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I L P O S I T I V I S M O N E L L A S E C O N D A M E T A' D E L L' O T T O C E N T O

UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA

Il termine "positivismo" in senso stretto designa la filosofia di Comte (che con esso indica la propria dottrina), per
estensione il pensiero di Stuart Mill e con un'estensione ancora più ampia il pensiero di Herbert Spencer (1820-1903).
Tuttavia, questa delimitazione così severa rischia di fare perdere di vista il profondo intreccio che si crea
durante l'Ottocento tra gli sviluppi della scienza e quelli del pensiero filosofico. Pertanto è lecito parlare di
"positivismo" per indicare una diffusa e persistente "mentalità"; una mentalità radicata non solo nei circoli filosofici ma
anche tra gli scienziati di professione che spesso elaborano una propria visione del mondo in parte autonoma dalle
dottrine filosofiche dominanti ed infine in molti settori dell'opinione pubblica.
Vi è una differenza tra il positivismo della prima metà del secolo, dominato dalla figura di Comte e poi da
quella di Stuart Mill, e il positivismo del secondo Ottocento, che si sviluppa in modo più frammentario e disomogeneo,
ma in cui è senza dubbio centrale la figura di Spencer. Questa diversità va ricondotta alla svolta profonda segnata dalla
metà del secolo, sia per quanto riguarda il contesto storico sia per l'evoluzione delle scienze in forme difficilmente
prevedibili ai tempi di Comte. Un fattore di continuità è comunque assicurato dall'importanza che ebbe per gli ambienti
filosofici e scientifici lo sviluppo del dibattito tra alcuni allievi di Comte da un lato, in particolare Émile Littré (1801-
81) e Pierre Lafitte (1823-1903), e Stuart Mill dall'altro. Lo svolgersi di questo dibattito va visto in stretto rapporto con
i mutamenti profondi della struttura delle scienze che si producono a partire dagli anni '4O. Anzi, il graduale
arretramento dell'influenza di Comte rispetto a quella di Stuart Mill, molto più attento ai problemi metodologici, appare
come il segno di una maggiore urgenza della domanda di tipo epistemologico. Come modello influente si impone
proprio la logica induttiva, su cui è centrata gran parte dell'opera di Stuart Mill.
Accanto agli interessi metodologici permane comunque l'esigenza di una visione del mondo che unifichi una
moltitudine crescente di saperi scientifici sempre più specializzati e tendenzialmente isolati. La filosofia evoluzionistica
di Spencer assolve in parte a questo compito e inoltre, specie nell'area tedesca, si diffonde, proprio tra gli scienziati di
professione, una concezione di tipo materialistico-meccanicistico. Tra gli scienziati e in una parte dell'opinione
pubblica colta, si sviluppa la convinzione che la scienza sia in grado di dare una risposta a domande che fino ad allora
erano state dominio della filosofia. La tendenza alla specializzazione trova un antidoto anche nella ricerca di leggi
capaci di unificare tutti i fenomeni naturali riducendoli a pochi principi fondamentali. Nel complesso, il positivismo
nella seconda metà del secolo XIX non si presenta come una dottrina filosofica organica, né come un'univoca ideologia
sociale e politica, ma piuttosto come espressione di una vera e propria mentalità collettiva.

IL CONTESTO STORICO

A partire dagli anni '5O, la società industriale si è ormai affermata in gran parte dell'Europa in forme diverse a
seconda delle strutture socio-economiche preesistenti. Dopo il 1848, che sembrava inaugurare una lunga ondata
rivoluzionaria, si apre al contrario un periodo di circa venticinque anni di relatività stabilità, caratterizzato dalla
diffusione del capitalismo industriale e da una costante espansione che appare come il trionfo internazionale della
borghesia e del libero scambio. Di segno diverso è l'ultimo quarto del secolo, segnato da una forte recessione che
accentua la conflittualità tra gli stati e i loro sistemi economici. Declina il mito del liberalismo puro e prende avvio l'età
dell'imperialismo. Si accentuano i processi di razionalizzazione del capitalismo mondiale e di "massificazione" della
società.
Tuttavia, malgrado la diversità tra le due fasi, la seconda metà dell'Ottocento presenta una certa continuità
nella graduale estensione dei rapporti capitalistici dalla fabbrica all'intero ambito sociale e nella sempre maggiore
applicazione della scienza ai processi di produzione. La fiducia nella scienza e nella tecnica, tratto fondamentale della
mentalità positivistica, proviene quindi da un sempre più fruttuoso impiego della conoscenza scientifica che, specie
nell'ultimo quarto del secolo si traduce in nuove tecnologie industriali, in particolare nel campo della chimica e
dell'elettromeccanica. La stessa crisi economica del ventennio 1873-95 stimola l'uso massiccio della tecnologia nella
ristrutturazione dei processi produttivi.
Anche il sistema dell'istruzione viene modificato, prima ai livelli alti (scuola superiore e università), poi sul
finire del secolo anche al livello della scolarizzazione di massa. Si riformano i programmi dando molto più spazio ad
un'educazione tecnico-scientifica, vengono aperte numerose università di indirizzo scientifico. Si assiste ad una
diffusione molto ampia dell'informazione scientifica, anche come divulgazione diretta a livello del grande pubblico,
attraverso pubblicazioni periodiche e associazioni. I grandi temi della ricerca scientifica vengono "volgarizzati" e
assumono una risonanza che va ben oltre i confini della ricerca in senso stretto.
Mai prima d'ora le condizioni di vita delle masse erano tanto mutate. Cresce l'aspettativa nei confronti del
progresso tecnologico, aspettativa che non viene scossa neanche quando sul finire del secolo le contraddizioni socio-
economiche e politiche si fanno sempre più acute.
LO SVILUPPO DELLE SCIENZE

