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La dinamica del sacramento del matrimonio: cammino di compimento dell’amore umano.

Diac. Tullio M. Gaggioli

Dopo tutte le osservazioni interessanti che abbiamo ascoltato e che nascono dall’esperienza,
ritorniamo su alcuni contenuti degli incontri precedenti ma con una prospettiva diversa e
complementare, per provare ad approfondire e spero a capire un po’ meglio quello che già abbiamo
intuito nel percorso fatto finora. Osservare la stessa realtà da una prospettiva diversa contribuisce
almeno in parte a completarne e chiarirne la figura.

1) La fede all’origine del sacramento del matrimonio


La richiesta del sacramento cristiano del matrimonio e quindi la partecipazione a un corso in
preparazione a tale sacramento ultimamente si giustifica e si comprende come un gesto di fede o
almeno per un (rinnovato) interesse personale per ciò che la fede cattolica ha da dire sull’uomo (in
senso lato, maschio e femmina) e sul senso della sua vita. In questo la coppia può essere di grande
aiuto, tuttavia il punto sorgivo risiede nell’io, nella libertà che decide di togliere dalla trascuratezza
le grandi domande/esigenze che silenziosamente giacciono nascoste nel fondo del cuore, per
metterle a confronto con la persona stessa di Gesù Cristo. Scrive Benedetto XVI nella sua Enciclica
Deus caritas est: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì
l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la
direzione decisiva” (Benedetto XVI, DCE 1).
Questo nuovo orizzonte, questa direzione decisiva (che nasce dall’incontro con Cristo nel grande
“sacramento” della Chiesa) riguarda tutto, influisce su tutto, anche sul modo in cui si concepisce e si
vive il rapporto affettivo tra l’uomo e la donna. Diceva ancora Benedetto XVI in un discorso nel
giugno 2005: “La questione del giusto rapporto fra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro
l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non
può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: Chi sono? Cosa
è l’uomo?” (Benedetto XVI, Discorso di apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma su
famiglia e comunità cristiana, 6 giugno 2005).
Allora, forse, il primo aiuto che si può offrire a coloro che intendono unirsi col sacramento cristiano
del matrimonio, è il tentativo di dire una parola sul mistero dell’essere umano, un tentativo umile,
ironico (ben consapevole dei propri limiti).
In questo tentativo, proprio la relazione amorosa ci è particolarmente di aiuto, in essa emerge in
modo evidente e si manifesta la verità dell’io e del tu, e qui faccio appello all’esperienza che ognuno
di noi ha dell’innamoramento, di un grande innamoramento.

2) L’esperienza dell’amore: una promessa di felicità.


Scrive Benedetto XVI ancora nella DCE (n. 5) che nell’ “amore tra uomo e donna, nel quale corpo e
anima concorrono inscindibilmente … all’essere umano si schiude una promessa di felicità che
sembra irresistibile”. La presenza e la bellezza della persona amata riscatta dalla banalità tutte le
circostanze e le attività più normali dell’esistenza ed è sentita come un bene così grande che
risveglia il nostro io e ci fa cogliere la vera dimensione del desiderio che noi siamo, che abbiamo nel
cuore: un desiderio infinito. “L’amore promette infinità, eternità, una realtà più grande e totalmente
altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere” (Benedetto XVI, DCE, n. 5).
Giacomo Leopardi nel suo inno ad Aspasia scrive: “Raggio divino al mio pensiero apparve, / Donna, la
tua beltà”. La bellezza della donna gli appare come qualcosa di divino; un certo pregustamento del

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divino, della beatitudine, viene anticipato nell’esperienza della bellezza e dell’amore appassionato
tra l’uomo e la donna.

L’essere umano: un desiderio infinito.


