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Scientia - Vol.

VII/La dottrina degli anticorpi


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Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.

Autori vari - Scientia - Vol. VII (1910)


La dottrina degli anticorpi
Gino Galeotti

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LA DOTTRINA DEGLI ANTICORPI

Allorchè nel 1890 Behering e Roux, indipendentemente l’uno dall’altro,


annunciarono la meravigliosa scoperta che il siero di un animale, immunizzato
contro la difterite, poteva salvare altri animali dalla infezione difterica, si aprì una
nuova era per lo studio e per la cura delle malattie infettive e
contemporaneamente si iniziarono altre importantissime ricerche destinate a
gettare una viva luce sui fenomeni chimici più misteriosi e complessi degli
organismi viventi.

Ben presto infatti, dalla preparazione dei sieri antitossici, si passò a quella dei
sieri bactericidi, poi si produssero sieri citolitici, sieri agglutinanti, sieri
precipitanti etc. e si vide così che la preparazione dei sieri curativi (antitossici e
bactericidi) dipende, come caso speciale, da una legge biologica che ha molto
maggior estensione.

Si constatò infatti che, iniettando in un animale elementi dotati di qualche attività


di ordine biologico, sostanze capaci di inibire o di modificare tali attività, e questo
principio generale è stato chiamato legge degli anticorpi, o legge di Behering, dal
nome dello esperimentatore che stabilì la base sperimentale di questo principio.

Anticorpo significa appunto una sostanza che viene a trovarsi nel siero di un
animale, acconciamente trattato, e che è dotata di proprietà inibenti e
modificatrici. È da notarsi che in genere non è possibile separare in stato di
purezza l’anticorpo dal siero che lo contiene, e quindi si usa spesso di indicare il
contenente per il contenuto e p. es. di chiamare antitossina, il siero in cui questa
sostanza è disciolta.

Gli anticorpi sono certamente sostanze proteiche, e probabilmente sono le stesse


proteine che costituiscono le cellule o i succhi organici, proteine che ricevono una
impronta speciale per il trattamento che l’animale subisce.
Secondo il Müller, gli anticorpi appartengono al gruppo delle globuline, perchè se
da un siero attivo si precipitano con il solfato di magnesio le globuline, esso resta
quasi inefficace, mentre il precipitato di globulina contiene l’anticorpo in quantità.

Secondo Jacobi alcuni anticorpi (antiricina) resisterebbero anche alla digestione


triptica e spesso non divengono inattivi per il riscaldamento a 60°-70°.

Si chiamano con termine generale antigeni le sostanze su cui gli anticorpi


agiscono, e che sono quelle stesse le quali, iniettate nell’animale da cui si ricava il
siero, provocano in esse la comparsa degli anticorpi. Così la tossina difterica è
l’antigene dell’anticorpo antitossina difterica.

La relazione che sussiste tra antigene e anticorpo è in genere quella della più
stretta specificità, cioè un anticorpo è capace di neutralizzare o di modificare solo
l’antigene che, attraverso il corpo di un animale, lo ha prodotto; così l’antitossina
tetanica agisce solo contro la tetanotossina e non contro altri veleni; il siero
emolitico, prodotto mediante i corpuscoli rossi di un animale, «è capace di
disciogliere soltanto i corpuscoli rossi dello stesso animale e non quelli di un
altro.

Queste proprietà che gli organismi viventi posseggono, di elaborare sostanze


specifiche, sotto l’azione di stimoli chimici che nulla hanno che vedere con il
metatolismo normale, è veramente una cosa meravigliosa, e tanto più
sorprendente se si pensa che questa proprietà è legata in gran parte ai meccanismi
di difesa contro certi avvelenamenti e contro le infezioni.

I sieri specifici che finora sono stati preparati sono i seguenti:

1.° Sieri antitossici e di questi or ora tratterò più diffusamente.


2.° Sieri antifermentativi, dei quali l’antigene è un enzima. Essi valgono a
impedire l’azione fermentativa di questo. Così si è ottenuta l’antiemulsina, che
inibisce l’azione della emulsina, l’antipresame che impedisce la coagulazione del
latte, l’antitripsina etc.
3.° Sieri precipitanti, dei quali gli antigeni sono sostanze proteiche
qualsiansi. La reazione che si produce quando uno di questi sieri venga in contatto
con il suo antigene, è una precipitazione. Per tal modo questi sieri sono adoperati
per il riconoscimento e per la diagnosi di alcune sostanze proteiche: di ciò si
fanno applicazioni in igiene per scoprire certe adulterazioni, e in medicina legale
per lo studio delle macchie di sangue.
4.° Sieri agglutinanti, che provocano l’agglutinazione di bacteri, di
corpuscoli rossi etc. Si usano per la diagnosi di molte malattie infettive, poichè
per es. il siero di un malato di tifo è capace di agglutinare soltanto il bacillo del
tifo (reazione del Widal).
5.° Sieri citolitici, che producono la morte e il dissolvimento di cellule
animali o vegetali, le quali costituiscono gii antigeni di questi anticorpi. Così sono
stati preparati sieri leucocitotossici che distruggono i leucociti, sieri
spermotossici, che uccidono gii spermatozoi, sieri nefrotossici, cardiotossici,
nevrotossici, epatotossici etc., che producono alterazioni profonde nelle cellule
renali, nelle libre muscolari del cuore, negli elementi nervosi ed epatici. Fra questi
sieri citolitici i più importanti sono i sieri emolitici e i sieri bactericidi, intorno ai
quali esporrò i risultati sperimentali più importanti sino ad ora ottenuti.
Antitossine (sieri curativi antitossici)
Dopo Behering e Roux, riuscirono a produrre antitossine Kitasato contro il tetano,
Calmette contro il veleno dei serpenti, Klemperer contro la tossina botulinica,
Wassermann contro le tossine del piocianeo ed Ehrlich contro quelle proteine
tossiche che son la ricina e la abrina.