A partire dagli anni '4O il quadro delle scienze si modifica profondamente; il pensiero di Comte si diffonde
rapidamente, promuovendo una proliferazione di forme diverse della mentalità positivistica. Si verifica una crescente
istituzionalizzazione della ricerca che a sua volta favorisce gli scambi tra diverse comunità scientifiche. Questa
internazionalizzazione della scienza è anche il veicolo per una sempre più omogenea diffusione del metodo e delle
tecniche d'indagine; a cií contribuisce anche la sempre maggiore efficacia che deriva alle scienze applicate dall'uso
della matematica nell'indagine sulla natura. Si ha una ripresa della ricerca teorica sui fondamenti e sulle strutture della
matematica: viene avviata una rigorizzazione dell'analisi che punta a superare quanto di intuitivo-geometrico c'era
ancora nel calcolo e si sviluppano ricerche sull'algebra e sulle geometrie non-euclidee. Si può parlare pertanto di una
riaffermazione del tradizionale primato della matematica, resa più autonoma rispetto alle sue applicazioni nello studio
della fisica.
Nel campo della fisica viene messo in discussione il modello newtoniano. Vanno ricordate la critica alla teoria
corpuscolare della luce, la scoperta della connessione tra i fenomeni elettrici e quelli del magnetismo, una nuova teoria
sull'elettricità intesa come vibrazione dell'etere. Ma senza dubbio le ricerche di maggiore importanza sono quelle che
portano James Clerk Maxwell (1831-79) allo sviluppo della teoria dei campi. La nozione di "campo" era già sta definita
da Michael Faraday (1791-1867) per spiegare alcuni fenomeni elettromagnetici, ma solo Maxwell dà ad essa una
precisa veste matematica nel 1861 e ne sviluppa tutte le implicazioni. In un primo tempo, Maxwell elabora un modello
rigorosamente meccanico del campo, rafforzando quindi il primato della meccanica e il progetto di riduzione ad essa
delle altre scienze. Malgrado cií, agli occhi dei contemporanei la teoria dei campi appare come un netto superamento
della spiegazione newtoniana dei fenomeni elettrici che veniva considerata, dalla cultura ottocentesca, in tutto e per
tutto coincidente con il meccanicismo. Pertanto le teorie di Maxwell hanno per la comunità scientifica e filosofica del
tempo un valore "antimeccanicistico". In realtà, solo sul finire del secolo l'aspetto meccanicistico della teoria dei campi
viene abbandonato, senza perí che si metta in discussione il valore delle equazioni di Maxwell.
Le ricerche che hanno maggiore influenza sul rinnovamento della fisica sono quelle compiute nel campo della
termodinamica da Julus Robert von Mayer (1814-78), James Prescott Joule (1818-89) e Hermann Helmholtz (1821-94),
che portano all'individuazione del primo principio della termodinamica, evento cruciale nella storia della scienza
moderna. Tale principio enuncia la conservazione dell'energia nell'universo, da cui consegue che la natura ha una data
quantità di forza attiva immutabile. Il merito di averne dato una formulazione in termini generali e coerenti con la
concezione meccanicistica va ad Helmholtz, che muove dall'analisi del problema del rapporto tra calore e lavoro
nell'animale. Egli affronta questo problema, questione centrale nelle ricerche fisiologiche dell'Ottocento, su un piano
strettamente fisico e giunge alla prima rigorosa esposizione fisico-matematica del principio, la quale gli permette di
precisare l'aspetto quantitativo dell'equivalenza tra lavoro e calore. Egli si sente così legittimato ad estendere la validità
del principio indifferentemente ai fenomeni fisici e agli organismi viventi, mostrando chiaramente che la sua
formulazione è più il frutto di un'esigenza di sistemazione teorica che il prodotto di una specifica ricerca sperimentale.
Viene così dimostrata, ancora una volta, la fecondità del modello meccanicistico. Infatti il primo principio della
termodinamica appare ai sostenitori di una concezione meccanicistico-materialistica come la legge ultima della realtà
fisica che garantisce sia la stabilità e l'eternità dell'universo, sia il suo svolgimento incessante. Tale principio infine
rende possibile l'unificazione di tutti i campi delle scienze naturali. Un'interpretazione diversa viene invece data del
secondo principio della termodinamica, che sancisce l'irreversibilità della trasformazione del lavoro in calore, anticipato
da Sadi Carnot (1796-1832), ma formulato compiutamente da Rudolph Clausius (1822-88) e da William Thomson
(1824-1907). Da esso si ricava l'ipotesi di una generale degradazione dell'energia e quindi di una possibile "morte
termica" dell'universo. Sul finire del secolo questo principio, interpretato sempre come legge ultima della realtà fisica,
viene utilizzato per negare validità alla tesi meccanicistica.
Lo sviluppo della fisiologia esercita una profonda influenza sul mutamento della biologia, che a sua volta ha
una forte risonanza anche in campo filosofico, tanto che alla biologia spetta un posto centrale nella riflessione sulla
natura della scienza nella seconda metà del secolo. Vanno ricordati per la loro importanza la formulazione della
moderna teoria batteriologica da parte di Louis Pasteur (1822-95), ma soprattutto il progressivo abbandono della teoria
vitalistica, sostituita da una concezione meccanicistica. Il maturare della crisi del vitalismo si deve allo sviluppo delle
ricerche dei fisiologi e dei chimici. La formulazione della teoria cellulare permette una nuova spiegazione unitaria di
tutti i livelli della natura organica in chiave antivitalistica, anche se talvolta essa viene utilizzata solo per un semplice
aggiornamento del vitalismo. In seguito si produce una vera e propria transizione ad una concezione antifinalistica,
chiaramente meccanicistica, grazie ai progressi nel campo della sperimentazione e dell'indagine chimica sui fenomeni
fisiologici. Di particolare rilievo il contributo dato da Claude Bernard (1813-78) nell'indirizzare la fisiologia verso una
netta impostazione di laboratorio, in linea con lo sviluppo tecnologico del tempo. Bernard, che si muove ancora
all'interno dell'influenza di Comte, oltre che essere un grande sperimentatore, si applica anche a problemi metodologici,
sostenendo un rigido determinismo come principio ultimo delle scienze sperimentali. Al superamento del vitalismo in
fisiologia e al conseguente affermarsi della riduzione dei fenomeni biologici a quelli fisici contribuisce ancora
Helmholtz, che affronta i problemi della fisiologia sul piano della fisica.

