiamo sperimentando in quel
momento può dar luogo al panico.
In quel momento stiamo varcando una zona di
confine. Una porta. Una morte.
Uno dei primi pensieri che ci viene in mente è che
qualcosa sia andato storto. Che abbiamo trascurato

143
qualche elemento dell’esperienza e che il nostro
sistema nervoso centrale stia andando in pezzi per
qualche interazione chimico fisica al suo interno. La
paura è la prima reazione che emerge da questo
stato. Straordinariamente la paura induce nel nostro
sistema nervoso la secrezione di adrenalina. Questa
sembra dare una scossa incredibile al nostro
organismo, e lo fa emergere da quella situazione di
panico come da un brutto sogno. Si è
improvvisamente lucidi, consapevoli, e quasi increduli
di quanto solo un attimo prima stava accadendo.
Siamo disorientati e quasi incapaci di capire cos’è
che ci aveva spaventati in quel momento. Ne siamo
fuori, e alla fine ne siamo contenti, deve essere stata
suggestione.
E se così non fosse?
E se invece di avere quella profonda paura, avessimo
esitato un attimo, avessimo guardato meglio?
In quel momento saremmo morti. Ci saremmo
abbandonati, ci saremmo lasciati andare. Avremmo
varcato una porta, senza sapere dove ci avrebbe
portato.
Il problema nell’accettare la morte è che non
accettiamo di imboccare una strada senza sapere
prima dove questa ci porterà.
Ma qualche volta non possiamo farne a meno.
Qualche volta l’adrenalina non viene in nostro
soccorso a tirarci fuori dai guai.
O magari ci siamo davvero schiantati contro un
albero a 120 all’ora.
Scenari diversi si aprono.
Veniamo catapultati in un turbine di sensazioni
sconcertanti. E’ come raggiungere l’illuminazione, la
comprensione totale della realtà delle cose. E questo
è talmente grandioso e sconcertante, che
immediatamente vogliamo tornare indietro da dove

144
siamo venuti.
E’ in quel momento che iniziamo a richiudere le
diverse porte che abbiamo aperto. Ripercorrendo il
cammino all’indietro fin dove è possibile sapere di
essere sani e salvi. Se veramente vogliamo tornare
indietro.
Perché dall’altra parte è possibile che si scoprano
cose che ci sorprendono a tal punto che non
vogliamo più dimenticarle. Per questo si muore.
Decidiamo di restare di là. Il nostro corpo ci sembra
meno interessante, la realtà che abbiamo
abbandonato è meno fantasmagorica di quella che
abbiamo appena incontrato. Chi vuole tornare
indietro per pagare debiti, ritrovare la propria
asfissiante famiglia, ritornare in ufficio a fare qualcosa
di disumanizzante?
Oppure semplicemente, per quanto sappiamo che la
nostra vita è fantastica, di là troviamo qualcosa di
veramente ineguagliabile, per cui qualunque vita
umana non sembra così necessaria.
Siamo morti. Ma questo non ci interessa più. Abbiamo
altre dimensioni a cui badare.
Altre volte invece si esita. Ci sono cose troppo forti
che ci legano da quest’altra parte. O meglio, quello
che vediamo di là ci rendiamo conto di conoscerlo
già, mentre qui sulla terra ancora ci sono cose che
dobbiamo capire. Allora decidiamo di tornare
indietro davvero. Ma non possiamo farlo sapendo
tutto quello che abbiamo appreso. Non possiamo
perché ci sarebbe impossibile continuare a vivere
come prima. Allora dobbiamo dimenticare
progressivamente fino a che ci serva farlo. Qualche
cosa magari la lasciamo, soprattutto qualche
sensazione inesprimibile. Queste ci aiutano a vivere
meglio dopo, perché ci danno la consapevolezza di
un qualcosa ancora da esplorare. Ma il più va

145
nell’oblio. Non ci serve ora. E’ un patrimonio troppo
pesante e scomodo da gestire. E mentre
dimentichiamo, ci sembra giusto che sia così. Sono
cose che sappiamo dall’inizio dei tempi, a cosa serve
saperle in una comune vita umana?
Abbandoniamo con soddisfazione la nostra
onniscienza per scendere al livello mortale. Per
tornare indietro al punto in cui avevamo più
domande che risposte. E’ un ciclo inevitabile a cui
non vogliamo sottrarci. Forse perché ci diverte così.
Viviamo in costante oscillazione fra onniscienza e
completa dimenticanza. La morte non è altro che il
passaggio da uno stato ad un altro. E’ un passaggio
che allarga o restringe la nostra consapevolezza.
Anche quando la coscienza universale si incarna in
una piccola porzione della coscienza umana, muore.
E’ una morte inversa. La nostra nascita di piccoli esseri
umani ed indifesi, è la morte di un frammento di
coscienza che viene allontanato dal tutto per
scendere negli infimi strati della materia.
Costantemente un ciclo.

146
Seconda esperienza con Ketamina
15 maggio 2004

Le parole.
Tornare ad usare parole per esprimere qualcosa che
le parole non potrebbero mai fare.
Il linguaggio è un codice, una codifica che usiamo
noi umani, quindi esseri relegati al nostro consueto
piano dimensionale (quello in cui è possibile leggere
queste righe), per descrivere cose che accadono in
questo piano dimensionale. Generalmente
descriviamo oggetti, eventi, situazioni che
accadono/esistono sul piano concreto. Come posso
questa volta usare queste stesse parole per esprimere
ciò che accade in un piano dimensionale diverso,
vissuto da una creatura non più confinata nel suo
corpo, non più schiava delle leggi ordinarie?
Non ho le parole per farlo, e neanche un bagaglio
emotivo a cui fare riferimento. Emozioni e sensazioni
umane vengono smaterializzate quando varchiamo
le porte del sogno.
Ecco… l’unica traccia che resta è come quella di
aver sognato.
Cercare di essere obiettivi non ha senso, né cercare
una sequenza cronologica di eventi. Ricordo una
partenza ed un atterraggio. Ricordo la realtà che
conoscevo prima, e posso confrontarla con quella
che ho ritrovato al rientro. Sono indistinguibili. Nulla
esteriormente è cambiato.
Ma in quel lasso di tempo cosa è successo? E’ questa
la domanda che mi pongo ogni volta che devo
descrivere un viaggio. Dove sono stato?
Il dove già presuppone un luogo. Un posto che è
altro da quello di cui si parla. Ma un luogo è per
definizione un posto fisico, un posto che ha dei
confini che lo delimitano rispetto a qualcos’altro che

147
è fuori. “Dove sono stato” allora non è la domanda
giusta. Ricordo che non c’erano confini o limiti. Non
c’era un dentro e un fuori.
Quanto sono stato via? Il tempo potrebbe darci delle
risposte se questo avesse un significato. Ma il tempo è
legato allo spazio, e là dove non c’è uno spazio fisico
in cui essere, non c’è alcun tempo che scorre. E’ il
tempo dell’Eternità, il tempo in cui tutto è simultaneo
ma non sovrapposto. In termini terrestri è stato circa
un’ora e mezza. Questo è il tempo che mi è occorso
per riprendere possesso del corpo fisico, muoverlo,
ritrovare punti di riferimento.
Ma quando ero via, il tempo poteva essere stato
quello della creazione del mondo.
Come sono stato? Potrei cercare di capire se sono
stato bene o male, se queste due categorie opposte
avessero un senso quando si parla di ciò che può
avvenire in un posto in cui bene e male non esistono.
Bene e male esistono qui sulla Terra. Altrove c’è solo
movimento, trasformazione, essere e amore.
Sono stato. Questo si. Ero assolutamente certo che
ero. Non sapevo cosa, ma ero. Pura presenza, o pura
coscienza di sé. Chissà perché queste parole mi
risuonano di divino. Se sono stato pura coscienza,
allora vuol dire che sono stato Dio? Oppure sono
semplicemente arrivato all’origine di me stesso. Un
me stesso che è divino in quanto creatore del mio
mondo, ma non creatore di tutti i mondi possibili. La
differenza certe volte è sottile. Viaggiatori instabili
potrebbero facilmente cadere in deliri di
onnipotenza. Ma in quello stato non ci si cura più dei
piccoli giochi di potere. Si è oltre.
Amplificazione della coscienza vuol dire concepire
ciò che è inconcepibile. E’ un’esperienza
incomunicabile sul piano terrestre. Quando torniamo
siamo telescopi che si muovono intorno ad

148
amplificare piccoli segmenti di cielo. Ma quando
siamo là, non siamo più chiusi da una lente. Siamo
oltre di essa, oltre noi stessi e i nostri limiti biologici e
culturali. C’è una matrice insondabile in cui ci si può
muovere. Iniziamo ad intuire i meccanismi dell’essere.
In qualche modo sono percezioni familiari. Perlomeno
così mi appaiono adesso. E’ un qualcosa che
conosciamo bene, forse perché è il posto in cui si
originano le nostre coscienze. E’ come tornare a
ricordare le cose così come erano prima che
decidessimo di dimenticarle. Qualche volta le
scordiamo volutamente, altre volte siamo solo distratti
dal troppo che c’è.
Insomma, ero immerso in un oceano. Acqua
nell’acqua.
Il mio corpo c’era, da qualche parte forse a
galleggiare sulla superficie. Come un legno secco
che ondeggia tra i flutti. Ma io ero nel profondo delle
acque. Non c’erano limiti a dividermi dal resto. Ero
forse tutta l’acqua, o solo una parte, che importa?
Ero.
Non c’erano visioni, luci, forme riconoscibili. Nulla di
riportabile all’umana realtà. Se ci pensiamo bene, la
luce ha senso solo per noi che abbiamo occhi per
vedere. Ma Dio che occhi non ha… cosa vede?
Parlare di sensazioni ha poco senso perché derivano
dai sensi e dov’ero non ne avevo. Sembra un futile
gioco di parole ma è la verità. Come si può definire
ciò che avveniva in me? In me però indica che ci
fosse anche un fuori. Mentre io ero fuso con quello
che vivevo. Ero una serie di stati dell’essere.
Ritorno alla sorgente originaria (sentire di avere
inglobato le proprie frammentazioni fino diventare il
contenitore di ciò che si era).
Fluttuazione di realtà (percezione contemporanea
dell’esistenza di se stessi in molteplici modi differenti).

149
Riconoscimento di Sé nel tutto (non esiste nulla
all’infuori di se stessi).
Esplorazione dell’autorealtà (il movimento della
coscienza avviene all’interno di un’illusione artificiale
autocreata per esplorare la propria diversità).
Riunificazione degli opposti (amare l’altro perché
parte di Sé e non diverso).

Misti a questi stati emergevano i fattori umani.


Diciamo che è come se esistessero degli stati
universali, trascendenti, che sono al di fuori del
linguaggio, della cultura, del pensiero. Potrebbero
essere le famose idee platoniche. Poi emergevano
invece delle tensioni puramente umane.
L’appartenenza alla propria specie, e la descrizione
che questa specie dà della realtà di sua
appartenenza. E’ come se io stessi confrontando
dall’esterno la Verità suprema, con il grado di verità a
cui stiamo lavorando sulla Terra. Beh, ci vuole ancora
un bel po’. Però non siamo così idioti in fondo. Il
problema è che ci sfugge una questione
fondamentale: come si può non amare qualcosa. E’
stato lampante.
Se l’Assoluto è il Tutto di cui noi facciamo parte,
l’illusione suprema, e noi come parte dell’illusione
siamo illusioni a nostra volta, come possiamo noi
stupide illusioni, illuderci di non amare qualunque
altra cosa?
Non c’è meno Dio in una cacca che nel viso della
persona amata. Eppure ci illudiamo di sì. Creiamo le
forme che separano. Siamo vittime di un tremendo
maleficio di cui siamo gli autori. Non è terribile? Ci
stiamo sopraffacendo, mutilando, torturando. E tutto
ciò che facciamo lo facciamo a noi stessi. Ci stiamo
autoflagellando pensando che il male che riceve un
altro non possa ricadere su di noi.

150
E’ questa la legge del Karma, nella sua crudele
semplicità.
E intanto andavo a ricomporre la mia personalità
umana. Tornavano dei pezzi del mio modo di essere,
rievocavo pensieri privi di senso (per l’Assoluto) ma
assolutamente ordinari per noi umani. Nel fare questo
li confrontavo con una nuova presa di coscienza. E’
stato come mettere l’Anima in candeggina.
Rinascere.
Solo che come tutte le cose è un processo. Sentivo
che stavo planando ad occhi chiusi verso il mio
corpo, riacquistandone tutti i limiti e la sua materialità.
Avrei voluto fermarmi prima. C’è stato un momento
del mio ritorno che era un posto in cui l’Umanità era
illuminata. Si viveva tutti con la consapevolezza che
ogni dolore causato all’altro era un dolore per noi
stessi. Un mondo perfetto. Avrei voluto fermarmi lì, e
risvegliarmi da questo sogno dicendo di aver sognato
un posto orribile dove ancora esisteva la guerra.
Invece mi sono risvegliato qui, e posso dire di aver
sognato un mondo splendido dove c’era solo
l’Amore.
Forse è il posto dove un giorno potremo arrivare se
solo sapessimo che esiste.
Ve lo dico io, esiste. Vi va di andarci insieme?

Fiducioso che le generazioni di domani avranno


meno pregiudizi verso esplorazioni della coscienza
come queste, spero che io possa aver dato un
contributo affinché l’esplorazione e la ricerca
dell’Uomo su se stesso abbia un senso.

