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Sicurezza sul lavoro

di Andrea Rossi

Bussola del 19 giugno 2018


Bussola di Andrea Rossi

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trova il suo fondamento
giuridico nella Costituzione, laddove, agli artt. 32 e 41, si specifica che la salute
rappresenta un diritto fondamentale di ciascun individuo e che l'iniziativa
economica privata, seppur libera, non può arrecare danno alla sicurezza e alla
dignità umana. L’obbligo generale di sicurezza, disciplinato dall'art. 2087 c.c., che
impone all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di
lavoro mediante l’adozione anche di misure atipiche, è affiancato da quello
specifico dettato dalla disciplina preventiva speciale, oggi contenuta nel “Testo
unico” di salute e sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81). Come si ricava
dalla definizione di “prevenzione”, l’apparato normativo vigente mira, innanzitutto,
ad eliminare e/o ridurre il rischio presente nei luoghi di lavoro, al fine di diminuire le
cause degli infortuni sul lavoro o delle malattie professionali, che ancora
colpiscono numerosi lavoratori.

SOMMARIO: 1. Inquadramento - 2. I principi costituzionali - 3. L'obbligo generale di sicurezza: l'art.


2087 c.c. - 4. La responsabilità penale e civile del datore di lavoro per violazione dell’obbligo
generale di sicurezza, l’onere della prova e il concorso colposo del lavoratore - 5. La disciplina
prevenzionale speciale: il D.Lgs. 2 agosto 2008, n. 81 - 6. Il Medico competente, il Responsabile
del servizio di prevenzione e protezione e il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza - 7. I
principali destinatari degli obblighi prevenzionali: il datore di lavoro, il dirigente, il preposto ed il
lavoratore - 8. Riferimenti

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Bussola di Andrea Rossi

1. Inquadramento

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro trova il suo primo autorevole fondamento
giuridico nella Costituzione, nella quale si afferma che la salute rappresenta un diritto fondamentale di
ciascun individuo (art. 32 Cost.) e che l’iniziativa economica privata, seppur libera, non può divenire
arbitraria, essendo sottoposta a precisi limiti, tra cui quello di non arrecare danno alla sicurezza e alla
dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.).

Pur non possedendo un’immediata efficacia precettiva e sanzionatoria, i principi costituzionali implicano che
la libertà di impresa non possa sacrificare la tutela del lavoratore; ciò ha comportato che la giurisprudenza
abbia interpretato in maniera rigorosa l’obbligo di sicurezza, sia generale sia specifico, che grava
principalmente sul datore di lavoro.

In particolare, l’obbligo generale di sicurezza, dettato dalla norma contenuta nell’art. 2087 c.c., che impone
all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e morale del prestatore di lavoro mediante l’adozione anche
di misure atipiche, così definite perché non sono indicate espressamente dal Legislatore, è affiancato da
quello specifico, dettato dalla disciplina preventiva speciale, oggi contenuta nel “Testo unico” di salute e
sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

Come si ricava dalla definizione di “prevenzione”, intesa come “il complesso delle disposizioni o misure
necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi
professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno” (art. 2, comma
1, lett. n), D.Lgs. n. 81/2008), l’apparato normativo vigente mira, innanzitutto, ad eliminare e/o ridurre il
rischio presente nei luoghi di lavoro, al fine di diminuire le cause degli infortuni sul lavoro o delle malattie
professionali, che ancora colpiscono numerosi lavoratori.

2. I principi costituzionali

La Costituzione rappresenta il primo consistente baluardo posto a tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro. Infatti, nella Carta costituzionale si afferma che la salute rappresenta un diritto fondamentale
di ciascun individuo (art. 32 Cost.) e che l’iniziativa economica privata, seppur libera, non deve recare
danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.).

La Corte costituzionale ha chiarito che “l’art. 41 deve essere interpretato nel senso che esso limita
espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga in pericolo la sicurezza
del lavoratore” (Corte Cost. 29 ottobre 1999, n. 405), come anche che le norme di cui agli artt. 32 e 41
Cost. impongano ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e dell’integrità
fisica dei lavoratori (Corte Cost. 20 dicembre 1996, n. 399).