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Per comprendere la tendenza di fondo dello sviluppo scientifico è necessario considerare anche le
trasformazioni della chimica che, a loro volta, sono intrecciate profondamente sia con quelle della fisiologia, sia con
quelle della fisica. La chimica rappresenta meglio di altre scienze il carattere sperimentale di quelle discipline che
hanno essenzialmente il fine di trasformare la realtà e l'esigenza metodologica di una osservazione più diretta dei
fenomeni naturali. Sul piano teorico la concezione filosofica che ottiene il maggiore consenso è di tipo materialistico-
meccanicistico e i risultati delle ricerche chimiche e biologiche contribuiscono a corroborare questa concezione. Infatti
lo sviluppo del concetto di valenza porterà a ricondurre la chimica alla fisica. La stessa elaborazione della teoria
molecolare, una vera e propria ridefinizione della struttura della materia, avanzata già da Amedeo Avogadro (1776-
1856) nella prima metà del secolo, viene accettata solo a partire dagli anni '60. Viene inoltre formulata da Dmitrij
Mendeleev (1834-97) la tavola degli elementi. Infine nasce la chimica organica quando vengono sintetizzate in
laboratorio alcune sostanze che si riteneva potessero essere prodotte solo da organismi. Ciò contribuisce a creare
l'ingenua illusione che la chimica avrebbe potuto riprodurre ogni tipo di sostanza.
Completa il quadro lo sviluppo delle cosiddette scienze "baconiane": la geografia, la geologia, la botanica, la
zoologia.
Nel complesso i mutamenti delle scienze, a partire dagli anni '40, convergono di fatto verso l'unificazione delle
leggi del mondo organico con quelle del mondo inorganico.

LA DIFFUSIONE DEL PENSIERO DI COMTE E DI STUART MILL

I mutamenti della struttura del sapere scientifico, prodottisi a partire dagli anni '40 influiscono sulla ricezione
del pensiero di Comte e Stuart Mill da parte della cultura europea. Le trasformazioni delle scienze provocano
soprattutto lo sviluppo di una riflessione metodologica e da questo punto di vista il pensiero di Stuart Mill viene
considerato strumento più efficace rispetto a quello di Comte, in quanto si presenta più vicino alla pratica della scienza.
Il pensiero di Comte al contrario sembra superato più rapidamente dagli sviluppi scientifici. La sua influenza è più
marcata nell'ambito delle scienze sociali e contribuisce soprattutto alla costruzione di una visione complessiva del
processo storico.
Nell'insieme, comunque, proprio il dibattito durato a lungo tra i sostenitori di Comte e quelli di Stuart Mill
contribuisce a rafforzare l'esigenza di ridefinire lo statuto epistemologico delle leggi scientifiche. Più che in Francia,
dove l'influenza del comtismo, specie nei suoi aspetti "religiosi" e socio-politici, è molto forte, è in Inghilterra e in
Germania che si sviluppa questa revisione metodologica delle scienze.
Cií che infine segna il superamento del pensiero di Comte è la tendenza ad assumere sempre di più la
conoscenza scientifica, nei suoi nuovi aspetti, come modello per la conoscenza filosofica. Tuttavia l'elemento di rottura
sta soprattutto nell'affermarsi di una nuova teoria scientifica, l'evoluzione della specie per selezione naturale di Charles
Robert Darwin (1809-82), che diventa una vera e propria chiave di lettura filosofica del mondo: l'evoluzionismo.

LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE E DARWIN

E' necessario innanzitutto distinguere tra "teoria dell'evoluzione" ed "evoluzionismo". Con quest'ultimo
termine si indica una serie di dottrine filosofiche che vedono nell'evoluzione il carattere fondamentale dell'universo
nella sua totalità, la prima delle quali è stata sviluppata da Herbert Spencer (1820-1903). Invece con "teoria
dell'evoluzione" ci si riferisce a quel complesso di teorie biologiche che, a partire dal Settecento, ipotizzano la
trasformazione delle specie viventi le une nelle altre. Il primo a prospettare in forma scientifica questa ipotesi, detta
"trasformista", è Jean Baptiste Lamarck (1744-1829), che la espone in una serie di opere a partire dal 1800, ma
soprattutto nella Fisiologia zoologica (1809).
L'idea di una storia o evoluzione naturale dell'universo era stata già formulata nell'ipotesi Kant-Laplace, e
Buffon aveva sviluppato la tesi di una storia delle trasformazioni geologiche. Nonostante alcune ipotesi trasformiste
formulate dallo stesso Buffon, da Diderot e da altri, in campo biologico era invece dominante la concezione della fissità
delle specie, create da Dio, secondo la quale la natura sarebbe l'attuazione di un progetto finalistico che organizza
armoniosamente i reciproci rapporti di utilità tra le specie. Lamarck sostiene al contrario che le specie mutano per
effetto dell'ambiente, riprendendo il principio aristotelico che la funzione determina la struttura dell'organo. Le
caratteristiche assunte dagli individui verrebbero poi trasmesse ereditariamente.
I risultati della paleontologia, dell'anatomia comparata, della geologia sembravano ormai rendere naturale
l'accettazione dell'ipotesi evoluzionistica, ma ancora nel 1830, in una celebre disputa all'Accademia delle Scienze di
Parigi, Georges Cuvier (1769-1832) sviluppa, in fortissima polemica con la teoria dell'evoluzione, l'ipotesi
"catastrofista" secondo la quale i fossili, tracce delle specie scomparse, sono la testimonianza di immense catastrofi. Le
specie comparse in seguito, pertanto, sono nuove e non discendono in alcun modo dalle precedenti. Viene così
salvaguardata la fissità delle specie legata alla dogmatica religiosa, specie in Inghilterra dove era molto forte il nesso fra
tradizione biblica e ricerca scientifica.