Dati tecnici dell’esperienza: 100 mg di Ketamina


insufflata nel naso.
Durata dell’esperienza: 1h e 1/2 .
La sostanza sembra una delle migliori, il viaggio è

151
intenso, significativo, positivo e con un ritorno molto
sopportabile se non ci sono pressioni esterne. E’
difficile che possa andar storto perché essendo un
anestetico non si ha la capacità motoria e non si
mettono in moto meccanismi di panico.
Consigli per il viaggio: una musica celestiale e un
posto comodo dove dimenticarsi di avere un corpo.
Non occorre davvero nient’altro. Non lo si potrebbe
usare. Evitare in ogni caso posti affollati, o situazioni
scomode o precarie.
Io avevo a portata di mano un foglio per necessità
improvvise. Quando sono tornato c’era scritto con
calligrafia poco leggibile: “Siamo onde d’eternità!” e
“Perché si dovrebbe non amare qualcosa????”.

152
Terza esperienza con Ketamina nella vasca di
deprivazione sensoriale
7 agosto 2004

Ho assunto circa 70 mg di Ketamina insufflata nel


naso prima di entrare nella vasca di deprivazione
sensoriale, luogo indicato dalla letteratura
psiconautica come ideale per consumare
un’esperienza ketaminica.
Dopo pochi istanti già mi sentivo fluttuare nel pieno
dell’esperienza. Di tutti i tipi di esperienza
enteogenica, psichedelica o di alterazione, quella
ketaminica mi sembra la più difficile da descrivere.
Probabilmente a causa delle moltissime immagini
mentali che si susseguono l’una dentro l’altra senza
aver modo di poterle associare a qualcosa di visivo o
realistico che possa aiutarci a ricostruire il nostro
percorso. Ricordare diventa difficile, recuperare i
frammenti del vissuto è come pescare nella nebbia
oggetti impalpabili.
Quello che cambia all’inizio è proprio il costrutto della
nostra mente. La base dalla quale formuliamo i nostri
pensieri. C’è una dilatazione di significati e di
capacità percettiva della stessa fonte dei nostri
pensieri. Come se la scatola ideale che contiene la
mente si ingrandisse per poter contenere ciò che
prima era più compresso, in uno spazio più ampio.
Nel buio della vasca lo spazio nero intorno a me
assumeva di volta in volta consistenze diverse e
intensità variabili in accordo con quelli che erano i
miei pensieri correnti.
La situazione confinata della vasca è molto propizia
per poter amplificare la perdita di confini che già si
associa all’esperienza ketaminica. Generalmente la
percezione dei propri limiti corporei diventa
particolarmente inconsistente. Sembra quasi che il

153
corpo diventi solo un involucro che tocca altre
superfici e quello che trasmette come sensazione è la
particolare consistenza rigida di questo involucro. In
vasca, non avendo superfici rigide di contatto con il
corpo, i limiti vengono completamente trascesi. Si
diventa una unica sostanza pensante, illimitata e
omnicomprensiva. L’attività cosciente è presente
continuamente, però cambiano moltissimo il tipo di
pensieri che scorrono davanti a questa macchina
filtrante. Era come se i pensieri costituiti di parole si
traducessero anche in atmosfere visive. Il fondo nero
dello schermo si animava creando giochi di ombre su
ombre, movimenti liquidi che si espandono e
contraggono, movendosi in questo spazio fatto di
nulla. E intanto la mia mente osserva se stessa su
diversi livelli. E’ come salire ad un livello superiore da
cui si capisce l’origine dei pensieri. Alcuni si
etichettano come umani, contestualizzati
all’esperienza umana, altri sono di tipo più assoluto,
cioè potrebbero appartenere ad una mente
universale. Si riesce a percepire la differenza fra il tipo
di credenze dovute all’esperienza accumulata sulla
Terra, e si confrontano con un tipo di pensieri
appartenenti ad una verità superiore.
Comunque più ne scrivo, più mi sembra di star
perdendo completamente il senso dell’esperienza. E’
irraccontabile. Diventi tutto ciò che è. Diventi l’essere.
Il nulla oltre il nulla, che eppure, è.
La vastità dell’immenso eterno. L’immutabilità di ciò
che è completa trasformazione.

154
FRAMMENTI DI VIAGGI

155
156
Frammenti di viaggi

Nelle successive pagine sono raccolti disegni e


scritti buttati giù durante una decina di
esperienze di alterazione degli stati di coscienza.
A tratti emergono pensieri e illuminazioni
interessanti, a tratti il senso è completamente
oscuro e si perde in tutto ciò che non vi è scritto.
A volte le parole possono creare poesie, a volte è
solo un delirio di frasi sconnesse e senza senso.
A volte c’è un intento di creare suggestioni
artistiche, altre volte semplicemente di registrare i
moti del pensiero. Spesso il pensiero si fa contorto,
distorto, celebra solo se stesso. Altre volte si libra
leggero e colora stati d’animo estatici.
Costantemente c’è la tensione ad esprimere
qualche verità cosmica che viene colta in quei
barlumi in cui la coscienza si fonde con una
mente universale. Purtroppo i limiti del linguaggio
umano e della comunicazione emergono in
queste pagine in tutta la loro schiacciante
durezza.
Queste pagine non sono mai state concepite per
essere condivise con altre persone, ma solo
come memoria e ricerca personale. Ma a
distanza di tempo in esse scorgo delle
potenzialità espressive e delle suggestioni che
possono trovare riscontro in altre menti.

157
158
Siamo tutti agglomerati cosmici di coscienze
persi nella rete delle cose
miliardi di galassie
tutti legati con fili
tutto quanti solo
Uno

Uno
solo e tutti lo stesso tempo
da sempre e per sempre
cambiano gli schemi ma è tutto sempre così
non c’è poetica
frasi libere
nient’altro
quando altro è l’infinito
che è dentro ognuno di noi
e miliardi di altri ancora
sempre sempre sempre
tantissime infinite porte da aprire
troppe possibilità
la via è una – tutte sono le vie giuste
ognuno nel suo inferno
e tutti nel loro paradiso e girare per sempre su
questo foglio e rendersi conto che il foglio è lo
stesso e la penna sta pure finendo di scrivere o
resisterà fino all’ultima verità???

D(IO)

159
160
161
Questo è uno schema
non caderci!

OPS! ci sei già cascato!

Ogni foglio merita uno scarabocchio

tutti i fogli sono bianchi ma qualcuno NO

tutte le pagine già scritte

Girare girare ma PERCHE’?

ed è sempre stato così e lo sarà per sempre


ma allora

PERCHE’
??????
???

Questa volta il viaggio è stato troppo


FORTE

162
163
TUTTO QUELLO CHE POSSO RIPRODURRE
SU QUESTO FOGLIO E’ L’UNICA REALTA’
IN CUI POSSO VIVERE

QUELLO DI CUI TU NUTRI IL TUO CERVELLO


RAPPRESENTA IL MODO IN CUI TU VIVI

IL MODO IN CUI VIVI NUTRE IL TUO CERVELLO


DI COSE PIU’ O MENO REALI

LA CHIMICA DEL MIO CERVELLO PUO’


RIPRODURRE INFINITI UNIVERSI POSSIBILI

SONO IO ATTRATTO DALLE COSE O LE COSE CHE


SONO ATTRATTE DA ME?

164
Ognuno di noi vive

certe volte il filo si perde

esiste un valore estetico intrinseco alle cose?

O la bellezza è solo
dove si vuole che sia?

165
166
167
La differenza fra le persone è che

alcuni vivono
come pensano di credere

altri vivono
come credono di pensare

ma IO
come
vivo?

?
168
169
L’universo è una rete di coscienza

L’universo esiste perché noi lo pensiamo

oppure è l’universo che pensa noi?

Le cose in cui si crede


NON ESISTONO
siamo solo noi che ci crediamo

Siamo noi che ci circondiamo di cose e persone


che ci fanno credere le stesse cose in cui
credono loro. Ognuno per avere una conferma
di sé, ognuno perché in fondo ha paura di morire

E’ la paura della morte che ci insegna a vivere o


la paura della vita che ci prepara a morire? C’è
poi reale differenza tra il vivere e il morire?
E’ solo che noi non ce ne rendiamo conto.

Per fare uso di sostanze che alterano la mente


bisogna essere molto forti, oppure estremamente
deboli. Perché in certi momenti non ne capisci la
differenza.

Non sai proprio chi sei e perché fai quello che fai.
E allora cerchi una spiegazione. E crei uno
schema. In cui però poi alla fine ci credi, e non
sai se lo schema l’hai creato tu o se è sempre
esistito prima di te.
Ma questa è solo un’idea

170
Una persona mi ha detto che tutto quello che
posso provare devo scriverlo su questo foglio. Il
problema è che non ci entra. So che sta a me
farcelo entrare, è solo questione di scelta
consapevole.
Il processo dell’arte… parole grosse.

Raffinare il pensiero
capire

DENTRO LE COSE

Disciplina Volevo dire a quella


persona che le cose in
cui crede sono il mondo
che lo imprigiona

Si è sempre

contemporaneamente

prigionieri e liberi

della propria realtà

171
172
La realtà (=DIO) cerca di esprimersi attraverso di
noi.

Noi invece stiamo cercando lui!

Sia noi che Dio stiamo cercandoci ma non


riusciamo ad incontrarci mai

CICLO

FORSE UN GIORNO SI’!

giorno=morte?

morte fisica del corpo che libera la mente


o mente che si rende schiava del corpo?

Corpo, mente, alla fine

è sempre un fatto di scelta


o questione di punti di vista

173
le cose che ci piacciono sono quelle che
sembrano darci un senso. Perché probabilmente
le cose non ce l’hanno. Il senso intendo.

sembrare non è essere

ci piacciono perché ci danno un senso o hanno


un senso per cui ci piacciono?

senso e piacere
che rapporto hanno?

Non si può mai percorrere una strada


percorsa da altri.
Ma non ci sono mai altre strade.
Ed è sempre l’unica
la sola
che sembra esistere

174
La realtà è una droga che annebbia i sensi.
Ognuno sceglie la propria droga.
Qualcuna è chimica (e funziona!)
Altre sono consensuali.

IL CALCIO, LA TV, IL SESSO

L’AMORE è la più grande.

Sei tu che dai il senso che vuoi alle cose. Solo che
delle volte non lo sai.
C’è bisogno di uno schema per comprendere la
realtà. Ma poi non bisogna pensare che sia lo
schema ad essere la realtà. Altrimenti siamo
caduti in un’altra trappola.

Noi cerchiamo sempre di trovare giustificazione


per le cose che facciamo. Una giustificazione più
ampia di noi perché noi non ci bastiamo mai.

Perché Dio non basta a se stesso.


Dio ha bisogno di SE’

175
Ogni foglio di per sé è una prigione. Come la vita
stessa. Solo che c’è chi lo sa e chi no. Chi va fuori
dalla pagina e chi rimane chiuso dentro allo
schema. Chi ha bisogno di assumere droghe per
capire il mondo e chi pensa di capirlo senza
averne bisogno. La droga più grande è il
cervello. Nel tuo cervello ci sono le sostanze più
potenti che si possano immaginare. Ognuno
cerca da sempre il modo migliore per liberarle.
Chi si rifugia nell’arte. Chi nella scienza. Chi nella
teologia. Chi nell’amore. Chi nella famiglia. Chi
nel lavoro. Chi nella comoda calda realtà di tutti i
giorni. E tu dove vuoi rifugiarti oggi? In quale
valore ti identifichi di più? E ti ci identifichi perché
ti ci fanno identificare o è tutta farina del tuo
sacco? Esiste una farina del proprio sacco? O
tutte le farine sono sempre contaminate dai
sacchi degli altri?

176
La logica disarmante ha un potere enorme.

Ma rimane solo logica disarmante.

Poi c’è altro…

c’è la Verità…

c’è la Ricerca…

177
Lanciarsi da 10.000 metri nel vuoto di te stesso.
E’ meglio avere un paracadute,
o fa più fico senza?

Bisogna sempre cercare di spingersi oltre i propri


confini e rischiare oppure si può semplicemente
camminare sul filo del rasoio? Sulla linea limite tra
coscienza e realtà, sogno e immaginazione.

Ognuno di noi cerca nella vita, è inutile negarlo.


Solo che alcuni si accontentano della prima cosa
che trovano.
Altri invece vanno avanti per accontentarsi della
seconda.
Altri arrivano pure alla terza.
Altri alla quarta.
Altri alla quinta.
Alla sesta, alla settima…

ALTRI NON SI FERMANO MAI

Continuano a cercare.

Quindi alla fine quelle che ne esce fuori è che


l’unica cosa che conta è la ricerca. Ma è una
strada che non porta da nessuna parte se non a
se stessa. Ma ti mantiene vivo. O ti fa credere di
esserlo. Ti da un senso di appartenenza a
qualcosa di più grande, a qualcosa di eterno. E
questa diventa la tua droga. La ricerca.

L’uomo è sempre prigioniero di se stesso.

178
Se vuoi fermare il tempo
puoi levare la pila all’orologio.

L’arte è il tentativo cosciente dell’uomo per


esprimere l’inesprimibile.

Ci sono infinite tecniche per farlo.


E si possono passare intere vite a studiarle.
Ma un conto è studiare le tecniche, un altro
conto è farlo.
E facendolo inevitabilmente troverai la tua
tecnica. Il tuo modo.
E verrà un giorno in cui qualcuno altro tenterà di
studiare te e la tua tecnica. E inevitabilmente
avrà racchiuso te in uno schema, credendo di
averti compreso. Ma in te ci sono molte più cose
di quante quella persona non possa arrivare a
comprendere. Perché c’è molto di più di te in
quello che la penna non scrive, ma nessuno
crederà mai se non alle cose che tu potrai mai
scrivere su questo foglio.

179
E che differenza c’è tra lo scrivere e il vivere
allora?
Il vivere è quello che tu ti porti dentro ogni giorno
fino a quando non esalerai l’ultimo respiro.
Lo scrivere è quello che resterà perché altri lo
possano comprendere. E’ ciò che di te è eterno
in senso concreto. La tua esperienza si trasforma
in parola, verbo. Altre persone ne entrano in
contatto e si crea comunicazione. La
comunicazione è scambio. E sempre e
comunque crescita. Io come particella di
umanità lascio una briciola della mia esperienza
a quelli che verranno. Affinché qualcuno la
raccolga, ne faccia buon uso e viva a sua volta
la sua esperienza. E generazione dopo
generazione, affinché il mondo diventi goccia a
goccia un posto migliore.

