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di Andrea Rossi
La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trova il suo fondamento
giuridico nella Costituzione, laddove, agli artt. 32 e 41, si specifica che la salute
rappresenta un diritto fondamentale di ciascun individuo e che l'iniziativa
economica privata, seppur libera, non può arrecare danno alla sicurezza e alla
dignità umana. L’obbligo generale di sicurezza, disciplinato dall'art. 2087 c.c., che
impone all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di
lavoro mediante l’adozione anche di misure atipiche, è affiancato da quello
specifico dettato dalla disciplina preventiva speciale, oggi contenuta nel “Testo
unico” di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Come si ricava
dalla definizione di “prevenzione”, l’apparato normativo vigente mira, innanzitutto,
ad eliminare e/o ridurre il rischio presente nei luoghi di lavoro, al fine di diminuire le
cause degli infortuni sul lavoro o delle malattie professionali, che ancora
colpiscono numerosi lavoratori.
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Bussola di Andrea Rossi
1. Inquadramento
La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trova il suo primo autorevole fondamento
giuridico nella Costituzione, nella quale si afferma che la salute rappresenta un diritto fondamentale di
ciascun individuo (art. 32 Cost.) e che l’iniziativa economica privata, seppur libera, non può divenire
arbitraria, essendo sottoposta a precisi limiti, tra cui quello di non arrecare danno alla sicurezza e alla
dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.).
Pur non possedendo un’immediata efficacia precettiva e sanzionatoria, i principi costituzionali implicano che
la libertà di impresa non possa sacrificare la tutela del lavoratore; ciò ha comportato che la giurisprudenza
abbia interpretato in maniera rigorosa l’obbligo di sicurezza, sia generale sia specifico, che grava
principalmente sul datore di lavoro.
In particolare, l’obbligo generale di sicurezza, dettato dalla norma contenuta nell’art. 2087 c.c., che impone
all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro mediante l’adozione anche
di misure atipiche, così definite perché non sono indicate espressamente dal Legislatore, è affiancato da
quello specifico, dettato dalla disciplina preventiva speciale, oggi contenuta nel “Testo unico” di salute e
sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).
Come si ricava dalla definizione di “prevenzione”, intesa come “il complesso delle disposizioni o misure
necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi
professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno” (art. 2, comma
1, lett. n), D.Lgs. n. 81/2008), l’apparato normativo vigente mira, innanzitutto, ad eliminare e/o ridurre il
rischio presente nei luoghi di lavoro, al fine di diminuire le cause degli infortuni sul lavoro o delle malattie
professionali, che ancora colpiscono numerosi lavoratori.
2. I principi costituzionali
La Costituzione rappresenta il primo consistente baluardo posto a tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro. Infatti, nella Carta costituzionale si afferma che la salute rappresenta un diritto fondamentale
di ciascun individuo (art. 32 Cost.) e che l’iniziativa economica privata, seppur libera, non deve recare
danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.).
La Corte costituzionale ha chiarito che “l’art. 41 deve essere interpretato nel senso che esso limita
espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la sicurezza
del lavoratore” (Corte Cost. 29 ottobre 1999, n. 405), come anche che le norme di cui agli artt. 32 e 41
Cost. impongano ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità
fisica dei lavoratori (Corte Cost. 20 dicembre 1996, n. 399).
In caso di conflitto tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare tra la salute (art. 32 Cost.) e
il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli
occupazionali, si deve procedere ad un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori
costituzionali in gioco, senza consentire “l’illimitata espansione di uno dei due diritti, che diverrebbe
“tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, poiché,
prosegue la Corte, “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione
reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”
(Corte Cost. 9 maggio 2013, n. 85); ciò significa che il Legislatore non può consentire la prosecuzione
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dell’attività di impresa in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana, vanificando gli
effetti di una misura cautelare reale disposta dall’Autorità giudiziaria penale.
Infatti, “rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori
costituisce condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i
principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona” (Corte Cost. 23 marzo
2018, n. 58).