La prima parola quindi che mi sembra si possa dire sul mistero dell’essere umano, proprio a partire
dalla nostra esperienza, è che ognuno di noi è desiderio infinito, di felicità, di bellezza, di amore, di
verità, di giustizia, di vita. Nei Vangeli, che ci testimoniano la Rivelazione accaduta nella persona di
Gesù Cristo, questo aspetto sembra emergere in modo particolarmente evidente. Nei suoi dialoghi
Gesù spesso prende le mosse dal bisogno per risvegliare e spalancare il desiderio, e per annunciare
la Sua presenza come la risposta vera, imprevedibile, infinita e definitiva al desiderio umano.
Gesù parte dal bisogno perché bisogno e desiderio hanno una profonda analogia, pur nella loro
diversità. Sono entrambi esigenze esistenziali, vitali, che muovono l’essere umano ad agire, a
cercare la risposta. Ma mentre il bisogno è una istanza inderogabile legata alla concretezza del reale
(p.es. fame, sete, malattia), che conosce il proprio oggetto e la propria sazietà, invece il desiderio è
una apertura all’infinito che vive nell’attesa di un compimento, e non conosce bene il proprio
oggetto (felicità, bellezza, amore, giustizia, verità, ecc., esattamente cosa sono?), né conosce la
propria sazietà (nulla riesce a colmare il desiderio di felicità, bellezza, verità, ecc.).
Accenno soltanto ad alcuni passi evangelici che richiamano questa dinamica dal bisogno al
desiderio, modalità con la quale Cristo rivela l’uomo a se stesso, lo chiama ad una conoscenza più
vera di sé, e all’incontro con l’imprevedibile, sovrabbondante, risposta, che è Lui stesso, la sua
stessa persona.
“Non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt 4,4; Lc 4,4). La tua fame di pane, il tuo bisogno di nutrirti, vive
dentro quella fame più grande che è il tuo desiderio, che sei tu.
“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv
6,35). Cristo annuncia la sua presenza (il Regno di Dio è vicino, è tra di voi) come la risposta a quella
fame e sete più grandi che sono la stoffa del cuore umano.
Al paralitico calato con la barella dal tetto scoperchiato Gesù dice “Figlio, ti sono rimessi i tuoi
peccati” (Mc 2,5). È come se dicesse al paralitico che la sua malattia sta dentro una malattia più
grande e la presenza di Gesù è salute perché risponde al desiderio di totale salvezza. E ai farisei che
contestano la sua possibilità di rimettere i peccati, cioè di essere la salvezza dell’uomo, risponde
donando la salute che agli uomini sarebbe impossibile. “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo
ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico – àlzati, prendi la tua
barella e va’ a casa tua”. (Mc 2,10-11).
Quando i dieci lebbrosi vengono guariti per via, mentre vanno a presentarsi ai sacerdoti, uno solo di
essi ritorna e “Gesù osservò: «Non sono ne stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è
trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18). Non si
tratta della buona educazione del ringraziamento, piuttosto i nove che non sono tornati si sono
accontentati della risposta al loro bisogno di salute, si sono accontentati di una salute provvisoria, e
hanno perso l’occasione dell’incontro con la salvezza, cioè con la persona di Gesù, hanno ridotto il
loro desiderio al loro bisogno e si sono persi il meglio.
Infine, con riferimento proprio al rapporto affettivo tra uomo e donna, Gesù dice alla Samaritana
“«Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai
detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in
questo hai detto il vero» (Gv. 4,16-18). Perché una donna passa per cinque volte da un marito
all’altro e poi si mette con un uomo che non è neppure suo marito? (Altri tempi eppure così simili ai
nostri!) Il perché si può intuire dalle frasi precedenti del dialogo. “«Chiunque beve di quest'acqua

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avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli
darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»” (Gv. 4,13-14).

3) Il paradosso dell’amore umano e il possibile inganno.