180
Uno si affanna tanto nella vita per cercare di
dargli un senso. Non si può solamente vivere?
Credo che alla nascita ho scelto l’opzione
sbagliata. Avrei dovuto cliccare su

INSENSIBILITA’
ALL’ESISTENZA

ma non l’ho trovato da nessuna parte. Anche

INCAPACITA’
DI SOFFRIRE

sarebbe stato grandioso. Ma cos’è poi la vita


senza quel briciolo di sofferenza in più?

DOLORE è quando hai qualcosa da dire ma non


trovi la penna. O è finito l’inchiostro. O nessuno ti
sta ad ascoltare. O non c’è proprio nessuno ad
ascoltare. E quando qualcuno alla fine si ferma e
ti presta attenzione, improvvisamente ti rendi
conto che non sai più cosa dire. O lo sapevi e te
lo sei scordato.

A proposito, ma dove vanno le cose che uno si


dimentica?

181
La differenza è fra chi legge DYLAN DOG chi
scrive DYLAN DOG, chi vive DYLAN DOG e DYLAN
DOG stesso.

Anche adesso, tu stesso


puoi decidere di
essere

DYLAN DOG

So che pensi che sia impossibile, ma non lo è.


Nulla lo è. So che pensi che sia difficile.
Questo si che lo è.
E anche molto.
Ma non farti mai fermare dall’apparente
difficoltà delle cose. né da chi ti dice che le cose
sono così difficili.
Non credere a chi ti dice che non puoi volare se
non hai le ali.

Aprile e

VOLA

182
Nella penombra, solo una candela accesa.
Bach riempie lo spazio.
Ed io. Solo.
Potessi in un istante trascendere l’esperienza
umana, lo farei.
Ma ho ancora la testa troppo piena di pensieri.
Del perché, del come e del per quanto ancora
dovrò perdurare in questo stato di esistenza.

E non cadere invece in un altro abisso nero di


oblio.

O B L I A R E

Ma resterà sempre qualcuno ad osservare?

Una nota lunga riempie lo spazio. Così intensa


che vorrei non terminasse più. Lo spirito delle
volte si solleva. Respira.
Ma il corpo è così presente.
La sua materia mi spinge verso il basso. Potessi
almeno raggiungerne le profondità.
Ma la mia consistenza mi impedisce di liquefarmi.
Sciogliermi e penetrare nelle crepe dell’esistenza.
Venirne assorbito senza averne più coscienza.
Mai più.

183
Se c’è un inizio, c’è sempre una fine.
Ma è solo l’uomo che le distingue.
Per l’universo è solo un continuo lento andare.

Il peso del mio corpo continua a schiacciarmi.


La coesione fra gli atomi è sempre più forte della
volontà.
Mi tengo forte sul ciglio della realtà. Ma le mie
mani non tengono nulla.
Mi segretolo ad ogni passo. Silenzioso.
Con delle corde sono ancorato al quotidiano.
Vorrei tagliarle e volare via. Sempre troppo
debole per farlo.
Deridermi sarebbe comunque già ridere.
Invece mi contorco in attesa del pianto.
Ma non verrà mai per liberarmi. non cedo a così
facili artifici.
Giocare col dolore. Quello fisico fa paura.
Forse perché è più reale, o convincente.
Ma quello interiore è un’illusione quasi calda in
cui annegare.
Rinascere.

Ho solo bisogno di rinascere.

184
L’ETERNITA’ NON HA ETA’
MI RICORDO DELLE COSE QUANDO ACCADONO
DIMENTICO FACILMENTE CIO’ CHE NON E’ DUALE
DIFETTO DIFFUSO DELLA MIA STIRPE MORTALE
TROVO TRACCE DEL PASSATO ORMAI DIMENTICATO
PERDO IL SENSO DELL’ISTANTE
RIPASSO SPESSO SULLE STESSE IDEE
OSSERVO, NO – SON PERSO
O SOLO IN UN TEMPO CHE SCORRE DIFFERENTEMENTE
DA CUI EMERGO A RILEGGERE
COSE DI QUALCUN ALTRO
E GIUDICO RIMBALZANDO FRA DIVERSI IO
RIENTRO A FLUSSI NEL’INTERIORE COMPLESSITA’
COSI’ BANALE ANCORA TRATTENUTO NELLA
TEMPORALITA’
MENTRE LE PAROLE SONO MACCHINE IN CODA
SU TANTE PISTE DIVERSE
E ASPETTANO SOLO CHE IO LE FACCIA FLUIRE
FUORI DALLA MIA IMMAGINAZIONE
SE SOLO L’INCHIOSTRO AVESSE VOLONTA’ PROPRIA
POTREI RIEMPIRE UN MONDO DI CONTRASTI
NEL MIO VORTICE FLUTTUANTE
DI ESTESE SENSAZIONI
E RAREFATTE CONCENTRAZIONI
UN ARRIVO IMPROVVISO (GIADA)
SCUOTE
E CAMBIA TUTTE LE REGOLE DEL GIOCO
ALLORA NON SONO PIU’ DIVERGENZE DEL MIO IO
INTERNO
MA C’E’ UN ALTRO
CON CUI CONFRONTARSI
IN COSTANTE OSCILLAZIONE

185
La vita è un grande viaggio
che voglio compiere con te
anima mia
scortato dalle tue ali azzurre
danzando
sul tuo serpente di scaglie d’oro
energia che fluisce dentro di me
a cavallo di un’onda perfetta
seguendo un ritmo di sopore e di veglia
nel ciclo degli attimi sospesi
rimbalzando dentro i livelli interiori
molteplici stanze di pensiero

un tuono riscuote lontano


percuote le pareti della mia coscienza
cresce in una potenza che si dilata
affievolendosi
una sirena lontana e penetrante
si discioglie in una delicata sirena emersa dal
mare

torna il ritmo
rumore e sensazioni di ricordi affioranti
di vite che scorrono là fuori
mi portano lontano su rombi di tuoni e vetture
mi disciolgo in me
fluttuo in un vuoto distante realtà
anni luce
in cerca di mistero e di luce
con l’alternanza di questi
battere e fluire – sbattere e danzare

186
eterno burattino delle cose che penso,
che sento, che vivo, che voglio
poter raccontare ciò che vivo dentro
un gigante buono e una bambina cattiva
personaggi e luoghi che ho dimenticato
per far posto ai nuovi eterni presenti della mia
coscienza

cerchi sempre qualcosa che si perde


un’eco dentro di te che muore
un sentiero non seguito
e sai che puoi andare lontano
in quell’ineffabile senso di buono e di oscuro
che c’è in te
un posto dolce e buono
non più paura
il potere che cresce in te
l’espansione dei tuoi multisensi
continue distorsioni

tutto è fuso in uno


freddo-caldo
silenzio-battito
dimensioni cosmiche
esplosioni cerebrali
labirinti pluridirezionali

seguire tutto è un gioco


comprendere è divertirsi
scoprire se stesso in ogni anfratto
trovare il senso in ogni singolo contatto
con altri pezzi di sé

187
cambio mille forme
ma sono sempre lo stesso bambino giocherellone
di sempre
racconto delle storie per addormentarmi di sera
ma non dormo mai
o forse ad intervalli cosmici

quelle che chiamate reincarnazioni


sono solo le sfaccettature di una sola vita
che si diverte a vedersi rimbalzare
e prendere la forma di ogni singolo istante

gli altri non esistono


o ognuno è una creazione a sé

d’un tratto capisci che la sola cosa


è la comunicazione
e l’unica cosa è la forma
il tratto, lo stile
retorica a tradimento
sono maledettamente importanti

cellule in comunicazione
particelle dello stesso sistema
descrizioni complementari
tutto è vero nello stesso tempo
credi a quello che vuoi
quello si avvererà

hai un solo obbligo di scelta


divertirti – questa è la realtà
quando capisci che tutto è lecito
purché ci si ricordi di non dimenticare

188
eppure si dimentica perché si ha voglia di
tornare a ricordare

ricordare cosa?
cosa c’è da ricordare
infinite strade
infiniti giorni
io e te
anima amante
tornare in un ciclo e riscoprirci
uomini e donne
poli opposti
in cerca dell’altro
elettricità chimica
organismi polari
attrazione repulsione
provare tutti i diversi opposti
una natura sovrumana
dentro di noi
molte più vaste dimensioni cosmiche
per vederci di nuovo uniti
verso la LUCE!

Ho capito!
E’ tutto il battito
se non c’è non sei vivo
ma subito tornerà a sorprenderti
il battito sempre torna
ma si manifesta in
molteplici modi
lo perdo e lo colgo
ma lo so, è l’Illuminazione
un semplice battito

189
scegli quello che scegli
nulla è al caso
ma ti fai domande sempre più complesse
alzi la posta in gioco per vedere
dove arrivano i tuoi superpoteri
e allora hai capito che
puoi volare
ma superi il primo meccanismo di difesa
superi il secondo
sei molto bravo a stare al gioco
supera il terzo
il quarto e il quinto
è tutto nei numeri
è KABBALAH
sequenze e frequenze

non concettualizzare!
Fluisci! Il guru mi parla dentro ora!
Mille maestri e tutti a fare il tifo per me
a farmi spiccare il salto ed entrare
nell’Immortalità

Il grande salto
i mille destini dei suicidi millenari
ma il viaggio non è oltre il salto
il viaggio è qui
sulla terra che mi richiama
mi cerca il suo calore
la vita che risplende
il battito che torna
mescolanze di alchemiche reazioni

190
ARRIVA D’IMPATTO COME ONDA
PULSAZIONE DI PERCEZIONE
TUTTO IL SUONO E’ PIU’ DENSO schizzano
(seguire il flusso)
Già dopo poco perdo il filo rapidi

i pensieri

un disegno
più di mille parole

mille
voci
sguardi DENTRO DI ME

pressione
sulla
fronte

FLUSSI ENERGETICI

E S P A N S I O N E
D I S I N T E G R A Z I O N E DELL’IO

ALCUNE
P R E S E N Z E
ACCANTO A ME
ORA
E’ un ritorno
breve alla realtà

191
Mi ristrappo ad
una realtà di parole

LOGICA
SEMANTICA
DEL LINGUAGGIO

TRAPPOLA

GABBIA
RETE

DIRAMAZIONI
Percorsi portano a
ramificazioni

Sabbie del deserto egizio

Battiti di
tamburi lontani
ulteriori
ramificazioni

PASSI DENTRO LA TESTA


qualcuno cammina
una voce lì dentro di me
ho qui dentro
(risponde a programmi preformati)

192
Seguo i battiti
Energia animale torna a rapirmi
Sprofondo in ritmi
Spazi profondi
Voragini di luce e suono

USCIRE ENTRARE USCIRE ENTRARE USCIRE ENTRARE


PERDERE LASCIARE

ritmo sempre più incessante


di stati di realtà differenti
percepisco diversi punti di vista
TUTTI

NUOVE DEFINIZIONI
smarrisco tutti i sensi
ERRORE DI
INTERPRETAZIONE

Cerco di dare un senso alle cose

DRAMMATICO
Mi divido fra
ANALITICO

EVENTI ESTERNI MI CATTURANO


E rispondo ancora perfettamente
Secondo memorie
DA DOVE VENGONO?

DI CHI SONO?
UNO/NESSUNO/CENTOMILA
Citazioni e sparpagliamenti letterali

193
incertezza a decifrare sensazioni
ritorna spirito analitico
raccontare

SUONI DISTORTI SPAVENTANO


passa a nuova immagine

ricordare per associazioni fra elementi


cercare di trovare un senso attimo per attimo
ad ogni istante battito del [cuore]
immagini interne di ISOBEL

ricostruire le trame interrotte

INIZIO
DI
DIADI

naturale/artificiale

olfatto gusto
FUSIONE

Aroma

Se tutto l’universo avesse un


sapore, che sapore avrebbe?

194
Ogni sapore in ogni istante appare
(ATTO (PULSAZIONE (COSCIENZA)
PERCETTIVO) PERCETTIVA)

Filtro a rete
di elementi

NETWORK

VOCI CHE SENTO IN LONTANANZA


Mi chiamano indietro in un parco d’Islanda

Un camper
di turisti manifestazione subdola di Bjork?

Aria fresca
Pura la natura
Cielo sereno

TORNO: SPAESATO
Voci esterne (vere?!)
PASSI ANCORA NELLA TESTA (veri!)

195
Produco errori
Di percezioni/valutazioni

Cerco schemi stesse scelte

ritorno a
punti già percorsi diverse apparenze

superare il problema

tenere a mente tutte le strade che si aprono


esprimere un concetto e manifestarlo nella sua
natura più estrema
UN ALTRO ATTO DELL’UNIVERSO

IO LA SCELTA

DISTRUGGI L’EGO
LASCIA LIBERO IL FLUSSO!

Immagine di redenzione

Ritorno all’esperienza umana


C A L O R E

Abbraccio caldo voce e amore


Viaggio torna umano

Torno ad un approccio grafico


Ma è la parola che vive in me

ZEN
196
LIQUIDO MUCOSO NELLE CAVITA’ NASALI
Preme – pressione in diramazione

FLASH IMMAGINE ROSSA

Seguo le diverse TRACCE AUDIO

DIVERSI OGGETTI
In profondità

Torno a quote normali


SIMULAZIONE E DEFINIZIONI

Rimbalzo di cattive percezioni


Tornare ad aria pura d’Islanda

ARIA FRESCA ORA!


NON C’E’ MORTE SENZA RINASCITA
LAMPO FULMINEO DI COMPRENSIONE

EVOCAZIONE ISLANDA COMPIUTA


(miliardi di percorsi)

IL SAPORE DELL’UNIVERSO
ZABAIONE E PANNA!