Martin e Cherry proseguirono le ricerche di Calmette sul veleno del cobra, Kossel
riuscì ad immunizzare i conigli contro il siero di anguilla (che, come risultò dalle
ricerche di Mosso, di Richet e di Héricourt, è un veleno potente per questi
animali) ed ottenne così antitossine specifiche contro questo siero velenoso.
Secondo Denys e van der Velde, il siero di animali immunizzati contro lo
stafilococco, neutralizza la leucocidina che è una sostanza elaborata dagli
stafilococchi, la quale avvelena i leucociti. Le emolisine bacteriche (tetanolisina,
piocianina etc.) vengono neutralizzate dai sieri di animali, trattati con queste
sostanze tossiche, e in adatte miscele di siero e di veleno i corpuscoli rossi
rimangono inalterati.

E così, in egual modo, si sono ottenuti anticorpi verso tutti quei veleni, di fronte ai
quali l’organismo animale può raggiungere uno stato di immunità.

Anzi la caratteristica di produrre antitossine è quella che meglio serve a definire la


natura di certi veleni, i quali, soltanto in questo caso, possono ricevere il nome di
vere tossine. Così sono ora considerate come tossine il veleno del rospo, il veleno
dei ragni e degli scorpioni, perchè si è riusciti ad ottenere i loro corrispondenti
anticorpi. Invece sotto la azione di veleni, per i quali si stabilisce negli animali un
vero mitridatismo, cioè una semplice abitudine, non si producono antitossine.
Così non esistono anticorpi contro l’alcool, contro l’arsenico, contro la nicotina,
contro la morfina etc.

Praticamente la preparazione dei sieri antitossici si fa iniettando negli animali, a


intervalli convenienti, dosi sempre crescenti di tossine. È necessario attendere tra
un’iniezione e l’altra che l’animale si sia ristabilito dalla intossicazione. Non
importa iniettare tossine allo stato di purezza: per es. per la preparazione dei sieri
curativi si usa introdurre negli animali i filtrati intieri di culture in brodo.

Quali animali produttori di siero si scelgono quelli e che hanno una mole
sufficiente e che d’altra parte posseggono normalmente un siero sprovvisto di
qualsiasi proprietà tossica ed emolitica per l’organismo che deve ricevere il siero
curativo. In generale si usano i cavalli, che appunto forniscono un siero
eccellente, sebbene vi siano differenze individuali fra cavallo e cavallo, le quali
fanno sì che non siano egualmente efficaci i sieri ricavati da diversi animali,
anche se trattati nell’identico modo.

Quando l’animale è convenientemente immunizzato (e da esperimenti di prova


negli animali si può acquistare la convinzione che il suo siero è attivo) si pratica
un abbondante salasso, si lascia coagulare il sangue, si separa il siero dal coagulo
e si distribuisce questo in bottigliette che vengono serbate per l’uso.
Naturalmente tutte queste operazioni vanno fatte con grandissime precauzioni di
sterilità, in modo da esser sicuri che nessun germe penetri nel siero e possa poi
alterarlo o renderlo pericoloso, quando debba essere iniettato nell’ammalato.

Origine delle antitossine


(Teoria delle catene laterali di Ehrlich).

Da dove provengono le antitossine nell’animale immunizzato? Questo è uno dei


problemi fondamentali nella dottrina della immunità e della sieroterapia. Si è
creduto dapprima che le antitossine si formassero dalle tossine stesse, per una
specie di trasformazione isomera di queste, provocata dall’organismo in cui le
tossine vengono introdotte. Ma questa ipotesi fu dovuta ben presto abbandonare,
dopo che fu dimostrato che la iniezione di una unità di tossina può produrre fino a
100.000 unità di antitossine e dopo che Kruse e Vaillard trovarono che si può in
vari salassi togliere tutto il sangue di un animale immunizzato contro il tetano,
senza che poi il siero del sangue, più tardi rigeneratosi, abbia perduto molto delle
sue proprietà antitossiche. Inoltre Arenson e Wassermann constatarono che
animali di eguale peso, trattati con eguali quantità di tossine, davano poi
antitossine in quantità assai differenti e che, dopo la introduzione del veleno, il
siero cominciava a mostrare proprietà antitossiche solo dopo alcuni giorni e
queste proprietà crescono di un tratto rapidamente, come per crisi. Questi fatti
provano che la produzione dell’antitossina è una ben determinata reazione
dell’organismo vivente, la quale subisce oscillazioni individuali per intensità e per
il suo decorso nel tempo.