Proprio nell’esperienza ardente, intensa, dell’innamoramento (una delle esperienze originarie,
fondamentali, per capire l’uomo) l’essere umano viene risvegliato al desiderio infinito che lo
costituisce perché gli si dischiude la promessa (quasi irresistibile) della possibile felicità.
Ma realisticamente dobbiamo dire anche che siamo capaci di amare solo in modo limitato, ognuno
di noi constata come il proprio amore non sia perfetto, non sia infinito, quanto sia fragile.
Desideriamo un amore infinito ma siamo capaci di amare solo in modo limitato.
Questo è il paradosso dell’amore umano: due infiniti si incontrano con due limiti.
Proprio qui si nasconde la possibilità dell’equivoco, dell’inganno, che si può sinteticamente
formulare così: la convinzione che il tu possa rendere felice l’io. La bellezza della donna/dell’uomo
risveglia in modo prepotente un desiderio infinito di pienezza, che è sproporzionato rispetto alla
capacità che egli/ella ha di rispondervi, cioè suscita una sete che non è in condizioni di estinguere,
una fame che non trova risposta in colei/colui che l’ha destata. Se l’uomo si ferma alla realtà che ha
suscitato la promessa di felicità, prima o poi questa realtà manifesta la sua sproporzione, la sua
incapacità di rispondervi.
Da qui la delusione perché lui/lei non è ciò che mi aspettavo, non è adeguato/a alla smisurata
promessa che ha fatto accadere nella mia vita. E – nel tempo – conseguenze della delusione sono la
rabbia, il risentimento, oppure l’affetto si spegne nella rassegnazione dell’abitudine.
La mentalità dominante attorno a noi risponde a questo paradosso semplicemente affermando che
“l’amore è eterno … finché dura”, dopodiché ci si lascia e si cerca di ricominciare l’esperienza da
capo cercando qualcuno che improvvisamente ci faccia innamorare ancora, che faccia riaccadere,
riaccenda, nella vita quella promessa di felicità. Si tratta di ricominciare da capo … finché dura,
finché la delusione non torna a frustrare il desiderio.

4) La dinamica del segno.


Perché l’inganno non accada è necessario che l’uomo e la donna comprendano la vera natura del
loro rapporto, vivendo la dinamica del segno. Questo è il paradosso dell’amore fra l’uomo e la
donna: due infiniti si incontrano con due limiti. Due desideri infiniti di essere amati si incontrano
con due fragili e limitate capacità di amare. Solo nell’orizzonte di un amore più grande non si
consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della
quale l’altro/a è segno.
Un po’ di anni fa, in occasione di un anniversario di matrimonio mio e di mia moglie, i nostri tre figli
ci hanno regalato un quadretto in cui hanno messo due foto, la prima in cui siamo insieme io e mia
moglie e la seconda con loro tre, e con due citazioni da Lewis e Dante.
Scrive C. S. Lewis: “Noi siamo stati creati per Dio: le persone che abbiamo amato su questa terra
hanno risvegliato il nostro affetto solo in quanto avevano qualche elemento di somiglianza con Lui,
erano manifestazioni della Sua Bellezza. Quando vedremo il volto di Dio capiremo di averlo sempre
conosciuto, perché era Lui che amavamo e cercavamo in quei volti.”
(C. S. Lewis, I quattro amori)

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E nel V canto del Paradiso Beatrice così si rivolge a Dante.
“Io veggio ben sì come già resplende
ne l’intelletto tuo l’etterna luce
che, vista, sola e sempre amore accende;

e s’altra cosa vostro amor seduce,


non è se non di quella alcun vestigio
mal conosciuto che quivi traluce.”

(Dante, Paradiso, V canto vv.7-12).


Parafrasi. Io vedo chiaramente come già risplenda nella tua mente la verità e la bellezza divina
(l’etterna luce) che, una volta percepita (vista), infiamma d’amore essa sola e per sempre (sola e
sempre amore accende); e se una qualche altra realtà attrae traviandolo il vostro desiderio (e s’altra
cosa vostro amor seduce) ciò accade perché in essa traspare (traluce) un qualche segno di quella
verità e bellezza divina (non è se non di quella alcun vestigio), segno che da voi viene frainteso (mal
conosciuto).