197
SE SPARGI AMORE
TORNA AMORE

ARIA
DENTRO DI ME SEGNI DI FUOCO
ACQUA SPEGNE

TERRA

HO SENTITO I CORI
DELLA MIA CELTICA DIPARTITA
AVVOLTI IN NEBBIE
DI CANTI D’ALTRI TEMPI

HO SENTITO IL GRIDO DELLA MIA NASCITA


DI NUOVO IMMERSO NEL MAGICO LIQUIDO

SI HA PAURA DI NASCERE
COSI’ COME DI MORIRE

HO INSEGUITO LE LEGGI KARMICHE


PER INFINITI INCONTRI CON LA TUA ESSENZA

SIAMO INTRECCIATI COME DUE ELICHE NUCLEICHE


INTESSUTI COME TRAME DI COSCIENZA

SPAZI CJE SO APRONO AL NOSTRO PASSAGGIO


IN DIRAMAZIONE OMNIDIREZIONALE

CI LANCIAMO MANI D’AIUTO


QUANDO L’AMORE CI LEGA STRETTI
RIMBALZIAMO FRA STRATI DI OPPOSIZIONI
INTRAPPOLATI FRA MONDI DI MEZZO

198
IN CERCA DI LUCE IN CUI TORNARE A RESPIRARE
L’ARIA DI QUESTO PIANETA TERRA

NELLA NASCITA COME NELLA MORTE


LA SOLITUDINE E’ LA NOSTRA UNICA COMPAGNA

ETERNI RITORNI
E ATTIMI DI ASSENZA
SULLO STRATO DI SUPERFICIE
MENTRE NEL PROFONDO
UN MINESTRONE DI VOCI

LA MIA VOCE RIECHEGGIA FUORI DI ME


SI PERDE LONTANA IN ALTRE STANZE LABIRINTO
SONO I MIEI PENSIERI CHE DIVENTANO
LE PAROLE DI QUALCUN ALTRO

C’E’ SEMPRE INTORNO QUALCUNO CHE DICE:


“E’ COME SE FOSSE SOLO UN SOGNO” OPPURE
“TI SEI LASCIATO SUGGESTIONARE”
MI CHIEDO SE LA VITA NON SIA CHE UN SOGNO
PIENO DI AUTENTICA SUGGESTIONE

UN CONTINUO CHIUDERE E APRIRSI DI PORTE


GENTE CHE VA, GENTE CHE VIENE
IN OGNI STANZA TROVI GRUPPI DI SCONOSCIUTI
CHE SEMBRANO RICONOSCERTI
OGNI TANTO PER APRIRE UNA PORTA MI SERVE UN
CODICE
QUALCUNO LO RUBA DAI MIEI RICORDI
E PASSA ALLO SCHEMA SUCCESSIVO
STABILISCO INCONTRI E AVVENIMENTI
POI DIVENTO TESTIMONE DI UNA PREVISTA REALTA’

199
DIO E’ QUANDO RICORDI
OGNI COSA IN OGNI ISTANTE
ISTANTE PER ISTANTE
DIMENTICANDOCI E RITROVANDOCI
IN ATTIMI D’INFINITA LUNGHEZZA

200
PAUSA DI RIFLESSIONE

DURATA 6 ANNI
2 FIGLI

E UN OCEANO DI COSCIENZA IN MEZZO

201
202
UNA NUOVA ONDA

Dopo circa 4 anni di esperienze psichedeliche, la


vita mi ha portato su dei binari completamente
diversi. E’ iniziato il viaggio della famiglia, intenso,
ricco di sfide, di nuovi orizzonti. Ma per sua natura
anche molto più concreto e meno affine
all’esplorazione delle vette metafisiche. Questo
mi ha tenuto lontano per molto tempo dal
superare certi confini, con l’idea che occorresse
sempre mantenere un certo controllo sulla
situazione, ma anche per la mancanza reale di
tempo da dedicare ad una passione così
impegnativa che richiede i suoi giusti momenti di
riflessione e integrazione delle esperienze.
Nel corso di questa pausa, tante altre esperienze
si sono aggiunte che hanno completamente
modificato il mio panorama interiore, spingendo
la mia ricerca spirituale in direzioni nuove e
costantemente rinnovate. Poi sulla mia esistenza
è calata “la notte buia dell’Anima”, un momento
di profonda e drammatica crisi che ha sconvolto
il mio percorso terreno, facendomi affrontare una
serie di prove estenuanti e oltremodo difficili.
Nell’ambito di questo contesto, ho cercato tante
vie per poter uscire da una situazione intricata e
insostenibile, e una delle possibilità che mi sono
dato per tirarmi fuori da quell’impasse è stata
quella di partecipare ad una cerimonia con
l’Ayahuasca, una bevanda psicotropa di origine
amazzonica, la quale si dice sia in grado di
produrre esperienze transpersonali profonda-
mente curative per la psiche umana. L’accesso

203
a questa esperienza ha attivato nuovamente in
me l’interesse per l’esplorazione del mondo
interiore per mezzo delle sostanze. Ma soprattutto
mi ha mostrato come un contesto rituale gestito
da uno sciamano, dia all’esperienza in sé un
significato completamente diverso. Avere una
guida che è in grado di gestire l’esperienza altrui
(nel caso dello sciamano lo fa con canti e
invocazioni mirate), e di poter aiutare la persona
a superare gli ostacoli che si manifestano via via
durante il viaggio, è una condizione che
modifica completamente le premesse di
un’esperienza enteogenica. L’appartenenza ad
un gruppo motivato di esploratori, guidati da un
sapiente maestro, fornisce un ambiente
psicologico molto più sicuro e protetto, non
scevro di pericoli, che comunque si annidano
nella psiche dell’individuo, ma quantomeno non
sprovveduto.

204
Prima esperienza con ayahuasca
5-6-2010

Arrivo alle 21.00 in questa casa dell’800


semiabbandonata e danneggiata dal tempo. Luogo
designato per celebrare il rituale con la bevanda
sacra. Ad accogliermi un piccolo gruppo di
esploratori della coscienza, siamo in tutto 7, più la
nostra guida, Roger, uno sciamano peruviano di 31
anni che appare come una persona estremamente
dolce e amabile. La sua radiosità è epidermica e
sembra vivere veramente di una costante armonia
con quanto lo circonda. L’età degli esploratori varia
dai 22 ai 53 anni, un gruppo veramente eterogeneo
ma con una profonda omogeneità d’intenti. Fin da
subito si avverte una fratellanza, una comunione.
Loro erano già 2 giorni che lavoravano con lo
sciamano, con la capanna sudatoria, la limpia con il
tabacco e una cerimonia con il San Pedro svolta la
mattina. Quindi erano già belli provati. Io mi ci sono
inserito da subito in armonia, ma appena entrato
nella casa ne ho percepito la pesantezza energetica.
Era una casa molto antica con energie molto pesanti
all’interno, e diverse presenze non piacevoli la
abitavano. Ho provveduto a pulire tutte le stanze ad
eccezione di quella dove si sarebbe svolto il rituale
che era già stata purificata dallo sciamano.
Ero a digiuno dalla sera prima, la fame era notevole e
la testa un po’ leggera per via dell’assenza di cibo,
ma mi sentivo molto bene e molto preparato ad
affrontare l’esperienza.
Lo sciamano prepara il suo altare, è una stuoia
posata a terra piena di oggetti, candele, foglie di
erbe varie. Nella stanza, allineati sui due lati ci sono 7
materassi, 3 a destra dello sciamano e 4 a sinistra. Di
fronte allo sciamano c’è un camino che viene

205
acceso per scaldare l’ambiente. Noi ci disponiamo
sui materassi e a turno facciamo una breve
presentazione con la dichiarazione dell’intento che ci
prefiggiamo nell’affrontare l’incontro con
l’ayahuasca. Poi lui a turno ci prepara al rituale. Ci
versa nelle mani una colonia profumata con cui
dobbiamo purificarci il viso e i capelli. Ce la schizza
addosso e poi ci agita una penna di uccello intorno e
infine con la punta acuminata ci preme forte
all’altezza del terzo occhio. Poi sempre a turno ci
chiama uno per uno per consegnarci 3 foglie di coca
da tenere in bocca.
Quindi arriva il momento di prendere la medicina.
Sempre a turno ci sediamo davanti a lui e ci porge
una piccola coppetta da cui bere l’amaro liquido.
Non è terribile come immaginavo, e poi sento di berlo
avidamente, con tutta la passione di voler godere
della sua essenza.
Mi sdraio e nel buio e in silenzio aspetto. Il fuoco era
stato calmato per poter assicurare una completa
oscurità. Sono minuti lunghi, in cui mi chiedo se
funzionerà o meno, perché non sento alcun
cambiamento. Neanche l’ingestione del liquido
sembra scompormi più di tanto. Sento movimenti
addominali ma la nausea è appena percepibile e
subito placata col respiro. Poi mi metto a studiare
energeticamente quali sono gli effetti che questa
sostanza produce sui nostri centri energetici. C’è una
chiarissima espansione del chakra coronale, quello
della connessione con Dio. Ma anche del chakra
cardiaco. Ma soprattutto sento che lavora su due
centri specifici: la porta della coscienza e il viaggio
della coscienza. Purtroppo mi accorgo subito con
sgomento che questi due centri mi erano stati
bloccati dal mio karma passato. Allora inizio a
lavorarci sopra per sbloccarli, altrimenti ho paura che

206
non riuscirò per niente a godermi dell’esperienza. I
minuti passano e infatti non accade davvero nulla.
Dopo un’oscurità interminabile, Roger accende di
nuovo una candela. Vedo che tutti in realtà sono nel
mio stato, cioè senza effetti attivi. Questo mi rincuora,
facendomi sperare che la situazione era comune e
non solo mia. Ci apprestiamo allora alla seconda
bevuta. Stavolta la nausea è leggermente più
pronunciata. Ma ancora perfettamente controllabile
con il respiro. Sento invece qualcuno che vomita
subito, appena la ingerisce. Dopo forse 10 minuti
dalla seconda, finalmente sento cominciare
l’esperienza.
Un piacevole calore inizia a diffondersi nel corpo. Lo
sento riscaldarsi e sento come se un liquido si
insinuasse dentro i tessuti, vivificandoli. A questa
sensazione fisica si associa una grande espansione
emotiva: sento una gioia sprigionarsi in me. Un
piacere emotivo, una leggera felicità dell’esistere. Mi
dico subito: Dio che bello! era una sensazione senza
mezze misure, non violenta ma estremamente
appagante. Un gran sorriso mi si è stampato in faccia
e più volte nel corso dell’esperienza questa
sensazione è riemersa.
Quindi parto subito con il lavoro che mi prefiggevo di
fare. Immediata arriva la comprensione che la mia
anima deve perdonarsi per il male fatto nelle altre
vite. Era un aspetto su cui avevo già lavorato tanto,
ma era come se mi sfuggesse la possibilità di un
perdono plenario. Come mi concentro su questo
aspetto, immediatamente sento un grande
scioglimento. La mia anima ha recepito e finalmente
sta cambiando qualcosa. Sento il perdono, inspiro il
perdono. Una profonda commozione nasce dal mio
profondo, dalle mie viscere. Dico: grazie Dio, grazie
per avermi dato questa possibilità di perdonarmi.

207
Allora decido ti trasmettere questa comprensione del
perdono anche alle anime di coloro che mi sono
accanto nella vita, mia moglie e i miei figli. So che le
loro anime hanno molto da perdonarsi e cerco di
facilitare questo processo. Stessa cosa per le persone
che sto seguendo sul loro cammino spirituale, quelle
che so avere problemi simili ai miei. Poi inizio a
lavorare un po’ qua e là dove sento che l’attenzione
mi viene portata, come suggerita dalla medicina
stessa. Sento che l’intensità dell’esperienza varia, a
volte si approfondisce, con sensazioni analoghe a
quelle provate in altri contesti, ma sempre molto
dolci, altre volte diventa più leggera, come
un’ebbrezza piacevolissima in cui si avverte
soprattutto una connessione maggiore con gli altri,
col gruppo stesso.
In questo frangente Roger intona i suoi canti di
guarigione. Sono invocazioni alla medicina, richieste
di comprensione, di guarigione, di luce. Sono ritmate
e ipnotiche, propiziatorie. Rendono l’atmosfera così
affascinante e intrisa di sacralità. Anche Massi intona i
canti, e sento quanto in lui il suo lato sciamanico stia
emergendo sempre più forte e deciso. Il suo
cammino è ben saldo e sicuro. Poi sento che la
seconda ondata sta scemando, mi sento carico,
entusiasta. Si parte con il terzo giro. Stavolta appena
ingerita, un fiotto di nausea sembra emergere dal
profondo ma è solo un momento. Torno al materasso
e resto seduto in osservazione. Stavolta si sente di più.
Nelle viscere c’è movimento. Mi chiedo se sia la volta
di vomitare. Ma intanto respiro, mando energia in
quella zona e il peggio sembra passare. Ma intanto
dentro mi si scatena un’energia molto potente,
un’energia fisica che per gestirla mi induce ad iniziare
ad oscillare ritmicamente avanti e indietro, come
cavalcando un serpente. Subito mi viene da pensare