Alcuni considerano la produzione dell’anticorpo come un processo di secrezione


dei vari tessuti organici, provocato specificatamente dall’antigene e Salomon e
Madsen appoggiano questa ipotesi con il fatto che le iniezioni di pilocarpina,
praticate durante la immunizzazione di un animale, affrettano la produzione della
antitossina e, come è noto, la pilocarpina vale a stimolare la maggior parte dei
processi di secrezione.

Riguardo al meccanismo intimo nella produzione delle antitossine, non possiamo


farci che rappresentazioni ipotetiche, ed è all’Ehrlich che in questo proposito
dobbiamo un’ipotesi la quale per la sua genialità e perchè risponde ai principi
fondamentali della biologia e si accorda con la maggior parte dei fatti constatati
nelle ricerche sui sieri, ha incontrato un favore grandissimo ed è in breve divenuta
famosa.

Quest’ipotesi si fonda sovra un’altra che è stata formulata per spiegare il


meccanismo delle intossicazioni specifiche. Queste intossicazioni consistono,
secondo l’Ehrlich, in una fissazione delle molecole di tossina sulle così dette
catene laterali delle molecole protoplasmatiche, le quali, occupate così da un
elemento eterogeneo e dissolvitore, sono perdute per il protoplasma, e si ha un
difetto fisiologico.
Si ha allora un fenomeno che per primo è stato riconosciuto dal Weigert nella sua
massima generalità: esso si verifica sempre in tutti i processi di rigenerazione e
bioplastici e consiste in questo, che in tutte le perdite che gli elementi viventi
subiscono non si ha una semplice compensazione, ma una sovracompensazione:
in altre parole, nelle rigenerazioni si produce più di quello che era stato perduto.

Applicando questa legge biologica generale, l’Ehrlich dice che la perdita di catene
laterali, che il protoplasma subisce per opera delle tossine è, non solo compensata,
ma sovracompensata, dimodochè si producono più catene laterali di quelle che
erano state occupate e distrutte dalla tossina e queste catene, per dir così
soprannumerarie e superflue per lo svolgimento normale delle funzioni del
protoplasma, si distaccano dalle cellule, passano nei liquidi interstiziali e poi
vanno nel sangue, ove restano, pronte a combinarsi con altre molecole di tossina;
poichè anche queste catene laterali distaccate, conservano quelle affinità
specifiche che possedevano anche quando erano unite alle cellule, e che erano la
causa e la condizione necessaria della sensibilità delle cellule stesse al veleno.

Tanto più vien stimolato, con ripetute e progredienti iniezioni di tossina, il


processo di rigenerazione delle catene laterali, tanto più antitossina si accumula
nel sangue e questo finisce con l’acquistare quelle proprietà di neutralizzazione
delle tossine, che fanno del sangue stesso un elemento di immunizzazione e di
cura.

Ogni antitossina, ed estendendo la ipotesi, ogni anticorpo, risulta dunque, secondo


l’Ehrlich, dalla esagerazione di un processo fisiologico di rigenerazione: la stessa
sostanza che, con la sua presenza nella struttura molecolare delle cellule, è
condizione dell’avvelenamento di queste, diviene poi elemento di guarigione
allorchè, separata dal protoplasma, viene versata nel sangue.

Contro l’ipotesi dell’Ehrlich non tardarono a sorgere serie obbiezioni. Si osservò


anzitutto che, poichè la tossina tetanica tende a fissarsi sul sistema nervoso, la
produzione della antitossina tetanica dovrebbe appunto avvenire per rapidi
processi rigenerativi del sistema nervoso; ora è provato che appunto in questo
tessuto la rigenerazione è lentissima o impossibile. A questa obbiezione si rispose
che la produzione della antitossina deve essere considerata come dipendente dalla
rigenerazione di porzioni di molecole protoplasmatiche e non di intiere cellule e
che tali rigenerazioni debbono avvenire in tutte le cellule funzionanti, come atti
anabolici riparatori delle fasi disintegrative nel metabolismo cellulare.

Il Gruber è stato, fin dal 1901, uno degli oppositori più validi della ipotesi di
Ehrlich e anche di recente è tornato sull’argomento per mostrare i punti deboli di
questa teoria.

Secondo il Gruber, gli anticorpi non sono affatto parti costituenti dell’organismo:
essi sono prodotti di secrezione di determinate cellule del corpo che si formano
sotto l’azione stimolante delle tossine: ma non sono gli organi sensibili al veleno,
bensì altri organi, forse i tessuti ematopoietici, le ghiandole a secrezione interna
ecc., che producono gli anticorpi.
Inoltre, sempre secondo il Gruber, la ipersensibilità verso certe tossine, che
mostrano alcuni animali immunizzati in alto grado, non è compatibile colla teoria
di Ehrlich, secondo la quale non si spiegherebbe neanche il periodo di
incubazione che passa fra l’iniezione di una tossina, ad es., e l’apparire dei
fenomeni di avvelenamento.

A tutte queste obbiezioni l’Ehrlich ha risposto citando serie di fatti e difendendo


strenuamente la propria ipotesi, la quale è ancor oggi argomento di vive ed
interessanti discussioni: l’autore di essa ha indubbiamente il merito di aver
stimolato gli studiosi a nuove ricerche nel campo tanto vasto ed ancor tanto
oscuro dell’immunità.

Leggi di azione delle antitossine.