Poiché la salute rappresenta un diritto fondamentale e indisponibile, la mancata adozione delle misure di
sicurezza è sanzionata penalmente, sempre quando determina un infortunio sul lavoro o una malattia
professionale, anche al fine di incentivare il datore di lavoro al rispetto dell’obbligo generale di sicurezza di
cui all’art. 2087 c.c. o della legislazione speciale in materia di sicurezza sul lavoro (Corte Cost. 26 maggio
1981, n. 74).
L’art. 2087 c.c. rappresenta il fulcro del sistema prevenzionistico, imponendo un obbligo generale di
sicurezza sul datore di lavoro, chiamato ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure più efficaci per
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Si tratta di un obbligo a contenuto generico, tanto che la norma è stata definita “in bianco” o “di chiusura”
del sistema prevenzionale, seppur circoscritto all’adozione di quelle misure ritenute indispensabili sulla base
della particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica.
Particolarità del lavoro: con tale criterio si fa riferimento a quella specifica organizzazione produttiva
in cui si devono adottare le misure di sicurezza rispetto ai rischi e pericoli insiti nell’ambiente di
lavoro e nel tipo di lavorazione eseguita;
Esperienza: con tale criterio si rimanda a quelle misure che si sono rivelate decisive nel passato per
contrastare efficacemente i rischi presenti in quel determinato ambiente di lavoro o ritenute tali sulla
base dell’esperienza personale maturata nel settore della sicurezza dal titolare della posizione di
garanzia;
Tecnica: si tratta del criterio più rilevante perché impone al datore di lavoro di adottare le misure di
sicurezza più evolute, quelle dettate dalle più recenti innovazioni tecnologiche.
Sulla base del criterio della “tecnica”, la giurisprudenza ha elaborato il principio della massima sicurezza
tecnologicamente possibile, in base al quale il datore di lavoro deve adottare tutti i rimedi suggeriti dalla
tecnica e dalla scienza più evolute, a prescindere da valutazioni sulla loro concreta fattibilità o dal loro costo.
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Il datore di lavoro, in buona sostanza, deve adottare, quanto meno, le misure di sicurezza ricavate dagli
standard di sicurezza generalmente praticati ed acquisiti nei diversi settori produttivi, non essendo tenuto,
invece, a sperimentare e/o ricercare in proprio più avanzati sistemi di protezione.
La ricerca è agevolata in presenza di misure di sicurezza “nominate”, così definite perché espressamente
e specificamente indicate nella legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una
valutazione preventiva di rischi specifici; la stessa diventa più ardua quando le misure rientrano tra quelle
“innominate”, ricavabili ricorrendo al principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, come
interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.
L’obbligo generale di sicurezza, data la sua importanza, rientra automaticamente nel sinallagma
contrattuale; cosicché la sua violazione rappresenta un inadempimento contrattuale, che consente al
prestatore di lavoro di negare la prestazione lavorativa, sino a che permanga la situazione di pericolo che
può mettere a repentaglio la sua incolumità.
In evidenza: Sul rifiuto del lavoratore ad adempiere la prestazione lavorativa in assenza delle misure di
sicurezza
Cass. sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11664
È illegittimo il licenziamento intimato a causa del rifiuto del lavoratore di continuare a svolgere le sue
mansioni.
Cass. sez. lav., 7 novembre 2005, n. 21479; Cass. sez. lav., 9 maggio 2005, n. 9576.
È ingiustificato il licenziamento intimato a causa dell’astensione del lavoratore dalla prestazione di
specifiche attività, la cui esecuzione può rivelarsi pericolosa per la mancata adozione delle misure
necessarie, sempre che la necessità di tale misura sia evidente e che il lavoratore abbia informato di tale
carenza il datore di lavoro.
Sebbene in origine l’obbligo generale di sicurezza fosse imposto a tutela dei lavoratori subordinati (art. 2094
c.c.), la giurisprudenza di legittimità più recente ha esteso tale dovere anche a difesa di prestatori di lavoro
assunti con tipologie contrattuali differenti, non potendosi negare le esigenze di protezione alle altre
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categorie per ragioni puramente formali, in presenza soprattutto di una medesima esposizione a rischio.