In caso di conflitto tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare tra la salute (art. 32 Cost.) e
il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli
occupazionali, si deve procedere ad un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori
costituzionali in gioco, senza consentire “l’illimitata espansione di uno dei due diritti, che diverrebbe
“tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, poiché,
prosegue la Corte, “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione
reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri”
(Corte Cost. 9 maggio 2013, n. 85); ciò significa che il Legislatore non può consentire la prosecuzione

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dell’attività di impresa in presenza di impianti pericolosi per la vita o l’incolumità umana, vanificando gli
effetti di una misura cautelare reale disposta dall’Autorità giudiziaria penale.
Infatti, “rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori
costituisce condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i
principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona” (Corte Cost. 23 marzo
2018, n. 58).

Poiché la salute rappresenta un diritto fondamentale e indisponibile, la mancata adozione delle misure di
sicurezza è sanzionata penalmente, sempre quando determina un infortunio sul lavoro o una malattia
professionale, anche al fine di incentivare il datore di lavoro al rispetto dell’obbligo generale di sicurezza di
cui all’art. 2087 c.c. o della legislazione speciale in materia di sicurezza sul lavoro (Corte Cost. 26 maggio
1981, n. 74).

3. L'obbligo generale di sicurezza: l'art. 2087 c.c.

L’art. 2087 c.c. rappresenta il fulcro del sistema prevenzionistico, imponendo un obbligo generale di
sicurezza sul datore di lavoro, chiamato ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure più efficaci per
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Si tratta di un obbligo a contenuto generico, tanto che la norma è stata definita “in bianco” o “di chiusura”
del sistema prevenzionale, seppur circoscritto all’adozione di quelle misure ritenute indispensabili sulla base
della particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica.

In evidenza: Art. 2087 c.c. Tutela delle condizioni di lavoro


L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro.

Particolarità del lavoro: con tale criterio si fa riferimento a quella specifica organizzazione produttiva
in cui si devono adottare le misure di sicurezza rispetto ai rischi e pericoli insiti nell’ambiente di
lavoro e nel tipo di lavorazione eseguita;
Esperienza: con tale criterio si rimanda a quelle misure che si sono rivelate decisive nel passato per
contrastare efficacemente i rischi presenti in quel determinato ambiente di lavoro o ritenute tali sulla
base dell’esperienza personale maturata nel settore della sicurezza dal titolare della posizione di
garanzia;
Tecnica: si tratta del criterio più rilevante perché impone al datore di lavoro di adottare le misure di
sicurezza più evolute, quelle dettate dalle più recenti innovazioni tecnologiche.

Sulla base del criterio della “tecnica”, la giurisprudenza ha elaborato il principio della massima sicurezza
tecnologicamente possibile, in base al quale il datore di lavoro deve adottare tutti i rimedi suggeriti dalla
tecnica e dalla scienza più evolute, a prescindere da valutazioni sulla loro concreta fattibilità o dal loro costo.

In evidenza: Il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile


Corte Cost. 27 aprile 1988, n. 475; Corte Cost. 7 maggio 1991, n. 202.
L’imprenditore deve rispettare i suggerimenti che la scienza specialistica può dare in un determinato

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momento storico, garantendo il miglior livello di tutela per i lavoratori.


Corte Cost. 25 luglio 1996, n. 312.
L’obbligazione in capo al datore di lavoro è stata circoscritta alle “misure che, nei diversi settori e nelle
differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti
organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata sia soltanto la
deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standard di sicurezza propri, in concreto e al
momento, delle diverse attività produttive”, limitando, quindi, l’obbligo di sicurezza al rispetto di quanto
generalmente acquisito e praticato sul piano delle misure tecniche (massima sicurezza generalmente
praticata).
La Magistratura superiore applica il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, “in
base al quale il datore deve adoperarsi per evitare o ridurre l'esposizione al rischio dei dipendenti al di là
delle specifiche previsioni dettate dalla normativa prevenzionale, conformando il proprio operato ad una
diligenza particolarmente qualificata, che tenga conto delle caratteristiche del lavoro, dell'esperienza e della
tecnica” (Cass. sez. lav., 21 settembre 2016, n. 18503; Cass. sez. lav., 30 giugno 2016, n. 13465),
negando che il criterio della "sicurezza generalmente praticata" possa consentire un abbassamento della
soglia di prevenzione, in ragione di standard eventualmente non adeguati, praticati in una determinata
cerchia di imprenditori, rispetto a quelli che sarebbe stato necessario adottare in ragione dello sviluppo
tecnico concretamente disponibile (Cass. pen. sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786).