Che la antitossina agisca direttamente sulla tossina, è dimostrato dal fatto che
adatte miscele di tossina ed antitossina, preparate in vitro, risultano al tutto
innocue per gli animali a cui vengano iniettate. Ciò fu anzitutto dimostrato da
Ehrlich mediante i suoi classici esperimenti con la ricina e l’antiricina e poi da
Kopsch per il siero tossico di anguille, da Stephens e Myers per il veleno del
cobra, da Morgenroth per la crotina, dimodochè su tale argomento non esiste ora
alcun dubbio. Ma sorge adesso la questione di quale natura sia l’azione della
antitossina sulla tossina.

L’ipotesi più semplice e che prima di tutto fu formulata, è stata quella di


ammettere che la tossina sia capace di distruggere la tossina, esercitando su di
essa come un’azione fermentativa, ma questa ipotesi fu ben presto abbandonata,
dopo che si dimostrò che è possibile, in una miscela innocua di tossina e
antitossina, far ricomparire le proprietà tossiche, distruggendo le antitossine con
un adatto riscaldamento (Roux e Calmette, Wasserman). Quindi la tossina non
viene annientata dalla antitossina, ma semplicemente neutralizzata.

Di qual natura è questa neutralizzazione? L’Ehrlich, come corollario della sua


teoria delle catene laterali, considera la neutralizzazione della tossina per opera
della antitossina come una combinazione chimica in proporzioni definite. La
catena laterale distaccata contiene un ricettore specifico a cui si adatta il gruppo
aptoforo della tossina. La conseguenza di questa teoria è che debbano sussistere
quantità equivalenti di tossina e di antitossina, le quali, una volta mescolate fra
loro sempre ed esattamente si saturino.

Ma ricerche quantitative molto accurate hanno mostrato che non sussistono


relazioni così semplici fra tossine ed antitossine e hanno fatto sorgere l’idea che,
nella azione degli anticorpi, si verifichino le leggi dell’influenza delle masse e
dell’equilibrio chimico. Su questo senso infatti furon pubblicati interessanti lavori
da Arrhenius e Madsen, da Michaelis, da Eisemberg, da Bordet e da molti altri.

Secondo questa ipotesi il processo della neutralizzazione della tossina per opera
della antitossina, dovrebbe essere espressa dall’equazione
in cui T rappresenta la quantità di tossina libera, A la quantità di antitossina pure
libera e (TA) la combinazione (non più tossica) della antitossina con la tossina.
Quindi, nello stesso liquido, si dovrebbero trovare sempre quantità di tossina e di
antitossina libere (il che infatti è stato dimostrato sperimentalmente), queste
quantità dovrebbero essere legate tra loro da una determinata relazione, e
l’equilibrio, una volta raggiunto, dovrebbe poter essere spostato a volontà e di
nuovo ristabilito per l’aggiunta di convenienti quantità delle sostanze reagenti.

Arrhenius e Madsen hanno sperimentato con una tossina tetanica (tetanolisina) e


con il corrispondente siero antitossico e son giunti alla seguente conclusione.

La diminuzione dell’attività della tetanolisina per opera della antitossina avviene


probabilmente per la unione di due sostanze. E, come avviene tanto spesso per il
caso di combinazioni organiche, il composto formatosi si scinde di nuovo,
parzialmente, nei suoi componenti, finchè si stabilisce equilibrio. Questo processo
di neutralizzazione potrebbe paragonarsi all’azione dell’acido borico
sull’ammoniaca, e la equazione dell’equilibrio (chiamando Ct la concentrazione
della tossina, Ca, la concentrazione dell’antitossina Cat, la concentrazione della
combinazione formatasi) è

e, secondo Arrhenius, questa legge è stata sperimetalmente confermata con una


buona approssimazione.
Ma ulteriori ricerche, fatte specialmente con la ricina e l’antiricina, mostrano che
questi fenomeni non possono esser rigorosamente rappresentati in modo sì
semplice e le curve che rappresentano le azioni antitossiche mostrano sempre
notevoli irregolarità, in modo che, piuttosto che di un vero equilibrio, si deve
parlare di un pseudo-equilibrio, il quale inoltre non è raggiunto se non dopo un
certo tempo dal momento della mescolanza. Il prodotto della reazione si può di
nuovo scindere, ma solo parzialmente (Madsen), e quando esso si è formato da
poco e in determinate condizioni di tutto il complesso (Calmette); quindi la
reversibilità del processo è certamente incompleta.