5) Il valore del segno: non è un pretesto.


Potrebbe sembrare però che questa dinamica del segno - umanamente necessaria per non cadere
nella delusione del desiderio frustrato - sminuisca l’importanza dell’amata/o, quasi fosse un
pretesto per fare altro. È vero esattamente il contrario. Proprio perché egli/ella è per me il segno
concreto della pienezza verso la quale camminiamo insieme, acquista un valore infinito e unico.
Racconta don Luigi Giussani nel suo testo Affezione e dimora (pag.117-118). “Una volta alla stazione
di Saronno mi sento salutare e vedo un ragazzo che era con me in seminario anni prima: era un tipo
caratteriale che non parlava con nessuno tranne che con me che ero suo professore. A quei tempi gli
dicevo: «Tu cambierai quando vorrai bene a una donna». Mentre lo stavo salutando, enfaticamente
come è nel mio temperamento, si vedeva il treno in dirittura d’arrivo. Io andavo a Milano e lui a
Varese. «Mi spiace che ti devo salutare in breve», gli dico. E lui: «L’accompagno», ed è salito anche lui
sul treno per Milano, su quei carrozzoni della Nord, lui vicino al finestrone quadrato e io al suo fianco.
Mi racconta di sé e poi mi dice: «Sa che devo darle ragione? Mi sono innamorato e sposato, e sono
contento». E aveva davvero un’altra faccia. Ma a un certo punto gli ho visto rifarsi la sagoma ironica
che aveva in seminario: «Però ci sono momenti in cui penso che avevo ragione. Quando dico a mia
moglie: “Ti adoro, tu sei mia e io sono tuo, ti vorrò bene per sempre” mi viene da ridere, perché capisco
che sono tutte balle». E io gli ho risposto: «Ma se tu guardassi alla tua donna come l’emergere, in
mezzo a tutto il mondo, di qualcosa di unico, di un Tu […], come l’emergere del Mistero che fa il mondo
e che tocca te; se tu la guardassi come il punto, l’emergenza in cui il Mistero predilige te, potresti dire
“Ti adoro” alla tua donna. Allora puoi dirle “Ti adoro”, veramente. Se lei è il segno vivente, reale, del
Mistero, puoi usare queste parole in modo serio». Non ha parlato per dieci minuti. Mi ricordo che
siamo passati davanti alla Bovisa e ancora taceva…”.
Il filosofo Gustave Thibon, nel suo libro Vivere in due, scrive: “Sacrificarsi a una creatura […] amarla
d’un amore più forte e più puro del desiderio di felicità, non è possibile se l’amore umano si mescola e
confonde con quello eterno. Non è bene divinizzare l’essere amato. Questa idolatria conduce, a breve
scadenza, all’indifferenza o all’avversione. L’autentico amore nuziale accoglie l’essere amato non
come un dio ma come un dono divino in cui Dio è contenuto. Non lo confonde mai con Dio né mai lo
separa da Lui. […] A questa altezza l’essere amato è veramente insostituibile; concesso da Dio e unico
come Lui; un mistero insondabile e celato nel suo intimo. I veri sposi conservano perpetuamente

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un’anima di fidanzati […]. Più sono l’uno dell’altro, più desiderano appartenersi l’un l’altro. Esiste un
modo segreto di possedere le cose che anziché spegnere il desiderio lo esalta e trasfigura.”

6) Il sacramento compie la dinamica del segno.