È stata, invece, negata l’applicazione dell’art. 2087 c.c. ai rapporti di lavoro autonomo (Cass. civ. sez. III,
21 marzo 2013, n. 7128; Cass. sez. lav., 16 luglio 2001, n. 9614; Cass. civ. sez. III, 26 gennaio 1995, n. 933
).
4. La responsabilità penale e civile del datore di lavoro per violazione dell’obbligo generale di
sicurezza, l’onere della prova e il concorso colposo del lavoratore
La violazione dell’obbligo generale di sicurezza viene sanzionata, sul piano penale e/o civile, solo in
caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale. La norma contenuta nell’art. 2087 c.c., infatti, è
priva di sanzione in caso di mancato adempimento.
In ambito penale, la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la responsabilità del datore di lavoro per i delitti
di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), aggravate dalla violazione
delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per il mancato rispetto dell’art. 2087 c.c. e
dell’obbligo generale di sicurezza.
In presenza di un gravissimo infortunio mortale sul lavoro con numerose vittime, la Magistratura
superiore, nel suo massimo consesso, ha escluso l’ipotesi delittuosa dell’omicidio volontario con dolo
eventuale, derubricando il reato più grave, contestato dalla Procura della Repubblica, ad omicidio colposo
con colpa cosciente o con previsione, poiché gli imputati ritenevano che gli eventi disastrosi non si
sarebbero verificati.
In evidenza: L’elemento soggettivo nel delitto di omicidio: tra dolo eventuale e colpa cosciente
Cassazione pen. sez. un. 24 aprile 2014, n. 38343
“In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente
rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver
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considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche
a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa
cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente
presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene
dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo”.
In ambito civile, nonostante l’ampiezza dell’obbligo generale di sicurezza, dettato dall’art. 2087 c.c., la
giurisprudenza esclude la responsabilità oggettiva del datore di lavoro, collegata alla semplice verificazione
dell’infortunio sul lavoro o della malattia professionale, essendo indispensabile la dimostrazione della colpa
del datore di lavoro (Cass. pen., 27 febbraio 2015, n. 3989; Cass. sez. lav., 13 gennaio 2015, n. 340; Cass.
17 aprile 2014, n. 26590).
In assenza della responsabilità civile del datore di lavoro, dunque, il lavoratore danneggiato dovrà
accontentarsi delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL, sempre che l’evento si sia verificato in
occasione di lavoro, senza poter reclamare pure il risarcimento (Cass. sez. lav., 17 aprile 2012, n. 6002).
Si tratta di responsabilità civile contrattuale, che impone alla vittima dell’infortunio sul lavoro di allegare e
dimostrare il danno subito, la violazione della norma prevenzionale commessa ed il nesso causale tra le
prime due e al datore di lavoro di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare che l’infortunio si
verificasse.
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Se il comportamento colposo del lavoratore non è idoneo ad interrompere il nesso causale tra
inadempimento datoriale ed infortunio, lo stesso non può dirsi nel caso in cui il lavoratore abbia posto in
essere un contegno abnorme, inopinabile o anomalo oppure esorbitante rispetto al procedimento
lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute, ponendosi come causa esclusiva dell’evento, idonea ad
interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva datoriale e l’evento (Cass. civ. sez. I, 1 giugno 2017,
n. 13885; Cass. sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12561; Cass. sez. lav., 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. sez.
lav., 13 ottobre 2015, n. 20533; Cass. sez. lav., 14 ottobre 2014, n. 21647; Cass. sez. lav., 10 settembre
2009, n. 19494).
Oltre sull’obbligo generale di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., il sistema prevenzionale poggia su
un’articolata normativa, di fonte comunitaria, contenuta nel D.Lgs. 2 agosto 2008, n. 81, definito Testo unico
della sicurezza perché in esso sono confluite le principali normative fino ad allora vigenti: i Decreti
presidenziali degli anni ’50 del secolo scorso (D.P.R. n. 547/1955; D.P.R. n. 303/1956; D.P.R. n. 302/1956) e
il D.Lgs. n. 626/1994, oramai abrogati (art. 304, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008).
Emanato in attuazione della legge di delega inserita nell’art. 1, L. 3 agosto 2007, n. 123, il testo del Decreto
delegato è stato successivamente aggiornato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 (art. 1, comma 6, L. n.