Il datore di lavoro, in buona sostanza, deve adottare, quanto meno, le misure di sicurezza ricavate dagli
standard di sicurezza generalmente praticati ed acquisiti nei diversi settori produttivi, non essendo tenuto,
invece, a sperimentare e/o ricercare in proprio più avanzati sistemi di protezione.

La ricerca è agevolata in presenza di misure di sicurezza “nominate”, così definite perché espressamente
e specificamente indicate nella legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una
valutazione preventiva di rischi specifici; la stessa diventa più ardua quando le misure rientrano tra quelle
“innominate”, ricavabili ricorrendo al principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, come
interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.

L’obbligo generale di sicurezza, data la sua importanza, rientra automaticamente nel sinallagma
contrattuale; cosicché la sua violazione rappresenta un inadempimento contrattuale, che consente al
prestatore di lavoro di negare la prestazione lavorativa, sino a che permanga la situazione di pericolo che
può mettere a repentaglio la sua incolumità.

In evidenza: Sul rifiuto del lavoratore ad adempiere la prestazione lavorativa in assenza delle misure di
sicurezza
Cass. sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11664
È illegittimo il licenziamento intimato a causa del rifiuto del lavoratore di continuare a svolgere le sue
mansioni.
Cass. sez. lav., 7 novembre 2005, n. 21479; Cass. sez. lav., 9 maggio 2005, n. 9576.
È ingiustificato il licenziamento intimato a causa dell’astensione del lavoratore dalla prestazione di
specifiche attività, la cui esecuzione può rivelarsi pericolosa per la mancata adozione delle misure
necessarie, sempre che la necessità di tale misura sia evidente e che il lavoratore abbia informato di tale
carenza il datore di lavoro.

Sebbene in origine l’obbligo generale di sicurezza fosse imposto a tutela dei lavoratori subordinati (art. 2094
c.c.), la giurisprudenza di legittimità più recente ha esteso tale dovere anche a difesa di prestatori di lavoro
assunti con tipologie contrattuali differenti, non potendosi negare le esigenze di protezione alle altre

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categorie per ragioni puramente formali, in presenza soprattutto di una medesima esposizione a rischio.

In evidenza: Figure di lavoratori equiparati a quelli subordinati


A titolo esemplificativo si osserva che l’obbligo di sicurezza è stato applicato a tutela dell’artigiano socio di
fatto, che presta la sua attività per conto di una società (Cass. pen. sez. IV, 23 febbraio 2016, n. 11388;
Cass. pen. sez. III, 3 marzo 2009, n. 17218; Cass. pen. sez. IV, 1° luglio 2009, n. 37840 ) o di chi è stato
autorizzato ad accedere nell’ambiente di lavoro, come un cantiere, o di chi vi accede per ragioni connesse
all’attività lavorativa o di chi si reca o sosta anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del
lavoro (Cass. pen. sez. IV, 19 febbraio 2015, n. 18073) o del collaboratore saltuario in un’impresa
familiare (Cass. pen. sez. IV, 1° aprile 2010, n. 17581 ) o, financo, del lavoratore in nero (Cass. pen. sez. IV,
2 febbraio 2016, n. 12678).

È stata, invece, negata l’applicazione dell’art. 2087 c.c. ai rapporti di lavoro autonomo (Cass. civ. sez. III,
21 marzo 2013, n. 7128; Cass. sez. lav., 16 luglio 2001, n. 9614; Cass. civ. sez. III, 26 gennaio 1995, n. 933
).

4. La responsabilità penale e civile del datore di lavoro per violazione dell’obbligo generale di
sicurezza, l’onere della prova e il concorso colposo del lavoratore

La violazione dell’obbligo generale di sicurezza viene sanzionata, sul piano penale e/o civile, solo in
caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale. La norma contenuta nell’art. 2087 c.c., infatti, è
priva di sanzione in caso di mancato adempimento.
In ambito penale, la giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la responsabilità del datore di lavoro per i delitti
di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), aggravate dalla violazione
delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, per il mancato rispetto dell’art. 2087 c.c. e
dell’obbligo generale di sicurezza.