208
a Jim Morrison. Sento questo serpente di energia
dentro di me e la mia oscillazione sembra aiutarne il
flusso. Sarebbe impossibile fermarmi perché ne sono
trasportato oltre la mia volontà. E in questo ritmo,
inizio ad accodarmi ai canti di Roger e di Massi che si
intrecciavano con armonia. Sono canti senza parole,
ma ritmici e intonati fra loro. Formano un’unica
armonia che si fonde e ci lega. In quel momento
sono io lo sciamano. Siamo tutti sciamani. E’ una
modalità della mente, non qualcosa che si fa. E’
quando tu sei nel flusso delle cose, e non c’è pensiero
che frena o che delimita. Tutto scorre, tutto è
naturale. Tutto è al di là di convenzioni o di schemi.
Come l’acqua in un torrente. Dopo questo momento
di comunione, torno a sdraiarmi. Sento di entrare in
una dimensione più intima. Mi metto dentro al sacco
a pelo, come chiuso in un bozzolo. L’esperienza si fa
più profonda. La coscienza si espande. Ma rimane
molto il contatto con il corpo fisico. I vestiti mi iniziano
a soffocare. Mi bloccano, mi impastoiano.
Liberatene! Una voce mi risuona dentro. In un attimo
mi spoglio completamente e mi rinfilo nel sacco.
Eccomi fetale, come in una placenta, pronto ad
affrontare il viaggio nell’utero della mia coscienza.
Che piacere il corpo nudo, caldo. La kundalini si
agita, e il primo centro che attraversa è quello
sessuale. Sento una grande sensualità attraversarmi.
Le mani esplorano il mio corpo, lo accarezzano,
come essere amante di me stesso. Emergono le mie
paure relative alla sessualità, al contatto con l’altro,
ma soprattutto i miei desideri. Ho voglia di fondermi
sensualmente con altre persone, ma non è tanto sul
piano fisico, quanto di sperimentare quella passione
dei corpi che si bramano, si inseguono, si fondono.
Indugio un po’ su questo livello, ma poi mi rendo
conto che questo mi sta anche distraendo dal

209
viaggio che c’è da fare ai piani alti. Allora inizio a
spostare la kundalini al secondo piano. La zona
addominale è sede di tutte le paure inconsce più
profonde e ancestrali. Lavoro un po’ su quel piano.
Mi rendo conto che queste paure impediscono
l’assimilazione delle esperienze (non a caso sono
legate all’intestino). Allora ne sciolgo un po’. Ogni
tanto l’attenzione ricade nel centro sessuale, ma poi
la riprendo e la riporto in alto, stavolta al terzo piano.
Qui siamo nel centro delle emozioni. Avverto
bloccata in me tutta la sofferenza di questi ultimi
anni, e come un macigno la sento opprimermi. Allora
la offro alla medicina perché venga guarita, e in
breve il mio stomaco si alleggerisce. Quindi cerco di
spostare l’energia più su, ma già so che questo è un
punto cruciale nella mia vita. Il nodo cardiaco è
dove si incentra il mio dramma interiore: bene/male,
amore. Tutto è bloccato lì. L’amore l’avverto, anche
spesso. Ma so che quell’inesauribile energia potrebbe
fare di più, dovrebbe sgorgare da me come da una
fonte, invece questa fonte è arida, rinsecchita. Si
apre solo a momenti, quando la mia attenzione è
rivolta ai figli. Invece penso che dovrei poter amare
ogni cosa della stessa intensità. Ogni persona, ogni
essere, ogni filo d’erba. So che questa è la meta. E
cerco di muovere l’energia all’altezza del petto.
Qualcosa si smuove, ma non c’è una totale apertura.
Ad ogni modo riesco a passare al piano successivo,
quello della gola. Lì l’energia fluisce bene, non sento
ostacoli grandi. Può finalmente arrivare al 6° piano,
dove c’è la mente e i suoi labirinti. Per fortuna negli
anni ne ho abbattuti parecchi di muri. Ma la mente,
quella piccola, limitata, è sempre in agguato. Cerco
di ridurne l’attività inutile, di farla divenire più limpida.
Questo mi da l’accesso all’ultimo livello, dove mi
aspetta l’incontro con la paura ancestrale fra le più

210
difficili da affrontare: la paura della morte.
Nonostante in passato ci abbia lavorato tanto, e a
livello conscio non mi colpisce più, nell’inconscio
trovo ancora questo sbarramento. Comprendo che
la paura della morte è quella che blocca l’accesso
alla porta della coscienza, quella che impedisce
l’esperienza mistica di poter uscire dal proprio
contenitore. Ci lavoro un po’… ma è come un
macigno duro. Non riesco a fare molto (in quel
momento non riesco a percepire che è il mio
superconscio ad impedirne lo scioglimento). Non
riesco ad ottenere di più dall’esperienza, e intanto gli
effetti della terza dose stanno scemando. Torno ad
uno stato quasi normale, ma ancora voglioso di
quell’ebbrezza. Solo che alla terza bevuta Roger mi
aveva detto che quella sarebbe stata l’ultima. Io
invece sento che posso provare ad andare ancora
un tantino oltre. Gli chiedo se è possibile e lui nega.
Allora gli dico, va bene, ma quando tu vuoi, sappi
che io sono pronto. Allora mi fa: ma la vuoi
veramente? certo! E quindi mi concede la quarta
dose. Nudo nel sacco a pelo striscio a mo di bruco
verso di lui e bevo la quarta. Ogni volta che bevo gli
dico quanto mi sto gustando l’esperienza.
La quarta è quella più tosta. Tutto si intensifica. Il
gioco si sposta ad un livello più alto. Torno al
materasso che lo stomaco è in subbuglio. Mi metto
un po’ a pensare al vomito. Mi dico: lo faccio o non
lo faccio? dicono che il vomito è parte
dell’esperienza stessa. Aiuta a buttare fuori le masse
psichiche non digerite. Ma io mi dico: a me non
serve. Io le posso sciogliere prima di vomitarle! Allora
la mente mi rimpalla: ma le vuoi sciogliere perché hai
paura di affrontare il vomito? E chiaramente mi dico:
no! Non c’è paura, ma è inutile vomitare quando non
c’è una vera necessita e questo non modifica l’esito

211
della guarigione. Allora sciolgo il blocco che stava
emergendo e il vomito si placa. Ma in testa si sente
forte… e qualcosa si muove nelle parti basse. Credo
di aver bisogno di andare in bagno perché se non
esce da una parte, forse deve uscire dall’altra. Solo
che sono nudo, dovrei rivestirmi, alzarmi, arrivare fino
al bagno che si trova oltre un’altra stanza. Affrontare
il freddo, l’oscurità. Mi sdraio, e mi dico passerà.
Allora entro nello spazio più profondo. Nell’oscurità
totale si muovono ombre. Non parlerei di visioni,
quanto più di suggerimenti. C’è stato solo un
momento in cui mi è parso che mi si palesasse il
mondo delle mantidi. Ho letto che spesso chi prova il
DMT si trova a cospetto di questi esseri mantide con
cui si interagisce in modo telepatico. E’ stato un
nanosecondo quello in cui per un attimo qualcosa di
insettoide stava cercando di stabilire una
connessione. Ma sapendo che quel tipo di contatto
prevede il controllo da parte loro, subito ho richiuso
quella porta. Di mantidi, alieni e roba simile non
volevo più saperne. La fase è molto intensa, sono in
uno spazio mentale di coscienza molto espanso. Una
specie di iperconnessione con l’intorno. Capisco che
il momento è forte, intenso. Non insostenibile però.
Dopo un po’ sento che il bisogno di andare in bagno
si ripresenta. Forse potrei anche controllarlo. Ma poi
penso che provare ad uscire dalla stanza potrebbe
essere un’esperienza interessante. Solo che rimane il
problema di ritrovare e rimettersi i vestiti al buio in
quello stato. Qui ho modo di sondare un po’ i
condizionamenti della mia mente. Mi rendo conto
che la necessità di vestirmi deriva da due fattori:
quello di aver paura di avere freddo, e quello di non
apparire nudo di fronte a qualcun altro. Non per la
mia vergogna visto che sono naturista, ma per il
rispetto altrui di chi magari si pone certi problemi. Non

212
conoscendo le persone con cui mi trovavo a
viaggiare mi sono posto questo quesito. Alla fine ho
optato per rimettere camicia, mutande, calzini e
scarpe. Non è stato facile ricomporre i pezzi ma alla
fine ce l’ho fatta. Mi alzo in piedi, cammino
nell’oscurità andando alla cieca ma azzeccando la
strada. Arrivo alla porta, trovo la maniglia e oltrepasso
la soglia. Chiudo la porta dietro di me e cerco di fare
piano per non disturbare gli altri. Mi rendo conto di
quanto amore si può mettere in ogni piccolo gesto
cercando il bene degli altri, anche nel rispetto del
silenzio. Mi trovo però nella totale oscurità. Mi dico: e
ora come arrivo al bagno??? La luce so che non
funzionava, ma mi ricordavo che ci dovevano essere
delle candele. Mi muovo in avanti e mi scontro con
una superficie liscia. La mia mente vacilla per un
attimo. Cos’è questa cosa mi chiedo? La porta l’ho
appena chiusa dietro di me. Non dovrebbe esserci
niente qui. Mi sento intrappolato in una specie di
intercapedine completamente oscura. E arriva la
paura del buio. Ma io mi dico: ma io non ho nessuna
paura del buio! So che è la paura dell’ignoto a
fermarmi. Di quell’incognita che ci fa mancare la
terra sotto i piedi. Ma nel momento in cui la
riconosco, mi dico: deve essere una seconda porta,
e se c’è una porta c’è sempre una maniglia. La
trovo, la apro, e arriva la luce! La via per il bagno è
ora chiara. Procedo verso il bagno e cerco di
raccapezzarmici un po’. Ricordo chiaramente che lo
sciacquone non funziona quindi mi occorrerà usare i
secchi. Ok, tutto nella norma, mi siedo ed ho una
leggera scarica di diarrea. Non so se era più dovuto
alla medicina o al fatto che nel pomeriggio mi ero
fatto un clistere di pulizia preparatorio. Ma questo
veramente non mi importa. Una volta seduto lì
continuo a viaggiare nell’esperienza. Molti pensieri mi

213
attraversano, si fa tutto molto mentale. Mi viene
molto da pensare agli insetti, ai parassiti, soprattutto
quelli di tipo energetico. Capisco di averne addosso,
ma al momento non me ne preoccupo. Però per un
attimo la mia coscienza si chiede cosa può voler dire
essere un parassita energetico, una specie di insetto
eterico. Indugio in questo pensiero ed è come se la
mia coscienza volesse scendere a quel livello per
provarlo. Ma subito mi dico: ma che sto a fa? Perché
voler abbassare la mia coscienza al livello di un
insetto? forse è il caso di elevarla invece a dei livelli
più alti, portarla verso livelli di coscienza superiori. E
allora comprendo che in me ci sono ancora molte
paure rivolte al contatto verso i mondi superiori. Per
quanto brami, a livello cosciente, questa possibilità di
contatto, nell’inconscio invece si agitano paure
ancestrali, magari genetiche, ataviche. Capisco che
molto del nostro inconscio è in realtà connesso
all’inconscio collettivo, per cui siamo condizionati da
cose non direttamente appartenenti alla nostra
matrice individuale, ma a tutte le paure della
collettività, dell’umanità, che una ad una vanno
trascese nel nostro essere per potersi liberare. Allora
cerco di chiudere questa connessione con
l’inconscio collettivo. Ma in questa fase del viaggio mi
rendo conto che le mie operazioni energetiche non
sono più molto efficaci. Probabilmente il lavoro fatto
mi ha fatto eliminare molte cose e quindi per via del
distacco, falle energetiche si sono aperte ovunque e
hanno abbassato il mio potere. Fa niente mi dico. E
intanto ondeggio al variare dell’intensità
dell’esperienza. E intanto mi dico: ho fatto bene a
rimettere la camicia… qualche brivido ogni tanto mi
percorre il corpo. Dopo un tempo interminabile sulla
tazza, decido di tornare alla base. Riesco abbastanza
tranquilla mente a muovermi nel chiarore delle

214
candele e torno nella stanza comune. Ritrovo il
materasso e mi rimetto nel sacco. L’intensità sta
scemando, saranno probabilmente le 4 di mattina e
la stanchezza si inizia a sentire. Il sonno inizia a
manifestarsi. Gli altri sembrano in parte già
addormentati. Tutto si è placato e forse anche per
me è venuta l’ora del sonno.
In realtà le ore successive le passo in un dormiveglia
in cui in parte lavoro energeticamente su qualcosa,
per riequilibrare il tutto, in parte perdo coscienza. Alla
fine dopo diverse ore di questa oscillazione, sento i
primi che si risvegliano ed escono e dopo un po’
siamo tutti di nuovo alla luce del giorno, ormai
avanzato. Mi sento bene, centrato. Assolutamente
soddisfatto dell’esperienza. E’ venuto il momento
dello scambio, del confronto. Ognuno è concorde
nel pensare che è stata una sessione moderata,
molto dolce, molto in linea con la personalità della
nostra guida, Roger, che nonostante abbia dormito
solo un’ora sembra inattaccabile nella sua solarità e
amorevolezza. Starlo ad ammirare infonde un’ondata
di calore. Si vede che la sua mente è libera, il suo
cuore è puro, e lo invidio tanto per essere già così in
pace col tutto. Mi sento subito pronto a ripetere
un’esperienza del genere, pur sapendo che
purtroppo ripasserà molto tempo prima di averne
l’occasione.