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Alla fine degli anni '30, dopo il suo celebre viaggio intorno al mondo, Darwin viene elaborando una nuova
teoria dell'evoluzione. Muovendo, almeno in via di principio, da un atteggiamento fortemente induttivistico (ispirato
dall'autorità esercitata da Stuart Mill sulla cultura inglese), Darwin rende pubblica la propria ipotesi con l'Origine della
specie solo nel 1859, dopo avere rischiato di essere anticipato da un altro ricercatore, Alfred Russell Wallace (1823-
1913). Il lungo intervallo tra il momento dell'elaborazione e quello della pubblicazione delle sue tesi trova una
spiegazione nel rigore con cui Darwin, paziente accumulatore di una grande mole di fatti, si era dedicato per molti anni
allo studio di un gruppo di crostacei poco noto, cercando di un ulteriore fondamento empirico alla propria ipotesi.
Questa non puí essere considerata un aggiustamento del trasformismo di Lamarck. Al di là del concetto comune di
evoluzione delle specie, i due nuclei teorici sono del tutto diversi, tanto che i seguaci di Darwin e quelli di Lamarck
continueranno ad affrontarsi per tutto l'Ottocento e sino ai primi anni del Novecento. Il darwinismo in senso stretto farà
fatica ad affermarsi tra gli scienziati della seconda metà del secolo XIX e sarà più diffusa invece una versione
aggiornata, talvolta per mezzo della stessa ipotesi di Darwin, dell'evoluzionismo lamarckiano.
Il nocciolo teorico dell' Origine della specie sta nell'introdurre, in sostituzione della tesi dell'adattamento
all'ambiente sostenuta da Lamarck, il nuovo concetto della selezione naturale. Grazie al meccanismo della selezione
naturale, si stabilisce tra le specie una continuità e l'evoluzione viene assicurata dagli individui che si dimostrano più
adatti, che sopravvivono alla "lotta per la vita" e che quindi tramandano ereditatariamente le loro caratteristiche.
Darwin, dunque, esclude che l'ambiente possa influire direttamente sugli organismi. Il concetto di selezione naturale si
risolve negli altri due concetti di "lotta per la vita" e di "variazione". Il primo è colto da Darwin nell'opera di Malthus, il
quale aveva sostenuto che il rapporto tra popolazione e risorse è sempre sfavorevole e quindi comporta una selezione
degli individui e delle specie. Il secondo costituisce l'aspetto originale della teoria darwiniana, ed è quello che incontra
maggiore ostilità negli ambienti scientifici. La possibilità che all'interno di una specie si selezionino gli individui più
adatti implica che tra gli individui appartenenti ad una specie si sviluppino delle variazioni anche molte piccole. Le
variazioni erano state quasi un fattore disturbante per la maggioranza dei biologi, mentre per Darwin le variazioni
favorevoli all'adattamento sono proprio quelle caratteristiche che, da patrimonio di pochi individui, possono divenire
dominanti e quindi determinare l'evoluzione della specie. Solo grazie a questo meccanismo la lotta per l'esistenza non
ha solo una funzione distruttiva, ma diventa forza produttrice di nuove specie. Non si deve comunque intendere il
processo di selezione come un lineare progresso nella struttura degli organismi viventi, poiché la selezione potrebbe
produrre anche un organismo più semplificato dei suoi predecessori, ma più adatto all'ambiente: in Darwin non è
presente l'idea di un necessario perfezionamento progressivo degli organismi.
Poiché il concetto di variazione viene da più parti interpretato come totale assenza di cause, Darwin viene
accusato, specie negli ambienti della fisiologia sperimentale, di introdurre la nozione di caso e, pertanto, di stravolgere
il concetto di causalità. E' significativa, a questo riguardo, la totale incomprensione mostrata verso il darwinismo da
Bernard, il maggiore fisiologo francese dell'Ottocento.
Anche gli ambienti positivistici francesi mostrano una forte ostilità verso l'ipotesi di Darwin. Per i due più
importanti allievi di Comte, Littrá e Lafitte, Darwin non rispetta i fatti, ma costruisce un'azzardata ipotesi, oltretutto di
tipo materialistico; egli cioá reintrodurrebbe la metafisica nella scienza. In effetti la valenza ipotetica della teoria di
Darwin è molto forte, anche ben oltre le sue stesse intenzioni. Lo stesso Stuart Mill era intervenuto nella polemica
sostenendo che la teoria della selezione naturale era conforme ad un uso corretto dell'ipotesi ma, proprio perché
ipotesi, essa non era vera teoria scientifica e non portava un gran contributo al sapere scientifico. In realtà nell'opera di
Darwin si cela un nuovo modo di intendere la ricerca scientifica che stenta ad essere accettato, specie dai positivisti
sostenitori di un rigido ed ingenuo induttivismo.
Ma le reazioni più negative Darwin le scatena per avere posto in discussione ogni concezione di tipo
teleologico e quindi per avere contrapposto il metodo scientifico alla tradizione religiosa. Egli ipotizza un processo che
solo grazie alle leggi fisse della natura produce un autonomo passaggio dal disordine all'ordine. Lo scontro è reso più
acuto dalle conseguenze che la tesi di Darwin ha sul problema dell'origine dell'uomo. Nel 1871 egli pubblica l'Origine
dell'uomo e la selezione naturale in rapporto al sesso, in cui sostiene che l'uomo è una forma evoluta di alcune scimmie
antropomorfe e che anche le facoltà elevate dell'uomo sono il frutto della sua evoluzione per mezzo della selezione
naturale. Lo scontro ideologico con le autorità religiose e con la mentalità dell'età vittoriana è decisamente aspro e solo
intorno agli anni '80 si avvia un superamento della polemica, quando la diffusione della filosofia di Spencer rende
accettabile il concetto di evoluzione mutandone, tuttavia, il significato. Spencer infatti estende l'idea di evoluzione
anche al piano sociale, facendo violenza alle precauzioni con cui Darwin aveva sempre sostenuto che la selezione
naturale non andava intesa in senso antropomorfico.

L'EVOLUZIONISMO SOCIALE DI SPENCER

La filosofia di Spencer dà un'impronta dominante ad una nuova ondata positivistica negli anni '70. Egli riesce a
offrire una risposta a quell'esigenza di una nuova visione del mondo che si era creata con il graduale emergere di una
certa inadeguatezza della filosofia comtiana rispetto agli sviluppi della scienza. Esigenza alla quale non poteva dare
soddisfazione lo spiccato metodologismo di Stuart Mill. Inoltre Spencer, assorbendo e rielaborando il senso della teoria
dell'evoluzione, sa sviluppare una filosofia organica adeguata al mutamento di contesto storico che si verifica a partire