Tenendo conto delle proprietà colloidi degli anticorpi, si è tentato anche di


spiegare la loro azione sui corrispondenti antigeni, paragonandola a quello che ha
luogo fra colloidi di segno elettrico differente. È noto, per le ricerche di Biltz e di
altri, che in genere colloidi positivi (che sotto l’azione di una corrente si spostano
nello stesso senso di cationi) sono precipitati da colloidi negativi (che si spostano
come gli anioni) e si pensò quindi che anticorpi ed antigeni reagissero tra loro,
perchè dotati di cariche elettriche di senso opposto. Guidati da tali ipotesi, V.
Henri e Girard Maugin hanno compiuto numerose ricerche, specialmente per
riguardo ai fenomeni di agglutinazione. Fu constatato da prima, che corpuscoli
rossi e bacilli del tifo hanno una carica negativa e si vide anche che sono
agglutinati dall’idrato ferrico colloidale, il quale è positivo: inoltre che si possono
proteggere questi elementi corpuscolari dall’agglutinazione, mescolando all’idrato
ferrico un collide negativo, che agirebbe su questo come un’antitossina. Anche
con altri colloidi minerali si riuscì a rappresentare i fenomeni della
neutralizzazione delle tossine, delle precipitazioni specifiche ecc., ma tuttavia
molti credono che si tratti di semplici analogie, su cui non è lecito fondare una
spiegazion edelle leggi degli anticorpi, molto più che, in fondo, manca una base di
fatto a questa ipotesi, la constatazione cioè, che realmente e in tutti i casi vi sia un
antagonismo elettrico tra anticorpo ed antigene. Al contrario Henri e Girard
Maugin hanno più tardi trovato che, per es., corpuscoli carichi negativamente
vengono agglutinati non solo da colloidi positivi, ma anche da colloidi negativi.

E per ora quindi superfluo ogni tentativo di spiegare l’intimo meccanismo delle
reazioni tra anticorpi ed antigeni, e possiamo solo concludere che i legami, i quali
fra essi si stabiliscono, dipendono da fenomeni di adsorbimento, che la specificità
di questi legami è misurata dalla grandezza delle costanti di repartizione, che le
suddette reazioni sono solo parzialmente reversibili e perciò conducono a strati di
pseudoequilibrio, e finalmente che le deviazioni della legge delle influenze delle
masse si debbono attribuire alla natura colloide delle sostanze reagenti.

Sieri citolici ed emolitici.


Gli studi sulle citolisine ebbero la loro origine dai resultati del Buchner e del
Pfeiffer, quando questi autori dimostrarono che nel sangue di animali immunizzati
compaiono sostanze bactericide. Le alexine del Buchner non sono che citolisine,
le quali agiscono sulle cellule bacteriche.

Ma conoscenze più esatte e profonde del fenomeno della citolisi si ebbero dagli
studi sui sieri capaci di distruggere i corpuscoli rossi ed è perciò che appunto
cominceremo dal prendere in considerazione le emolisine.

La dottrina dell’emolisi risale al 1898. Già precedentemente Buchner aveva


osservato nel siero di sangue normale la così detta proprietà globulicida. Bordet,
partendo da questo fatto, ricercò, se l’azione globulicida del siero, ossia la
proprietà di disciogliere i globuli rossi di sangue si possa artificialmente
aumentare, iniettando nell’animale quantità maggiori di eritociti. Egli vide che,
iniettando più volte nel peritoneo di cavie, sangue defibrinato di coniglio, nel
sangue delle cavie si aveva un enorme aumento della proprietà emolitica. Lo
stesso fatto avevano notato Belfanti e Carbone, iniettando ripetutamente sangue di
coniglio in cavalli; il siero di sangue di cavallo, che normalmente è innocuo per i
conigli, diventava per questi notevolmente tossico.

Il processo della emolisi si svolge nel modo seguente:

Se si mescola il siero emolitico di un animale con una emulsione di eritociti


dell’animale, il cui sangue ha servito alla iniezione, si osserva che i corpuscoli
rossi si raggruppano insieme, in tanti piccoli ammassi che più presto o più tardi, a
seconda della potenza del siero, divengono appiccicaticci e lentamente si
sciolgono, mentre il liquido assume il colore rosso della emoglobina uscita dallo
stroma corpuscolare. Queste ricerche sulle emolisine divennero ancor più
importanti dopo che Bordet ebbe dimostrato che le proprietà emodissolventi dei
sieri dipendono dalla presenza in essi di due sostanze, di cui la diversa natura
risulta dal loro differente comportarsi di fronte al riscaldamento.
Se si iniettano ripetutamente in un animale, per es., in una cavia, sufficienti
quantità di sangue di agnello si può ricavare dalla cavia un siero emolitico per i
corpuscoli rossi di agnello. Se riscaldiamo questo siero a 56°, esso non è più
capace di produrre emolisi, ma la proprietà emolitica riappare, se al siero, reso
inattivo per il riscaldamento, si aggiunge altro siero di una cavia normale, il quale
di per sè non ha alcun potere dissolvente sui corpuscoli rossi di agnello. La
emolisi adunque risulta dall’azione di due sostanze le quali sono:

1.° una sostanza che si produce nell’animale per il trattamento con


corpuscoli rossi eterogenei, che resiste al riscaldamento a 56°, e che perciò è detta
termostabile;
2.° una sostanza che si trova nel siero degli animali normali, e che si
distrugge al riscaldamento a 56°, ed è perciò detta termolabile.
La prima sostanza, la termostabile, è detta da Ehrlich ambocettore o corpo
immunizzante, l’altra è detta complemento o addimento.
È stato anche dimostrato che l’ambocettore si rissa realmente sui corpuscoli rossi.
Se si aggiunge a corpuscoli rossi di agnello, il siero della cavia trattata, reso
inattivo per il riscaldamento e, dopo un certo tempo, si separa accuratamente
questo siero dai corpuscoli rossi, si può constatare che il primo non può essere più
riattivato da siero di cavia normale, i secondi invece si disciolgono appena
vengano in contatto con nuovo complemento.