215
216
Prima esperienza con 5-Meo-DMT

Reduce dall’esperienza con l’ayahuasca, mi sono


sentito subito richiamato dall’idea di rientrare in quel
mondo, e stavolta è arrivata l’opportunità di
sperimentare il 5-Meo-DMT, una molecola molto
affine al DMT dell’ayahuasca, che si suppone abbia
le stesse proprietà.
Il mio umore nell’apprestarmi all’esperienza era
piuttosto combattuto. Mi rendevo conto che ero
pieno di paure nell’idea di affrontare questa
esperienza, per quanto c’era anche il desiderio di
poter varcare quella soglia, che da tanto tempo
sembra rimanere chiusa. Il mio supposto sitter non era
disponibile e piuttosto che rimandare l’esperienza,
sentivo di doverla comunque affrontare da solo. Ero
molto fiducioso che la dose di quantitativo che
avevo scelto (10 mg) e il suo tempo supposto di
efficacia (un’ora e mezza), fossero un buon
compromesso per affrontare il viaggio con serenità.
Ma questo tradisce la mia paura di intensità troppo
forti e quindi insostenibili da un lato, e durata
eccessiva di perdita di contatto della realtà dall’altro.
Mi preparo quindi all’esperienza: metto un CD che si
è rivelato essenziale per dare un tono all’esperienza
stessa, si chiama Liquid Mind ed è il mio preferito per
la meditazione. E’ un sintetizzatore rarefatto e
angelico, sospeso, puro. Un ottimo
accompagnamento per raggiungere stati mistici.
Preparo il luogo del mio viaggio, una pedana in
legno che è stata la base di partenza di tantissimi altri
viaggi. Mi spoglio completamente, dicendomi che
da Dio ci si va nudi. Spengo tutte le luci e accendo 3
candele. I momenti della preparazione sono pieni di
ansia. Ma ormai sono deciso, non voglio più
rimandare. Sto cercando delle risposte e spero di

217
trovarle. Non dimentico di chiedere la protezione a
Dio per questo viaggio e rafforzo la mia barriera
energetica di protezione. Quindi inalo con una
cannuccia i 10 mg di sostanza, dividendola a metà
per narice.
Fatto. No way back.
Sono subito tranquillo, spengo le candele, e nel buio
ricolmo di musica, mi sdraio sui cuscini. So che la
salita è abbastanza rapida e la mia curiosità tecnica
mi spinge a cercare di cogliere il primo istante in qui
avverto una leggera alterazione. Sono passati solo 4
minuti. E già un minuto dopo, l’alterazione si
intensifica.
Avverto proprio la partenza, e mi dico: ci siamo,
allacciare le cinture. E qui ci sarebbe da fermarsi se si
fosse un pochino umili. Come si può descrivere ciò
che avviene fra la partenza e l’atterraggio?
Psichedelico. Ovvero la psiche si rivela. La psiche, il
complesso mente-emozioni, si palesa chiaramente
davanti allo schermo della coscienza. E lo fa in una
maniera così chiara che si è folli a credere che non
sia così evidente in stato di lucidità. La mente crea
l’esperienza, ovvero la realtà percepibile. Quindi tutto
ciò che la mente pensa, diventa possibilità
esperienziale. E qui casca l’asino. Perché la mente è
un universo sconfinato di labirinti, paure, blocchi,
convinzioni, condizionamenti. La mia mente, che è
connessa però alla mente collettiva. Mi è chiaro il
bisogno sempre più impellente di staccarmi dalla
mente collettiva e dalle sue paranoie, per poter
liberare la mia mente da ogni influsso esterno
negativo. Per poi passare a ripulire la mia propria
mente dagli influssi negativi trasmessi dagli antenati,
in primis dai genitori, per poi liberarla dal suo percorso
karmico. Ma questa è già un’elaborazione di ciò che
è emerso dal viaggio. La realtà prima, che ha

218
suscitato tutta questa presa di consapevolezza, è che
ho una fottutissima paura di lasciarmi andare. Di
abbandonarmi. Ed è questa paura che fa si che
durante un’esperienza del genere, io invece di
intraprendere il percorso che va verso la luce e la
visione di Dio, cerchi invece di restare ancorato a
questa realtà fisica, a questa illusione, che per
quanto limitante, è qualcosa a cui siamo abituati e
quindi quest’abitudine è a sua volta confortante.
Insomma, io sono lì, nel buio, e avverto mille
sensazioni contemporaneamente. Parto dal corpo
fisico. Sento l’effetto della sostanza nel naso, una
specie di calore che apre, che lo spalanca. Non è
per niente fastidioso, anzi. E tutto il corpo c’è e non
c’è. Ovvero, la mia attenzione oscilla fra l’ancoraggio
al corpo e la sua dissoluzione. Ed è lì che entra in
gioco la mente e le sue paure. Perché la sensazione
è come che se io non lo pensassi più, il corpo
smetterebbe di esistere. E allora subentra la paura:
come posso esistere senza il corpo? Programmazione
biologica. E’ questa che mi rende il viaggio difficile.
Perché basterebbe cambiare informazione alla
mente, che subito capirei come potermi
abbandonare nel flusso della coscienza dell’universo.
Invece resto come intrappolato tra due possibilità,
quella di lasciarmi andare e quella di rimanere
aggrappato al concreto. E’ come se la mente non
riesce a pensare di poter sopravvivere senza corpo
fisico, e non si rende conto che in realtà questo
distacco è solo temporaneo, ha come paura che il
corpo sia perso per sempre. In effetti in quel
frangente, nel momento in cui non pongo
l’attenzione sul corpo, effettivamente, nella mia
esperienza, non esiste più. E quando il corpo non
esiste, la mia coscienza si trasferisce su un piano di
possibilità infinite, in cui divento il completo creatore

219
della mia realtà. Ogni pensiero che emano diventa
nel passo successivo un pezzetto di esperienza reale.
E quello il momento in cui qualcosa in me vacilla.
Forse la paura di questo immenso potere, così come
la paura di non poter ricostruire la realtà così come la
conosco proprio per via dell’attaccamento ad essa.
L’attaccamento a tutte le manifestazioni della mia
realtà, le persone, i luoghi, le attività. Sono questi
fortemente a richiamarmi, a spingere di ricreare la
realtà esattamente come la conosco, ma a questo
punto, già che ci sono, con qualche piccola
miglioria. Allora cerco di portare l’attenzione su ciò
che vorrei cambiare e una voragine di pensieri mi si
dipana davanti. Vedo tante cose da ricreare in
maniera diversa. Mi rendo conto di quanto amore
occorre portare in ogni singolo aspetto della mia vita.
E le persone del mio presente mi balzano alla mente
ognuna portando un’idea di ciò che quella persona
rappresenta, del suo motivo per cui si è incrociata
nella mia vita. Ma sono tutti lampi di pensiero
velocissimi, frammentati. Ciò che conta è ritrovare la
luce. E questo concetto diventa un po’ il filo
conduttore dell’esperienza. Sono seduto nel buio e
con la schiena perfettamente eretta cerco di
allineare i miei centri energetici. Nel buio della mia
mente vedo un puntino di luce blu! Eureka! Quello
che ho letto tante volte finalmente stava
accadendo, la probabile apertura del terzo occhio.
Ma sono frettoloso ad esultare. Il punto scompare.
Allora mi dico che occorre più luce. Il fatto è che la
mente prende un po’ troppo alla lettera certi pensieri
per cui è difficile liberarla dalle trappole che lei stessa
crea. La ricerca della luce, intesa dal punto di vista
metafisico, diventa quindi la possibilità di accendere
la luce nella stanza in cui mi trovo. Come se bastasse
la luce elettrica di un lampadario per portare luce

220
spirituale nella mia esistenza. Per la mente questa
correlazione è sacrosanta. Ma nella realtà delle cose
non funziona esattamente così. Alzarmi a trovare la
luce è un po’ arduo, avendo la mente intenta a
dover ricreare la realtà fotogramma per
fotogramma. E così, mi alzo nel buio un po’
vacillando, e allungo una mano per toccare un
muretto che dovrebbe essere proprio di fronte a me.
E nel momento in cui penso al “muretto”, l’istante
dopo sento con le dita il muretto. E’ una frazione di
secondo in cui ti rendi conto che l’esperienza che tu
hai avuto, cioè il contatto fisico col muretto, è stata
diretta conseguenza dell’aver pensato al muretto e
al fatto che “dovrebbe essere qui”. La dinamica in
tutto il suo percorso sembra essere quella che fino ad
un attimo prima, quel muretto in realtà non esisteva
affatto. E’ come se la coscienza collassasse in un
istante e creasse la realtà fisica prendendo come
modello di realtà la memoria di quello che trova nel
mio cervello. Il che fa pensare che ciò che dice la
meccanica quantistica sia fondamentalmente vero.
E’ solo che nello stato di coscienza ordinario, questi
processi sono talmente sottili che non ce ne
rendiamo conto. Tutto viene dato per scontato,
ordinario e consequenziale. Invece in quel momento
lì, si ha come la possibilità di controllare istante per
istante i processi coscienziali e mentali, e vederne
esplicare le loro peculiarità. E tutto questo solo per
poter arrivare all’interruttore. Ma il viaggio è ancora
lungo. Muovo passi incerti nell’oscurità e vedo le
lucine dello stereo: luce! Ma è troppo poca ancora.
Ne voglio di più. Voglio immergermi nella luce. Solo
che mi rendo conto di tremare come se non avessi
camminato da milioni di anni. E’ come se tutto il mio
corpo fosse scosso da una corrente fortissima, una
vibrazione difficile da sostenere. Arrivo all’interruttore

221
e accendendolo cambia in un istante tutto il
panorama. Ma la prima cosa di cui ottengo
conferma è proprio che le mie gambe stanno
tremando in modo inverosimile. Nulla a che fare con il
freddo. Capisco che deve essere la kundalini ad
agitarsi così e cerco di posizionarmi al centro della
stanza per prenderne il controllo. Non so quali
processi mentali applico, probabilmente una delle
tante cose energetiche imparate negli ultimi anni, per
cui la situazione si stabilizza e infine approdo sul
divano. Continuo a seguire l’intento della ricerca
della luce, e questo tema si lega chiaramente a
quello degli occhi. I miei occhi miopi non riescono a
mettere a fuoco gli oggetti. Una voce mi dice forte:
apri questi occhi! Devi farla entrare la luce! Allora mi
metto a fissare il faretto sul soffitto, cercando di
mettere a fuoco il punto luminoso, che sembra
sfuggire. Con un atto di volontà cerco di ricostruire
l’immagine, di aprire gli occhi per poter far entrare la
luce. In quel momento vedo che nel punto più
luminoso, ci sono dei disegni. E’ come se un intreccio
di motivi tribali si stia disegnando con la luce nella
luce. Solo che per quanto mi sforzi, né riesco a
mettere a fuoco, né i motivi tribali aumentano di
intensità o colore. Abbasso il mio sguardo, e vengo
colpito dalla mia nudità: sono maschio! Qui si forma
l’altra grande tematica di questo viaggio,
l’appartenenza di genere. Entro in un turbine mentale
in cui rifletto labirinticamente sul rapporto fra
maschile e femminile e sulla mia appartenenza ad un
genere. Mi viene in mente questa frase: “puoi essere
completamente maschio solo quando hai accettato
la tua femminilità”. E quindi anche che “non puoi
accettare la tua femminilità fino a che non accetti di
essere completamente penetrato da qualcos’altro.”
E in questo momento vorrei essere penetrato

222
completamente dall’amore divino. Quindi mi stendo
e mi metto in ricezione di questo amore, rendendomi
conto di quanto siano le mie paure a tenermi lontano
da esso. Eppure ho chiaro che tutta la questione è
incentrata sul lasciarsi andare, sull’abbandonarsi. Ma
non riesco a lasciare andare questa tensione e
abbandonare il controllo. Allora cerco di portare
equilibrio fra l’abbandono e il controllo, da qui
ricollegandomi all’idea che ogni coppia di dualità
debba essere trascesa.
Per quanto cerco di lasciarmi andare e
abbandonarmi, non subentra nessuno stato nuovo.
Capisco che c’è qualcosa in me che mi blocca e sul
quale devo lavorare. Saranno le mie credenze
negative inconsce ad inchiodarmi in uno stato di
separazione dall’amore divino. Mi arrendo a questa
evidenza e proseguo oltre.
Ho momenti di ricollegamento alla realtà
consensuale in cui mi muovo per casa, e attimi in cui
mi blocco riprendendo il filo di una coscienza che
viaggia altrove, oscillando fra due mondi. E’ il segno
che l’effetto sta per terminare, e guardando l’ora
vedo che è passata giusto un’ora da quando ero
partito. Un’ora che però ne è valse migliaia, oppure è
stata solo un istante. Sempre più il tempo sembra
perdere il suo valore e diventare solo uno schema in
cui la mente vuole per forza incasellare una
successione di eventi, di stati mentali, emotivi,
coscienziali.
Si ritorna al livello precedente. Col solito rammarico di
non essere riuscito ad andare oltre, o forse con la
contentezza di non essere andato troppo oltre. Con
la consapevolezza dei limiti della propria mente che
ancora si balocca con le sue paure, le sue etichette
e la sua necessità di controllo, e l’esigenza di
scardinare tutto questo stato di cose per poter

223
finalmente agire da uomo libero.

224
CONCLUSIONI

Le esperienze descritte in queste pagine hanno


rappresentato un intensissimo periodo di ricerca
intellettuale e spirituale, condito con un vasto
repertorio di letture e confronti con altre anime in
cammino.
Ritengo che la via della ricerca psichedelica sia
un percorso per pochi eletti. Solo pochi
avventurosi e incauti possono decidere di
intraprenderlo, mentre per la massa certi sentieri
sono inaccessibili ed è giusto che sia così. La
vedo come Hoffman che riteneva l’esperienza
psichedelica relegata ad una cerchia di persone
consapevoli piuttosto che ad una diffusione di
massa come promulgava Leary.
In quel periodo mi sono confrontato con molti
altri psiconauti, e mi sono reso conto che ognuno
vi trovava in fondo cose diverse pur
condividendo lo stesso istinto per la ricerca. In
realtà, ciò che ognuno di noi trovava, era il
riflesso di se stesso. Non a caso il termine
“psichedelico” significa “che rivela la psiche”. E
tutto ciò che emerge in queste esperienze è
proprio la vera natura della psiche stessa, dei suoi
costrutti mentali, dei suoi archetipi, della sua
complessità.
Questo libro non vuole né incoraggiare all’uso di
enteogeni (un altro termine per indicare le
sostanze psichedeliche con il significato di
“sostanze che generano il dio interno”), né
dissuadere il lettore dal farlo. Ognuno dovrà
assumersi la responsabilità delle proprie scelte,

225
sapendo i rischi a cui va incontro. La verità è che
sono esperienze non facili da affrontare che
hanno il pregio di aprire visioni vastissime su stati
di coscienza normalmente inaccessibili, ma
anche la terribile eventualità di sconvolgere dal
profondo la mente di una persona al punto di
farle perdere la ragione e inabissarla in un
oceano di follia.
Nel mio caso specifico, penso di aver tratto da
queste esperienze tutte le possibili varianti
sperimentabili: gioia, estasi, dolore, delirio,
illuminazioni, distorsioni, scoperte, rivelazioni,
smarrimenti, conoscenza, stupore.
La mia visione del mondo è stata
completamente ridisegnata grazie a queste
esperienze e senza dubbio mi sono arricchito di
qualcosa che difficilmente in altri modi avrebbe
potuto permeare la mia coscienza.
E’ stato un modo molto intenso di vivere il
“conosci te stesso” che alla fine mi ha portato
alla conclusione di cercare vie più lente ma
sicure, muovendo i miei passi su percorsi più
tranquilli che permettessero alla mia coscienza di
assaporare il procedere del viaggio verso se
stessi.