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dagli anni '70. La sua influenza è ampia e protratta nel tempo, indipendentemente dalla profondità del suo pensiero che
spesso non va oltre forzate generalizzazioni di alcune ipotesi scientifiche. Questo successo sta a dimostrare quanto
fosse ormai radicato il bisogno di una visione d'insieme della realtà. La risposta di Spencer non è l'unica, ma certamente
la più diffusa.
Già agli inizi degli anni '40, quando prende la decisione di lasciare la professione di ingegnere ferroviario per
intraprendere quella di scrittore (fin da giovane rifiuta la strada accademica), Spencer accetta la teoria dell'evoluzione di
Lamarck e nella sua prima opera, Statica sociale (1850), dedicata a problemi di etica, anticipa una trasposizione
dell'evoluzione biologica in una teoria dell'evoluzione sociale. Egli pensa che la civiltà progredisca grazie al
"meccanismo" dell'adattamento della specie umana all'ambiente. Quando nel '59 Darwin pubblica l'Origine della
specie, Spencer ha già progettato gran parte del suo sistema e nell'opera di Darwin trova la necessaria base scientifica.
Egli rifiuta il termine "positivismo" per la propria filosofia, nel timore di essere associato a Comte, preferendo invece
l'espressione "sistema di filosofia sintetica", e ne progetta l'articolazione in una fitta successione di opere, che si apre
con i Primi principi (1862) e si sviluppa poi in una serie di ricerche dedicate alle singole scienze: Principi di biologia
(1864-67), Principi di psicologia (1870-72), Principi di sociologia (1876-96), Principi di moralità (1892-93).
Il fine di Spencer è quello di determinare la legge del progresso intesa come una legge avente portata
universale, valida per ogni tipo di fenomeno, e concepita essenzialmente come passaggio dall'omogeneo e
indifferenziato all'eterogeneo e differenziato. Spencer pone come oggetto della ricerca filosofica questa legge; ma per
legittimare questo ruolo della filosofia deve prima ridefinire i domini di tutti i saperi, anche di quello scientifico e di
quello religioso, individuando i loro oggetti specifici. I caratteri essenziali del sistema di filosofia sintetica nascono da
questa operazione, condotta a partire da una concezione empirista dell'origine della conoscenza. I confini tra i differenti
campi del sapere erano già stati messi in discussione dalla rapida crescita delle scienze. Lo scontro tra scienza e
religione è il più antico e il più importante dei conflitti sorti tra i diversi saperi, e la polemica tra Darwin e le autorità
religiose ne era il segno più evidente. Spencer cerca invece di assicurare una coesistenza di questi saperi teorizzando
una divisione dei compiti e ritiene di potere operare questa riconciliazione proprio perché i tempi sono ormai maturi,
grazie all'evoluzione della civiltà.
La conoscenza muove sempre dall'esperienza e la scienza appare la sola spiegazione possibile dei fatti,
pertanto essa assicura una prima unificazione dei dati dell'esperienza. Un primo grado di generalizzazione permette di
individuare nella materia, nel movimento e nella forza i tre principi primi della realtà conoscibile. Si tratta di idee
scientifiche che, tuttavia, non sono che semplici simbologie del reale; il potere che l'universo manifesta attraverso
questi principi rimane del tutto imperscrutabile alla scienza.
Alla filosofia spetta il compito di sviluppare il livello di più alta generalità, e quindi di individuare i principi
della filosofia: indistruttibilità della materia, continuità del movimento, persistenza della forza. Con un ulteriore
passaggio, la filosofia arriva a definire la legge universale alla quale questi principi rimandano e che regola la
distribuzione continua di materia e movimento nell'universo: la legge dell'evoluzione, con le connesse nozioni di
omogeneo ed eterogeneo. Compito della riflessione filosofica è quindi, secondo Spencer, quello di sviluppare una
teoria generalissima dell'evoluzione.
Tuttavia né la scienza né la filosofia possono spiegare i primi principi, in quanto essi non possono essere
ricondotti a nient'altro. A questo proposito Spencer introduce il concetto di "Inconoscibile", che appare come il
fondamento ultimo della realtà ed è l'oggetto della religione.
L'operazione compiuta da Spencer, giudicata largamente insoddisfacente dai filosofi, è accolta invece con
entusiasmo e per molto tempo dal pubblico colto. Grazie anche al loro linguaggio accessibile, le opere spenceriane
sembrano rispondere, infatti, ad una diffusa esigenza ideologica.
Dopo avere creato le condizioni per un pieno dispiegarsi del suo sistema filosofico, rimuovendo le cause del
conflitto tra i diversi saperi, Spencer approfondisce la definizione della legge universale dell'evoluzione ed estende la
prospettiva evolutiva anche alla vita sociale. La legge dell'evoluzione è intesa come il passaggio da uno stato di
"omogeneità indefinita e incoerente" a "un'eterogeneità definita e coerente". L'instabilità, caratteristica essenziale dello
stato omogeneo e indistinto, fa sì che il processo dell'evoluzione tenda necessariamente all'eterogeneo e al distinto.
Questo processo avviene attraverso una dissipazione di movimento e una concentrazione della materia in parti distinte,
ed è la ragione dello sviluppo di tutte la forme della natura, dalla formazione del sistema solare a quella degli organismi
complessi. La legge così formulata è valida per ogni tipo di fenomeni, inorganici e organici, e può essere applicata
anche al piano del "super-organico", vale a dire a quello della vita sociale. Dato che l'evoluzione produce
necessariamente forme sempre più complesse ed efficienti, essa coincide con il progresso, con un miglioramento
oggettivo degli organismi, che "può terminare solo con l'instaurazione della massima perfezione e della più completa
felicità".
L'applicazione della legge dell'evoluzione anche alle forme della vita sociale è resa possibile da
un'interpretazione organicistica della società, che viene pensata in analogia agli organismi formati da parti
reciprocamente dipendenti. Questa concezione secondo cui le parti della società svolgono funzioni reciproche e
differenziate poggia sull concetto di "divisione fisiologica del lavoro", preso a prestito dalla biologia. Spencer descrive
lo sviluppo dei tipi di società come formazione di organismi caratterizzati da funzioni via via più complesse. Pertanto il
processo dell'evoluzione prosegue senza soluzione di continuità anche sul piano del "super-organico", delle forme di
organizzazione sociale. La società, analogamente agli organismi, si evolve senza sosta da uno stato di omogeneità (la