123/2007).
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29 maggio 1990; 90/394/CEE del 28 giugno 1990; 90/679/CEE del 26 novembre 1990; 92/57/CEE del 24
giugno 1992; 92/58/CEE del 24 giugno 1992; 92/85/CEE del 19 ottobre 1992; 92/91/CEE del 3 novembre
1992; 92/104/CEE del 3 dicembre 1992, le cui prescrizioni minime sono state recepite dapprima nel D.Lgs.
n. 626/1994 e, poi, nel vigente D.Lgs. n. 81/2008.
Si tratta di un testo normativo di notevole mole, composto da ben 306 articoli, 13 Titoli e 52 Allegati, nei
quali, come detto, sono confluite quasi tutte le disposizioni applicabili ai luoghi di lavoro pubblici e privati in
materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Titolo I, diviso in 61 articoli, è dedicato alla disciplina comune contente i principi generali ed “esprime la
logica dell’intervento legislativo contenendo le disposizioni generali necessariamente da applicare a tutte le
imprese destinatarie delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro” (Relazione illustrativa al
decreto legislativo), mentre i Titoli successivi contengono la disciplina tecnica.
Il Titolo I è sempre applicabile, mentre i Titoli successivi concorrono con esso se ne ricorrono le condizioni di
applicazione.
Il campo di applicazione oggettivo è ampio, abbracciando tutti i settori di attività, pubblici e privati, e tutte
le tipologie di rischio (art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008), come anche quello soggettivo, che trova
applicazione nei confronti di tutti i lavoratori e le lavoratrici, subordinati o autonomi, nonché ai soggetti ad
essi equiparati, elencati nell’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008.
Nel testo dell’art. 3, inoltre, viene contemplata una disciplina specifica per alcune particolari tipologie di
contratto di lavoro, come la somministrazione, oggi disciplinata con il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il
distacco, il lavoro a progetto, il lavoro accessorio.
La gestione della prevenzione deve avvenire nel rispetto delle misure generali di tutela, elencate nell’art.
15, D.Lgs. n. 81/2008, che servono a specificare l’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro, anche
quello generale stabilito dall’art. 2087 c.c.
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La violazione degli obblighi imposti agli attori del sistema prevenzionale è sanzionata penalmente,
soprattutto quando i comportamenti incriminati possano mettere a repentaglio l’integrità psico-fisica dei
lavoratori. Si tratta di reati propri di natura contravvenzionale, generalmente puniti con la pena alternativa
dell’arresto o dell’ammenda (artt. 55 – 60, D.Lgs. n. 81/2008), sebbene sia ancora incentivato il ricorso agli
strumenti con cui il reato ravvisato si estingue dopo che il responsabile abbia ottemperato al precetto della
norma violata (artt. 301 – 302, D.Lgs. n. 81/2008).
Se un fatto è punito sia nel Titolo I sia in uno dei Titoli successivi trova applicazione la sanzione prevista
dalla disposizione speciale (art. 298, D.Lgs. n. 81/2008). Viene contemplata anche la sanzione
amministrativa per le violazione di natura formale (art. 59, comma 1, lett. b) - art. 60, comma 1, lett. b) e
comma 2, D.Lgs. n. 81/2008), con la previsione di uno strumento volto alla loro estinzione agevolata (art.
301-bis, D.Lgs. n. 81/2008).
Siamo in presenza di un sistema prevenzionale collaborativo, simile a quello disegnato con il D.Lgs. n.
626/1994, nel quale il datore di lavoro, sul quale gravano i principali obblighi di sicurezza, è affiancato da
alcuni professionisti, il Medico competente e il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
che collaborano con il medesimo per l’identificazione dei rischi presenti nel luogo di lavoro e nella
individuazione delle misure più idonee per eliminarli o ridurli, e da una figura eletta dai lavoratori, il
Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con compiti di segnalazione e proposta in materia di
sicurezza sul lavoro.
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visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di
idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla
relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere
cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo
di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza
sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai
rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività
lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione
specifica;
visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
visita medica preventiva in fase preassuntiva;
visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata
superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.