Secondo l’Ehrlich, il complemento agirebbe come un enzima proteolitico, ma non


potrebbe spiegare la sua azione sui corpuscoli rossi senza l’ambocettore, che
agirebbe da intermediario. Questa è la sostanza specifica, il vero anticorpo, quello
cioè che si produce per il trattamento dell’animale. Invece il complemento,
esistente nel siero normale, non sarebbe dotato di alcuna qualità specifica, e lo
stesso complemento è probabilmente capace di provocare la dissoluzione di varie
specie di cellule.

Tuttavia è stata agitata la questione, se nel siero dello stesso animale si trovi un
solo complemento, bastevole per tutte le azioni citolitiche che il siero può
esercitare, ovvero se ne esistano più. Partigiani della prima opinione sono il
Buchner, il Bordet, il Gruber. L’Ehrlich e il Morgenroth invece affermano che
ogni siero comprende una certa quantità di diversi complementi, e che da altra
parte, nei diversi animali, si ritrovano complementi intieramente identici o uguali
almeno nei loro gruppi aptofori.

L’Ehrlich, insieme anche a Morgenroth, ha cercato poi di rappresentare l’intimo


meccanismo del processo della emolisi. Egli afferma che questo processo dipende
da due combinazioni chimiche specifiche e successive delle sostanze sovra
ricordate, con i protoplasmi dei corpuscoli rossi. Queste fissazioni avvengono per
corrispondenze stereometriche delle molecole reagenti fra loro.

I corpuscoli rossi cioè posseggono, secondo questa ipotesi, ricettori specifici.


L’ambocettore possiede da una parte un gruppo citofilo, che si può congiungere
con uno dei suddetti ricettori, dall’altra un gruppo complementofilo. Il
complemento possiede anch’esso da una parte un gruppo aptoforo, che gli
permette di congiungersi con l’ambocettore e un gruppo zimotossico a cui si
debbono le proprietà distruttive sui corpuscoli, con cui, per mezzo
dell’ambocettore, esso viene ad unirsi.

L’ambocettore ha, secondo Ehrlich, un’origine simile a quella dell’antitossina. Gli


ambocettori esistono normalmente come catene laterali nel protoplasma delle
cellule, servono al loro ricambio e sono pronti a fissare le molecole di plasmi
eterogenei (nel caso inesente plasmi di corpuscoli rossi estranei) che con essi
vengano in contatto. Durante il trattamento con corpuscoli rossi, molti ricettori
cellulari sono occupati e si perdono: questo difetto viene sovracompensato e si
producono ricettori liberi in quantità, i quali, come ambocettori, si versano nel
sangue, che così acquista proprietà emolitiche, purchè in esso esista come,
prodotto naturale, anche il complemento.

Questo schema dell’Ehrlich, sebbene accolto con grandissimo favore e sebbene si


trovi in accordo con molti dati sperimentali, non può essere intieramente
accettato, se si pensa che lo stato odierno delle nostre conoscenze sui colloidi ci
spinge ad allontanarci sempre più dall’idea che le reazioni tra i colloidi stessi e
specialmente tra i proteidi avvengano secondo proporzioni definite. Le ricerche di
Arrhenius in questo proposito (ricerche fatte nell’Istituto stesso di Ehrlich)
condussero questo autore ad affermare, che la reazione tra ambocettore e
complemento, avviene secondo il principio degli equilibri chimici.

Morgenroth trovò che l’ambocettore, assorbito dai corpuscoli rossi, si separa


nuovamente da questi, quando essi siano trasportati in un siero privo di
ambocettore e di complemento, sembra dunque che queste reazioni siano, almeno
parzialmente, reversibili. Sembra anche dimostrato che la quantità di sostanze
dissolvitrici, assorbite dai corpuscoli rossi, dipenda dalla concentrazione di queste
nel liquido (Buchner e Bordet) e Neisser e Vechsberg hanno dimostrato che
sussiste un optimum di concentrazione dell’ambocettore e che, al di là di questo,
la citolisi si rallenta.

Se si studia quantitativamente il decorso della emolisi specifica, si ottengono


curve che hanno un significato molto incerto, perchè molteplici e svariati sono i
fattori che entrano in giuoco in questo processo. Quindi non è ancora ben stabilito
con quale approssimazione il principio della ripartizione e dell’equilibrio venga
verificato nella combinazione dell’ambocettore col complemento e nella unione di
questi con i corpuscoli rossi.

Secondo Bordet, l’ambocettore (sostanza sensibilizzatrice) prepara i corpuscoli


rossi a fissare il complemento, in modo analogo a quello di un mordente che rende
adatta una sostanza ad assorbire un colore e a tingersi quindi stabilmente. Anche
per il fenomeno dell’emolisi adunque si può stabilire un’utile analogia con i fatti
più semplici delle colorazioni elettive.

Dobbiamo aggiungere ancora qualche cosa sulle isolisine. Ehrlich e Morgenroth,


iniettando sangue di capra laccato in altre capre, ottennero sieri capaci di
distruggere corpuscoli rossi di capra e chiamarono isolisine queste sostanze
dissolvitrici. E però notevole che un siero isolitico non è anche autolitico, non è
cioè capace di distruggere i corpuscoli rossi dello stesso sangue, da cui il siero fu
estratto e ciò si spiega ammettendo che, durante il trattamento dell’animale,
mentre si versano nel suo siero gli ambocettori specifici avviene anche una
immunizzazione dei corpuscoli rossi, per cui essi non sono più capaci di fissare
tali ambocettori.