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società primitiva senza divisione sociale del lavoro) a forme eterogenee, caratterizzate dalla divisione in classi sociali a
cui corrisponde una divisione delle funzioni sempre più interdipendenti. La società dunque, come l'organismo,
crescendo quantitativamente si modifica anche nella struttura. L'evoluzione avviene secondo il modello della selezione
naturale; è quindi competitiva e dà luogo a una vera e propria gerarchia di tipi sociali.
Spencer con questa teoria dà una chiave di lettura della costruzione dell'impero coloniale in età vittoriana come
fase necessaria e progressiva dell'evoluzione della civiltà, individuando nella società inglese il modello più evoluto.
Egli perí non pensa che l'evoluzione presupponga uno sviluppo lineare; proprio perché avviene per selezione naturale,
essa permette la casuale formazione di forme sociali più adatte a condizioni più complesse. Pertanto molte società
inferiori esistono accanto a poche superiori.
Le società, classificate secondo il livello di complessità, vengono inoltre distinte in due tipi fondamentali:
militare e industriale. Si tratta di due forme già complesse rispetto alle società semplici definite come "unità
indifferenziate di lavoro". In ogni società complessa è possibile rintracciare segni delle due tipologie in proporzioni
diverse: il prevalere dell'una o dell'altra determina il tipo di società. Nella società militare sono dominanti "strutture
intese a compiere azioni di difesa e offesa", nella società industriale, invece, le "strutture che provvedono al
sostentamento" .
Tuttavia, ad una verifica più attenta, ciò che qualifica i due modelli di società è soprattutto un diverso rapporto
tra l'individuo e lo stato. La società militare è totalitaria: in essa il tutto è più importante della parte, dell'individuo, e
prevale una "cooperazione coatta". Al contrario, la società industriale è fondata sulla "cooperazione volontaria", e
rappresenta appieno il modello di un organismo naturale che teme gli interventi esterni sul suo sistema di relazioni; lo
stato, pertanto, deve intervenire il meno possibile e l'autonomia dell'individuo è massima. La competizione, la lotta per
la vita, non scompare, né tra gli individui né tra gli stati, ma si evolve dalla forma della guerra a quella della
competizione economica. Spencer, in sostanza, intende costruire una giustificazione "scientifica" del modello liberale
inglese sulla base dell'analogia tra organismo sociale e organismo naturale. La società inglese del XIX secolo sarebbe
quindi la migliore realizzazione dell'evoluzione sociale, ma non l'ultima, poiché verrà superata da una fase più evoluta,
nella quale sarà il lavoro ad essere in funzione della vita, e non viceversa, come avviene nella società industriale.
Conseguentemente Spencer si oppone all'intervento dello stato in quanto istituzione vecchia rispetto al nuovo
tipo di individuo che l'evoluzione ha prodotto. Infatti questa genera un progresso del grado di moralità tale che gli
uomini arrivano a sentire le norme etiche come un'inclinazione naturale e non come un obbligo. La società, a differenza
degli organismi naturali che hanno per scopo solo il proprio funzionamento, persegue la "felicità" degli individui, che
consiste in un pieno adattamento all'ambiente. La società industriale e liberale, con i suoi naturali meccanismi
economici, aumenta l'autonomia dell'individuo che non deve far altro che seguire i principi etici, ormai "innati" nella
sua coscienza grazie al frutto dell'evoluzione dell'intera specie.
Spencer è un deciso avversario di ogni forma di contrattualismo, in quanto questo implicherebbe una genesi
razionale, artificiale, della società, snaturando il suo carattere di organismo naturale. Egli critica anche il socialismo
perché vede in esso un ritorno ad una società di tipo militare e si mostra preoccupato per l'inasprirsi delle tensioni
economiche e militari tra gli stati sul finire del secolo che gli fanno temere un regresso a forme sociali caratteristiche
del tipo militare.
E' evidente la frattura tra la concezione di Comte, secondo la quale la società dovrebbe essere guidata da una
classe dirigente formata da scienziati e industriali subordinati all'autorità morale dei filosofi positivi, e la giustificazione
dell'esistente fatta da Spencer, che vagheggia piuttosto il mantenimento di un equilibrio più ideale che reale. Pertanto,
in qualche modo la legge dell'evoluzione, rafforzando la fede nel progresso caratteristica del periodo, produce un
effetto rassicurante sull'opinione pubblica. Nello stesso tempo, il sistema di filosofia sintetica esercita una forte e
protratta influenza sullo sviluppo dell'antropologia e sulla cultura americana, dove il modello di gran lunga dominante
del sapere è quello delle scienze positive.

FORME DEL POSITIVISMO IN GERMANIA

La diffusione del positivismo in Germania, nella seconda metà dell'Ottocento, è stata ampia quanto quella del
comtismo in Francia e della dottrina di Spencer in Inghilterra, ma nel contesto tedesco la mentalità positivistica assume
la forma di una radicale concezione materialistica. Neppure qui si tratta di una vera e propria scuola, bensì di una
frammentazione di indirizzi caratterizzati però, forse più che altrove, da un profondo legame con lo sviluppo delle
scienze. In effetti, la diffusione del positivismo in Germania è fortemente legata, in un primo tempo, al rapido sviluppo
delle conoscenze fisiche e biologiche. In un secondo tempo, il dibattito positivistico ruota sopratutto intorno ad alcuni
importanti problemi epistemologici che concernono il meccanicismo e l'evoluzionismo, cioè i due modi di intendere le
leggi di natura e la spiegazione scientifica che si erano imposti tra gli scienziati dopo gli anni '40. Questa seconda fase,
proprio attraverso l'esperienza del positivismo tedesco, segna l'esaurirsi, almeno in parte, della fertilità del modello
meccanicistico, e in Germania produce un importante dibattito sui limiti della conoscenza promosso da scienziati di
professione.
I sostenitori del materialismo provengono in generale dalle rinnovate università di medicina tedesche e si
avvicinano all'ipotesi materialistica spinti dai risultati emersi nel campo della chimica e della fisiologia, in cui era