Questa dinamica del segno ˗ umanamente necessaria per evitare la frustrazione del desiderio e la
delusione ˗ si incammina sulla strada della sua consapevolezza e del suo compimento proprio
attraverso il sacramento che è esattamente un “segno efficace della grazia di Dio”, cioè della
presenza di Dio. La libertà dei due sposi chiama e coinvolge la libertà di Cristo, chiedendo che il loro
amore riceva il suo sigillo e diventi il sacramento dell’amore di Cristo Sposo della sua Chiesa e
quindi Sposo di ogni animo umano che lo accoglie nella fede. Così i due sposi si incamminano
nell’avventura cristiana di diventare reciprocamente il sacramento della presenza e della cura di
Cristo per l’amata/o, camminando insieme verso quella pienezza della quale l’altro/a è sacramento.
Per noi cristiani che, pur poveri e limitati, per grazia di Dio viviamo di fede, Cristo non è una
aggiunta a qualcosa che è già umanamente compiuto, completo in se stesso, e cioè il rapporto
affettivo con il nostro coniuge. Cristo è necessario perché l’umano si incammini verso la sua verità,
la sua libertà, il suo compimento. Cristo non è un possibile supplemento per chi abbia il “pallino”
per le cose – come si dice – “spirituali”. Tutto l’uomo ha bisogno di Cristo, della redenzione di
Cristo, anche il rapporto affettivo.

7) Il grande “sacramento” della Chiesa, luogo di vita per la coppia e la famiglia.


Ma se Cristo è necessario allora lo è anche la Chiesa che è il Corpo vivo e misterioso di Cristo dentro
la storia, il grande “sacramento” attraverso il quale Egli agisce. Diceva Benedetto XVI nel suo
discorso al V incontro mondiale delle Famiglie (nel 2009 a Valencia): “Che le famiglie non siano sole.
Un piccolo nucleo familiare può trovare ostacoli difficili da superare se si sente isolato dal resto dei
suoi familiari e amici. Perciò, la comunità ecclesiale ha la responsabilità di offrire sostegno, stimolo e
alimento spirituale che fortifichi la coesione familiare, soprattutto nelle prove o nei momenti critici. In
questo senso è molto importante il ruolo delle parrocchie così come delle diverse associazioni
ecclesiali, chiamate a collaborare come strutture di appoggio e mano vicina della Chiesa per la
crescita della famiglia nella fede”.
Questo invito pieno di tenerezza ma anche di realismo è l’indicazione di un compito: la famiglia ha
bisogno di un luogo per vivere. L’appartenenza di un essere umano alla famiglia si dilata poi
nell’appartenenza a un popolo, la Chiesa, e quindi a quel brandello locale di questo popolo che sono
le parrocchie e i vari gruppi.
La nostra presenza a questo corso vuole essere il segno della compagnia della Chiesa e delle nostre
comunità parrocchiali come luogo accogliente e attento al vostro cammino umano e alla vostra
avventura affettiva che vi disponete ad assumere seriamente, responsabilmente, come una vera
“vocazione”.

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Traccia
La dinamica del sacramento del matrimonio: cammino di compimento dell’amore umano
Ripresa di alcuni contenuti degli incontri precedenti in una prospettiva diversa e complementare.

a) La fede all’origine del sacramento del matrimonio.


“La questione del giusto rapporto fra l’uomo la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più
profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere
separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: Chi sono? Cosa è l’uomo?”
(Benedetto XVI, DCE 1).

b) L’esperienza dell’innamoramento: una promessa di felicità che sembra irresistibile.


“L’amore promette infinità, eternità, una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla
quotidianità del nostro esistere.” (Benedetto XVI, DCE 5).

c) Il paradosso dell’amore umano e il possibile inganno.


Questo è il paradosso dell’amore umano: due infiniti si incontrano con due limiti.
Il “tu” non può essere la felicità dell’”io”.

d) La dinamica e il valore del segno.


Solo nell’orizzonte di un amore più grande l’uomo e la donna non si consumano nella pretesa e non
si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno.
Il valore del segno: non è un pretesto.

e) Il sacramento compie la dinamica del segno.


La libertà degli sposi coinvolge la libertà di Cristo, incamminandosi per diventare reciprocamente
sacramento della presenza e della cura di Cristo per l’amata/o.
Il grande “sacramento” della Chiesa: luogo di vita per la coppia e la famiglia.

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