226
CONSIDERAZIONI DI TIPO ENERGETICO RELATIVE
ALL’USO DI SOSTANZE PSICHEDELICHE

Negli anni che separano le mie fitte


sperimentazioni e la ripresa avvenuta dopo
diverso tempo, ho spinto la mia indagine verso lo
studio delle energie sottili e del corpo energetico
umano. A causa di una serie di “coincidenze”
sono stato guidato verso un approccio
completamente diverso rispetto a quello medico
ufficiale relativamente alla salute e al benessere
dell’individuo, iniziando ad esplorare e
sperimentare l’approccio olistico nelle sue più
diverse varianti e sfaccettature.
Questo percorso mi ha permesso di sviluppare
un’accurata percezione delle energie sottili
(energie non misurabili dagli strumenti
convenzionali ma che influenzano lo stato di
salute di un individuo, tradizionalmente
associamo a queste energie i nomi di Chi, Qi,
Prana, derivati dalla cultura orientale), e con essa
ho acquisito un nuovo strumento di conoscenza
della realtà e di me stesso.
Guardando le cose in retrospettiva, alla luce del
nuovo paradigma che ho acquisito, riesco a
comprendere meglio tutta la mia esperienza
psichedelica. A comprendere come sia possibile
per la coscienza umana sperimentare una vasta
serie di stati alterati, visitando realtà alternative e
parallele alla nostra. E’ un tema decisamente
affascinante e complesso che non credo sia mai
stato trattato in questo modo, e farlo in maniera
approfondita richiederebbe una trattazione a

227
parte che possa includere concetti di metafisica
esoterica che esulano dalle premesse di questo
contesto.
Però vorrei esporre alcune intuizioni che si sono
sviluppate nella mia mente in questi ultimi anni.

L’effetto delle sostanze psichedeliche non è


relativo solo alla chimica del nostro organismo, al
bilanciamento dei neurotrasmettitori nel nostro
cervello, all’attivazione di certe zone della
corteccia. Quella è la manifestazione fisica di
qualcosa che avviene ad un livello più alto.
Per come vedo le cose adesso, una sostanza
chimica è come una chiave che permette al
nostro organismo di aprire delle porte di natura
energetica. L’effetto che si ha non appena inizia
l’assunzione di una qualunque sostanza di quelle
esposte finora, è quello di un’espansione di certi
specifici centri energetici del nostro corpo sottile.
In sanscrito sono chiamati chakra, e ne vengono
considerati sette. La realtà è che ogni
manifestazione di natura fisica, emotiva, mentale
o spirituale, è guidata da un campo energetico
(o campo morfogenetico per dirla come
Sheldrake) che ne esprime la natura, la funzione
e il meccanismo. Per cui nel nostro interno
abbiamo centri energetici che regolano la
rabbia così come l’amore, l’intelligenza e la forza
fisica, insomma tutte le infinite sfaccettature di
cui un essere umano è costituito. Queste non
sono affatto inscritte nel DNA che conosciamo,
che si occupa solo di gestire ciò che accade a
livello chimico e cellulare, ma da un codice

228
nascosto che determina esattamente chi siamo
e come siamo fatti sotto ogni aspetto della nostra
esistenza.
Tornando alle sostanze, nel momento in cui si
assume una di queste, dentro di noi avviene una
rivoluzione energetica. Ogni sostanza in sé
possiede delle caratteristiche vibrazionali uniche,
che mettono in risonanza una selezione
particolare dei nostri centri, delle nostre
frequenze. Sarebbe interessante correlare
ognuna di esse ad ogni stato umano conosciuto,
ma è impresa assai ardua. Però possiamo
immaginare come uno psichedelico, rispetto ad
altre sostanze psicoattive di tipo eccitante, vada
a stimolare i centri del misticismo, della
conoscenza soprasensibile, di quello che
chiamiamo sesto senso, della creatività,
dell’immaginazione. Effettivamente tutti i centri
superiori (Ajna, Sahasrara) associati a questi stati,
si espandono. Probabilmente si attiva dentro di
noi un nuovo tipo di comunicazione energetica
che normalmente è disattivata, che mette in
relazione stati emotivi e mentali in una maniera
inusuale rispetto al modo in cui siamo
programmati negli stati di coscienza ordinaria.
Ed è tramite queste nuove connessioni che
vengono generate queste esperienze incredibili.
Fra le tante, in particolare il centro della
coscienza viene estremamente modificato. E’
come se venisse aperta una porta che permette
alla coscienza di esplorare nuovi reami del Sé, di
ciò di cui noi siamo fatti. E la coscienza stessa
può decidere di abbandonare il corpo, fluire

229
altrove, su altri piani, altre dimensioni di questo
multiverso. Per cui ciò che erroneamente
chiamiamo “allucinazione” può essere invece
considerato come percezione di un qualcosa
che si trova su altri livelli vibrazionali, e che la
coscienza può captare una volta che si è
alterata la sintonia ordinaria.
Il cervello in sé viene definito secondo un nuovo
paradigma come “lettore olografico” della
realtà. Non è cioè una macchina che crea la
coscienza, ma una macchina usata dalla
coscienza per accedere alle informazioni di ciò
che definiamo realtà.
Le alterazioni prodotte dall’introduzione nel
delicato equilibrio biochimico che regola le
attività del cervello, di sostanze in grado di
stimolare centri che ordinariamente non vengono
attivati, permettono al nostro lettore olografico
cerebrale di accedere a mondi esperienziali
normalmente reclusi.
Diviene quindi possibile per la coscienza
accedere ad informazioni immagazzinate in
luoghi remoti e nascosti della nostra mente, o
meglio della supermente alla quale siamo
collegati. E così diviene spiegato come in quello
stato improvvisamente diveniamo consapevoli di
realtà così lontane dall’ordinario, di verità
intrasmissibili, di stati di coscienza supernormali.
Il problema è che di tutto ciò che la coscienza
esplora attraverso l’attivazione di questi nuovi
circuiti, non rimane che una misera traccia una
volta che questa attivazione artificiale viene
meno. E’ per questo che una via lenta come

230
quella della meditazione, volta a raggiungere
straordinari stati di espansione di coscienza,
diventa un’alternativa valida per chi vuole
avvicinarsi al regno della coscienza universale.
Perché lentamente apre e rende attivi quei
percorsi che con le sostanze vengono
brutalmente attivati, creando nello
sperimentatore l’impressione di essere travolto da
esperienze molto più grandi della sua capacità di
assimilarle.
Inoltre è interessante comprendere dal punto di
vista energetico il meccanismo che produce ciò
che noi chiamiamo bad trip.
I chakra sono paragonabili ad organi che una
volta che vengono forzatamente espansi a
causa di una modifica chimica, modificano la
loro struttura e funzionalità. Soprattutto i chakra
superiori si espandono a dismisura, andando ad
assomigliare proprio ai chakra di chi da anni
persegue discipline di crescita spirituale.
La differenza è che queste ultime persone si sono
avvicinate gradualmente alla loro disciplina,
purificando la loro mente da tutto ciò che di
ingombrante e nocivo era in essa, liberandola
dalle proprie nemesi e dai propri fantasmi, tutte
strutture energetiche che sono ancorate a detti
centri e rappresentano ciò che noi possiamo
definire come la nostra personalità, la nostra
struttura psichica. Sono spesso costruzioni
negative legate a traumi subiti, a paure, a
blocchi e limiti imposti da noi stessi o da altri.
Una volta che un chakra si espande così tanto va
a fornire una grande energia a tutto ciò che vi è

231
ancorato e così nel caso di chi non si è
sottoposto ad un cammino di consapevolezza
spirituale, si determina uno stato di eccitazione di
tutte quelle strutture negative che vengono
risvegliate (qualora siano dormienti) o potenziate.
Queste strutture, una volta caricate dall’energia
coscienziale di chi sta vivendo un’esperienza
psichedelica, possono fornire materiale per
alimentare un’esperienza paranoide
estremamente potente e realistica.
Per questo a mio avviso, è fondamentalmente
sbagliato che chiunque si avvicini alla pratica
psichedelica, senza prima aver affrontato dentro
di sé un percorso di autoconoscenza, un
percorso di ripulitura psichica dai propri
condizionamenti negativi.
Inoltre, le strutture energetiche una volta espanse
in maniera così forzata, laddove siano ingombre
di strutture negative, nel ritornare ad uno stato
normale, presentano lacerazioni paragonabili a
quelle di un tessuto che sia stato tirato oltre le
proprie possibilità. Lacerazioni che producono
nella realtà psichica di chi le subisce, difficoltà di
vario genere. Per esempio tutti gli effetti
collaterali post-esperienza, sono da imputare
proprio a questo tipo di lacerazioni, che
provocano mal di testa, estraniamento,
confusione, apatia, inquietudine.
Questo tipo di lacerazioni poi tende a risanarsi nei
giorni successivi all’esperienza, facendo tornare
l’individuo al suo stato pienamente ordinario,
anche se spesso, proprio grazie all’improvvisa
pulizia psichica che un’esperienza psichedelica

232
induce, la persona può trovarsi a restare per
alcuni giorni più consapevole del solito, ad avere
un’attività mentale ed onirica più intensa.
La creatività viene ampiamente motivata nei
giorni successivi ad un’esperienza psichedelica,
sembra che si percepiscano maggiormente i
significati intrinseci alle cose, che si riescano a
cogliere collegamenti inusuali e in qualche modo
ci si trovi riallineati maggiormente a certe
sincronicità.
Tutto però torna poi ad un livello normalmente
ordinario qualora non si stia seguendo nessun tipo
di percorso evolutivo.
E’ per questo che per chi cerca delle risposte
permanenti, la via psichedelica rischia di
rappresentare un percorso molto effimero e privo
di una sua reale validità. Il rischio di smarrirsi
all’interno delle proprie costruzioni egoiche è
molto grande o peggio ancora di perdere il lume
della ragione dietro ad allucinazioni prive di
significato.
Ed è per questa ragione che ho abbandonato
questo sentiero in cerca di un terreno più sicuro
ove muovere i miei passi nella ricerca del Sé.

233
234
APPENDICE 1: ISTRUZIONI PER L’USO

Per il lettore incauto ma con spirito di avventura,


non posso esimermi dal fornire indicazioni su
come andrebbe idealmente condotta
un’esperienza psichedelica.
La letteratura sulla materia descrive come
elementi fondamentali della psichedelia il set, il
setting e il sitter.
Il set è rappresentato dalle condizioni psicofisiche
dell’individuo che devono essere ottimali.
Occorre accingersi all’esperienza essendo in
buona forma fisica e con un’attitudine positiva,
rilassata e spensierata. Persone che si trovano in
condizioni di malattia o in situazioni di
problematiche mentali o condizioni di vita
difficoltose, non sono i candidati ideali per
un’esperienza del genere. Qualunque
problematica interiore potrebbe essere
ingigantita dall’esperienza stessa e potrebbe
soverchiare le capacità dell’individuo di
fronteggiarla.
Il setting è rappresentato dalle condizioni esterne,
ambientali e di relazione. Occorre scegliere un
luogo ideale, piacevole, in cui ci si trovi a proprio
agio. La condizione perfetta è rappresentata
dalla natura: boschi, prati, fiumi, mare. Il contatto
con la natura aiuta moltissimo l’esperienza nel
recuperare un contatto con i benefici influssi
della terra.
La città è un posto altamente sconsigliato:
troppo rumore, interferenze, suoni violenti e
inaspettati, smog. Anche la propria abitazione

235
potrebbe rappresentare un luogo non del tutto
ideale. Soprattutto se si hanno finestre e balconi,
potrebbero crearsi situazioni poco edificanti. E
poi ci sono un’infinità di oggetti pericolosi di cui è
meglio fare a meno: coltelli, oggetti di vetro,
telefoni… meglio non avere per le mani nulla che
possa recare danno. Del resto tutta l’interazione
con la tecnologia è abbastanza compromessa.
In fase di forte alterazione vengono meno quelle
capacità mentali basilari che permettono
l’utilizzo di strumenti tecnologici come cellulari e
computer. La mente ordinaria infatti viene
totalmente riprogrammata e non ha più accesso
alla decifrazione dei codici e alla memoria dei
processi che normalmente utilizziamo per
interagire con la tecnologia.
Un elemento fondamentale invece è la musica.
Una buona colonna sonora è parte
assolutamente integrante di una piacevole
esperienza psichedelica. La musica può
determinare l’ottima riuscita di un viaggio.
Chiaramente la scelta della colonna sonora
dipende interamente dai gusti personali, ma la
musica classica è un ottimo suggerimento.
Il sitter invece è la persona che si incarica di
sostenere l’esperienza altrui. In genere non
dovrebbe assumere alcuna sostanza, ma
rimanere lucido e assistere completamente le
esigenze del viaggiatore, ma soprattutto cercare
di affrontare i momenti difficili sapendo infondere
calma, tranquillità e fornendo tutto il supporto
psicologico e affettivo di cui ci possa essere
bisogno.