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maturata la crisi delle vecchie concezioni teleologiche e spiritualistiche. Nel complesso anche la rapida, benchá tardiva,
industrializzazione e la trasformazione del sistema educativo accelerano la diffusione di una cultura di tipo tecnico-
scientifico, che tende a contrapporsi alla dominante concezione spiritualistica. Inoltre, l'involuzione politica che si
verifica dopo i fatti del 1848 convince intellettuali e scienziati a vedere uno strumento di lotta politico-culturale nella
divulgazione del nuovo sapere scientifico e delle sue conseguenze filosofiche. In particolare, a questo fine, è stato
efficace l'uso del principio di conservazione dell'energia, poichá ad esso si ispira tutto il filone materialistico.
Uno degli iniziatori del materialismo tedesco è il fisiologo Jakob Moleschott (1822-93). Celebre è un suo
scritto divulgativo, La dottrina alimentare per il popolo (1850), in cui viene sostenuta la tesi che il miglioramento del
cibo è strumento essenziale per l'emancipazione di contadini ed operai. L'opera ha una recensione lusinghiera da parte
di Feuerbach che si conclude con la celebre affermazione, alquanto provocatoria, "l'uomo è ciò che mangia". In un'altra
opera, Circolazione della vita (1852), muovendo dal principio di conservazione della massa e dal fatto che anche le
trasformazioni della materia si presentano come stabili e perenni, Moleschott sostiene che la vita è un processo
continuo che si genera attraverso la morte. La circolazione della vita, pertanto, è legata strettamente a quella della
materia. Moleschott punta così ad eliminare il divino dalla natura e da ogni spiegazione delle funzioni superiori
dell'uomo, incontrando non pochi avversari tra quegli scienziati, come il celebre chimico Justus von Liebig (1803-73),
che facevano convivere pratica della ricerca scientifica e convinzioni fortemente religiose. Prende così avvio, dopo il
1850, quella che è stata chiamata "controversia sul materialismo".
A posizioni come quelle sostenute da von Liebig e dal fisiologo Rudolf Wagner (1805-64), che propongono la
fede come unico atteggiamento possibile di fronte al problema dei principi primi, si oppongono, oltre a Moleschott,
anche Karl Vogt (1817-95), zoologo, e il medico Ludwig Büchner (1824-99). Entrambi, anche se con argomenti
diversi, sostengono la riduzione dello spirito alla materia.
Per la profonda influenza esercitata sulla cultura degli ultimi decenni del secolo, deve essere ricordato lo
studioso di zoologia Hernst Haeckel (1834-1919) che, riprendendo la teoria di Darwin, sostiene che questa può essere
il fondamento di una nuova filosofia capace di dimostrare l'unità e la continuità tra organico ed inorganico. Haeckel
tende a fare coincidere scienza e filosofia e, assumendo un atteggiamento comune tra i materialisti del tempo, afferma
che ogni vera scienza naturale è anche filosofia e viceversa, opponendosi così alla tradizione spiritualistica dominante
nelle università tedesche. Al suo nome è legata la tesi secondo cui "l'ontogenesi è una ricapitolazione abbreviata e
incompleta della filogenesi", vale a dire lo sviluppo dell'individuo ripete, riassumendola, l'evoluzione della specie.
Haeckel si adopera soprattutto in difesa del materialismo scientifico e di una cultura laica. In questo contesto
egli contribuisce, in modo decisivo, alla diffusione del darwinismo con uno scritto di carattere divulgativo, la Storia
naturale della creazione (1868) che ottiene un grande successo. Egli ritiene che la diffusione della teoria
dell'evoluzione possa contribuire al progresso della libertà e all'affermazione di una concezione materialistica quale
emergerebbe dalla teoria di Darwin. Pur senza ottenere alcun risultato, Hackel si batte affinché la teoria dell'evoluzione
sia inserita come disciplina fondamentale nel nuovo sistema educativo tedesco. Egli si impegna intensamente anche sul
piano scientifico per la costruzione di una nuova morfologia evoluzionistica, che porti prove definitive alla teoria
darwiniana. Ma paradossalmente i suoi studi, caratterizzati da un'impostazione rigida e poco prudente di molti problemi
dell'evoluzione, ottengono l'effetto contrario. Infatti, una nuova generazione di biologi, stimolata all'approfondimento
della morfologia evoluzionistica, raccoglierà nuovi elementi che renderanno superate le tesi di Haeckel.
In campo filosofico la fine del secolo vede Haeckel tra i pochi accaniti difensori del programma
meccanicistico. Egli nel 1899 pubblica Gli enigmi dell'universo, opera in cui riassume i capisaldi del suo sistema, un
monismo materialistico che si fonda sulla ricerca di un unico principio a cui ricondurre l'opposizione tra materialismo e
spiritualismo. Questo principio è costituito dalla sostanza che si manifesta nelle molteplici forme dell'universo sensibile.
Aspetti complementari di questo principio sono due leggi: quella chimica della conservazione della materia e quella
fisica della conservazione della forza. C'è un'eco di spinozismo e di temi romantici in questa concezione di una sostanza
unica di cui materia e spirito non sono che due attributi, anche se l'atteggiamento di Haeckel è incline al materialismo in
quanto tende ad identificare lo spirito con l'energia della materia. Egli è convinto che il suo monismo possa risolvere
ogni problema metafisico e nella sua opera esprime una profonda fiducia nella capacità della scienza di dare una
soluzione al problema dei principi primi e di liberare l'umanità dalla superstizione e dalla religione. La posizione di
Haeckel appare agli scienziati suoi contemporanei troppo condizionata da una tesi filosofica dai caratteri sovente
dogmatici e lontana da ogni fondamento empirico-osservativo. Tuttavia proprio con gli Enigmi dell'universo, opera che
ha diffusione grandissima ( viene tradotta in molte lingue e si calcola che ne siano state pubblicate più di un milione di
copie), Haeckel esercita una forte influenza sulla cultura di orientamento radicale e progressista, mostrando così tutta la
valenza politica che ha il dibattito sul materialismo all'interno del positivismo tedesco.
In un generale contesto di tendenziale coincidenza tra scienza e filosofia si sviluppa, soprattutto ad opera del
fisiologo tedesco Émile Du Bois Reymond (1818-96), un dibattito sul problema dei limiti della conoscenza che ha
molta risonanza sia in Germania sia all'estero. Il problema nasce dal progressivo esaurirsi della funzionalità della
spiegazione di tipo meccanicistico sia nella sua applicazione ai fenomeni della vita e della psiche, sia nella definizione
degli stessi principi fondamentali della concezione materialistico-meccanicistica, la forza e la materia. Du Bois è
convinto, come lo era anche il fisico Helmoltz, che il modello della conoscenza scientifica sia essenzialmente quello di
Laplace e che, pertanto, in linea di principio sia possibile ridurre ogni problema scientifico ai principi fondamentali
della meccanica. Ma proprio quando si cerca di determinare la natura dei concetti di materia e forza ci si trova di fronte