In evidenza: Responsabilità penale per violazione dell’obbligo generale di sicurezza


Cass. pen. sez. IV, 10 novembre 2015, n. 46979; Cass. pen. sez. IV, 11 febbraio 2010, n. 8641; Cass. pen.
1 dicembre 2009, n. 4917; Cass. pen. sez. III, 26 gennaio 2005, n. 6360; Cass. pen. sez. IV, 28 settembre
1999, n. 13377.
“In tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia
integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo
sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed
accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del
lavoratore”.

In presenza di un gravissimo infortunio mortale sul lavoro con numerose vittime, la Magistratura
superiore, nel suo massimo consesso, ha escluso l’ipotesi delittuosa dell’omicidio volontario con dolo
eventuale, derubricando il reato più grave, contestato dalla Procura della Repubblica, ad omicidio colposo
con colpa cosciente o con previsione, poiché gli imputati ritenevano che gli eventi disastrosi non si
sarebbero verificati.

In evidenza: L’elemento soggettivo nel delitto di omicidio: tra dolo eventuale e colpa cosciente
Cassazione pen. sez. un. 24 aprile 2014, n. 38343
“In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente
rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver

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considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche
a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa
cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente
presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene
dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo”.

In ambito civile, nonostante l’ampiezza dell’obbligo generale di sicurezza, dettato dall’art. 2087 c.c., la
giurisprudenza esclude la responsabilità oggettiva del datore di lavoro, collegata alla semplice verificazione
dell’infortunio sul lavoro o della malattia professionale, essendo indispensabile la dimostrazione della colpa
del datore di lavoro (Cass. pen., 27 febbraio 2015, n. 3989; Cass. sez. lav., 13 gennaio 2015, n. 340; Cass.
17 aprile 2014, n. 26590).
In assenza della responsabilità civile del datore di lavoro, dunque, il lavoratore danneggiato dovrà
accontentarsi delle prestazioni economiche erogate dall’INAIL, sempre che l’evento si sia verificato in
occasione di lavoro, senza poter reclamare pure il risarcimento (Cass. sez. lav., 17 aprile 2012, n. 6002).

In evidenza: Responsabilità civile e per rischio professionale


Cass. sez. lav., 17 aprile 2012, n. 6002
“Le condizioni per la tutela risarcitoria non possono essere eguali a quelle previste per la tutela
assicurativa”; dunque, precisa la Corte, “tali condizioni se sono sufficienti per riconoscere l'indennizzabilità
del sinistro, e, quindi, la responsabilità del datore di lavoro per rischio professionale, non appaiono certo
sufficienti ad affermare la tutela risarcitoria del lavoratore, che presuppone la responsabilità per colpa del
datore di lavoro”.

Si tratta di responsabilità civile contrattuale, che impone alla vittima dell’infortunio sul lavoro di allegare e
dimostrare il danno subito, la violazione della norma prevenzionale commessa ed il nesso causale tra le
prime due e al datore di lavoro di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare che l’infortunio si
verificasse.

In evidenza: Sul riparto dell’onere della prova


Cass. sez. lav., 9 giugno 2017, n. 14468; Cass. civ. sez. VI, 27 febbraio 2017, n. 4970; Cass. sez. lav., 15
giugno 2016, n. 12347; Cass. sez. lav., 28 agosto 2013, n. 19826; Cass. sez. lav., 11 aprile 2013, n. 8855;
Cass. civ. sez. III, 27 giugno 2011, n. 14107; Cass. sez. lav., 14 ottobre 2010, n. 21203; Cass. sez. lav., 19
luglio 2007, n. 16003.
“Il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a
seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento e il nesso di
causalità materiale tra l'inadempimento e il danno, ma non anche la colpa del datore di lavoro, nei cui
confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 c.c.. Il superamento della presunzione comporta la prova
di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il danno, in relazione alla specificità del caso ossia al
tipo di operazione effettuata ed ai rischi intrinseci alla stessa, potendo al riguardo non risultare sufficiente la
mera osservanza delle misure di protezione individuale imposte dalla legge”.