236
Un’attenzione particolare va data ai compagni
di viaggio: dei buoni compagni sono
determinanti per la buona riuscita di un viaggio
(questo vale anche nella realtà ordinaria). Il
problema è che anche gli amici più veri e sinceri
potrebbero rivelarsi dei compagni sbagliatissimi.
Questo perché è imprevedibile sapere quale
piega prenderà il viaggio per ognuno di essi.
L’interazione emotiva fra le persone può variare
in maniera imprevedibile. Una persona potrebbe
essere in fase di bad trip mentre un’altra nella
fase di risata isterica. L’incomunicabilità allora
diverrebbe schiacciante con un cattivo esito per
l’esperienza stessa e anche per la relazione.
Elemento fondamentale dell’esperienze
psichedeliche è il cibo. Dal punto di vista
fisiologico la fame chimica è un fenomeno
naturale e trovarsi sprovvisti di cibarie e bevande
potrebbe rappresentare un serio problema. Ma
non è da sottovalutare l’aspetto estetico
dell’esaltazione del gusto. Allora premunirsi con
cibi gustosi può essere un’idea interessante per
esplorare l’ampiezza dell’esperienza sensoriale
olfattivo/gustativa. Inoltre cibi zuccherini si dice
abbiano la proprietà di calmare un po’ l’effetto
psichedelico, in modo da riportare a bassa quota
il viaggiatore.
In ogni caso è ALTAMENTE sconsigliabile l’idea di
affrontare una sessione psichedelica per
chiunque abbia problemi di schizofrenia, psicosi,
ma anche solo per persone un po’ ansiose,
irresponsabili, che lo facciano con il solo scopo di
sballare.

237
238
APPENDICE 2: SOSTANZE

Le sostanze da me utilizzate non sono state molte


in effetti. Mancano alla mia esperienza dei
capisaldi della cultura psichedelica quali LSD e
mescalina, anche se nella letteratura
sull’argomento la variazione del tipo di
esperienza in base alla sostanza è tutto sommato
limitata, visto che certi clichés dell’esperienza
stessa sono frequenti con qualunque di queste
sostanze.

AYAHUASCA

L’Ayahuasca (anche chiamata “la medicina” o


Mama Aya), è una bevanda psicotropa ottenuta
miscelando sapientemente due vegetali
amazzonici, la liana Banisteriopsis Capii fonte di i-
MAO e la Psychotria Viridis, fonte di DMT (vedi
voce più avanti). Gli i-MAO hanno la proprietà di
rendere assimilabile per via orale il DMT, il quale in
questo modo riesce a restare attivo nel corpo per
diverse ore e produrre un’esperienza molto
intensa e profonda. Tradizionalmente viene usata
dagli sciamani come bevanda curativa in grado
di generare stati mistici di profondo contatto con
lo spirito della natura dal quale trarre
insegnamenti e insight per la comprensione delle
dinamiche dolorose che si vuole affrontare. La
cultura dell’uso di questa pianta è estremamente
radicata in sud America, tanto da essere
riconosciuta come religione ufficiale.
L’assunzione di questa bevanda viene associata

239
ad un rituale con regole ben codificate che
includono benedizioni, rituali di purificazione
(limpia, temazcal), canti propiziatori, che hanno
la funzione di sacralizzare l’esperienza stessa.
In Brasile l’Ayahuasca è l’elemento principale
all’interno della Chiesa del Santo Daime, religione
sincretista che unisce il cristianesimo ai rituali
amazzonici.
Esistono anche delle varianti dell’Ayahuasca
ottenute miscelando piante diverse ma che
contengono gli stessi principi attivi. Altre
combinazioni sono la Ruta Siriana miscelata con
la Mimosa Hostilis.

DMT o DiMetilTriptamina

Questa sostanza è ricavata da alcune piante


psicotrope e per essere assunta deve essere
fumata con un’apposita pipetta. L’odore della
sostanza bruciata è quello di una plastica amara
e intensa.
Sulla DMT esiste il libro del Dott. Richard Strassman
“DMT, the spirit molecule” che ne illustra
sapientemente gli effetti.
La sua peculiarità è che questa sostanza è anche
prodotta dal nostro cervello in maniera
endogena, per cui è totalmente innocua. E’ la
sostanza responsabile dei sogni notturni. Però la
sua assunzione a dosi elevati, produce un “rush”
psichedelico di notevole intensità ma breve
durata. Generalmente i suoi utilizzatori parlano di
un mondo di cartoni animati popolati da strane
creature di ogni tipo. Le esperienze con DMT

240
possono essere molto mistiche o spirituali e
raramente danno esito a bad trip. Non ha alcun
tipo di effetto collaterale e appena sono finiti gli
effetti si torna praticamente normali. Terence
McKenna sosteneva che la sostanza era
completamente innocua a meno che uno non
morisse di stupore.

FUNGHI ALLUCINOGENI

La specie normalmente usata per i viaggi


psichedelici è la Psilocibe nelle sue svariate
varietà, ma di specie psicotrope ne esistono
centinaia.
La dose media di ingestione di questo tipo è di
circa 2,5 gr di fungo essiccato.
Gli effetti del viaggio iniziano a sentirsi 15-30
minuti dopo l’ingestione, e il picco
dell’esperienza avviene circa un’ora dopo. La
fase di plateau (cioè di intensità costante
dell’esperienza) dura da 2 a 4 ore. Generalmente
dopo 6 ore dall’ingestione gli effetti tendono
progressivamente a scomparire con un processo
ad “ondate” in cui si oscilla fra la realtà
consensuale riguadagnata e il mondo alterato
dell’esperienza fungina. Nelle ore successive al
viaggio occorre riposare molto viste le risorse che
vengono consumate dal viaggio stesso. Come
effetti collaterali si possono presentare mal di
testa, spaesamento, confusione, testa svuotata
dai pensieri, apatia, che durano al massimo una
giornata.

241
KETAMINA

La ketamina è un anestetico utilizzato (ora più


raramente) nella comune pratica aneste-
siologica umana, ma ancora più comunemente
in quella veterinaria. Viene utilizzata anche sui
bambini, per le sue ottime proprietà anestetiche
che non inibiscono le funzioni respiratorie. Il
problema con questo “anestetico” è che a basso
dosaggio è altamente psichedelico, e il rischio è
proprio che vista la relativa capacità di tolleranza
delle persone, alcune di queste possono trovarsi
in viaggio anziché cadere profondamente
addormentati. E’ questo infatti il caso di quelle
persone che durante interventi chirurgici, si
trovano a fluttuare fuori dal proprio corpo e
riescono a vedere medici che operano sul loro
corpo inerme sul tavolo operatorio. Per questo
oggi non è più usata molto.
Questa sostanza può essere usata endovena o
aspirata col naso, in una quantità di circa 80-100
mg. I suoi effetti sono abbastanza rapidi a
comparire (5-10 min) e durano circa un’ora,
dopodiché a parte un po’ di sonnolenza, ci si
sente praticamente normali. Può dare problemi
di dipendenza se se ne fa un uso continuativo e
in questo caso creare paranoia e manie di
persecuzione o cospirazione.

MARIJUANA

Sulla marijuana non voglio dire altro che già


tanto è stato scritto. Posso solo dire che gli effetti

242
della marijuana assunta oralmente, cioè
mangiata in pasticcini o torte (le cosiddette
“space cakes”) sono estremamente più forti
rispetto all’uso tradizionale, tanto da rasentare
quasi l’esperienza dei funghi ad eccezione degli
aspetti visivi che non sono ugualmente marcati.
Gli effetti durano circa 6 ore e hanno un effetto
collaterale di stonatura che dura anche per le 24
ore successive. Viene spesso usata in
concomitanza con le altre sostanze per addolcire
il viaggio o per prolungarne gli effetti.

SALVIA DIVINORUM

Questa pianta usata dagli sciamani come


strumento divinatorio, può essere consumata in
due modi differenti. Fumata o assunta in
soluzione idroalcolica sotto la lingua.
Gli effetti sono completamente diversi. Gli effetti
di quella fumata sono violenti, intensissimi e molto
brevi, quella in soluzione ha una salita molto
tranquilla, ed effetti più interiori, calmi con una
durata più prolungata.
L’uso di questa sostanza è associato
generalmente alla percezione di una entità
femminile amorevole. Ma le esperienze di coloro
che l’hanno usata più volte sono estremamente
variabili e descrivono un mondo parallelo che
non ha nulla a che vedere con il nostro. Non ha
particolari effetti collaterali.

243
VASCA DI DEPRIVAZIONE SENSORIALE

Chiaramente non è una sostanza psicoattiva,


anzi si può dire che sia tutto il contrario, ma ha un
effetto notevole sull’alterazione degli stati di
coscienza.
La tecnica del Galleggiamento REST (Restricted
Environmental Stimulation Technique) è stata
inventata negli anni '70 dal Dott. John C. Lilly,
medico psicanalista specializzato in
neurofisiologia sperimentale, adattando ai suoi
scopi una vasca di galleggiamento utilizzata per
esperimenti sui subacquei durante seconda
guerra mondiale. Lo scopo della sua ricerca era
determinare se il cervello avesse bisogno di
stimoli esterni per mantenere uno stato cosciente.
Eliminando la stimolazione sensoriale scoprì che il
cervello non si spegneva affatto anzi, mutava
radicalmente la sua attività elettrica. Si
attivavano le onde theta e questo permetteva al
soggetto di sperimentare tutta una serie di stati
modificati di coscienza molto interessanti.
Al di fuori degli effetti fisiologici, quali estremo
rilassamento, modifica dei livelli di serotonina ed
endorfine, stato di benessere diffuso, gli effetti più
particolari sono legati al vissuto interiore della
persona che si sottopone al galleggiamento.
Si possono vivere fenomeni di regressione alla vita
prenatale o avere accesso a ricordi remoti
dell’infanzia, a volte possono emergere immagini
o ricordi associati a vite precedenti, possono
manifestarsi leggere allucinazioni visive,
modifiche alla percezione del proprio corpo (in

244
genere si percepisce la sua assenza oppure una
rotazione in diverse direzioni spaziali), molto più
spesso sogni rivelatori o bizzarri, aumento
dell’introspezione interna, insight illuminanti, o
sospensione totale del pensiero come nella
meditazione profonda.
Si può dire che la vasca sia l’ambiente più neutro
possibile in cui le potenzialità umane possono
essere sondate senza interferenze. Tutto ciò che
emerge è puramente creato dalla macchina
biologica umana senza che essa venga stimolata
artificialmente, anzi proprio grazie alla de-
stimolazione dei sensi. Ed è proprio questa de-
stimolazione a produrre un’alterazione nello stato
di coscienza, solo di natura molto più sottile, mai
violento, perfettamente controllabile, anche se
spesso molto evanescente.

John Lilly associava l’uso della vasca alla


ketamina, di cui però divenne estremamente
dipendente. Era l’ambiente ideale, asettico, per
sperimentare le profondità del K-hole. Altrimenti
la vasca si presta come luogo ideale per la
sperimentazione con qualunque altra sostanza
psicoattiva, rappresentando un luogo sicuro e
protetto in cui solo la psiche dell’individuo fa la
differenza.

245
246
BIBLIOGRAFIA

ALTROVE – Rivista italiana della SISSC (Società Italiana per lo


Studio degli Stati di Coscienza) – Ed. Nautilus
STATI DI COSCIENZA – Charles Tart – Ed. Astrolabio
IL NUTRIMENTO DEGLI DEI – Terence McKenna – Ed. Urrà
LSD IL MIO BAMBINO DIFFICILE – Albert Hoffmann – Ed. Urrà
HOFFMANN SCIENZIATO ALCHIMISTA – Stampa alternativa
TUTTO E’ UNO – Michael Talbot – Ed. Urrà
IL CENTRO DEL CICLONE – John C. Lilly – Ed. Crisalide
THE SCIENTIST – John C. Lilly
THE QUIET CENTER – John C. Lilly
PSICOFUNGHI ITALIANI – Gilberto Camilla – Stampa alternativa
TIMOTHY LEARY: VITA MORTE VISIONI – Stampa alternativa
DMT THE SPIRIT MOLECULE – Richard Strassman
VERE ALLUCINAZIONI – Terence McKenna – Ed. Shake
IL DIO DEGLI ACIDI – Gnoli Volpi – Ed. Bompiani
ERESIE PSICHEDELICHE – Stampa alternativa
FLASH, KATHMANDU IL GRANDE VIAGGIO – Charles Duchaussis –
Ed. SEI Frontiere

247
INDICE

PREFAZIONE 3
INTRODUZIONE 13
VIAGGI PSICHEDELICI 17
PRIMO VIAGGIO CON I FUNGHI 19
SECONDO VIAGGIO CON I FUNGHI 33
TERZO VIAGGIO CON I FUNGHI 49
QUARTO VIAGGIO CON I FUNGHI 51
QUINTO VIAGGIO CON I FUNGHI 63
SESTO VIAGGIO CON I FUNGHI 87
PRIMO VIAGGIO CON MARIJUANA IN VASCA 103
PRIMO VIAGGIO CON SALVIA DIVINORUM 111
PRIMO VIAGGIO CON SALVIA IN VASCA 113
SECONDO VIAGGIO CON SALVIA IN VASCA 119
PRIMO VIAGGIO CON DMT 127
PRIMO VIAGGIO CON KETAMINA 131
SECONDO VIAGGIO CON MARIJUANA IN VASCA 137
RIFLESSIONI SULLA MORTE E LE ESPERIENZE PSICHEDELICHE 141
SECONDO VIAGGIO KETAMINA 147
TERZO VIAGGIO KETAMINA IN VASCA 153
FRAMMENTI DI VIAGGI 155
PAUSA DI RIFLESSIONE 201
UNA NUOVA ONDA 203
PRIMO VIAGGIO CON AYAHUASCA 205
PRIMO VIAGGIO CON 5-MEO-DMT 217
CONCLUSIONI 225
CONSIDERAZIONI ENERGETICHE 227
APPENDICE 1: ISTRUZIONI PER L’USO 235
APPENDICE 2: SOSTANZE 239
BIBLIOGRAFIA 247
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