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ad alcune aporie, che in particolare riguardano la nozione di atomo e la questione dell'origine del movimento. Inoltre,
anche il fatto che, come riconosce Du Bois, "la coscienza non può essere spiegata attraverso le sue condizioni
materiali" faceva nascere la consapevolezza di un evidente limite allo sviluppo della conoscenza. Du Bois presenta al
pubblico queste tesi in una celebre conferenza intitolata I confini della conoscenza della natura (1872), conclusa con il
famoso motto "ignorabimus", sancendo così la presa di coscienza dei limiti di un certo modello di spiegazione che
tendeva ad approdare ad una metafisica materialistica. Con una seconda conferenza, I sette enigmi del mondo (1880),
egli offre un vero e proprio manifesto dell'agnosticismo positivistico.
L'eco delle tesi di Du Bois sui limiti della conoscenza, il cui tema centrale è presente anche in Spencer, mostra
quanto gli ambienti filosofici e scientifici europei fossero sensibili alle difficoltà che il modello di spiegazione derivato
dalla meccanica di Laplace e un certo ingenuo materialismo andavano incontrando. Du Bois innalza a limiti della
conoscenza quelli che sono semplicemente le specifiche difficoltà della particolare concezione della meccanica
dominante tra i positivisti, cioè quel meccanicismo riduzionistico che vuole ricondurre tutti fenomeni naturali a modelli
meccanici. Si tratta in qualche modo di un equivoco tra i limiti di un particolare modello scientifico e la scienza in
quanto tale.
Tuttavia non bisogna trascurare alcuni aspetti meno evidenti delle posizioni di Du Bois che mostrano come la
sua battaglia sia diretta in particolare contro il materialismo in quanto questo, secondo certi ambienti della cultura
tedesca, coinciderebbe con una concezione deterministica sul piano etico. La preoccupazione di Du Bois sembra quella
di costruire, senza ricadere però su posizioni spiritualistiche, un argine alla diffusione delle dottrine materialistiche, che
gli appare pericolosa da un punto di vista etico ed educativo. L'ignorabimus serve in qualche modo a confinare la
scienza in un ambito ristretto mettendo in evidenza che il modello meccanico, pur molto efficace, non ha però un
fondamento assoluto. Vengono così depotenziate le possibili, anche se ingenue, implicazioni ideologiche
tendenzialmente progressiste e radicali che alcuni traevano da una visione materialistico-meccanicistica del mondo.
Significativa è, a questo proposito, la posizione di Du Bois secondo cui il darwinismo poteva essere insegnato solo ai
livelli medio-superiori del sistema scolastico, ed è proprio contro questa impostazione che si batte invece Haeckel. Non
a caso in alcuni ambienti scientifici tedeschi, più che altrove, anche contro la realtà dei fatti, si crede in un ideale di
scienza pura separata dalla tecnica; il progresso scientifico, in questa prospettiva, andrebbe misurato non tanto in base
all'accresciuto dominio sulla natura e alla promozione del progresso sociale e civile, ma secondo l'ideale di una
conoscenza esaustiva dei nessi causali tra tutti i fenomeni naturali. Si rompe così il legame con la concezione del
progresso di origine baconiana e illuministica che ancora fino agli anni '40 era comunemente accettata. Pertanto le tesi
di Du Bois mostrano come l'agnosticismo positivistico utilizzi di fatto difficoltà di natura epistemologica per fini
ideologici, affidando agli scienziati una funzione culturale di indirizzo moderato e precludendo loro la possibilità di
costruirsi una propria visione del mondo..

IL POSITIVISMO IN ITALIA: ARDIGO'

Il positivismo si diffonde tardi in Italia, nell'ultimo trentennio dell'Ottocento, soprattutto per merito di Roberto
Ardigò (1828-1920), ed è caratterizzato da quell'intreccio di temi politici e culturali già riscontrato in Germania. Infatti
l'opera di Ardigò ottiene presto un largo seguito e diviene punto di riferimento dell'opinione pubblica di orientamento
laico e progressista.
Il sistema di Ardigò non si discosta molto dai caratteri generali del positivismo evoluzionistico di Spencer.
Innanzitutto ne condivide una vera e propria apologia del "fatto" che, in quanto realtà in sé, è definito "divino"; e infatti
non può essere modificato in alcun modo da noi. Muovendo da questo assunto Ardigò, sempre in accordo con la
tradizione positivistica, distingue le "scienze speciali", che studiano i fatti, dalla "scienza generale", chiamata anche
"peratologia" (péras=limite), che indaga sui limiti della conoscenza. Tuttavia, al contrario di ciò che sostiene Spencer,
oltre i limiti della conoscenza non c'è alcun "inconoscibile", ma solo ciò che è ancora "ignoto". Ne consegue che nella
filosofia di Ardigò non c'è alcun residuo spiritualistico su cui possa essere fondato il ruolo della religione.
Ardigò ha interessi più nell'ambito psicologico che in quello sociologico e pertanto reinterpreta i concetti
dell'evoluzionismo di Spencer sostenendo che l'evoluzione, più che dall'omogeneo all'eterogeneo, avviene
dall'"indistinto" al "distinto", proprio come nella sfera dell'io vengono via via emergendo, da uno stato indistinto, la
coscienza di sé e la consapevolezza del mondo esterno. Ardigò pensa di potere superare in questo modo le categorie di
materia e spirito, evitando quindi di assumere quelle che gli sembravano rozze posizioni di tipo materialistico. Egli si
rifà al naturalismo rinascimentale individuando nella natura la totalità del reale, che può essere spiegata facendo ricorso
solo alle leggi della natura stessa. L'evoluzione quindi non è in alcun modo la realizzazione di un progetto finalistico,
ma solo il prodotto di un processo di tipo meccanico. Tuttavia la complessità delle catene causali fa sì che ci sia spazio
per l'imprevedibile, per il caso.
Ardigò pensa che tutte le attività umane siano prodotto dell'evoluzione, compresi i più alti valori morali che
vanno interpretati come fatti naturali, e che agiscono nell'individuo come frutto del condizionamento sociale. Pertanto
va rifiutando il concetto di libero arbitrio, in quanto il volere e l'agire dell'uomo sono il prodotto di catene causali.
L'etica, quindi, fa parte della sociologia, poiché l'individuo apprende le norme etiche che sono funzionali alla
sopravvivenza della stessa società, di qui la grande importanza dell'educazione.

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Tra le opere di Ardigò, quella che ottiene più attenzione è La morale dei positivisti (1879) nella quale viene
elaborato l'aspetto antropologico della sua filosofia. L'opera avrà una grande influenza sugli ambienti socialisti che
vedono nella concezione etica di Ardigò il fondamento per dimostrare che il condizionamento della società può essere
la fonte dei comportamenti individuali. I socialisti italiani ne ricaveranno la convinzione della necessità di un
programma di riforme sociali atto a promuovere un'evoluzione della morale e quindi la naturale scomparsa di
comportamenti devianti e antisociali, una tesi che ha avuto influenza soprattutto nel campo del diritto penale.

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