L’eventuale comportamento negligente, imprudente o imperito, commesso dalla vittima dell’infortunio,


non esonera da responsabilità il datore di lavoro, proprio perché le norme prevenzionali servono ad evitare
che si verifichino pure gli infortuni scaturiti da un comportamento colposo del lavoratore; tutt’al più
il concorso colposo della vittima determina una riduzione, proporzionata al grado del concorso, della pena
irrogabile in sede penale ovvero dell’ammontare del risarcimento del danno liquidato in ambito civilistico.

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In evidenza: Sul comportamento colposo della vittima di un infortunio sul lavoro


Cass. sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12561; Cass. sez. lav., 26 aprile 2017, n. 10319; Cass. sez. lav., 19
aprile 2017, n. 9870; Cass. sez. lav., 18 luglio 2016, n. 14629; Cass. sez. lav., 3 novembre 2015, n. 22413;
Cass. sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 896; Cass. sez. lav., 16 aprile 2013, n. 9167; Cass. sez. lav., 13 giugno
2012, n. 9661; Cass. sez. lav., 10 settembre 2009, n. 19494.
Poiché le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono tese ad impedire l'insorgenza
di situazioni pericolose, essendo dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua
disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, il datore di
lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee
misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da
parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all’eventuale
concorso di colpa del lavoratore.
Cass. sez. lav., 23 aprile 2012, n. 6337; Cass. sez. lav., 14 aprile 2008, n. 9817; Cass. sez. lav., 17 aprile
2004, n. 7328.
Il concorso di colpa del lavoratore, se accertato in termini di concausa dell’evento dannoso, determina
soltanto che la misura del risarcimento sia proporzionalmente ridotta.

Se il comportamento colposo del lavoratore non è idoneo ad interrompere il nesso causale tra
inadempimento datoriale ed infortunio, lo stesso non può dirsi nel caso in cui il lavoratore abbia posto in
essere un contegno abnorme, inopinabile o anomalo oppure esorbitante rispetto al procedimento
lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute, ponendosi come causa esclusiva dell’evento, idonea ad
interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva datoriale e l’evento (Cass. civ. sez. I, 1 giugno 2017,
n. 13885; Cass. sez. lav., 18 maggio 2017, n. 12561; Cass. sez. lav., 13 gennaio 2017, n. 798; Cass. sez.
lav., 13 ottobre 2015, n. 20533; Cass. sez. lav., 14 ottobre 2014, n. 21647; Cass. sez. lav., 10 settembre
2009, n. 19494).

5. La disciplina prevenzionale speciale: il D.Lgs. 2 agosto 2008, n. 81

Oltre sull’obbligo generale di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., il sistema prevenzionale poggia su
un’articolata normativa, di fonte comunitaria, contenuta nel D.Lgs. 2 agosto 2008, n. 81, definito Testo unico
della sicurezza perché in esso sono confluite le principali normative fino ad allora vigenti: i Decreti
presidenziali degli anni ’50 del secolo scorso (D.P.R. n. 547/1955; D.P.R. n. 303/1956; D.P.R. n. 302/1956) e
il D.Lgs. n. 626/1994, oramai abrogati (art. 304, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008).
Emanato in attuazione della legge di delega inserita nell’art. 1, L. 3 agosto 2007, n. 123, il testo del Decreto
delegato è stato successivamente aggiornato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 (art. 1, comma 6, L. n.
123/2007).

In evidenza: Le fonti comunitarie della normativa in materia di sicurezza sul lavoro


La produzione normativa nazionale più recente è scaturita con il recepimento di direttive comunitarie. Dopo
l’entrata in vigore dell’Atto Unico europeo dell’1 luglio 1987, che aveva previsto una procedura più snella
per favorire l’adozione delle direttive in materia di prevenzione, ne sono state adottate un rilevante numero
al fine di introdurre nei singoli Stati membri misure generali volte a promuovere il miglioramento della
sicurezza nei luoghi di lavoro. Alla fine degli anni ’80, viene pubblicata la Direttiva quadro 89/391/CEE del
12 giugno 1989, con la quale è imposta agli Stati membri l’adozione di prescrizione minime per la tutela
della salute e la sicurezza dei lavoratori in tutti i settori di attività, pubblici o privati, onde ottenere la
riduzione sensibile degli infortuni sul lavoro.
Successivamente vengono pubblicate le Direttive nn. 89/654/CEE del 30 novembre 1989; 89/655/CEE del
30 novembre 1989; 89/656/CEE del 30 novembre 1989; 90/269/CEE del 29 maggio 1990; 90/270/CEE del