Ascoli ha cercato se esistessero isolisine nel sangue di uomini sani o ammalati e


risultò che i sani non posseggono affatto emolisine o solo in quantità piccolissime,
mentre il sague di ammalati di polmonite, di tifo o di tubercolosi è capace di
sciogliere in un certo grado i corpuscoli di altri uomini normali.

Anche Bezzola ha cercato le isolisine nel siero di sangue di malati di malaria, di


nefrite o di polmonite e le sue ricerche furono positive.

Non posso terminare questo paragrafo sulla emolisi senza, accennare alle
importanti ricerche di Kyes, di Sachs, di Morgenroth e di altri intorno alle
proprietà emolitiche del veleno del cobra.

Questo veleno viene attivato dalla lecitina e sembra che la attivazione sia della
stessa natura di quella che si produce per opera del complemento sul siero
emolitico riscaldato.

Il veleno del cobra cioè conterrebbe un emo-ambocettore e la lecitina agirebbe


come un vero complemento.

Ora alcuni affermano che tra l’emo-ambocettore del veleno e la lecitina, avviene
una vera combinazione in proporzioni definite (la formazione di un lecitide) e, da
ciò, considerando la analogia che sussiste fra emolisi del veleno del cobra e azioni
dei sieri emolitici, traggono un argomento in favore della teoria di Ehrlich. Ma
Arrhenius e Madsen, da determinazioni quantitative sulla reazione che avviene tra
veleno del cobra e lecitina, hanno tratto la convinzione, che anche questa reazione
è reversibile, che conduce ad uno stato di equilibrio e che i legami che si
stabiliscono tra corpuscoli rossi, veleno e lecitina, sono del tipo di un vero e
proprio adsorbimento.

Infine si deve notare che la colesterina agisce come una antiemolisina, cioè
inibisce l’azione emolitica del lecitide del cobra.

L’importanza di queste ricerche scaturisce dal fatto che si possono così produrre
fenomeni identici a quelli che si verificano con gli sconosciuti anticorpi, mediante
sostanze relativamente ben definite, quali sono le proteine tossiche del cobra, le
lecitine, la colesterina ed analoghi composti.

Sieri bactericidi curativi


Il valore pratico degli studi sulle citolisine ci si palesa subito, se si pensa che a
questi studi sono legate le questioni importantissime che riguardano i sieri
curativi, bactericidi. Dopochè furono scoperte le proprietà bactericide dei liquidi
dell’organismo, e furono ben riconosciute queste proprietà sia in vivo che in vitro,
sorse naturale l’idea di far nascere poteri antibacterici, in un animale che ne sia
privo, mercè l’iniezione di un siero già elaborato da un altro animale reso
attivamente immune: in altre parole si pensò di provocare la guarigione delle
malattie infettive mercè sieri dotati di proprietà bactericide.

Come ho accennato in un articolo precedente (V. questa Rivista N. XIII-1. Vol.


VII. an. IV. 1910), fu il Pfeiffer che per primo constatò le proprietà bactericide del
siero normale, e vide che queste aumentavano per mezzo delle pratiche vaccinali,
a cui l’animale veniva sottomesso. Per mezzo della iniezione di colture di colera
nelle capre, ottenne da queste un siero fortemente bactericida. Anche Wassermann
ricavò dalle capre immunizzate un siero bactericida contro il vibrione del colera e
poi furono ottenuti altri sieri antibacterici contro il tifo (Wright) contro il
bacterium coli (Löffler e Abel) contro il bacillo del carbonchio sintomatico e
dell’edema maligno (Leclainché e Merel) contro la peste (Yersin, Lustig e
Galeotti) contro il carbonchio (Sclavo e Ottolenghi).

I metodi per ottenere i sieri bactericidi da un animale, consistono al solito


nell’iniettare ripetutamente nell’animale i bacteri stessi, contro i quali si vuol
ottenere un siero attivo.

Alcuni usano, a questo scopo, di iniettare culture intiere, uccise col calore o con
antisettici; altri introducono nell’animale i soli bacteri morti o vivi e attenuati od
anche ben virulenti; altri infine hanno pensato di iniettare i soli costituenti tossici
dei bacteri, cioè i muleoproteidi; così Lustig e Galeotti ottennero il siero
bactericida contro la peste.

Anche il siero di animali e di uomini guariti da una infezione ha potere


bactericida, come è stato riscontrato in casi di tifo e di colera (Lazarus).

È pur notevole il fatto che gli estratti di organi emopoietici possono esercitare
azioni antibacteriche simili a quella del siero. Marx, Pfeiffer e Deutsch trovarono
che gli estratti di milza sono attivi quanto il siero. Wassermann afferma che il
potere immunizzante del midollo osseo di conigli vaccinati contro il
pneumococco, stava a quello del siero degli stessi animali come 10 a 4 e queste
conclusioni furono confermate da Römer. Se si tien conto di questi resultati e di
quelli del Deutsch, secondo cui l’estirpazione della milza durante il trattamento
vaccinale, fa abbassare il potere bactericida del siero, sorge naturale l’ipotesi che
le bacteriolisine si producano negli organi emoposiatici.