Il datore di lavoro, perno dell’obbligo antinfortunistico, è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il
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lavoratore” (nozione in senso formale) o, comunque, “il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto
dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità
dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” (nozione
in senso sostanziale), come stabilito dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008.
Accanto ad esso, si pone il dirigente, la longa manus del datore di lavoro, del quale ne ricopre le medesime
funzioni, definito come “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando
l'attività lavorativa e vigilando su di essa” (art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).
Dunque, trattandosi di figure che possono ricoprire la medesima posizione di garanzia, la legge ne individua
per entrambe gli obblighi (art. 18, D.Lgs. n. 81/2008):
nominare il medico competente per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal
presente decreto legislativo;
designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e
lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di
salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza;
nell'affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in
rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;
prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e
specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni
aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;
inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza
sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel
presente decreto;
nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, comunicare tempestivamente al medico
competente la cessazione del rapporto di lavoro;
adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni
affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro
o la zona pericolosa;
informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il
rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37;
astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal
richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un
pericolo grave e immediato;
consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;
consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi
e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'art. 17, comma 1, lettera a),
anche su supporto informatico come previsto dall'art. 53, comma 5, nonché consentire al medesimo
rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento è consultato esclusivamente in
azienda;
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elaborare il documento di cui all'art. 26, comma 3, anche su supporto informatico come previsto
dall’art. 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, consegnarne
tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato
esclusivamente in azienda;
prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare
rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la
perdurante assenza di rischio;
comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’art. 8, entro 48 ore dalla ricezione del
certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro
che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini
assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a
tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro
superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’art. 53 del
Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;
consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all'art. 50;
adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro,
nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all'art. 43. Tali misure
devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e
al numero delle persone presenti;
nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di
apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e
l'indicazione del datore di lavoro;
nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all'art. 35;
aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno
rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica
della prevenzione e della protezione;
comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’art. 8, in caso di nuova elezione o
designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima
applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei
lavoratori già eletti o designati;
vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla
mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.
Il datore di lavoro non può delegare né la nomina del RSPP, né la valutazione dei rischi, né la redazione del
documento della valutazione dei rischi (art. 17, D.Lgs. n. 81/2008); l’inadempimento è sanzionato
penalmente (art. 55, comma 1, lett. a) e lett. b), D.Lgs. n. 81/2008).
Il preposto, che svolge un ruolo volto a sovraintendere all’attuazione della normativa antinfortunistica, è
definito come “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce
l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di iniziativa” (art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).
Gli obblighi che gravano su tale figura sono elencati nell’art. 19:
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Il sistema prevenzionistico, dunque, si fonda da sempre su tre figure cardine: il datore di lavoro, il
dirigente, il preposto.
Tali figure, come precisa la Magistratura superiore, “incarnano distinte funzioni e diversi livelli di
responsabilità e sono tenute ad adottare, nell'ambito dei rispettivi ruoli, le iniziative necessarie ai fini
dell'attuazione delle misure di sicurezza appropriate; nonché ad assicurarsi che esse siano
costantemente applicate.
In particolare il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e
pieni poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi
obblighi specifici penalmente sanzionati.
Tali norme individuano altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente,
che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione.
Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un
livello inferiore.
Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto, che sovrintende alle attività e che quindi
svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte” (Cass. pen. sez.
IV, 7 aprile 2011, n. 22334).
Nel modello di sicurezza partecipato il lavoratore ha assunto un ruolo di soggetto attivo e responsabile
della propria e dell’altrui incolumità, riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “nel sistema
della normativa antinfortunistica, che si è lentamente trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente
incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, a un
modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi gli stessi lavoratori, il datore
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di lavoro non ha più un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma – una volta che abbia
effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, abbia
fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione e abbia adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua
posizione di garanzia – non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del
lavoratore” (Cass. pen. sez. IV, 21 febbraio 2018, n. 17392; Cass. pen. sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8883;
Cass. pen. sez. IV, 5 maggio 2015, n. 41486).
8. Riferimenti
Normativa:
Giurisprudenza:
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