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29 maggio 1990; 90/394/CEE del 28 giugno 1990; 90/679/CEE del 26 novembre 1990; 92/57/CEE del 24
giugno 1992; 92/58/CEE del 24 giugno 1992; 92/85/CEE del 19 ottobre 1992; 92/91/CEE del 3 novembre
1992; 92/104/CEE del 3 dicembre 1992, le cui prescrizioni minime sono state recepite dapprima nel D.Lgs.
n. 626/1994 e, poi, nel vigente D.Lgs. n. 81/2008.

Si tratta di un testo normativo di notevole mole, composto da ben 306 articoli, 13 Titoli e 52 Allegati, nei
quali, come detto, sono confluite quasi tutte le disposizioni applicabili ai luoghi di lavoro pubblici e privati in
materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Titolo I, diviso in 61 articoli, è dedicato alla disciplina comune contente i principi generali ed “esprime la
logica dell’intervento legislativo contenendo le disposizioni generali necessariamente da applicare a tutte le
imprese destinatarie delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro” (Relazione illustrativa al
decreto legislativo), mentre i Titoli successivi contengono la disciplina tecnica.
Il Titolo I è sempre applicabile, mentre i Titoli successivi concorrono con esso se ne ricorrono le condizioni di
applicazione.
Il campo di applicazione oggettivo è ampio, abbracciando tutti i settori di attività, pubblici e privati, e tutte
le tipologie di rischio (art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008), come anche quello soggettivo, che trova
applicazione nei confronti di tutti i lavoratori e le lavoratrici, subordinati o autonomi, nonché ai soggetti ad
essi equiparati, elencati nell’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008.
Nel testo dell’art. 3, inoltre, viene contemplata una disciplina specifica per alcune particolari tipologie di
contratto di lavoro, come la somministrazione, oggi disciplinata con il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il
distacco, il lavoro a progetto, il lavoro accessorio.
La gestione della prevenzione deve avvenire nel rispetto delle misure generali di tutela, elencate nell’art.
15, D.Lgs. n. 81/2008, che servono a specificare l’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro, anche
quello generale stabilito dall’art. 2087 c.c.

In evidenza: Le misure generali di tutela elencate nell’art. 15


a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella
prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente
e dell'organizzazione del lavoro;
c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle
conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
d) il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di
lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in
particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;
e) la riduzione dei rischi alla fonte;
f) la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al
rischio;
h) l'utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;
i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
l) il controllo sanitario dei lavoratori;
m) l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua
persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione;
n) l'informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
o) l'informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti;
p) l'informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
q) l'istruzioni adeguate ai lavoratori;

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r) la partecipazione e consultazione dei lavoratori;


s) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di sicurezza, anche attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi;
u) le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione
dei lavoratori e di pericolo grave e immediato;
v) l'uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
z) la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi
di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.

La violazione degli obblighi imposti agli attori del sistema prevenzionale è sanzionata penalmente,
soprattutto quando i comportamenti incriminati possano mettere a repentaglio l’integrità psico-fisica dei
lavoratori. Si tratta di reati propri di natura contravvenzionale, generalmente puniti con la pena alternativa
dell’arresto o dell’ammenda (artt. 55 – 60, D.Lgs. n. 81/2008), sebbene sia ancora incentivato il ricorso agli
strumenti con cui il reato ravvisato si estingue dopo che il responsabile abbia ottemperato al precetto della
norma violata (artt. 301 – 302, D.Lgs. n. 81/2008).
Se un fatto è punito sia nel Titolo I sia in uno dei Titoli successivi trova applicazione la sanzione prevista
dalla disposizione speciale (art. 298, D.Lgs. n. 81/2008). Viene contemplata anche la sanzione
amministrativa per le violazione di natura formale (art. 59, comma 1, lett. b) - art. 60, comma 1, lett. b) e
comma 2, D.Lgs. n. 81/2008), con la previsione di uno strumento volto alla loro estinzione agevolata (art.
301-bis, D.Lgs. n. 81/2008).