Le bacteriolisine, agiscono solo sui germi infettivi, non sui loro prodotti tossici, e
questa azione in generale si limita solo alla specie bacterica, che è causa della
infezione, contro la quale l’animale fu immunizzato. In altre parole, le
bacteriolisine hanno un’azione specifica, donde la possibilità di utilizzare un siero
contenente bacteriolisine per la diagnosi differenziale fra specie microbiche affini
(per es. fra il bacillo del tifo ed il bacterium coli).

Il processo bactericida non differisce in nulla da quello dell’emolisi. Anche nel


siero bactericida, si trova una sostanza termostabile, specifica — ambocettore —
la quale si produce sotto l’azione delle pratiche vaccinali e una sostanza
termolabile — complemento — che è un costituente normale del siero. Per questo
se si riscalda a 50° — 60° per qualche minuto, un siero bactericida, esso perde in
vitro la sua azione, ma può riaquistarla se ad esso si aggiunga una piccola quantità
di siero normale di cavia o di capra, che pure in sè non è bactericida. Fraenkel e
Sobernheim osservarono che, mediante riscaldamento sopra 70°, si possono
togliere intimamente ad un siero le sue proprietà bactericide: tuttavia questo siero,
se è inoculato negli animali da esperimento prima di infettarli con colture
virulente di vibrioni colorigeni, può riuscire ad immunizzarli.

In egual modo di ciò che avviene per la emolisi, anche nella bacteriolisi,
l’ambocettore si fissa tenacemente sulle cellule batteriche. Bail ha trovato infatti
che un siero bactericida, mantenuto per un certo tempo in contatto con una grande
quantità di bacteri sui quali è attivo, perde al tutto il suo potere, dopo che è
separato da questi, e tal resultato fu confermato da Wright e da Windsor, i quali
constatarono che si può diminuire il forte potere bactericida del siero umano,
tenendolo in contatto con vibrioni colerigini o con bacilli tifosi uccisi.

I complementi bacteriolitici, che sembra esistano in ogni specie di sangue sono,


secondo l’opinione dei più, differenti dai complementi emolitici, e sembra che,
anche per riguardo agli stessi bacteri, sussistano nei vari animali più specie di
complementi. Le differenze dei poteri bactericidi dei vari sieri non si devono
dunque attribuire tutti agli ambocettori, ma anche ai complementi. Può darsi che
un animale, malgrado un trattamento razionale di per sè efficacissimo, non riesca
mai a fornire un siero bactericida, perchè in esso, se vi si possono produrre
ambocettori, non si può produre complemento, il quale manchi per ragioni
congenite di costituzione: questo siero però può essere attivato, mescolandolo con
altro siero ricco di complemento.

Neisser e Vechsberg hanno dimostrato che per un’efficace bacteriolisi


ambocettore e complemento debbono esistere fra loro in determinati rapporti
quantitativi, talchè, se l’ambocettore è in eccesso il potere battericida di un siero
può essere abolito.

Questo fatto ci può spiegare gli insucessi, che spesso si hanno nella preparazione
dei sieri bactericidi. Immunizzando fortemente un animale, si può far sì che nel
suo sangue vengano a trovarsi grandi quantità di ambocettori, mentre il
complemento è scarso: allora il siero è inefficace. Si potrebbe con ciò essere
indotti a pensare che, per accrescere il valore curativo dei sieri fosse sufficiente
aggiungere siero normale al siero tolto dall’animale immunizzato, ma dai vari
esperimenti fatti in questa direzione non si sono ricavati resultati confortanti e si è
visto che in ogni modo bisognerebbe iniettare siero normale di un animale della
stessa specie di quella a cui appartiene l’organismo che si vuol curare. Quindi in
ogni modo questo metodo non sarebbe applicabile all’uomo.

Le poche notizie che ho dovuto restringere nelle pagine precedenti, bastano


tuttavia per mostrare come questo argomento dei sieri specifici sia uno dei più
belli e fecondi della biologia.
Da una parte l’interesse teorico che destano questi fenomeni così complessi e
delicati delle reazioni specifiche tra i costituenti proteici degli organismi, in modo
che ogni essere vivente ci si manifesta come un laboratorio chimico, in cui si
producono sostanze dotate di squisiti caratteri propri e speciali e capaci di
determinate attività, sostanze che mai si potranno ottenere in altro modo, anche se
la chimica fisiologica finisse col raggiungere quell’altissimo desideratum che è la
sintesi della proteine.

Dall’altra parte la grandissima importanza pratica dei sieri specifici, per i quali si
è aperta una nuova via alla terapeutica delle malattie infettive. Risultati preziosi
per la vita umana si sono già ottenuti con alcuni sieri, di cui il valore preventivo e
curativo è indiscusso, altri resultati, per la cura delle malattie più gravi e più
ribelli, ci attendiamo dagli studi e dalle ricerche che incessantemente si compiono
in tanti laboratori con indefessa operosità e con fede incrollabile. Oltre a ciò i sieri
specifici sono utili mezzi per la diagnosi di alcune malattie e per il riconoscimento
di certe sostanze proteiche, e di ciò l’igiene e la medicina legale hanno fatto
utilissime applicazioni.

Napoli, Università.

GINO GALEOTTI

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