6. Il Medico competente, il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il Rappresentante


dei lavoratori per la sicurezza

Siamo in presenza di un sistema prevenzionale collaborativo, simile a quello disegnato con il D.Lgs. n.
626/1994, nel quale il datore di lavoro, sul quale gravano i principali obblighi di sicurezza, è affiancato da
alcuni professionisti, il Medico competente e il Responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
che collaborano con il medesimo per l’identificazione dei rischi presenti nel luogo di lavoro e nella
individuazione delle misure più idonee per eliminarli o ridurli, e da una figura eletta dai lavoratori, il
Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con compiti di segnalazione e proposta in materia di
sicurezza sul lavoro.

Il RSPP collabora (art. 33, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008):


all'individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all'individuazione delle misure per
la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base
della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale;
ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all'art. 28, comma 2,
e i sistemi di controllo di tali misure;
ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla
riunione periodica di cui all'art. 35;
a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all'art. 36.

La sorveglianza sanitaria (art. 41, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008) prevede:


visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è
destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;

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visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di
idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla
relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere
cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo
di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza
sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;
visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai
rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività
lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione
specifica;
visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente;
visita medica preventiva in fase preassuntiva;
visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata
superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione.

Il RLS (art. 50, comma 1, D. Lgs. n. 81/2008):


accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla
individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità
produttiva;
è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla
attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico
competente;
è consultato in merito all'organizzazione della formazione di cui all'art. 37;
riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure
di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle
macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie
professionali;
riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista dall'art. 37;
promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare
la salute e l'integrità fisica dei lavoratori;
formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali
è, di norma, sentito;
partecipa alla riunione periodica di cui all'art. 35;
fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione
dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei
a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

7. I principali destinatari degli obblighi prevenzionali: il datore di lavoro, il dirigente, il preposto ed il


lavoratore

Il datore di lavoro, perno dell’obbligo antinfortunistico, è “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il

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lavoratore” (nozione in senso formale) o, comunque, “il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto
dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità
dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” (nozione
in senso sostanziale), come stabilito dall’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008.

Accanto ad esso, si pone il dirigente, la longa manus del datore di lavoro, del quale ne ricopre le medesime
funzioni, definito come “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando
l'attività lavorativa e vigilando su di essa” (art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).

Dunque, trattandosi di figure che possono ricoprire la medesima posizione di garanzia, la legge ne individua
per entrambe gli obblighi (art. 18, D.Lgs. n. 81/2008):

nominare il medico competente per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dal
presente decreto legislativo;
designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e
lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di
salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza;
nell'affidare i compiti ai lavoratori, tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in
rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;
prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e
specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni
aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;
inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza
sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel
presente decreto;
nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41, comunicare tempestivamente al medico
competente la cessazione del rapporto di lavoro;
adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni
affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro
o la zona pericolosa;
informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il
rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli artt. 36 e 37;
astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal
richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un
pericolo grave e immediato;
consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
l'applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;
consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi
e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'art. 17, comma 1, lettera a),
anche su supporto informatico come previsto dall'art. 53, comma 5, nonché consentire al medesimo
rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera r); il documento è consultato esclusivamente in
azienda;

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elaborare il documento di cui all'art. 26, comma 3, anche su supporto informatico come previsto
dall’art. 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, consegnarne
tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato
esclusivamente in azienda;
prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare
rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la
perdurante assenza di rischio;
comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’art. 8, entro 48 ore dalla ricezione del
certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro
che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini
assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a
tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro
superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’art. 53 del
Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;
consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all'art. 50;
adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei luoghi di lavoro,
nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all'art. 43. Tali misure
devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda o dell'unità produttiva, e
al numero delle persone presenti;
nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di
apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e
l'indicazione del datore di lavoro;
nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all'art. 35;
aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno
rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica
della prevenzione e della protezione;
comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo
nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’art. 8, in caso di nuova elezione o
designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima
applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei
lavoratori già eletti o designati;
vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla
mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.

Il datore di lavoro non può delegare né la nomina del RSPP, né la valutazione dei rischi, né la redazione del
documento della valutazione dei rischi (art. 17, D.Lgs. n. 81/2008); l’inadempimento è sanzionato
penalmente (art. 55, comma 1, lett. a) e lett. b), D.Lgs. n. 81/2008).
Il preposto, che svolge un ruolo volto a sovraintendere all’attuazione della normativa antinfortunistica, è
definito come “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e
funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce
l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di iniziativa” (art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008).
Gli obblighi che gravano su tale figura sono elencati nell’art. 19:

Gli obblighi del preposto (art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008)

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accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;


è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla
individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nella azienda o unità
produttiva;
è consultato sulla designazione del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione, alla
attività di prevenzione incendi, al primo soccorso, alla evacuazione dei luoghi di lavoro e del medico
competente;
è consultato in merito all'organizzazione della formazione di cui all'art. 37;
riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente alla valutazione dei rischi e le misure
di prevenzione relative, nonché quelle inerenti alle sostanze ed alle miscele pericolose, alle
macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie
professionali;
riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
riceve una formazione adeguata e, comunque, non inferiore a quella prevista dall'art. 37;
promuove l'elaborazione, l'individuazione e l'attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare
la salute e l'integrità fisica dei lavoratori;
formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, dalle quali
è, di norma, sentito;
partecipa alla riunione periodica di cui all'art. 35;
fa proposte in merito alla attività di prevenzione;
avverte il responsabile della azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione
dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei
a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.

Il sistema prevenzionistico, dunque, si fonda da sempre su tre figure cardine: il datore di lavoro, il
dirigente, il preposto.
Tali figure, come precisa la Magistratura superiore, “incarnano distinte funzioni e diversi livelli di
responsabilità e sono tenute ad adottare, nell'ambito dei rispettivi ruoli, le iniziative necessarie ai fini
dell'attuazione delle misure di sicurezza appropriate; nonché ad assicurarsi che esse siano
costantemente applicate.
In particolare il datore di lavoro è colui che esercita l'attività, ha la responsabilità della gestione aziendale e
pieni poteri decisionali e di spesa. In connessione con tale ruolo di vertice, l'ordinamento prevede numerosi
obblighi specifici penalmente sanzionati.

Tali norme individuano altresì un livello di responsabilità intermedio, incarnato dalla figura del dirigente,
che dirige appunto, ad un qualche livello, l'attività lavorativa, un suo settore o una sua articolazione.
Tale soggetto non porta le responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali; ma ha poteri posti ad un
livello inferiore.

Il terzo livello di responsabilità riguarda la figura del preposto, che sovrintende alle attività e che quindi
svolge funzioni di supervisione e controllo sulle attività lavorative concretamente svolte” (Cass. pen. sez.
IV, 7 aprile 2011, n. 22334).

Nel modello di sicurezza partecipato il lavoratore ha assunto un ruolo di soggetto attivo e responsabile
della propria e dell’altrui incolumità, riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “nel sistema
della normativa antinfortunistica, che si è lentamente trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente
incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, a un
modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi gli stessi lavoratori, il datore

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di lavoro non ha più un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma – una volta che abbia
effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, abbia
fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione e abbia adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua
posizione di garanzia – non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del
lavoratore” (Cass. pen. sez. IV, 21 febbraio 2018, n. 17392; Cass. pen. sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8883;
Cass. pen. sez. IV, 5 maggio 2015, n. 41486).

Il lavoratore deve (art. 20, D.Lgs. n. 81/2008):


contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi
previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai
fini della protezione collettiva ed individuale;
utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e le miscele pericolose, i mezzi di
trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza;
utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e
dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui
vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie
competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni
di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di
controllo;
non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero
che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro;
sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal
medico competente.

8. Riferimenti

Normativa:

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


Artt. 32, 41 Cost.
Art. 2087 c.c.

Giurisprudenza:

Corte Cost. 25 luglio 1996, n. 312


Cass. pen. sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343
Cass. sez. lav., 17 aprile 2012, n. 6002

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